Ottobre 2023

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PRIMO PIANO

Carceri: insegnare un mestiere per combattere la recidiva

Formazione e reinserimento dei detenuti azzerano il rischio di un ritorno al crimine. Viaggio nei penitenziari italiani con la popolazione più anziana d’Europa

PERSONAGGI

Giovanni Minoli

autore dalle mille idee

«Al pubblico strumenti di riflessione non ideologie preconfezionate»

INCLUSIONE BarConi contro i pregiudizi La gelateria di Palermo gestita da giovani migranti

STORIE

Celiachia questa sconosciuta

L’odissea di chi lotta contro la disinformazione

Il valore dell’esperienza | OTTOBRE 2023 | Anno XLV - n. 10 - € 2,50 I.P.
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50&Più

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LA STRAGE DI BRANDIZZO

Sicurezza sul lavoro, limiti e prevenzione. Il segretario generale aggiunto di OR.S.A. Ferrovie, Michele Formisano, fa il punto della situazione in Italia

ALLARME DISSESTO IDROGEOLOGICO

Il direttore della Fondazione Ewa (Earth and Water Agenda), Mauro Grassi, ci parla del ruolo dei cambiamenti climatici esponendo le possibili azioni di prevenzione

BarConi, tutto il mondo in un gelato A Palermo, un bar che sfida pregiudizi e diffidenze di Chiara

Gli anni passano anche dietro le sbarre Viaggio nelle carceri italiane di V.M. Urru, G. Zaccardelli, A.G. Concilio G. Valdannini, S. Liburdi, L. Russo Rubriche

Redazione

DIETRO LE QUINTE DI IMMAGINA 2023

Amref Italia partner dell’evento promosso dall’associazione

50&Più testimonial della 29ª edizione dei giochi olimpici

0ttobre 2023 | www.spazio50.org 3 Sommario Anno XLV - n. 10 - ottobre
2023
nonni per un bambino Carlo Sangalli 5 Lotta alla povertà sociale e di valori Spazio alla redazione 6
questo numero Periscopio Dario De Felicis 18 La riforma che divide Israele Leonardo Guzzo 26 Vajont, i documenti del disastro Anna Costalunga 28 10 anni dopo la tragedia di Lampedusa Anna Grazia Concilio 32 Il mercato delle auto elettriche Dario De Felicis 36 Il diritto al lavoro delle persone Down Chiara Ludovisi 42 L’odissea di una vita senza glutine Danila Catalano 59 Tecnologia Valerio Urru 74 Previdenza Maria Silvia Barbieri 76 Fisco Alessandra De Feo 78 L’educazione indiana di Ram Pace Leonardo Guzzo 85
Cinque
In
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il valore
dell’esperienza
34
64 22
I. Romano R. Capuano
Ludovisi 45 30
La forma delle nuvole Gianrico e Giorgia Carofiglio
Il terzo tempo Lidia Ravera 12 Anni possibili Marco Trabucchi 14 Effetto Terra Francesca Santolini 16
10

Personaggi

Giovanni Minoli

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DELL’ 8/03/2023

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www.spazio50.org | ottobre 2023 4
Finito di stampare: 04 ottobre 2023
Cultura e tempo libero I viaggi di 50&Più 82 Libri, Incontro con l’Autore, Arte, Teatro, Musica, Cinema 85 Bacheca 93 Vivere in Armonia 94 Giochi 96 Bazar 97
«Al pubblico strumenti di riflessione non ideologie preconfezionate»
regolare attività fisica Prevenzione per ossa in salute 70 a cura di Fondazione Umberto Veronesi Scienze Cefalea oftalmica: cause e soluzioni Alessandro Mascia 68
Giulia Zaccardelli
20
Tra i consigli, dieta sana, peso forma ottimale e

CINQUE NONNI PER UN BAMBINO

Nel 2022 in Italia le nascite hanno raggiunto i minimi storici, mentre la popolazione anziana sta aumentando. Gli ultracentenari sono triplicati negli ultimi vent’anni

Come ogni anno, il 2 ottobre celebriamo la ‘Festa dei nonni’. Ricordarlo ci dà l’occasione di celebrare una delle funzioni sociali e famigliari che danno più soddisfazione, gioia e senso alla vita: essere nonni. Tuttavia, anche se nel 2023 gli over 65 sono il 24% dei residenti italiani e gli ultracentenari sono triplicati in vent’anni, i nonni in Italia sono sempre di meno. La spiegazione è semplice: il 2008 è stato l’ultimo an-

«I NONNI NON SONO SOLO UN’ANCORA AFFETTIVA MA RAPPRESENTANO ANCHE UN DECISIVO SUPPORTO ECONOMICO»

no in cui in Italia le nascite sono state superiori ai decessi e oggi per ogni bambino si contano cinque persone anziane. Sempre secondo l’Istat, nel primo quadrimestre del 2023 si è registrata una riduzione delle nascite dell’1,1% rispetto allo stesso periodo del 2022 e del 10,7% rispetto al 2019. In generale, il 2022 ha registrato “solo” 393.000 nascite, valore che non era mai sceso al di sotto di 400.000 dall’Unità d’Italia, nel 1861. Insomma, quando ci sarebbe la possibilità di avere nonni più in salute e più a lungo, non nascono abbastanza nipoti. Eppure, la presenza dei nonni in famiglia - come abbiamo già raccontato dalle pagine della rivista esattamente un

anno fa - influisce nel 70% dei casi sulla decisione di fare un figlio. I nonni, infatti, non rappresentano solo un’ancora affettiva (pensiamo al diritto di famiglia che parla del diritto dei nonni “a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni”), ma anche un decisivo supporto economico.

Certo, rispetto ad un tempo è cambiata completamente la composizione delle famiglie e la mobilità delle nuove generazioni, che spesso rendono la presenza di potenziali nonni non disponibile nella quotidianità. Allora, quello che farebbe la differenza sarebbero politiche di welfare e azioni pubbliche nei confronti delle giovani famiglie che sostengano realmente e decisamente le giovani coppie. Perché i nonni sono indubbiamente un prezioso welfare informale, che però deve essere integrativo, non esaustivo dell’impegno pubblico.

Il fatto che si viva più a lungo e meglio è quindi certo una gran bella notizia. Ma se questa non si accompagna ad una natalità sostenuta dalle adeguate condizioni economiche e sociali la buona notizia individuale diventa poco rilevante a livello sociale. Anche perché solo nella cura degli altri la “longevity” (la lunghezza della vita) diventa “fullgevity” (la pienezza della vita) come spiega Alessia Canfarini in un bel libro che consiglio ad ogni nonna e nonno, o aspiranti tali.

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Nazionale 50&Più

LOTTA ALLA POVERTÀ SOCIALE E DI VALORI UNICA MEDICINA CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE

Fermiamoci a riflettere. Lo dobbiamo alle vittime di soprusi, alle donne che hanno perso la vita per mano di un uomo. Lo dobbiamo anche a noi, perché noi siamo attori della società sempre, anche quando non siamo protagonisti e quando ‘quel fatto’ non ci tocca da vicino C’è un esercito silenzioso, giorno e notte, al fianco di chi lotta e lo vogliamo raccontare

Le cronache di fine estate ci hanno sconvolti. La violenza sessuale commessa ai danni di una giovanissima, nella città di Palermo, a opera di sette giovani - uno anche minorenne all’epoca dei fatti - ha scoperchiato un vaso di soprusi, di angherie e di ingiustizia sociale. Subito dopo a squarciare il velo dell’omertà è stata la denuncia dei familiari di due cuginette di dieci e dodici anni, abusate da un branco di giovani più volte in un territorio di frontiera: il Parco Verde di Caivano, quella colata di cemento in provincia di Napoli lasciata ai margini della società (nello stesso parco, nel 2014, una bambina di soli sei anni è stata buttata già dal balcone dopo una violenza sessuale: quell’orco è stato condannato all’ergastolo). La violenza denunciata nel centro storico di Firenze, a giugno di quest’anno; quella in Alto Adige durante una festa di paese. E ancora quella avvenuta a Milano. E le violenze ripetute su due sorelle, minori, da parte del nonno, nell’omertà di un’intera famiglia che sapeva e non parlava. E chissà, mentre scrivo queste righe, quante ancora ne stanno accadendo. Per il Ministero dell’Interno, le denunce per violenza sessuale sono in aumento: dal 2020, anno in cui si è registrato il dato minore (4.497), l’incremento è stato significativo e si è attestato, nel 2022, a 5.991

eventi. Un approfondimento sulle vittime evidenzia, inoltre, che nel 2022, in linea con il passato, continuano a risultare predominanti le violenze di genere femminile (74%). Di queste, il 96% riguardano maggiorenni e l’88% è di nazionalità italiana. Il 2023 ha anche un record drammatico: quello dei femminicidi. Da gennaio a oggi se ne contano una novantina. Ne voglio ricordare una su tutte, Giulia Tramontano, aveva in grembo un bimbo di sette mesi.

La violenza di Caivano e quella di Palermo sono scolpite per sempre nell’animo di chi le ha subite, un graffio feroce che niente e nessuno potrà mai cancellare. Ma quelle violenze sono riprese anche dai cellulari degli aggressori, quei video registrati e usati come strumento di vanto e come arma di ricatto. Anche questo è un segno evidente di quanto le reti sociali debbano essere più strutturate, più incisive nella quotidianità delle giovani generazioni, spesso lasciate alla mercé delle loro fragilità. No, non basta mandare agenti in divisa a presidiare territori. Serve anche altro. Serve allargare lo sguardo per comprendere che il disagio è trasversale e ci riguarda tutti perché, prima di ogni cosa quello che va contrastato è la povertà. La povertà economica, la povertà sociale e valoriale, la povertà

di informazione, di educazione sessuale (in Italia, rispetto alla gran parte dell’Europa, questa formazione non è una materia obbligatoria nelle scuole). Fermiamoci a riflettere. Lo dobbiamo alle vittime delle violenze, alle donne che hanno perso la vita per mano di un uomo. Lo dobbiamo anche a noi, perché noi siamo attori della società, sempre, anche quando non siamo protagonisti e quando ‘quel fatto’ non ci tocca da vicino - e non possiamo rivolgere altrove lo sguardo -. Siamo parte delle dinamiche sociali, delle relazioni, dei rapporti. Lo siamo come donne e come uomini, come mamme e papà, lo siamo come nonni. Ma anche come insegnanti, parroci, vicini di casa, amici. Tutti, dunque, abbiamo delle responsabilità e dei doveri. Noi di 50&Più vogliamo tenere alta l’attenzione su quando sta accadendo. Vogliamo tenere accesi i riflettori sul contrasto alla violenza di genere. E lo faremo già dal prossimo numero di novembre, partendo dai dati ma anche - come siamo soliti fare, ormai - raccontando storie, soprattutto storie della gente comune e quelle di chi si schiera in prima linea per stare al fianco delle vittime, senza le luci della ribalta. Perché, vedete, c’è un esercito silenzioso che ogni giorno e ogni notte è al fianco di chi lotta e noi, nel nostro piccolo, lo vogliamo raccontare.

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“Out My Window” è il nome del progetto ideato da Gail Albert Halaban

La fotografa americana cattura l’intimità delle case in tutto il mondo grazie al supporto della tecnologia. Entra nelle mura domestiche dalla Russia al Canada, lì dove le persone sono davvero loro stesse perché la vita privata è la quotidianità più vera

Fuori dalla mia finestra

Per partecipare al progetto

“Out My Window”, chiedi a un tuo vicino il permesso di scattare un’istantanea da una finestra all’altra. Poi inviala tramite mail all’indirizzo gail@gailalberthalaban.com specificando la città in cui vivi e inserendo nell’oggetto “Out My Window: Partecipa”. Se la foto sarà ritenuta adatta al progetto, sarai ricontatto. gailalberthalaban.com

GAIL ALBERT HALABAN New York, Parigi

La forma delle nuvole Un padre e una figlia osservano il mondo

NON SIAMO TUTTI EROI

L’abuso del termine “eroe” nel linguaggio contemporaneo è un fenomeno preoccupante, parte di un più generale deterioramento del lessico pubblico. Troppo spesso, la parola viene impiegata in modo sbrigativo ed errato per descrivere persone colpite da eventi tragici o criminali (come ad esempio un attentato), anche se non hanno compiuto atti eroici e sono state solo travolte dall’ingiustizia del destino. Questo uso impreciso diluisce il vero significato del termine e sminuisce i veri atti di eroismo. Eroe dovrebbe essere definito chi mette consapevolmente in pericolo la propria vita, la propria incolumità o propri beni essenziali per proteggere gli altri o per perseguire un ideale.

L’essenza stessa dell’eroismo è strettamente connessa al concetto di scelta, una delle categorie fondamentali per l’etica di ogni tempo. Eroe è dunque chi sceglie in base a valori e non in base al proprio interesse personale: soccorritori in situazioni pericolose, professionisti che lavorano in condizioni estreme, attivisti che lottano per cause giuste a rischio della vita. Usare in modo appropriato la parola eroe preserva il fondamentale significato etico del termine, aiuta l’individuazione di modelli virtuosi così indispensabili a ogni società e alla nostra più che ad altre. Una delle nostre storie preferite di eroismo è quella che segue. Alla fine del 1944 le truppe alleate, che il 6 giugno erano sbarcate in Nor-

mandia, avanzavano trionfalmente alla riconquista dell’Europa. I comandi angloamericani erano convinti che la guerra si sarebbe conclusa entro l’anno. Si sbagliavano. Il 16 dicembre l’esercito tedesco scatenò un attacco violentissimo e del tutto inatteso sulla linea del fronte fra Belgio e Lussemburgo. Cominciava così l’ultima grande battaglia della Seconda guerra mondiale: l’offensiva delle Ardenne. Le forze angloamericane, prese di sorpresa, furono costrette ad arretrare per diversi giorni, subirono perdite durissime e lasciarono nelle mani dei tedeschi migliaia di prigionieri. Fra questi c’era il sergente maggiore Roddie Edmonds con oltre mille uomini del suo contingente del quale facevano parte anche duecento ebrei. La Wehrmacht aveva disposizioni molto precise sul trattamento dei prigionieri di guerra ebrei. L’ordine era di isolarli dalle altre truppe e avviarli in campi di prigionia separati; sul fronte orientale i soldati ebrei che prestavano servizio nell’esercito russo erano stati avviati direttamente nei campi di sterminio. Alla fine del 1944 molti campi di concentramento e sterminio non funzionavano più a pieno regime, ma i prigionieri ebrei venivano comunque trasferiti in campi di schiavitù, dove le condizioni di vita erano durissime e le possibilità di sopravvivenza molto basse. Le truppe americane erano state ripetutamente avvertite dal loro comando: i soldati ebrei presi prigionieri sarebbero stati in gravissimo

di Gianrico e Giorgia Carofiglio
«Ci vuole coraggio per essere davvero definito un eroe; virtù cristallina del sergente maggiore
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Roddie Edmonds che davanti a un ufficiale nazista salvò la vita di molti soldati ebrei mettendo in gioco la sua»

pericolo. Questi venivano dunque istruiti sulla necessità - in caso di cattura - di distruggere le loro piastrine di riconoscimento e ogni altro oggetto che in qualsiasi modo potesse identificarli, appunto, come ebrei. Il comandante del centro di smistamento in cui erano stati condotti il sergente maggiore Edmonds e i suoi uomini convocò i prigionieri nel piazzale e ordinò agli ebrei di farsi avanti. Edmonds si rivolse ai suoi uomini e ordinò a tutti di fare un passo avanti.

«Qui siamo tutti ebrei», disse poi rivolgendosi all’ufficiale nazista.

«Non è possibile che siate tutti ebrei», urlò l’altro dopo essersi guardato intorno.

«Siamo tutti ebrei, qua», ripeté Edmonds, fissandolo con sguardo di sfida. Il comandante del campo estrasse allora la sua pistola, mise il col-

po in canna e la puntò alla testa del sergente maggiore. Gli disse che era la sua ultima possibilità di ordinare agli ebrei di farsi avanti, altrimenti gli avrebbe sparato. Edmonds rispose recitando il suo nome, il suo grado e il suo numero di matricola.

«Adesso la uccido, sergente maggiore», disse il nazista.

Edmonds lo fissò ancora per qualche istante, prima di rispondere.

«Se mi uccide, capitano, farà meglio a uccidere anche tutti gli altri miei compagni. Sappiamo chi è lei, sappiamo come si chiama. Farà meglio a ucciderci tutti perché, se non lo fa, verrà arrestato e processato per omicidio non appena avremo vinto questa guerra. Tutti quelli che lei non uccide saranno testimoni al suo processo».

Passarono alcuni secondi interminabili, con i due uomini che si fron-

teggiavano, il nazista con la pistola puntata alla testa dell’americano. Nel campo regnava un silenzio irreale. Alla fine, l’ufficiale tedesco abbassò l’arma. Poi, rabbioso e impotente, ordinò ai prigionieri di rientrare nelle loro baracche.

I duecento soldati ebrei del reggimento erano salvi. *****

L’onorificenza di “Giusto tra le nazioni” viene conferita dallo Yad Vashem - l’Ente nazionale per la memoria della Shoah dello Stato di Israele - ai non ebrei che durante il periodo dell’Olocausto rischiarono la vita per salvare gli ebrei. L’unico soldato americano a ottenere questo riconoscimento è stato, nel 2015, il sergente maggiore Roddie Edmonds.

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Il terzo tempo

FINCHÉ SI RESPIRA SI PUÒ CAMBIARE

Inumeri non li ho, ma so dove prenderli. La notizia viene da fonte attendibile. La spartisco con voi perché mi pesa moltissimo e il modo migliore che conosco per tenere a bada il peso dell’angoscia è scrivere, condividere, ragionare insieme. La notizia è questa: una percentuale alta e crescente di vittime di violenza da parte di mariti ed ex mariti è composta da donne anziane. Anche molto anziane.

Lì per lì mi sconvolge lo stupore: possibile che la sfrenatezza dei sentimenti di rivalsa, di gelosia, di possesso, coinvolga quelle età della vita che per solito - o per comodo - vengono accompagnate e descritte da aggettivi come sagge, equilibrate, risolte, pacificate? Poi sopraggiunge l’orrore: la donna anziana è uno zero sociale, cioè, tale è considerata. Non è più sessualmente attraente, non è più feconda, non è più - se pure è mai stata - potente sul luogo di lavoro. Fisicamente è più fragile. Cammina più adagio. Alla stazione si fa sollevare la valigia per salire sul treno. La folla la intimidisce. Il vuoto, il silenzio, la notturna desertificazione della città o della campagna le fa paura. La casa,

come un guscio di lumaca, è l’unico luogo dove si sente protetta. Eppure è proprio in casa che avviene la maggior parte delle aggressioni alle donne anziane. Ad opera di ex mariti, ma anche, in qualche caso, di nipoti in cerca di soldi.

È in casa che avvengono le tentate truffe, che speculano sul bisogno di rompere la solitudine o di sperare in un guadagno, o di sperare, in generale, in qualcosa, qualsiasi cosa.

Da vecchi, e scusate se uso quest’aggettivo inviso ai più, la fame di futuro, il desiderio che la vita continui ed offra ancora qualche sorpresa è molto forte. È questo che rende la vecchiaia più fragile? Forse.

Ma che cosa succede nella mente di un uomo, nel momento in cui alza le mani su una donna che potrebbe essere sua madre o che è stata insieme a lui, nello stesso letto, a crescere figli e nipotini per tutta un vita?

Le carceri, in genere, sono occupate più dagli uomini che dalle donne.

Le carceri, in linea di massima, sono occupate più da giovani che da vecchi. Chi è vecchio essendo in carcere, per lo più, sta scontando una pena lunga, non ha delitti recenti di cui rendere conto.

Dovrebbe sopravvenire la pace, ad un certo punto della vita, e quel minimo di empatia che ti spinge a non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.

Come puoi far vincere la passione buia dell’aggressività se hai vissuto a lungo, hai visto i torti e le ragioni, hai capito che nessuno è completamente cattivo e nessuno è assolutamente buono. Che siamo tutti deboli e confusi, incerti, impauriti, che abbiamo tutti paura di quello che ci riserva il futuro. Quando, un paio d’anni fa, si è parlato di chiedere a Parigi l’estradizione per Giorgio Pietrostefani e altri rifugiati politici (scappati in Francia e lì accolti in applicazione della “dottrina Mitterand”,) perché scontassero la loro pena in Italia, molti, e io ero fra quelli, hanno protestato che si trattava di mettere in prigione delle persone molto avanti

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con gli anni, a prescindere dal fatto che fossero colpevoli o innocenti o non troppo colpevoli.

Si trattava, in ogni caso, di giudicare una generazione che aveva avuto vent’anni molto a lungo (parliamo di Lotta Continua e dintorni, partitini della sinistra extraparlamentare, attivi negli anni Settanta del secolo scorso) e che ora si avviava alla fine della vita, nel caso di Pietrostefani anche in cattive condizioni di salute.

Se la prigione deve essere, come tutti cantano in coro, un luogo non tanto di detenzione quanto di rieducazione, ha senso porsi il compito di rieducare un ottantenne?

Personalmente, come ho sostenuto con forza nel mio ultimo libro Age Pride. Per sconfiggere i pregiudizi sull’età, io credo che la vita debba durare tutta la vita e quindi che sia giusto

rispondere delle proprie azioni fino “al completo arresto dei motori”. Credo che si possa continuare a studiare, a capire, a insegnare.

Finché si respira si può cambiare. Tuttavia, una misura come il carcere inutilmente punitiva (o inutile in quanto punitiva) va risparmiata a chi ha più di settant’anni.

Così la pensa la parte garantista e progressista di me. Poi c’è l’altra, quella che ha ricevuto questa lettera e l’ha patita. Tanto da formulare il seguente pensiero: ma sbattiamolo in galera questo vecchio animale!

Chiamiamola Iris, la sconosciuta che mi ha scritto presso la casa editrice per cui pubblicavo la collana di romanzi rosa Terzo tempo (ne abbiamo parlato anche in queste pagine), storie d’amore con protagonisti vecchi o quasi vecchi.

PARLIAMONE

Per scrivere a Lidia Ravera posta - C/O Redazione 50&Più via del Melangolo, 26 - (RM) fax - 066872597 email - redazione@50epiu.it

Ve ne sottopongo soltanto alcune righe, per condividere e spartire il peso di quella malinconia di cui parlavo all’inizio di questo articolo.

«Cara signora Ravera, ho letto con grande piacere tre dei romanzi che avete pubblicato, sono divertenti, ma non sono veri. Io ho 77 anni, due anni fa, dopo una vita di umiliazioni e calci e pugni e occhi neri di cui mi vergognavo con le colleghe, ho trovato il coraggio di lasciare mio marito. L’ho trovato anche perché ho trovato un’anima gemella, no, non un uomo affascinante come nei suoi romanzi rosa, una donna, di poco più giovane di me, ma forte e allegra e con una vita dietro di lei senza violenza né umiliazioni. Quando mio marito (non mi ha concesso il divorzio e io non ho insistito) si è accorto che ero andata a vivere con questa amica si è fatto dare l’indirizzo da una delle mie figlie ed è piombato di notte in casa. Era ubriaco come l’ho visto milioni di volte. Ma non era a mani nude. Aveva un coltello e con quel coltello ha rovinato per sempre il volto della mia amica. Non abitiamo più insieme, le ho chiesto mille volte perdono ma non è stato possibile tornare a vivere insieme... allegramente». Faceva l’insegnante questa donna che non si chiama Iris. Anche la sua amica era un’insegnante in pensione da pochi mesi.

Il femminicida, settantasettenne, esercitava la sua ottusa violenza da cinquant’anni. Iris l’ha denunciato. Per la prima volta dopo 49 anni di matrimonio infelice.

Chissà se si sono chiuse dietro di lui le porte della prigione…

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Anni possibili

A 80 ANNI È POSSIBILE RICOMINCIARE?

L’interrogativo del titolo richiede una risposta, che sia allo stesso tempo realistica e fondata sul piano operativo. Tra i molti esempi di persone che hanno ricominciato a 80 anni sono stato di recente particolarmente colpito della figura di Enzo Bianchi, il monaco che, cacciato da Bose - la sua prima creatura - senza motivazioni credibili, in pochi anni ha ricostruito un’altra realtà, un luogo di accoglienza, di pensiero, di preghiera. La nuova creatura è chiamata “La casa della madia”, un nome che sa di pane. Fratel Enzo dice: «Non volevo diventare un eremita, così abbiamo deciso di ripartire. Ho scelto di seguire le orme di sant’Antonio e ricominciare con un nuovo progetto, proprio come fece lui, a 80 anni». Importante l’affermazione che segue: «Non è una ripetizione di Bose: chi genera un figlio non può rigenerarlo né farlo nascere di nuovo, ogni figlio è unico”. Bianchi, forse senza volerlo, dimostra che il ricominciare la vita a 80 anni non può avvenire sul binario di quella vecchia; deve essere nuova!

Ho preso ad esempio la scelta di Enzo Bianchi per affrontare il tema degli “anni possibili”: anche molto tardi, dopo la chiusura di un’esperienza, di una lunga parte della vita, è sempre possibile ricominciare. Mi riferisco a pensionamenti e a nuove esperienze lavorative, a matrimoni finiti, a fallimenti economici e umani, alle sconfitte dalla vita, ma anche alle luci che si accendono. È possibile ricominciare!

Mi permetto di indicare alcune modalità per rendere vivibile la nuova avventura.

Un primo aspetto riguarda l’impegno a non riprodurre, con qualche piccola modifica, la vita di prima; le copie sono peggio dell’originale e quindi, se l’originale è finito per qualsiasi ragione, non è possibile che la copia funzioni. È sbagliato trovare una nuova compagna o un nuovo compagno che assomiglino a quelli di prima. Dove sarebbe la novità, l’originalità, la sorpresa? Però la nuova vita non deve essere misurata con un bilancino da farmacista; deve essere avviata con coraggio. Enzo Bian -

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chi confida nella Provvidenza; i cittadini che non hanno questa “garanzia” devono affidarsi con entusiasmo allo spirito di avventura, alla curiosità. Un secondo aspetto riguarda il dovere di cercare nuove soluzioni per la vita di tutti i giorni; se prima amavo la città, negli “anni possibili” che seguono gli 80 devo cercare la campagna. Da vecchi è più facile innamorarsi della natura, delle sue sorprese e delle sue bellezze. La campagna è occasione di mo -

A 80 anni è possibile (e spesso utile) cambiare anche i gusti, amare il vino quando si era quasi astemi, non fumare più perché finalmente si capisce quanto fosse dannoso. Bisogna continuare a curarsi della propria salute, però abbandonando quello stile pauroso, guardingo per cui ogni scelta era preceduta da una rigorosa (nevrotica!) analisi del rapporto rischio-beneficio rispetto alla salute. Chi è arrivato a 80 può essere più libero, perché si è già conqui-

vimento, di contatto con luci, odori, rumori completamente diversi; se non li amo è meglio continuare a vivere in città, dove molte cose sono più facili, anche se più banali. La campagna è il contenitore ideale per chi ha voglia di cambiare; li si vivono le stagioni, che sono l’esempio più concreto di un mondo che cambia, nel quale possiamo inserirci. Un ulteriore aspetto delicato è la ricerca di un altro, di un’altra, singoli o gruppi, con cui condividere la nuova vita. La solitudine non permette di ripartire; è una compagna che stimola ricordi dolorosi, il confronto spesso irrealistico con la vita precedente, che immobilizza quando si vorrebbero aprire nuove strade. Chi è solo non può cambiare a 80 anni, però può cercare di costruire un luogo dove siano più facili le relazioni, gli scambi d’amore. Però senza percorrere avventure senza significato.

stato un pezzo di diritto alla vita e quindi non deve più avere ansie per il resto degli anni. Ogni giorno è un dono, vissuto con lievità e dolcezza, gustando l’amore di chi ci vuol bene, senza gelosie, senza rimpianti. Così è possibile vivere gli anni possibili; un’impresa alla portata di tutti quelli che non contano i minuti, che non si lamentano continuamente per un dolore, che hanno il coraggio di provare la gioia di nuovi “anni possibili”.

PARLIAMONE

Per scrivere a Marco Trabucchi posta - C/O Redazione 50&Più via del Melangolo, 26 - (RM) fax - 066872597 email - redazione@50epiu.it

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«C’è sempre tempo per vivere la propria vita appieno e per trovare nuovi stimoli anche molto tardi. Che si esca da un lavoro da un matrimonio o da una sconfitta umana è sempre possibile ricominciare»

I GIOVANI SCELGONO LE DIMISSIONI CLIMATICHE

Un boom: un milione e 600mila. Questo è il numero impressionante, certificato dal Ministero del Lavoro, delle dimissioni volontarie date dagli italiani lo scorso anno. Tra le cause di cessazioni dei rapporti di lavoro, le dimissioni sono la quota più alta dopo la scadenza dei contratti a termine.

