Editoriale
Febbraio lol 2012
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EDITORIALE
Talete e la servetta tracia Gennaio è il mese della stanchezza. Il quadrimestre finisce, i carichi di lavoro raggiungono il picco massimo dall’inizio dell’anno (almeno per chi non ha già dovuto affrontarlo prima di Natale, naturalmente), gli insegnanti si ricordano che devono anche interrogare e il tempo sembra scorrere sempre troppo in fretta (e chi sta studiando Seneca se lo sente anche ricordare tutti i giorni). Le vacanze sono sparite all’orizzonte dopo appena due settimane di scuola, se non le abbiamo già trascorse a studiare in previsione del rientro (sinceramente, vi auguro che non sia stato così). Non c’è mai tempo per fare nulla come si deve, ma per uno strano paradosso gennaio tra un impegno e l’altro sembra anche durare in eterno. Ma prima o poi, si sa, finirà anche quello (tra una decina di giorni nel momento in cui scrivo), e quando questo editoriale verrà pubblicato saremo ormai a quadrimestre concluso. Arriverà il momento in cui potremo sollevare la testa dai libri per qualche minuto, e renderci conto di cosa ci siamo persi in tutto questo tempo. Nel frattempo, infatti, il mondo reale ha continuato il suo corso, anche se pigramente e forse un po’ infreddolito. Io oggi ho dato un’occhiata a qualche notizia, spigolando sui quotidiani on line, e mi sono sentita come il saggio delle fiabe che guarda giù dalla sua torre d’avorio. Pare che mentre io studiavo sia naufragata una nave da crociera (d’accordo, magari questo l’avevo sentito), e si stia discutendo della legge elettorale e della fantomatica “fase due” della politica economica del governo, nonché di un controverso provvedimento del Congresso sulle modalità di censura in rete il cui acronimo ricorda un cibo in spagnolo. Qui nel piccolo mondo sarpino c’è stato un open day, tra poco inizierà una serie di iniziative di orientamento per i ragazzi di terza e partiranno i gruppi di studio organizzati dagli studenti per gli studenti. Di tutto questo nella torre d’avorio era arrivata qualche eco, e il dispiacere di non essersi potuti concentrare su tutto come si deve. Ma arriverà anche, e fortunatamente, il momento di smettere di studiare. In quel momento, al di là del sollievo, a qualcuno capiterà, come sta capitando a me, di accorgersi di aver fatto la fine di Talete, quello del racconto platonico, che camminava a naso in aria guardando le stelle e finì per cadere in un pozzo. Anzi, forse il contrario: a furia di tenere la testa china rischiamo di fare come i personaggi dei vecchi videogiochi, che quando li mandavi contro un muro continuavano testardamente a camminare sul posto fino a nuovo input. Forse per voialtri lettori la vita in queste settimane è stata un po’ più facile della mia, non so; per me è esattamente così. La netta sensazione è di aver trascorso queste settimane a impegnarsi soltanto per una scadenza, per racimolare qualche voto. D’altronde, è un po’ la nostra croce: la scuola è (o dovrebbe essere, nel migliore dei mondi possibili) una fonte di stimoli culturali e magari di soddisfazione, ma significa anche e soprattutto un carico di doveri, spesso non adeguatamente compensati. A febbraio, tra settimana di sospensione e inizio del nuovo quadrimestre, ci sarà forse tempo anche per iniziare a concentrarsi su ciò che ci interessa davvero. Che il vostro obiettivo per il prossimo futuro sia organizzare una rivoluzione, scrivere la sceneggiatura di un film, leggere Alla ricerca del tempo perduto o dimostrare la falsità della legge di Grassman (o magari scegliere un’università o andare a sciare), questo è il momento di farlo. Anche se la stanchezza dopo settimane di studio frenetico sembra avere la meglio, sono convinta che febbraio sia il mese in cui si può fare qualcosa per noi stessi. Prima che la seconda metà dell’anno ci inghiotta e ci riporti alla fatica quotidiana. Si potrebbe cominciare, ad esempio, prendendosi il tempo di leggere Cassandra. Martina Astrid Rodda
Sommario The Indie way.
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- Consiglio d’Istituto (20/01/2011) - Tra le arance e il pane degli Angeli
Attualita'
- Tutti a casa! Fine della guerra in Iraq? - La strage degli Innocenti - Rappresentanza e Identificazione, Sudditi e Cittadini - OPG: Chi sono i pazzi? - Piombo Fuso: Tre anni dopo
- Il Velo Dipinto - Ritorno alla RealtĂ Storica
Cultura
- Gelato per Corvi
- La Rivoluzione del Peto - Ogni colore al cielo - Un misogino Coerente - Lance, spade, frecce, scudi spezzati, ossa rotte
Narrativa
- Joseph The Bunny - De Venandi Quartinos cum avibus - Ipse Dixit
Terza Pagina
Sarpi
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Consiglio d’Istituto (20/01/2012) Se avete pensato “no, che barba, questo articolo non lo leggo” rivolgete per un attimo la mente a me, che lo scrivo all’una di notte. Dai, leggetelo. È corto e importante. Oppure non leggetelo. Però poi non lamentatevi della scarsa informazione, perché noi siamo la Pluralista e questo significa che vi dovete sbattere anche voi. Premessa importante: il verbale del CdI non è ancora stato approvato. Di conseguenza il qui presente articolo non ha nessuna validità formale e contiene informazioni passibili di rettifica ufficiale. Cosa succede nei “piani alti” dalle 18.00 alle 20.45? Eccovi un breve prontuario da utilizzare per attaccare bottone con Gaspani e sedurlo parlandogli di potere. 1) Si è parlato del fondo di solidarietà per le gite, alias il fondo a cui attingere per contribuire al costo della gita per le famiglie sotto una certa fascia di reddito che ne fanno richiesta. Il fondo è stato istituito l’anno scorso formalmente, ma non esiste ancora. Per far fronte alle richieste, quest’anno si attingerà a un fondo messo a disposizione di ciascuna classe come contributo per una gita di un giorno, di cui hanno usufruito sono alcuni Consigli di Classe e che quindi ha lasciato un residuo. L’anno prossimo si creerà un fondo vero e proprio, forse in parte finanziato (la discussione è ancora da aprire) con i fondi destinati agli studenti. 2) L’indirizzo base introdotto a fianco degli altri tre (matematica, inglese, musica potenziati) è stato presentato durante l’open day per rispondere a un problema effettivo davanti ai genitori (l’opportunità, secondo la presidenza imposta dalla legge, di offrire un corso base senza costi supplementari a fianco di quello con la matematica potenziata, a numero chiuso). Essendo il problema emerso solo all’ultimo momento, è sorta la necessità di presentarlo senza la delibera degli organi incaricati (Consiglio d’Istituto, Collegio Docenti). I membri del CdI hanno riconosciuto la necessità del suddetto curriculum e l’hanno approvato, pur sottolineando il disappunto verso la presidenza per la procedura irregolare seguita e auspicandone l’eccezionalità dovuta ad un’esigenza immediata . Il costo aggiuntivo per il pagamento dell’esperto esterno negli indirizzi con potenziamento di inglese e musica è di 55 euro.
