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La riforma delle pensioni Annarita D’Agostino
from Ottobre 2021
by pay50epiu
Il Governo è al lavoro su una nuova riforma delle pensioni per il “dopo-Quota 100”. Una misura di pensionamento anticipato che deve la sua fama più al dibattito politico che l’ha accompagnata durante il triennio di sperimentazione che non al suo impatto Secondo i dati del XX Rapporto Annuale Inps, a pensionarsi con Quota 100 sono stati 180.000 uomini e 73.000 donne nel biennio 2019-20, a fronte di 1,4 milioni di nuovi pensionati registrati nel 2020. Ma, soprattutto, fallimentare si è rivelata l’idea che potesse favorire il ricambio generazionale nelle imprese. «Questo perché - spiega Marco Abatecola, responsabile del Settore Welfare Pubblico e Privato di Confcommercio-Imprese per l’Italia - l’idea per la quale, se un lavoratore va in pensione, un lavoratore più giovane entra nel mercato del lavoro, è un’idea assolutamente obsoleta. Il sistema economico e produttivo non è un sistema di porte scorrevoli dove se uno esce, un altro entra. Basti pensare che in Europa i Paesi che hanno la più alta percentuale di partecipazione al lavoro delle generazioni più anziane RIFORMA DELLE sono anche quelli con minore disoccupazione giovanile». PENSIONI: Esperienze che supportano proposte come quella del presidente Istat, Gian Carlo Blangiardo, di assicurare la sostenibilità del sistema pensionistico e l’invecchiamento attivo ALLA RICERCA DI UNA NUOVA FLESSIBILITÀ manenza al lavoro dei senior piutto- È uno dei dossier più caldi sul tavolo del Governo, sto che di pensionamento anticipato. Ipotesi che non sono incoerenti con - ta dal mercato del lavoro. Anzi, pos- sono contribuire sul lungo periodo alla tenuta del patto generazionale «che è alla base di qualsiasi sistema previdenziale a ripartizione come il nostro, dove - continua Abatecola - di
«Per assicurare la sostenibilità del sistema previdenziale di lungo periodo c’è bisogno non solo di allargare la base occupazionale giovanile, ma anche che le persone più anziane rimangano il più possibile al lavoro, purché siano ovviamente in condizione di lavorare» le persone in età da lavoro pagano i contributi non per l’accumulo reale della loro pensione futura, ma per pagare sostanzialmente le pensioni in essere». Oggi facciamo i conti con un’incidenza della spesa pensionistica sul PIL del 17% contro una media Ocse del 13%, e la spesa previdenziale rappresenta più di un quarto della spesa pubblica totale. Per assicurare la sostenibilità del sistema previdenziale di lungo periodo «c’è bisogno non solo di allargare la base occupazionale giovanile - aggiunge - ma anche che le persone più anziane rimangano il più possibile al lavoro, purché siano ovviamente in condizione di lavorare». Come? Ci fornisce alcune ipotesi concrete Luca Giustinelli, direttore Area Patronato 50&PiùEnasco: «La trasformazione dei rapporti di lavoro dei più maturi in part-time ma con il riconoscimento di una contribuzione ci, e per le aziende di una decontribuzione per i lavoratori neo assunti collegati alla trasformazione dei contratti dei più anziani, potrebbe contribuire ad ammortizzare l’impatto dell’innalzamento dell’età pensionabile, dando vivacità ad un mercato del lavoro altrimenti “bloccato”». Peraltro, oltre Quota 100, «esistono già nell’ordinamento pensionistico ricorda Giustinelli - per particolari categorie di lavoratori: Opzione donna, Ape Sociale, lavoratori precoci, lavori gravosi, lavori usuranti, Isopensione, Contratto di espansione. Anziché introdurre ulteriori forme di pensionamento, si potrebbero rendere strutturali le misure già esistenti, estendendole ad altre categorie di lavoratori come gli autonomi». Ma la riforma delle pensioni non è solo questione di rapporti fra generazioni, poiché chiama in causa anche disuguaglianze intra-generazionali. Disuguaglianze che - spiega Giustinelli - «dipendono in gran parte dalle innumerevoli riforme pensionistiche succedutesi dal 1992 ad oggi e che hanno creato “scalini” e “deroghe”: trovarsi al di sopra o al di sotto dello scalino o poter usufruire