Le possibili motivazioni? La difficoltà nel conciliare vita e lavoro e la ricerca di professioni che corrispondano di più alle proprie aspettative. Un fenomeno talmente diffuso da essere battezzato con l’espressione di “Great resignation”, le grandi dimissioni: una tendenza nata negli Stati Uniti a partire dalla pandemia, che ha ridefinito il nostro modo di vivere in

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Effetto Terra
di Francesca Santolini

ogni parte del globo. Ma se il 2022 è stato l’anno delle “grandi dimissioni”, il 2023 è stato definito l’anno delle “dimissioni di coscienza”, in inglese “consious quitting”. Sempre più persone desiderano lavorare in aziende che abbiano un impatto positivo sulla società e quando non è così, sono disposte a lasciare il proprio posto. Ma non finisce qui. Nell’ultimo anno una tendenza in crescita, soprattutto tra la cosiddetta generazione Z, è quella delle dimissioni climatiche, ovvero lasciare il proprio lavoro, se l’azienda in cui si è impiegati danneggia l’ambiente.

Nel nostro Paese si parla da relativamente poco tempo del fenomeno del “climate quitting”, ma guardando ai numeri sono sempre di più le persone

- soprattutto giovani - che decidono di lasciare un’occupazione per ragioni etiche. Se ritengono cioè che quell’occupazione abbia un impatto negativo sulla salute del Pianeta.

C’è chi collega il fenomeno a quello della tendenza più generale della “great resignation”, chi alla ricerca di un equilibrio più sano tra vita e lavoro.

In questo senso i “climate quitters” rappresenterebbero un’evoluzione o

re diventa una forma importante di attivismo.

Ma non sono solo le persone a cercare posti di lavoro più verdi, anche nelle aziende aumenta la richiesta di figure professionali con competenze ambientali: secondo Confindustria, in Italia nel 2026, le offerte di lavoro green arriveranno a circa quattro milioni. Lo stesso avviene all’estero: i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro mostrano che nel mondo

una derivazione del fenomeno delle grandi dimissioni: la scelta lavorativa della generazione Z va in un’unica direzione, quella delle aziende green impegnate dal punto di visto etico e ambientale.

A confermarlo è un recente sondaggio della società KPMG, condotto nel Regno Unito nel 2022 su quasi seimila adulti tra impiegati, studenti, neodiplomati. Tale sondaggio ha evidenziato che l’importanza dei fattori ambientali e sociali, data (o negata) all’interno di un’azienda, sta influenzando le decisioni lavorative di quasi la metà delle persone in età da lavoro del Regno Unito.

In un certo senso il “climate quitting” può essere definito una forma di attivismo climatico, ma oggi definirsi attivisti non sarà diventato una moda? Soprattutto sui social si parla in effetti di attivismo performativo, cioè quella forma di attivismo che rende le battaglie per i diritti umani e ambientali un prodotto commerciale. L’attivismo “puro” invece è fare delle scelte che nella vita quotidiana rispettino i diritti umani e del Pianeta, perché ogni azione che facciamo è una azione politica. E in questo senso, anche decidere quale professione si vuol fa-

12,7 milioni di persone sono impiegate nel settore delle energie rinnovabili, ed entro il 2030 saranno creati più di 38 milioni di nuovi posti.

E già oggi, a livello mondiale, le persone impiegate nel settore delle rinnovabili, sono di più di quelle occupate nelle aziende petrolifere.

Il paradosso però è, come dimostra un’indagine di LinkedIn del 2022, che al momento gli annunci di lavori verdi sono cresciuti a un ritmo annuo dell’8% dal 2015, mentre le figure professionali verdi sono aumentate solo del 6% ogni anno nello stesso periodo. In un’epoca complicata come la nostra, i “climate quitters” sono la prova vivente che etica e ottimismo non sono opzioni riservate ai sognatori e che un futuro diverso è alla portata delle nostre azioni.

Per scrivere a Francesca Santolini

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PARLIAMONE
«Il 2023 è stato definito l’anno delle “dimissioni di coscienza”, in inglese “consious quitting” Sempre più persone desiderano lavorare in aziende che abbiano un impatto positivo sulla società»

Periscopio

LA CASSAFORTE GLACIALE E I TESORI DELL’UMANITÀ

Si chiama Svalbard Global Seed Vault è l’edificio inaugurato nel febbraio 2008

“incastonato” nel cuore del Platåberget Ha la funzione di conservare i semi delle piante la base del nostro sistema alimentare e della biodiversità del pianeta

Nascosta in una grande solitudine ghiacciata a circa 1.300 chilometri dal Polo Nord, tra le nebbie gelide dell’isola Spitsbergen, in Norvegia, c’è una struttura unica al mondo: la Svalbard Global Seed Vault. Questo imponente deposito semi-sotterraneo è stato progettato per preservare e proteggere i beni più preziosi dell’umanità, i semi delle piante, che costituiscono la base del nostro sistema alimentare e della biodiversità del pianeta. In un mondo sempre più soggetto a cambiamenti climatici e minacce ambientali, lo Svalbard Global Seed Vault svolge un ruolo cruciale nell’assicurare la sicurezza alimentare futura e nella conservazione delle risorse genetiche delle piante, nell’eventualità in cui succeda qualcosa di particolarmente devastante. L’edificio, inaugurato nel febbraio 2008, per motivi di sicurezza è stato “incastonato” nel cuore del Platåberget, uno sperone di roccia situato a 120 metri sopra il livello del mare, in modo da proteggerla dalle conseguenze dei cambiamenti climatici, come l’aumento del livello del mare. Viene quindi considerata come una vera cassaforte nel ghiaccio, scavata nel permafrost che garantisce una temperatura costante di circa -18°C, ideale per la conservazione dei semi a lungo termine. Il sistema

di refrigerazione è stato studiato per essere totalmente autosufficiente dato che sfrutta la bassa temperatura esterna per mantenere costante quella interna. L’architettura della struttura è stata progettata per conservare fino a 4,5 milioni di varietà di semi e, attualmente, ci sono circa 1,2 milioni di campioni provenienti da 98 banche del germoplasma, particolari banche genetiche. Il resto dei semi provengono da istituti di ricerca e organizzazioni agricole, che li inviano allo Svalbard Global Seed Vault per garantire la loro preservazione.

Siamo finalmente giunti alla consapevolezza che la diversità genetica dei vegetali è essenziale per affrontare le sfide future (e quelle presenti), come il cambiamento climatico, le malattie delle piante e la scarsità di risorse alimentari. Il Vault consente di conservare le varietà tradizionali delle piante e quelle selvatiche, che potrebbero contenere caratteristiche genetiche uniche per adattarsi alle nuove condizioni ambientali. E nell’eventualità in cui succeda qualcosa di particolarmente devastante, grazie a questa struttura saremo pronti: i semi potranno essere prelevati e restituiti alle banche genetiche di origine o utilizzati per avviare nuovi programmi di coltivazione.

a cura di Dario De Felicis

COME “PARLANO” LE PIANTE

Gli scienziati della South China Agricultural University del Guangzhou hanno scoperto che le piante possono comunicare tra loro attraverso una rete di funghi sotterranei chiamati “micorrize”. Questa rete di segnali chimici permette lo scambio di nutrienti e informazioni tra vegetali, soprattutto quando vengono attaccati da funghi nocivi.

www.greenreport.it

IL PIACERE DEL CIOCCOLATO

Il cioccolato fondente contiene delle sostanze chimiche chiamate “feniletilamine” che stimolano il rilascio di endorfine nel cervello, creando una sensazione di euforia simile a quella che si prova quando si è innamorati. Inoltre la cioccolata contiene anche serotonina, anandamide e le metilxantine, sostanze che favoriscono il benessere psicofisico.

www.my-personaltrainer.it

PER MIMETIZZARSI MEGLIO

La Brookesia nana, camaleonte del Madagascar, è considerato il rettile più piccolo del mondo. È una specie appena scoperta che misura solo 2,9 centimetri di lunghezza. Il maschio è ancora più piccolo, con una lunghezza del corpo di 13,5 millimetri, senza co ntare la coda. Purtroppo, è anche a rischio di estinzione.

www.ehabitat.it

A PROPOSITO DI...

NUMERI DA RECORD

CALCOLI DI UN’ALTRA EPOCA

L’Antikythera Mechanism è un antico dispositivo meccanico greco usato per calcolare e mostrare informazioni sui fenomeni astronomici. Fabbricato con fogli di bronzo e numerosi ingranaggi, è considerato il più antico “computer” conosciuto. I suoi resti sono esposti al Museo Archeologico Nazionale di Atene.

www.britannica.com

ARTE IN MEZZO AL MARE

Ziad Fazah, linguista e insegnante libanese, è un incredibile poliglotta: è attualmente l’unica persona capace di parlare fluentemente 58 lingue diverse.

In Giappone, l’isola di Naoshima è diventata una destinazione turistica famosa per le sue installazioni d’arte contemporanea. Trasformata in una galleria d’arte all’aperto grazie al progetto B”enesse Art Site”, ha coinvolto artisti e architetti di fama internazionale come Yayoi Kusama, Niki de Saint Phalle e Tadao Ando.

www.benesse-artsite.jp

UN ENORME DIAMANTE COSMICO

Nel 2010, all’età di 34 anni, l’inglese Vin Cox ha completato il più veloce giro del mondo in bicicletta, impiegando solo 163 giorni, 6 ore e 58 minuti.

Gli astronomi dell’università del Wisconsin-Milwaukee hanno scoperto una stella morta chiamata PSR J22220137 che contiene un diamante gigante, con una massa di circa 10 miliardi di trilioni di carati. Corpi celesti come questi non sono inusuali: è solo molto difficile individuarli.

www.repubblica.it

APP PIÙ POPOLARI - NUMERO DI UTENTI ATTIVI MENSILI

Le applicazioni per smartphone hanno rivoluzionato il modo in cui viviamo e interagiamo con il mondo che ci circonda. Immediatamente accessibili, hanno permeato ogni aspetto della nostra vita, dall’intrattenimento alla comunicazione, dalla salute al lavoro. Alcune di queste sono diventate così comuni che risulta strano non averle installate sul telefono.

FACEBOOK 2,93 miliardi

WHATSAPP 2 miliardi

INSTAGRAM 2 miliardi

MESSENGER 1,3 miliardi

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giro per
mondo
In
il
POLIGLOTTA ESTREMO
UN GIRO IN BICICLETTA

GIOVANNI MINOLI

«AL PUBBLICO STRUMENTI DI RIFLESSIONE NON IDEOLOGIE PRECONFEZIONATE»

Giornalista, autore televiso e dirigente Ha precorso i tempi con format originali Attualmente in Rai con “Il Mix delle 23”

Mixer, La Grande Storia, La Storia siamo noi - che ha vinto ben tre premi - Citizen Report, Elisir, Quelli della notte, Un Posto al Sole. Questi sono solo alcuni dei programmi prodotti e, in alcuni casi, condotti da Giovanni Minoli, giornalista e dirigente televisivo. Ideatore di trasmissioni che hanno fatto la storia della televisione italiana, ha proposto format originali che hanno cambiato l’approccio della Tv e degli spettatori a tematiche come l’attualità, la politica, la cultura. Anche autore di libri, nel 2018 ha preso parte ad un gruppo di lavoro presso il Consiglio Superiore della Magistratura per definire le linee guida della comunicazione degli uffici giudiziari. Una personalità eclettica dalle mille idee. Attualmente è in onda su Rai Radio 1 con Il Mix delle 23: ogni puntata è dedicata ad un avvenimento, a un personaggio del passato di cui ripercorre la storia con uno sguardo attento all’attualità.

Parliamo dei suoi programmi Tv.

Qual è il suo preferito?

Non ne ho di preferiti, li amo tutti come se fossero miei figli.

Da Mixer a La Grande Storia .

Qual è la chiave per comunicare in modo efficace le tematiche importanti che ha portato in Tv?

Raccontare le cose in modo preciso e semplice. Per farlo bisogna avere le

Personaggi
di Giulia Zaccardelli

idee chiare e aver studiato a fondo l’argomento. Così si fa giornalismo degli interrogativi e non delle risposte, e si offrono al pubblico strumenti di riflessione e non ideologie preconfezionate che orientano il racconto. Ma io ho fatto il conduttore per hobby, sono stato un dirigente televisivo. Ho prodotto tanti programmi: Quelli della notte, Report, anche Un posto al sole, che ha creato 7.000 posti di lavoro e oggi è la più grande industria di Napoli.

A proposito di Un posto al soleche ad ottobre compie 27 anni -, come è nata l’idea?

In modo semplicissimo. Erano gli anni Novanta e immaginavo che le ‘killer application’ della Rai, tipo i film e le partite di calcio, sarebbero passate alla Pay Tv e stavo studiando forme di fiction seriale che potevano sostituirle. Un giorno mi chiama Elvira Sellerio, che all’epoca era diventata consigliere d’amministrazione Rai, e mi dice: «Guarda Giovanni, tu che hai sempre tante idee, qui vogliono vendere il centro di produzione di Napoli e io sono l’unico consigliere del Sud, devo salvarlo. Portami un’idea». Io ce l’avevo e insieme abbiamo fatto nascere Un Posto al Sole. Oggi non lo seguo, ma speravo che avesse questo successo. Ha fatto ricchi tutti i produttori esecutivi che si sono succeduti nella gestione del prodotto. Si sente parte dell’innovazione culturale e comunicativa italiana?

Mi sento uno che ha fatto il suo lavoro su tutti i fronti con molta passione. Attualmente è in onda su Rai Radio 1 con Il Mix delle 23. È ispirato a qualche suo programma passato?

È ispirato a Mixer e a La storia siamo noi. La storia ha successo, funziona sempre di più. Anche l’attualità. Mi sembra di seguire una domanda del pubblico che è sempre più forte. Ha scritto un libro con Piero Cor-

sini, La storia sono loro. Ma quindi chi è la storia? Noi o loro?

La storia sono loro che siamo noi. Quindi siamo protagonisti della storia ma anche spettatori?

Assolutamente sì.

Si è ispirato a qualche modello nella sua carriera professionale? Nessun modello, ma ho avuto tanti punti di riferimento come Dan Rather in America, Sergio Zavoli e Brando Giordani.

Com’è stato confrontarsi con tante personalità?

Interessante e ogni volta stimolante. Ho incontrato persone di ogni tipo, dal Dalai Lama ad Arafat, da Bob Kennedy ad Armand Hammer - l’uomo che portava avanti i rapporti tra Lenin e l’America -, anche grandi manager come Giovanni Agnelli, Marco Tronchetti Provera, Cesare Romiti, Carlo De Benedetti. E ancora, Marguerite Yourcenar, Gabriel García Márquez. Ognuno ha arricchito profondamente la mia umanità e la mia consapevolezza. Che non sappiamo mai niente e dobbiamo sempre imparare. Ho cercato di far diventare questi insegnamenti un patrimonio comune.

Qual è la critica più costruttiva che ha ricevuto?

Ne ho ricevute talmente tante che non me le ricordo. La verità è che nella vita non si perde mai, o si vince o si impara.

Oggi guarda la Tv?

Sì, guardo soprattutto i canali tema-

tici perché voglio vedere le novità. Ci sono format internazionali che importerebbe?

No perché li ritengo tutti format d’intrattenimento preserale uguali, un po’ banali. Credo che il più interessante sia 60 Minutes.

Lei si è laureato in Giurisprudenza. Se non avesse fatto il giornalista, avrebbe continuato nel campo del diritto o avrebbe fatto altro?

Avrei fatto il calciatore, perché ne ho avuto l’opportunità, oppure lo scrittore. Non ho proseguito nel campo del diritto perché mio padre è stato uno dei più grandi giuristi del Novecento e a 50 anni non volevo essere il degno figlio del professor Minoli. Volevo diventare me stesso. Avevo una grande ambizione per la televisione, la sentivo un mezzo generazionale. Non venire né dal campo del giornalismo né dalla Tv mi è servito per avere una maggiore creatività. Il pensiero laterale ha potuto fecondare meglio quello principale perché non era bloccato da regole già stabilite. Basti guardare i faccia a faccia di Mixer: all’epoca erano una follia televisiva. Ora sono un marchio di fabbrica.

Può imparare qualcosa dai giovani d’oggi?

Non so chi siano i giovani d’oggi, ognuno è diverso. A livello generazionale sono sicuramente più tecnologici e immediati nella comunicazione.

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STRAGE DI BRANDIZZO

Sicurezza sul lavoro, limiti e prevenzione

Michele Formisano, segretario generale aggiunto di OR.S.A. Ferrovie, spiega lo stato dell’arte in Italia

seppe Sorvillo, Giuseppe Saverio Lombardo, Giuseppe Aversa e Kevin Laganà ha acceso nuovamente i riflettori sui temi di sicurezza ferroviaria e sicurezza sul lavoro nell’opinione pubblica e nel dibattito politico nazionale. Affrontiamo il tema con Michele Formisano, sindacalista nel mondo dei trasporti, segretario generale aggiunto di OR.S.A. Ferrovie, da anni impegnato in battaglie di sicurezza nel sistema di trasporto ferroviario. Formisano, esiste un problema di sicurezza nel trasporto ferroviario?

Ètrascorso più di un mese dal tragico incidente ferroviario di Brandizzo dove hanno perso la vita cinque

operai della SI.GI.FER. impegnati in attività di manutenzione infrastruttura sulla linea gestita da RFI. La morte di Michael Zanera, Giu -

È una domanda molto delicata, il sistema di trasporto ferroviario resta un sistema di trasporto molto sicuro soprattutto se paragonato ad altri sistemi di trasporto, basti pensare ai 3.159 decessi da incidenti stradali nel 2022, ma esistono parimenti innumerevoli fattori di rischio che vanno ridotti o, dove possibile, eliminati.

Anche eliminati?

Nei sistemi di trasporto non esiste il rischio zero ma ci sono punti critici che possono essere eliminati, penso ad esempio alla soppressione dei passaggi a livello. Da anni sono stati stanziati fondi per eliminare i passaggi a livello ma l’attività di soppressione procede a rilento e siamo costretti a rilevare un numero crescente di incidenti nei punti di intersezione tra strada e ferrovia.

Quindi sempre un problema legato ad infrastruttura ferroviaria e binari?

Guardi, partendo da Brandizzo ed andando a ritroso, gli incidenti ferroviari degli ultimi anni, anche i più drammatici, hanno coinvolto l’infrastruttura, la sua manutenzione, i binari o i sistemi di circolazione. Gli incidenti di Pioltello, Calu -

www.spazio50.org | ottobre 2023 22 segue a pag 24
Intervista
di Rosalia Capuano
«Dobbiamo tornare a prevedere rischi programmare, pianificare un Paese migliore»
C E I Conferen z a E p iscopale It a l i a n a CHIESA CATTOLICA UNAFIRMA CH E FA BENE

so, Livraga, Bressanone ma anche quelli non legati alla gestione di RFI, come l’incidente del 12 luglio 2016 di Corato, sono strettamente connessi a responsabilità, vetustà di norme di circolazione, mancanza d’investimenti tecnologici ed attività di manutenzione dell’infrastruttura. Ciò non vuol dire che le imprese ferroviarie non debbano tenere altissima l’attenzione sui temi connessi alla sicurezza ma le attuali note dolenti in chiave sicurezza sono concentrate altrove.

Dove?

Gli appalti di manutenzione ferroviaria, ad esempio. Sono un rompicapo spesso oggetto di cronaca che devono trovare una strada di maggior legalità, trasparenza ed applicazione di regole contrattuali più stringenti. Le faccio un esempio. Dopo lunghissime battaglie sindacali gli operatori degli appalti a bordo treno vedono applicato il CCNL Attività Ferroviarie, sia ristorazione che pulizia. Negli appalti di manutenzione ferroviaria la frammentazione contrattuale è tale che si possono trovare, per econo -

micità e flessibilità, i più svariati tipi di contratti di lavoro. Chi maneggia, ripara, manutiene binari ed infrastruttura non è vincolato alle norme del CCNL AF con tutti i limiti che questo comporta.

Praticamente quello che è successo a Brandizzo?

Quello che è successo a Brandizzo è oggetto della meticolosa attività della magistratura e le responsabilità verranno chiarite in sede giudiziaria. Quello che resta un problema è che molti dei colleghi degli appalti manutentivi vengono messi sui binari senza rispettare i vincoli stringenti del CCNL AF (Attività Ferroviarie), spesso con formazione certificata solo per alcuni di loro e pagati al limite dello sfruttamento.

Immagina qualche soluzione, suggerisce qualche intervento?

Occorre imporre norme che valgano per l’intero sistema ferroviario

sia in termini di contratto di lavoro, norme di circolazione ed assegnazione degli appalti magari vietando il subappalto per certe delicatissime lavorazioni. Bisogna restituire centralità ai temi lavoro e sicurezza oltre gli slogan ed all’emotività delle tragedie. Si deve dibattere su come tutelare il lavoro e garantire la sicurezza quando le cose funzionano per farle funzionare meglio e smettere di attendere l’ennesimo incidente per costernarsi ed indignarsi e ritornare a parlarne a spot. Ci vogliono programmazione ed investimenti quindi?

Questo Paese si muove troppo spesso sull’onda dell’emotività pur essendo un Paese di genialità riconosciute. Dobbiamo tornare a prevedere rischi, programmare, pianificare un Paese migliore che investa sulle persone senza rincorrere soluzioni dopo esser stati sopraffatti da eventi ampiamente prevedibili.

www.spazio50.org | ottobre 2023 24 Intervista
segue da pag 22
Michele Formisano segretario generale aggiunto di OR.S.A. Ferrovie

LA RIFORMA CHE DIVIDE ISRAELE

Il parlamento israeliano ha approvato a luglio la prima parte di una controversa riforma della giustizia. Mentre il Paese è scosso dalle proteste

Netanyahu promette un accordo con l’opposizione entro novembre

di Leonardo Guzzo

Lo scorso 24 luglio la Knesset, il parlamento monocamerale dello Stato d’Israele, ha approvato con 64 voti su 120 la prima parte della contestata riforma della giustizia messa a punto dal ministro Yariv Levin. Il governo conservatore presieduto da Benjamin Netanyahu ha fatto quadrato intorno al provvedimento, presentandolo come uno strumento indispensabile per consentire all’esecutivo di esercitare appieno il suo mandato e limitare le ingerenze indebite della Corte Suprema nella vita politica. Di tutt’altro avviso è l’opposizione, che lamenta un affronto allo stato di diritto e ha lasciato l’aula del parlamento in segno di protesta al momento del voto. Sulla stessa linea pare un’ampia fetta del Paese, che ha inscenato negli ultimi mesi contestazioni estese ed eccezionali. La norma approvata a luglio riguarda il cosiddetto “principio di ragionevolezza”, che ha finora consentito alla Corte Suprema di sovvertire provvedimenti del governo ritenuti “irragionevoli”, cioè contrari a criteri di buonsenso e opportunità. Il caso di scuola è l’allontanamento dall’esecutivo di Arieh Deri, imposto dalla Corte e subito da Netanyahu, a causa delle plurime condanne per reati fiscali. La posta in gioco è ovviamente più ampia e insieme più sottile: alcuni osservatori rimarcano che, mancando in Israele una

costituzione scritta (esistono solo “leggi fondamentali” che disciplinano i diritti dei cittadini e i loro rapporti con lo Stato), la funzione di interpretazione e controllo della Corte Suprema rappresenta un indispensabile contrappeso al potere politico.

La riforma giudiziaria prevede, tra l’altro, una modifica della commissione che seleziona i giudici della Corte, nel senso di aumentare i membri di nomina politica fino a farne la maggioranza assoluta del collegio. Per calmare gli animi Netanyahu ha promesso che avvierà colloqui con le opposizioni in modo da «raggiungere un accordo generale» entro la fine di novembre. Nel frattempo Israele vive una delle più gravi crisi interne della sua storia. Proteste, scontri con la polizia e arresti, blocchi delle infrastrutture scuotono un Paese che si scopre diviso. Per la prima volta anche i militari hanno preso posizione: un centinaio di alti funzionari nel settore della sicurezza ha scritto a Netanyahu per chiedergli di ritirare la riforma, mentre migliaia di riservisti minacciano di lasciare l’esercito se il disegno di legge andrà in porto. In forma eclatante, Israele affronta il dilemma di tutte le “democrazie occidentali”: l’attrito fra esigenze di governabilità (vere o presunte), indipendenza della magistratura e sistema di garanzie dei cittadini.

www.spazio50.org | ottobre 2023 26
Esteri

A FUTURA MEMORIA

Alle 22.39 del 9 ottobre 1963, oltre 250 milioni di metri cubi di terra e roccia si staccano dal Monte Toc riversandosi nel sottostante bacino idroelettrico del Vajont, al confine tra Friuli e Veneto. L’impatto con l’acqua ad oltre 100 km orari provoca un’onda gigantesca che colpisce i paesi di Longarone, Erto, Casso e Castellavazzo. È una strage che conta almeno 1.900 vittime, un numero imprecisato di dispersi, di corpi mai identificati e di sfollati. Ancora oggi il nome Vajont suscita dolore ed emozione non solo tra chi ha vissuto quella tragedia o la ricorda, ma anche tra i visitatori di quei luoghi, simbolo di una catastrofe annunciata. All’epoca la diga era considerata un capolavoro di ingegneria, edificata però (come attestarono già le perizie antecedenti la costruzione) su un terreno instabile. Gli interessi in ballo e l’intervento tardivo dei tecnici provocarono un disastro indelebile nella memoria del Paese. Ne seguì un processo penale celebrato a L’Aquila e non a Belluno per timore di disordini (i giudici parleranno di legittima suspicione, legittimo sospetto), che riconobbe - a distanza di più di 7 anni - la prevedibilità dell’evento, ma si risolse con due condanne. Oggi finalmente l’Unesco inserisce tutti i documenti dell’Archivio Processuale nel Programma Memoria del Mondo. Del resto, già nel 2008 l’Onu ne aveva parlato come di un disastro causato dal “fallimento di ingegneri e geolo-

A 60 anni dal crollo della diga gli atti e i documenti del processo vengono inseriti nel Registro della Memoria del Mondo

gi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare”.

Nel registro Memoria del Mondo compaiono - tra gli altri - manoscritti persiani, centinaia di migliaia di registrazioni musicali, tradizioni di popoli diversi. Numerose raccolte contribuiscono a raccontare il passato e a promuovere la riconciliazione, come l’assimilazione dei bambini indigeni in Canada o il film sull’Olocausto di Claude Lanzmann Shoah presentato da Francia e Germania. In questo quadro l’iscrizione dei fatti processuali del Vajont si aggiunge alle testimonianze italiane - di tutt’altra natura - già presenti nella raccolta Unesco: la Biblioteca Malatestiana, la Collezione della Biblioteca Corviniana, l’Archivio Storico Diocesano di Lucca, l’Archivio storico dell’Istituto L.U.C.E., il Codex Purpureus Rossaniensis, la Collezione dei calendari lunari Barbanera e l’opera del compositore Antonio Carlos Gomes.

Memorie del Mondo, accessibile online (www.unesco. org/en/memory-world), è un progetto nato nel 1992 per la conservazione del patrimonio documentario mondiale, messo a rischio da calamità naturali, guerre, distruzioni, e dalla fragilità dei materiali audiovisivi. Ad oggi rappresenta un archivio prezioso, ancor più per le giovani generazioni: non può esistere alcun futuro senza la memoria del passato. E nessuna ferita può essere curata senza che sia resa giustizia.

www.spazio50.org | ottobre 2023 28
Anniversari
I DOCUMENTI DEL DISASTRO DEL VAJONT SONO PATRIMONIO UNESCO

Inclusione

BARCONI TUTTO IL MONDO IN UN GELATO

APalermo c’è un piccolo quartiere che è grande come il mondo. E in quel quartiere, c’è una piccola gelateria, che è “grande” - anche lei - come tutto il mondo. Si chiama BarConi, termine utilizzato in maniera provocatoria abbinando il bar con i coni. Le paure di chi ha fatto un viaggio rischioso sono state lasciate in mare e la speranza ha trovato un porto qui, nel quartiere di Ballarò, dove il sogno per qualcuno diventa realtà, grazie all’impegno di Moltivolti. A parlarci di viaggi, di porti, di speranze e di sogni che mettono radici è Roberta Lo Bianco, socia fondatrice e responsabile della progettazione sociale di Moltivolti.

Cos’è Moltivolti?

È un’impresa sociale, nata nove anni fa, grazie all’iniziativa di un gruppo di amici che ha scelto di “abitare”

Un bar gestito da giovani provenienti dall’Africa che sfida lo stigma associato alle migrazioni via mare. L’idea dell’impresa sociale Moltivolti sta già vincendo pregiudizi e diffidenze

Ballarò e legato a questo quartiere, che è complesso ma è uno spaccato di vita, con i suoi “molti volti”, appunto: quelli di persone provenienti da tutto il mondo, visto che siamo nel quartiere più multiculturale della città. Moltivolti è anche il nome di una impresa sociale composta da un ristorante internazionale e uno spazio di coworking; nata nove anni

fa con lo scopo di utilizzare il cibo, cucinato da chef che provengono da tante parti del mondo, come strumento di advocacy, per suscitare curiosità verso le persone che sono dietro quei piatti, per poter dire delle cose importanti. Nel coworking, fulcro delle attività no profit, quelle parole diventano occasioni di scambio tra giovani, incontri con studen-

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ti e studentesse, attività rivolte alla comunità.

