A che punto è la notte?

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Stefano Borghi - Simone Campana

A CHE PUNTO È LA NOTTE? Una riflessione per gettare lo sguardo in avanti sui nostri oratori


Autore: Stefano Borghi Illustrazioni: Simone Campana (@illustre_mocassino) Progetto grafico: Annalisa Porcelli Ringraziamo tutti coloro che hanno contribuito alla stesura di questo testo © Pepita viale Sondrio 7 - 20124 Milano info@pepita.it


INDICE

Premessa | 5

Tramonto | 7

Crepuscolo | 13

Notte fonda | 19

Alba | 25

Aurora | 33



PREMESSA La notte, udite, sta per finire, ma il giorno ancora non è arrivato, Sembra che il tempo nel suo fluire resti inchiodato Ma io veglio sempre, perciò insistete, voi lo potete, ridomandate, Tornate ancora se lo volete, non vi stancate. Shomèr Ma Mi-Llailah, F.Guccini

“Il giorno non è ancòra arrivato”: è vero, la pandemia che ci ha investito come una doccia fredda e interminabile non ha ancora cessato di tormentarci; ma in quella piccola parola, “ancòra”, si racchiude l’essenza dell’educare, l’importanza della continuità e della presenza, non solo una semplice speranza o proiezione. “Io veglio sempre”: questo il compito dell’educatore, anche quando le condizioni non sono favorevoli o anzi ostacolano qualsiasi compito di responsabilità. Protocolli e modelli comportamentali per il rispetto del distanziamento impegnano da mesi le nostre menti e richiedono le nostre energie, sono stati e sono tutt’ora il centro delle discussioni tra i politici e i tecnici chiamati a gestire le manovre di contenimento dei contagi. Ma in questa spasmodica ricerca di mitigare i danni di un “mostro” esterno a noi, chi ha fatto luce sulle paure, sulle perplessità, sui desideri e sul mondo interiore dei ragazzi, allontanati di continuo dalla scuola in presenza e dalla scuola della vita? Oltre ai nuclei familiari, chi si è preso cura dei loro bisogni, con il conforto di un sorriso, seppur nascosto da una mascherina chirurgica o mediato da A CHE PUNTO È LA NOTTE?

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uno schermo? Chi li ha rassicurati dicendo loro: insistete, voi lo potete, ridomandate, tornate ancora se lo volete? Gli educatori, anima viva dei luoghi di incontro, anche da quando questi luoghi non sono stati più accessibili. Hanno combattuto l’isolamento a fianco dei ragazzi, stimolando a tornare nel gruppo anche i più recalcitranti, ovvero coloro che rischiavano di rifugiarsi totalmente nelle tecnologie, affidando e rimandando il proprio sentire esclusivamente alla digitazione e alla meccanica spersonalizzante del gioco online. In questo frangente così pericoloso per le relazioni e le comunità, gli oratori, luogo di relazioni tra pari e tra generazioni diverse, più che mai si sono dimostrati in grado di superare persino le differenze confessionali nel nome dell’ascolto e dell’accoglienza dei nuovi bisogni generati dall’emergenza educativa che si è aggiunta a quella sanitaria. Questo lavoro che avete tra le mani non mira a imporre paradigmi educativi, ma vuole suggerire strade di resilienza e di approccio positivo attraverso il racconto di quanto è stato per chi c’è stato e ci sarà sempre. Un insieme di riflessioni che Stefano con le parole e Simone con il suo tratto hanno sintetizzato raccogliendo le voci, le esperienze, gli stati d’animo degli educatori di Pepita. Un susseguirsi di stimoli, il cui unico ordine, più ideale che temporale, è quello che parte dal crepuscolo e raggiunge l’aurora del giorno successivo, quel giorno che “ancora non è arrivato”, ma su cui vogliamo concentrare le nostre energie, perché “la notte, udite, sta per finire”. Ivano Zoppi Presidente Pepita Onlus