o meno di una deroga produce condizioni dif comprendere a chi si sente penalizzato rispetto ad un parente, un amico, un conoscente, la cui situazione sembra quasi del tutto sovrapponibile alla sua. Per non parlare delle “sacche” di privilegi previdenziali che in passato hanno riguardato alcune speci forme incompiute, quella “Dini” del 1995, in particolare, contrappone oggi lavoratori “misti” e “puri”, creando una realtà complessa ed eteroge mentare di Bilancio. I “misti” hanno iniziato a lavorare prima del 1995 e dunque calcolano la pensione in parte con il sistema retributivo, che lega l’assegno alle retribuzioni percepite, in parte con il sistema contributivo, che prende come riferimento i con entrati nel mercato del lavoro dopo il 1995 e per i quali vige unicamente il sistema contributivo. Quando si in ci si scorda che il sistema è contributivo “sulla carta” - sottolinea Abatecola - ma la gran parte dei lavoratori sono ancora nel sistema retributivo, quindi se io permetto di anticipare l’uscita di un lavoratore del sistema retributivo rischio di creare un danno per l’equilibrio delle casse del sistema previdenziale. Perciò qualsiasi ipotesi sti parametri e quindi fondarsi su un calcolo contributivo della pensione». Per il professor Sandro Gronchi, ordinario di Economia Politica presso l’Università di Roma “La Sapien-
za”, non è semplice orientarsi in questo “contributivo all’italiana”. Infatti, «nell’ancor lunga fase transitoria - spiega - i puri potranno andare maturato non è inferiore alla soglia di 2,8 volte l’assegno sociale, mentre i misti, nelle stesse condizioni, dovran zianità contributiva di 20, possono proseguire l’attività lavorativa mentre i misti, nelle stesse condizioni, devono rassegnarsi a lasciare il lavoro d’età e 20 di contributi, i misti possono andare in pensione liberamente, mentre i puri possono farlo solo se l’importo spettante non è inferiore alla soglia di 1,5 volte l’assegno sociale». Secondo il professor Gronchi serve dunque innanzitutto “un generale riordino dei requisiti d’accesso alla pensione che tuteli equità e sostenibilità al contempo”. Qui entrano trasformazione”. «Nel sistema con zione - chiarisce il professor Gronchi - “ambisce” a trasformare ogni euro versato in una rendita unitaria equivalente, spalmandolo sulla durata attesa della pensione cui concorrono le speranze di vita del pensionato e del suo superstite in caso di pensione di reversibilità. Tuttavia, le speranze di vita, sconosciute ex ante, sono stimate guardando al passato, cioè all’esperienza di coorti di pensionandi pre quindi di “obsolescenza” che si risolve nella loro sopravvalutazione, e quindi in pensioni superiori ai contributi versati». Inoltre «l’obsolescenza cresce al diminuire dell’età. Pertanto, l’anticipo del pensionamento implica costano perché allargano il divario fra la pensione e i contributi versati». Secondo il professor Gronchi, invece di potenziare la pensione anticipata be, piuttosto, cercata “verso l’alto”. La fascia d’età quadriennale compre ralità dei lavoratori, consentirebbe cienti». Ancora una volta si dovrebbe guardare all’Europa: «Per come sono strutturati - sottolinea Abateco zialmente il prepensionamento, cioè molto spesso all’avvicinarsi di una di lavoratori che hanno paura di una penalizzazione previdenziale. In altri sono invece assegnati per coorti di età e a prescindere da quando si andrà in pensione». Garantendo dunque quella certezza delle regole che è fondamentale per qualsiasi riforma tà di pensionamento che rendono dif ziale non solo per i lavoratori - stigmatizza Abatecola - ma anche per le i piani di sostituzione dei lavoratori, a danno anche del ricambio generazionale. Ci auguriamo quindi che la prossima riforma sia fondata su chiarezza e uniformità delle regole, anche tra lavoro autonomo e dipendente, e soprattutto su una stabilità di queste regole». Guardando con più attenzione ai «giovani e alla proiezione delle loro future pensioni - aggiunge Giustinelli -, i cui importi, per chi oggi stabili e stipendi adeguati, potrebbero non essere in grado di garantire le primarie esigenze di vita».