Moltivolti conta oggi 35 soci, provenienti da molte parti del mondo, molti arrivati in Italia giovanissimi, minorenni oppure neomaggiorenni, spesso dopo traversate complicatissime e drammatiche su imbarcazioni di fortuna.

Cos’è invece BarConi? È l’ultimo progetto realizzato da Moltivolti: una gelateria nata due anni fa, per la quale abbiamo scelto un nome che sfida lo stigma, provando a ri-significarlo sempre tenendo accesa la denuncia che i barconi siano il frutto delle politiche europee di gestione della migrazione. A gestirla è Malick, con l’aiuto di Leslie e di Amelie Christine: tre ragazzi arrivati da diverse zone dell’Africa, che dopo la formazione e il tirocinio

Palermo, Ballarò: sopra e in alto a destra, alcuni dei giovani protagonisti di Moltivolti. Nella pagina precedente, in basso, Malick, gestore di BarConi Sotto, l’ingresso del ristorante internazionale e dello spazio di coworking

hanno acquisito le competenze necessarie per portare avanti una piccola grande impresa come questa. Ci troviamo a ridosso di una piazza che amiamo molto e che, guarda caso, si chiama proprio piazzetta Mediterraneo. Un tempo era una discarica, che le associazioni del quartiere hanno ripulito e valorizzato e che oggi ha una sua vitalità. Per ora non produciamo noi il gelato, anche se è quello che sogniamo di fare presto: ce lo fornisce una famosa gelateria locale, Cappadonia. Nel nostro piccolo laboratorio, in cui la nostra pasticciera realizza ottimi dolci. Una gelateria gestita da persone nere è una grande scommessa: ma possiamo dire che, piano piano, superando diffidenze e pregiudizi, la stiamo vincendo.

La gelateria BarConi si trova a Palermo, in via Benfratelli, 7.

“La mia terra è dove poggio i miei piedi”. Un concetto che calza perfettamente con l’idea di accoglienza e inclusione sociale di Moltivolti, che opera affinché chiunque - e ovunque - possa realizzarsi e trovare il proprio posto nel mondo

www.moltivolti.org

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«QUELLA NOTTE NON C’ERA NEMMENO LA LUNA»

«Quella notte non c’era nemmeno la luna». Iniziano così i ricordi di Vito Fiorino, il pescatore di Lampedusa che il 3 ottobre di dieci anni fa ha salvato la vita a 47 migranti accogliendoli sulla sua barca, Gamar. Vito e i suoi amici, commercianti dell’isola, avevano deciso dal giorno prima che sarebbero usciti in mare quella notte. Nel pomeriggio l’idea era saltata, poi di nuovo confermata e a mezzanotte si ritrovarono al porto pronti a salpare. Giunti in mare, hanno ancorato la barca per un bagno. Alle 3.30, quando era ora di rientrare, qualcuno suggerì di fermarsi a dormire al largo. «Non era mai successo che dormissimo fuori ma abbiamo accettato. Ci siamo sistemati e ci siamo dati appuntamento alle 6.30 per una battuta di pesca» racconta. Vito sente mettere in moto la barca da Alessandro che la stava pilotando e che nel frattempo si era spostato di alcuni metri. «Chiedo cosa stesse succedendo e mi dice ‘Oh Vì, zittite. U senti vuciare? (Zitto Vito.

Ascolta, le senti queste grida?). Non sentivo nulla, pensavo fossero gabbiani. Alessandro ha messo in moto e dopo 900 metri davanti a noi si è presentato questo scenario terrificante: almeno 200 persone in mare che chiedevano aiuto» ha detto. Fu subito chiaro che salvarli tutti sarebbe stato impossibile ma gli era altrettanto chiaro che avrebbe fatto salire sulla

sua barca tutti quelli che poteva. «Erano nudi perché non sapevano nuotare e con gli indumenti bagnati sarebbero stati più pesanti. Mi scivolavano dalle braccia, i loro corpi erano coperti di gasolio». Vito gli lanciò il salvagente e iniziarono a salire a bordo. Un giovane spiegò che lo scafista, dopo aver buttato il satellitare a mare, aveva dato fuoco al motore mentre incassava acqua e che su, quella imbarcazione di fortuna, c’erano 500 persone. Vito, conoscitore del mare, sapeva bene che quei corpi erano in acqua da troppe ore per essere ancora vivi. Gamar tornò in porto con tutti i migranti che riuscì a salvare: 46 uomini e una donna. Per loro Vito è ‘my father’ (mio padre ndr). Insieme ai sopravvissuti, ha recuperato i nomi di 366 vittime su 368 e con l’aiuto dell’associazione Gariwo ha costruito un memoriale, inaugurato il 3 ottobre del 2019, alle 3.30, l’ora in cui si è consumata la tragedia. Vito è un ‘giusto’ e racconta la sua storia agli studenti delle scuole d’Italia.

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Il 3 ottobre del 2013, nelle acque al largo di Lampedusa hanno perso la vita 368 migranti. Vito Fiorino era lì e con la sua barca ne ha salvati 47. È un ‘giusto’ e agli studenti racconta il suo eroico gesto
di Anna Grazia Concilio
Anniversari
In foto: Vito Fiorino

DISSESTO IDROGEOLOGICO UN ALLARME CHE CRESCE

Cambiamenti climatici e possibili azioni di prevenzione. A parlarne è Mauro Grassi direttore della Fondazione Ewa

Ancora prima della fine dell’anno, il 2023 ha già segnato un primato negativo per numero di frane e alluvioni. Secondo i dati elaborati dall’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (Irpi) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, gli eventi climatici estremi fra inondazioni, allagamenti e frane sono stati 25, con un totale di 20 vittime. L’emergenza più drammatica ha riguardato l’Emilia Romagna con i 16 episodi alluvionali del maggio

scorso, ma anche la Lombardia e la Sardegna.

Una situazione grave, considerati anche i numeri degli anni scorsi (21 eventi nel 2022 con 23 vittime e 26 eventi con 6 vittime nel 2021) che impone di intervenire in modo più significativo sulla prevenzione, per scongiurare nuove emergenze.

D’altronde, che l’Italia abbia un territorio in gran parte a rischio di dissesto idrogeologico non è una novità, ma i cambiamenti climatici stanno ulteriormente peggiorando il quadro.

Secondo i dati dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), infatti, il 94% dei Comuni del nostro Paese è potenzialmente soggetto a uno di questi eventi.

«I dati Ispra ci forniscono degli indici di pericolosità per le diverse zone d’Italia - spiega a 50&Più Mauro Grassi, direttore della Fondazione Ewa, Earth and Water Agenda, e direttore della Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri dal 2014 al 2018 - calcolati su indicatori storici. In pratica si guarda alla storia dei disastri climatici, e viene calcolata l’ipotesi di un ritorno storico di queste evenienze. Le valutazioni di rischio che noi abbiamo sono basate

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sugli andamenti di cento anni di storia italiana, ma il punto è che il mondo oggi è completamente diverso». Quanti sono gli abitanti esposti a rischio nei diversi territori italiani?

Per quanto riguarda le frane, gli abitanti che si trovano in aree relativamente ad alto pericolo sono circa 1,2 milioni, quelli a rischio alluvione sono 6,8 milioni. Ad esempio, tutta l’area alluvionata dell’Emilia è storicamente soggetta a questi fenomeni, e infatti è segnalata nella mappa del rischio. Non dobbiamo poi dimenticare che insieme agli abitanti ci sono gli edifici, le aziende, i beni culturali interessati dalla spada di Damocle delle frane o delle alluvioni. Nel campo dei beni culturali sono stati fatti una serie di interventi per la messa in sicurezza: il più famoso è quello dell’Ultima cena del Vasari, conservata a Santa Croce a Firenze, dove un meccanismo di carrucole consente di portare l’opera ad una quota di sicurezza in caso di allagamenti, il tutto in pochi secondi.

Quanto i cambiamenti climatici influenzano l’esposizione al rischio di frane e alluvioni?

Col cambiamento climatico le piogge tenderanno a diminuire di circa il 10% in Italia, quindi in maniera moderata. Il problema però non è la diminuzione in sé, quanto la forte variabilità degli eventi meteorologici, che si traducono in siccità e alluvioni. A parità di

Nella foto accanto, Mauro Grassi, direttore della Fondazione Ewa, Earth and Water Agenda e, dal 2014 al 2018, direttore della Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri

piogge per quasi 300 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, questi cadranno in modo diversificato e variabile, con fenomeni che si estremizzano in un senso e nell’altro. Nel corso della storia ci sono sempre stati periodi in cui è piovuto meno e periodi in cui è piovuto di più, ma questi picchi stanno diventando sempre più frequenti. Spesso si sente parlare di “flash flood” o alluvioni lampo: qual è la differenza con un’inondazione? Si tratta di alluvioni che si indirizzano in un solo luogo per poco tempo, all’improvviso, e che possono durare minuti o qualche ora. È ciò che è accaduto in Emilia-Romagna, nelle Marche, a Catania, e che sta succedendo in diverse parti d’Italia. È evidente che in questi casi anche le difese che mettiamo in campo risultano insufficienti, perché è come se la pioggia di sette mesi cadesse in due giorni, ma è chiaro che le opere contro il dissesto possono comunque mitigare gli effetti di questi eventi, anche se non possono impedirli. Ma un conto è avere tre metri d’acqua davanti alle case e un altro è averne trenta centimetri.

Cosa si è fatto in Italia in questi anni per la prevenzione?

Purtroppo in Italia il dissesto idrogeologico rischia di diventare drammatico, perché non avendo fatto molto sta anche peggiorando. Facendo i conti sugli ultimi vent’anni, abbiamo circa tre miliardi e mezzo di danni all’anno causati da eventi come frane e allu-

vioni. Non sono tutti soldi pubblici, perché ci sono anche i danni a case e imprese che lo Stato non risarcisce, ma si tratta di una stima complessiva di quanto si spenda nel Paese dopo le emergenze. La cifra che lo Stato investe in opere di prevenzione è di 350 milioni, quasi un decimo del danno annuale. È il dilemma del Paese.

Fra il 2014 e il 2018 lei è stato direttore di Italiasicura, la Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri: quali sono stati gli obiettivi raggiunti?

I nostri fiori all’occhiello sono stati Firenze, Milano e Genova, dove è stato realizzato un piano importante per la difesa del suolo, e adesso sono in campo delle misure che fra qualche anno metteranno queste città ad un livello di rischio accettabile. Per fare l’esempio di Genova, strutturalmente difficile, siamo riusciti a portare il finanziamento per la messa in sicurezza da 36 a 200 milioni. E abbiamo lavorato con giunte di tutti i colori politici, perché di fronte a questi interventi le strutture devono essere trasversali e dimostrare competenze tecniche. Quali sono i cardini di un intervento di prevenzione che funzioni?

Serve un piano, un centro di governo a livello nazionale, dei centri regionali e dei fondi da gestire che devono aumentare, perché oggi sono insufficienti. Servirebbe uno stanziamento di tre miliardi, se si considerano frane, alluvioni e problemi legati alla siccità. Le emergenze continueranno e si intensificheranno, perché il cambiamento climatico porta a queste caratteristiche estreme, che diventeranno parte integrante del Paese. Se non facciamo infrastrutture adeguate, lasceremo a figli e nipoti un Paese arido e a rischio.

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DALLA MINERARIA ALLA COSTRUZIONE LA CINA DOMINA IL MERCATO

Il colosso orientale è il maggior produttore mondiale di batterie per auto elettriche e detiene il 72% delle riserve globali di cobalto di Dario De Felicis

Negli ultimi anni il settore automobilistico mondiale ha vissuto un interesse esponenziale verso le macchine elettriche e ibride, e ha visto la Cina conquistare quasi il monopolio del mercato delle batterie di alimentazione. La preoccupazione per l’ambiente e il desiderio di ridurre le emissioni di gas serra hanno spinto produttori, governi e consumatori a considerare alternative più ecologiche al motore a combustione interna tradizionale. Nel nostro Paese uno dei primi incentivi per l’acquisto di vetture elettriche è venuto dal Governo, che nel 2023 co-

me ecobonus ha stanziato una somma complessiva di 630 milioni di euro. Una spinta globale che, come conseguenza, ha creato una corsa allo sviluppo di nuove tecnologie elettriche da parte delle più grandi case automobilistiche che hanno trovato il modo di perfezionare la tecnologia cosiddetta “ibrida” - una via di mezzo tra motore elettrico e quello “tradizionale - a sua volta suddivisa in “ibrida leggera” e “ibrida plug-in”. Per mezzi ibridi leggeri si intendono quelli che utilizzano il motore elettrico per supportare quello a combustione durante l’accelerazione o in altre fasi di guida, riducendo così il

consumo di carburante; quelli plug-in hanno una batteria più grande e possono essere ricaricati direttamente dalla rete elettrica.

Sono macchine che posseggono numerosi vantaggi tra cui, naturalmente, la non emissione di gas inquinanti, la quasi assenza di rumore durante il movimento (anche se per qualcuno ciò rappresenta uno svantaggio) e un costo di manutenzione inferiore rispetto alle auto a benzina poiché non richiedono cambi d’olio, filtri o altre cure regolari. Inoltre, uno studio durato sei anni

www.spazio50.org | ottobre 2023 36 Attualità
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dell’Insurance Institute for Highway Safety (organizzazione statunitense che si occupa di sicurezza stradale) ha rilevato che le auto elettriche hanno un tasso di incidenti mortali inferiore del 47% rispetto alle auto a benzina. Ma non è tutto oro quel che luccica, perché l’altra faccia della medaglia è il prezzo di acquisto, decisamente più elevato rispetto alle macchine tradizionali, a cui si aggiunge un’autonomia di percorrenza limitata, che può essere un problema per le persone che devono fare lunghi viaggi. E c’è anche l’incognita di dover trovare durante il percorso delle colonnine per la ricarica. In più, le auto elettriche hanno delle batterie molto pesanti, che influenzano il peso totale del veicolo e questo può ridurre la capacità di carico, la tenuta di strada e il consumo di energia. Alcuni recenti fatti di cronaca hanno mostrato la facilità con cui queste batterie, se sottoposte ad un eccessivo calore, possono infiammarsi e in qualche caso addirittura esplodere, con gravi danni per il conducente del veicolo. In particolare, quelle al litio possono surriscaldarsi e causare un fenomeno chiamato “thermal runaway”, che consiste in una reazione a catena che porta alla combustione della batteria.

Ed è proprio questa considerazione a prestare il fianco a quello che per molti è il punto di forza e al tempo stesso il maggior problema di questa nuova tecnologia elettrica: la batteria. L’accumulo di energia di questi veicoli sfrutta principalmente due tipi di batterie, quelle al nichel (NiMH), usate per le prime auto ibride, e quelle agli ioni di litio (Li-ion), che sono le più diffuse e performanti sul mercato attuale, usate da quasi tutte le auto elettriche. Per la produzione di queste batterie viene usato il cobalto, metallo raro e prezioso, che vie-

ne fornito quasi esclusivamente dalla Cina. Il colosso orientale è il maggior produttore mondiale di batterie elettriche e detiene il 72% delle riserve globali di cobalto. Uno stato che, in base alle tendenze di mercato, tende ad avvicinarsi al monopolio; posizione che la Cina ha pazientemente costruito negli ultimi anni con una politica economica piuttosto competitiva e aggressiva, continuando ad investire per aumentare la sua produzione. La crescente domanda di cobalto da parte dell’industria delle batterie ha spinto le aziende cinesi ad investire in

- da parte degli osservatori internazionali della Banca Centrale Europea - timori che la Cina potesse utilizzare il suo controllo delle miniere di cobalto per esercitare pressioni sul governo congolese. Purtroppo, tuttora persiste una scarsità e uniformità di dati ufficiali riguardo l’estrazione e la lavorazione di questi metalli rari. Secondo un recente rapporto della coreana SNE Research, nel primo trimestre del 2023 c’è stato un aumento complessivo di produzione di batterie del 38,6% rispetto allo stesso periodo del 2022. Una crescita guidata, sin dal

operazioni minerarie in Africa, spesso attraverso partnership con governi locali. In particolare, con la Repubblica Democratica del Congo che è il principale produttore mondiale di cobalto (con il 62% del fabbisogno globale). Il sodalizio economico tra le due nazioni nasce nel 2020 quando la Cina importò una quantità di cobalto per un valore di oltre 10 miliardi di dollari (circa il 71% della produzione mondiale). Un legame commerciale che ha discretamente continuato a fare i propri interessi in un tessuto sociale come quello del Congo già molto complicato ed instabile, alimentando

principio, dalle aziende cinesi CATL (Contemporary Amperex Technology Co. Ltd.), BYD (Build Your Dreams) e LG Chem, ormai leader incontrastate del settore. Una situazione che crea un divario quasi incolmabile tra il Dragone cinese, che conta Tesla come suo più grande cliente oltre a Ford, Volkswagen e Hyundai, e il resto del mondo. In un futuro prossimo con la domanda di auto elettriche in forte crescita è lecito domandarsi se si creerà una possibile, eccessiva, dipendenza nei confronti della Cina. I dati rimangono pochi, l’interrogativo rimane aperto.

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Attualità
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Un membro del personale carica le batterie dei taxi elettrici presso una stazione di ricarica a Yinchuan, capitale della regione autonoma di Ningxia Hui, nel nord-ovest della Cina

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Addio a Giorgio Napolitano

Il cordoglio del Presidente nazionale 50&Più Carlo Sangalli

«Perdiamo un protagonista di primo piano della storia della Repubblica italiana»

«Con la scomparsa del presidente emerito Giorgio Napolitano, l’Italia perde un protagonista di primo piano della storia della Repubblica. Un protagonista costantemente impegnato per l’avanzamento delle riforme necessarie tanto per lo sviluppo della nostra democrazia, quanto per lo sviluppo del progetto europeo. Nel tempo della permacrisi, va particolarmente tenuto presente quanto il presidente Napolitano sottolineava nel messaggio di fine anno del 2008: “La crisi va affrontata come prova e come occasione per nuove prospettive di sviluppo, e nel fronteggiare la crisi l’Italia opera come parte di un’Europa unita”».

NOI LO CHIAMIAMO DOWN I SUOI AMICI LO CHIAMANO PAOLO

Cresce l’aspettativa di vita per le persone affette da questa patologia ma rimangono forti problematiche per il loro inserimento nel mondo del lavoro

Non possono più studiare, ma solo in pochi lavorano, molti non hanno un centro o un corso da frequentare e così trascorrono ore e ore a casa, condannati a un’inattività che non è una scelta né una colpa, ma piuttosto una condanna. È la realtà di tanti, troppi, adulti con sindrome di Down. Un tempo se ne vedevano pochi, perché a causa di complicazioni sanitarie spesso associate a questa sindrome cromosomica, l’aspettativa di vita di queste persone era quasi sempre bassa. Ora la situazione è cambiata: se nel 1929 l’aspettativa era solo di nove anni, oggi in Italia e in Europa l’80% di queste persone raggiunge i 55 anni e il 10% arriva ai 70. Una buona notizia, certo, ma anche una grande

sfida sociale, perché non si possono aggiungere anni alla vita senza aggiungere, al tempo stesso, vita agli anni. E su questo, c’è tanto da fare. Impegnata da oltre 40 anni proprio su questo fronte, c’è l’Associazione Italiana Persone Down, che in questi giorni ha celebrato la Giornata nazionale delle persone con sindrome di Down. «La formazione e l’inclusione lavorativa, così come la residenzialità, sono state sempre al centro del nostro impegno - ci spiega Patrizia Danesi, coordinatrice nazionale dell’associazione -. Già negli Anni ’80 costruimmo al nostro interno un gruppo di lavoro per parlare di residenzialità per la vita indipendente. Oggi, la maggior parte dei nostri progetti nazionali sono rivolti proprio a giovani e adulti, quindi fi-

nalizzati al riconoscimento del loro essere, appunto, ‘grandi’. Accanto ai nostri storici percorsi di educazione all’autonomia, portiamo avanti progetti che riguardano la residenzialità: vere e proprie case in cui gruppi di uomini e donne, tra cui coppie di fidanzati, imparano a vivere insieme, in autonomia, seppur con il supporto degli operatori. Ci sono le vacanze estive, in cui pure si impara a vivere insieme e a prendersi cura del proprio tempo e del proprio spazio, come pure del tempo e dello spazio condivisi con altri. Il progetto ‘Amore, amicizia, sesso. Parliamone adesso’ ha accompagnato tanti a vivere consapevolmente la propria affettività: all’interno dell’associazione, ci sono diverse coppie di fidanzati, alcune sono sposate già da anni, a

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Sociale

dimostrazione del fatto che le persone con sindrome di Down possono e vogliono scegliere con chi vivere. Proprio come ciascuno di noi». Ingrediente fondamentale di quest’autonomia è, naturalmente, il lavoro. Tasto dolente, visto che in base a una recente ricerca svolta proprio per AIPD dal Censis , solo il 13,3% del campione ha un contratto da dipendente o collaboratore: di questi, il 35% percepisce un compenso minimo. Tanti sono però oggi anche i lavoratori con sindrome di Down impiegati all’interno di aziende, non solo nel settore della ristorazione e dell’accoglienza, ma anche in grandi catene commerciali, grazie all’accompagnamento e al supporto di AIPD e di altre associazioni. «Si sta sempre più sviluppando la consapevolezza, anche tra i datori di lavoro, di quanto queste persone possano arricchire un’azienda, con la dedizione, la serietà e la grande capacità relazionale che portano con sé - riferisce ancora Danesi -. Certo, le difficoltà non mancano - aggiunge - e a un certo punto subentra la stanchezza, anche a causa delle problematiche fisiche associate, per cui sarebbe importante, per esempio, ri-

vedere l’età pensionabile per le persone con sindrome di Down, così da favorirne il prepensionamento. Soprattutto, però, occorre fare in modo che sia colmato quel vuoto che spesso attende i ragazzi con sindrome di Down quando escono dal percorso scolastico: la ricerca del Censis ci ha rivelato che dopo i 44 anni, appena il 9% lavora, il 41,3% frequenta un centro diurno, mentre ben il 44,8% ‘non fa nulla’ e ‘sta a casa’. È un dato che ci preoccupa molto e ci stimola a sollecitare politiche e servizi».

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«Si sta sempre più sviluppando la consapevolezza, anche tra i datori di lavoro di quanto queste persone possano arricchire un’azienda con la dedizione la serietà e la grande capacità relazionale che portano con sé»
Le foto sono tratte della mostra fotografica “Down Click”, realizzata da AIPD nel 2017 nell’ambito di un progetto volto a raccontare per immagini alcuni momenti di vita delle persone con sindrome di Down. Accolto da subito con entusiasmo da tutto l’IED il progetto ha coinvolto gli studenti del Dipartimento di Fotografia dello stesso Istituto

Voglio che il tumore sia solo un ricordo. E posso farlo grazie alla ricerca.

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Primo piano

GLI ANNI PASSANO ANCHE DIETRO LE SBARRE

Non solo sovraffollate, ora anche tra le più anziane in Europa

Nelle carceri italiane cresce la popolazione di età pari o superiore ai 50 anni. Secondo l’ultimo rapporto Space

del Consiglio UE

rappresentano il 28% dei detenuti, la percentuale più alta

È un primato al “negativo” che non ha nulla a che vedere con quello guadagnato della longevità. L’età media della popolazione carceraria italiana sale, ma è un frutto avvelenato, una distorsione figlia dei tempi in cui viviamo e di una disfunzione che attraverserebbe il rapporto tra sistema carcerario e applicazione della giustizia. È cresciuta nel corso degli anni e, al 31 gennaio del 2022, secondo i dati dell’ultimo Rapporto Space - Statistiques Pénales Annuelles du Conseil de l’Europe ovvero le Statistiche Penali Annuali del Consiglio d’Europa pubblicate a giugno - risulta essere tra le più alte del resto dell’Unione: 42 anni. Peggio di noi fa solo la Georgia con 44 anni, mentre siamo tallonati da Porto-

gallo con 41 e da Estonia e Spagna, ex aequo con 40. Nonostante il nostro tasso di popolazione carceraria non risulti tra i più elevati (abbiamo circa 90 detenuti ogni 100mila abitanti, abbastanza distanti dall’attuale media europea tra 104 e 117), un altro dato colpisce da subito: abbiamo la percentuale più alta (28%) di detenuti con un’età pari o superiore ai 50 anni. Ci seguono Comunità Autonoma di Spagna (25%), Portogallo e Norvegia (entrambi al 24%). Così come il tasso di detenuti con o più di 65 anni resta elevato (4,7%), sebbene più basso rispetto a Macedonia del Nord (8,3%), Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina (6,6%) e Bulgaria (5,6%).

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Primo piano

In carcere si invecchia sempre di più

Secondo i dati del Rapporto Space, in media il 16,5% circa dei detenuti in Europa ha 50 anni o più e il 3% ne ha 65 o più. Il maggiore invecchiamento nelle nostre carceri è quindi evidente. Un’evidenza, a detta dello stesso Consiglio d’Europa, dovuta a due fattori: la struttura generale della nostra popolazione carceraria; il fatto che molti detenuti di età pari o superiore ai 65 anni appartengano a specifiche categorie di delinquenti, come ex boss mafiosi condannati all’ergastolo. I dati elaborati di recente dall’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, associazione nata alla fine degli Anni ’80 per i diritti e le garanzie nel sistema penale, confermano il “passare degli anni” per chi è in carcere. Secondo il XIX Rapporto sulle condizioni di detenzione, infatti, l’età media dei reclusi è salita: a fine 2022 gli over 50 erano il 29%, ma solo dieci anni prima, a fine 2011, erano il 17%. Nello stesso periodo gli over 70 sono passati da 571 (1%) a 1.117 (2%), raddoppiando. Questa situazione rischia di diventare l’incubatore di nuovi problemi. Una popolazione detenuta più anziana da una parte espone ad una più complessa domanda di salute, dall’altra ad isolamento sociale, a maggiori difficoltà di reinserimento, in particolare nel mercato del lavoro.

L’attesa di giudizio e il rischio di affollamento

A incidere sulla vita in carcere sono i “tempi” della macchina della giustizia e della detenzione. L’Italia, abbiamo detto, presenta un’età media dei detenuti più elevata, nonché la più alta percentuale di quelli con un’età pari o superiore ai 50 anni.

Ma la stessa cosa accade in Spagna e Portogallo con cui abbiamo in comune un altro elemento: la durata media della detenzione, più lunga rispetto al resto d’Europa. Nel nostro Paese è di 18 mesi, in Spagna di 20,5 e in Portogallo di quasi 31. Se paragonati agli 11 della media europea, molte cose cominciano ad essere più chiare. È soprattutto il problema dei “tempi di attesa”, pertanto, a creare un paradosso: abbiamo carceri più affollate persino dinanzi una minore incidenza di reati. Secondo i dati del Rapporto Space, infatti, il 30% dei 54.372 detenuti censiti a fine gennaio 2022 non stava scontando una pena definitiva. Attendeva invece il giudizio di terzo grado, quindi la scarcerazione o il prolungamento della detenzione. A questo si aggiunge che, tra il 2021 e il 2022, la fine delle misure restrittive imposte a causa del Covid-19 ha fatto salire in tutta l’UE il tasso mediano di detenzione a +2,3%. L’Italia, purtroppo, fa parte di quei Paesi con densità carceraria superiore a 100 detenuti per 100 posti: 107 circa. Un sovraffollamento “grave” che corrisponde a 1,7 detenuti per cella. Ancora una volta i dati elaborati nel XIX Rapporto sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone confermano una tendenza al sovraffollamento: dal 30 aprile dello scorso anno la capienza ufficiale sarebbe cresciuta dello 0,8% contro un +3,8% di presenze. La popolazione detenuta sarebbe aumentata soprattutto in Trentino-Alto Adige (+11,7%), Calabria (+9%) e Lazio (+7,5%), e ad oggi le regioni con i sistemi carcerari più ingolfati, a fronte del tasso medio di affollamento, risulterebbero essere Puglia (137,3%), Lombardia (133,3%) e Liguria (126,5%).

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Una popolazione carceraria che torna a crescere

Per il Rapporto di Antigone la risalita della popolazione carceraria si lega a doppio filo ad un andamento più articolato delle pene detentive. Sono aumentati soprattutto i reclusi in carcere per quelle brevi: le condanne ad un anno sono passate dal 3,1% del 2021 al 3,7% del 2022; le condanne fino a tre anni dal 19,1% al 20,3%. Nel 2011 entrambi i valori erano più alti (rispettivamente il 7,2% ed il 28,3%), poi sono scesi grazie anche alle misure restrittive e di divieto di circolazione dovute alla pandemia. Anche nel resto d’Europa, secondo i dati del Rapporto Space, c’è la medesima tendenza (vedi sopra) con un tasso mediano di detenzione in aumento. Da una parte l’incremento sancisce un ritorno alla “normalità” nel funzionamento dei sistemi di giustizia penale dopo la parentesi Covid; dall’altra, il tasso di detenzione europeo nel 2022 è rimasto inferiore rispetto a quello pre-Covid, con alcune amministrazioni penitenziarie che hanno attuato una significativa diminuzione. Si tratta di Bulgaria (-8%), Estonia (-6,3%) e Germania (-5,5%).