3) Nello scorso Comitato studentesco sono stati selezionati i prodotti da mettere in vendita con il logo del Sarpi: il contratto con una ditta legata al Ministero dura fino al 31/12/2012 (problema inesistente, visto che il mondo finirà prima). Non comporta costi per la scuola, che riceverà il 5% dei guadagni. Alla scadenza del contratto si valuterà se rinnovarlo o dare picche (ma, sia detto per inciso, un legame con il Ministero non è da buttar via). 4) Registro elettronico: avete presente quello strano fenomeno per cui il vostro insegnante della seconda ora si alza e infila un foglio in una misteriosa fessura della porta? Orbene, questa è una delle funzioni del registro elettronico in dotazione alla scuola. Si è approvato di utilizzarlo per rilevare le assenze in tutte le classi, ma il programma dispone di potenzialità illimitate e supreme, che verranno sperimentate solo in una classe dal prof. Moretti. Al termine di questa fase si deciderà se estendere a tutta la scuola l’uso del Registro Elettronico (sentite la regalità che spira dalla parola “registro”, assaporate la potenza arcana dell’aggettivo “elettronico”) in tutte le sue impressionanti facoltà. Sul prossimo numero sarà pubblicata una descrizione più dettagliata dello strumento che vigilerà sulla sfera sarpina del nostro esistere. 5) Dulcis in fundo: si è deliberata, per chiarire una normativa ambigua, l’effettiva forma assembleare del Consiglio di Classe: ciò significa che vi hanno accesso e diritto di parola (salvo deroghe per casi eccezionali per cui si può adottare la forma chiusa con i soli rappresentanti) anche gli studenti e i genitori non rappresentanti. Nota bene: il tono velatamente irriverente dell’articolo è dovuto all’ora ed è finalizzato ad allettare (che NON significa costringere a letto perché malati: mi spiace la verifica di arte vi tocca comunque) i pigri lettori, che così potranno piacevolmente (spero) prendere coscienza di ciò che riguarda la loro scuola e dunque loro stessi. Perché rappresentare è una cosa seria e fondamentale, ma eleggere non è un compito da meno. Sara Moioli
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mi sembra sia febbraio 2012 Sarpi
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E E C N A R A TRA LE LI E G N A I GL E D E N A ntariato P
e Volo n o i s A”, s i m m U RWAND o M C E Y a J l U l T “ a zione , dove Spazio to all'associa a Nyagatare
lu ura ae una strutt olta che la r v e n a te s im i. Successiv r o il s p b r a e la is p d è i z o z ta di un zato 6 raga i, ques usufruisce mo organiz o ospitati 1 Cari sarpin n to ia o b ia s b r a ta e o n r is lo b c o e m ne V riale portaverso dice o infatti d , te m a te ia n m Commissio b e b il m A n . o a i C solo v o riassandr entare. olo che non nti abbiam olletta alim c e spazio su C c d ti r la tu a s e , li h e g lc n a a re qu ortati ente d missio di pubblica generosam sono stati p eglio la com ti to m s e e r u e te Q c n s i. e o r n in n r i co o sei scatolo tati stipati metta al co s it i p permetta d o v n m o o e s tt u e v tt te o a duran zania e sopr zone, d iato in Tan ma anche ve proposte Castel Roz v ti a in ia iz to n in ta o s c e ll è e de articolare la er tracciar tainer che p p n , o c e In dei risultati u . n q u io n a u n d o n Vili di ge il nostr oci qua, o riguardo primi giorn ntainer è il l'anno. Ecc n i o e n c a n l e tà d e ia m ia z i r a cio d orfani. neficia a ringr voi un bilan truttura be ita ben 120 s a ci teniamo p s s o o o c e n a h n c a im h r ia p reto r della Gio ostenuto ed uto un disc io s v g operato. Pe a o g n o la n n a n h a i h a c r e ro che iziativ indi ci grazie ve re tutti colo ie a voi, qu ueste due in z iative. Un Q a r iz g in , to e u r m tr b a s ro n cora più pa so, lo ripeti s c'è cosa più n e a c n aderito alle c o ia u s n s i é c h o c r ie r e in futu uore pe le propr far almente di c guriamo ch non si può , che vedere u e a to n n u io s p la is , to a s m r com ione Volon ione. A que studenti. O s z is a li g m ip ta, per una a c d m te o e C is a quell che e che la on condiv sesta ora e he ricordar sione è stata c is proposte n in o m tr to m a o b c a n a s a ll i ttare isce d ale de tutto l' linea gener riato si riun si può conta to rogetto per p i ta n o ic io z n e a u p m n r u im fo ire ri in ti a più . Un salu di non segu per maggio opri orizzon oni di III C r z tà p n e i o m R e ir a la r r p o la s a rente C rse. Ver no, ma di e il la refe iazioni dive d c e o a tutti voi! s s La s a a ll e iù d p io tr 'a ll e gni con n to is . v e to e avrete e aranc Volontaria endita dell di novembr e v n la io r s , e a is p tt o m chett Com ente tu nostro ban ta praticam u d n e o v v e ta d o ta s bbiam La frutta è 7 euro che a 0 2 a c ir c o d raccoglien
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Attualità
! A S A C A I T T TU aq? Fine della guerra in Ir
All’alba del 18 dicembre 2011, l’ultimo convoglio americano ha attraversato il confine tra Kuwait e Iraq. Nessuno aveva annunciato che questa sarebbe stata la data del definitivo ritiro degli americani dal paese, forse per evitare manifestazioni e disordini. Mentre il sole rosso sorgeva nel deserto, gli squilli di tromba scandivano l’ammaina bandiera davanti ad un pugno di soldati che, seppur ritti sull’attenti, sentivano già il profumo di casa. Baghdad non è più in mano americana. La guerra è finita. Tutto era iniziato con l’ultimatum dell’ex presidente George W. Bush a Saddam Hussein nel febbraio del 2003. Una guerra lampo che si concluse con l’abbattimento della statua del tiranno dinnanzi a una folla festante. Poi la cattura del dittatore e la sua impiccagione e l’illusione che fosse finita davvero. Ma tutto ciò era solo il preludio ad una guerra civile che avrebbe fatto piombare il paese nel caos. Da qui in avanti ci fu la priorità di uscire da quell’inferno, tanto simile al Vietnam da far sussultare i veterani alla vista degli elicotteri che portavano via le decine di feriti. E ora che è finita, si sentono le grida di giubilo non solo degli iracheni, ma anche di ogni soldato americano che ce l’ha fatta a tornare sano e salvo. Gli occhi si gon-
fiano di lacrime e il volto viene solcato da un sorriso di speranza, il primo dopo tanto tempo. I cancelli del confine si chiudono dietro l’ultimo veicolo. I soldati si imbarcano, increduli, sui c-130. Tutti a casa! Giovani e veterani, gli uni accanto agli altri, uniti. Si lasciano indietro tanti compagni, tanti amici morti, forse invano, forse per un ideale, forse per aver obbedito solo ad un ordine dei capi. Erano ragazzi partiti per vendicare l’11 settembre, per il riscatto di una nazione colpita duramente al cuore. Quasi 4500 di loro torneranno a casa avvolti in una bandiera. Non si bada a spese se ci sono in ballo gli interessi economici. I sopravvissuti non lo dimenticheranno. Non scorderanno mai il rumore dei mitra, l’odore della morte e l’acre sapore della sabbia. Gli occhi saranno ricolmi del terrore di quel soldato che ha visto la guerra, che ha visto gli uomini diventare belve e uccidersi a vicenda. Continueranno a svegliarsi nel cuore della notte, con la paura di essere ancora in quell’inferno. Si butteranno a terra ogni volta che sentiranno sbattere una porta. Verranno per sempre perseguitati dai volti dei loro compagni morti in battaglia. È questo il loro destino. La guerra è finita, la sofferenza no. E questo è anche il destino di tutti quegli iracheni che sono ancora vivi,
n o nostante le brutali carneficine perpetrate dai marines, nonostante quei crimini di guerra che la democrazia, propugnata dagli americani, avrebbe dovuto evitare. Dei civili massacrati non si parlerà mai nei libri di storia, dei prigionieri umiliati e giustiziati barbaramente non ne resterà nemmeno il ricordo, dei bambini morti sotto le bombe a Baghdad e delle donne stuprate e uccise non ci sarà testimonianza. Finirà tutto in qualche angolo oscuro delle nostre menti, fino a quando non sentiremo riecheggiare nomi come quello di Nassiriya e solo allora ci ricorderemo che anche la nostra nazione ha versato il proprio tributo di sangue. Quel sole, nato dal deserto iracheno, tramonta sull’America e sembra dare l’impulso di voltare pagina ad una delle vicende belliche più controverse dell’era contemporanea. Paolo Sottocasa, I A
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attualità
La Strage Degli Innocenti Circa un mese fa, durante un'ora di religione, il professore, per parlarci e farci parlare di Bioetica, ci ha portato una notizia interessante; più che interessante: sulle prime ero veramente incredulo. Era un articolo di Avvenire, breve ed efficace, che raccontava come la Danimarca stia portando avanti un progetto governativo (sì, hai letto bene: governativo!) iniziato nel 2004, che prevede di spianare la strada a chiunque sia intenzionato a compiere gratuitamente delle analisi prenatali sul proprio figlio e, in caso l'embrione presenti Sindrome di Down, procedere con la soppressione, al fine di raggiungere l'obbiettivo di arrivare nel 2030 senza più nuovi cittadini Down. In poche parole la Danimarca sta incoraggiando i genitori ad abortire i propri figli handicappati, la Danimarca sta uccidendo una parte non indifferente della prossima generazione solo a causa di un cromosoma in più. La giustificazione di questa strage? Evitare una vita di sofferenze ai bambini in questione. Sì, peccato che la sindrome di Down non comporti soltanto sofferenze. Un handicappato è in grado di amare, di odiare, di capire chi gli sta intorno, può essere educato, nulla gli impedisce di essere felice, anche se la strada è più difficile, anche se ha più bisogno di essere aiutato.