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TRAMONTO



Eravamo pronti per festeggiare il Carnevale. Avevamo preparato il carro per la sfilata, l’animazione con gli adolescenti in piazza, la serata a tema per i preadolescenti o per le famiglie. Anche se affannati, perché alla fine “siamo sempre gli stessi a fare le cose”, come ogni anno si stava per compiere uno dei tanti riti e momenti di festa che scandiscono la vita di un oratorio. Perché l’oratorio è una festa: è nella dinamica della festa che ha trovato una delle modalità di espressione più felici del proprio modo di essere. E del volto della festa, noi che gli oratori li abitiamo, siamo sempre stati orgogliosi: «Quest’anno alla festa dell’oratorio eravamo tantissimi, che bello!», quante volte ce lo siamo detti tra educatori, volontari e famiglie dei nostri oratori. O ancora: «La festa di fine oratorio estivo è venuta benissimo», con quel misto di stanchezza e soddisfazione che rendono quei momenti ancora più belli. Allora tutte le fatiche e le lamentele passano in secondo piano. E siamo davvero felici quando vediamo l’oratorio pieno di persone e in festa! Siamo felici durante l’oratorio estivo, quando, finalmente, quel cortile quasi bistrattato e dimenticato durante l’anno scolastico, si riempie del vociare di bambini e ragazzi, di animatori adolescenti e (più raramente) volontari adulti. Allo stesso modo, ci facciamo prendere dallo sconforto se vediamo che l’oratorio è deserto. Eppure ci eravamo già accorti che qualcosa non stava funzionando, che nonostante tutti gli sforzi spesso le cose non andavano come volevamo, che tutto il nostro impegno sembrava non lasciare il segno sui tantissimi ragazzi che incontravamo. I valori che, come oratorio, provavamo a proporre ad adolescenti e giovani sembravano non far presa sulla maggioranza A CHE PUNTO È LA NOTTE?

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dei ragazzi, e, ancora peggio, tra gli adulti che di questi ragazzi sono genitori o parenti. Ma, alla fine, ci lasciavamo cullare dalle immagini dei nostri oratori estivi pieni di ragazzi, delle feste ben organizzate e partecipate, senza accorgerci che forse quello che stavamo ammirando era un bel panorama su cui però stava per incombere la notte. Era come se i nostri oratori stessero vivendo un lungo tramonto, bellissimo, con le sfumature tipiche di questa fase del giorno: felicità e gioia per quei colori splendidi, miste a un po’ di malinconia per quello che stava sfumando, ovvero l’oratorio sempre pieno di persone. Tuttavia abbiamo preferito ammirare il tramonto piuttosto che prepararci alla notte che stava arrivando. Il COVID-19 e la pandemia hanno solo accelerato questo processo, che era già ben avviato, solo che noi non abbiamo voluto vederlo. Perché se il lockdown è stato, e in parte è tuttora, la notte dell’agire educativo dell’oratorio (come di altre agenzie educative) non lo è stato solo per colpa della pandemia. Ma, se un momento di svolta c’è stato, per lo meno nella percezione degli addetti ai lavori, è stata proprio sul finire del mese di febbraio 2020. Con i nostri riti quotidiani dell’oratorio che non potevano più essere celebrati: l’apertura dei cancelli, il gioco nei cortili, gli incontri con preadolescenti e adolescenti, i momenti di festa aperti a tutta la comunità. Con il venir meno delle nostre certezze, abbiamo dovuto interrogarci su noi stessi e su come rimodulare la nostra presenza. Perché della presenza l’oratorio ha sempre fatto la sua forza. Presente in ogni città, paese, frazione, quartiere, aperto alla libera frequentazione di bambini, ragazzi e famiglie per la maggior parte delle attività che propone, l’oratorio svolge il prezioso compito di avamposto educativo di un territorio. E in quanto avamposto, ha il dovere di mostrare a quel quartiere, frazione, paese o città dove stanno andando le giovani generazioni. O, meglio ancora, dove noi adulti le stiamo accompagnando. Già prima di tutto questo eravamo disorientati, indecisi su dove andare. Quello che non sapevamo era che le cose sarebbero andate molto peggio di così. 10

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CREPUSCOLO



E così, il 21 febbraio 2020, mentre in Diocesi a Milano si celebrava il Primo Convegno Diocesano sull’educatore retribuito in oratorio, abbiamo scoperto che a Codogno era stato individuato il primo caso italiano di paziente positivo al COVID-19. I giorni successivi tutte le sfilate previste durante il weekend per il Carnevale sono state sospese, le scuole e gli oratori chiusi nella speranza che si trattasse di una situazione temporanea. Ma, quando si è capito che non sarebbe stato così, che la situazione sarebbe andata avanti per un bel po’, cosa abbiamo fatto? L’impatto della pandemia non è stato vissuto in maniera omogenea: ogni realtà ha reagito in maniera diversa, decidendo cosa fare, come riorganizzarsi. Alcuni sono rimasti paralizzati. Altri si sono reinventati. Come hanno fatto? Dove hanno trovato energia e intelligenza per riuscire a “esserci”, comunque? Sono riusciti a reinventarsi quegli oratori che hanno ritenuto fondamentale nella propria mission lo stare accanto ai ragazzi e accompagnarli nel loro percorso di crescita. Parafrasando l’espressione1 che Alessandro D’Avenia ha utilizzato in un suo articolo per il Corriere della Sera, nel marzo del 2020 l’oratorio c’era ancora? Sì, l’oratorio c’era. O, per lo meno c’è stato, laddove, anche prima della chiusura forzata del luogo fisico, l’oratorio era qualcosa di più delle mura che lo definivano. L’oratorio è rimasto aperto solo dove “oratorio” è il nome che diamo alla relazione che sopravvive alla chiusura dell’edificio. Altrimenti, aperto, un oratorio, non lo è mai. Chi questa relazione la viveva, là dove l’attenzione al singolo ragazzo era reale e non solo dichiarata, ci si è inventati modalità di stare vicino ai ragazzi. Chi guardava all’oratorio come un luogo dove i ragazzi si reca1