C’è da considerare inoltre che l’Italia fa parte di quei Paesi del Consiglio d’Europa in cui l’ergastolo è piuttosto duro. In Svizzera, ad esempio, un detenuto condannato a tale pena è idoneo alla libertà condizionata dopo 10 o 15 anni in base alla situazione. Nel nostro Paese, invece, dopo 21 o 26 anni; in Francia dopo 18-22 anni, in Spagna si va dai 25 ai 35 anni, mentre in Belgio il periodo può essere di 15, 19 o 23 anni. Sul lungo periodo, anche questo può avere un effetto sulla densità della popolazione carceraria.

Segnali allarmanti

cresce il tasso di suicidi

Il 2022 è stato l’annus horribilis delle carceri italiane per numero di suicidi: 85 episodi, il tasso più alto mai registrato negli ultimi dieci anni. Segno certo che qualcosa non va se un detenuto ogni quattro giorni si è tolto la vita. Un numero così elevato da spingere il Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà ad avviare e pubblicare uno studio, per un’analisi dei suicidi negli Istituti penitenziari. E la Corte Europea dei Diritti Umani ad emettere due condanne verso l’Italia: una per mancanza di misure per evitare il suicidio di un carcerato con disturbi psichici, la seconda per i tempi troppo lunghi per trasferire in una Rems (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) un altro detenuto con disturbi simili.

Il fenomeno è ancora più allarmante se rapportato alle statistiche della popolazione reclusa: rispetto al 2012 ci sono ben 11.687 detenuti in meno ma abbiamo 23 suicidi in più, se paragonati allo stesso anno. Il “tasso di suicidi” nel 2022 è salito a 15,4 casi ogni 10.000 detenuti, il valore più alto di sempre (nel 2001 si era attestato al massimo a 12,5 casi ogni 10.000 persone).

Quasi la metà dei suicidi aveva alle spalle storie di fragilità personale e sociale, difficoltà di reinserimento, percezione dello stigma del carcere. Tra coloro che hanno deciso di togliersi la vita lo scorso anno c’era anche un uomo di 83 anni. Avrebbe terminato di scontare la sua pena nel 2030, l’ha fatta finita invece mentre era in isolamento per Covid.

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Primo piano CONTRASTO ALLA RECIDIVA VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLE INIZIATIVE ITALIANE

Molte persone detenute hanno avuto più di un’esperienza di reclusione. Per prevenire il fenomeno ci sono progetti statali, regionali e privati che aprono le porte del carcere al lavoro, alla cultura allo sport e all’intrattenimento. Da Nord a Sud comprese le Isole, i reclusi possono impegnarsi quotidianamente, valorizzare competenze e ambizioni e reinserirsi in società mentre scontano la pena

Ad aprile 2022 l’associazione Antigone - per i diritti e le garanzie del sistema penale - ha pubblicato il XVIII Rapporto sulle condizioni dei detenuti riferito al 2021. Solo il 38% stava scontando la sua prima pena; il restante 62% aveva già avuto un’esperienza di detenzione e tra questi il 18% anche più di cinque. Per ridurre il fenomeno della recidiva sono attivi numerosi progetti che permettono ai reclusi di impegnarsi nel lavoro e in attività culturali, sportive e di intrattenimento. Lavorare incide in modo determinante sul tasso di recidiva: a confermarlo è stato il consigliere CNEL, Gian Paolo Gualaccini, a dicembre 2022. Durante il convegno

“Le dimensioni della dignità nel lavoro carcerario”, ha dichiarato che la recidiva tra i detenuti che lavorano è al 2%, per chi non ha un impiego sale al 70%.

Si può tracciare una mappa con alcune delle iniziative attive nelle carceri, partendo dal Piemonte. Per gli anni 2023/2026, con fondi europei la Regione ha attivato ‘Sportello lavoro

carcere’, affinché esperti di politiche attive del lavoro realizzino un piano personalizzato che consideri esigenze e capacità del detenuto per individuare il lavoro più adeguato e attivare un tirocinio retribuito all’interno o all’esterno dell’istituto carcerario. Ci si sposta in Lombardia: a Milano e Bergamo è attivo il progetto ‘Cercare in carcere’. L’associazione Incontro e Presenza, che si occupa di accoglienza e integrazione dei carcerati milanesi dal 1986, cerca opportunità di lavoro per detenuti ed ex detenuti: espone alle imprese i vantaggi fiscali di queste assunzioni e spesso seleziona i candidati.

Le iniziative contro la recidiva non riguardano solo il lavoro: spostandosi alla Casa Circondariale di Lecco, Assocultura Confcommercio, con il progetto ‘Leggermente’, a giugno 2023 ha dato ai detenuti la possibilità di creare - e conservare - giochi da tavolo con il pedagogista Antonio Di Pietro. I giochi sono stati prodotti con materiale di riuso fornito dalla startup Piccola Sartoria Sociale. A proposito di socializzazione, dal 2018

alcune società affiliate alla F.I.R. - Federazione italiana Rugby - insegnano questo sport in varie carceri d’Italia, partecipando ai Campionati Federali ufficiali e ai tornei amatoriali. Considerato tale successo, la F.I.R. ha proposto ‘Arbitri oltre le sbarre’ per formare nuovi arbitri di rugby. Non solo giochi e sport, ma anche teatro: nella casa di reclusione di Volterra è attiva la Compagnia della Fortezza, guidata dal regista Armando Punzo, che da 35 anni mette in scena uno spettacolo durante il Festival Volterra Teatro, portato poi sui maggiori palchi. Ispirandosi a questa iniziativa,

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l’ACRI - Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio - nel 2018 ha realizzato ‘Per aspera ad astra’, attivo in 15 carceri per promuovere il teatro e la formazione artistica professionale dei detenuti.

Nel Lazio, da marzo 2023, una detenuta del carcere di Viterbo lavora in un ristorante con un contratto di somministrazione. Ciò è stato possibile grazie al protocollo d’intesa tra Manpower - agenzia per il lavoro -, Human Age Institute, che supporta le persone nello sviluppo dei propri talenti, e Fondazione Severino, che aiuta soggetti svantaggiati. Le

tre organizzazioni si sono unite per favorire l’inserimento dei detenuti nel mondo del lavoro. Rimanendo nel Lazio, nella sezione femminile di Rebibbia, nel 2021 Linkem ha attivato il ‘Laboratorio Rework’: la società di telecomunicazioni ha assunto 12 detenute dopo averle formate come ‘addette alla rigenerazione di apparati elettronici’. Anche a Lecce Linkem ha assunto 10 reclusi e realizzato UNiO, innovativo sistema di video colloqui.

Sempre a Rebibbia nel 2022 è stato attivato un progetto inserito nel ‘Programma Lavoro Carcerario’, na-

to dalle intese tra il Ministero della Giustizia e il Dipartimento per la trasformazione digitale. Le carceri italiane aprono le porte a società di telecomunicazioni che, dopo un periodo di formazione, assumono detenuti. È successo con 7 reclusi a Rebibbia, che ora sono tecnici per le infrastrutture di rete in Italia, e 7 nel Carcere di Torino.

Il viaggio prosegue in provincia di Napoli, negli istituti di Poggioreale e Secondigliano: nel 2022 è stato attivato il progetto ‘Mai più dentro’, finanziato dal bando ‘E vado a lavorare’, promosso da Fondazione per il Sud. Con l’ausilio della Asl, 10 pazienti psichiatrici detenuti hanno preso parte a corsi di formazione per l’inserimento a tempo indeterminato in cooperative sociali. Lo stesso bando ha finanziato progetti anche in Calabria e in Sicilia. A Catanzaro, nella Casa Circondariale ‘Ugo Caridi’, 10 detenuti hanno partecipato al programma ‘Dolce lavoro’, conseguendo il titolo di ‘Operatore per la lavorazione e la commercializzazione dei prodotti della panificazione/pasticceria’ con cui lavoreranno nella cooperativa ‘Mani in libertà’ creata appositamente. A Palermo e a Siracusa c’è ‘Svolta all’Albergheria! Da Ballarò alle periferie per una comunità riparativa’, un programma di formazione e reinserimento lavorativo coordinato dalla Cooperativa Sociale Rigenerazioni Onlus.

In Sardegna, infine, nel 2021 gli artisti Giovanna Maria Boscani e Joe Perrino hanno realizzato il documentario ‘Per Grazia Non Ricevuta’. I due hanno visitato le carceri dell’Isola a bordo di un’apecar, resa un’installazione artistica itinerante dalle richieste di grazia dei detenuti. L’intento è stato dare spazio alle storie, ai desideri e alle ambizioni dei reclusi, facendole uscire dalle mura del carcere.

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Milano, cantieri dell’ex area EXPO 2015. Un gruppo di detenuti entrati a far parte del progetto di reintegrazione lavorativa Protocollo 2121

Primo piano SE IL RISCATTO SOCIALE HA L’ODORE DEL CAFFÈ

Nel penitenziario di Rebibbia c’è una torrefazione dove lavorano detenuti, si chiama ‘Caffè Galeotto’ Anche nella Casa circondariale femminile di Pozzuoli ce n’è una, si chiama ‘Lazzarelle’ Storie che raccontano le più belle sfide (vinte) dell’inclusione e del reinserimento lavorativo

Alle otto del mattino sono già in torrefazione i detenuti di Rebibbia Nuovo Complesso, pronti a lavorare fino a mezzogiorno e poi a riprendere dopo pranzo fino al pomeriggio. Sono specializzati in due mansioni differenti: c’è chi miscela il caffè e chi si occupa di revisionare e manutenere le macchinette. Da più di dieci anni, il ‘Caffè Galeotto’ è per tanti detenuti il simbolo del riscatto sociale. Lo sa bene Mauro Pellegrini, presidente di Pantacoop, la cooperativa sociale che da ventitré anni si occupa di formazione e inserimento delle persone detenute e socialmente svantaggiate. Tante le attività progettate fino ad ora nella casa circondariale romana. «Al penale abbiamo aperto una fabbrica di infissi in alluminio, con i detenuti del reparto di Alta sicurezza lavoriamo al recupero crediti per conto di Autostrade per l’Italia. Questa più di tutte è stata una sfida importante - ricorda Pellegrini - perché non è stato facile far capire, soprattutto alle istituzioni, che i detenuti lavorano con una rete Lan che non ha accesso a internet». Nello specifico, i detenuti acquisiscono le informazioni messe a disposizione da Au-

tostrade per l’Italia circa le targhe delle auto registrate al casello che non hanno effettuato operazioni di pagamento: le lavorano e poi le rispediscono ad Autostrade. Nel 2012, le carceri del Lazio erano le uniche in Italia a non avere una torrefazione al proprio interno: «Ho svolto un’indagine di mercato e ho visto che imparare a fare il caffè era una professione richiesta nel mondo del lavoro», aggiunge Pellegrini. E così a proprie spese, Pantacoop allesti-

sce una torrefazione all’interno di Rebibbia Nuovo Complesso. «In collaborazione con il reparto educativo della direzione, affiggo un avviso e chiedo la possibilità di avere detenuti a lavorare: la direzione seleziona coloro che hanno fatto un percorso educativo e mi sottopone una rosa di candidati. Dopo il colloquio, se la persona è idonea e motivata a lavorare, inizia l’affiancamento. Durante questo periodo ne valutiamo soprattutto l’atteggiamento. Se tutto va bene, il detenuto viene assunto», spiega Pellegrini. Attualmente in torrefazione sono impiegate otto persone. Un numero destinato a crescere soprattutto grazie ai progetti di formazione che Pantacoop ha in cantiere, come quello della manutenzione dei distributori che prevede competenze più complesse per la manutenzione di macchine che producono bevande calde e fredde. Il ‘Caffè Galeotto’ - frutto di un accurato procedimento di lavorazione che prevede la selezione della miscela, la tostatura dei chicchi di circa 20 minuti, il passaggio della spie -

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tratrice per eliminare le pietruzze, il riposo di tre giorni prima della macinazione e l’imbustamento dopo altri giorni di riposo, conquista anche il palato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in visita alla Torrefazione. «È stato un momento molto emozionante, è stato bello ricevere i suoi complimenti - conclude Mauro -, la soddisfazione più grande per me resta il fatto che, in ventitré anni di impegno, sono passati da noi tantissimi detenuti e solo uno di loro, una volta fuori, ha commesso un reato. Per chi impara un mestiere in carcere la possibilità che torni a commettere reati, quindi la recidiva, è prossima allo zero».

Più a sud del penitenziario di Rebibbia, in Campania, c’è la Casa circondariale femminile di Pozzuoli. Anche qui è nata una torrefazione grazie all’idea di Imma Carpiniello e un gruppo di donne impegnate nel carcere che nel 2010 decide di fondare la cooperativa ‘Lazzarelle’. «Da donne libere abbiamo scelto di impegnarci attivamente in una impresa tutta femminile che valorizzi i saperi artigianali e generi inclusione sociale. Perché solo il lavoro offre dignità e possibilità di riscatto reale. Il caffè delle Lazzarelle è nato mettendo insieme due soggetti deboli: le donne detenute e i piccoli produttori di caffè del sud del mondo. Acquistiamo i grani di caffè dalla cooperativa Shadhilly che promuove progetti di cooperazione con i piccoli produttori», fanno sapere dalla cooperativa che in questi anni ha visto passare circa 70 donne lavoratrici. Le Lazzarelle - che in Galleria Principe di Napoli, al civico 25, di fronte al MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) hanno aperto un uno spazio dove, attraverso cibo sano e sostenibile e il piacere di bere un ottimo caffè, si partecipa atti-

vamente all’empowerment di donne detenute ed ex detenute - sono impegnate anche in altri progetti che puntano all’inclusione. A proposito del bistrot, dalle pagine del portale che ne racconta la storia, si legge: “Il desiderio è quello di diventare un punto di riferimento culturale e di far conoscere il progetto Lazzarelle

attraverso i prodotti dell’economia carceraria. Ogni prodotto rappresenta una persona ed una storia da raccontare”. Nel 2023, Carpiniello è stata nominata cavaliere dell’Ordine al Merito da Sergio Mattarella. Ad oggi, il 90% delle “Lazzarelle”, una volta terminato il periodo di detenzione, non è tornato a delinquere.

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Sopra, le ‘Lazzarelle’ durante una pausa di lavoro; in alto, una fase della lavorazione del caffè alla Torrefazione di Rebibbia. A sinistra, Mauro Pellegrini - presidente Pantacoop - con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante una visita al ‘caffè Galeotto’

Primo piano

a possibilità di una vita differente, io credo che la meritiamo tutti». Gabriella Cucchiara non ha dubbi. Ha scelto di assumere due ragazziuno di 30 e l’altro di 46 anni - e di dare loro una seconda opportunità: quella di ripartire da sé, dal lavoro, dalla propria autonomia. Un’occasione tanto più formidabile se si pensa che questi due uomini - uno di Roma, l’altro di Catania - vengono diretti dal carcere Petrusa, a Favara. Quando la raggiungiamo, Gabriella è al lavoro nel suo ristorante. Si tratta de La Promenade, nel bel mezzo della Valle dei Templi: è ad Agrigento. Gabriella ha fatto una scelta orientata da una profonda empatia e non trattiene una certa emozione nel raccontarci di come sia arrivata all’assunzione di questi due lavoratori. «Quando ho avuto il colloquio con loro in carcere, mi sono sentita

UN POSTO DI LAVORO PER RICOMINCIARE A VIVERE LA SECONDA OPPORTUNITÀ OFFERTA AI DETENUTI

Grazie agli sgravi fiscali previsti dalla legge Smuraglia

Seconda Chance opera nei penitenziari mettendo in contatto imprenditori e persone recluse

La storia di chi ha trovato una nuova strada

piccola - dice -. Ho sentito chiaramente come per loro fossi un’ancora, la possibilità di costruire un futuro altrove. D’altronde, senza una seconda chance, come ci si può riscattare? Senza il lavoro non si può fare nulla».

E Seconda Chance è proprio il nome dell’Associazione non profit del Terzo Settore - firmataria di un protocollo di collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria -, grazie alla quale tutto ciò è stato possibile. Fondata a luglio dello scorso anno, è frutto di un lavoro tenace e ostinato di Flavia Filippi - giornalista del Tg La7 - che, nel solo arco di un anno, è riuscita a trovare un impiego a oltre duecento persone tra detenuti, ex detenuti, familiari di detenuti. E il numero degli occupati è in costante aumento, anche mentre scriviamo. «Ho sempre avuto questa attrazione per le persone che non si possono difendere - ci racconta Flavia -, per quelli che non hanno le forze, anche la forza economica di scegliersi un buon avvocato o che sono emarginati. Ce l’ho sempre avuta, fin da bambina». E forse è proprio questa la molla che spinge questa donna a impegnarsi senza risparmiarsi, con l’obiettivo - chiaro - di rendere l’attività di Seconda Chance sempre più capillare. Nel caso dell’incontro con Gabriellache da dieci anni è presidente provinciale della Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) e fa parte del diret-

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di Giada Valdannini
«L

tivo nazionale delle Donne Imprenditrici della Confcommercio - tutto è avvenuto durante un’assemblea di categoria in cui Flavia ha presentato il programma dell’associazione nel tentativo di individuare sempre più imprese disposte ad aderire al progetto. Gabriella non se l’è fatto ripetere: «Sono rimasta colpita dal video con la testimonianza di un ragazzo che aveva trovato lavoro tramite Seconda Chance e ho deciso di mettermi in gioco, di fare ciò che era nelle mie possibilità».

Dopo l’incontro in carcere, infatti, ha avviato le procedure per l’assunzione dei ragazzi che infatti sono entrati a far parte della sua brigata. Uno aveva esperienza nella ristorazione perché lavorava nel bar del carcere e l’altro era invece più esperto di manutenzione. Entrambi si sono messi all’opera nel ristorante della Valle dei Templi e, racconta ancora Gabriella: «Non smettono mai di ringraziarci per l’opportunità e portano con loro lo stupore intatto di chi, per anni, è stato di fatto tagliato fuori dalla vita oltre il carcere». Ci spiega meglio: «Ogni gesto anche scontato - come la torta di compleanno per festeggiare uno di loro - viene accolta con grande emozione e persino la tecnologia che per tutti noi è ormai un alleato, per chi ha passato anni in un penitenziario può essere motivo di incredibile stupore». Gabriella questa sua scelta la ripeterebbe ancora mille volte e non fa che proseguire il suo tam tam affinché anche nuovi colleghi facciano la scelta di assumere dal carcere. Come ciò sia possibile ce lo spiega Flavia Filippi: «La legge Smuraglia (193/2000) offre sgravi fiscali e contributivi a chi assuma, anche part time o a tempo determinato, detenuti in articolo 21 O.P. (legge 354/75) cioè persone ammesse al lavoro esterno».

Seconda Chance svolge perciò un’atti-

COSA PREVEDE LA LEGGE SMURAGLIA

Contiene agevolazioni fiscali finalizzate all’assunzione di dipendenti detenuti, internati ed è applicabile anche nei primi mesi dopo la liberazione. Riguarda i settori agroalimentare, alberghiero, altri servizi, artigianato, autoveicoli e altri mezzi di trasporto, chimica e farmaceutica, cultura, edilizia, elettronica, fornitura energia, acqua e gestione rifiuti, commercio, meccanica, mobili, legno e carta, moda e tessile, ristorazione, metallurgia, salute, turismo, ICT, servizi di trasporto. Per fruire delle agevolazioni fiscali è necessario stipulare una convenzione con la Direzione dell’Istituto penitenziario ove sono ristretti i lavoratori assunti. L’agevolazione è concessa sotto forma di credito d’imposta per un importo massimo di € 520 mensili per ogni detenuto assunto e per l’eventuale formazione della mano d’opera (a condizione che dopo la formazione avvenga immediatamente l’assunzione). In caso di assunzione di semiliberi l’importo massimo del credito d’imposta è di € 300. La retribuzione è quella prevista dai contratti collettivi di lavoro. Il credito d’imposta non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive e non assume rilievo ai fini del rapporto di deducibilità degli interessi passivi e delle spese generali. Tele credito è utilizzabile in compensazione ai sensi dell’Art. 17 del D.L. 241/97, non è comunque rimborsabile ma è cumulabile con qualsiasi altro beneficio.

vità molto simile a un’agenzia di collocamento perché , come racconta Flavia: «Se un ristoratore chiama e dice di aver bisogno di un cuoco, mi attivo affinché magari un ex detenuto che ha lasciato il carcere due giorni prima - e mi ha scritto disperato perché si trova fuori, ma senza lavoro - possa fare un colloquio e ricollocarsi». Sì, perché ciò che stupisce di questa associazione è proprio l’idea di tessitura, la grossa rete messa in campo che tiene assieme il personale dei penitenziari, le persone che scontano la pena, coloro che hanno finito il loro cammino in carcere e le loro famiglie. E non stupisce che gli stessi detenuti e i loro familiari intrattengano un rapporto di riconoscenza e aggiornamento con chi ha permesso loro di immaginare e costruire un nuovo percorso. Fuori dalle mura del carcere. Le imprese, per parte loro, oltre ad aderire a un progetto sicuramente incentivante possono trarne il vantaggio di sgravi fiscali e agevolazioni su questo genere di assunzioni. Un

lavoro - pensateci - poderoso, nato per dare risposte ai detenuti ma che pure fa i conti con non poche difficoltà dal momento che Seconda Chance - pur avendo vinto due bandi di gara con la Regione Lazio e con la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, e avendo ricevuto anche piccoli contributi che sono sicuramente ottimi segnali di incoraggiamento - non può basarsi soltanto sul volontariato e cerca, dunque, chi la sostenga e l’aiuti fattivamente.

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VISTO DA DENTRO LE NOTIZIE SCRITTE DAI DETENUTI

«Dentro questa cella capisco sempre che ore sono: se aprono i cancelli, le 8.30. Passa il vitto, è quasi mezzogiorno e così via, fino alle 20.00, quando richiudono le porte. Riconosco i giorni della settimana dai prodotti che arrivano con la spesa e da come si comportano le persone». Luca, in un articolo uscito sul quotidiano Il Tempo, descrive così il trascorrere di minuti, ore, giorni, mesi e anni della sua detenzione.

Il carcere è il luogo del tempo, dove questo si misura ogni giorno, ogni istante. Ma può essere anche il luogo senza tempo, dove ci si abbandona all’ozio e all’indifferenza: uno spazio temporale da far trascorrere al più presto, per tornare dopo alla vita come prima che spesso, purtroppo, riporta in carcere. La vera sfida che si combatte nei penitenziari è dare valore al tempo, dargli un significato, utilizzarlo. Far diventare la detenzione uno spazio da riempire, magari avviando un programma di reinserimento culturale e di formazione utile per progettare il futuro in carcere e fuori, proprio come detta l’articolo 27 della nostra Costituzione.

In quest’ottica si inserisce l’iniziativa de Il Tempo che ha deciso di pubblicare articoli scritti dai detenuti in una pagina settimanale a loro riservata. In “Visto da dentro” gli autori degli articoli non raccontano solo la loro vita detentiva ma affrontano, da una diversa prospettiva,

i temi che più fanno discutere l’opinione pubblica. «I detenuti del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso raccontano i principali fatti di attualità. Lo sguardo sul mondo di chi da quel mondo è escluso», recita infatti l’introduzione della pagina. Così, nei mesi scorsi, hanno scritto di guerra, di cambiamento climatico, di comunicazione, della nuova social card per le famiglie bisognose, di Intelligenza Artificiale, di cinema e di sport. A impreziosire la pagina, le immagini dei dipinti realizzati dai ragazzi del laboratorio di pittura “Rebibbia Digital Art”, organizzato da La Ribalta Centro Studi Enrico Maria Salerno. Gli autori degli articoli sono i detenuti che frequentano il corso di giornalismo che già da qualche anno si svolge all’interno del carcere romano, un corso voluto dalla direttrice Rosella Santoro e da Mauro Pellegrini, da molti anni impegnato nella formazione dei detenuti a un lavoro spendibile anche quando avranno terminato di scontare la loro pena. È durante queste lezioni di giornalismo, fatte di confronti sempre vivi e mai banali, che nascono le idee e poi gli articoli che andranno a comporre la pagina del quotidiano. Passione, riscatto e voglia di sentirsi parte di un “qualcosa”, sono sempre presenti durante gli incontri di giornalismo, esattamente come il familiare e tranquillizzante suono della moka che preannuncia l’uscita dell’immancabile caffè che, all’interno di queste mura, sembra più buono che mai.

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Con un corso di giornalismo e la pubblicazione di articoli di attualità, i detenuti del penitenziario di Rebibbia hanno trovato il modo di dare un senso al loro tempo

FABIO CAVALLI IL TEATRO DENTRO LE

CARCERI

Da oltre vent’anni il regista teatrale accompagna i detenuti alla scoperta del teatro in un lavoro costante di sensibilità e riconoscimento dell’altro che arricchisce e ribalta alcune prospettive

Le Idi di marzo e la cospirazione ai danni di Giulio Cesare sono un pezzo di storia tramandato fino a noi e raccontato, tra gli altri, anche da Shakespeare. È questa stessa tragedia ad essere messa in scena nel 2012 dai detenuti di Rebibbia diretti dal regista teatrale Fabio Cavalli e immortalata nella pellicola Cesare deve morire diretto da Paolo e Vittorio Taviani che in quell’anno ha vinto l’Orso d’Oro al Festival di Berlino e ricevuto otto candidature ai David di Donatello, vincendone cinque, tra cui quelli per miglior film e miglior regista. Una scelta forte che mette in luce i parallelismi con

la vita dentro al carcere. Abbiamo parlato di questo e di molto altro con Fabio Cavalli, che da vent’anni accompagna i detenuti alla scoperta del teatro. Da dove nasce Cesare deve morire ?

Con la Compagnia del Teatro Libero di Rebibbia stavamo provando i Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Vennero i Taviani e mi convinsero che per un’operazione cinematografica rivoluzionaria occorreva un titolo assolutamente internazionale. Il “Giulio Cesare” era perfetto. Di fatto un cast di soli uomini: la migliore soluzione, in carcere. Tutta la Compagnia fu d’accordo.

C’è un parallelismo tra il “Giulio Cesare” e la vita dei detenuti? Non si può immaginare che un’opera realizzata con i detenuti non venga investita dal loro vissuto. Spesso, con “Shakespeare in carcere”, la biografia del personaggio e quella dell’interprete si possono sovrapporre. È come se fossero accomunati da un unico tragico destino. Il mondo della Roma antica messo in scena da Shakespeare corrisponde abbastanza al racconto di Plutarco e Sallustio. In quel tempo, si contrapponevano sulla scena del potere i capi di clan familiari allargati, dotati di forze armate personali, foraggiate coi proventi delle guerre, delle razzie e delle vendette trasversali. Quando Cesare varcò il Rubicone a mano armata, ruppe un accordo fra clan. Nulla di strano, dunque, se in Cesare deve morire gli attori dell’antica tragedia si esprimono come in un bassofondo urbano contemporaneo.

Lei è entrato in contatto con il mondo carcerario ben prima di questa esperienza. Ci racconta come?

Vent’anni fa entravo per la prima volta nel Reparto di massima sicurezza

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FOTO ANGELICA GIUST Attori-detenuti durante una scena dello spettacolo ‘Il cabaret dei somari’ al teatro del carcere di Rebibbia

Primo piano

del carcere di Rebibbia. Da volontario, ovviamente. Era il 2003 e il Direttore di Rebibbia, che conosceva il mio lavoro di regista, mi aveva invitato ad un incontro coi detenuti. Erano una ventina e, per interrompere la noia infinita delle giornate, cercavano un impegno, un traguardo da raggiungere. Pensavano di trovarlo nel teatro. Loro, che in un teatro non erano mai entrati. Conoscevano Eduardo De Filippo perché erano in maggioranza napoletani e avevano visto qualche vecchia commedia in Tv. Volevano portare in scena Napoli milionaria, forse il dramma più intenso del grande Eduardo. Non era facile. C’erano difficoltà giuridiche, organizzative, materiali, per non parlare di quelle artistiche. Comunque io accettai di dare una mano senza pensarci troppo su. Eravamo in una stanza di pochi metri quadri ed ero stato catapultato direttamente dentro quella stanza sbarrata fra condannati di mafia e di camorra. Non che avessi paura. Ma chi, nella vita, può immaginare di essere immerso in una simile irrealtà? Eduardo, Napoli, Rebibbia. Il mio racconto, ancora oggi, è confuso come il sentimento fortissimo di quella prima prova teatrale. Mi parve un capolavoro. In quell’incontro, non so dire se vidi più vita o più teatro. Come cambiano le modalità di lavoro da “dentro” a “fuori” il carcere?

Il carcere è un luogo spaventoso e, per quanta scorza tu abbia, cambia il tuo modo di essere e di lavorare. Provare uno spettacolo per mesi e mesi assieme agli attori detenuti, coinvolge la sensibilità in modo totale e l’analisi del percorso teatrale rischia sempre di scivolare verso l’autoriflessione. Mi aiuta una metafora di Pirandello, quella che definisce i personaggi del suo teatro “maschere nude”. È quanto di più vicino all’idea che mi sono fatto di un uomo detenuto. A Rebibbia credo di aver conosciuto maschere nude e per poterle

incontrare mi sono dovuto adeguare, provando a denudare la mia. È qualcosa che nel quotidiano, con il nostro prossimo, solitamente non si fa. Che non si sa nemmeno di poter fare. E che invece può cambiare la percezione di sé e del proprio rapporto col teatro, col cinema, col mondo.