Se l'ambiente in cui un malato cresce lo fa sentire a suo agio, la sua vita non sarà solo sofferenza e ci sono esempi concreti di famiglie che crescono ragazzi malati con affetto, dedizione, sacrificio al fine di garantire loro una vita felice, oltre al dolore della malattia. Il tentativo danese è solo una subdola mossa per cercare di raggiungere una società perfetta senza faticare, ovvero senza dover dare al malato l'aiuto di cui si parla sopra. Una spietata mossa eugenetica per selezionare gli individui in base alla loro natura. Ma quali sono i requisiti per essere ammessi nella società perfetta? Come devono essere i nascituri per avere il diritto alla vita? Da qui il passo è breve: se adesso sopprimiamo i down, tra poco sopprimeremo i malati meno gravi, come i diabetici, poi si passerà ad evitare debolezze fisiche, poi addirittura selezioneremo i nostri figli in base a canoni estetici. Sembra distopia, ma già attualmente negli Stati Uniti entrando in una qualsiasi Banca del Seme una donna può scegliere lo sperma da usare in base alle caratteristiche somatiche, all'altezza, alla costituzione fisica del donatore; se una donna vuole un figlio somigliante a un attore le basta chiedere! Una società che cerca una perfezione inesistente, basata su ignoti canoni di selezione, non fa altro che perdere la
propria umanità. L'imperfezione è la nostra natura ed è nella nostra natura che dobbiamo essere felici, se questo concetto viene meno è il caos. Fenomeni come l'anoressia adolescenziale troppo spesso vengono dalla mancanza di questo concetto: corriamo dietro un'irraggiungibile perfezione che non sappiamo nemmeno definire e massacriamo la nostra realtà imperfetta, ma bellissima. Se poi cominciamo a massacrare anche la realtà imperfetta altrui, diventa insana smania eugenetica (come quella del sig. Adolfo Hitler, che non potendo abortirli uccideva gli handicappati dopo la nascita), nel nome di un nonideale, nel nome del dio Nulla. Ognuno è libero di vedere come vuole il progetto danese, ma secondo me, noi, pieni di errori, stiamo uccidendo vite incapaci di sbagliare, che hanno la sola colpa di esserci. È la strage degli innocenti. “Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui si infuriò e mando a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù” Mt 2, 16 Un certo Pietro Raimondi, V F
Attualità
Lungo tutta la storia si possono trovare esempi di culto delle personalità. Il fenomeno è particolarmente interessante in politica, ed è proprio delle monarchie antiche e delle dittature recenti: una personalità di spiccato carisma si proclama incarnazione del Bene (magari proponendosi come attuatore della volontà divina) in nome del quale fonda il suo agire e giustifica la propria posizione. Il Bene, soprattutto nella sua sfumatura divina, è per natura eterno, assoluto, rassicurante: ciò garantisce all’autorità, in cui i sudditi si risolvono, godendo della loro fedeltà e autorappresentandosi quindi come umili esecutori del bene, di rimanere salda nel proprio ruolo e nella propria legittimità. Se ne possono trovare esempi molto antichi in diverse parti del mondo, dagli Egizi agli imperatori romani, o se ne può cercare la traccia in alcune espressioni linguistiche: sono berlusconiano, mussoliniano, stalinista… Man mano che la sfera del culto e quella dell’amministrazione si separano, determinando la fine della sacralità dell’autorità statale, il Bene viene soppiantato dalla capacità di gestire la contingenza come criterio per l’accesso al potere, lungo una strada che porterà alla democrazia: democrazia è, tra le alte cose, possibilità di scelta tra diverse proposte (e dunque diversi “bene” relativi) di gestione della contingenza. Perde sen-
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so l’idea stessa della sacralità del governante: chi gestisce il potere è un gruppo, composto da individui diversi eletti non da Dio ma dagli uomini e che non dispongono di una carica a vita (visto che non sono tenuti a incarnare un Bene eterno ma “solo” una capacità adeguata di agire sulla realtà contemporanea). Nasce l’idea di rappresentanza come sostegno dato sulla base di criteri concreti scelti liberamente da ciascun individuo, che in base alla propria idea delle priorità dello Stato decide chi meglio le può attuare, molto diversa dall’incondizionata fedeltà ad un signore in cui si vede l’incarnazione di valori assoluti e indubitabili. Con l’idea della supremazia della ragione umana che sa scegliere autonomamente si fa strada il ruolo di elettore come detentore attivo di tale facoltà decisionale contro quello di suddito fedele che si compie nell’obbedienza. In tutto ciò è però insito un problema, fondamentale perché risiede nella fragilità del presupposto della democrazia, che rende labile il confine tra rappresentanza ed identificazione, dunque tra democrazia reale e dittatura latente: la reale capacità dell’uomo di agire secondo ragione, di sviluppare e adoperare il proprio senso critico. Rendere il senso critico abitudine di tutti è un’ambizione così difficile da realizzare da risultare velleitaria, soprattutto a fronte dello straordinario successo
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che riscuote con estrema facilità il dogmatismo e l’ideologia, l’imposizione di valori dati che non chiedono nulla se non di essere semplicemente assolti nella loro trionfale chiarezza. La difficoltà fondamentale sta nella necessità del dubbio e della continua messa in discussione dell’adeguatezza dei politici, i “manovratori di contingenze”, rispetto alla situazione in cui si vive. Uno dei possibili motivi è che l’istruzione, mezzo principe per la formazione del senso critico, è in mano a chi rischia di trarre svantaggio da un’eccessiva lucidità degli elettori, e cioè di chi come ha ricevuto il potere può vederselo sottratto: la differenza tra l’istituzione monarchica e quella democratica è che in democrazia il potere non basta a sé medesimo per continuare ad esistere. Inoltre negli Stati moderni la “contingenza” (il territorio, l’andamento della società…) è troppo grande e varia per essere interamente verificata di persona. Siamo quindi costretti a ricorrere ai media, ai “descrittori di contingenze” che però non sono organismi impersonali e dunque avulsi dalla medesima contingenza che descrivono: ne risulta che è difficile formarsi un’idea che sia fondata sullo stato dell’effettiva realtà delle cose e non sull’immagine che per fini altri da quelli della democrazia ci viene data, e che dunque è difficile avere un’idea criti-
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Sara Moioli, II A
I manicomi sono stati aboliti, lo sappiamo. Ma non sono così sicura che sia proprio vero. Secondo me hanno solo cambiato nome: adesso si chiamano ospedali psichiatrici giudiziari. Negli OPG il detenuto è anche paziente e mentre sconta la sua pena, compie un percorso di riabilitazione finché viene ritenuto non più “socialmente pericoloso”. Bello, se non fosse per il fatto che questo è quello che si dice sulla carta. Ai fatti questi OPG (in Italia sono sei) ricordano fin troppo i vecchi manicomi fascisti. E ce lo testimonia un’ispezione a sorpresa fatta nell’estate 2010. Il risultato dell’ispezione è stato così sconvolgente che il regista della Commissione Francesco Cordio ha detto che preferiva vedere le scene che registrava attraverso la telecamera che dal vivo. Si tratta veramente di situazioni estreme, con condizioni igieniche e umanitarie terribili, in barba
alla legge Basaglia del 1978: uomini legati ai letti di metallo con un buco per far cadere gli escrementi, bottigliette d’acqua conservate nelle turche dei bagni per tenerle fresche e per bloccare il passaggio ai topi… Per non parlare del fatto che circa il 40% degli internati è ancora dentro dopo aver scontato la propria pena e dopo essere stato riconosciuto non più “socialmente pericoloso”. Questo perché non c’è nessuno che se ne possa occupare fuori. C’è però chi si batte per far chiudere questi OPG: il comitato Stop OPG (www.stopopg.it), composto da 25 associazioni che lottano non solo per abolirli, ma anche per sollecitare chi di dovere (governo, regioni, Asl…) ad aprire delle strutture idonee ad accogliere i malati in modo decente. Il comitato è riuscito ad ottenere proprio qualche giorno fa l’approvazione dalla Commissione Giustizia del Senato dell’emen-
Una stanza dell'Opg di Montelupo Fiorentino
ca su quali siano i parametri migliori per esercitare attivamente il nostro essere cittadini. Torniamo, per una pigrizia colpevole e rassicurante che ci dà quel dolce senso di essere nella verità, ad adeguarci ad un’idea data che non mettiamo in discussione (come potremmo? È lì, evidente, nei nostri schermi!) Torniamo ad essere sudditi: diamo il potere a chi lo usa per distorcere la propria immagine e farne oggetto di culto, anche in modo nascosto, per non essere tenuto a ridarci quanto ci appartiene, la sovranità sulle nostre vite delegate. Il popolo è lo specchio di un potere che a sua volta plasma il popolo a sua immagine e somiglianza, nella forma più consona ai propri fini. Esempio scontato: l’impero politico-mediatico dell’ex Premier Silvio Berlusconi. Pur essendosi dimesso, non si può pensare che il fenomeno del berlusconismo si esaurisca con la sua uscita di scena (chissà quanto reale). Con la sua rete di comunicazioni massmediatiche ha permeato la società con la sua visione dell’esistenza, fatta di disimpegno, divertimento, prosperità, ricchezza. Principi di vita che abbiamo fatto nostri e che costituiscono una parte sempre più grande della nostra cultura e della nostra esistenza. Per chi non l’avesse ancora fatto, consiglio di vedere il documentario di Erik Gandini “Videocracy”. L’indignazione (necessario prodotto della consapevolezza) è un altro ingrediente fondamentale della democrazia.
