Cassandra: Dicembre 2011

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Editoriale

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è Natale, non pensiamoci. Arriva il Natale, nessuno è più buono e tutti ingrassano. Le luci, comparse già ad Ottobre, riempiono le città e i negozi. Le luci sono accese e gli uomini sono spenti, gli uomini ingrassano ma le luci no. Babbo Natale esisteva ed era verde, adesso Babbo Natale non esiste più ed è rosso, colpa della Coca Cola. Divenne rosso solo dopo che, negli anni ’30, la multinazionale lo usò per la sua pubblicità natalizia. E’ colpa della Coca Cola anche l’uccisione dei sindacalisti messicani, ma questo non importa, o meglio, non fa notizia. Arriva il Natale e c’è la crisi. La Fornero piange e il Vaticano se la ride, Monti, invece, rimane inespressivo e pragmatico. Possiamo salvarci, ringraziamo Napolitano: 86 anni e non sentirli. C’è la crisi ma via XX Settembre è sempre piena: è benessere artificiale. Sabato scorso ho dovuto lottare per arrivare in Feltrinelli: forse era meglio non partire da Piazza Pontida. C’è anche chi la crisi non la sente e aspetta quattro anni e un mese per il vitalizio, noi aspetteremo le calende greche. C’è la crisi, tutti sono terrorizzati dalla nuova manovra e la Fornero piange, allora perchè la gente compra? Due possibilità: vista l’aria che tira, o erano tutti sacerdoti e suore in borghese con i bambini della catechesi oppure l’uomo è malato. Lo so, la prima opzione è decisamente più affascinante ma bisogna cadere nella retorica, che noia: l’uomo è malato. L’uomo è malato e c’è la crisi: ammetterete che è le prospettive non sono rosee. Produci, consuma e poi crepa: l’uomo è spento e malato, e l’ICI non lo pagano tutti. E la patrimoniale? Vabbè lascio perdere. Arriva il Natale e arriva Cassandra, cosa volete di più? Un mondo migliore! Intanto iniziate ad accontentarvi del nostro sito, eccolo: cassandra.liceosarpi.bg.it . Arriva il Natale e nessuno è più buono, è vero. Basti a veder a Firenze l’uccisione dei due ragazzi senegalesi. Basti vedere a Torino, la crociata degli italianissimi che ha raso al suolo il campo degli zingari della Continassa. Di chi è la colpa? Dei verdi e della Coca Cola, e stavolta Babbo Natale non c’entra. Le luci sono accese nei negozi, via XX Settembre è piena ma le madri e i bimbi rom si disperano davanti alle macerie, lì le luci sono spente. Ma cosa importa a noi, che viviamo nelle nostre tiepide case, che troviamo tornando a sera il cibo caldo e visi amici? E’ natale, non pensiamoci. Buona Lettura Davide Rocchetti 3A P.s.: Mi permetto di suggerire un libro per le vacanze: “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” di Luis Sepùlveda, da leggere dall’inizio alla fine in una sera al caldo, isolati dal mondo, magari davanti ad un camino.


Sommario Sarpi - Sarpi Horror Show - Da grandi poteri derivano grandi responsabilità

Attualità -

L’Italia sono anch’io! Caro Monti... Tre volte il fe’ girar Pari o Dispari?

cultura . . -

And so this is Christmas (intro) Le palle degli alberi Buon Natale? Perché ogni Natale in TV danno sempre gli stessi film? Il Natale è un panettone

-

Sciacalli Ventanni Caro Babbo Natale Racconto

narrativa

sport

- E l’Italia calcistica torna a sognare

terza pagina -

Versione di Greco Ipse Dixit La piramide alimentare Boukassiana Scuse di Togni


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SARPI HORROR SHOW

Cari studenti del Sarpi, Finora nessuna delle autorità competenti ci ha fornito un protocollo su come difenderci da un’epidemia zombie. Il corpo insegnanti, insieme al personale ATA, si preoccupa di questioni certamente importanti e stabilisce norme di sicurezza vitali onde mantenere intatti fisicamente i propri alunni; vengono stilati piani di fuga, vengono imposte nuove norme ogni anno, si effettuano rigorose prove di evacuazione etc… Tuttavia, a differenza delle altre grandi scuole della bergamasca, l’evenienza più grave di tutte –la rovinosa piaga dei morti viventi- viene costantemente snobbata. Immaginate, cari ragazzi/e, di arrivare in sede o in succursale al consueto orario mattutino, e di notare uno strano comportamento da parte dei compagni e dei professori. Ricordate: il primo sintomo di zombificazione consiste nella camminata

“storta” e “strascicata”. Se oltre a tale portamento rilevate un che di vitreo negli occhi del/la vostro/a partner, o udite un coro di lugubri e rauchi lamenti, ahimè!, la frittata è fatta: siete nel bel mezzo di un’apocalisse zombie. A questo punto quali strumenti vi offre la scuola per reagire a questa pericolosa minaccia? Nessuno. Probabilmente vi dovrete rassegnare ad essere sbranati dal vostro migliore amico o dal profe di latino. Molte lettrici potrebbero obiettarmi che non desiderano altro che essere divorate dal vicepreside…Suvvia, ragazze, un po’ di buonsenso! Il primo morso potrebbe certo risultarvi gradevole, ma a lungo andare la faccenda si farebbe noiosa. Dunque a che giovano vari piani di fuga e sicure disposizioni di banchi, se state per essere accerchiati da un’orda di persone “diversamente vive”, mosse solo dalla pressante necessità di nutrirsi

della vostra carne “fresca di giovinezza”? Nessuna delle norme citate servirà a nulla, e non potrete certo far fronte al pericolo armati di matita e fogli di protocollo!-fine della pars destruens. Ecco le mie proposte: innanzitutto chiederei di mettere a disposizione, in numero di due per piano, dei mitragliatori Thompson con caricatore a tamburo, ovviamente con scorta di cartucce. Tali armi, con l’aggiunta di una Gatling (4000 colpi al minuto) riservata al personale della segreteria, andranno esposte in apposite teche di vetro da sfondare solo “in caso di zombie”. A questi provvedimenti si accompagnerà l’affissione su tutte le pareti di cartelli recitanti “Ricordati di colpirli in testa: è l’unico modo”. Altre proposte: la nostra salvezza potrebbe dipendere da un leader; suggerisco perciò di assegnare agli insegnanti più temerari e atti al comando l'incarico di "ma-


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schi alfa".Inoltre, ogni anno in tutte le classi vengono designati aprifila e chiudifila, aiutanti ecc. per prevenire disordini in caso di evacuazione. Allora perché non designare dei prefetti “zombie killer”? Ovviamente essi andrebbero scelti tra gli alunni più esperti di videogiochi sparatutto (specialmente Call of Duty), così come tra gli studenti più nocivi andrebbero scelte le “vittime sacrificali” da gettare in pasto agli zombie qualora ci fosse bisogno di un diversivo. Passando al piano strettamente didattico, suggerisco la visione dell’opera omnia del Maestro George Romero con la frequenza di un film a settimana, accompagnata a tutte le puntate finora uscite della serie tv “The Walking Dead”. Prendiamo esempio da chi le ha vissute davvero, queste situazioni, e ricordiamoci che in tutti i film le epidemie zombie si rivelano catastrofiche solo perché non vengono prevenute. Spero che questo articolo vi risulterà utile: chiunque abbia un suggerimento o un’iniziativa da proporre, e desideri accompagnarmi nella mia crociata (mi rivolgo anche agli insegnanti!), non esiti a contattarmi. Solo uniti sopravvivremo!

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DA GRANDI POTERI DERIVANO GRANDI RESPONSABILITÀ (O ALMENO CREDO)

“Perché devo studiare?”, con opzionali imprecazioni annesse, è una domanda che non suona nuova a nessuno. Potremmo farne un motto universale. Anche “perché ho fatto il classico” potrebbe essere un ottimo candidato. Forse, però, noi tutti ci poniamo meno di frequente una domanda leggermente diversa: “perché non dovrei non studiare?” Sembra un mero gioco di parole, ma a mio parere non lo è affatto. In fondo, perché dobbiamo studiare lo sappiamo un po' tutti. Ciascuno ha le proprie risposte, ed è proprio così che deve essere. Studio per promuovere la mia crescita intellettuale, per diventare autore della mia fortuna, perché il sapere mi dà potere sugli altri, perché Il Teli, 2° C così diventerò un dirigente d'azienda strapagato, che so io. Alla fine, se non avessimo trovato uno straccio di motivo convincente per farlo non saremmo qui dove siamo. Alla domanda contraria, invece, è un po' più difficile trovare risposta. Provo a riformularla: “se non

avessi alcun motivo per farlo, perché non dovrei non studiare?”. La mia risposta, personale ma con l'ambizione che qualcuno la ritenga valida, è che a mio parere non ci sarebbe nessun motivo. Ciascuno di noi studia essenzialmente per se stesso. Studiare non è un dovere in sé, lo è nel momento in cui lo scegliamo. Si può diventare una persona completa e felice senza sapere chi fosse Demostene, e la stessa letteratura ce lo ricorda spesso. D'altro canto, nel momento in cui abbiamo capito che lo studio (magari di una determinata materia) è la strada che preferiamo per noi stessi, sarebbe assurdo costringersi a non praticarla in nome di qualche necessità superiore. Quale necessità superiore, poi? Chi mi può dire se sia più importante sapere il greco oppure come si costruisca una rete da pesca? Non funziona né in un senso né nell'altro, né la prima cosa è più nobile della seconda né viceversa. Nel momento in cui ho scelto di fare questa scuola, automaticamente sapevo