Come si può far avvicinare i carcerati al teatro e che riscontro ottiene da parte loro?

A loro dico che, salendo sul palcoscenico, si esporranno al rischio estremo. Loro, che sempre hanno cercato di sfuggire tribunali e sentenze, andranno in cerca del “giudice naturale” dell’artista:

colo di fuori. Uscire dalle pagine della cronaca nera per entrare in quelle dello spettacolo è una trasformazione radicale della percezione di sé. La “setta dei carcerati” si è trasformata nella “setta dei teatranti”.

Da qualche anno all’interno del Rebibbia Festival si svolge “Il cabaret dei somari”. Ci racconta il progetto?

il Pubblico (e io li seguo in questa sorte). In quasi tutti i racconti dei miei attori, il momento del debutto è il più emozionante di tutta la vita. Dietro le quinte, quando si apre il sipario, vivono lo sgomento assoluto. Solo un’organizzazione ferrea, uno spirito di gruppo formidabile, una solidarietà senza limiti, fanno sì che quello sgomento venga contenuto dentro una forma. Allora il terrore del palcoscenico può trasformarsi in un successo che dà senso a mesi e mesi di fatica. Dopo il primo debutto ci si prepara alla prossima sfida. Dovranno parlarne i compagni di cella (i non attori), gli agenti della Polizia penitenziaria, il direttore, i familiari. Dovrà parlarne la stampa. Si andrà a cercare il proprio nome sul pezzo pubblicato e se il critico avrà citato solo il compagno di scena, sarà la delusione. Esattamente come accade nel sistema dello spetta-

Ho girato alcuni film a Rebibbia negli ultimi anni. Una volta un produttore mi disse: «In questa scena si ride, meglio evitare, siamo in carcere…». Dopo qualche discussione, quella scena che faceva sorridere lo spettatore venne tagliata. In seguito, parlando del problema del tabù della risata con i miei detenuti-attori, decidemmo di rischiare il tutto per tutto: fare il Cabaret a Rebibbia. Diciamo che ci siamo presi una pausa dalla narrazione del dolore. Un’orchestra, canzoni, scene comiche. È andata bene: 1.500 spettatori, sempre tutto esaurito. E l’anno prossimo rilanciamo con Arlecchino servitore di due Padr(i)ni, ispirato a Carlo Goldoni. Ma prima, il 23 dicembre 2023, saremo al Teatro Argentina di Roma con uno spettacolo in trasferta da Rebibbia: La Formula di Grübler, scritto e diretto da Laura Andreini, presidente del Centro Studi “Enrico Maria Salerno” che cura i progetti in carcere.

È cambiato qualcosa dall’inizio delle sue attività nelle carceri ad oggi? Vent’anni fa era impensabile l’idea di portare 25 attori-detenuti nel più importante teatro romano per una serata istituzionale ma anche popolare. Eppure, dopo il successo di Cesare deve morire, siamo riusciti a farlo. Poi è arrivato il Covid. Ora si ricomincia, e mi pare di vedere che le Istituzioni ci sostengono. La Polizia penitenziaria ci sostiene. Avanti così.

Per informazioni: Centro Studi “Enrico Maria Salerno”

www.centrostudienricomariasalerno.it

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AVERE FEDE IN CARCERE UNA RISORSA CHE SALVA

nanzitutto persone che hanno vissuto un evento segnante. Bisogna liberare la mente dall’idea che sono in carcere, altrimenti il rapporto è condizionato dai pregiudizi. E poi, che siano cristiani o meno, mi impegno ad essere vicino a tutti materialmente o, se lo richiedono, anche con l’ascolto e i consigli.

La fede può trasformare l’esperienza del carcere?

Dal 1975 la legge italiana riconosce alle persone detenute la libertà di praticare la propria fede in carcere. Qui i ministri di culto possono entrare grazie ad intese tra lo Stato e la confessione di appartenenza o, in assenza, con un nulla osta ad personam dell’ufficio Culti del Ministero dell’Interno. Per i cristiani c’è un cappellano in ogni istituto. Abbiamo incontrato quello di Regina Coeli, padre Vittorio Trani, che lavora lì dal 1978, anno in cui ha fondato anche il centro VO.RE.

CO. - Volontari Regina Coeli - con cui offre sostegno materiale e spirituale ai detenuti e alle loro famiglie.

Chi sono le persone detenute a Regina Coeli?

Molti sono immigrati, alcuni vengono dalle periferie, altri sono tossicodipendenti. Ci sono recidivi o persone che non hanno famiglia e delinquono. La maggior parte ha tra i 18 e i 45 anni.

Sono religiose?

Alcune no; altre hanno una fede sopita che si riaccende in carcere, quando restano sole con se stesse dopo aver perso tutti i punti di riferimento. Ci sono cristiani, musulmani, indù, buddisti, testimoni di Geova, protestanti. Ognuno ha un rappresentante; c’è attenzione e rispetto per ogni espressione di culto.

Di cosa hanno bisogno i detenuti?

Molti sono poveri e tramite il centro VO.RE.CO. diamo loro vestiti e prodotti igienici per il quotidiano. A chi non è italiano garantiamo una chiamata al mese a casa. Poi ci sono i bisogni spirituali: i ragazzi sono assetati di amore e di attenzione. Sin da quando arrivano hanno bisogno di parlare. Mi raccontano ogni giorno timori e speranze. Prima si sfogano,

È “la” risorsa in più. I ragazzi sono soli, arrivano da contesti in cui non hanno ricevuto amore. Con la fede colmano il vuoto e la sfiducia perché scoprono di essere importanti e unici. Come comunica con gli stranieri?

Lavoro con persone che sanno l’inglese, il francese, il portoghese, lo spagnolo. Può capitare che arrivi qualcuno originario del Kurdistan o della Cina e che parli solo il dialetto locale,

poi inizia il dialogo vero in cui si parla di responsabilità. Infine, può arrivare la conversione, ossia il recupero dei valori, tra cui la fede. Dopo aver perso tutto, i ragazzi riscoprono l’amore e imparano il perdono. Come si rivolge ai detenuti? Con rispetto e con il sorriso. Sono in-

ma anche in questi casi riusciamo a trovare un interprete.

Fuori dal carcere, le persone restano in contatto con lei?

Sì, spesso mi mandano lettere. Molti, però, una volta fuori, vivono una forma di rifiuto verso il carcere e tutto ciò che ha a che fare con questo mondo.

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L’assistenza religiosa può aiutare i detenuti a connettersi con i propri bisogni spirituali e ad affrontare con consapevolezza e speranza il percorso carcerario. A raccontarlo è padre
Vittorio Trani cappellano di Regina Coeli dal 1978
Padre Vittorio Trani, cappellano della Casa circondariale “Regina Coeli” di Roma da oltre quarant’anni

Primo piano

blemi di ordine psichiatrico che non trovano strutture intermedie a fare da controllo e da supporto. Non funzionano più altri sistemi di regolazione sociale a cominciare dall’istruzione. Non è pensabile che nel carcere ci siano persone che non hanno l’obbligo scolastico, abbiamo ancora analfabeti dentro le carceri e questo fa diminuire la possibilità di trovare un lavoro. Sono vite su cui bisognava e bisogna intervenire. Quale potrebbe essere la soluzione?

Mauro Palma, Presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale svela lo stato di salute delle carceri italiane

«Occorrono strutture sociali di supporto»

Quarantasette suicidi dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane. Un dato drammatico che racconta sofferenza, disagio e disperazione. Qual è lo stato di salute dei penitenziari del nostro Paese? Lo abbiamo chiesto a Mauro Palma che dal 2016 - anno di istituzione della carica - è Presidente del garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Alla fine degli Anni ’80, Palma ha fondato l’Associazione Antigone ‘per i diritti e le garanzie nel sistema penale’. Nel 2014, è stato eletto Presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell’e -

secuzione penale del Consiglio d’Europa.

Oltre al sovraffollamento e all’arretratezza strutturale degli istituti, cosa raccontano, oggi, le carceri italiane?

Intanto, va detto che negli anni recenti si è accentuata una connotazione di minorità sociale, i detenuti provengono più dalla povertà che dalla criminalità. Basti pensare che in Italia sono circa 4mila le persone condannate a una pena inferiore ai due anni, circa 1.500 le persone condannate a una pena inferiore a un anno. Parliamo, quindi, di reati minori che appartengono al disagio sociale, alla tossicodipendenza. Si tratta, inoltre, di persone con pro-

L’investimento in altre strutture territoriali che siano di controllo ma anche di supporto, in caso di pene brevissime. Bisogna evitare che il tempo speso in carcere sia un tempo vuoto, quindi, investire su attività formative che siano spendibili per i detenuti e che gli permettano di trovare un lavoro. Il carcere, oggi, pensa sempre a come far trascorrere il tempo qui e oggi piuttosto che domani e fuori. Le segnalazioni che arrivano ai suoi uffici?

I detenuti lamentano la grande carenza dei legami con la famiglia. Durante il periodo Covid (quando le visite in carcere erano sospese ndr), sono state concesse le videochiamate ma con la fine della pandemia vengono progressivamente tolte.

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«IN CARCERE PIÙ POVERI CHE CRIMINALI»
Mauro Palma, Presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale

L’ODISSEA DI UNA VITA SENZA GLUTINE

Quindici anni fa ho scoperto di essere celiaca e da allora lotto contro la disinformazione La recente approvazione della legge per lo screening sistemico di celiachia e diabete nella popolazione pediatrica è una buona notizia

«Mi dispiace, non posso garantire che non ci sia stata contaminazione». È la frase che mi sento dire spesso quando chiedo piatti senza glutine. Già, perché mangiare senza glutine può sembrare una moda, un capriccio, ma per noi celiaci, invece, la vita fuori casa diventa un’odissea. Non si tratta solo di scegliere cibi senza glutine, si tratta di essere certi che quello che mangiamo non sia stato contaminato da farine e derivati.

È abitudine di ogni celiaco portarsi dietro qualcosa di confezionato: frutta, un pacchetto di crackers o di pane da accompagnare con altro. Eppure, adesso rispetto a qualche anno fa, il gluten free (senza glutine) è molto più cono-

sciuto e tante attività hanno una buona offerta. Un grande lavoro ha fatto - e continua a fare - AIC (Associazione Italiana Celiachia) che diffonde consapevolezza e regole per la sicurezza dei celiaci. Se un ristorante, un negozio, un rivenditore espongono il simbolo della spiga barrata o il logo dell’AIC, si è certi di trovare alimenti senza glutine. Mangiare fuori casa, spesso, è un’odissea. Dobbiamo rispondere a domande tipo “Che grado di celiachia ha?”, “Lei è celiaca poco o molto?”, per citare alcuni esempi. E per quanto questo scritto non sia un trattato medico, lo dico subito, non esistono gradi di celiachia, si può essere sintomatici o asintomatici ma questa è un’altra storia e ascoltare queste domande fa capire quanta

disinformazione ci sia. Fare colazione al bar è complicato perché è più semplice trovare cornetti vegani che senza glutine, ma essere vegani è una scelta, celiaci no. Affrontiamo una battaglia quotidiana e diffondere consapevolezza è il nostro compito.

Ma che cos’è il glutine che tanto ci complica le giornate? È una proteina contenuta in alcuni cereali (frumento, orzo, farro e segale i più comuni), ma anche in altri alimenti confezionati e non subito riconducibili ai cereali. Il primo passo, dunque, è eliminare il glutine, poi ci aspetta il passo successivo: stare attentissimi alle contaminazioni, quando cioè anche il cibo che possiamo mangiare viene manipolato non correttamente, conservato o cotto dove sono stati

Storie

Storie conservati o cotti cibi che invece contengono glutine. È forse questa la parte più complicata da gestire perché spesso le persone con celiachia vengono viste come schiave di un’apprensione esagerata: non è così, se non ci sono sintomi palesi non vuole dire che non stiamo male. Siamo tutti un po’ Sherlock Holmes davanti al cibo: alla ricerca degli ingredienti come un investigatore.

Così ho scoperto la celiachia

Non è stato facile accettare la mia nuova condizione: l’ho vissuta come un limite alla quotidianità, una mancanza di libertà di scelta di luoghi. Insomma, mi è mancata la “normalità”. Ho scoperto quindici anni fa la celiachia. Non è stato facile, avevo vari malesseri, prima solo sulla pelle, poi è arrivato una sorta di prurito interno misto a bruciore sottocutaneo. Sono comparse bolle, croste e poi i sintomi classici (crampi, gonfiore, nausea). Dopo tante visite e due biopsie, siamo arrivati al bandolo della matassa: la ‘Dermatite Erpetiforme di Duhring’. Sì, un nome complesso per una malattia penserete, ma confesso che ascoltarlo mi ha fatto sorridere perché mi ha ricordato la dinastia del popolo di nani di Durin del celebre film fantasy Il Signore degli Anelli. Tuttavia, non c’è stato un collegamento immediato con la celiachia e ancora dopo cure sbagliate, è stato stabilito che fosse la forma più rara della celiachia, quella della pelle. Ho dovuto studiare per imparare a riconoscere il mio nemico, perché l’unica cura per la celiachia è l’eliminazione del glutine dalla dieta. Era arrivato il momento dei saluti tra me e lui, ma soprattutto l’addio a tutti i cibi che da sempre avevo dato per scontato, perché noi italiani, si sa, siamo cresciuti a pane, pasta e pizza. Non avevo mai ragionato, prima di allora, sul legame che avevo col cibo e sui ricordi che a esso mi legavano. Pensiamoci, molti dei nostri ricordi sono legati ad una

cena tra amici, ai pranzi in famiglia, al cibo scoperto durante i viaggi in terre lontane e straniere.

Quando diventa un disagio sociale Se i disagi fisici causati dalla celiachia possono essere risolti con l’attenzione alimentare, più difficile è superare le barriere sociali, uscire con gli amici,

permette di muovermi liberamente e grazie all’app di Google Maps ho creato varie cartelle, ognuna con i locali di ogni città. Esistono diversi gruppi dedicati al gluten free sui social network, ci scambiano consigli e recensioni sui locali: sapersi organizzare e giocare d’anticipo è fondamentale per godersi il viaggio quando si è celiaci.

vivere momenti di spensieratezza. Mangiare è socialità, condivisione e spesso ricevere un invito per un pranzo, un compleanno o qualsiasi altra occasione potrebbe far nascere ansia e senso di inadeguatezza soprattutto nel momento della rinuncia delle pietanze ‘proibite’ oppure dal timore di ingerire del glutine inavvertitamente. Più volte mi è capitato di pensare, soprattutto all’inizio, “Sono una guastafeste” perché capita che ti chiedano di scegliere un luogo dove poter mangiare senza glutine, cosa che può mettere a disagio sia chi ci ha invitato che noi. Dopo lo sconforto iniziale, ho deciso però che la celiachia non mi avrebbe fermata e avrei continuato a viaggiare come prima, solo più organizzata e consapevole. Prima di partire preparo un programma degli spostamenti, segno nomi e indirizzi di locali così da avere più opzioni durante il tragitto. Questo mi

La mia battaglia contro la disinformazione

La celiachia e la vita sociale alle volte faticano ad andare a braccetto e ci si può trovare isolati e incompresi. Capiterà di incontrare persone disinteressate, amici che faticano a capire, ristoratori inconsapevoli ma ci sono e ci saranno anche amici che sostengono e persone sensibili. La mia condizione è faticosa, con calma e pazienza cercherò di diffondere informazione e consapevolezza su questa malattia e piano piano anche la sensibilità aumenterà. Recentemente è stata approvata - per la prima volta nel mondo - la legge sullo screening sistemico di celiachia e diabete I della popolazione pediatrica (1-17 anni). Prevede numerose campagne periodiche d’informazione e sensibilizzazione a cura del Ministero della Salute. È una buona notizia, con la speranza che, finalmente, ci sia informazione.

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Se nell’intimità le cose non funzionano bene, questo può essere un peso per molti. Oltre all’avanzare dell'età, anche lo stress, la stanchezza o una dieta poco sana possono portare ad un calo del desiderio sessuale. Scopri Neradin: il prodotto speciale per gli uomini (in libera vendita, in farmacia)!

Le difficoltà legate alla sfera sessuale rappresentano ancora un argomento tabù. L’allentamento delle funzioni o delle prestazioni sessuali rappresenta però un processo naturale. Con l’avanzare dell’età si verificano cambiamenti biologici e fisiologici degli ormoni, dei nervi e della circolazione sanguigna. Anche lo stress della vita di tutti i giorni, la stanchezza e l’ansia da prestazione svolgono un ruolo significativo.

Cos’è importante per una sana funzione sessuale?

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La forza del doppio complesso vegetale: damiana e ginseng La damiana è considerata un vero e proprio ingrediente segreto. Era già usato dai Maya come rinvigorente contro la stanchezza e come afrodisiaco, così come il ginseng che è tradizionalmente conosciuto come tonico. In Neradin, un estratto di alta qualità di ginseng rosso viene combinato con la damiana in un dosaggio speciale per gli uomini. E non è tutto! Neradin contiene anche altri micronutrienti utili per gli uomini.

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volta, contribuisce alla normale funzione muscolare e al normale funzionamento del sistema nervoso. Il sistema nervoso è responsabile nel nostro corpo della percezione e della trasmissione degli stimoli, compresi quelli sessuali. Neradin contiene anche selenio per la normale spermatogenesi.

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A GORIZIA ARRIVA

LA PANCHINA DELL’ASCOLTO

Ha debuttato a Gorizia, lo scorso 6 settembre, nella centrale via Rastello, la Panchina dell’ascolto: un posto in cui sedersi per liberare la mente dai pensieri quotidiani nemici della serenità, come disaccordi familiari, critiche politiche, contrasti con il prossimo. Oppure semplicemente per una chiacchierata tra amici, sapendo di trovare una persona disposta all’accoglienza, senza pregiudizi o commenti non desiderati.

L’iniziativa, ideata dal presidente provinciale Enzo Comelli, è realizzata dal Gruppo Cabaret Goriziano, di cui Comelli fa parte. Un team collaudato,

di Redazione

perfettamente integrato nel welfare e nel tessuto cittadino goriziano che, dopo essersi occupato di beneficenza, di intrattenimento per i più piccoli e di visite agli ospiti nelle Rsa, ha scelto di combattere la solitudine rilanciando lo strumento del dialogo. Una missione sociale, con un motto riassunto efficacemente nelle parole del Presidente Comelli: «La Panchina è il luogo dove chiunque abbia qualcosa da dire su qualsiasi argomento troverà sempre qualcuno disposto ad ascoltare le sue riflessioni».

A tale proposito, è importante ribadire che chiunque si siederà sarà ascoltato

senza che alle sue parole seguano commenti o osservazioni, se non esplicitamente richiesti. L’iniziativa di Gorizia bene si inserisce nel contesto della società attuale, non più basata - come un tempo - sul nucleo familiare e sulle reti di carattere politico o religioso (circoli e parrocchie), e per questo caratterizzata da una particolare solitudine, spesso non desiderata. La Panchina dell’ascolto, concepita in questo senso, è anche un modo di “fare cultura”, di richiamare l’attenzione sul bisogno di rivedere i modelli sociali e familiari. Per il momento il servizio sarà disponibile tutti i mercoledì di ogni mese, dalle ore 17.00 alle ore 18.00, in via Rastello, accanto alla statua di Carlo Michelstaedter. Il filosofo goriziano, figura di spicco del ’900, il cui pensiero culmina in un richiamo alla dimensione comunitaria, e che a proposito dell’esistenza scrisse: «Ogni suo attimo è un secolo della vita degli altri, finché egli faccia di sé stesso fiamma e giunga a consistere nell’ultimo presente».

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Buone pratiche 50&Più
L’iniziativa sociale promossa da 50&Più Gorizia ha l’obiettivo di essere accanto agli altri con discrezione e ‘fare cultura’
La Panchina dell’ascolto in via Rastello, nel giorno dell’inaugurazione

Hai problemi di memoria?

QUESTE COMPRESSE

Quando sei di fretta perdi di vista l’essenziale e arrivi a dimenticarti persino i nomi delle persone. Migliaia di persone sono affette da perdita di memoria legata all’età, ma oggi esistono le compresse naturali Clear Brain™ che ti aiutano a mantenere una buona funzione celebrale.

Una vera innovazione

Clear BrainTM, basato su nutrienti essenziali per il cervello, (noci, melograno, corteccia di pino, vitamine, minerali) aiuta a migliorare le prestazioni mentali e le funzioni cognitive come memoria, attenzione e concentrazione.

I risultati degli scanner sul cervello*

Clear BrainTM è ricco di L-teanina, un aminoacido. Gli scanner mostrano molto chiaramente che l’attività delle onde cerebrali aumenta entro un’ora dall’assunzione della compressa. Nelle zone rosse (attive) notiamo le aree celebrali della memoria e della concentrazione. In confronto possiamo distingue le zone in blu, inattive, nelle persone che hanno assunto un placebo (una compressa senza principio bioattivo).

Noci e cervello

La noce ha un aspetto che ricorda il cervello umano e contiene molti nutrienti essenziali per il corretto funzionamento di questo organo. Diversi studi scientifici hanno dimostrato che il consumo di noci favorisce una buona memoria grazie a una doppia azione di protezione antiossidante e al miglioramento della circolazione sanguigna nel cervello.

Ho ritrovato fiducia in me stessa

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Ruth si sta godendo il suo pensionamento. “Sono sempre riuscita a mantenere il controllo, ma un giorno ho notato che non avevo più le idee chiare. È diventato difficile affrontare la quotidianità. Non ricordavo più dove stavo mettendo le mie cose e stavo perdendo fiducia in me stessa. Ora prendo le compresse di Clear Brain™ ogni giorno”.

Posso godere della compagnia dei miei amici “È molto importante per me mantenermi attiva, affrontare i problemi quotidiani, divertirmi con i miei nipoti, prendermi cura del mio giardino e giocare a carte con i miei vicini. Voglio rimanere attiva senza perdere il controllo o sentimi confusa o stanca. Non sono il tipo di persona che sta seduta tutto il giorno a guardare la TV; voglio uscire e godermi la mia famiglia e i miei amici”.

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DIETRO LE QUINTE DI IMMAGINA 2023

Testimonial della 29ª edizione dei giochi olimpici, Raffaello Leonardo campione del mondo di canottaggio

a cura di Redazione

Si è svolta nella splendida cornice della Riserva di Stornara la terza edizione di Immagina, uno dei grandi eventi promossi dall’Associazione 50&Più. Dal 10 al 18 settembre, circa 700 soci si sono dati appuntamento a Castellaneta Marina per le Olimpiadi dedicate agli over 50. «Appuntamenti come questi dimostrano il desiderio di vivere momenti all’insegna dello sport, in una competizione sana che mette insieme l’amicizia - che ormai ci lega da anni -, il divertimento e la solidarietà», ha detto Carlo Sangalli, presidente nazionale 50&Più a margine dell’evento.

29ª edizione Olimpiadi 50&Più

Sono 513 gli aspiranti atleti over 50, provenienti da ogni parte d’Italia, che quest’anno si sono cimentati nelle diverse discipline olimpiche a Castellaneta Marina. 297 atlete e 216 atleti si sono sfidati in gare di nuoto, freccette, bocce e ancora arco, tennis, marcia, maratona, ping-pong e basket. Alle Olimpiadi 50&Più - edizione 2023 - è tornato il Walking football e, questa volta, con un torneo. Si è tenuta, inoltre, una esibizione di mamanet, lo sport che unisce pallamano e pallavolo, nato in Israele e dedicato alle donne over 35, che - da qualche anno - sta guadagnando sempre più

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Eventi
Amref Italia partner dell’evento promosso dall’associazione 50&Più

consenso anche in Italia. Lo spirito di squadra e una sana competizione sportiva hanno accompagnato i soci anche fuori dagli spazi dedicati alle gare. A vincere la coppa degli assoluti donna è stata Mirella Trotti di Sondrio con 88 punti. Si è aggiudicato, invece, la coppa degli assoluti uomini Massimo Bernasconi di Bergamo con 100 punti. La Puglia vince il trofeo per il maggior punteggio ottenuto a livello regionale. Tra gli atleti in gara, ricordiamo i partecipanti più longevi: Rosa Pirani e Mirella Uberini, entrambe di Milano e classe 1931, e Nando Nardis di Belluno, nato nel 1930. A Immagina 2023 anche il torneo di burraco che ha visto salire sul gradino più alto del podio Adolfo Do e Caterina De Giorgi di Lecce. Largo alla danza con la consueta gara di ballo, vinta quest’anno dalla coppia formata da Giulio Rocco Castello, presidente 50&Più Salerno, e sua moglie Sofia Palumbo.

Cultura, cinema e musica

A Immagina anche momenti dedicati alla cultura, al cinema, alla musica: tutti gli appuntamenti hanno avuto lo sport come filo conduttore. Testimonial delle Olimpiadi 50&Più -edizione 2023Raffaello Leonardo, campione del mondo di canottaggio che nel 2005 ha vestito la maglia di capitano della nazionale italiana. L’ex atleta ha raccontato, in un appuntamento dal titolo ‘Memorie olimpiche’, gli anni del suo impegno sportivo e ha spiegato: «È importante accettare la sconfitta perché anche le sconfitte insegnano, si impara qual-

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Gli atleti della provincia di Lecce, vincitori della sfida a squadre di questa edizione Carlo Sangalli presidente nazionale 50&Più Sopra, da sinistra, i vincitori degli assoluti donne e uomini Mirella Trotta e Massimo Bernasconi In alto, Raffaello Leonardo campione del mondo di canottaggio e testimonial delle Olimpiadi 50&Più

cosa di utile per le sfide successive, anche per quelle sfide che non sono strettamente legate allo sport e riguardano tutti gli aspetti della vita». Spazio anche al cinema con il critico cinematografico Flavio De Bernardinis che ha tenuto un incontro dal titolo ‘Cinegame. Cinema e sport’. Tra gli appuntamenti serali, Marino Bartoletti e il Duo Idea: il giornalista sportivo e autore televisivo ha presentato uno spettacolo dedicato al Giro d’Italia dal titolo ‘Zazzarazzaz

Pedalando nella storia’.

Amref partner dell’evento

Per la prima volta, 50&Più e Amref insieme per la salute dell’Africa. Le due associazioni - da anni impegnate nella tutela dei diritti seppure in ambiti diversi - hanno siglato una partnership per sostenere le comunità più fragili del continente africano: donne e bambini. Roberta Rughetti, vicedirettrice di Amref Italia: «È un onore e un piacere essere ospiti di una realtà come 50&Più, che si spende ogni giorno per il benessere dei propri soci. A Immagina abbiamo incontrato un pubblico che condivide i nostri stessi valori. Lo sport, mezzo eccezionale per unire le persone e promuovere l’inclusione sociale, ha contribuito in modo significativo a rafforzare la collaborazione tra le nostre due organizzazioni. Oggi, più che mai, è cruciale parlare di salute in Africa e impegnarci in prima persona per costruire insieme un futuro più equo per tutti. Ogni singolo contributo, ogni conversazione come questa, ci porta un passo più vicini al nostro obiettivo di garantire che ogni persona in Africa possa accedere a cure mediche di qualità e godere di una vita sana e prospera».

I commenti

A margine dell’evento, Carlo Sangalli, presidente nazionale 50&Più, ha commentato: «Le Olimpiadi 50&Più rappresentano ormai da anni un’occasione di incontro e di socialità. Un’opportunità per chi - come noi - vive ogni gior-

Sopra, da sinistra, Carelle Djiogap e Fatima Aroubi, giocatrici della squadra ‘pallamano Cellini’, testimonial Amref In alto, un momento dell’incontro con Roberta Rughetti vicedirettrice Amref Italia

no tenendo bene a mente i sani principi di lealtà e correttezza. Gli stessi che mettiamo in campo quando gareggiamo perché lo sport e le sue regole non sono altro che il riflesso delle nostre vite. Con gli anni, l’approccio allo sport cambia ma continuano ad essere costanti l’impegno e la passione: è così che si diventa campioni di fairplay». Ha aggiunto: «C’è una frase di Nelson Mandela, “Io non perdo mai, o vinco

o imparo”, che rappresenta la nostra associazione. L’augurio è di continuare a imparare per raggiungere l’obiettivo che caratterizza la 50&Più, andare avanti e avere la possibilità di aiutare non solo figli e nipoti ma dare un contributo a questo Paese in cui crediamo e a cui vogliamo bene. Resta importante, dunque, il nostro impegno con le istituzioni, con le associazioni di settore e con la società civile, affinché i diritti delle persone anziane vengano rispettati, garantiti e implementati». Gabriele Sampaolo, segretario generale 50&Più, ha detto: «Immagina 2023 è stato un grande successo. La partecipazione, l’entusiasmo e il sano spirito di competizione hanno reso assolutamente incredibile questo evento. Le nostre iniziative - da sempre - raccontano una storia di condivisione e di amicizia, nata tanto tempo fa. Una storia vincente che il prossimo anno compie mezzo secolo di vita. Più ricchi e più carichi ripartiamo da qui e guardiamo al 2024, al cinquantenario della nostra Associazione: sarà una bella festa, trionferanno i diritti della terza età».

www.spazio50.org | ottobre 2023 66
Eventi
Segretario generale 50&Più Gabriele Sampaolo Marino Bartoletti, giornalista sportivo e autore televisivo

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LA CEFALEA OFTALMICA

CAUSE E POSSIBILI SOLUZIONI

La cefalea, definita comunemente ‘mal di testa’, è uno tra i disturbi più diffusi ed invalidanti. Inizia normalmente con una sensazione di dolore a livello del cranio che però si può presentare sotto varie forme. Può essere localizzato o diffuso, pulsante o fisso, oppure accompagnato da altri sintomi (come vomito, nausea, febbre, vertigini, aumento della lacrimazione e fotofobia, a volte anche

difficoltà linguistiche). Questo stato di malessere può durare pochi minuti ma può affliggere chi ne soffre anche per diversi giorni. Si distingue in una forma cronica, che si presenta ad intervalli ravvicinati e regolari, oppure, nella migliore delle ipotesi, soltanto sporadica con intervalli molto lunghi tra un attacco e l’altro.