attualità
Attualità damento che fissa a marzo 2013 il termine della chiusure degli OPG. È già qualcosa, ma non basta. Soprattutto se si considera, e forse questa è la cosa che ci lascia più perplessi, che lo Stato é a conoscenza di questa situazione già da un po’. Nel 2005 il primo Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Gil Robles aveva già sollevato il problema delle proroghe, cioè gli internamenti prolungati senza un valido motivo se non l’assenza di strutture idonee dove mandare gli internati. Non risolto, la stessa questione era stata risollevata nel 2008 dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani e degradanti del Consiglio d’Europa. E lo stato italiano aveva risposto che “la legge non prevede un limite per l’esecuzione di misure di sicurezza temporanee non definitive”, anche se la certezza della pena è uno dei principi base di ogni democrazia.
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PIOMBO FUSO:
Tre anni dopo
Piombo fuso. Piombo, come quello per fabbricare le armi, bombe e proiettili, che ti entrano nel corpo senza neanche offrirti la cortesia di una morte rapida e indolore. Piombo fuso, perché è proprio piombo quello che cade dal cielo, sostituito alla pioggia da una mano infernale. Piombo fuso, il nome dato alla terribile operazione militare israeliana ai danni della popolazione palestinese residente nella striscia di Gaza: ventidue giorni di bombardamenti incessanti che hanno ucciso più di 1380 palestinesi, tra cui 330 bambini, e causato quasi 5000 feriti, alcuni dei quali rimarranno invalidi o orrendamente mutilati, fino alla morte. Ma sono “…la legge non può in nessun in pochi a conoscere quanto è avvenuto. Tutto ha inizio il 27 caso violare i limiti imposti dicembre 2008, quando Isradal rispetto della persona ele inizia a bombardare Gaza, umana” giustificando il massacro con Costituzione Italiana, art.32 l’intenzione di fermare i lanMicaela Brembilla, IC ci di razzi da parte di Hamas. Tuttavia la maggioranza dei Basato sull’articolo “Fuori dal morti sono civili e durante diritto” di Egle Mugno, E-il queste tre settimane di terromensile, novembre 2011 re vengono utilizzate da Israele anche armi vietate della Convenzione di Ginevra, perché colpiscono a largo raggio indiscriminatamente. Vengono impiegate le famigerate bombe al fosforo bianco, ca-
dute dall’alto simili a enormi, micidiali ragnatele, pronte ad ustionare e uccidere chiunque capiti loro sotto tiro e le bombe a CD che esplodono al suolo, tranciando corpi a metà e spezzando le gambe dei bersagli. In risposta anche il lancio di razzi palestinesi si intensifica e18 Israeliani rimangono uccisi. I bombardamenti israeliani colpiscono una scuola gestita dall’ Onu, dove si sono rifugiati parecchi sfollati. La Croce Rossa parla di “crisi umanitaria totale”. Finalmente, la sera del 17 gennaio 2009, Israele annuncia un “cessate il fuoco”, dichiarando di aver realizzato e superato gli obiettivi che avevano indotto all’operazione Piombo fuso. Entro una settimana l’esercito israeliano lascia la striscia di Gaza. Cadono le ultime bombe al fosforo bianco. I Palestinesi iniziano ad estrarre dalle macerie i cadaveri dei loro morti, molti dei quali in avanzato stato di decomposizione. Negli ospedali continuano a morire i feriti del fosforo bianco: i medici non riescono a curare le ustioni, provano con l’acqua, ma queste si espandono ancora di più e tanta gente muore tra atroci sofferenze. Gli occhi di centinaia di per-
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sone si spalancano sul baratro della disperazione e per le strade camminano “cadaveri caldi”. Un terzo delle vittime ha meno di 16 anni, come Aidha, di soli 15 anni, morta di paura all’inizio dei bombardamenti. Ma ecco che, a soli tre anni dalla strage, Israele annuncia di “essere costretto, presto o tardi, a condurre una nuova significativa operazione militare” per “scongiurare il lancio di razzi da Gaza”, razzi di estrema imprecisione, che causano una vittima ogni mille lanci e di cui i civili palestinesi non hanno nessuna colpa. Dopo tre anni sembra che non sia cambiato nulla, ma il sangue palestinese e israeliano che continua a scorrere ha lo stesso colore: il colore dell’innocenza.