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che non avrei mai imparato a far funzionare un tornio. (A meno che non scelga di dedicare parte del mio tempo a farlo, naturalmente.) Aver scelto di fare due ore di arte in più al ginnasio anziché due di matematica significa che non saprò mai come si calcola una derivata. Si può dire che io abbia perso qualcosa? Evidentemente sì. Si può dire che abbia sbagliato, o che abbia commesso una colpa? Ne dubito. Ogni scelta ha delle conseguenze. È semplicemente questione di responsabilità. Ecco, responsabilità. Parola chiave che di solito viene ripetuta fino alla nausea. Assumersi le responsabilità di una scelta, accettarne le conseguenze, significa anche essere liberi di farla. A patto che questa scelta non implichi un danno rilevante per gli altri. Non sarei libera di vandalizzare il Partenone, anche se me ne assumessi le conseguenze penali. Ma così sto divagando. Torniamo alla domanda iniziale. Perché non dovrei non studiare? Se non lo facessi, non sarebbe una colpa, sarebbe una scelta di cui assumermi la responsabilità. È chiaro che avrebbe delle conseguenze, in parte su di me e in parte probabilmente sugli altri, che si perderebbero il contributo che la mia mente avrebbe potuto offrire alla cultura mondiale. Anche se sospetto che quest'ultima possa sopravvivere. Se invece continuo a farlo, se continuo a imparare e a sobbarcarmi lo sforzo che questo implica, è perché lo ri-

diciembre 1962 tengo più opportuno, meglio per me e per ciò che desidero fare in futuro. Se qualcuno a questo punto penserà che sto dicendo cose ovvie ne sono ben contenta. Insomma, perché sento il bisogno di ripetere tutto questo? Perché, a mio parere, a volte lo si perde di vista. E non sono solo gli studenti a farlo. Non è difficile rendere lo studio un dovere e di conseguenza la sua mancanza una colpa. Per carità, è vero, lo studio è un dovere verso noi stessi. Non è qualcosa che ci possa essere imposto, anzi, si sa che imporlo è parecchio controproducente. A fronte della mole di lavoro quotidiana capita a tutti di avere una crisi motivazionale. Se l'unica risposta è che “si deve” affrontare la fatica, allora sarò io la prima a dire che non capisco lo scopo di quello che sto facendo. Anche perché studiare quello che si studia qui, in questo liceo, non serve obiettivamente a gran che. Non è utile, nel senso che non si può utilizzare per ottenere qualcosa, almeno non in modo immediato. Ogni volta che ci viene ripetuto che l'istruzione classica è superiore a [inserisci ordine di scuola qui], è naturale pensare che sia vuota retorica. Perché in fondo lo è. Non ho scelto di studiare perché studiare è “meglio” che lavorare i campi, o chiudersi in convento a far vita contemplativa. Non ho neanche scelto il classico perché è “meglio” dello scientifico. Non ho scelto di prepararmi per la prossima interrogazione per-

6 ché presentarmi impreparata è eticamente sbagliato. L'ho scelto perché, in fondo, sono contenta di sapere. E so che impegnarmi per farlo costituisce, di conseguenza, la mia responsabilità verso me stessa. Per concludere, a volte vorrei davvero che anche da parte degli insegnanti con cui abbiamo a che fare tutti i giorni arrivasse qualche richiamo all'interesse degli studenti, e non al nostro senso del dovere. Qualche voto in meno e qualche discussione in più. Giusto per ricordarci che non stiamo lavorando in nome di un principio estraneo ma stiamo facendo qualcosa il cui scopo ultimo è procurarci piacere e renderci migliori. Che dite, si può fare? PS Questo articolo vuole essere fondamentalmente una lettera aperta. Chiunque abbia interesse a discuterne o non sia d'accordo con me o abbia voglia di spendere un po' di fiato a parlarne è più che benvenuto, sulle pagine di Cassandra o di persona. modestine Martina Astrid Rodda, III C


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L’ITALIA SONO ANCH’IO! A pochi giorni dalla nascita del governo Monti, il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha affrontato con decisione uno dei temi che era già stato sollevato dall’onorevole Bersani del Partito Democratico durante la dichiarazione di fiducia del nuovo esecutivo: la cittadinanza dei figli degli immigrati nati in Italia. “Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. I bambini hanno questa aspirazione.”, ha detto Napolitano durante l’incontro al Quirinale con la federazione delle chiese evangeliche.

dini stranieri nati nel nostro Paese possono chiedere la cittadinanza tra il 18° e il 19° anno d’età, purché dimostrino di avervi risieduto in modo legale e continuativo. Attenzione, però! Occorre presentare la richiesta entro il 19° anno, altrimenti si perde il diritto. Per questo 19 associazioni del mondo del volontariato hanno iniziato una raccolta firme per il riconoscimento dello “ius soli”, proprio come avviene in Francia, dove è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori. A tal proposito, Napolitano non si sarebbe potuto pronunciare in modo più adatto e incisivo: un’autentica follia! Nel nostro Paese ci sono or- Già, una vera assurdità non mai centinaia di migliaia di attribuire la debita importanbambini immigrati che fre- za a una questione che ci imquentano le nostre scuole – pone di riconoscere ed adatquasi un milione – e che per tarci a questa nuova realtà, una quota non trascurabile – non di temerla! 572.000 – sono nati in Italia, Le inarrestabili dinamiche ma ad essi non è riconosciuto della globalizzazione ci portaquesto diritto elementare. no inevitabilmente a definire Ora, la legge del ’91 e del ’92 un modello di società diversa; ha stabilito che i figli di citta- la cittadinanza, in tal senso,

diventa un elemento di coesione sociale, e attraverso l’acquisizione di nuovi cittadini la società rigenera sé stessa e trova le risorse per progredire. È giunto il momento che il Parlamento italiano operi scelte che mirino all’inclusione piuttosto che alla discriminazione: non è possibile pensare che i ragazzi, nati e cresciti in Italia, immersi nella nostra cultura, abbiano solo il passaporto di un paese di cui spesso hanno solo sentito parlare. Non posso che concludere questa breve riflessione con le parole di Don Milani “se voi avete di dividere il mondo in italiani e stranieri allora io vi dirò che, nel nostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri” Patrizia Locatelli I C


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“Quando Cassandra ci ha proposto di pubblicare su Zabaione, giornalino del liceo classico Giuseppe Parini di Milano, e su Cassandra rispettivamente un nostro e un loro articolo che trattasse di un argomento comune di attualità, non ci siamo voluti tirare indietro, pensando di cogliere un’opportunità di crescita in questo scambio. Sperando che possiate apprezzare gli articoli di quattro neo-zanzare che sono, in ordine alfabetico, Francesca Chiesa, Noemi Dentice, Daniele Lunghi e Elisabetta Stringhi, vi auguriamo buona lettura!”

Lo ammetto, non me lo sarei mai aspettato. Abituata a politici che fanno a gara per chi dice la battuta più pacchiana, o a ministre che vantano un passato da veline, un discorso così serio non lo avrei potuto neanche concepire. Non rida, non è facile passare da “Forza gnocca” a “percorso rivolto ad ottenere la fiducia del Parlamento”, e non sentire più un presidente del Consiglio parlare di come la politica gli sia stata “imposta dalla storia”, ma di “saluto deferente al capo dello stato” è stata davvero una piacevole sorpresa. Bel colpo, professore, un po’ di serietà ci voleva. Dopo diciassette anni di berlusconismo è un segnale di rottura non da poco, la stessa che c’è tra un demagogo e un rettore universitario, ben più importante di quella tra i partiti attuali che, non inganniamoci, sono fin troppo simili tra loro. La domanda sorge quindi spontanea: perché lei, un professore che, nel bene e nel male è tutto fuorché un politico, ha il sostegno di quella stessa casta politica da cui differisce tanto? Forse per lo spread? Già, lo spread. Ma che cosa significa esattamente questa parola? Forse una temibile

associazione segreta che da mesi sta colpendo le borse occidentali, oppure una sorta di virus che lento ma implacabile divora l’economia degli stati meno virtuosi, come una sorta di castigatore mascherato? E non rida, le assicuriamo che tra le assurdità che abbiamo sentito dire, queste sono sicuramente le più sensate. Eppure non è così difficile… Certo, la definizione ufficiale, cioè quella di “differenziale tra il rendimento del tasso di titoli di stato di paesi con il rischio di default, e quello di paesi che invece hanno un rischio molto basso e che perciò vengono presi come riferimento” potrebbe effettivamente spaventare e incutere repulsione nei confronti di qualunque giornale o programma a carattere economico al quale si tenti un approccio. Tuttavia la realtà è molto più semplice: lo spread è la spia di quanto i creditori reputino uno stato affidabile, e di conseguenza di quanto alti siano i tassi d'interesse dei prestiti ad esso concessi. Per comprendere al meglio questo concetto basti pensare che più un paese è stabile, sia politicamente sia economicamente, e più trasmette fiducia agli investitori, i quali sono

maggiormente incentivati ad investire. Tuttavia se lo spread, l’indicatore di fiducia dei mercati esteri, si alza, significa che nessuno è disposto a rischiare impiegando i propri capitali in quel paese che resta dunque privo di investitori e di fiducia. A questo punto i mercati e gli speculatori tendono a scommettere proprio sul fallimento dell’economia di quel paese; così speculando, guadagnano certamente di più. Dunque, come cercare di fermare quest’indomabile spread che come un ottovolante impazzito sale (soprattutto) e scende (a stento), condizionando i mercati e le economie europee? L’unico modo per tenerlo a freno è quello di garantire credibilità ai mercati o dimostrando la stabilità del governo con delle manovre economiche oppure, se il governo stesso non è più in grado di mantenere l’esecutivo e ottenere la fiducia del parlamento, questo ha il dovere o di lasciare spazio a uno tecnico o di mandare il popolo alle urne, garantendo così la democrazia. Lei, professor Monti, naturalmente è consapevole di come tutto ciò ha reso possibile il suo