Il dolore della cefalea compromette notevolmente la qualità di vita di chi ne è affetto e obbliga spesso al riposo

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Un disturbo che può dipendere dall’occhio ma può celare altre cause più nascoste
Salute
di Alessandro Mascia

lontano da fonti luminose e rumori nel tentativo di alleviare l’intensità dei sintomi.

Una tra le forme più comuni è la ‘cefalea oftalmica’ ossia quella che coinvolge come causa o come sintomo anche il sistema visivo.

Può essere di origine genetica oppure vascolare, a volte di difficile interpretazione e diagnosi. Spesso la ‘cefalea oftalmica’ può dipendere da un difetto visivo non corretto con occhiali da vista (tipo miopia, ipermetropia o astigmatismo) ma può anche dipendere dalla cataratta. Può essere legata a fattori come l’ipertensione, l’ipoglicemia, alterazioni dei livelli ormonali, lo stress, ma anche la scarsa qualità del sonno oppure le alterazioni della postura. Anche l’irritazione del nervo trigemino può essere alla base della ‘cefalea oftalmica’. Può inoltre dipendere da un disturbo di origine vascolare ma anche dall’eccessiva e costante tensione dei muscoli del cranio ed in particolare dei muscoli preposti alla masticazione. Si parla di ‘cefalea primaria’ quando alla base del dolore si identificano cause dipendenti dalla regione cerebrale. Prende invece il nome di ‘cefalea secondaria’ nel caso derivi da patologie di altri organi o sistemi. La ‘cefalea oftalmica’ è caratterizzata da un forte mal di testa associato a disturbi visivi, che anticipano l’inizio del dolore, ed in questo caso si parla di ‘cefalea oftalmica con aura’. Il dolore spesso inizia sopra o dietro gli occhi. Si possono manifestare appannamento della vista, visione di flash o lampi nel campo visivo (fotopsie), per una durata media che va dai 5 ai 20 minuti, ma per fortuna di rado può arrivare ai 60 minuti. Nella migliore delle ipotesi la cefalea di origine oculare può essere risolta correggendo il vizio visivo con l’ausilio di occhiali da vista o lenti a contatto, oppure grazie all’interven-

to chirurgico con l’utilizzo del laser. Se invece la causa non è legata al semplice deficit visivo, per le cefalee che presentano alla base una alterazione posturale (del sistema muscolo-scheletrico e dei sistemi fasciali che sostengono il corpo) che implica uno stress meccanico a carico del cranio e degli occhi, la fisioterapia può essere di grande aiuto. Gli adattamenti oculari sono i primi ad intervenire in presenza di uno squilibrio posturale in quanto devono garantire sempre “l’orizzontalità dello sguardo”. In questi casi la cefalea può dipendere dal continuo lavoro di adattamento degli occhi (in particolare dei muscoli oculomotori), necessario per stabilizzare la visione binoculare e la messa a fuoco. I trattamenti di rieducazione posturale individuale risultano essere particolarmente utili per ristabilire un equilibrio muscolare e fasciale più armonico. Alla base può anche essere

presente una scoliosi che costringe la colonna cervicale ad un adattamento, in inclinazione e rotazione della testa, dei muscoli del collo e degli occhi a stress adattativi che possono di conseguenza innescare queste fastidiose cefalee.

Disturbi gastrointestinali, sovrappeso, ipotonia o astenia, possono aumentare la tensione di strutture fasciali interne al cranio al punto tale da creare una costante condizione di trazione e tensione che può determinare l’insorgenza della ‘cefalea oftalmica’. Sulla tensione degli elementi di tessuto connettivo (chiamate membrane intracraniche) l’osteopata può ridurre queste restrizioni di mobilità grazie al trattamento cranio-sacrale, viscerale e strutturale. Sempre in fisioterapia anche il trattamento delle articolazioni temporo-mandibolari è spesso indispensabile per la riduzione della sintomatologia dolorosa.

SE LA CAUSA È NEL CUORE

È possibile che alla base della “cefalea oftalmica con aura” (ossia il mal di testa associato a disturbi della vista) possa esserci una causa dipendente da una anomalia cardiaca. Si chiama “forame ovale pervio” ed è una condizione spesso misconosciuta presente addirittura nel 25% della popolazione. In questi soggetti è presente un foro che mette in comunicazione i due atri del cuore. Normalmente questo foro dovrebbe chiudersi spontaneamente dopo la nascita ma per una persona su quattro questo non avviene. Il cardiologo, grazie ad alcuni esami specifici, può accertare questa anomalia congenita definendola come responsabile degli episodi di cefalea oftalmica. È sufficiente un piccolo intervento mininvasivo (per via endovascolare dall’arteria femorale) per chiudere questo forame con l’impianto di una piccola protesi e risolvere definitivamente queste invalidanti cefalee.

ottobre 2023 | www.spazio50.org 69

LA SALUTE DELLE OSSA INIZIA DALLA PREVENZIONE

Lo scheletro gioca un ruolo fondamentale per il nostro benessere sorregge, protegge, si rinnova. È importante, quindi, mantenere le ossa in salute, a cominciare dalla pratica di una buona attività fisica

Senza, non potremmo mantenere una posizione eretta, muoverci, mantenere l’equilibrio; e i nostri preziosi organi interni resterebbero indifesi. Parliamo dello scheletro, l’impalcatura che regge il corpo umano e che tanto può influire sul benessere e sullo stato di salute generale. Vediamo come.

Basta pensare all’ultima volta che abbiamo sbattuto un gomito o un ginocchio contro uno spigolo: le ossa sono - fortunatamente - parti del corpo dure e resistenti. Ma sbaglierem-

mo a pensare che siano tessuti statici e immutabili, tutt’altro: nel corso della vita si modificano, riparano e rinnovano continuamente. Con il cosiddetto rimodellamento osseo (o turnover) l’osso sostituisce il tessuto vecchio con quello più giovane, attraverso un processo ciclico di genesi e riassorbimento, in un continuum che ha l’obiettivo di mantenere l’osso sano. Potrà sembrare sorprendente, ma ogni anno il nostro scheletro rinnova circa un decimo della sua massa. E nel tempo deve fronteggiare una serie di rischi e di patologie.

Senza considerare le patologie congenite, le più comuni minacce alla salute delle ossa sono gli eventi traumatici, come le fratture, le condizioni infiammatorie, come l’artrite nelle sue varie forme, e l’osteoporosi. Quest’ultima è dovuta a molti fattori, ma è strettamente connessa all’età. È la più comune fra le malattie delle ossa e si manifesta con un loro indebolimento. Più precisamente, si assiste ad una riduzione progressiva e all’impoverimento della massa ossea. Questo comporta fra l’altro un aumento del rischio di fratture, che

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Salute

spesso sono proprio il primo segnale di una patologia che si è andata evolvendo in modo silente. L’osteopenia è una condizione in cui la perdita di densità ossea è meno marcata rispetto all’osteoporosi. Entrambe queste condizioni possono essere diagnosticate con esami ad hoc suggeriti dal medico curante.

Che cosa provoca l’osteoporosi? Ci sono persone più a rischio di altre e condizioni predisponenti, ma in tutti gli individui i processi di crescita e riparazione dell’osso rallentano con l’età. Entro i 20 anni le nostre ossa smettono di crescere e a partire dai 35 anni inizia a ridursi la quantità di sali minerali nell’osso. Per le donne questo processo è accelerato dalla menopausa e dalla carenza di estrogeni (nel primo periodo dopo la menopausa nel rimodellamento si assiste a una perdita del 2-3% l’anno, che interessa soprattutto la parte interna dell’osso). Sarebbe però un errore considerare l’osteoporosi un problema solo femminile. Secondo la Società italiana dell’osteoporosi (Siomms), dopo i 65 anni, il problema riguarda una donna su quattro contro un uomo su 10. Negli uomini si manifesta più tardi, mediamente dopo i 65, rispetto ai 55 anni delle donne, proprio perché il declino degli ormoni maschili è meno brusco e più graduale nel tempo. Si stima che in Europa circa 22 milioni di donne e 5,5 milioni di uomini convivano con questa condizione.

Per affrontare l’invecchiamento e la menopausa in condizioni ottimali è importante costruire una struttura ossea adeguata durante l’età fertile. Per costituire questo “capitale” di salute, è fondamentale:

1. seguire una dieta equilibrata, con un introito adeguato di calcio e vitamina D;

2. fare regolarmente attività fisica;

3. mantenere il peso forma;

4. evitare o limitare l’alcol;

5. non fumare.

A proposito di dieta, vale la pena sfatare un mito duro a morire. Per acquisire un’adeguata quantità di calcio non è necessario esagerare con latte e latticini. Ricordiamoci che esistono molte altre fonti alimentari da cui trarre calcio e che possono contribuire la salute delle ossa, ad esempio i cavoli, le verdure a foglia verde e la frutta a guscio. Alcolici, teina e caffeina, influiscono negativamente sull’assorbimento intestinale del calcio. Una raccomandazione costante è quella di fare movimento. La sedentarietà è la nemica numero uno delle ossa non solo nelle fasi del loro accrescimento, ma anche in età avanzata quando le ossa possono essere già più fragili. Le persone a minor rischio di caduta, infatti, sono quelle con buona tonicità muscolare, mobilità articolare ed equilibrio, mantenuti proprio grazie all’attività fisica. I muscoli sostengono lo scheletro e ci permettono di stare in piedi da un punto di vista meccanico: è l’apparato che, andando avanti con l’età, dobbiamo cercare di preservare il più possibile con l’attività fisica e l’alimentazione, che vanno di pari passo.

COME SONO FATTE LE NOSTRE OSSA?

Il tessuto osseo è formato da una matrice ossea, molto dura, composta da fibre proteiche che rendono la struttura coesa, resistente ed elastica; la matrice racchiude le cellule (osteoblasti, osteoclasti e osteociti) e la componente minerale cui si devono la durezza e la robustezza che distinguono le ossa dalle altre parti del corpo.

QUALCHE NUMERO

• lo scheletro di un essere umano adulto costituisce circa il 30-40% della massa del corpo, ma solo il 20% del suo peso (in un individuo normopeso), in genere 10-15 kg

• ci sono ossa pari, che si presentano a due a due, come i femori, le scapole o le ossa del costato, e altre impari, come la mandibola o l’osso ioide

• un adulto ha 206 ossa; ma un neonato ne ha di più: questo perché con la crescita alcune ossa prima connesse da cartilagini, si saldano fra loro (ad esempio alcune ossa del cranio)

• il cranio è composto da 22 ossa

• in ciascun orecchio ci sono 6 ossicini

• la colonna vertebrale è formata da 33 ossa

• ogni mano conta 27 ossa e ogni piede 26: sulle nostre estremità, quindi, si contano ben 106 ossa.

0ttobre 2023 | www.spazio50.org 71 a
cura di Fondazione Umberto Veronesi

ALLARME SONNO

GLI ITALIANI SONO I PEGGIORI AL MONDO

In una società incentrata sul lavoro e sulla costante operosità, si tende spesso a sottovalutare il concetto di rilassamento. Per raggiungere un relax autentico e rigenerante, invece, il sonno assume un ruolo fondamentale. Secondo una serie di ricerche condotte da Espresso Communication per l’azienda farmaceutica Guna, gli adulti di oggi non riescono facilmente a “staccare la spina” per recuperare il benessere fisico e mentale. I dati, che provengono dal sito Very Well Mind, confermano questa tendenza preoccupante: nel mondo, un adulto su tre (circa il 33%) soffre di insonnia. Il nostro Paese si posiziona al primo posto in questa singolare classifica, con il 43% degli italiani che risultano essere i più colpiti dallo stress causato dalla mancanza di riposo. Gli italiani però sono in buona compagnia perché sono seguiti - a pari merito - dai sudafricani e ancora dagli spagnoli e dai messicani. La Sleep Foundation, d’altra parte, fornisce una serie di informazioni sulle potenziali conseguenze dell’assenza di sonno, che variano dall’obesità al diabete di tipo 2, dalle malattie cardiovascolari fino alla depressione. Una situazione piuttosto critica che però negli ultimi

Lo stress cronico e la mancanza di riposo potrebbero avere una soluzione: micro particelle vegetali, prodotte dalle cellule delle piante. Tra le molteplici virtù, favoriscono un sonno soddisfacente

di Redazione

tempi sembra aver trovato una risposta.

La possibile soluzione arriva dagli esosomi vegetali. Si tratta di nano-vescicole prodotte dalle cellule delle piante che hanno la capacità di comunicare e trasportare informazioni tra le cellule stesse e tra le specie diverse (il cosiddetto “signalling intercellulare”). Questa è una scoperta rivoluzionaria nel campo della biotecnologia, che apre nuove prospettive per il benessere dell’organismo umano. Per avere un’idea della portata scientifica di questa scoperta basti pensare che gli esosomi possono avere molteplici effetti sul nostro organismo, a seconda del frutto o della verdura di derivazione, e possono stimolare le difese immunitarie, favorire notevolmente il sonno, migliorare la fertilità e contrastare l’invecchiamento. In commercio è già possibile trovare degli integratori alimentari a base di esosomi vegetali capaci di ridurre i livelli di ROS (molecole chimiche contenenti ossigeno che causano danni alle cellule viventi) e, allo stesso tempo, di accrescere sia la quantità di serotonina sia quella di melatonina. Adesso, per un sonno davvero rigenerante non servono più infusi miracolosi, esercizi prima di sdraiarsi o rimedi fai da te.

www.spazio50.org | ottobre 2023 72
Benessere
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CURIOSITÀ

Quando la NASA fu istituita nel 1958, si decise che diverse tecnologie realizzate nei suoi laboratori fossero commercializzate. Tra queste le lenti anti-graffio i primi elettrodomestici a batteria e, persino, le attuali palline da golf

1

ALLARME PER LA CYBERSICUREZZA

L’Italia è tra i Paesi più esposti ai pericoli della rete

1.094 cyberattacchi nel 2022. È la situazione descritta nell’ultima Relazione annuale dell’Agenzia nazionale per la cybersicurezza. Secondo il Csirt Italia (Computer Emergency Incident Response Team), il nostro Paese lo scorso anno è risultato tra quelli più interessati dalla diffusione di malware e da cyberattacchi mirati specie nel comparto sanitario ed energetico. Tra i più ricorrenti, la diffusione di malware tramite e-mail: 517 casi, quasi il 50% delle attività complessive.

https://www.csirt.gov.it

2

L’APP ‘IO’ DIVENTA UN PORTAFOGLIO DIGITALE

Potrà contenere patente, tessera sanitaria e scheda elettorale

Dopo aver integrato migliaia di servizi digitali della Pubblica Amministrazione, il prossimo step per l’App IO sarà trasformarsi in un portafoglio “elettronico”. Entro fine 2023 verranno inserite patente, tessera elettorale e sanitaria. Altri documenti saranno digitalizzati in una seconda fase. L’intento è creare un Digital Wallet Nazionale, sull’onda dell’European Digital Identity Wallet, progetto della Commissione europea per un sistema sicuro di identità online e condivisione informazioni.

https://io.italia.it

3 IL PESCE ROBOT CHE STUDIA LA BIODIVERSITÀ

Silenzioso e veloce, è dotato di Intelligenza Artificiale

Grazie alla sua coda che si solleva e si abbassa simulando il movimento degli altri pesci, si mimetizza perfettamente nell’ambiente marino. Belle è un pesce robot che si muove mediante una pinna in silicone con due cavità che pompano acqua. Progettato da alcuni studenti di ingegneria meccanica dell’Università di Zurigo, è dotato di Intelligenza Artificiale per nuotare autonomamente, raccogliere campioni di DNA per lo studio della biodiversità marina ed eseguire video ad alta risoluzione.

https://surf.ethz.ch/Timeline.html

4

WHATSAPP ALZA IL LIVELLO DI SICUREZZA

Con Chat Lock si può impedire l’accesso

alle conversazioni riservate

Dopo i sondaggi e la condivisione con didascalie, WhatsApp ha una nuova funzione che impedisce l’accesso alle conversazioni più riservate: Chat Lock. Permette di nasconderle in una cartella a cui si accede con password o riconoscimento biometrico. Per attivarla basta tenere premuto il dito sulla chat che si vuole proteggere, si va su “Info chat” e da qui su “Lucchetto chat”, quindi si sceglie la modalità di protezione preferita. Anche le notifiche, ovviamente, saranno protette.

https://www.whatsapp.com

LO SAPEVATE CHE?

Dal 20 al 22 ottobre alla Fiera di Roma torna “Maker Faire Rome 2023

The European Edition”, un’edizione più grande con contenuti innovativi su qualsiasi aspetto della tecnologia

Per maggiori informazioni: www.makerfairerome.eu/it

www.spazio50.org | ottobre 2023 74 a cura di Valerio Maria Urru
Tecnologia e dintorni
IN FARMACIA Essere il tuo benessere. www.poolpharma.it POOL PHARMA sostiene

MANOVRA 2024 E PENSIONI SFUMA L’IPOTESI DI UNA RIFORMA

STRUTTURALE

Le poche risorse a disposizione e la denatalità frenano ancora una volta un intervento organico sulle pensioni. Ecco le misure al vaglio del Governo

La Legge di Bilancio si avvicina e come ogni anno molti lavoratori si stanno chiedendo se nel 2024 potranno andare in pensione, ma ancora una volta, nonostante la ripresa del confronto tra governo e sindacati, mancano le risorse necessarie per il cosiddetto superamento della Legge Fornero e per una riforma complessiva della previdenza pubblica obbligatoria. La manovra 2024, pertanto, si limiterà a confermare o prorogare le misure già esistenti con pochi cambiamenti. Si ipotizza innanzitutto la proroga fino al 31 dicembre 2024 di “Quota 103”, ossia l’uscita anticipata con 62 anni di età e almeno 41 anni di contributi. Introdotta dalla Legge di Bilancio 2023, la cosiddetta “pensione anticipata flessibile” prevede una finestra di tre mesi per i lavoratori del settore privato e di sei

mesi per il settore pubblico e l’impossibilità di cumulare reddito da lavoro e pensione fino al compimento del 67° anno di età. Inoltre, per le mensilità di anticipo rispetto al compimento dell’età pensionabile, l’importo della pensione non può essere superiore a cinque volte il trattamento minimo (€ 2.840 per il 2023). Coloro che, pur avendo i requisiti, non optano per l’uscita anticipata possono ottenere un incentivo in busta paga.

Il Governo sta inoltre valutando di prorogare l’Ape sociale ampliandone la platea e coinvolgendo alcune figure professionali impegnate in attività gravose e usuranti.

L’Anticipo pensionistico (APE), introdotto dalla Legge di Bilancio 2017, è un’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’Inps nella misura massima di € 1.500, che in questi anni ha

permesso a molti lavoratori in stato di difficoltà l’uscita anticipata a 63 anni. Per ottenere la prestazione è necessario che i soggetti nelle condizioni previste dalla legge (disoccupati di lungo corso, caregiver, invalidi civili con una percentuale pari o superiore al 74% e addetti ai lavori gravosi) posseggano almeno 30 anni di contributi (36 anni per chi ha svolto mansioni gravose), abbiano cessato l’attività e non siano titolari di una pensione diretta.

C’è poi il nodo “opzione donna”: i sindacati chiedono a gran voce un ritorno al passato ma tornare ai requisiti in vigore nel 2022 (uscita con 58 anni per le lavoratrici dipendenti o 59 per le lavoratrici autonome e 35 anni di contributi) appare poco probabile perché troppo costoso.

Il Governo sembrerebbe tuttavia disponibile a prorogare “opzione donna” allentando almeno parzialmente la stretta introdotta dalla Legge di Bilancio 2023, che ha limitato la platea interessata a poche migliaia di lavoratrici. L’obiettivo potrebbe essere quello di ampliare la platea delle beneficiarie ad almeno 10-15mila lavoratrici, senza però abbassare il requisito anagrafico dei 60 anni. Restano invariati nel 2024 i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia (67 anni di età e almeno 20 anni di contributi) e alla pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).

A più riprese il ministro del Lavoro Marina Calderone ha dichiarato di voler rilanciare la previdenza complementare, che dovrà essere sviluppata in sinergia con quella obbligatoria, ma per il momento mancano gli interventi concreti. In uno scenario sempre più caratterizzato dall’instabilità economica e dal progressivo invecchiamento della popolazione, siamo convinti che sia questa - più di altre - la strada da percorrere per garantire nel lungo periodo la sostenibilità del nostro sistema previdenziale.

a cura di Maria Silvia Barbieri Previdenza
www.spazio50.org | ottobre 2023 76

PRESENTAZIONE

NUOVA DOMANDA

ALLA SCADENZA DEL REDDITO DI CITTADINANZA

ASSEGNO UNICO

L’assegno unico e universale è un sostegno economico destinato alle famiglie con: figli minorenni a carico e, per i nuovi nati, a decorrere dal 7° mese di gravidanza; figli maggiorenni a carico, fino al compimento dei 21 anni, a seguito di determinate condizioni; figli con disabilità a carico, senza limiti di età. Le famiglie che percepiscono il Reddito o la Pensione di cittadinanza, alla scadenza del beneficio, dovranno presentare una nuova domanda all’INPS per continuare a ricevere l’Assegno Unico senza interruzione. La domanda deve essere inoltrata entro l’ultimo giorno del mese di competenza del Reddito/Pensione di cittadinanza.

Il Patronato 50&PiùEnasco offre assistenza per l’inoltro della domanda e, grazie alla collaborazione con 50&PiùCaf, è a disposizione per la presentazione dell’Isee.

Chiama il numero unico nazionale o trova la sede a te più vicina sul nostro sito

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ISTITUTO DI PATRONATO E DI ASSISTENZA SOCIALE ISTITUTO DI PATRONATO E DI ASSISTENZA SOCIALE

AGEVOLAZIONI FISCALI A FAVORE DEI LAVORATORI DIPENDENTI

Limitatamente al periodo d’imposta 2023, è previsto un innalzamento della soglia di esenzione dei fringe benefit per chi ha figli fiscalmente a carico

Agenzia delle Entrate, nel mese di agosto u.s., ha fornito chiarimenti sul Decreto Legge 4 maggio 2023, che ha introdotto importanti novità ed agevolazioni a favore di molti lavoratori dipendenti. L’agevolazione interessa, per il 2023, i dipendenti con figli fiscalmente a carico, e prevede un innalzamento della soglia di esenzione dei fringe benefit, di cui all’articolo 51, comma 3, terzo periodo, del D.P.R. n. 917/1986, ad € 3.000. Ricordiamo che il citato comma 3 dell’articolo 51 prevede una soglia di esenzione fino a € 258,23 per il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati e non estende tale previsione ai rimborsi e alle somme erogate per il pagamento delle bollette di luce, acqua e gas, per i quali resta applicabile il principio generale secondo cui qualunque somma percepita dal lavoratore in relazione al rapporto di lavoro costituisce reddito imponibile di lavoro dipendente. Il superamento di quest’ultimo importo (€ 258,23) comporta la tassazione ordinaria dell’intero ammontare e non soltanto della quota parte eccedente il citato limite. Quanto previsto dall’articolo 40 del Decreto in rassegna, può essere riassunto nei seguenti, principali, punti:

1) Limitatamente al periodo d’imposta 2023, in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo, del D.P.R. n. 917/1986, non concorrono a formare il reddito, entro il limite complessivo di € 3.000, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati, a carico fiscalmente, ai sensi dell’articolo 12,

comma 2, del D.P.R. n. 917/1986, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale. I datori di lavoro provvedono all’attuazione del presente comma previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti.

2) Resta ferma l’applicazione dell’articolo 51, comma 3, del citato testo unico delle imposte sui redditi, in relazione ai beni ceduti e ai servizi prestati a favore dei lavoratori dipendenti per i quali non ricorrono le condizioni indicate nel punto 1).

3) Il limite di cui al comma 1 si applica se il lavoratore dipendente dichiara al datore di lavoro di avervi diritto indicando il codice fiscale dei figli.

4) In deroga al predetto articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo, del D.P.R. 917/1986, e limitatamente al solo periodo d’imposta 2023, il citato articolo 40 stabilisce, come sopra indicato, un nuovo limite massimo di esclusione dal reddito di lavoro dipendente e, analogamente all’articolo 12 del decreto legge 9

agosto 2022 n. 115 (cosiddetto Decreto Aiuti-bis), include tra i fringe benefit concessi ai lavoratori anche “le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale”. Al riguardo, si fa presente che, ai sensi dell’articolo 51, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986, rientrano nella nozione di reddito di lavoro dipendente anche i beni ceduti e i servizi prestati al coniuge del lavoratore o ai familiari indicati nell’articolo 12 del D.P.R. 917/1986, nonché i beni e i servizi per i quali venga attribuito il diritto di ottenerli da terzi. Va precisato che, come sottolineato dalla stessa Agenzia delle Entrate nella citata circolare, il menzionato articolo 40 “produce un effetto di detassazione non solo ai fini dell’imposizione ordinaria IRPEF, ma anche in relazione all’imposta sostitutiva di cui all’articolo 1, commi da 182 a 189, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208, nell’ipotesi di erogazione dei premi di risultato in beni e servizi. Al ricorrere dei requisiti previsti dall’articolo 40 del Decreto, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati al lavoratore, nonché le somme erogate o rimborsate per il pagamento delle utenze domestiche, pertanto non concorrono, nel rispetto del limite di € 3.000, a formare il reddito di lavoro dipendente né sono soggetti all’imposta sostitutiva di cui ai citati commi da 182 a 189, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208, anche nell’eventualità in cui gli stessi siano fruiti, per scelta del lavoratore, in sostituzione, in tutto o in parte, dei premi di risultato e delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.

a cura di Alessandra De Feo Fisco
www.spazio50.org | ottobre 2023 78
L’

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La dichiarazione di successione va presentata dagli eredi entro un anno dalla data del decesso del titolare dei beni. Ti aspettiamo nei nostri uffici per aiutarti con la presentazione della dichiarazione.