Società
RSA, È TEMPO DI UN CAMBIO DI ROTTA di
Durante il Covid molte case di riposo hanno riportato storie di isolamento, solitudine e abbandono. Ora in Italia serve una riforma dell’intero sistema assistenziale e la Commissione ministeriale “per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana” ci sta già lavorando
La strada sembra ormai essere stata tracciata. Non sarà né breve né semplice ma porterà se non all’abolizione, certamente ad un forte ridimensionamento delle Residenze sanitarie assistite (RSA), le più note Case di riposo, che al momento rappresentano, in molte situazioni, le uniche strutture socioassistenziali contemplate nel nostro Paese per gli anziani che non hanno più, per svariati motivi, la possibilità di una semplice e diretta assistenza nella propria abitazione. La parola d’ordine? Domiciliarizzazione e, quindi, de-istituzio quando possibile. A “scoperchiare la pentola” è stato il Covid e le tante morti in istituto di anziani abbandonati al loro destino, se non peggio, morti nella solitudine e nell’isolamento. Storie che in molti casi non potranno mai essere raccontate ma che, con i loro numeri impressionanti, hanno messo sotto gli occhi di opinione pubblica e decisori a vario titolo una realtà che forse andava circa 250mila gli anziani che in Italia vivono nelle circa 7mila residenze censite, cresciute da Nord a Sud, nell’ultimo decennio. Gli snodi per questa che si presenta come una vera rivoluzione nella gestione di una fase di vita così delicata sono due: il concretizzarsi di una serie di strutture già sperimentate o che iniziano a farsi largo e l’ormai mitico Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che dovrebbe mettere a disposizione fondi e risorse per dare gambe a questo nuovo sistema. del progetto sarà l’autunno, con il maturarsi delle varie piste di lavoro e soprattutto con le prime conclusioni dell’attività che sta svolgendo la Commissione ministeriale “per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana”, istituita nel settembre del 2020 dal ministro della Sanità, Roberto Speranza e presieduta da monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pon Commissione, che sta elaborando e raccogliendo proposte ed esperienze, fanno parte illustri personalità del del Covid - ha avuto modo di spiegare lo stesso ministro Speranza - hanno fatto emergere la necessità di un profondo ripensamento delle politiche di assistenza sociosanitaria per la popolazione più anziana. La Commissione aiuterà le Istituzioni ad indagare il fenomeno e a proporre le necessarie ipotesi di riforma». Parole alle quali ha fatto eco monsignor Paglia che, accettando l’incarico, ha dichiarato di strumento per favorire una transizio presenza sul territorio attraverso l’assistenza domiciliare, il sostegno alle famiglie e la telemedicina. L’auspicio - ha quindi aggiunto il presule - è che
l’Italia, Paese tra i più longevi ed anziani del mondo, possa mostrare un nuovo modello di assistenza sanitaria e sociale che aiuti gli anziani a vivere nelle loro case, nel loro habitat, nel tessuto famigliare e sociale». dere le RSA solo una sorta di “ultima ratio” e non un deposito-parcheggio di anziani ai quali manca una rete familiare in grado di sostenerli? Le piste di lavoro puntano dritto ad una rete di co-housing, minialloggi protetti, o cosiddetti “condomini solidali” con la presenza di più anziani e “residenze leggere”. Insomma, forme di residenzialità che, pur sostenendo e rinforzando una socialità per chi non ha più nessuno, possa allo stesso tempo assicurare alle persone la sicurezza di presenze garantite. Per quanto riguarda le attuali RSA, al posto di strutture “generaliste” da 200 posti, si punta a realtà con un minor numero di posti letto e in un contesto cessità relative alla “qualità della vita e dell’assistenza” degli ospiti. Da una semplice collaborazione domestica a una presenza sociosanitaria 24 ore al giorno, con presidi specialistici salvavita per persone ad elevata fragilità. Una rete socioassistenziale che venga incontro alle necessità di quel 20-30% di anziani ultra 75enni non in RSA o in strutture protette. Anche la tecnologia (telemedicina, teleassistenza, teleriabilitazione, domotica per gli ambienti di vita) potranno essere leve strategiche in grado di ri nuovi metodi di gestione ed erogazione dei servizi sociosanitari. Già oggi, in alcune esperienze, servizi territoriali ed équipe multidisciplinari