9 ingresso in politica: quando giravano voci sulle dimissioni di Berlusconi lo spread scendeva, per schizzare alle stelle nel giro di tre quarti d’ora se venivano smentite. Insomma, il precedente governo non rassicurava affatto i mercati ed era carente di una credibilità che invece lei attualmente sta dando loro. Tuttavia è difficile ammetterlo, ma Berlusconi sicuramente non si è dimesso perché voleva il bene del suo Paese, e non l'ha fatto in seguito a un referendum perché gli italiani non lo volevano più al governo. E a disdetta di chi afferma a gran voce che ormai Berlusconi, il “cattivone” di turno, è stato definitivamente sconfitto, bisogna far presente che non è così, essendo lui ancora un gran protagonista della politica italiana e un uomo che ha condizionato fortemente il nostro Paese per un ventennio. Ovviamente tutti i sondaggi lo danno perdente qualora si ripresentasse alle elezioni con un partito nuovo di zecca dal nome più altisonante, quale “W l’Italia”. Ricorderà benissimo la sera di quelle agognate ed attese dimissioni, le feste in piazza, i bivacchi dei giovani, il giubilo di Bersani, Vendola, Di Pietro & Co., e il premier uscente tempestato di monetine che forse ci ragguaglia un suo noto amico, Bettino Craxi.. Da quel momento per lei è cambiato tutto (per noi nulla), e nel giro di pochi giorni si è costituito un “governo tecnico di tecnocrati” come figurava su tutte le testate giornalistiche nazionali ed estere, che avrebbe

dicembre 2011 finalmente ridato stabilità al nostro Paese e fiducia ai mercati e grazie al quale lo spread si è calmato. Professore, sembra che il suo mandato sarà caratterizzato da una politica di austerity e una manovra da circa 20 miliardi di euro, già approvata dal Consiglio dei Ministri, che mira ad abbassare il debito pubblico, altro grande protagonista di questa crisi e regressione economica. Quest’ultimo un po’ come lo spread è un indicatore di solidità dell’economia di un paese, soggetto a classificazioni da parte di organizzazioni specializzate, le agenzie di rating, che tanto fanno tremare Francia e Germania, avvinghiate alle loro triple A. Il debito pubblico condiziona fortemente i mercati, poiché sue svariate fette sono in mano ad investitori sia italiani sia esteri, soprattutto orientali. Caro professore, la sua manovra volge ad abbassare un debito pubblico, proposito che nessun governo precedente, né di destra né di sinistra, ha mai mantenuto. Riuscirà lei nell’intento, con una politica di austerity e una manovra varata nel nome del rigore, della crescita e dell’equità? Ma che fine abbiano fatto le ultime due, se lo domandano in tanti.. Effettivamente qualcosa che non va c’è, ma non è certo il ritorno dell’ICI, o l’aumento dell’età pensionabile a sessantasei anni, ma nei mancati tagli alle spese militari e alle province e nella mancata introduzione della patrimoniale, nei miliardari conti di Montecitorio e nelle megapensioni dei parlamentari ri-

attualità maste intoccate. Certo, toccare i privilegi di una casta chiusa e attenta ai propri privilegi come quella dei politici è tutt’altro che facile, e qualche esitazione è comprensibile: ma che mi dice della Chiesa? Non le pare strano che un’organizzazione che possiede quasi il 30% del patrimonio immobiliare italiano e che guadagna quasi un miliardo di dollari l’anno con l’otto per mille non paghi l’ICI? Non ha importanza, preferisco non indagare ulteriormente, consapevole del fatto che fosse impossibile accontentare tutti senza scontentare da un lato la casta e dall’altro pensionati e lavoratori, come al solito costretti a pagare lo scotto più alto. Certi mali qui in Italia sono troppo radicati per poterli toccare, eppure, mai come in questo momento, la politica mi è sembrata così vicino alla letteratura e la nostra situazione attuale può essere riassunta in poche parole d’autore: “cambiare tutto per non cambiare niente”. Parole uscite dalla penna di Tomasi di Lampedusa e pronunciate dal principe di Salina, parole che descrivono alla perfezione l’atteggiamento della nostra casta politica e il futuro del nostro Paese. Caro professore, cosa ne pensa? Se non ha mai letto il Gattopardo, le consigliamo di farlo. Forse un libro può più di una laurea in economia alla Bocconi. Commissione AttualitàLiceo Parini, Milano


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TRE VOLTE IL FE' GIRAR...

Quando (forse) nasce un'altra Repubblica Un passo indietro, torniamo a quel martedì 8 novembre, quando il volto scuro di Silvio Berlusconi osserva con sgomento il tabellone con il risultato dei voti alla Camera per l'approvazione del rendiconto generale: il governo non ha più la maggioranza, è caduto. Il Cavaliere è incredulo, eppure in un certo senso se l'aspettava. I numeri l'hanno beffato, quei 308 voti, che non sono bastati a raggiungere la maggioranza assoluta, hanno colpito per l'ennesima volta e affondato il rimasuglio del governo che doveva a tutti i costi arrivare al 2013. Il bilancio è semplice: 8 "congiurati". Sentendosi tradito come un qualsiasi Giulio Cesare o Nerone, il premier sale al Quirinale per la resa dei conti con Giorgio Napolitano, al termine della quale viene diramata una nota della Presidenza della Repubblica che ne annuncia le dimissioni dopo l'approvazione della legge di stabilità. La lenta agonia del governo termina il 12 novembre . Sono le 21:42 al Quirinale, quando Berlusconi riconsegna il mandato nelle mani di Napolitano. “Sic transit gloria mundi”. “That's all, folks” intitola la copertina dell'Economist, commentando il panorama politico italiano quasi fosse un cartone animato della Warner Bros., e alla sua stregua decine di quotidiani internazionali celebrano la notizia. È finita! Berlusconi se ne va e con lui termina un ciclo politico travolto da

un'ondata scandalistica, che ha pregiudicato ancora di più l'immagine di un'Italia considerata "una mina vagante" dai Mercati. Nessuno, nel 2008, quando il Centrodestra vantava in Parlamento la più grande maggioranza della storia della Repubblica, avrebbe mai pensato che questa sarebbe stata incapace di realizzare le riforme utili per il Paese. Le stesse riforme che Berlusconi aveva promesso sin dal 1994. Il Cavaliere, ormai sconfitto, ha tentato invano di mettere dei paletti, delle clausole alle proprie dimissioni: le elezioni anticipate. L'ex-premier gode ancora di un ampio consenso tra gli elettori, anche se i rapporti con l'alleato padano sembrano ormai al capolinea. Egli racchiudeva in sé non soltanto l'espressione dell'uomo politico, ma anche, e soprattutto, quella di imprenditore. Si chiude l'epoca delle divisioni ideologiche,bipolariste e partitiche e si fa strada una prospettiva di carattere apartitico formata da una larga maggioranza che vede gomito a gomito esponenti del PDL, del PD, dell'UDC e di tutti gli altri partiti, fatta eccezione per la Lega, speranzosa di recuperare la "verginità perduta" con il riscoperto impeto secessionista. In critici momenti come quelli da poco trascorsi si è rivelato in tutta la sua importanza il ruolo impartito al Presidente della Repubblica dalla carta Costituzionale. Giorgio Na-

politano ha dimostrato non scontata celerità nel guidare in soli otto giorni la costituzione di un governo tecnico ritenuto unanimemente capace di concludere la legislatura in corso. Mario Monti, economista di chiara fama più volte chiamato a ricoprire ruoli di spicco nella burocrazia europea, viene nominato senatore a vita e successivamente incaricato di formare un nuovo esecutivo. Già nel corso del burrascoso 8 Novembre il nome di Monti si è fatto in dichiarazioni ufficiali di leader europei quale il Cancelliere Merkel, nonché di alti rappresentanti di Strasburgo e Bruxelles. Monti dalla sua può vantare una piena appartenenza alla tecno-burocrazia europea e l'immagine di propugnatore della libertà dei Mercati che negli Stati Uniti va a coincidere con il cosiddetto Turbo-capitalismo, ancora in voga nonostante la Crisi finanziaria. Con l'investitura di alfiere della riforma liberale, di cui Berlusconi era stato pigro paladino, e di un sobrio rigorismo nordico Mario Monti presenta alla Sala delle Feste del Quirinale un governo che sarà appoggiato dal Parlamento nonostante il totale organico tecnico. Nel delinearsi della squadra di governo, malgrado le ingerenze dei partiti, prevale nettamente l'influenza del neo-presidente che unisce ad emeriti professori universitari, per lo più gravitanti attorno all'U-


11 niversità Bocconi di cui egli stesso è Presidente, personalità associate all’area liberalprogressista, legati all'associazionismo cattolico e alle grandi banche italiane. Non mancano in specifici ambiti veri professionisti del settore, soprattutto nei ministeri non economici, come esteri e difesa, guidati rispettivamente dal Console Italiano a Washington e dal Presidente del Comitato Militare NATO. A riprova del carattere esplicito di rilancio economico dell'esecutivo il Presidente decide di mantenere la delega all'Economia e alle Finanze e di concentrare in Corrado Passera, amministratore del più importante istituto bancario Italiano, i ministeri dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti. L'Italia nell'assetto mondiale è una pedina troppo importante e per l'Europa è "too big to fail": un suo collasso porterebbe alla dissoluzione dell’intera zona-Euro. Il governo si incarica di attuare le manovre più volte caldeggiate dalla BCE, ritenute indispensabili per la sua salvezza. A quasi tre settimane dall'avvio del primo vero "governo del fare", la situazione resta di dubbia interpretazione; verrebbe da dire "nulla di nuovo sul fronte occidentale", nonostante i segnali dall'Italia stiano arrivando con "ambizione e coraggio". Agli italiani, da secoli abituati a dirigenti non meritati e spesso peggiori di loro stessi, non pare vero di avere un Presidente del Consiglio che paga il biglietto d'ingresso

dicembre 2011 ai musei pubblici, utilizza con parsimonia le famigerate auto blu, risiede a Palazzo Chigi e, fatto assurdo, rinuncia al compenso che gli dovrebbe essere corrisposto per essersi prestato nientemeno che a salvare il settimo Paese più ricco del mondo. L’elogio della "sobrietà" di Monti, oltre a costituire un utile passatempo per i giornali che in questi giorni faticano a riempire le pagine una volta sature di retroscena della Piccola Roma del Potere, rientra nell'uso italiota di esagerare in esaltazioni o persecuzioni, a seconda del tempo che fa. Lasciando quindi da parte l'opinione pubblica, che forse è ancora ferma ai governi politici dove convincere l'elettore conta più di far quadrare i conti, il governo tecnico sta attuando quanto l'Europa e la nostra salvezza richiedono. Alle 20.00 del 4 Dicembre, dopo 17 giorni dalla formazione, l'esecutivo presenta a Palazzo Chigi la sua prima manovra finanziaria, la quinta per l'Italia nel 2011, in assoluto la più strutturata. Da un lato sacrifici pesantissimi: significative modifiche al sistema previdenziale che costringono il Ministro Fornero alle lacrime, aumento dell'IVA, reintroduzione della tassa sugli immobili( leggi ICI) non ancora estesa a quelli ecclesiastici(ovviamente non di culto) e interventi per circa 30 mld lordi. La manovra si fregia dell’equità dovuta all'aumento delle aliquote per le fasce più alte di reddito, una serie di tasse sui beni di lusso, sugli investimenti finanziari, sui capitali “scu-