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Basilicata Telefono

Matera - via Don Luigi Sturzo, 16/2

Potenza - via Centomani, 11

0835385714

097122201

Calabria Telefono

Cosenza - viale degli Alimena, 5

Catanzaro - via Milano, 9

Crotone - via Regina Margherita, 28

Reggio Calabria - via Tenente Panella, 20

Vibo Valentia - via Spogliatore snc

098422041

0961721246

096221794

0965891543

096343485

Campania Telefono

Avellino - via Salvatore De Renzi, 28

Benevento - via delle Puglie, 28

Caserta - via Roma, 90

Napoli - via Cervantes, 55 int. 14

Salerno - via Zammarelli, 12

082538549

0824313555

0823326453

0812514037

089227600

Emilia Romagna Telefono

Bologna - Strada Maggiore, 23

Forlì - piazzale della Vittoria, 23

Ferrara - via Girolamo Baruffaldi, 14/18

Modena - via Begarelli, 31

Piacenza - strada Bobbiese, 2 - c/o Unione Comm.ti

Parma - via Abbeveratoia, 61/A

Ravenna - via di Roma, 104

Reggio Emilia - viale Timavo, 43

Rimini - viale Italia, 9/11

0516487548

054324118

0532234211

0597364203

0523/461831-32-61

0521944278

0544515707

0522708565-553

0541743202

Friuli Venezia Giulia Telefono

Gorizia - via Vittorio Locchi, 22

Pordenone - piazzale dei Mutilati, 6

Trieste - via Mazzini, 22

Udine - viale Duodo, 5

048132325

0434549462

0407707340

04321850037

Lazio Telefono

Frosinone - via Moro, 481

0775855273

Latina - via dei Volsini, 60 0773611108

Rieti - largo Cairoli, 4

Roma - via Cola di Rienzo, 240

Viterbo - via Belluno, 39/G

0746483612

0668891796

0761341718

Liguria Telefono

Genova - via XX Settembre, 40/5 010543042

Imperia - via Gian Francesco De Marchi, 81 0183275334

La Spezia - via del Torretto, 57/1 0187731142

Savona - corso A. Ricci - Torre Vespucci, 14 019853582

Lombardia Telefono

Bergamo - via Borgo Palazzo, 133 0354120126

Brescia - via Trento, 15/R

0303771785

Como - via Bellini, 14 031265361

Cremona - via Alessandro Manzoni, 2 037225745-458715

Lecco - piazza Giuseppe Garibaldi, 4 0341287279

Lodi - viale Savoia, 7 0371432575

Mantova - via Valsesia, 46 0376288505

Milano - corso Venezia, 47 0276013399

Pavia - via Ticinello, 22 038228411

Sondrio - via del Vecchio Macello, 4/C 0342533311

Varese - via Valle Venosta, 4 0332342280

Marche Telefono

Ancona - via Alcide De Gasperi, 31 0712075009

Ascoli Piceno - viale Vittorio Emanuele Orlando, 16 0736051102

Macerata - via Maffeo Pantaleoni, 48a

Pesaro - strada delle Marche, 58

Molise Telefono

Campobasso - via Giuseppe Garibaldi, 48

Isernia - via XXIV Maggio, 331

Piemonte Telefono

Alba - piazza S. Paolo, 3

Alessandria - via Trotti, 46

Asti - corso Felice Cavallotti, 37

Biella

Le sedi 50&Più provinciali
0733261393
0721698224/5
0874483194
0865411713
0173226611
0131260380
0141353494
- via Trieste, 15 01530789 Cuneo - via Avogadro, 32 0171604198 Novara - via Giovanni Battista Paletta, 1 032130232 Torino - via Andrea Massena, 18 011533806 Verbania - via Roma, 29 032352350 Vercelli - via Duchessa Jolanda, 26 0161215344 Puglia Telefono Bari - piazza Aldo Moro, 28 0805240342 Brindisi - via Appia, 159/B 0831524187 Foggia - via Luigi Miranda, 8 0881723151 Lecce - via Cicolella, 3 0832343923 Taranto - via Giacomo Lacaita, 5 0997796444 Sardegna Telefono Cagliari - via Santa Gilla, 6 070280251 Nuoro - galleria Emanuela Loi, 8 0784232804 Oristano - via Sebastiano Mele, 7/G 078373612 Sassari - via Giovanni Pascoli, 59 079243652 Sicilia Telefono Agrigento - via Imera, 223/C 0922595682 Caltanissetta - via Messina, 84 0934575798 Catania - via Mandrà, 8 095239495 Enna - via Vulturo, 34 093524983 Messina - via Santa Maria Alemanna, 5 090673914 Palermo - via Emerico Amari, 11 091334920 Ragusa - viale del Fante, 10 0932246958 Siracusa - via Eschilo, 11 093165059-415119 Trapani - via Marino Torre, 117 0923547829 Toscana Telefono Arezzo - via XXV Aprile, 12 0575354292 Carrara - via Don Minzoni, 20/A 058570973-570672 Firenze - via Costantino Nigra, 23-25 055664795 Grosseto - via Tevere, 5/7/9 0564410703 Livorno - via Serristori, 15 0586898276 Lucca - via Fillungo, 121 - c/o Confcommercio 0583473170 Pisa - via Chiassatello, 67 05025196-0507846635/30 Prato - via San Jacopo, 20-22-24 057423896

Le sedi 50&Più estere

WWW.50EPIU.IT 50&Più SISTEMA ASSOCIATIVO E DI SERVIZI VITA ASSOCIATIVA ASSISTENZA PREVIDENZIALE ASSISTENZA FISCALE Pistoia - viale Adua, 128 0573991500 Siena - via del Giglio, 10-12-14 0577283914 Trentino Alto Adige Telefono Bolzano - Mitterweg - via di Mezzo ai Piani, 5 0471978032 Trento - via Solteri, 78 0461880408 Umbria Telefono Perugia - via Settevalli, 320 0755067178 Terni - via Aristide Gabelli, 14/16/18 0744390152 Valle d’Aosta Telefono Aosta - piazza Arco d’Augusto, 10 016545981 Veneto Telefono Belluno - piazza Martiri, 16 0437215264 Padova - via degli Zabarella, 40/42 049655130 Rovigo - viale del Lavoro, 4 0425404267 Treviso - via Sebastiano Venier, 55 042256481 Venezia Mestre - viale Ancona, 9 0415316355 Vicenza - via Luigi Faccio, 38 0444964300 Verona - via Sommacampagna, 63/H - Sc. B 045953502
Argentina Telefono Buenos Aires 0054 11 45477105 Villa Bosch 0054 9113501-9361 Australia Telefono Perth 0061 864680197 Belgio Telefono Bruxelles 0032 25341527 Brasile Telefono Florianopolis 0055 4832222513 San Paolo 0055 1132591806 Canada Telefono Burnaby - Vancouver BC 001 6042942023 Hamilton 001 9053184488 Woodbridge 001 9052660048 Montreal Riviere des Prairies 001 5144946902 Montreal Saint Leonard 001 5142525041 Ottawa 001 6135674532 St. Catharines 001 9056466555 Toronto 001 4166523759 Germania Telefono Dusseldorf 0049 021190220201 Portogallo Telefono Lisbona 00351 914145345 Spagna Telefono Valencia 0034 961030890 Svizzera Telefono Lugano 0041 919212050 Uruguay Telefono Montevideo 0059 825076416 USA Telefono Fort Lauderdale 001 9546300086

Turismo

ISCHIA - “LA PERLA DEL MEDITERRANEO”

Un soggiorno all’insegna del benessere, della buona cucina, del sole e del relax immersi nella natura incontaminata di una delle isole più suggestive del Belpaese

Hotel Terme President - 4 stelle - Ischia Porto

L’albergo composto da tre corpi attigui, situato in zona panoramica sovrastante il suggestivo porto di Ischia, è diretto con cura e professionalità. Dispone di piscina termale coperta e si distingue per l’attrezzato centro benessere “La Ninfea” e lo stabilimento termale convenzionato, situati entrambi all’interno dell’albergo.

Hotel Terme Cristallo - 4 stelle - Casamicciola

Incastonato in un’oasi di verde, l’hotel gode di una posizione panoramica in un’area tranquilla e riservata. Costituito da bianchi padiglioni in stile moderno e con terrazze fiorite, si compone di un corpo centrale disposto su 5 livelli. Dispone di piscine termali, palestra, reparto termale convenzionato e moderna beauty farm.

DA OTTOBRE A DICEMBRE 2023 SOGGIORNI DA DOMENICA A DOMENICA QUOTE A PARTIRE DA € 380

Il soggiorno comprende: 7 notti/8 giorni • Pensione completa con bevande ai pasti - Serate piano bar • 1 serata di gala • Uso delle piscine termali • Uso della palestra • Uso della sauna, bagno turco, reparto termale interno convenzionato Asl • Shuttle bus da e per il centro (Hotel President).

Non sono compresi: Trasferimenti da e per Ischia • Assicurazione annullamento (€ 20 a persona) • Tassa di soggiorno (se prevista) • Extra, mance e tutto quanto non indicato ne “Il soggiorno comprende”. Su richiesta, i collegamenti a/r per Ischia con bus G.T. (traghetto incluso), in partenza dalle principali città del Nord e Centro Italia.

Per usufruire dell’offerta sopra riportata, per ogni 7 notti di soggiorno, è obbligatorio effettuare la cura per fanghi e bagni terapeutici, presentando l’impegnativa del medico di base. Per gli ospiti che non effettueranno tale cura, sarà applicato un supplemento di € 10 per persona, per notte, da regolare in hotel.

Quota supplementare per i non soci: € 50

LA THUILE (AO)

Dal 21 al 28 gennaio 2024

Il TH La Thuile - Planibel Hotel & Residence è un meraviglioso complesso in stile alpino situato a pochi passi dal paese di La Thuile, il comune più occidentale della Valle d’Aosta.

I residence e l’hotel sono di recente ristrutturazione e collegati tra loro da una piazzetta su cui affacciano negozi e boutiques, luogo di ritrovo, shopping e svago.

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE (7 notti/8 giorni)

In camera doppia € 730

In camera doppia uso singola € 1.025

Suppl. Polizza Annullamento Viaggio (facoltativa) € 30

RIDUZIONI III e IV letto: anni 3-15 in camera con 2 adulti: -50%; anni 3-15 in camera doppia comunicante: -25%; adulti -30%; adulti in camera doppia comunicante: -15%; adulto + bambino (1° bambino 3-15 anni in camera con un adulto -50% sulla quota intera adulto, 2° bambino in camera con un adulto -70% sulla quota intera adulto.

Le età si intendono per anni non compiuti al momento del soggiorno.

(N.B.: i minori devono necessariamente pernottare con i propri genitori o nucleo famigliare).

SISTEMAZIONE ALBERGHIERA

Il TH La Thuile – Planibel Hotel & Residence (4 stelle Sup.) dispone di 233 appartamenti recentemente ristrutturati, dotati di angolo cottura completamente attrezzato con frigorifero, forno a microonde, bollitore e utensili da cucina. La zona soggiorno dispone di TV satellitare e telefono. Tutti gli appartamenti hanno bagno privato con asciugacapelli, doccia (alcuni con vasca). Servizio di pulizie settimanali con cambio biancheria.

SUPPLEMENTI:

THinky Card obbligatoria per i bambini 0-3 anni € 210 a settimana, quota di gestione obbligatoria dai 3 anni € 14 a persona (include polizza medico-bagaglio).

La quota comprende: Soggiorno presso Th-Thuile Planibel Hotel nella sistemazione prescelta (N.B.: le camere saranno disponibili il giorno dell’arrivo a partire dalle ore 17.00 e dovranno essere rilasciate entro le 10.00 del giorno di partenza) • Trattamento di prima colazione e cena bevande incluse durante i pasti (vino e acqua) • Free Wi-fi • Animazione diurna e serale • SPA e PISCINA: ingresso gratuito soggetto a disponibilità e solo con prenotazione (regolamento disponibile in hotel).

La quota non comprende: Trasporti da e per La Thuile - Polizza annullamento viaggio facoltativa (€ 30 a persona) • Ski pass individuale • Lezioni di sci • Tassa di soggiorno (se prevista sarà richiesta secondo le normative vigenti) • Trattamento massaggi al Centro benessere • Mance, extra in genere e tutto quanto non specificato.

* La polizza annullamento, se si sceglie di stipularla, è a persona e deve essere emessa per tutti i componenti della camera, sia adulti che bambini.

Garage

Coperto e disponibile fino ad esaurimento posti: € 12 al giorno. Da prenotare.

Quota supplementare per i non soci: € 50

(Aut. Reg. 388/87) Tel. 06 6871108/369 Fax 06 6833135 - Email: info@50epiuturismo.it www.50epiuturismo.it
SETTIMANA BIANCA

CROCIERA FLUVIALE IN OLANDA E BELGIO

Navigando lungo i Paesi Bassi e le Fiandre

Dal 26 marzo al 2 aprile 2024

Da Amsterdam si partirà in navigazione lungo fiumi e canali attraversando panorami incantevoli. Si visiteranno L’Aia, affacciata sul Mare del Nord, proseguiremo per Gand nelle Fiandre, con il suo patrimonio storico importante, e Bruges, scrigno di tesori antichi; si raggiungeranno Bruxelles, la Capitale dell’Europa e Anversa, città portuale di origine medievale e famosa per la lavorazione dei diamanti. Rientrati ad Amsterdam avrete l’opportunità di visitare la città e i dintorni. La Messa di Pasqua è prevista nella Basilica di San Nicola la mattina del 31 marzo.

A bordo della nave fluviale MS OSCAR WILDE (5 stelle)

Navigheremo attraverso incantevoli panorami lungo itinerari tra i più suggestivi d’Europa, nel comfort della lussuosa nave. La motonave dispone di 3 ponti, un luminoso ristorante, un salone e bar panoramico, una zona benessere con sauna, bagno turco e solarium con vasca idromassaggio, una sala di lettura e un negozio di bordo. Le ampie cabine sono tutte esterne e arredate in stile moderno ed elegante.

Le iscrizioni alla crociera saranno aperte a partire dal 15 ottobre 2023.

Il programma definitivo e le quote di partecipazione verranno comunicati via e-mail su richiesta e pubblicati sulla rivista di novembre.

I trasporti dall’Italia ad Amsterdam sono previsti con voli di linea o voli low cost e verranno comunicati alla conferma della partecipazione alla crociera fluviale.

Itinerario, visite ed escursioni sono da riconfermare al momento dell’iscrizione alla Crociera Fluviale.

(Aut. Reg. 388/87) Tel. 06 6871108/369 Fax 06 6833135 - Email: info@50epiuturismo.it www.50epiuturismo.it
PASQUA 2024 Turismo
ANTEPRIMA 2024

INGRANDIRE LO SGUARDO L’EDUCAZIONE INDIANA DI RAM PACE

Nel suo libro d’esordio il giovane filmmaker romano racconta il rapporto col padre e un percorso di formazione diviso tra India e Occidente

“Due fiumi paralleli che possono confluire nel rispetto”

Èuna lunga storia. E brucia, come quel fuoco sacro al centro della stanza: non posso fare finta di non sentirlo”. Chiudere un conto aperto con la vita: questo prova a fare Ram Pace nel suo debutto letterario, Educazione indiana, pubblicato dall’editore Giunti. Cinquecento pagine che si leggono d’un fiato, in cui l’autore - romano, classe 1978, filmmaker e collaboratore di vari programmi televisivi - ripercorre gli anni della sua formazione e il rapporto, singolare e straordinario, col padre. Figlio di Manuela e Sandro, una coppia di anticonformisti degli anni Settanta che visitano l’India e se ne innamorano, riceve un nome indiano, quasi impronunciabile nella sua interezza: Ramchandra. Vive in un casa che i genitori hanno costruito con le proprie mani, su un terreno del nonno paterno occupato senza il

suo consenso. La madre va via dopo otto mesi dalla nascita di Ram, non riuscendo a conciliare il privato con le aspirazioni professionali. Torna a prenderlo a tre anni per portarlo a Londra, in una comunità per schizofrenici che le è stata affidata dal celebre psichiatra Richard Laing. Due anni dopo, il giorno del suo quinto compleanno, il padre con “le guance ispide e gli occhi di carbone” lo riporta a Roma: passa due anni coi nonni, siciliani venuti nella Capitale a cercare (e trovare) fortuna, poi si trasferisce nella casa dei suoi primi anni, trasformata dal padre nel rifugio di una specie di comunità hippie. Da quel momento comincia per il piccolo una vita avventurosa fatta di viaggi, incontri, scoperte straordinarie e sconcertanti. L’India, a sette anni, il bagno nel Gange, poi di nuovo il casale col fuoco sacro al centro del soggiorno, la Roma delle bor-

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Una vita avventurosa fatta di viaggi incontri e scoperte straordinarie che gli ha permesso di trovare la sua personale formazione artistica
Cultura

gate, la “tata” Zizì, la bella Daniela e la sorellina Sati, gli incontri periodici con la madre seguace di Osho, la scuola e il centro sociale, i rave e la scoperta dell’amore, il padre che prova a fare lo scultore senza successo e s’inventa equilibrismi per sbarcare il lunario, e cresce nella sua fede e nella sua insofferenza fino a decidere di tornare in India. Ram, ormai adulto, avviato a una carriera da cameraman in televisione, va a cercarlo dopo la morte del nonno. Apparentemente per questioni legate all’eredità e in realtà per un ultimo confronto. Che si risolve in un lasciarsi andare nel nome della libertà: forse la suprema conoscenza che devono l’uno all’altro. «Mi piace dire che la mia è stata una formazione liquida», spiega Ram Pace. La voce calma, cordiale, cercando le parole per qualcosa che è difficile riassumere. «Una formazione scivolosa, più esattamente. Sono cresciuto confrontandomi con visioni del mondo diverse e a volte contrastanti. Da bambino, mia nonna mi diceva che dopo la morte le anime vanno in Paradiso; mio padre, invece, che si reincarnano; mia madre che continuano a vagare nell’universo sotto forma di energia. Queste informazioni incoerenti mi hanno inculcato il dubbio e costretto a una ricerca personale». Una ricerca che si snoda attraverso un percorso artistico multiforme, cominciato con il cinema e approdato alla scrittura. «Anche in questo caso ho seguito il flusso della vita. Ho sempre amato il cinema, fin da bambino. Più tardi, frequentare il centro sociale mi ha offerto molte occasioni di approfondimento. Ovviamente ha influito il fatto di vivere a Roma, dove l’industria dello spettacolo è ancora fiorente e ricca di opportunità. Il cinema, e poi la scrittura, mi hanno aiutato a sistemare il mio disordine interiore. Rispondevano all’istinto profondo di trasformare, di assumere

una qualche forma di consapevolezza e controllo costruendo il mio mondo». Autore di una serie di documentari girati in Kenya sotto la direzione artistica di Pupi Avati, a lungo collaboratore di Michele Santoro, nel 2015 Ram Pace ha scritto e diretto Samsara Diary, un documentario in cui racconta il rapporto con il padre alla vigilia della nascita del suo primo figlio. «Nella vita di ognuno esistono circostanze che segnano e indirizzano. Il rapporto con mio padre per me è imprescindibile: fatto di bene e di male, di presenza e di assenza. In mezzo ci sono tante sfaccettature, tanti regali e tante privazioni. A mio padre riconosco la passione, il coraggio delle proprie idee, necessario a compiere una scelta forte come la sua. Ricordo le sue sortite a Roma in tenuta da baba, scalzo con la tunica, e la dignità del suo sguardo mentre gli venivano rivolti gli apprezzamenti più ridicoli e offensivi. A mio padre devo il senso del sacro: non un sentimento puramente religioso, ma piuttosto legato al rispetto dell’altro, della natura, dell’umanità in tutte le sue forme. Poi c’è il rovescio della medaglia: l’assenza che mi ha costretto a diventare adulto prima del tempo, che mi ha privato di un argine, di un parafulmine negli anni complicati dell’adolescenza». A distanza di quasi dieci anni da Samsara Diary, è emerso il bisogno di aggiornare il bilancio di un rapporto complesso. «Educazione Indiana è nato perché lo sguardo di una persona cambia con gli anni, e cambia anche il modo in cui il passato affiora dalle sabbie mobili della memoria. Scrivere queste pagine è stato spingersi a un livello più profondo di onestà intellettuale, ricostruire con più sistematicità una storia che sentivo di dover raccontare nella sua interezza». Fondato sul continuo rimbalzare tra India e Occidente, il libro

Un libro intenso e commovente, in cui l’autore racconta il suo percorso di crescita personale e di ricerca spirituale. La scrittura, scorrevole e coinvolgente, riesce a trasmettere le contraddizioni di questo travagliato rapporto genitori-figlio. Un memoir che è anche occasione per riflettere sul significato dell’educazione e sulla ricerca della propria identità.

è il racconto di una (o più d’una) avventura umana, in tono appassionato ma asciutto, senza pretese assertive e immediate implicazioni filosofiche. È anche il resoconto di un incontro-scontro tra civiltà, che alla fine trovano il modo di accettarsi e convivere. «India e Occidente sono in fondo come me e mio padre: due fiumi che scorrono paralleli, dopotutto inconciliabili nella loro essenza. Ma possono unirsi nel linguaggio dell’amore e del rispetto. L’India mi ha insegnato l’educazione al rispetto e insieme la possibilità di provare meraviglia. Abita dentro me come un seme di dubbio costruttivo, come un monito a non affondare nelle certezze. È questo, forse, il sacro: aprirsi ad accogliere altri sguardi e sentire al contempo, con stupore, il proprio che s’ingrandisce».

www.spazio50.org | ottobre 2023 86
Cultura

Le storie di una madre e una figlia si intrecciano in un romanzo che parla di dolore, di solitudine e di ricerca di sé. Una prosa elegante e raffinata che riesce a toccare le corde emotive del lettore

IL MONDO SBAGLIATO DI ANNA E SOFIA di Renato Minore

Come ormai capita frequentemente, Una minima infelicità nasce all’interno dell’esperienza in una scuola di scrittura, la “Molly Bloom”. Scrive nella postilla finale Carmen Verde: «Un pomeriggio, a lezione, Leonardo Colombati ha detto una frase che ha fatto correre con più naturalezza la mia mano sulla pagina, e che poi entrambi abbiamo avuto il pudore di dimenticare». E lo stesso Colombati ricorda di aver avuto la fortuna di «seguire la materializzazione di Anna e Sofia - la figlia e la madre protagoniste del libroda idee a compiuti personaggi letterari, con la sensazione che queste figure sapientemente ritagliate abbiano tutte le caratteristiche per diventare come i geni delle favole arabe, così ingombranti e vitali da dover per forza uscire fuori dalle loro bottiglie».

Con una struttura che accumula e integra lasse narrative anche minime, talora epigrafiche, Carmen Verde è assai abile a togliere ogni digressione e ogni marginalità che pos-

sano far ombra al nocciolo duro del racconto, centrato sulla rete dei rapporti interni in un mondo “insieme familiare e straniato”. Appunto “una minima infelicità”, fatta di sogni, sguardi, sospetti, ombre, pensieri, odori, tradimenti. La madre fragile e inquieta, insoddisfatta e infedele, alla costante ricerca della propria felicità; il padre figura silenziosa, condiscendente, timoroso persino di scoprire gli amanti della moglie, e la figlia in preda alle sue ansie. Tutto in un ambiente chiuso quasi claustrofobico, le stanze sono i luoghi dei ricordi “mai del tutto decifrabili, sedie zoppe che non riesci a far star dritte senza qualche piccolo rincalzo”. E di segreti mai rivelati, di possibilità non esplorate, di anime in fondo mai conosciute, “in un vuoto nobile e grande, abitato da fantasmi di tutti gli oggetti”. E Carmen Verde riesce a creare una aria quasi da suspense che si rovescia nel filo del racconto, ma “sempre alla fine, di tutto resta solo il nocciolo, come di una casa rimane solo una stanza”.

Con Mi limitavo ad amare te Rosella Postorino, seconda allo Strega di quest’anno dopo Ada D’Adamo, ha scelto come cuore del racconto una vicenda vera che l’ha colpita profondamente: il bombardamento dell’orfanotrofio di Bjelave a Sarajevo e il successivo trasferimento dei bambini Nada, Danilo, Omar e Senadin. Sono i piccoli protagonisti di cui seguiamo le vicende, fino all’arrivo in Italia. Un viaggio della speranza che parte con una lacerazione: Danilo viene costretto a dividersi dalla famiglia, Nada deve lasciare il fratello Ivo chiamato al fronte, Omar non fa che pensare a quella mamma che gli è stata strappata dalle braccia dallo scoppio di una granata e della quale non sa più nulla. Una vicenda corale in cui il lettore rincorre il filo di una emozione e di un coinvolgimento che si fa forte e battente, inseguendo di volta in volta la trama di un’amicizia che non sceglie, ma viene scelta.

0ttobre 2023 | www.spazio50.org 87 MI LIMITAVO AD AMARE TE di Rosella Postorino Feltrinelli 352 pagine 19,00 euro
UNA MINIMA INFELICITÀ CARMEN VERDE NERI POZZA
PAGINE
EURO Libri
160
17,00

ANDREA DE CARLO

Scrittore, musicista e regista, Andrea De Carlo ci parla del suo ventunesimo romanzo Io, Jack e Dio, la sua nuova «tappa di un viaggio di esplorazione del mondo, dei rapporti tra le persone».

Quali sono le scelte che deve fare uno scrittore per rimanere in cima alle classifiche?

Nel mio caso la scelta a priori è quella di scrivere le storie che voglio scrivere senza pensare alle classifiche. Se lo facessi imboccherei un mestiere molto diverso, quello di produttore di best-seller, che si basa sull’idea di proporre e riproporre un prodotto più o meno standard, come uno che produce bibite, biscotti o saponi. Mentre quando si scrivono romanzi c’è un enorme margine di imprevedibilità. Ogni storia finisce per portarti dove vuole, i personaggi hanno una loro identità che non sempre è controllabile da chi scrive, se li si lascia respirare. Se lo scrittore pretende di essere un dittatore, se fa fare loro quello che vuole, li fa diventare delle marionette. Se i personaggi che scrivi ti interessano, ti fai portare via da loro e questo fa sì che il romanzo finale non sia prevedibile interamente. Né si può prevedere la reazione di chi lo leggerà.

Il risvolto di copertina del libro parla di un ritorno “ai temi più cari ai suoi lettori, l’amicizia e l’amore”. Pensa che scelgano le stesse tematiche ?

Ci sono due livelli di risposta a questa domanda. Ognuno di noi si aspetta dagli altri sempre certi comportamenti, se non succede restiamo spiazzati. Se leggiamo un romanzo di Stephen King e non troviamo qualcosa di terrificante e di oscuro, restiamo un po’ delusi. Poi c’è l’autenticità della vena di chi scrive. Ognuno ha dei temi che gli sono cari. Nel mio caso l’amicizia e l’amore sono temi dominanti del mio modo di vivere e inevitabilmente entrano nella mia scrittura. Non per un calcolo. Per istinto, per curiosità, per voglia, perché i sentimenti, proprio come i personaggi dei romanzi, non sono mai controllabili, ho sempre cercato strade diverse. Però la tua voce è quella lì e i tuoi temi ritornano. È inevitabile sia così.

Quanto il dubbio continuo che praticano i frati e le “fratesse” del suo romanzo, è realmente fonte di una nuova sapienza?

Oggi il dubbio può essere interpretato in vari modi. Può essere anche una forma di diffuso scetticismo che

«Jack riappare nella vita di Mila a seguito della fine tragica di Brusco, il precedente partner della ragazza. Mi piaceva l’idea che un inizio traumatico aprisse la strada a un gioco di sentimenti, al racconto di un’amicizia che nasce tra due adolescenti che si incontrano sulla spiaggia. E che diventa indispensabile per loro anche quando sono lontani, con un senso di unicità che ognuno dei due prova per l’altro. Era questo che mi affascinava, e mi affascinava l’improvvisa manifestazione di un terzo elemento, una dimensione molto più complicata di quella che c’era stata per anni e della loro convinzione che l’amicizia non potesse mai trascendere oltre il limite che l’avrebbe portata a essere una passione amorosa: Jack si è fatto frate.»

riguarda tutto, il fatto che se riceviamo una notizia non la prendiamo per buona perché sembra che ci sia qualcosa sotto, che la verità che ci viene rappresentata non sia corrispondente ai fatti. Però la soluzione non può essere quella di ricorrere a dogmi, ma è solo quella di affilare ancora di più la lama del nostro pensiero, di diventare ancora più esigenti, ancora più attenti. È fondamentale che ognuno di noi impari a esprimere giudizi e si prenda carico di questi giudizi senza nascondersi.

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«I SENTIMENTI NON SONO MAI CONTROLLABILI» di Lauro Tamburi
Incontro con l’autore Cultura

LE MODELLE DI MATISSE

Pierre-Auguste Renoir diceva che per dipingere bisogna amare, toccare i capelli e le carni delle modelle: «Dalle mani al pennello è un attimo». Pablo Picasso stregava le sue donne, le amava follemente e poi le abbandonava. Henri Matisse era ossessionato dalle forme femminili, tornava ripetutamente sullo stesso soggetto, lo stesso volto, la stessa posa. Amélie, Caroline, Marguerite, Lydia, Jeanette, Monique (sua infermiera, poi monaca domenicana nel convento di Vence, per cui Matisse realizzò la cappella del Rosario): modelle e muse ispiratrici dell’artista, che le ritraeva con i suoi colori accesi, con pennellate violente come frustate, o nelle linee semplificate dei nudi blu ritagliati con le forbici. La moglie e la figlia, le vicine di casa, le amiche. Quando non poteva lavorare dal vero, usava le fotografie delle riviste o i cataloghi. «Quel che più mi interessa non è la natura morta né il paesaggio, ma la figura umana», scriveva del 1908 nelle sue Notes d’un peintre. Nude, avvolte in scialli colorati, vestite da odalische. Matisse le osservava a lungo, distese su un vecchio sofà, aveva bisogno di sentirle vicino. Poi, iniziava a ritrarle, smettendo di guardarle, lasciando fluire nella memoria i contorni sinuosi dei corpi. Le sue modelle non le dipingeva soltanto. Le plasmava nella terra cruda, pizzicandola con le dita, alla ricerca della tridimensionalità. «Girare intorno all’oggetto - confessava - mi aiuta a capirlo meglio». L’opera

scultorea di Matisse rivela una vita parallela rispetto a quella del colorista, una doppia anima votata alla materia, al volume, allo spazio. Proprio la scultura è stata per Matisse il veicolo per nuove e rivoluzionarie soluzioni formali adottate anche in pittura, come spiega la mostra Metamorfosi in corso al Museo MAN di Nuoro, a cura di Chiara Gatti, la prima in Italia dedicata interamente alla produzione scultorea. In mostra, cinque ritratti di Jeanette, la vicina di casa che posò per lui svariate volte, figure femminili distese o sedute, e la testa in bronzo della moglie, Amélie, la donna che affiancò Matisse per oltre quarant’anni, accogliendo come una figlia Marguerite, nata dalla relazione con Caroline Joblaud, la modella raffigurata di profilo, come un cameo, su un medaglione, il primo saggio a bassorilievo eseguito dall’artista nel 1890. Margueri-

te prende vita nel bellissimo bronzo fuso quando era appena ventenne: la materia vibra nel riflesso della luce e osservando con attenzione si notano le tracce dei polpastrelli. La ragazza è protagonista anche di una innumerevole serie di ritratti, disegni e tele, di cui una del 1907 donata a Picasso: le linee semplificate, i colori stesi in larghe campiture e il collarino nero sempre presente, a coprire la ferita di una tracheotomia d’urgenza, quando la bambina aveva solo 7 anni. Musa, assistente e segretaria, Marguerite fu sempre al fianco del padre, fino alla sua morte, per dedicarsi poi alla stesura del catalogo completo delle sue opere.