Alessandro D’Avenia, Scuole Chiuse, Corriere della sera, 23 marzo 2020

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vano e lì apprendevano uno stile educativo è rimasto fermo, immobile, aspettando che tutto passasse e che si potesse tornare a fare le cose come se nulla fosse accaduto. Ma chi propendeva per questa seconda ipotesi, nulla più dei mesi primaverili ha fatto vedere quanto quella visione fosse limitata e soprattutto limitante. Perché la contrapposizione non era tra incontri su Zoom o incontri in presenza, ma tra incontri su Zoom… e niente. E per molti oratori “niente” è stata la parola che ha descritto i mesi di lockdown e in alcuni casi anche i mesi estivi. Il re era nudo e questa volta lo era completamente, non c’era niente dietro a cui nascondersi. Non c’erano i numeri degli oratori estivi, le feste dell’oratorio con i cortili pieni di persone. Tuttavia, il provare a inventare nuove modalità di stare vicino ai ragazzi qualcosa ha prodotto, per lo meno in chi si è messo in gioco. Le prime settimane di marzo, da questo punto di vista, sono state un momento di grande creatività: proposte per passare bene il tempo in casa, incontri online di gruppo e videochiamate individuali per affrontare insieme il momento difficile, una grande adrenalina ha percorso tanti oratori e gruppi di educatori. È stato un continuo incontrarsi e ri-incontrarsi (online) per elaborare proposte da lanciare a ragazzi e adolescenti. Abbiamo scoperto che potevamo portare l’oratorio “fuori”. Direttamente nelle case dei ragazzi. Che è stata un po’ come la scoperta dell’acqua calda. Ma l’abbiamo scoperto in virtù della costrizione a portar fuori ciò che è sempre stato dentro. Abbiamo avuto bisogno di una pandemia per fare quello che ripetiamo continuamente: portare fuori l’oratorio. E così ne abbiamo inventate di ogni per farci prossimi ai ragazzi e alle loro famiglie. Per non lasciarli soli. Il tutto, però, non senza una certa ritrosia da parte di alcuni, sia volontari che responsabili, anche tra più giovani: «Perché dobbiamo vederci online con i ragazzi per giocare? Noi facciamo un’altra cosa...» oppure: «Già è difficile sentire un ragazzo in presenza, figurati con una videochiamata!» e infine: «I ragazzi non sono interessati all’incontro online». Come se fosse possibile incontrare i ragazzi ed educare solo all’interno delle mura dell’oratorio e in occasione di incontri prefissati, come l’ora di catechismo. 16

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Incontro = oratorio. Perché è questa l’equazione che abbiamo radicata dentro di noi. Le domande e le obiezioni sopra esposte mettevano in luce una parte di realtà, ma non andavano al cuore della questione educativa. È riuscito a riadattarsi a questa situazione chi ha tenuto vive le domande di senso: Come stanno i ragazzi? Come possiamo stare loro vicino? Mi stanno a cuore? Cosa possiamo e possono apprendere da questa esperienza? Come rendere questo momento educativo per noi e per loro? In questo i mesi di lockdown sono stati davvero esplicativi della sensibilità educativa degli oratori. In molti casi la comunità educante ha avuto bisogno di essere sostenuta e orientata, sul perché avesse senso seguire i ragazzi anche online. In molti altri si è completamente eclissata, in attesa di giorni migliori. Chi ha agito così ha creduto di poter “mettere in pausa” l’educazione. Ma l’educazione, come la vita, non si può mettere in pausa. L’educazione, come la vita, continua. Durante il lockdown, i nostri oratori avevano disperato bisogno di giovani e adulti, sacerdoti e laici, religiose e consacrate, educatori professionisti e volontari, in grado di rispondere Presente! al bisogno dei ragazzi e delle famiglie di essere accompagnati proprio in quelle settimane difficili. Di una comunità educante che fosse davvero tale. Una comunità non dipendente esclusivamente dall’iniziativa del singolo (sacerdote, consacrata, educatore), ma espressione di diverse figure. La sconfitta più grande per gli oratori non è stata la scarsa presenza online di ragazzi e ragazze, ma l’assenza di chi ha scelto di farsi da parte, nascondendosi a volte dietro le fatiche tecnologiche, a volte dietro la necessità di fare silenzio e pregare, a volte dietro l’impossibilità del raggiungere fisicamente i ragazzi. E allora per alcuni è stato preferibile non fare nulla. Per quegli oratori il cancello chiuso ha significato davvero la chiusura dell’oratorio in quanto tale: con la totale (o quasi) assenza di proposte rivolte ai ragazzi. Per quegli oratori la notte fonda è arrivata prima, e purtroppo spesso è finita dopo. Ma, per tutti, c’è stato un momento più buio di altri. A CHE PUNTO È LA NOTTE?