attualità dati” con precedenti condoni. Non si muove di molto la lotta all’evasione e causa veto di Berlusconi non si introdurrà una tassazione patrimoniale. Sul fronte dello sviluppo il governo propone liberalizzazioni significative per la concorrenza, sgravi fiscali per le imprese e limitate dismissioni di enti e patrimonio pubblico. La manovra, varata entro Natale, ha la sola qualità di soddisfare le richieste internazionali; non possiamo capire se sarà sufficiente a stabilizzare definitivamente i Mercati e quantomeno a far ripartire l'economia di un Paese a crescita 0. Possiamo rifugiarci nel mal comune: Francia a rischio insolvenza, Germania deprezzata in Borsa e soprattutto la Grecia che, secondo le stime, sarà dichiarata sostanzialmente fallita dopo le Feste, non potendo pagare gli stipendi pubblici. La politica dorme sotto la campana di vetro del commissariamento tecnico; i tecnici a malapena trovano il confronto con le parti sociali; fuori tutto è fermo e immobile, anche quando si scende in piazza la protesta non va oltre la maschera: forse che si faccia fatica a esporsi, o lo si sia fatto troppo, resta che prima o poi Cincinnato dovrà pur tornare al suo campo e i senatori riprendere gli scranni, ammesso che la plebe insorta non se li sia portati via. Paolo Sottocasa, I A Davide Gritti, II A Cassandra-Liceo Sarpi,Bergamo


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Attualità

PARI O DISPARI?

STUPIDI AIUTI ALLE DONNE ITALIANE Tanto per cominciare, voglio chiarire che questo non è un articolo femminista, ma solo contro tutti quegli inutili provvedimenti, quelle ridicole iniziative e quelle umilianti agevolazioni che vogliono avvantaggiare le donne italiane per qualche tempo o in qualche ambito specifico per far credere loro di essere rispettate e considerate uguali agli uomini, anziché mirare ad una concreta parità fra i sessi. Nell’antichità, la società aveva due visioni della donna. La donna A era un essere spregevole, un’inviata del male o una punizione divina il cui unico fine era quello di indurre l’uomo a peccare o di farlo patire, come Eva nella Bibbia e Pandora nella mitologia greca; la donna B era l’angelo del focolare, la creatura pura e divina che donava amore, manteneva l’ordine e fungeva da scala per raggiungere il paradiso, stile Beatrice dantesca. Le uniche esponenti del gentil sesso che facevano eccezione erano la sacerdotessa (o la suora), alla quale spettava la sfacciata fortuna di non sposarsi e di non essere sottomessa al maschio di turno, e la meretrice (che gli uomini per bene biasimavano in pubblico, ma andavano a trovare di nascosto quando si sentivano soli, come accade ora), la quale, frequentando persone e luoghi importanti, poteva formarsi una cultura e vivere in modo libero e agiato, come la “Signora delle Camelie” Marie Duplessis. La convinzione che la signora B fos-

se l’esempio da seguire, anzi, l’obiettivo da raggiungere per avere un futuro radioso, si stanziò nella testa dei popoli e vi rimase comodamente fino al XVIII secolo, quando, insieme alla Rivoluzione Francese, scoppiò (e non nacque, perché le donne, dal mio punto di vista, l’avevano covato dentro di sé fin da quando si disegnavano graffiti) il femminismo. Un esempio dell’impegno al femminile di quel tempo è Olympe de Gouges, che scrisse la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” e che nessun alunno di terza media studia. Da quell’ora in avanti, numerosi gruppi di donne si batterono per essere prese in considerazione e per dimostrare che tra il sesso “debole” e quello “forte” non c’erano differenze che potessero sopraffare i loro diritti. Voto, studio e lavoro garantiti a tutti e a tutte sono alcune di quelle conquiste che ci fanno pensare che oggi, nel 2011, siamo tutti uguali. Ma ne siamo sicuri? Io credo che la parità sia la presenza degli stessi diritti, doveri e possibilità da entrambe le parti, non il tentativo di sopperire alle differenze concedendo al gruppo in condizione di inferiorità privilegi insensati o temporanei. Molto spesso, infatti, capita che i comuni o lo Stato stesso propongano iniziative e leggi a favore del genere femminile che non risolvono problemi REALI, come la differenza di salario tra colleghi e colleghe, ma agevolano le

donne in particolari ambiti o per un periodo limitato di tempo in cose che hanno a che fare con la vita lavorativa e familiare. Sembra quasi che le istituzioni si comportino come il fratello maggiore che lascia vincere quello minore a Monopoli per non sentire le sue lamentele, anziché insegnargli a giocare e a perdere. Che senso hanno le quote rosa? Stabilire un numero minimo di donne nella politica e nell’industria italiana e, quindi, OBBLIGARE i partiti e i datori di lavoro a circondarsi di determinate persone per legge e non per stima e merito non risolve il problema della discriminazione e non rispetta nemmeno la DIGNITA’ di un’italiana, che si sente un peso, un dovere, l’equivalente di un’offerta fatta in chiesa per mostrarsi buoni agli occhi dei compaesani bigotti. Che senso hanno i biglietti del treno gratis per un mese? Una passeggera dovrebbe essere trattata come un passeggero qualsiasi sempre: cos’ha fatto lei di tanto speciale da essere esonerata dall’ordinario pagamento? Nulla. Perché, la maggior parte delle volte, sono le mogli a vincere le cause di divorzio? Una donna che lascia o viene lasciata dovrebbe tagliare i ponti col passato, rimboccarsi le maniche e ricominciare a vivere con le sue forze, non esigere un mantenimento eterno da un uomo con cui non dovrebbe più avere nulla a che fare, a meno che


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13 egli non la lasci in condizioni da fame senza preavviso. Per quale motivo la quasi totalità dei padri non ottiene l’affidamento dei figli? La figura della madre è fondamentale, d’accordo, ma non dovrebbe essere ritenuta più importante di quella del padre, altrimenti si tornerebbe a dare più peso a uno dei due sessi, anche se questa volta toccherebbe a quello “gentile”. Con questi esempi, voglio dire che noi donne abbiamo combattuto tanto perché il nostro valore non venisse considerato inferiore a quello maschile, troppo, dato che dovrebbe essere scontato, e siamo riuscite ad ottenere, almeno ufficialmente, leggi eque. Ora, però, dobbiamo compiere il passo successivo: comportarci da pari, da individui qualunque, senza “vendicarci” delle ingiustizie subite accettando di essere continuamente avvantaggiate in modo ingiusto, ma smettendo di accettare le scorciatoie e i privilegi e pretendendo un’uguaglianza concreta, che non ci faccia temere di essere sottopagate, licenziate a causa di una gravidanza o non assunte perché non abbiamo accettato le “lusinghe” del capo. La parità consiste nell’essere coscienti del fatto che si può vincere come perdere, avere ragione come torto ed essere i migliori come i peggiori, avendo sempre la certezza che tutto questo dipenda solo dalle nostre capacità e dai nostri atteggiamenti. Sara Latorre, IV D

CULTURA

And so this is Christmas... Dedico qualche riga per presentarvi l’argomento trattato nei brevi articoli prodotti e qua sotto riportati dalla sottocommissione Cultura. Ora chiudete gli occhi (ma continuate a leggere, sennò non serve a nulla quest’introduzione), pensate a una cosa che vi fa sentire immensamente felici e sereni, concentratevi su codesta (lontano da voi ma vicino a chi ascolta) cosa e fate un sorriso, spontaneo sarebbe meglio. Per alcuni potrebbe essere il cibo, per altri il dormire, per altri leggere, per altri uno scarafaggio, per altri ancora la musica o il cinema. Bene, ora che avete sicuramente focalizzato il centro del vostro piacere, toglietevelo dalla testa, perché questi articoli sicuramente non parlano di quello a cui state pensando. Io non so di cosa parlino, presumo del Natale, considerando il periodo. Adesso che avete letto queste righe profondamente inutili potete tranquillamente leggere anche gli articoli. BUONA LETTURA! Isabella Manenti, costretta ad introdurre una serie di articoli che non ha nemmeno letto.


cultura

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Le palle degli alberi Lo stupido titolo di questo articolo intende introdurre con aria semi-demenziale un discorso semi-serio. Comunque, in questo breve scritto non voglio esprimere idee pornografiche, ma solo la nascita e la storia delle palline di Natale. Si dice che le palle di Natale siano nate nell’anno 0 a.C., lo stesso giorno della nascita di Gesù, quando un povero artista di strada che ardentemente desiderava di vedere il bambinello e per non giungere a mani vuote per ringraziare i genitori e divertire il piccolo iniziò a fare ciò che meglio gli riusciva, il giocoliere. Da quel giorno, si dice, per divertire il piccolo Gesù si appendono delle palline sugli alberi come decoro. Un’altra storia riguardante queste colorate decorazioni risale ad un tempo imprecisato. Secondo questa leggenda si è verificata una metamorfosi delle decorazioni, queste erano, infatti, costituite unicamente da piccole mele rosse e mandarini che si sono poi trasformati in palline di materiali sintetici. Ed ecco un’altra leggenda, e chi se lo aspettava! Stavolta un mastro vetraio dell’Alsa-

zia. Vedendo gli alberi spogli di frutti decise di creare delle piccole sfere di vetro soffiato, a quanto pare l’idea gli fruttò molti consensi, questa era identica a quella di prima, ma shhhh….. Ok, the show just go on, o meglio, the show still goes on: 1830, piccole palline di vetro chiamate “kugles” fungono da scaccia spiriti malvagi e in seguito prenderanno anche una funzione decorative. Ok, è tardi, è quasi finita, diciannovesimo secolo, cominciano a essere fabbricate delle palline colorate di vetro soffiato in Boemia, anche qui molti consensi. Solo durante il regno della regina Vittoria però le “palle degli alberi” entrarono definitivamente a far parte dell’estesa comunità di addobbi natalizi presente in tutto il mondo, candele, lucine, bastoni di zucchero e altre cagatine di queste fattezze. Quanta roba su delle sfere così piccole e apparentemente insignificanti. Magari tra qualche anno riusciremo ad addobbare gli alberi di natale con alcuni robot giocattolo che all’occorrenza diventeranno degli agguerritissimi difendi - casa……troppi fumetti, troppi fumetti.

