Giugno 2021

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cultura __LIBRI CULTURA__ LE TRE VERITÀ DI DANIELE CAVICCHIA: CINQUE RACCONTI UN PO’ MISTERIOSI, UN PO’ ONIRICO-VISIONARI, UN PO’ SAPIENZIALI, TRA KAFKA ED HESSE, dove il sogno ha l’aspetto lattiginoso di un universo in cui le persone si sfiorano e si perdono per poi riapparire silenziosamente, quando meno te l’aspetti. Cinque storie che ti trascinano in un mondo quasi impalpabile di voci e silenzi, apparizioni, fantasie, ricordi, incontri che sfumano e incontri che sono solo fantasie. Prendiamo il terzo racconto, quello che dà il titolo alla raccolta, il più intenso, assai abile nel suo meccanismo narrante. C’è una situazione che si ripete anche negli altri: un uomo che vive in un tunnel che è una specie di tana e di trappola e viene quasi trascinato ad indagare sul mondo che è fuori, dall’altra parte, tra la veglia e il sogno. Ognuno, in quel mondo e di quel mondo, racconta la sua storia di paternità, amori, tradimenti in un misterioso regime di complicità. Ma la storia continuamente si scompo-

UNO SPAZIO + METALETTERARIO E INTIMO

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ne in più iridescenLE TRE VERITÀ ze. Sembra alludere RACCONTI ZETA ad un centro (una 104 PAGINE 10 EURO verità) che sfugge, Giudizio di 50&Più: a una pienezza di senso che sfarina mentre le figure vanno e vengono, come su una scena con un improbabile buttafuori. Resta l’indagine sotto forNon sono certo racconti ma di interrogazione, l’assillo ad una con trama “classica”, qualsiasi verità anma situazioni diverse cora possibile/ime apparentemente non legate possibile perché tra loro, immerse «l’uomo del tunnel sa di non avere nell’interiorità dell’autore molto tempo, ma sa anche che finché fa parte del tempo tutdi Renato Minore to può accadere». Cavicchia è all’origine un poeta, un ottimo poeta IL PANE PERDUTO che ha avuto molti riconosciEdith Bruck La Nave di Teseo, 128 pagine menti negli anni; qui si radprezzo: 16 euro doppia come narratore. Nel suo Giudizio di 50&Più: mondo narrato le figure s’inEdith Bruck, nata novant’anni fa in un piccolo crociano secondo le infallibili villaggio ungherese e deportata a tredici, ha disposizioni del caso che posattraversato sette campi di concentramento sono lasciare intuire la e di sterminio. Ora con Il pane perduto, il suo intenso e quasi scia di una storia, scarnificato memoir, che punge e strazia senza il ricatto degli la luce di un instilemi retorici abusati in simili storie, racconta non solo il “prima” contro, anche il dell’adolescenza felice, non solo l’“inferno” del genocidio e della culmine di un macelleria concentrazionaria. Ma anche il “dopo”, con le sue andramma. gustie e le sue sorprese, il ”ritorno”, le ulteriori vicissitudini attraversate in altri luoghi, come ha fatto la Kluger in Vivere ancora. Quei ricordi sofferti di una vita intera fino a giungere ai giorni nostri, trascinati dalla «nostalgia dolorosa di me scalza, in corsa nella tiepida polvere della primavera sulla viuzza di Sei Case dove ero io, senza passato, solo futuro, una vita fa».

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