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NOTTE FONDA



Il mese di aprile è stato quello più difficile. Dopo la frenesia iniziale da parte di chi, in qualche modo, si era attivato, la chiusura forzata in casa ha iniziato a farsi sentire. Anche i più propositivi tra noi erano scarichi. Un po’ per la situazione generale, in bilico tra emergenza sanitaria e crisi economica. Ma, soprattutto, pesava la fatica a rimanere connessi, a trovare modi per raggiungere i ragazzi, che erano a loro volta stanchi e forse anche un po’ impauriti. In quel frangente ci siamo resi conto che la forza della proposta educativa dell’oratorio era nel tipo di esperienza che metteva in atto: un’esperienza educativa di tipo relazionale e non prestazionale. La logica prestazionale è quella che crede che i contenuti, gli insegnamenti, che noi consegniamo ai ragazzi siano validi in quanto tali. Quella relazionale che sono validi proprio perché noi consegniamo qualcosa e, nel farlo, ci giochiamo entrando in relazione, con la nostra umanità, con coloro a cui pensiamo. Secondo questa logica l’incontro di formazione non è mai simile a se stesso e l’insegnamento che si vuole consegnare a un ragazzo risentirà sempre del tipo di relazione che c’è tra noi e lui. In quelle settimane, alcuni di noi hanno provato a consegnare ai ragazzi video o lettere con indicazioni su come vivere quei mesi difficili. Per quanto costellati di ottime intenzioni, questi tentativi si sono rilevati completamente inefficaci, per non dire inopportuni: perché, se è vero che i ragazzi hanno bisogno di educatori per scoprire il mondo, per aprirsi a esso, è altrettanto vero che non è solo un insieme di indicazioni che cercano da questi educatori, ma qualcosa di più. Per quello internet funziona anche meglio. I ragazzi vogliono essere visti, riconosciuti, e aiutati a scoprire cosa aiuta a crescere, cosa conta davvero, per cosa vale la pena far fatica. Facendola, questa fatica, insieme a loro. A CHE PUNTO È LA NOTTE?

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Il lockdown ha messo in crisi un certo modo di pensare e soprattutto praticare l’educazione in oratorio. Una modalità che già prima mostrava lacune, che erano però coperte dalla dinamica di gruppo che la presenza rendeva possibile. Venuta meno la dinamica di gruppo, le certezze di contenuto che pensavamo di avere si sono rivelate vuote. Ci siamo accorti davvero quanto sia difficile educare. E non solo perché in quei mesi fosse arduo inventare nuove strade per farsi prossimi ai ragazzi, ma perché il difficile era rimanere davvero prossimi. In una situazione di incertezza, senza sapere quando sarebbe finita e soprattutto come, di abisso. Le settimane di lockdown ci hanno mostrato quanto sia difficile “stare”. Come educatori. Ma ancora prima come uomini e donne. In una società caratterizzata dal movimento continuo, dal correre da un impegno all’altro, abituati a muoverci a nostro piacimento, il divieto di uscire dalle nostre case, a rimanere lì dove eravamo, ci ha fatto vedere quanto sia difficile stare. Non solo fisicamente, fermi. Ma stare nelle situazioni della vita. Soprattutto in quelle più difficili. Dove non sai come andrà a finire. Eppure: «quale altro modo potrà renderci altrimenti credibili, e meritevoli d’esser creduti, se stiamo, per scelta, accompagnando come educatori un altro uomo, un’altra donna, a stare al cospetto, di fronte e non al retro, dell’abisso suo stesso? Perché ogni obiettivo educativo, che si declina in comportamenti buoni e azioni morali, ha prima di tutto un vaglio, un travaglio necessario, pena la perdita di umano: lo stare coraggiosi dentro l’inferno che ci è spettato. Cosa è questo inferno se non il dolore profondo, profondissimo, che coincide col caos, il limite, lo strazio, la ferita profondissima fino al sangue, che ognuno, ognuno, ognuno di noi ha incontrato e incontra nella sua storia di umano, incarnato? […]» 2 Ci era chiesto di stare. Come uomini e donne, e ancora di più come educatori. Di essere a fianco dei ragazzi (e delle loro famiglie). Di trovare insieme un senso a quella situazione. Standoci dentro. Scardicchio A.C., Dell’amore e del merito. Grovigli e sgrovigli dell’educatore pastorale, La Meridiana, Bari 2