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Buon

Il fatto è questo: si tende sempre a guardare alle vacanze di Natale come ad un'oasi di pace e speranza. Come ad un bicchiere d'acqua in un deserto di disperazione e svogliatezza. Questi miseri quindici giorni, in mezzo a nove sterminati mesi di scuola, sono, come si suol dire, manna dal cielo. E non ne dubito. Ma non posso nemmeno trascurare quanti fatti inquietanti si celino dietro alla maschera gioiosa e festaiola del fatidico giorno di Natale. Perché di lati oscuri ce ne sono e, se non ve ne siete accorti, avete delle fette di salame sugli occhi belle spesse. Per esempio l'atmosfera natalizia delle famigliole felici riunite in salotto, con le immancabili calze rosse appese al camino (il perché non si sa), che si può osservare in tutti gli sdolcinati film natalizi che vanno in onda in televisione a partire da circa metà ottobre. Confortevole, siamo d'accordo. Il problema è quello che si cela DIETRO a questo delizioso quadretto familiare. Perché è vero che a Natale si è tutti più buoni, ma è anche risaputo che l'arrivo della massa parentale genera, nella maggior parte dei casi, curioAndrea Sabetta, VC se scene d'isterismo, di rabbia repressa da anni che esplode nel momento cruciale del pasto e di tanti altri fenomeni interessanti che manderebbero Freud in brodo di giuggiole. Situazioni che, in sintesi, è


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Natale? adorabile vivere da spettatori, magari ad una distanza tale da non poter ricevere schizzi di insalata russa tra i capelli o altre cose di questo genere, ma diventano piuttosto sgradevoli una volta che ti ci ritrovi immerso con tutte le babbucce. Sorge spontanea la domanda: ma è davvero necessaria questa tradizione del riunirsi, del fingersi intimamente legati a persone che non si vedono per la maggior parte dell'anno solo perché sono definiti “parenti”? Com'è possibile che questa giornata sia ancora considerata di gioia e felicità per tutta la famiglia quando in realtà queste arrivano, nella maggior parte dei casi, solo all'apertura dei regali? Potrei essere troppo critica, ma per me tutto questo assume sempre di più i connotati dell'ipocrisia. Ma non importa, vero? Perché, in fondo, Natale è sempre Natale.

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CULTURA

Perché ogni Natale in tv danno sempre gli stessi film?

Natale è un sacco di cose. Natale è stringersi addosso le coperte rabbrividendo di freddo e di piacere, perché sei a letto al calduccio mentre fuori si gela e magari nevica. Natale è allungare la mano guantata per assaggiare un po’ di neve fresca (possibilmente non gialla, come direbbe Frank Zappa). Natale è perdersi mentre fissi le luci psichedeliche di quel magnifico albero che tieni in soggiorno. Ed è anche ingozzarsi fino a scoppiare-io preferisco il panettone. Ma poi, alla fine di tutto, siamo sempre placidamente soddisfatti e in pace con noi stessi. Perché alla fine, Natale è anche spaparanzarsi sul divano e guardare un film. Ci sono quelli che abbiamo visto tutti: “Il Grinch” (perché poi lo sto citando per primo? Jim Benedetta Campoleoni, Carrey ricoperto di peli verdi II B non merita tutto ciò…); “Una poltrona per due” (incommentabile mostro sacro); i vari “Mamma ho perso l’aereo”, “Mamma mi sono smarrito a Osio Sopra”… ora me ne pento, ma un tempo li adoravo: ricordo con piacere un vecchio Natale in cui vidi per la prima volta “Mamma ho perso l’aereo” con un tagliere di speck sulle ginocchia. C’è “Nightmare before Christmas” che su di me ha sempre esercitato un

fascino distorto, e c’è “Edward mani di forbice” che farebbe piangere chiunque, persino Wolverine. E questi erano i classici di Natale. Poi ci sono le perle per intenditori. Su tutte “Babbo bastardo” con Billy Bob Thornton, uno dei miei attori preferiti, nel ruolo di un Babbo Natale alcolizzato, donnaiolo e bestemmiatore; “Sint” di Dick Maas, in cui il fantasma di un crudele vescovo medievale di nome St. Niklaus risorge per vendicarsi di chi gli diede fuoco; e altra roba più e meno interessante. Ma qual è il VERO film di Natale?... Non ho dubbi a riguardo. Starring Zio Paperone as Ebenezer Scrooge – Paperino as Fred – Pippo as Fantasma di Marley AND Topolino as Cratchit… “Il Canto di Natale di Topolino”! Pur durando poco più di 20 minuti questo è il mio film natalizio preferito. Azzeccatissimo in tutto e per tutto, nei personaggi e nei bellissimi disegni, nonché nella morale (è Dickens!!! Mica fuffa!!!) questo cartone mi ha sempre entusiasmato, anche se Gambadilegno nel finale mi faceva un po’ paura, e lo reputo uno dei pochi classici Disney degni di essere ricordati. Avevo anche un libro intitolato proprio “Il Canto di Natale di Topolino” e lo leggevo sempre durante i numerosi viaggi


cultura

in macchina verso il Monte Pora, con accanto gli sci e nel cuore tutta la burrosa e sfrigolante magia pre-natalizia, amplificata dal mio spirito di bimbo di 6/7 anni. C’è un solo aggettivo adatto a riassumere tutto questo: epico. Film o non film, buone Feste a tutti! Vi auguro di riuscire a trovare la scintilla che ravvivi tutta la tenerezza dimenticata, così da poterla nuovamente assaporare nell’atmosfera di questo Natale. Ah, la domanda nel titolo? Sono sicuro che tutti noi sappiamo già la risposta.

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Il Natale è un panettone

Uno si aspetta le solite pubblicità natalizie, sono anni che si vedono e non c’è ragione per credere che vengano cambiate. Però sempre quell’uno spera che qualcosa di nuovo appaia sullo schermo televisivo. Uno non guarda spesso la televisione proprio perché c’è sempre la stessa roba, ma per qualche strana ragione la roba natalizia lo attira e uno decide quindi di guardarsela per bene (saranno le reminiscenze infantili di regali desiderati e calze di lana e l’albero). Uno Il Teli, II C si concentra sulle pubblicità dei panettoni, dei pandori e affini, perché infondo, aspetta il Natale per mangiare quelle cose, che mangiate in altre stagioni non hanno lo stesso gusto (è qui forse l’ultimo vero sapore delle Feste…). Quindi ogni anno trepida per la nuova pubblicità, quella che propone una nuova marca, un nuovo stile di panettone, un nuovo modo di intendere il Natale culinario. E invece gli viene ripetuto continuamente che “è morbido!”, e un coretto gospel (sempre in nuove coreografie, ma alla fine è la solita solfa) lo bombarda con il suo refrain quasi maniacale. Ovviamente uno fa smorfie quando gli viene detto che un pandoro è “buono come te”, e ridacchia quando vede un vecchio matto che osserva la produzione dei dolciumi, e poi li saluta urlando “Fate i buoni!!” (frase di bassissimo livello, a pensarci, ma poi ci si abitua e quasi quasi la si trova

divertente). Uno non vorrebbe neanche perdersi troppo nelle solite lamentele dell’“È sempre la stessa roba!”, ma cos’è Natale se non una continua ripetizione? Tra l’altro non compra mai i prodotti che gli vengono promossi, dato che ha il modo di averne di artigianali, che hanno un gusto assai migliore. Ma uno in realtà vuole la novità, ed è per questo che si sorbisce tutti gli anni lo stesso Natale. Uno si aspetta le solite pubblicità natalizie, ma si aspetta che non ci siano più. Uno desidera ardentemente che cambino, perché il cambiamento delle pubblicità dei panettoni, è il cambiamento del rapporto tra pubblico e cibo delle Feste, è il segnale del cambiamento che uno si aspetta, nel modo di vivere il Natale, perché il Nazareno sicuramente era più buono di un pandoro. Glauco Borboglio, II C


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SCIACALLI Era seduto su quel muricciolo da chissà quanto. I suoi vicini giuravano che si fosse messo in quella posizione la mattina, verso le nove, al momento della ripresa delle operazioni di soccorso, e non se ne fosse più andato. Neanche per pranzo, se di pranzo (almeno in quelle circostanze) si poteva mai parlare. Sulla cinquantina, solo, pelle scura, barba e capelli incolti, ma vestito decorosamente, anche se gli abiti a stento si riconoscevano, imbrattati di melma com’erano. Il volto, dai lineamenti decisi, che ispiravano fermezza, contrastava assai tristemente con l’espressione degli occhi e delle labbra, che sembravano lottare tra un nobile contegno e una disperazione che lottava per rompere quella patina solida, temprata da una vita già lunga. Forse troppo, ormai. La mano destra, portata al petto, stringeva pezzi di carta infangata che avrebbero potuto essere delle fotografie, o forse qualche altro ricordo. La sinistra, poggiata sulle gambe, si allungava ogni tanto verso gli occhi e le guance, rigate a tratti da tenaci lacrime, che erano riuscite a farsi strada. Rimaneva però in silenzio, come se in lui i sensi fossero all’erta, ma più di quanto lo erano nei gesti, nei volti, nelle espressioni e nelle azioni degli altri abitanti, indaffarati a raccogliere quanto era rimasto, pulire, spalare, tentare di ricominciare.