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Drammatico. So che è scontato come giudizio, ma se proprio volete sentire il mio parere, eccolo: drammatico. Non ricordo di aver visto un film più triste di questo. Triste e sconvolgente. Se volete avere più certezze sulla natura effimera dell’uomo, sui suoi limiti, sulle sue infelicità e sulla sua condizione di misero essere infinitamente piccolo, solo, imperfetto e debole, guardate “Il velo dipinto”. Film del 2006 diretto da John Curran, è stato tratto dall’omonimo romanzo di William Chiara Donadoni, IV D Somerset Maugham. Londra, prima metà degli anni venti. Kitty è una giovane proveniente da una famiglia benestante. Per sfuggire alla vita familiare opprimente, accetta di sposare senza amore il dottor Walter Fane, batte-
attualità
riologo, che invece è perdutamente innamorato di lei. La coppia, a causa del lavoro di lui, si trasferisce a Shanghai, dove Kitty conosce Charlie, se ne innamora ed intreccia una relazione con lui. Walter viene a saperlo e, con una rabbia così gelida da sembrare quasi indifferenza, annuncia alla moglie il suo desiderio di divorziare. Kitty non vuole creare uno scandalo, ma acconsentirebbe alla separazione se anche Charlie divorziasse da sua moglie per sposarla. Lui non vuole sentirne ragione perchè è un donnaiolo e non la ama veramente. Sola davanti alla sua delusione, Kitty deve accettare di trasferirsi in un villaggio dell’interno dove il marito ha scelto di curare gli abitanti malati di colera. Ancora più sola perchè isolata dal resto del mondo, Kitty si reca al convento del villaggio e stringe una sorta di amicizia con le suore. Comincia a desiderare di rendersi utile e, da questo desiderio, nasce anche la consapevolezza di essere sposata con un
uomo non così burbero e freddo come all’inizio lei credeva. Si dimostra aperta al dialogo che lei e Walter non hanno mai conosciuto. Ma Walter non vuole smettere di punirla psicologicamente per l’adulterio commesso. La maturazione di lei, tuttavia, non si ferma: quella bambina viziata che aveva lasciato l’Inghilterra, quella ragazza romantica e appassionata che aveva lasciato Shanghai, a contatto con i bambini dell’orfanotrofio del convento è diventata una donna e una moglie innamorata. Scena più bella del film: lei si sta pulendo la camicia dal vomitino di un neonato e lui sta camminando lungo il corridoio, a testa bassa, assorto nei suoi pensieri; si scontrano; lei sorride, si volta e torna dai suoi bambini; lui, colpito dal lavoro di lei, resta come allibito, si volta e si trova in faccia ad una colonna, piega la testa e se ne va. Troppo romantica? Forse. Ma è lì, in quel corridoio, tra la malattia e la miseria, tra la nascita e la morte che Kitty e Walter ritrovano sé stessi. Finalmente, e per la prima volta dopo diversi mesi di matrimonio, felici e innamorati. Kitty scopre di essere incinta: secondo lei una brutta notizia per il momento in cui si trova, ma non secondo Walter. Piccolo problema: il bambino sarà figlio di Walter o di Charlie? Kitty ammette di non saper rispondere ed è pertanto seriamente preoccupata di perdere l’amore dell’uomo che ha appena imparato ad amare. Ma Walter, maturo, intelligen-
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Febbraio 2012 te, innamorato e moderato com’è, capisce che la risposta non è più così importante. Ragazze, non ditemi che non vi scapperebbe una lacrimuccia di gioia nel vedere una persona così migliorata nel carattere e nello spirito e un’altra finalmente felice e premiata per il suo amore! Beh, tenetevi quella gioia e godetevela, perchè dovete ricordare che è un film drammatico. Il finale è unico, immancabile, inevitabile e indiscutibile perchè è solo così che si può far finire la storia di un amore cresciuto piano: in modo drammatico. Se ci fosse un finale felice, non sarebbe la stessa cosa. Assolutamente no. Ammetto che al momento, nel vederlo, ho maledetto parecchie cose: il colera, l’altruismo di una certa persona, la stupidità di un’altra e il pessimismo del regista. Ho maledetto tutto quanto. Al momento, avrei davvero voluto avere la certezza che Kitty e Walter sarebbero stati felici e innamorati in eterno. Ma non è così, purtroppo. E non perchè il colera uccide, ma perchè la vita uccide. L’uomo è creatura di un giorno, e questo film non ha fatto che ricordarmelo in un tragico, brutale, insensibile, violento, dolce, tenero e amabile lieto fine. Non sollevare il velo dipinto di coloro che il vivere chiamano vita – Shelley Giulia Testa, I B
Ritorno alla realtà storica
cultura
In piena guerra fredda, questa volta, gli uffici dell’MI6 non sono più quelli di James Bond, grandi, sontuosi e con il capo all’ ultimo piano, ma cupi, essenziali e pervasi da un clima estremamente teso, dato che all’ interno di questi uffici, addirittura ai vertici, si teme la presenza di una spia sovietica: la Talpa. L’ex agente George Smiley (Gary Oldman), costretto a dimettersi insieme all’ex numero uno a causa di una missione fallita in Ungheria, viene richiamato in gran segreto ed è incaricato di approfondire la questione della spia sovietica e di scovarla, essendo lui un veterano in quell’ ufficio. Smiley è certamente una figura insolita di agente segreto, è caratterizzato da una compostezza e da una flemma non propri dell’immagine di spia che il cinema ha sempre dato, ma che sembrano derivare direttamente dal punto di vista di John le Carrè, autore dell’ omonimo bestseller da cui il film è tratto ed ex agente MI6. Smiley dirige insieme a pochi altri agenti questa
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“caccia”, ma è sempre il più individuabili nelle parole, distante dai luoghi e dalle nelle espressioni del viso, persone su cui indaga, è negli abiti, elementi che stanziato nel nuovo ufficio che sono frutto dell’ forte ha creato appositamente per rigore cinematografico che coordinare le indagini, in un caratterizza quest’opera, piccolo albergo nei pressi della firmata dal maestro svedese City e consulta con estrema Tomas Alfredson. Tra i vertici freddezza tutte le fonti a lui del servizio segreto, troviamo sottoposte. Nel anche un insolito, corso di questa stizzoso Colin indagine, è come “La Ta Firth, ben diverso lpa” vanta dal malinconico se la guerra fredda si spostasse il gra nde meri- George di “A Single all’interno dell’MI6 to Man” e dal bonario di aver rivo- Re e nel campo Giorgio VI de lu d’ indagine di zionato radi- “Il Discorso del Smiley, sempre Re”, che sembra calmente l’idea essere caratterizzata dentro fino da due blocchi d’intelligence al collo ai segreti contrapposti: e agli imbrogli l’ ex agente di quell’ufficio, segreto e la Talpa che sembra ostentando un’impassibilità, assumere diverse facce, che è però tradita da qualche ruoli e comportamenti. Ad smorfia isterica. incrementare questo clima, è certamente il distacco
così fortemente radicato nei comportamenti e nelle azioni dei personaggi del film, tutti caratterizzati da estremo realismo e verosimiglianza
“La Talpa” è un’opera di straordinaria raffinatezza, di tradizione europea, che si distacca completamente dalla maggior parte delle opere cinematografiche dell’ultimo decennio e sembra provenire dagli stessi anni in cui è am-
narrativa bientata. È una pellicola in cui parole, azioni, idee e intuizioni convivono con estrema armonia, senza essere schiacciate dalla stucchevole ironia, dalle sparatorie plateali e dalle imprese estreme che caratterizzano gli ordinari thriller di spionaggio. “La Talpa” vanta il grande merito, in campo cinematografico, di aver rivoluzionato radicalmente l’idea d’intelligence, riportandolo ai suoi schemi reali ed abbattendo tutte le mitizzazioni legate alla parola agente segreto. Questo film racconta una storia forse ancora più fatale delle sparatorie, degli inseguimenti e di tutte quelle imprese ai limiti delle capacità umane, ma per una volta reale. Leopoldo Biffi, V C
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Gelato Per Corvi
Questo brevissimo articolo è nato digitalmente nel gennaio 2011, con l’intenzione di ricordare un grande artista morto nel dicembre 2010. Una sorta di coccodrillo. Un anno dopo mi ritrovo a rimaneggiarlo, spinto dal ricordo del compleanno del defunto musicista, che cade il1 5 gennaio. In queste poche righe voglio presentare la grande figura di Captain Beefheart (vero nome di un certo Don Van Vliet, come è stato erroneamente registrato all’anagrafe), sperando di potervi incuriosire abbastanza da tentare un approccio. Chi è il Capitano? “Cantante, musicista e pittore statunitense” ci dice Wiki. Grande artista e