si occupano di sostenere la permanenza a casa di persone anziane e con disabilità (assistenza domiciliare integrata) mentre il modello delle USCA, le Unità Speciali di Continuità Assistenzia Coronavirus, potranno essere integrate per la “residenzialità leggera” e a servizi on demand per le cronicità. A spiegarci meglio e ad inquadrare la situazione nel contesto nazionale, Giancarlo Penza, coordinatore del questa battaglia che portiamo avanti da decenni - ci dice - il tema non è stato tanto il sentirci soli nel sollevare certe problematiche, ma il constatare nel tempo che l’intero sistema di assistenza e cura si stava orientando completamente sulle Residenze per anziani raggiungendo un numero quasi incontrollabile. Da uno studio che abbiamo condotto, ad esempio, nella sola regione Lazio ci siamo accorti che le cosiddette Residenze sono in numero assai maggiore di quelle riconosciute dietro a tutto ciò c’è una questione legata al business per i gestori delle strutture che si sono gettati su quello che hanno troppo spesso visto solo come un mercato, in una società in continuo e costante invecchiamento e in assenza (spesso voluta) di altre soluzioni residenziali. Insomma, si è usato il medesimo metro dell’ospeda da un ospedale si può uscire mentre realizza». La parola d’ordine usata da
suoi giorni in un luogo che si può familiare e personale, dove poter riconoscere la sua vita e il suo ambiente, in un quartiere frequentato dai suoi simili e in una situazione di rispetto pieno della persona». Eppure, ci fa notare, proprio il nostro Paese è tra i fanalini di coda in Europa per quanto riguarda, ad esempio, l’assistenza domiciliare che contempla oggi, di media, un servizio di sole mo al Governo che, grazie anche alla leva del PNRR, proceda ad una radicale riforma dell’intero sistema assistenziale per gli anziani, puntando proprio su residenzialità e assistenza domiciliare», chiarisce l’esponente di Sant’Egidio, non nascondendo invertire il trend di un sistema ormai sclerotizzato e mettere in discussione determinati interessi economici legati al business degli istituti, cresciuto esponenzialmente negli ultimi decenni. E vincendo le resistenze che già si stanno palesando». Altro organismo istituzionale che sta lavorando al tema è l’Intergruppo parlamentare “Longevità e prospettive socio-economiche”, di cui fanno parte rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari e delle maggiori associazioni e realtà della società civile. Da mesi studia il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione del tra rappresentanti di forze politiche pa ai lavori della Commissione - si sono detti convinti della necessità di un cambio di rotta nella direzione di una de-istituzionalizzazione e per una maggiore residenzialità per i nostri anziani. Abbiamo ascoltato esperti e tecnici che ci hanno confermato la bontà della strada che si vuole intraprendere». Lo stesso Zilio fa notare come attualmente già in Italia, seconda solo al Giappone per percentuali di popolazione anziana, oltre 2 milioni e 800mila anziani vivano da soli che ormai si sta facendo largo è che si tratta di ridurre la presenza delle RSA e di forme di ospedalizzazione non necessarie per una fascia di età, quella che parte dagli ultra 65enni, che si sta avviando a costituire il 2530% dell’intera popolazione italiana». sistema consolidato negli ultimi decenni ci pensa Stefano Trovato della Cooperativa Polo 9 di Senigallia, che si occupa sul territorio di anziani, offrendo personale specializzato per at che - dice - già sono partite esperienze nuove come quella del comune di dove l’amministrazione ha richiesto uno studio di fattibilità per trasfor storico in alloggi per anziani, una sor - ci tiene a dire - c’è sempre stata un’esperienza molto particolare: dagli Anni ’50 in avanti quasi ogni Comune, infatti, aveva una casa di riposo per anziani dove ci si spostava ad un certo punto della propria esistenza. Questo ha indiscutibilmente costituito un si provocato anche un ritardo culturale quando queste strutture sono entrate in crisi per il mutare della società. tiva chiara ed una progettualità anco processo di cambiamento dei servizi realtà come le RSA potranno essere completamente superate. Per non trasformarle, di fatto, in una specie di hospice, suggerisco che ogni riforma sul come migliorare queste strutture già esistenti».
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