Scrutava di tanto in tanto, con una certa aria apprensiva, l’ambiente intorno a lui, dove predominavano ormai i colori della terra, che avevano sommerso, in un impeto inarrestabile, il mondo che esisteva fino al giorno prima, e il suo mondo. Poi alzava gli occhi al cielo autunnale, dove il sole a stento riusciva ad aprirsi un varco nella grigia caligine, che pareva volesse affondare ancora una volta il suo umido coltello nella carne della terra già ferita. Infine, uno sguardo indietro, verso quel giardino, quella porta aperta dietro di lui, quelle stanze, congelate in un blocco bruno ormai secco. Tutto quello sembrava ormai non avere più senso. Gli ambienti che avevano assistito al film della sua esistenza, imbevuti di quella piccola storia, erano solo stanze vuote impregnate ormai solo di tragedia e disperazione. E così fuori: le case, la chiesa, la piazza,... tutto era prigioniero di quella maledetta morsa distruttrice. Nemmeno il fatto che il paese si dimenasse per liberarsi da essa, come un pesce nella rete, aiutato da personaggi fino al giorno prima sconosciuti, ma che ora accorrevano a decine, spinti da un sentimento inaspettato (davvero era compassione?), sembrava utile a smuoverlo da lì, a fargli abbassare la guardia. Non si univa alla colonia di formiche, pronte, con lavoro instancabile, a scacciare ciò che aveva invaso le loro vite. Tuttavia, pareva che gli altri capissero. Qualche cenno,

narrativa

qualche espressione che infondeva coraggio, la visita a distanza di persone gradite, ma nessuno lo aveva mai disturbato. Lo avevano lasciato lì per tutto quel tempo. In quelle circostanze, era normale che fosse rimasto in quel punto, in quella posizione, impegnato con il suo silenzioso combattimento, con la battaglia per la vita e della vita che si consumava in lui. Cercò di rilassarsi, di raccattare i pensieri sparsi alla rinfusa per la stanza distrutta del suo cervello. Ecco, forse c’era riuscito... Ma un attacco più forte di tutti incrinò la sua corazza. Ora piangeva e singhiozzava come da bambino, rivedeva dentro di se immagini vecchie e confuse, la cui serenità non faceva che accrescere il suo tormento. Ecco, forse solo ora aveva forze a sufficienza per rendersi del tutto conto, per sfogarsi, per urlare al mondo il suo destino di uomo a metà tra la vita e la morte. Si riscosse, si alzò sulle gambe rattrappite, attraversò il giardino gonfio d’acqua, e si mise a guardare la sua casa dalla soglia. Guardò il suo magro bottino, e se lo strinse più forte. Nessuno, nessuno glielo avrebbe mai strappato. Sarebbe morto per difenderlo. Certo, in quella sciagura, qualcuno avrebbe cercato di approfittarne. Ma non era quel genere di persone che amplificava la sua ansia. Era un genere di persone intravisto più volte attraverso una scatola, ogni sera, davanti alla


narrativa tavola imbandita. Mai avrebbe voluto incontrarli. Ma ora, tutto era possibile. Nulla era lecito sperare. Si riscosse. Il suo viso si storse in una smorfia di ribrezzo. Stavano arrivando. Una decina di automezzi, ciascuno con un simbolo di branco diverso sulla fiancata, si erano fermati in mezzo alla piazza. Erano di una lucentezza stridente. Alcune armi e ferri del mestiere erano sul tetto, enormi e terribili prodigi. Scesero alcune persone, vestite elegantemente, con cartelletta in mano, quindi altri personaggi furtivi, che iniziarono ad armeggiare con altri strumenti, più piccoli. Agghindarono con alcuni di essi i tizi vestiti elegantemente, quindi altri imbracciarono e si misero sulle spalle strani aggeggi. I signori distinti parevano comandare. Esaminavano carte, indicavano punti, davano indicazioni, entravano nei furgoni per domandare qualcosa a chi doveva essere rimasto all’interno. Quindi un cenno, e il compagno con l’aggeggio in spalla si pose al loro fianco. Si divisero. Non sembrava corresse buon sangue tra i vari gruppi. Lo sguardo. Affilato, che ostentava sicurezza e tranquillità, ma che lasciava trapelare un’ombra di superficialità e ignoranza, oltre che una certa ferocia e una ricerca spietata della sofferenza. Certo, stavano facendo il loro lavoro, ma quel lavoro non era certo una benedizione. E avvenne. Fu un attimo. Uno di quegli sguardi si incrociò con il suo, devastato. La pre-

Dicembre 2011 da era individuata. La coppia si avviò a passo svelto verso di lui. No, non era possibile. Non sarebbe sopravvissuto. Non potevano, non dovevano, ma ogni espressione parlava chiaro. Si stavano per avventare su quel poco che gli rimaneva, umiliarlo davanti a tutti, portargli via anche la dignità. Trasformarlo in un’attrazione per il circo. Approfittare della sua sofferenza. Esseri meschini e abietti. Pilotati da una cieca e insensata logica. Pronti a fare uso di tutto a proprio a piacimento, a sbranare, a divorare, a succhiare il sangue della povera gente. Persone senza un briciolo di credibilità, di fiducia, di lealtà, di rispetto. Invasori forse ancora più distruttivi del primo. Cercò di sottrarsi, ma una rete di piombo lo aveva ormai preso. Senza più scampo. Era bloccato. Non c’era più tempo. Erano a pochi metri. Entravano nel suo giardino, gli erano addosso. L’occhio di una telecamera puntò, affilato come una lama, squarciandogli l’animo. Una luce rossa si accese nei suoi occhi, quindi un lampo di riflettore. L’uomo ben vestito sorrise nello sguardo, mentre il volto era una maschera impassibile. Aprì le fauci, cinguettò parole che l’uomo nemmeno riuscì a capire. E infine il colpo mortale di un microfono sbattuto in faccia. La fine.

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VENTANNI

Questa mattina mi alzo; sento qualcosa che non va e non è soltanto che sono giorni ormai che piove e fa freddo e non gliela faccio più. Sensazione forte di essere come scivolato sulla grande tavola della Pianura fino a finire giù giù davvero, fino in Emilia. Dalla finestra vedo case con portici ampi; un borgo dalle parti di Modena o Reggio. Eppure percepisco vicine le Alpi, l’odore del mare del Nord mentre si allontanano dal balcone gli Appennini e le luci della città iersera piena di vita,i lampioni che si spengono e le cucine che si accendono. Forse bisogna essere davvero lontani da qualcuno o qualcosa, per sentirne forte la presenza nello spazio. Penso che basti un angolo diverso, un grado e tutto è sotto un’altra luce, ma che solo i prigionieri hanno bisogno di spazio. Mi metto la sciarpa più colorata che ho e scendo le scale. Scopro che il caseggiato anonimo in cui vivo si è trasformato in una vecchia e grande casa che si apre proprio sul ciottolato della piazza e solo nell’attraversarla vedo bene il cielo, un abisso cobalto e da qualche parte in fondo un arancione zen. Passo veloce dilato a negozi chiusi e sui vetri seguo Anderson Fenty una figura che continua a (Alessandro Biella, II I) cambiare proporzione e tonalità del cristallo, ma con una regolarità fissa. Sono un tipo dinoccolato dalla camminata


impaziente, con una giacca di lana e un maglione slabbrato, alto davvero parecchio. Nei miei occhi liquidi il lampo della giovinezza più sfrenata e più sincera nel ricordo di notti lanciate veloci sulla strada provinciale verso Rio Saliceto, oppure giù verso Reggio sotto i cavalcavia dell’Autostrada ad aspettare spiovere. Forse soltanto l’immagine della gioventù degli altri in cui mi sono sempre finto e i portici ora sono più angusti e la strada principale più stretta e sono a Bologna, all’università. Gente sconosciuta o davvero conosciuta nelle file interminabili della mensa o quando abbiamo subaffittato l’appartamento a quattro Pescaresi che poi se lo sono preso tutto. Uno era ancora meno sociale di me e non faceva gruppi di teatro e non militava in nulla e ha vissuto la fine di quei ‘70 a disegnare idee, quello che stavamo vivendo, ed eravamo cinici ed elettrici.Erano circa gli anni del movimento ‘77, delle lezioni di Gianni Celati e Umberto Eco. Finiscono le vetrine e la strada si libera sulla destra che poi risale per campi fuori Correggio dove tra i cartelli blu con il carattere bianco leggi CARPI e da lì è autobrennero, è una linea retta che non si conclude più e dopo il pezzo lombardo, da Rovereto, da Trento il cielo è già tutto diverso e tra i monti prosegue l’autobahn. Bozen, Inssbruck, Ulm e Stuttgart che senza una curva una arrivi ad Amsterdam e i docks che a casa odoravi soltanto quando il vento spazzava la

Dicembre 2011 campagna, te li vedi proprio nitidi. Una fuga che poi non si è mai più davvero fermata, fino al Vondel Park, al Kreutzberg e al Checkpoint Charlie e oltremanica come per scacciare questi scoramenti che se ti prendono caromio è finita, come quando capisco che

narrativa sessualità, la musica, i Libertini e le cronache degli anni '80. Il sentimento della malinconia ha un labile confine verso la disperazione e l’autodistruzione e la rassegnazione. Lui capisce ma non prova né

Tondelli nella sua stanza a Correggio (1979, foto di C.Pantaleoni)

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sono peggio dell’edera.Guardo di nuovo verso l’Appennino e vedo un ospedale. Una stanza e un letto, un uomo trentenne coperto da cartelle editoriali e appunti graffiati a matita. Sul comodino i Vangeli lisi e sciupati che forse lì dentro la risposta. L’uomo, che è stato ed è ancora uno scrittore è titubante nell’abbandonare il suo talento e il suo pugno di romanzi troppo generazionali. La droga, la

angoscia né felicità.Può solo prestare attenzione, ma tutto è appena un poco distante. La sua faccia -la mia faccia- una volta di più gli pare strana. Mi chiamo ancora Pier Vittorio Tondelli,ventanni dopo il 16 Dicembre 1991. Ora a pochi minuti dal ritorno, mi chiedo se ho viaggiato per qualcosa. Davide “Accio” Gritti,II A sulle parole di P.V.Tondelli


narrativa

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Caro Babbo Natale

Impugnando saldamente la penna tra le dita della mano destra, il bambino osservava le tre semplici parole vergate sul foglio bianco a quadretti con quella sua scrittura tondeggiante e leggermente obliqua: Caro Babbo Natale. L’aveva scritto diversi giorni prima, proprio quando la mamma l’aveva obbligato ad indossare il cappellino di lana e i guanti pesanti, quando, osservando il calendario, si era accorto che mancava pochissimo all’arrivo di uno dei periodi dell’anno che amava di più: il Natale. Era corso in camera sua e, con frenesia sempre crescente, aveva staccato un foglio dal quaderno di matematica, si era seduto alla scrivania e, felice come non mai, aveva iniziato la sua lettera, la testa già affollata dalle immagini di mille pacchetti regalo riposti ordinatamente sotto l’albero illuminato. Eppure, dopo aver scritto le prime tre parole, non era stato in grado di continuare. “Non capisci niente, ti avevo detto che sarei andato io a fare la spesa!” “Che cosa?! Ma ti rendi conto della marea di cazzate che esce dalla tua bocca?”