amico fraterno di Frank Zappa, dico io, per presentarlo anche “storicamente”. Accompagnato dalla sua Magic Band, con membri in continua alternanza, il Maestro s’avventura nelle terre del freejazz, estremizzando il lavoro portato avanti dal compagno di giochi Zappa (produttore del primo disco e collaboratore nella maggior parte dei lavori), in un viaggio che parte nel 1967 e termina quindici anni dopo. Durante il percorso il Capitano parte da un’atmosfera blues assai lisergica ed elettrizzata, per arrivare alle gioiose terre dell’avanguardia, dove produce “Trout
Grande artista e amico fraterno di Frank Zappa
Mask Replica”, il grande capolavoro della sua produzione, un doppio disco che vale ne vale dieci, a partire dalla copertina: il Capitano con una faccia da trota, con il suo inconfondibile cappello. Dopo il 1982 il mondo della musica ha ormai stancato il Nostro, che si ritira totalmente nella pittura, anche qui tentando di fare lo stesso che aveva compiuto musicalmente, ma probabilmente con risultati assai inferiori. Tuttavia, se il MoMA di New York, tempo fa, gli ha dedicato una personale, un motivo ci sarà. Per chi vuole approcciare questo pilastro dell’avanguardia mondiale è consigliabile partire dai primissimi album (Safe as Milk su tutti) o gli ultimissimi (Ice Cream for Crow). Un consiglio per un ascolto ottimale: fate partire la musica del Capitano solo se siete rilassati e sereni, perché nel caso i vostri nervi non fossero apposto, potrebbero succedere cose terribili a chiunque vi avvicini. Glauco Barboglio, II C
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LA RIVOLUZIONE DEL PETO “Friends, Romans, countrymen, lend me your ears” il discorso del dittatore Y. era cominciato più o meno così. Si era levato un boato d'approvazione da quell'ammasso di puntini giustapposti che, visto da lontano, si sarebbe potuto chiamare massa, folla o addirittura popolo. Egli si ergeva ritto dirimpetto al microfono, la fronte spaziosa rasserenava con la sua saggezza la nazione felice di abbandonare qualsiasi pretesa, ma che dico, desiderio, di avere una qualsiasi forma di libertà di pensiero, che bisogno c'era, d'altronde, quando un uomo così savio poteva farsi portatore di un pensare libero, ma soprattutto giusto e perfetto, che non poteva essere in alcun modo contraddetto. E chi poteva contraddirlo, l' opposizione forse -sì ma quale- non ve ne erano più: tutte ammutolite, senza nemmeno troppo sforzo, ad essere sinceri. Eretto, uomo tutto d'un pezzo, salvatore della patria, Marte Pacificatore, homme fatal, così egli era raffigurato nelle statue, come appariva agli occhi dei puntini giustapposti, che per comodità e mancanza di perizia lessicale abbiamo chiamato popolo. La potenza etnica ed industriale della nazione ci costringe ad un ruolo di locomotiva dell'umanità -applausi e mani spellate- affidatevi a
me, lo spirito nazionale c'est moi -applausi e mani spellate- E a chi volevano affidarsi, chi poteva meglio incarnare la volontà di quei singoli punti (ammesso e non concesso che ne avessero una), se non lui ed i suoi soldati a forma di automi, o automi agghindati da soldati, che ostentavano le loro baionette, eccellenza dell'industria bellica, come a voler dire, heac ornamenta mea sunt. Ma, nella vita c'è sempre, prima o poi, un ma, a cavallo tra la fine del penultimo intervento dell' eccelso tiranno e l'applauso scrosciante della folla, per quell'incredibile legge non scritta dell'universo tetradimensionale secondo la quale certi eventi acquisiscono valore in un determinato momento ed in un determinato luogo, accadde che qualcuno scorreggiò. Prendano appunti i nostri giovani aspiranti dittatori di ogni parte del mondo, che nemmeno il buon Machiavelli avea considerato il potere de' fetidi miasmi. Dapprima, l'avvenimento imprevisto non provocò grossi danni; solamente si insinuò, nell' alta fronte del dittatore Y. , una sottilissima ruga di preoccupazione, piccina piccina, ed il popolo spaesato esitò ad applaudire. Certamente egli avrebbe potuto rigirare l'inconveniente a proprio vantaggio, sfruttando le sue indubbie capacità di oratore e dicendo che infine
era un segno di abbondanza e che, come dice un detto popolare, sfiato di terga sanità di membra. Ma l' Ano Infame fu implacabile e al primo peto ne seguirono altri due, o forse tre, meno intensi e ravvicinati, tant'è che potremmo definirli più correttamente puzzette. La folla scoppiò in una sonora risata, e chi se l'aspettava questa, una puzzetta sediziosa, una scoreggina rivoluzionaria, un peto ribelle stava per abbattere il nostro dittatore. Da agnellini ammaestrati a lupi famelici, i puntini erano ora uniti a formare un enorme mostro dal ghigno perverso, che atterriva e spaventava il grande Y., che in questo frangente non era proprio grande, anzi si faceva piccolo piccolo, più piccolo possibile. Il fragore di quella risata piegò le baionette dei soldati e calò loro le brache, piogge corrosive di sterco di piccione cominciarono a squagliare le statue che raffiguravano Y., con buona pace dell' òm fatàll. Ormai Lui non lo si vedeva più, anzi no eccolo, e chi l'avrebbe mai riconosciuto così ridotto a piccolo satiro, con il grosso deretano peloso al vento, esposto alla mercé del pubblico ludibrio e portando un rubicondo fallo in mano. Se ne andò scappando in modo goffo sulle gambette tozze, deriso dalla folla, che aveva appena finito di applaudirlo. Pietro Valsecchi, IIIF
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Ogni colore al Cielo Tutto, all’improvviso, le apparve strano. Il tramonto del Sole rendeva l’aria carica di nostalgia. Da quella città era diverso. Ecco cosa non andava nel cielo! Benché molti dicano che il cielo è uguale ovunque, lei si rese conto che non era così. Da quando se ne era andata il cielo era cambiato, trasmetteva altre sensazioni e il Sole sembrava brillare di una nuova luce. Lei la trovava più intensa, come se la lontananza stesse ricomponendo i pezzi della sua vita, come se il cielo e il sole stessero infondendole un nuovo coraggio e le stessero ricordando chi era. Era ricorsa al cielo più volte, da buona superstiziosa, per leggere i segni che le mandava, spesso, però, non erano chiari, precisi e doveva tentare di convincersi che sarebbe andato tutto bene. Quella sera, davanti al tramonto, si rese conto di essersi lasciata tutto, o quasi, alle spalle, di aver dato alla sua vita quella svolta di cui aveva bisogno per essere serena. Non felice, ma quantomeno soddisfatta del percorso che aveva affrontato in quegli anni. Poi le ritornarono in mente tutti i ricordi degli anni precedenti e si chiese, quasi scioccamente, dove fossero finite tutte quelle persone, quelle giornate… Capì un’altra cosa: erano lì con lei,
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Un misogino coerente
aspettavano che lei li lasciasse liberi, che avesse il coraggio di lasciarli liberi. Pensava di esserci riuscita molto tempo prima, ma non erano svaniti. Pensava di averli chiusi in scatoloni e valigie, ma quegli oggetti e quello foto erano solo un simbolo di ciò che era stato, di ciò che sarebbe stato senza di loro. E’ incredibile quanto un cielo, nonostante le potesse sembrare banale, le consegnò significati che lei credette di aver compreso, di aver colto appieno. Invece erano una lunga serie di fraintendimenti mai risolti, di situazioni lasciate in sospeso, di attimi svaniti in pochi giorni, pochi secondi. Tutto per una scelta, una banalissima scelta che aveva reso tutto meno difficile, ma anche tutto il suo passato più lontano. Federica Zonca, IV D
L’acqua fredda e il sangue ancora caldo che in quel momento gli scorrevano sulle mani contribuivano a donargli un senso di pace, anche se non assoluta. Per tutta la vita non aveva fatto altro se non professare l’odio per quegli esseri infimi, con meno valore di uno straccio sporco, ma non si era mai sentito del tutto coerente. Per cominciare ripensava a quando si era rifiutato di avere rapporti con loro. “Non ne erano degne”, rimuginava ancora tra sé sempre più convinto della sua scelta. La lama, tornata ormai come nuova, riluceva sotto l’acqua. Con cura e precisione asciugava prima un lato e poi l’altro del coltello per poi rimirarlo. Dando un’occhiata al pavimento pensava che forse una pistola non gli avrebbe dato tutta quella soddisfazione ma che almeno non ci sarebbe stato tutto quel sangue da ripulire. Forse la scelta migliore sarebbe stato lo strangolamento ma non voleva rischiare di fallire e voleva poter assistere comodamente all’agonia, che doveva durare esattamente nove minuti. Si chiedeva se fosse proprio la scelta del metodo a lasciargli quel senso di insoddisfazione. Non aveva mai sopportato di avere un legame così profondo con quell’aborto in gon-