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«E allora restare al fianco, anche muto, non per dare risposte ma contagiare la spinta più potente della vita: che è lo scatto di schiena che ti porta fuori dall’inferno. […] Dopo il fascino precario di una tecnica o di un carisma, cosa resta, osservando all’indietro, senza fragore, il tempo della nostra vita scandito tra bisogno di protezione e desiderio di esplorazione? Resta l’umano, l’autentico: l’adulto ricercatore. L’adulto che ha conosciuto il vuoto della notte, del bosco oscuro: e lì ha scelto di non abbassare lo sguardo ma di addrizzare la schiena e alzare gli occhi, per scorgere la Stella.»3 Ma è proprio nelle situazioni in cui perdiamo le nostre finite o finte certezze che ci disponiamo a riconoscere ciò che davvero importante. È nella notte più scura che possiamo vedere meglio le stelle. I desideri che portiamo nel cuore. È stata nell’incapacità di raggiungere e accompagnare i ragazzi che abbiamo riscoperto l’essenza stessa del nostro essere educatori in oratorio. Di essere educatori che desiderano incontrare i ragazzi lì dove sono. E, quindi, promotori di un certo modo di fare oratorio. Uscendo dai nostri schemi mentali e rimodulando le nostre pratiche educative. La pandemia ha mostrato quanto in ogni oratorio fosse presente il desiderio di educare le giovani generazioni. Nella notte fonda del lockdown, ci ha fatto chiedere cosa è essenziale per un oratorio: feste ben organizzate e partecipate? Centinaia di iscritti all’oratorio estivo? Grandi adunate per il Carnevale? Oppure stare vicino ai ragazzi per aiutarli a crescere? E aiutarli a scoprire i loro desideri più veri e autentici?

Scardicchio A.C., Dell’amore e del merito. Grovigli e sgrovigli dell’educatore pastorale, La Meridiana, Bari 3

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ALBA



Una sola speranza ci ha sostenuto nel mese di maggio, quando ormai il nostro impegno educativo era fiaccato dalle settimane di chiusura in casa: l’estate e, con essa, la possibilità di organizzare qualcosa che potesse assomigliare a una proposta educativa rivolta a bambini e ragazzi, a cui abbiamo dato il nome di Summerlife. Dopo la lunga notte, mesi di buio e di chiusura, vedevamo un po’ di luce in fondo al tunnel. L’alba che ci attendeva, era la possibilità di tornare a incontrare bambini, ragazzi e adolescenti. La possibilità, seppur limitata e vincolata alle linee guida del Ministero e delle Regioni, di riaprire i cancelli dell’oratorio. Sono state numerose le attenzioni che abbiamo messo in campo da un punto di vista organizzativo, che il più delle volte sovvertivano i nostri schemi tradizionali, che ci hanno richiesto di rivedere quello che per anni abbiamo fatto in un determinato modo e rimodularlo a seconda del tempo che stavamo vivendo. Una nuova sfida di adattamento e creatività. Dove il tema delle responsabilità è stato un elemento che ha bloccato molti oratori. E dove la fatica a trovare una comunità di adulti pronta a mettersi in gioco ne ha bloccati altri. Ma dove abbiamo anche potuto riscoprire la bellezza di fare oratorio, anche alla luce di una proposta educativa che si giocava con numeri molto più ristretti rispetto al solito. Pur nel dispiacere di non poter aprire le porte a tutti, abbiamo scoperto la bellezza del lavoro a piccoli gruppi. L’attenzione al singolo bambino e ragazzo, che non era più un numero all’interno delle grandi masse di bambini che solitamente frequentavano gli oratori estivi, è sicuramente lo spiraglio di luce più luminoso che l’estate 2020 ci ha lasciato negli occhi e nel cuore. A CHE PUNTO È LA NOTTE?