Inspirò profondamente, preparandosi all’ennesimo litigio. D’altronde, non era nulla di nuovo. Bastava una semplice incomprensione perché il tono della voce dei suoi genitori si facesse man mano più alto e nell’aria cominciassero ad aleggiare insulti sempre più pesanti, talvolta insieme a piatti e bicchieri.

sue espressioni schifate. Si trattava di un tempo in cui il bambino, guardando i film alla televisione, considerava dei grandissimi stupidi tutti coloro che, come dono natalizio, rinunciavano a ciò che più desideravano per ricevere sentimenti. Quel tempo, però, era passato anche per lui. Respirando profondamente e cercando di non pensare ai regali tanto agognati che stava perdendo, avvicinò la punta blu della penna al foglio di carta, sicuro di star facendo la scelta giusta. Ora, nel E lui era sempre lì, nascosto sentire le voci poco distanti dietro allo stipite della porta dei suoi genitori, non aveva ad origliare con gli occhi chiu- più paura. si per la paura, oppure accan- Caro Babbo Natale, to a loro, incapace di muovere ciò che voglio per Natale è l’aun muscolo e, soprattutto, di more. scappare dalla stanza, di tapparsi le orecchie ed impedire Elena Occhino, IV F a sé stesso di ascoltare una sola parola di più. Non ricordava neanche da quanto tempo la situazione fosse degenerata in quel modo, ma sapeva che c’era stato un tempo, seppure lontano, in cui i suoi genitori si volevano bene, si parlavano amorevolmente e si baciavano spesso, incuranti delle


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Racconto

<1912, da qualche parte, Antartide, Roald Amundsen procede verso il Polo con quattro compagni disposti in fila indiana a distanza considerevole>

sopracciglia e li divora tutti in un'eutanasia silenziosa. Ma se la vita, la funzione vitale è così assordata dal Freddo da non distinguere il braccio che la morte, la cessazione del battito le porge, gli stimoli nervosi - Bjaaland! si riducono al minimo termi- Vivo! Hanssen! ne, pallidi imperativi erosi dai - Vivo! Hassel! latrati dei crepacci. - Vivo! Wisting! "Ma", coordinata avversativa - Vivo! di un'imbarazzante quasi pueDieci passi sfiancano un uomo rile spontaneità: "Ma per che adulto, dove il mondo è capo- motivo mi trovo a queste coorvolto. Fare un passo sulla Dje- dinate latitudinali" - "Quanto velens Ballsal (sala da ballo io sto facendo è monotonale e del Diavolo), miglia oltre le identico a se stesso: procedependici dei Monti Transan- re; ma la sopravvivenza incetartici affondate nel ghiaccio, de nel verso opposto". è mortalmente difficile, muscoli e cartilagini sono gigan- - Bjaaland! teschi meccanismi di acciaio - Vivo! Hanssen! mai oliati, la carne sconquas- - Vivo! Hassel! sata dalle raffiche polari ci- - Vivo! Wisting! gola e rovina su se stessa nel - Vivo! blu trapuntato di una mano Eppure, eppure! ecco il seconincancrenitasi senza proferire do e prevaricante irriflesso percezione. imperativo: "Avanti" - Forse tanto illogico da indurre i - Bjaaland! più al riso, rifulge nelle menti - Vivo! Hanssen! ghiacciate di questi cinque uo- Vivo! Hassel! mini norvegesi non avvezzi al - Vivo! Wisting! sofismo e tantomeno all'orna- Vivo! mento retorico - Attratti, non Il cielo pare essersene anda- è forse da escludersi, da un to e aver perso colore, come magnetismo non solo autoinse i ghiacci bianco-lancinanti dotto per amore dell'esploradiano direttamente sullo spa- zione e della patria, attratti zio profondo siderale, su una forse da un magnetismo vero dolorante suggestione, su di e proprio e fisicamente osserun nonnulla. Un blu così livi- vabile, esattamente tal quale do da ronzare nelle orecchie, un chiodo che danza attorno e avanti, passo, fitta, inspiro, alla calamita, sembra cortegsangue, riverbero e neve che giarla, e all'improvviso vi si s'imprime fin nei pori, s'ag- proietta con tutto se stesso. grappa alla barba ai baffi alle - Bjaaland!

narrativa

- Vivo! Hanssen! - Vivo! Hassel! - Vivo! Wisting! - Vivo! Totalitario come una religione patriarcale, monocromatico come un amore di quartiere, fissato con ganci tremendamente saldi, d'una saldezza quasi vichinga o norrena, di miti di dèi lupi e foreste arcane, Avanti! s'è insediato nella vita di Roald Amundsen anni or sono, e da lì ha sedotto i pensieri dei quattro - oserei valorosi che lo seguono chini e ingobbiti dalla gravità siderale, li ha sedotti piano, come una troia prudente, ma ora non li lascia, nessuno di loro, li anima, li pervade, li muove, li rabbuia e li fa gioire, è il sangue stesso che ne percorre le vene e le arterie e che il cuore pompa, a cadenze sempre più abissali: Avanti. - Bjaaland! - Vivo! Hanssen! - Vivo! Hassel! - Vivo! Wisting! - Vivo! Che poi, per chi volesse fermarsi con me a riflettere, cos'è il Polo Sud, se non un punto? Un punto. Un punto fermo, un punto d'arrivo, un punto di conquista, del Polo Sud non si può dubitare, nossignori! Le giornate di noialtri, a latitudini più clementi, si susseguono in un molteplicità irrimediabile, che il caldo, i colori e l'alito di chi incrociamo negli anni rendono asfissianti, marcescenti, fangose. No, al Polo non si può dubitare, il


narrativa dubbio è raggelato e non ci è data, a nessuno, nemmeno a Roald Amundesn, la facoltà di scioglierlo. Anche il dolore è ibernato, il dolore dell'esistenza, ovviamente, vogliate chiamarlo spleen, vogliate chiamarla ennui, vogliate non chiamarlo affatto e continuare a ridere. - Bjaaland! - Vivo! Hanssen! - Vivo! Hassel! - Vivo! Wisting! - Vivo! E allora, svuotato di ogni sentimento caldo, caloroso e calorifico, avanzando pallidamente in questo inferno lunare, il corpo di questi cinque Norvegesi, si è riempito del sovradescritto Avanti!: un Uno alla Plotino, levigato e terribile come l'Essere parmenideo, una fede pervicace, fanatica, ostinata, inarrendevole, ma proprio per questo estemporanea, atemporale, sovratemporale, ucronica: Eterna, bella. La storia ci dice che Amundsen, Bjaaland, Hanssen, Hassel e Wisting il Polo lo raggiunsero, quel Punto lo videro, cosa provarono, quale immenso sentimento si sprigionò nelle loro meningi congelate, non ci è concesso immaginare. Si è scritto anche che dopo che Wisting ebbe piantato il vessillo norvegese nel Punto, Roald Amundsen ebbe modo di lasciare lì, in quel luogo, una lettera, una lettera che testimoniasse la loro marcia in caso (probabile, come si può intendere), che le loro Vite avessero alfine ac-

Dicembre 2011 cettato il braccio che la Morte loro porgeva, intrapresa la via del ritorno. Una lettera. Può darsi vi fosse scritto: Ho amato un punto. Può anche darsi che negli anni e decenni a venire, senza che nessuno se ne sia accorto, la newtonianana Forza di Gravità abbia voluto, in un qualche istante di un qualche anno, proprio al Polo Sud, assentarsi, per gioco, per scherzo, abbia allentato ivi la presa per stiracchiarsi o per un prurito, per stropicciarsi gli occhi. E allora, può persino darsi che, - il Polo Sud, lo sanno tutti, è proprio giù in fondo -, quella lettera abbia preso a volteggiare, approfittando, perché no, di una calma di vento, e senza incontrare ostacoli di sorta si sia potuta librare, pensierosa, verso una qualche costellazione. E, chi può dirlo, caso può aver voluto che sia capitata tra le mani di un qualche dio, un'espressione di sorpresa, l'apricarte per ovviare alla ceralacca, e in una grafia forse runica, ecco che legge: Ho amato un punto. Stupore nei suoi occhi chissà come divini, altroché: - L'avresti mai detto!? (rivolto a un chissà quale altro dio) - Avremo compagnia!

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E L’ITALIA CALCISTICA TORNA A SOGNARE Tre squadre agli ottavi, come

non accadeva da tempo immemore. Tre squadre agli ottavi, più dell’Inghilterra, che ha visto entrambe le squadre di Manchester retrocesse all’Europa League. Tre squadre più della famigerata potenza spagnola, che si è aggrappata a Real e Barça come sempre, ma altro non ha da offrire a questa Champions (si pensi al Villarreal uscito con 0 punti). L’Italia calcistica sembra pian piano rinascere dalle ceneri dell’ormai antico triplete di marca interista (un anno e mezzo fa…) e si ripropone a buoni livelli nel panorama europeo, seppure con alcune difficoltà che lasciano ampi dubbi sulle nostre squadre e sul loro futuro nella competizione. Partiamo dalle note positive, ahimè, in quantità minori: riguardano il Napoli. La formazione partenopea è la nota più lieta, poiché è passata nel girone più duro dell’intera competizione, con il Bayern Michele Soldavini, III I Monaco, il Villareal e soprattutto il Manchester City che in terra patria domina: solo due punti meno del Bayern, primo, con 4 punti in due partite sulla compagine inglese, ma soprattutto imbattuta al San