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nella, legame più stretto e più forte che con qualsiasi altro individuo. Pensare a quei nove mesi che li avevano uniti indissolubilmente per tutta la vita gli dava la nausea. Forse era questo il punto: aveva creduto che spezzare la vita di uno dei due sarebbe bastato, ma non era così. Lui sentiva dentro sé ancora quel legame tenace e inestirpabile dalla propria mente. Ora la soluzione appariva davanti ai suoi occhi talmente scontata che si chiedeva come avesse fatto a non pensarci prima. Togliendosi i vestiti gettò un altro sguardo fugace alla stanza adiacente, ormai interamente ricoperta di sangue e pensò che non l’avrebbe ripulita. Infilandosi nella vasca da bagno aprì l’acqua calda e aspettò che si riempisse fino all’orlo. Prese il coltello e con un colpo deciso tagliò i propri polsi. Il sangue sgorgando lentamente gli dava una strana sensazione di calma: lasciandosi abbandonare al tepore di esso e dell’acqua si addormentò, preda della stanchezza. Udendo un urlo si svegliò. Non sapeva per quanto avesse dormito, non sapeva se fosse vivo o morto. Percepiva semplicemente un dolore indefinito, diffuso lungo tutto il corpo. D’altronde cosa si aspettava, anche la Morte era donna, in quanto tale non poteva essere piacevole. Si pentiva di ciò che aveva fatto, avrebbe voluto piangere ma non ne aveva la forza. Sentiva che ogni forza era sgorgata via da lui con il sangue. Quell’urlo di sgomento era cessato. Poteva essere una speranza, maga-
ri qualcuno l’avrebbe salvato. Per la prima volta nella sua vita riusciva a comprendere la paura. Così impotente avrebbe voluto fare qualcosa ma non riusciva nemmeno a capire se fosse la paura a fermarlo o la Morte stessa. Forse la Morte si stava burlando di lui, sentendo il suo genere offeso. Era lì ma voleva assistere alla sua agonia prima di portarlo all’inferno. Era possibile che quello di prima non fosse un urlo ma una risata, stridente e acuta. Voleva urlare, chiedere aiuto, sottrarsi a quella morsa invisibile che lo tratteneva. Dopo alcuni secondi o forse minuti, non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso, sentì il suono di una sirena e delle voci, dei passi. Qualcuno stava venendo da lui, qualcuno l’avrebbe salvato. A un tratto gli fu davanti una figura decisa e sensuale in quegli ultimi istanti di speranza: una donna. Aveva capelli fluenti e scuri, occhi molto chiari e piccoli, gli faceva delle domande, gli diceva di tenere duro. Alle sue narici arrivò un profumo dolce che lo irretì. L’ultima cosa che avrebbe visto, sentito e odorato era lei, una donna. Era bella però a vederla così. Ecco perché la Morte aveva aspettato, non per il tristo spettacolo dell’agonia, ma per il diletto provocato dall’Ironia. Anche l’Ironia era femmina, del resto. Sorrise, con le uniche forze rimaste. Morì così, facendo uno di quei sorrisi mesti che non si capisce se siano di felicità o di disperazione. Rebecca Bolis, V A
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Lance, spade, frecce, scudi spezzati, ossa rotte
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BUM Mi affaccio alla finestra, e osservo il mare. Quanto è bello. Il rifrangersi delle onde sulla spiaggia, l’odore della salsedine e il calore che si sprigiona dalla sabbia del mezzodì. Conto gli ombrelloni: 1, 2, 3, 4. Sono 4. Come gli anni che ho passato nella mia nuova meravigliosa casa! Si, la mia casa è magica, infatti, si affaccia su ogni mondo possibile, e dalla mia stanza posso contemplare la barriera corallina mentre da un’altra finestra penetra la brezza gelida degli Urali. Poi mi sporgo sul balcone e..ecco! le luci festose della città di Berat mi abbagliano e il grande casinò sul fiume pullula di accaniti giocatori. Corro in circolo per la stanza, mentre la notte si abbassa sul Cairo e l’aurora boreale rompe i contorni del cielo artico. Ed ecco, le armate greche delle Termopili levano il peana e si apprestano a ricevere l’orda dei barbari! Lance, spade, frecce, scudi spezzati, ossa rotte,
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la manica sinistra. Io non voglio fare quella puntura, non voglio. Mi divincolo dalla sua presa e scappo verso il terrazzo: “Leonida mi aiuterà, mi porterà in salvo su un gigantesco elefante!”. Ma dietro le persiane non vedo più Leonida, né gli elefanti, le lance, le spade, le frecce, gli scudi spezzati, le ossa rotte.
una grande BARAONDA! Mi ritraggo dalla finestra, spaventato. Barbari rozzi e puzzoni, mi hanno fatto accapponare la pelle con le loro grida sguaiate. Discosto le persiane. Il paesaggio è cambiato di nuovo, ci sono bianche colline, e Copernico sta seguendo una stupenda regina, mentre tutto intorno nevica e dall’al-
Foreste in fiamma! BUUM! Abbasso le persiane, tutto questo movimento mi ha stancato, ora voglio dormire. Mi sdraio e chiudo gli occhi. Bum.. Ancora quegli aerei! Uff. Io Voglio dormire!!! Bum.. Ascolto meglio, e mi rendo conto che il suono viene dal
tra finestra penetra un’aria gelida… Povero, non sentirà freddo? All’improvviso un’enorme boato, seguito da un flash fortissimo si sparge per la stanza Vietnamiti che fuggono! Americani su enormi aerei! Le bombe al Napalm!
Solo un cortile, un muro, e corridoio, non dalle finestre. un cancello con un cartello: BUM, BUM. La porta si spalanca. Niente OSPEDALE PSICHIATRICO. più spiagge, casinò, aurore Stefano Martinelli, IIB o guerre tumultuose. Solo il medico. “Pronto per l’iniezione campione?” Mi fa cenno di alzare
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olto m o i t n e t r dive e t t dai e i n l g a i n V i “ g i r aso o c i n g o n i o’s.”y”. Vi prei L cretine e u l a P i vigndeallta lotroispatgina Facebook “JsioseagpghirthaneoBnuenlnSarpi prene cepire… i due geni ch Direttamente st e u q a possano con m si ri e p h te c n li a ti u in più in sentiamo dalle cavolate e n io z a ir p is dendo
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s u ib v a m cu s o in rt a u q i d n De vena
lo ante il consiglio d'istituto è emerso che dur , ere sap a uti ven o son lti, mo rasi per espliCome alcuni di voi, spe aica Govoni, ha acquisito acquistandolo 'arc dall ato ern gov ora anc nd' qua , uto medesimo istit FALCO. dottiera stessa un grande e poderoso con a dell a atic lom dip o itic pol lta sce si tratti cita comprensione, affermando invece che ta nca ma mia una a stat sia che no Taluni mi suggerisco di un PALCO. o) , ad ogni modo, è rimasto pressochè palc il loro o ond sec , cisi pre si che o Il falco(o , come voglion un trattatelarpi, ragione per cui enunciamo quivi P.S e tion bas del rete seg e nell o and rest inutilizzato , ile arte della falconeria ituto dispone vada impiegato nella nob l'ist cui di to men stru sto que e com su o fine chi lo articolo, su di l'altre vie per l'medesim o altr in cia, pos que dun mo ere ngh al quartino; ci dilu v'ho scorte. Filippo Alessandro Boukas, II C
La cacciata allo quartino con lo falco sine ullo dubbio s’è la più nobilissima et iucundissima ut imperator Govona adquistavit falcum ad ab licaealis praticandam ipsa arte. Cacciagio con lo falco est omnia divisa in partes tres: -la prima est la paratio del cacciatore e supratutto di lo falco,da prendere in bibleoteca, cui Telus L’orenzo (alterus demens) in alia talkiturus est, -secunda parte, lancio del falco qui se scagliat contra lo quartino et temptat necare praedam in fontanellam cum artiliis praemendo, sed etiam si falcus vigorosus vel expertus cazzutumque very mosto of times quartinum aventem peso maiore, is going to be victus; allora initium abet tertia fase et licaeale intervenit bastons cum mazza sprangaque lo quartinum. Ad meglio explicare vobis exemplificaturus sum: vos ,in prima fase, post preso falcum compilando il registro di prestito dalla Dianella , scegliete locum altum et congeniale ad lanciare lo falco, io consiliamus vobisuna finestra del primo piano quae guardat on the terrazza. Postquam falcus lanciatus ast , scendete (sine adoprare sfugatam scalam si tu nolet debiti) et adpostate vos in angola terrazzarum. ubi falcus fermat artiliando quartinum vos intervenites cum mazza quod melius est si da baseball:enim quella da cricket vel maiora pars aliarum sprangarum ,avens spigoli, pellem quatinius rovinat sic ut rendere inadaptam ad concia pellis et ergo cacciagio infructuosa.