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Questo è valso certamente per i più piccoli, ma ancora di più per preadolescenti e adolescenti. Anche nell’estate della pandemia l’oratorio è stata l’unica realtà che ha deciso di investire nel lavoro con loro. Molti oratori, nella difficoltà di trovare volontari che garantissero in maniera continuativa una presenza su tutta la giornata, hanno preferito puntare a una proposta rivolta ai preadolescenti o agli adolescenti. Un secondo spiraglio di luce che Summerlife ci ha consegnato è quanto sia importante anche per i nostri adolescenti avere una proposta solo per loro, che parta dal loro essere adolescenti e non dal ruolo di animatori. Abbiamo visto come con una proposta dedicata sia stato più facile coinvolgerli e proporre esperienze di crescita alternative al servizio animativo. Perché non tutti gli adolescenti sono chiamati a essere animatori. Abbiamo visto che anche con loro si può fare in maniera diversa. Si può andare oltre l’equazione: adolescente = animatore. Ma oltre alla bellezza del potersi giocare con qualità nella proposta e nelle relazioni con bambini, ragazzi e adolescenti, l’estate 2020 ci ha consegnato altri elementi con cui l’oratorio può e deve confrontarsi. Piccoli spiragli di luce che illuminano la strada e in alcuni casi scaldano il cuore. Un secondo spiraglio di luce, che ha illuminato l’esperienza educativa proposta dagli oratori, è che non esiste un rischio zero quando si educa. Anche se questo è quello che vorrebbero molti adulti e, soprattutto, la maggior parte dei genitori. Pensiamo al rischio del contagio che nelle prime settimane ha abitato nel cuore di molti genitori, che rispecchia poi il tentativo di eliminare il rischio dalla vita dei bambini e dei ragazzi in ogni sua forma. Tuttavia, l’educazione ha il compito di aprire alla vita, non di creare bozzoli protettivi. Abbiamo provato a progettare un’estate a rischio zero, consapevoli che il rischio zero non esiste. Molti genitori hanno avuto paura e per questo motivo hanno preferito non iscrivere i loro figli alle varie proposte estive, fossero esse promosse dall’oratorio o da altre realtà. La pandemia ci ha mostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che non possiamo non assumerci dei rischi, per quanto il più possibile previsti e prevedibili, per educare. Anzi l’estate 2020 ci 28

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ha mostrato che vale la pena assumersi dei rischi per educare. Perché, senza rischio, non si educa. Alcuni oratori hanno avuto paura di correre questo rischio con l’esperienza estiva e non ha fatto nulla. Educare rimane però una grande Avventura, in cui la dinamica del rischio è imprescindibile. Senza contare che vivere in una società dove si fa sempre più strada una cultura di azzeramento del rischio provoca, nei bambini e nei ragazzi, l’incapacità di valutazione e di sapere quale rischio poter assumere nella vita. E alla fine conduce a esporsi a situazioni pericolose per bisogno di adrenalina. Un terzo spiraglio che ha illuminato l’estate 2020 è che la capacità di fare rete e di aprirsi a ciò che sta fuori dall’oratorio appare oggi irrinunciabile: in molte realtà è stata una condizione che ha reso possibile la realizzazione della proposta estiva Summerlife, in altre ne ha arricchito la proposta. Con tutte le fatiche e le resistenze che questo ha comportato (interne all’oratorio, ma anche esterne: nelle amministrazioni comunali, nelle associazioni e nelle altre agenzie educative del territorio, segno che la rete non si può sempre improvvisare da un giorno con l’altro). La capacità di fare rete non può essere legata solo alla convenienza di fare insieme proposte che solitamente come oratorio avrei fatto da solo (magari per ottenere un finanziamento), ma deve essere una scelta di campo, che caratterizza lo stile educativo dell’oratorio. Al proprio interno come all’esterno. Concretamente questo è stato molto difficile da vivere, anche perché le nostre comunità vivono spesso un campanilismo e un’autoreferenzialità molto accentuata. C’è gelosia per quello che viene proposto dall’oratorio a fianco al mio, viviamo nella paura che un oratorio porti via i miei ragazzi, o anche solo nella diffidenza verso le proposte della Comunità Pastorale o del Decanato perché ritenute non all’altezza. Critiche, soprattutto le seconde, che possono anche avere un fondo di verità, ma che tuttavia sono lo specchio di una visione davvero autoreferenziale e limitante dell’oratorio che alla lunga porta più danni che benefici, perché fa credere ai ragazzi che esista un solo tipo di proposta oratoriana possibile, che è quella che ti propongo io come educatore, che è l’unica e la migliore. A CHE PUNTO È LA NOTTE?

