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Brexit, i risvolti post accordo

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che avevamo promesso nel 2016 è stato raggiunto. Abbiamo ripreso il pieno controllo della nostra sovranità». Von der Leyen ha fatto prevalere una riflessione amara: «Il dibattito era incentrato sulla sovranità. Dovremmo stabilire che cosa si intende per sovranità nel XXI secolo. Per me è mettere insieme le nostre forze, in un mondo pieno di grandi potenze». Del resto Johnson non ha affatto tagliato i ponti con l’Unione: «La Gran Bretagna rimarrà culturalmente, storicamente, strategicamente e geologicamente attaccata all’Europa». Comunque la si guardi quella del 24 dicembre 2020 è un’intesa di portata storica che, pur messa in sordina dalla voracità mediatica della pandemia, segna una sorta di nuovo inizio dei rapporti tra Gran Bretagna e Unione Europea. «L’accordo di Brexit si configura come un trattato di libero scambio che vale, secondo i dati del 2019, circa 700 miliardi di euro all’anno spiega Giuseppe Di Taranto, professore di Storia dell’economia e dell’impresa alla Luiss Guido Carli di Roma -. È l’accordo commerciale più importante mai concluso dalle due parti. E tuttavia, se si dovesse dare un titolo all’intera operazione, si potrebbe dire, citando Shakespeare, “molto rumore per nulla”. Formalmente dal 1° gennaio del 2021 il Regno Unito è fuori dal Mercato unico, ma sostanzialmente cambia ben poco nelle relazioni economiche con l’Europa. Riprendono i controlli doganali (foto grande a sinistra), ma non ci saranno dazi sulle merci né restrizioni quantitative agli scambi. Quanto alle norme sulla concorrenza e il libero mercato (il cosiddetto level playing field) l’accordo prevede che Londra possa distaccarsi dalla normativa europea in materia sanitaria, ambientale e di aiuti statali, ma non in misura tale da arrecare danno alla libera e leale competizione. In caso di controversie è previsto un meccanismo di arbitrato abbastanza snello e rapido che esclude la Corte di Giustizia europea. Era del resto nell’interesse di entrambe le parti strutturare i rapporti futuri secondo uno schema semplice e fluido, riducendo al minimo le possibili complicazioni anche in virtù dell’intensa collaborazione che è in atto (e viene rilanciata) in settori come la ricerca, la sicurezza, la lotta al cambiamento climatico». L’intesa del 24 dicembre 2020 ha risolto il problema dell’Irlanda, nel rispetto dei cosid- »

detti accordi del Venerdì Santo, stipulati nel 1998, che vietano l’istituzione di qualunque barriera fisica tra l’Eire la Repubblica d’Irlanda indipendente - e l’Ulster parte del Regno Unito. La Gran Bretagna effettuerà nel Mare d’Irlanda i controlli doganali sulle merci che entrano nell’Isola. Anche la questione, fortemente simbolica, dei diritti di pesca sembra risolta con reciproca soddisfazione. Per i prossimi cinque anni e mezzo le imbarcazioni europee continueranno a pescare in acque britanniche, con quote di pescato via via ridotte, poi verosimilmente prevarrà il principio del “take back control” (riprendere il controllo). Il professor Di Taranto sottolinea un aspetto fondamentale: «La Brexit rappresenta il completamento, e in un certo senso il chiarimento, di una situazione storica. La Gran Bretagna non si è mai sentita fino in fondo parte dell’Unione Europea. Non ha mai adottato la moneta unica, non riconosceva il trattato di Schengen né la Carta fondamentale dei diritti dei cittadini europei. Godeva, già all’interno dell’Unione, di un’autonomia piuttosto ampia. Il referendum del 2016 è nato essenzialmente dall’esigenza di controllare la circolazione delle persone verso il Paese, dall’esigenza della working class britannica di contrastare la concorrenza dei lavoratori stranieri non qualificati. Tutto questo è stato adesso raggiunto con la politica dei visti, che ne

Dal 1°

gennaio sono ripresi i controlli doganali reciproci tra Regno Unito e Unione Europea, ma non si applicano dazi e restrizioni agli scambi di merci.

L’accordo

finale riguarda gli scambi di merci, le norme sulla concorrenza, la soluzione delle controversie economiche e la pesca in acque britanniche.

Per

lavorare

in Gran Bretagna sarà necessario il rilascio di un visto “a punti”. Non ne avranno bisogno i turisti per soggiorni fino a tre mesi. prevede la concessione (indispensabile per restare a lavorare nel Paese) in base a punteggi derivati dalla presenza di una precisa offerta di lavoro e dal livello di retribuzione». Le ultime previsioni della Commissione Europea suggeriscono che la Brexit regolamentata dall’accordo del 24 dicembre non nuocerà né all’Unione né alla Gran Bretagna. In entrambe il PIL continuerà a crescere nei prossimi anni (3-4% per l’Europa e 23% per la Gran Bretagna) e la disoccupazione si ridurrà. Il Regno Unito tornerà prima di molti Paesi europei ai livelli pre-Covid. «Le difficoltà di Londra nel primo semestre del 2020 erano essenzialmente legate a un errato approccio nei confronti della pandemia - riflette Di Taranto - e adesso, dopo la campagna di vaccinazione di massa dei cittadini, sono per lo più rientrate. La “politica della paura”, che paventava una “catastrofe Brexit”, si è dimostrata ancora una volta errata. La Gran Bretagna ha un’economia solida, con una quota di esportazioni verso l’Europa che è diminuita negli ultimi decenni. Può inoltre contare sull’enorme bacino commerciale rappresentato dal Commonwealth e sul primato europeo della piazza finanziaria di Londra. Non a caso la questione dei rapporti finanziari con l’Europa è rimasta fuori dall’accordo del 24 dicembre e verrà regolata a parte. L’Unione farebbe bene a trarre insegnamento dalla scelta del Regno Unito: invece di derubricarla a errore antistorico sarebbe il caso di trarne insegnamento per ripensare le basi dell’integrazione continentale e i dubbi fondamenti scientifici delle sue regole economiche. La spaccatura tra Paesi del Nord e Stati dell’area mediterranea è ormai un dato di fatto, le vicissitudini legate alla campagna di vaccinazione e al Recovery Fund mostrano di nuovo tutti i limiti di una costruzione rimasta a mezza via tra la lega di Stati sovrani e l’ente sovranazionale».

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