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praeclarissimi
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IPSE DIXIT
CAMPANELLI: Ho insegnato 5 anni al Pesenti: ed ero DIO!!!!!!!!!!!!
ZAPPOLI: Nuova domanda: qual era la domanda?
MILESI(nel bel mezzo della spiegazione): Mosca! Devi morire!! È finita la tua stagione! Convincitene!!! CAMPANELLI (a un cane): Tu sei troppo intelligente per andare al Sarpi.
ZAPPOLI: Popolo bue: scrivete! ZAPPOLI: …la biga alata. GIULIA: La diga a latte?!?!?! ZAPPOLI: “Maria Gafforio.. Uhm.. Mària, o Marìa?”
MILESI, parlando delle spigolatrici egizie: “Perchè allora non c’erano le macchine di oggi, dove entrano le spighe e vien fuori direttamente il biscotto!”
ZAPPOLI: “Socrate era buono, ma…crepa.” ZAPPOLI: “Dunque! Finiamo. Se no, ci spariamo.” La classe corre sulle mura. UN PASSANTE: “Bravi, bravi, correte!”
CAMPANELLI: “Dico, si crede tanto simpatico, lei? Sì, simpatico, come un gatto attaccato ai c*******!”
SIGNORELLI: “Beh, chissenefrega, andiamo avanti lo stesso!”
ZAPPOLI, entrando in aula: “Ma qui dentro c’è il mito della caverna!”
ZAPPOLI: “Come? Anche la Bertazzoli fa le pause?! Allora mi imita nel mondo delle idee!”
ZAPPOLI: “E mi raccomando! Le fotocopie, non usatele come carta del camino!”
SIGNORELLI: “Se invece che seguire la lezione hai preferito espletare le tue funzioni idrauliche non è affar mio!”
BONAZZI: “Dunque, a cosa si lega il quod relativo?” GOTTI: “A… diei?” BONAZZI: “Ma no!” GOTTI: “A proelio allora!” BONAZZI: “No! Stiamo forse andando a caso?!” GOTTI: “Sì, abbastanza!”
BERTAZZOLI: “…Gesù era circonciso, Giuseppe era circonciso..” GOTTI: “E Maria era circoncisa?” La classe la guarda inorridita GOTTI: “Era sarcasmo!!!”
MANZONI: “Fermati! Silenzio. Segui me, invece di seguire sempre te!”
CRIPPA: “…e lasciò a lui il regno, pensando che avesse molte capacità.” MANZONI: “In pratica, perché aveva le palle.”
BONAZZI: “Certe volte in questa classe colgo una certa ostinazione, come se foste troppo attaccati alla vostra copertina di Linus!” SIGNORELLI: “Su, siamo critici! Ce la fate ancora ad essere critici?” CLASSE: “No!”
BERTAZZOLI: “Nel Paradiso le anime parlano come le lampadine del Presepio!” MANZONI: “...e poi ogni tanto saltano fuori dieci scemetti in costume che cantano una filastrocca irritante.” MILESI: “Non è un cinghiale transgenetico”
MANZONI: “Oh, Gafforio è nata il 28 dicembre! E’ capricorno, ha lo stesso segno di Gesù!” MILESI: “Grazie caro... Ah, no, carA! A tutta evidenza sei una gentile fanciulla!”
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BONAZZI: “Ma allora questo Priamo è veramente schizofrenico!” MILESI: “Vogliono che gli diamo l’offertina.. E cosa volete dirgli voi? Questo è un bene pubblico, ricevete già finanziamenti dallo stato, non pagate neanche l’ICI: cosa volete ancora? Eh, no!”
BERTAZZOLI: “Secondo te, uno che non sa di cosa stai parlando capirebbe qualcosa?” DIEGO: “Forse, se si sforza..” BONAZZI, leggendo una circolare: “ ...invitiamo i partecipanti a ritirare in segreteria la maglietta sponsorizzata dal Comitato genitori. E questo cos’è, il contentino?!” III I Cubelli: dai ragazzi, seriamente, quanti di voi usano ancora il congiuntivo, nella lingua parlata? (21 persone su 23 presenti alzano la mano)
-MALVE (durante l’interrogazione di latino): come si chiama quella malattia... il morbo di Edipo... -PICCIRILLI: Corbani, se vai a parlare così alla maturità li fai morire tutti -NELLO: ...d’invidia... -PICCIRILLI- Già qui la Vavassori s’è persa, ha fatto l’occhio bovino... -PICCIRILLI: Ragazzi c’è
la febbra 2012 puzza, aprite un po’ l’aria -GIACONIA: ho visto che sono riuscito a finire su Cassandra. finalmente! -PARIMBO: si è offeso profe? -GIACONIA: no no anzi, ieri sono andato a casa, da mio figlio, gli ho detto “guarda, sono su Cassandra!” -ALLIEVI (notando un pappagallo impagliato su una sedia vicino alla cattedra): per cui, se noi consideriamo... ciao bello! (e riprende come se niente fosse...) -ALLIEVI: e questa cosa importante... fondamentale... non me la ricordo più! -PICCIRILLI: cosa ci sta dietro la borsa della Valli? ...il naso del Corbani!! -GIACONIA: del resto è simile anche etimologicamente... insomma, il duce è quello che... CON-DUCE!! -TOBALDO:...e la forza? ... sia con noi -TOBALDO: di solito tutte le mamme dicono sempre di non aprire troppe volte il frigorifero perché sono sagge e hanno studiato la termodinamica -MONICA: Profe, io ho avuto qualche problema a capire l’esercizio -TOBALDO: eh, Nicoli... mi dispiace... -GIACONIA: ecco, quelli che sono di Grumello del Monte magari hanno presente, io
terza pagina lo so prché mia moglie è di Grumello del Monte -VAVASSORI (con vivo interesse): ah se??? -ZAPPA: è come se oggi andassimo a casa della Vavassori, che sta facendo altro... insomma andassimo lì, ci mangiassimo una torta, magari con un po’ di spumante e poi tutti assieme ci mettiamo a cantare Bach -VAVASSORI: no, io non la preparo la torta... -ZAPPA: lasciami dire: che stronza! (ovviamente scherzando, n.d.r.) BUONINCONTRI: Cézanne era del Sud della Francia... era un terrone!
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La Redazione Direttore Responsabile: Davide Rocchetti, III A
Vicedirettrice: Martina Astrid Rodda, III C
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Segretaria: Benedetta Montanini, II A
Caporedattori: Arianna Piazzalunga, II C Sara Moioli, II A Glauco Barboglio, II C Pietro Valsecchi, III F Luca Parimbelli, III I Letizia Capelli, II A
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Commissione Togni: (copertine) Stefano Togni, II A (illustrazioni) Camilla Balbis, I I Chiara Piantanida, IV F
Redattori
Michele Soldavini , III I Davide Gritti, II A Alice Montanini, II A Benedetta Montanini, II A Elena De Leo, II B Benedetta Campoleoni, II B Stefano Martinelli, II B Filippo Alessandro Boukas, II C Isabella Manenti, II C Iaia Paganoni, II C Lorenzo Teli, II C Andrea Calini, II I Lucia Cappelluzzo, II I Sara Colombo, II I Francesca Carminati, II I Paolo Sottocasa, I A Giulia Testa, I B
Micaela Brembilla, I C Federico Ghislotti, I C Patrizia Locatelli, I C Laura Rigoni, I C Marta Cagnin, I D Camilla Balbis, I I Leopoldo Biffi, V C Andrea Sabetta, V C Federica Sala, V E Pietro Raimondi, V F Sara Latorre. IV D Giulia Vitale , IV D Sara Zanchi, IV D Federica Zonca, IV D Elena Giozani, IV F Elena Moreschi, IV F Elena Occhino, IV F