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L’estate 2020 ci ha detto che è finita l’epoca in cui rappresentiamo l’oratorio solo come un cortile, dove rinchiudiamo i ragazzi perché fuori il mondo è cattivo. Un’immagine che ancora oggi influenza molto la visione che la comunità ha dell’oratorio: un luogo chiuso, sicuro, protetto, che non ama mostrare quello che succede dentro per paure di interferenze da parte del mondo esterno, correndo poi il rischio che al proprio interno si verifichino situazioni di abuso. Dobbiamo passare da un’idea di oratorio che basta a sé stesso a un oratorio che annunci con forza che “nessuno si salva da solo”. Provando a tradurre nella concretezza delle proprie pratiche quel Patto Educativo Globale lanciato da Papa Francesco.4 Un ultimo piccolo spiraglio di luce dell’estate 2020 è stata poi l’occasione per avvicinare le famiglie alle responsabilità educative dell’oratorio. Responsabilità troppo spesso delegate in bianco a chi riveste un ruolo di guida in oratorio (siano essi sacerdoti, religiose, educatori professionali) salvo poi lamentarsene quando le cose non vanno come desiderato. E da questo punto di vista il patto educativo è stato il segno più visibile. Non tanto come “escamotage burocratico” (necessario e sacrosanto) per far fronte alle responsabilità sanitarie che chi organizzava la proposta estiva si andava ad assumere. Ma come elemento utile a costruire alleanze con le famiglie dei ragazzi, o almeno per conoscerle un po’ meglio. Per creare dei ponti, sempre un po’ instabili, ma almeno possibili. Il Patto Educativo, se utilizzato con sapienza, apre a questa possibilità più di una semplice iscrizione, che risponde invece a logiche prestazionali e organizzative. Però per essere sfruttata in tutte le sue potenzialità richiede tempo e cura. Dove la firma e la consegna del Patto Educativo diventa l’occasione per conoscere ogni estate tutti i genitori che decidono di iscrivere i loro figli all’oratorio estivo. Genitori che troppo spesso sono solo un nome sull’elenco delle iscrizioni, con un numero di telefono a fianco che speriamo di non dover mai digitare, perché solitamente lo facciamo per dare notizie negative.

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Papa Francesco, Messaggio del Santo Padre per il lancio del Patto Educativo

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Chi ha tenuto aperto un canale comunicativo con le famiglie nei mesi di lockdown e durante l’estate, offrendo aiuto e chiedendone anche la collaborazione dove possibile, a settembre ha potuto raccogliere i frutti di quanto seminato nei mesi precedenti. Se allora quei numeri di telefono venissero digitati non solo nell’emergenza, per informare quando le cose non vanno bene o c’è qualcosa che non va, ma anche per chiedere una mano e interessarsi all’altro, potremmo davvero provare a percorre insieme nuove strade.

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AURORA



Dopo la notte dei mesi primaverili e dopo aver sperimentato un’alba nuova con Summerlife, i mesi autunnali e invernali hanno un po’ bloccato lo slancio estivo degli oratori. Anche se questa volta non siamo stati colti del tutto impreparati. Con l’anno nuovo e la speranza di vaccini che possano essere efficaci nel prevenire il contagio da COVID-19, si affaccia anche per gli oratori la possibilità di vivere un tempo nuovo. Può essere l’opportunità per migliorarci, a patto di guardare con serietà e spirito critico quello che è emerso in questi mesi e usarlo come opportunità di mettere mano a certe pratiche che davamo per scontate. È l’occasione per andare oltre il “si è sempre fatto così”, grande mantra che pronunciamo e pratichiamo nei nostri oratori. Perché, se è vero che abbiamo sempre fatto così, non è detto che questo sia sempre stato un bene. La ripresa di settembre ha spesso seguito i vecchi schemi mentali prima ancora che pratici. Le narrazioni, all’interno degli oratori, sono tornate a essere quelle di un tempo: «Chissà quando torneremo a fare grandi feste» e magari ad avere un oratorio estivo pieno di ragazzi. «Perché alla fine quello che abbiamo fatto quest’estate non è stato un vero oratorio estivo!». Forse dovremmo iniziare a chiederci seriamente cosa rimane di un’esperienza con 300 o più iscritti in chi la frequenta. Come viene garantita e tutelata la cura e l’attenzione educativa verso bambini e animatori? E verso le loro famiglie? Dobbiamo accettare di fare la fatica di mettere in discussione ciò che è stato finora, non perché ci viene imposto dalle autorità civili, ma per accogliere, ogni giorno, ciò che sarà. A CHE PUNTO È LA NOTTE?