Informazioni sulla mostra

Matisse, Metamorfosi

Museo MAN, Nuoro

Telefono: 0784252110

www.museoman.it

Fino al 12 novembre

Arte Cultura 89
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“TÊTE DE MARGUERITE,” 1915© SUCCESSION H. MATISSE, BY SIAE 2023

RIFLETTORI ACCESI SULLE NUOVE STAGIONI TEATRALI ITALIANE

Prima nazionale di Nanni Moretti al Carignano di Torino Un teatro con proposte artistiche e culturali plurali che ritroviamo anche in Torinodanza fino al 25

di Mila Sarti

C’è grande attesa per il debutto registico a teatro di Nanni Moretti che dal 9 dirige Diari d’amore di Natalia Ginzburg al Teatro Carignano dello Stabile di Torino-Teatro Nazionale.

Dopo una vita passata con successo nel cinema, Moretti decide di affrontare il mondo della prosa e lo fa con due atti unici, Dialogo e Fragola e panna, composti negli Anni ’60-’70 dalla prolifica scrittrice e drammaturga italiana. Temi che accomunano il dittico sono l’incapacità di ascolto, le insoddisfazioni represse, le proprie inettitudini. Uno spaccato di vita che fa trapelare con leggerezza le mediocrità morali dei personaggi, dove il dramma lascia spesso il posto a toni tragicomici.

Fra gli interpreti dello spettacolo ricordiamo Valerio Binasco, Daria Deflorian, Alessia Giuliani, Arianna Pozzoli e Giorgia Senesi. Ma la stagione tea-

trale prevede ben 73 titoli, tanti grandi della scena e il nucleo artistico capitanato da Binasco con Filippo Dini, Kriszta Székely, Leonardo Lidi, Stéphane Braunschweig e Gabriele Vacis.

L’obiettivo principale dello Stabile, nella sua vocazione internazionale, è far dialogare artisti di generazioni e conoscenze diverse per dare nuova forma alla drammaturgia classica e moderna sottolineandone il rapporto coi nostri tempi. Da qui i progetti “Retroscena”, “Fuori copione”, “La cultura dietro l’angolo”, “Scena aperta” e “Pre - Show”, “Per un teatro accessibile”, “Un posto per tutti”. Un’attenzione che si traduce in cicli di incontri fra artisti e pubblico, anche nelle periferie della città, visite storiche a teatro e nel backstage, impegno verso la disabilità con l’utilizzo di nuove tecnologie e 1.000 abbonamenti offerti ai cittadini meno abbienti.

DA NON PERDERE

ROMA

Ambra Jovinelli, il piacere dell’intrattenimento intelligente Grandi risultati per la stagione passata e un programma 202324 ricco di novità, riprese super gettonate e tanti straordinari artisti. Primo spettacolo, Agosto a Osage County dal 18 al 29 con Filippo Dini, anche regista, e Anna Bonaiuto. Commedia pungente e spietata sulle dinamiche familiari.

GENOVA

Politeama Genovese, un cartellone lungo 46 spettacoli Ai blocchi di partenza anche il teatro ligure con rappresentazioni che spaziano dai musical al teatro comico, dalla prosa al teatro di narrazione, alla musica, alla danza. A conferma dei differenti linguaggi teatrali aprono la stagione gli incredibili Momix con Back to Momix del geniale, visionario Moses Pendleton, dal 19 al 22.

Teatro
Cultura
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FOTO LUIGI DE PALMA

L’HIP HOP HA 50 ANNI (E NON LI DIMOSTRA)

Ne parliamo con FRE, il rapper italo-nigeriano che spopola su Spotify e sogna il Festival di Sanremo

L’11 agosto 1973, quando nel Bronx si tenne la festa di quartiere per il compleanno della sorellina di un deejay immigrato giamaicano, Clive Campbell, alias DJ Kool Herc, segna per convenzione la nascita dell’hip-hop. Herc presentò sia i break, le porzioni ritmiche di brani ripetute per minuti, sia il rap, un accompagnamento vocale quasi parlato. Era un’evoluzione del reggae dj style, che già utilizzava i riddim, ritmi percussivi reiterati, e il toasting, cantilena o dizione che li accompagnava.

Sono trascorsi 50 anni e quel genere musicale, considerato all’inizio un’espressione dei neri di New York destinata a rimanere emarginata, è diventato un imponente fenomeno sociale e artistico, che si sviluppa dalla musica ai graffiti, dal cinema alla moda, dal linguaggio all’associazionismo. Una delle forze trainanti nel panorama culturale globale, Italia compresa.

Ne parliamo con FRE, al secolo Francis Adesanya, rapper che ha superato il milione di visualizzazioni con i singoli Influencer e Sott’acqua e di stream con il cd Gomorrista. Ha da poco pubblicato Nessuna emozione e sta preparando il brano che vorrebbe portare a Sanremo insieme ad Annalisa Minetti, la cantautrice non vedente che il Festival lo vinse nel 1998. «L’hip-hop ha avuto la forza di conquistare il mondo - ci dice - innanzitutto perché dal punto di vista tecnico è alla portata di tutti. Dai tem-

pi dei “campioni” tratti da pezzi altrui ai pc che permettono di buttare giù una base e rapparci sopra. È molto più semplice che fare jazz, pop o mettere insieme un gruppo rock. In realtà è un’arma a doppio taglio, perché comunque la qualità della musica esce sempre». Come ci si sente di fronte a cinquant’anni di storia? Molto piccoli. C’è una differenza incredibile tra la mentalità degli inizi e quella di oggi. Prima si parlava di temi sociali importanti, il razzismo, la segregazione; oggi sono cambiati totalmente il mood e i personaggi, si varia a tutto campo. Il sound continua a spaccare anche se è molto diverso dall’old style, c’è la trap, l’underground, è solo questione di gusti.

Come vede il futuro dell’hip hop in Italia?

Molto contaminato, soprattutto con il pop e tutto quello che è melodico. E duraturo, perché il rap, a differenza di altri generi, si sa adattare, un po’ come gli scarafaggi. Riesce a vivere in tutti gli ambienti: se va l’elettronica esce un pezzo rap misto elettronica, lo stesso con il rock o altro. Riesce sempre a stare dentro nel mercato. Non penso calerà mai nel futuro.

Musica
FOTO DANIELE GIOIA

Cultura

FILM IN USCITA

THE SITTING DUCK LA SINDACALISTA

Una funzionaria che da vittima diventa sospettata, in un film che è anche un’occasione per riflettere sulla violenza sulle donne

Dal regista di Belfagor-Il fantasma del Louvre (2001), Arséne Lupin (2004) e La padrina (2020), ecco la vicenda accaduta in Francia ma poco nota al pubblico, descritta da Caroline-Michel-Aguirre nel suo libro La Syndicalist. Nel 2012

Maureen Kearney (Isabelle Huppert), sindacalista del CFDT presso la multinazionale delle energie rinnovabili e nucleari Areva, viene trovata dalla sua domestica imbavagliata in casa, legata con scotch da pacchi e violata nel corpo e nell’anima: la funzionaria ha una A incisa sul ventre insanguinato e il manico del coltello infilato nelle parti intime. La polizia inizia le indagini sull’episodio di violenza casalinga, senza tralasciare dettagli. Ma, quando in ballo ci sono fortissimi interessi economici, i

poteri occulti provano a inquinare la verità. Così il sospetto dell’aggressione viene fatto ricadere sulla vittima, accusata di aver inscenato il fatto per attirare l’attenzione. Il lavoro di Maureen all’interno del sindacato l’aveva vista, un mese prima, battersi per la difesa della forza lavoro contro i tagli imposti dall’azienda sui costi del personale, in vista della ristrutturazione delle vecchie centrali con impianti nuovi. Insomma, alti interessi economici, politica compiacente e corsa al nucleare per un film che procede come un’inchiesta giornalistica e vede brillare Isabelle Huppert nel ruolo di una donna coraggiosa e determinata.

Regia: Alan Smithee

Genere: thriller

DRAMMATICO

KILLERS OF THE FLOWER MOON

Regia: Martin Scorsese

Con: L. DiCaprio, R. De Niro e L. Gladstone Per la tribù di nativi Osage la scoperta del petrolio sui loro territori in Oklahoma è una benedizione e una condanna. Lo spietato pioniere bianco, che si sente superiore ai pellerossa, per denaro non esita a compiere ogni tipo di violenze contro i nativi. Compreso l’omicidio. Dal libro di David Grann, Scorsese squarcia il velo sull’ennesima storia di sangue americana.

COMMEDIA

L’ULTIMA VOLTA

CHE SIAMO STATI BAMBINI

Regia: Claudio Bisio

Con: A. Di Domenicoantonio

V. Sebastiani, C. De Leonardis

L. Mc Govern, F. Cesari, M. Fontana

A.Fassari, G. Martini, N. Selikovsky, C. Bisio Il film d’apertura del 35° Giffoni Festival è una bella storia d’amicizia senza barriere ambientata nell’estate del ’43. Un gruppo di bambini, diversi tra loro per estrazione sociale e fede religiosa, gioca alla guerra mentre non troppo lontano piovono bombe vere. La guerra irrompe nella loro vite. Quando il bimbo ebreo viene deportato dai tedeschi, i tre amichetti faranno di tutto per ritrovarlo.

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Cinema
di Alessandra Miccinesi

a cura della Redazione

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Relazioni personali

Sono una signora vedova. Mi piacerebbe conoscere una persona solare come me, libera, con la voglia di vivere e farci una buona compagnia; non mi piace passare da sola gli anni della nostra vita. Sono dinamica e molto giovanile, posso ancora dare tanto; mi piace viaggiare, il mare, il ballo liscio e tante altre cose. Desidero un’amicizia vera, una persona seria che possibilmente non superi gli “anta”.

Telefonare al 3393030680

76enne pensionato, solo, residente in provincia di Como, desidera conoscere signora max 70enne, sola, bella presenza, residente a Como e provincia per sincera amicizia ed eventuale conoscenza. Amo il mare e la natura, non ho l’auto per un difetto visivo. Telefonare al 3334276676 (anche sms)

72enne, piacente, giovanile, allegro, curioso, positivo. Mi piace viaggiare e divertirmi. Affettuoso, emotivo ma flemmatico. Adoro passeggiare anche sotto la pioggia. Vorrei conoscere una compagna amica, non fumatrice per condividere

Queste pagine sono dedicate a chi cerca un’amicizia, a chi vuole affittare, comprare o vendere immobili. Qui potete assicurarvi un impiego o acquistare oggetti rari e curiosi

Le inserzioni possono essere indirizzate a mezzo posta a: 50&Più, via del Melangolo, 26 00186 Roma, oppure tramite posta elettronica all’indirizzo: redazione@50epiu.it. Vengono accettate solo se firmate in modo leggibile e corredate della fotocopia del documento d’identità del firmatario, fermo restando il diritto all’anonimato per chi ne faccia richiesta.

i medesimi interessi e magari altri che non conosco. Zona Trieste e Regione. Incontriamoci per un caffè. Telefonare al 3517978899

68enne, distinto, buona cultura, alto 1,80, gradirebbe conoscere donna distinta e trasferirsi nel Veneto per un rapporto di amicizia finalizzata ad eventuale unione. Serietà e discrezione.

Telefonare al 3381032900

Ciao, sono di Lecce, ho 70 anni, sono una donna romantica, amo gli animali, fare lunghe passeggiate in campagna. Mi piace avere una mia famiglia, trovare una persona seria come lo sono io. Vivo da sola, come compagnia ho un gatto, i miei genitori sono morti da molto tempo. Possibilmente cerco un uomo delle mie parti, della Puglia, età dai 70 ai 73. Solo persone serie.

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Se sei un uomo libero, alto, sportivo, senza figli, dai 70 in su, dinamico, amante musica, teatro ecc., vorrei conoscerti. Zone Liguria, Piemonte, Lombardia. No perditempo e non corrispondenti alle richieste per una seria collaborazione relazionale.

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87 anni portati bene, sono un flautista diplomato. Ho svolto la mia attività in qualità di insegnante di Educazione musicale nella Scuola Media Statale. Sono vedovo, vivo da solo, sono religioso, riservato e gentile. Conoscerei una signora con gli stessi requisiti per vivere insieme momenti di allegria e spensieratezza. Se ci sei telefonami.

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Operatore computer con attestato, cerca lavoro in qualunque settore a Siracusa e provincia.

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Occasione unica, Gallipoli, vendesi trilocale mura di cinta centro storico, trattativa diretta proprietario. Accesso diretto sottostante mare. Due letto, due bagni, cucinotto. Proprietà comprende 1/4 cortile interno indiviso con posti auto, androne con passo carraio. Arredato, abitabile subito. Classe energetica “G”.

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LA REDAZIONE NON RISPONDE DEL CONTENUTO DELL’INSERZIONE. L’art. 6, comma 8, del D.L. 4/6/2013 n. 63, convertito nella L. 3/8/2013 n. 90, ha imposto di riportare negli annunci di vendita o di locazione di immobili, l’indice di prestazione energetica dell’involucro edilizio globale o dell’unità immobiliare e la classe energetica corrispondente. Lo stesso D.L. ha previsto, inoltre (art. 12), che in caso di violazione di tale obbligo, il responsabile dell’annuncio è punito con una sanzione amministrativa non inferiore a 500 euro e non superiore a 3.000 euro. A tal proposito, evidenziamo che per la pubblicazione accetteremo solo annunci che riportino anche quanto previsto dal suddetto art. 6, comma 8.

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Vivere in armonia

OTTOBRE, CANTICO D’AUTUNNO

a cura di

OTTOBRE

Il mutare dei colori avanza sulle strade dell’autunno. Con le temperature dolci e le atmosfere morbide, le ombre lunghe danno un volto nuovo alla vita. A ottobre l’estate sembra volersi ancora trattenere. E si spera, come ogni anno, che davvero la bella stagione ci tenga ancora un po’ di compagnia, che il maltempo stia per qualche giorno alla larga, regalandoci quel che come tradizione vuole, sia la classica, attesa ottobrata. Poco importa se le lancette dell’orologio andranno di colpo di un’ora indietro, se la notte calerà più rapidamente. Di cose da fare, nell’orto, in giardino, in cucina, ce ne sono in abbondanza. Una per tutte? La vendemmia in corso! Si preparano le botti in cantina, sui graticci si mette ad asciugare l’uva per il vinsanto. Si semina e si raccolgono i primi dolcissimi frutti dell’autunno, che portano, succoso nel cuore, il caldo sole dell’estate. E poi, finita la vendemmia si annuncia il tempo della raccolta delle olive.

Fa bene perché

L’ORTAGGIO

Il ravanello (Raphanus sativus)

Destinato soprattutto all’uso culinario, un tempo si faceva molto apprezzare anche per le virtù curative, in particolare del fegato e dello stomaco per il suo potere disintossicante.

È ricco di vitamine, in particolare la vitamina C, insieme ai folati, che sono delle provitamine, e alle vitamine del gruppo B, in particolare B1, B2, B3, B5 e B6. Contiene inoltre molte fibre e antiossidanti come luteina e zeaxantina.

Coltiviamolo così

Il ravanello predilige terreni sciolti, umidi e ricchi di humus. Lo danneggiano siccità e troppo sole. Semplice da coltivare, rientra nella categoria degli ortaggi meno esigenti e amatissimi anche dai coltivatori più impazienti: appena 5 o 6 settimane e avranno in mano i loro vivaci frutti. Una coltura semplice e veloce, che ben si adatta anche ai piccoli spazi e al balcone. Unica accortezza: evitare per le varietà estive esposizione troppe soleggiate.

La semina

All’aperto si semina in Luna calante a spaglio in maniera scalare, in genere ogni 15 giorni dalla primavera all’autunno. Oppure si possono tracciare con un rastrello piccoli solchi profondi 1-2 cm, in cui far cadere i semi. Una lieve annaffiatura basterà ad interrarli. Per la semina in estate scegliere un luogo semi-ombreggiato e annaffiare con regolarità. Le piantine si diradano garantendo una distanza di 2-3 cm. In genere non si effettua trapianto.

Raccolta

I ravanelli si raccolgono scalarmente a 45 giorni dalla semina. Con l’aumentare delle dimensioni cresce il rischio di spaccature della radice. La raccolta si effettua con Luna crescente

«I frutti d’inverno si colgono nel mese di Ottobre, a Luna vecchia, e in genere buone e asciutte per conservarli, avvertendo di non ammaccarli. Si deve pur cavar dal postino, le piante, e trapiantarle a Luna Nuova in climi dolci, e né terreni temperati»
Almanacco Barbanera 1850
seguendo le stagioni
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BUONO A SAPERSI

Avete dei maglioni colorati infeltriti? Invece di buttarli, cucite delle piccole sacche con risvolto, di circonferenza tra i 10 e i 20 cm. Divertitevi a mescolare i colori, poi foderate le sacche con due strati di nylon con le bolle, mettendo sul fondo un po’ di ghiaino e sabbia, e poi riempitele di terra. Fatevi consigliare delle piantine grasse che necessitano di pochissima acqua. Piantatele nelle sacche, disponendole su un vassoio, e annaffiatele bagnando la terra con uno spruzzino.

FIORI E FRUTTI SUL BALCONE

Melograno

dai bei vermigli fior

Di poetica memoria, il melograno, Punica granatum, è un alberello molto decorativo dai frutti carichi di simbologia e salute. La varietà nana si coltiva bene anche in vaso. Non è un bonsai, ma una miniatura delle specie più grandi. Non supera il metro di altezza, è rustica e resistente al freddo e al caldo. Ama le posizioni soleggiate e fa magnifici fiori rossi e frutti tra settembre e ottobre. Non ha bisogno di potature, se non dei rami secchi.

DICE IL PROVERBIO

Funghi e imbrogli sono uguali i più belli son letali

Ricchezza non fa gentilezza

Se ottobre è solaiolo novembre è fungaiolo

COLTIVARE CON LA LUNA

Nell’orto

Ottobre è il mese per eccellenza delle semine. Si comincia allora con la Luna calante per seminare all’aperto ravanelli, spinaci e valerianella. Ma anche per piantare i bulbilli di aglio in piena terra e per accogliere gli ultimi ortaggi da conservare, come bietola da orto e rapa. Inoltre, scalzare l’asparagiaia e pulire e vangare il terreno mano a mano che le colture esauriscono il loro ciclo vegetativo. Vendemmiare e raccogliere cotogne, mele e pere a maturazione autunnale. In Luna crescente riprodurre le piante aromatiche per divisione dei cespi, come lavanda, maggiorana, origano, ruta e timo. Iniziare a raccogliere cardi, finocchi, sedani e cavolo verza per il consumo fresco. Seminare i piselli. Raccogliere cachi, castagne, kiwi, mele, mele cotogna e metterli in luogo fresco evitando di ammassare i frutti.

Nel giardino

Meno da fare in giardino dove ovviamente diminuiscono, se non addirittura si fermano, le annaffiature. Ricordarsi invece, con la Luna calante, di estirpare e conservare i bulbi che hanno concluso la fioritura, come dalia e gladiolo. In Luna crescente moltiplicare per talea specie sempreverdi come aucuba e lauroceraso, o di spoglianti come forsizia. Preparare talee di rosa e metterle a radicare. Continuare a seminare i tappeti er bosi. Tagliare il prato prima dell’arrivo del freddo e, dove possibile, effettuare ancora le trasemine. Mettere a dimora le bulbose che fioriranno in primavera come narciso e tulipano.

Impariamo a pacciamare

SE HAI ½ GIORNATA

Le temperature scendono e annunciano i primi freddi. In questi giorni c’è da fare la pacciamatura. Niente di difficile. Si tratta semplicemente di proteggere i nuovi alberi, tanto nel giardino quanto nel frutteto, gli arbusti da poco trapiantati, e anche le rose, collocando alla base del fusto uno strato di paglia, foglie, aghi di pino, corteccia o anche erba tagliata. Va bene pure per l’orto. Servirà a mantenere più caldo e umido il terreno, a impedire la crescita delle infestanti e, in altri momenti dell’anno, a impedire una rapida evaporazione dell’acqua. Si tratta di una tecnica suggerita da quanto avviene in natura, quando le foglie cadono sul terreno costituendo uno strato protettivo.

IL SOLE

Il 1° sorge alle 06:57 e tramonta alle 18:42

L’11 sorge alle 07:07 e tramonta alle 18:26

Il 21 sorge alle 07:19 e tramonta alle 18:10

Le giornate si accorciano. Il 1° si hanno 11 ore e 45 minuti di luce solare e il 31 si hanno 10 ore e 25 minuti: si perdono 80 minuti di luce

LA LUNA

Il 1° tramonta alle 09:14 e sorge alle 19:48

L’11 sorge alle 03:36 e tramonta alle 17:20

Il 21 sorge alle 14:21 e tramonta alle 23:04

Luna calante dal 1° al 13 e dal 29 al 31

Luna crescente dal 15 al 27

Luna Piena il 28. Luna Nuova il 14

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Giochi

TEST 1

Osservate attentamente i sei seguenti gruppi di figure e dite come devono essere colorati, utilizzando un criterio logico da determinare, i contorni dei due cerchi e il rettangolo interno ad essi nell’ultimo gruppo di figure.

REBUS Lionello 3 2 8 7!

REBUS Lionello 8 2 6

» UN TIPO FUMANTINO

Dicon di lui che sia una testa calda tanto che se lo stuzzicano come niente subito s’infiamma

INDOVINELLO Lionello

» UOMO DA POCO

Certo è un uomo da poco che rispetto ad altri lo vedi: calvo, debole e sdentato che ha il gusto di succhiare avidamente i beni e le sostanze della gente

INDOVINELLO Favolino

TEST 2

Osservate attentamente le cinque sequenze di numeri e lettere a destra e dite quale numero va sostituito, secondo logica, al punto interrogativo nell’ultima sequenza.

TEST 3

Osservate attentamente le seguenti dodici parole e individuate una parola “intrusa” utilizzando un criterio logico da determinare.

TEST 4

Osservate attentamente la sottostante figura e dite quale dei quattro particolari di seguito riportati può essere considerato “intruso”.

Soluzioni a pagina 98

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di Lionello e Favolino Stuzzica Cervello di Enrico Diglio
a) b) c) d) e) f) ? ? ? a) M L 21 1 b) S A 18 16 c) H B 10 6 d) G F 13 1 e) O C 16 ? a) b) c) d)
MORA VESTE MAPPA PALA RAZZO TOPO TEMA RISO POMO ZONA LATO NAVE

PARKINSON NON SOLO TERAPIA FARMACOLOGICA

Che una sana attività fisica protegga la mente, oltre che il corpo, è risaputo. Quello che non sapevamo è che potrebbe rallentare il decorso del Parkinson. Una ricerca dell’Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma - pubblicata su Science Advances e condotta in collaborazione con altre università e istituti di ricerca - ha scoperto infatti un meccanismo mai osservato prima: l’esercizio fisico eseguito nella fase precoce della malattia non solo può incidere positivamente sul controllo del movimento volontario, ma i suoi effetti possono durare anche dopo l’interruzione dell’allenamento.

ALIMENTAZIONE RECUPERARE

IL GUSTO DEL CIBO

Quando si soffre di alterazione del gusto sopra gli 80 anni c’è il rischio di una maggiore esposizione alla malnutrizione. Questo tipo di disturbo, spesso sottovalutato, spinge chi ne soffre a cercare cibi con un qualsiasi sapore. Quali strategie usare allora? Si possono, ad esempio, cambiare tipo di posate o arricchire le pietanze con spezie che aiutino a mangiare con gusto. Così come è fondamentale mantenere il giusto grado di idratazione del cibo - in tal modo le molecole degli alimenti possono sciogliersi diventando più facili da captare dalle papille gustative - e masticare lentamente. Il che, grazie ad una maggiore produzione di saliva, migliora la percezione del gusto.

LAVORO

NEGLI USA SEMPRE PIÙ OTTANTENNI AL LAVORO

Negli Stati Uniti, nel 2022, gli 80enni al lavoro erano 650mila, circa il 18% in più rispetto all’anno precedente. I motivi sono tanti: ricerca di sicurezza finanziaria, di stimoli intellettuali e connessioni sociali, così come il timore di perdere il proprio ruolo. Secondo i geriatri, lavorare a 80 anni può avere ricadute positive e accrescere la percezione dell’aspettativa di vita, ma i “vantaggi” ci sono anche per i datori: grazie alla loro esperienza lavorativa, gli 80enni possono ricoprire un ruolo di mentori e modelli per i dipendenti più giovani, oltre ad essere un segno tangibile di inclusività.

TECNOLOGIA

LOOKY

UN SISTEMA CHE AIUTA E ASSISTE GLI ANZIANI

Secondo l’Istat, in Italia le persone over 65 che vivono sole sono oltre 4 milioni, un numero destinato ad aumentare e che spinge a ideare soluzioni adatte. La start up Future Care ha quindi progettato “Looky”, un dispositivo intelligente in grado di offrire un aiuto pratico, avvisando della necessità di prendere una determinata medicina, monitorandone la corretta assunzione e comunicandola ai familiari. Looky però non è un semplice “pill dispenser”: la sua tecnologia intelligente gli consente persino di avvisare, in caso di caduta in casa, il caregiver dopo pochi secondi affinché possa accorrere in aiuto.

SOCIETÀ

AUMENTANO GLI ITALIANI IN CONDIZIONI DI FRAGILITÀ

Tra il 2011 e il 2021, nel nostro Paese, gli italiani sopra i 50 anni con fragilità lieve, moderata o severa sono passati dal 26% al 40%. Si tratta di oltre 11 milioni di persone, con la fragilità severa più che raddoppiata (dall’1,4% al 3,7%). A dirlo è un’indagine di Italia Longeva che ha effettuato una misurazione su larga scala esaminando oltre 8 milioni di cartelle cliniche di pazienti over 50 in carico ai medici di medicina generale, valutati attraverso l’Indice di fragilità. Si tratta del primo studio in Italia, e tra i primi in Europa, effettuato su trend di fragilità così protratti e in una popolazione così vasta.

LIBRI

LA VIA DELL’EQUILIBRIO

Viola Antonella

Feltrinelli 2023 - 176 pagine

«Non si può respingere il tempo che passa, ma si può accoglierlo con la giusta postura. Per essere longevi in modo sostenibile». Così scrive Antonella

Viola spiegando le ragioni biologiche di un’esperienza universale: l’invecchiamento. Diete e manuali ci dicono come mantenerci in forma. Questo però rende complesso accettare come e perché mutiamo nel tempo. Il primo passo è capire perché invecchiamo. Non tutti i segni legati agli anni, come le rughe, sono deleteri, anche se ci sforziamo di più per nasconderli che per mantenere i muscoli forti o il cuore sano. Serve equilibrio, ma soprattutto prevenzione, imparando ad accogliere il tempo, non a respingerlo.

0ttobre 2023 | www.spazio50.org 97
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Soluzioni giochi

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chela VI; O lenza; TeR mini; = Che la violenza termini!

GIOCHI IN VERSI INDOVINELLI

REBUS (8 2 6)

TU tela, tela N; A tura = Tutelate la natura

Un tipo fumantino = Il fiammifero Uomo da poco = Il neonato

Stuzzica cervello

TEST 1 - Nella figura f) compaiono due circonferenze, quella a sinistra è di colore blu, quella a destra di colore verde, mentre il rettangolo interno è di colore rosso. Essa è, infatti, la figura c) capovolta orizzontalmente, analogamente alle figure d) ed e) che rappresentano rispettivamente le figure a) e b) anch’esse capovolte orizzontalmente.

c) f)

TEST 2 - Il numero che sostituisce il punto interrogativo nella sequenza contrassegnata dalla lettera e) è 10. Esso, come per tutte le altre sequenze, è il risultato della differenza tra i numeri che rappresentano la posizione nell’alfabeto italiano delle lettere che compaiono nella sequenza. Il numero che compare prima di quello da determinare è invece il risultato dell’addizione tra i numeri delle posizioni nell’alfabeto delle stesse lettere.

O C 16 10

13 + 3 = 16 13 – 3 = 10

O: tredicesima posizione nell’alfabeto italiano

C:dterza posizione nell’alfabeto italiano

TEST 3 - La parola “intrusa” è RISO. Essa, infatti, non fa parte della sequenza circolare di undici parole qui sotto riportata, in cui ogni parola ha le ultime due lettere uguali alle due lettere iniziali della parola seguente. Quindi:

TEST 4 - Il particolare “intruso” è quello contrassegnato dalla lettera c).

LATO TOPO POMO PALA MORA MAPPA RAZZO TEMA VESTE NAVE ZONA
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