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Siamo in bilico, tra l’eredità del passato e l’eredità che lasceremo in futuro. Perché l’eredità è sia qualcosa che abbiamo ricevuto sia qualcosa che noi lasciamo. In questo momento siamo concentrati sul passato che stiamo perdendo o abbiamo perso a causa del COVID-19 (l’oratorio estivo senza vincoli numerici, i cortili aperti, la libera frequentazione). Ma forse conviene concentrarsi su cosa vogliamo lasciare di questa esperienza. Tra dieci anni che cosa rimarrà? Perché qualcosa lasceremo senz’altro. E le nuove generazioni ci chiederanno conto. Quale aurora attende quindi i nostri oratori? Starà un po’ a noi in base a quello che vivremo da qui ai prossimi mesi. Ma molto dipenderà dalla capacità di fare tesoro di questi mesi difficili e di quello che ci hanno insegnato. Provare a cambiare quindi, tenendo davanti ai nostri occhi, nella testa e nel cuore, le stelle che abbiamo osservato nelle ore più buie. Senza dimenticarci del desiderio che ci guida, ma facendoci illuminare il cammino anche nei momenti più difficili. Un oratorio che assolve al suo ruolo di avamposto educativo, di un territorio e di una comunità, scruta l’orizzonte cercando i segni del giorno nuovo. E, dopo averli visti, li indica con coraggio a chi domanda: «Cosa possiamo fare ora?». Per vivere il giorno nuovo non solo come una ripetizione di quello che è stato. Vivranno allora un giorno nuovo quegli oratori che sapranno andare davvero oltre la logica dei numeri. Una terminologia che utilizziamo oggi più che altro per giustificare il fatto che dopo una certa età, tendenzialmente la terza media, in oratorio non vediamo più molti ragazzi. Per uscire davvero dalla logica dei numeri dobbiamo semplicemente non rendere più conto del numero di coloro che aderiscono alle nostre proposte, utilizzandolo come elemento di valutazione. E concentrarci sui nomi, sui volti, sulle storie di chi varca il cancello dei nostri oratori. Lavorando sull’attenzione al singolo, sia esso un bambino, adolescente, giovane, adulto, genitore, volontario. Mettendo al centro la persona e la sua storia e non le nostre idee e teo36

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rie: è solo così che potremo incarnare 5 una proposta educativa capace di incidere nella vita delle persone invece di chiedere a quelle stesse persone di adattarsi alle nostre proposte. Che è poi il motivo per cui i nostri oratori sono vuoti. Vivranno un giorno nuovo quegli oratori che sapranno fare rete, al proprio interno come all’esterno. Tra le diverse equipe educative e i diversi gruppi di interesse. Con gli oratori vicini. Ma anche con altre realtà educative del territorio: scuole, società sportive, associazioni. L’attitudine a lavorare in rete, con altri, dovrà essere una competenza chiave per il rilancio educativo degli oratori. «Ogni cambiamento, però, ha bisogno di un cammino educativo che coinvolga tutti. Per questo è necessario costruire un “villaggio dell’educazione” dove, nella diversità, si condivida l’impegno di generare una rete di relazioni umane e aperte. Un proverbio africano dice che “per educare un bambino serve un intero villaggio”. Ma dobbiamo costruirlo, questo villaggio, come condizione per educare».6 Questo sarà possibile solo lavorando sulla formazione, la supervisione e l’accompagnamento delle equipe educative, che sono l’ossatura su cui si regge ogni oratorio. E da cui dipende (anche in questo i mesi di lockdown sono stati rivelatori) il futuro di ogni realtà. Ma una comunità educante non si improvvisa da un giorno con l’altro. Occorre tempo per formarla e per farle prendere coscienza del proprio ruolo. Allestendo spazi di senso e riflessione, investendo tempo, energie e risorse economiche. Ma da questo dobbiamo partire per darci una prospettiva di lunga durata, una progettualità che sappia guardare lontano, oltre la staticità di questo momento e di quelli che verranno: donando un cuore pulsante e una testa pensante ai nostri oratori. Solo a quel punto, forse, la notte sarà davvero finita. Per approfondire il tema dell’incarnazione nelle pratiche educative pastorali rimandiamo alla riflessione sviluppata da Chiara Scardicchio nel testo Dell’amore e del merito. Grovigli e sgrovigli dell’educatore pastorale, La Meridiana, Bari 5

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Papa Francesco, Messaggio del Santo Padre per il lancio del Patto Educativo

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TRATTI DI E. STORIE SEMISERIE DAL MONDO DEGLI EDUCATORI DI PEPITA Se pensi che le riflessioni contenute in queste pagine siano interessanti e se ti incuriosisce lo stile narrativo e artistico di questo libro, ti invitiamo a seguire la pagina Instagram Tratti di E. Tratti di E è un progetto editoriale di Pepita dove, attraverso il linguaggio artistico del fumetto, vengono affrontati temi cari al lavoro degli educatori Pepita. Tratti di E vuole soprattutto raccontare storie, che facciano pensare ma anche che lasciare un sorriso, provando a narrare in maniera diversa la bellezza e la complessità del lavoro educativo.

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Pepita è una cooperativa sociale composta da un gruppo di professionisti esperti nella progettazione, realizzazione e valutazione di interventi educativi. Educatori, pedagogisti, psicologi, esperti di comunicazione sociale si confrontano ogni giorno con le sfide dell’educazione incontrando bambini, adolescenti, giovani e adulti con responsabilità educative. Famiglie, scuole, oratori, società sportive, aziende sono i contesti nei quali Pepita opera con attività di formazione, animazione e mediante la realizzazione di progetti educativi.

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