23 Paolo, sempre più dodicesimo uomo in Europa. Ora per il Napoli i pericoli si chiamano Chelsea, Arsenal e soprattutto le spagnole Real Madrid e Barcellona: l’impresa però il Napoli l’ha già compiuta, attraverso un gioco tutto cuore e fantasia (si vedano le magie di La vezzi e Cavani), e chissà che sull’onda lunga dell’entusiasmo, fattore decisivo quando si è delle sorprese, il cammino possa ancora continuare, a patto però di un intervento nel mercato di gennaio per migliorare la panchina, sinora carente soprattutto in attacco (quando manca Cavani non si segna). La nota negativa è sicuramente l’Inter: è ormai palese che la stagione è segnata da una cattiva stella, con una strategia di mercato sbagliata e una squadra che sembra logora e satura. L’occasione però va sfruttata, e per occasione si intende il primo posto nel girone, pur faticando con squadre mediocri (Trabzonspor, CSKA Mosca, Lilla), piazzamento che permette un abbinamento per gli ottavi alla portata dei nerazzurri (la squadra più pericolosa è forse il Lione): si tratta però di rifondare psicologicamente e fisicamente una squadra che ha perso la fame di vittorie, che per una squadra molto più fisica che tecnica è spinta fondamentale quando ci si ritrova col fiato corto; inoltre si è sentita la mancanza di Maicon, di Eto’o ma soprattutto del genio di Sneijder, giocatore indispensabile sia nel creare una manovra fluida che, soprattutto,

Dicembre 2011 per quello che viene definito “ultimo passaggio” (non a caso l’Inter fatica a trovare la via della rete). Personalmente non credo che sia il mercato, in questo caso, la soluzione, bensì una molla che deve scattare all’interno del gruppo, per recuperare la lucidità sempre più lontana ma in realtà solo due anni più indietro. Infine il Milan, che ha passato il turno con buona parte di infamia e di lode: secondo posto alle spalle del Barcellona, col rischio di Bayern e Real Madrid agli ottavi, ma questo era pronosticabile. Ciò che non ci si aspettava erano i pareggi in trasferta contro Bate Borisov e Viktoria Plzen, obiettivamente due squadracce: e se si può imputare a un calo di tensione il pareggio all’ultima giornata con questi ultimi, il pareggio con i primi non ha scusanti, dal momento che la prima regola del calcio, banale, è che vince chi segna di più, ma i Rossoneri hanno dimostrato problemi in fase realizzativi (nonostante Ibra che stranamente ha infilato 4 gol in 4 presenze pure in Europa). Fanno da contraltare però gli scontri con il Barcellona: nel primo, al Camp Nou, il Barcellona ha dominato in lungo e in largo ma è arrivato un punto che non ha certo lasciato i tifosi rossoneri contenti per la prestazione da squadra mediocre, ma che ha avuto un peso specifico importante forse per la stagione intera; la partita di Milano, però, ha dimostrato che anche i “Marziani” possono andare in crisi, se attaccati sul loro terreno preferito, che è il possesso pal-

sport la: tutte le squadre, costrette a correre, perdono lucidità, e il Barça non è da meno. E non stupisca che la vittoria sia andata ancora ai Blaugrana: sono loro i più forti (e in quella stessa partita lo hanno dimostrato, quando avevano la palla tra i piedi), e giocatori come Messi e Xavi sono di quelli che si trovano una volta in decenni, ma non sono imbattibili, se si accetta lo scontro a viso aperto, accettando anche la possibilità di sconfitte brucianti. Il Milan ha, come sempre, necessità di forze fresche a centrocampo e in difesa (ma Mexes può essere il più grande acquisto, finalmente), ma se Ibra non si ferma e se i Rossoneri riescono a mantenere alto il livello di gioco, è forse questa la nostra squadra più attrezzata per raggiungere grandi risultati. Concludo sottolineando che ad oggi vedere una squadra sul tetto d’Europa è ancora un’utopia: ma la caduta delle squadre di Manchester e le difficoltà del Barcellona dimostrano come la Champions League sia una storia a parte, che supera la logica del “vince il più forte” (del resto, l’Inter che ha vinto tutto non era certo più forte del Barcellona che pure ha eliminato), una competizione in cui la mentalità vincente (che il Milan possiede e l’Inter deve necessariamente ritrovare) e un’entusiasta incoscienza (la vera forza del Napoli) possono condurre a iscriversi di diritto nella storia dei Grandi. Luca Parimbelli, III I


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è già diven azione mo onore di ta quartina che chiesto alla red Ho il grandissi a es h u Q ed !! e à! er it av an o dell’Um . di posson un patrimonio ita di traduttrice à che solo i gran n it fi im in à an it n il ag ab m a uesta la irrorare la su sse acquisire q ve le o d grecisti ha avuto vo i a d ch o er st o p p ti n rsi avanza di Cassandra u izieranno dei co in ve re b a e ch ibile… ciato capacità incred Ha pure annun

ς οἰκίας ὰ τ ς ἰ ε αὶ ὶ a Ps ρ θεοὶ κ τοῦ φόβου κα d ά ( γ à ἱ t e Ο i . αι ἐκ ὺς emp σέβεσθ βίον λύουσιν τιμῇ το ς ν ὺ Pietà ed ἐ ο ς ε ι θ ο ώπ ων οὺς ρέπει τ ν τῶν ἀντρώπ έπει οὖν ἀνθρ π ς ι ο π τρώ . Πρ ς τὸ Τοῖς ἀν ολλάκι ις παρέχουσιν τε καὶ π ὶ α κ ο ςιν ον θεῶν δὲ ταῖς ν Ἐ . ι βλέπου ἐν τοῖς κινδύν σέβεια πλοῦτ βεια τὴν τῶν α τετ εὐ αν ὲ ἀσέ ς ταράτ οὺς βωμοὺς ι δ ο ἡ σ βοήθει ιν. Ἡ μὲν γὰρ , ι ό ε ν ὰ εἰς τ τε καὶ ον φέρ χε ω καὶ θεοὺς ἔ ίαν εἰς τὸν οἶκ ίος κινδύνοις ενόντων, ἀλλ μον παιδευέτ β δῆ ὴμ ον εὐδαιμ τει• οὕτω δὲ ὁ ταῖς οἰκίαις μ μοθέτης τὸν ο κ ἐν τί ὲν ὀργὴν ὖν οἱ πολῖται ων. Ὁ δ . τ ν ό υ θ ο ς ς ἑορταῖς καὶ τοῖς θεοῖ τω τοὺς θεού έ ν ζ ι ω ἐρχέσθ ὐεργέτας νομ ςε ὁ δῆμο )

o ollodor p A o d eu


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II A

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Ipse Dixit

Omar: Io sono daltonico certificato, ma non ho problemi a distinguere il blu. Classe: Infatti questo è VERDE!!!

Pusi: La vostra abilità matematica è triste come una pianta senza acqua né sole

Pusi: Mi viene voglia di buttarti giù dalla finestra… Gritti: Non ne vale la pena, è Omar: Mi sono più volte trova- troppo basso.. to a pensare: vorrei proprio un Carlessi: Ah, la finestra… pengibbone in questo momento savo ti riferissi a me, era già pronto a picchiarti… *Rossi lancia un bigliettino a Dory* Pusi: Rossi, fa’ il valletto! Pusi: Ma Rossi!!! Sei in quarta Ecco, Rossi si offrirebbe a tutelementare???? Ancora con i to per strappare un sei in mabigliettini! Cosa c’è scritto: sei tematica la mia amica del cuore??? *lezione di fisica* Pusi: Complimenti a Moioli per Speranza: Profe, come si legge la sua elezione, ora sarà ancora questo simbolo? più spocchiosa. Pusi: Stai parlando di φ ??? Pusi: Rossi, procedi alacremente come il tuo solito Rossi: Ma… devo procedere alacremente… o come il mio solito? Carlessi: Lei ha nel dare i voti la stessa cadenza del cappello di Harry Potter… Pusi: GRIFONDORO!!! Pusi: Ora Bonfanti con sommo sprezzo del pericolo disegnerà la retta.

farei un pensierino… Perso: Scusi prof, non stavo ascoltando. Cosa ha detto? Omar: Questa settimana ho già giocato il bonus assenze Pusi: Allora domani ci sei e ti interrogo Omar: Sa che inizio già ad avere un po’ di febbre? Pusi: Rossi, tu che hai una capacità nel fare queste cose, AMMAZZA QUELLA MOSCA!!! Milesi: Arriviamo a Paolo Uccello. Vi prego non fate le solite battutacce perché ne ho sentite abbastanza Milesi: Vorrei, ma non posso, suggerirti un uso improprio di quel biscotto

Omar: *esulta dopo un esercizio di matematica* SI!!! Mi sono venuti i calcoli!!! Milesi: Il Medioevo era pieno Pusi: Renali?! di bimbini nati senza chiederne il permesso (notate che Rossi: Per i suoi esperimenti bimbini non è un errore di Galileo usa una PENDENZA stampa) LIGNEA Milesi: Ma ti fai un sacchettiBrusa: Anche se Giulia non mi no di tulle di affari tuoi??? ama, io non per questo cesserò di amarla! Dory: (alla Pusi) Ma io non Pusi: Ohhhh… Personeni, io credo che lei leda i miei diritti, dopo questa dichiarazione ci credo che lo faccia la fisica!


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Dicembre 2011 FOGLIO: Io tante!! PUSI: GAMBIRASIO! GANBY: Mi prendono giro... PUSI: Cattivi...

Pusi: Preferita la Santa Lucia in o Babbo natale? Classe: Santa Lucia! Rossi: Babbo Natale perché la Santa Lucia non esiste! PUSI: Non so che voto darti, Cadei! Pusi: Un giorno l’asinello di MARINONI: 7 e mezzo per Santa Lucia si ribellò e disse: l’impegno, profe! “Secondo il terzo pincipio del- PUSI: Non siamo mica al sula dinamica…” permercato! MARINONI: (cantando) “Sotto questo cielo!” IV A PANUCCIO: ormai in storia interrogo solo i volontari... FOGLIO: Io probabilmente vorrei farmi interrogare Lunedì! PANUCCIO: C’è il compito lunedì! FOGLIO: Ah... Allora giovedì sarebbe disponibile? PANUCCIO: Ma sì, dove ci vediamo? Al bar?! FOGLIO GIOVEDì è L’IMMACOLATAA!

PUSI: Gambirasio stai cercando di evadere?! GAMBY: No! Chiudo la porta! PUSI: Gambirasio! Cosa fai lì nascosto?! GAMBY: Chiudo la finestra...

PUSI: Se mi rimane un po’ di tempo dopo Salone potrei interrogare Gambirasio. GAMBY: Già, potrebbe! PUSI: Che entusiasmo Gambirasio! Il tempo lo trovo di DACCORDO: Profe! Se io ab- sicuro! bracciassi Sorana così prendo GAMBY: No no! Intendo la febbre e non vengo a scuo- chiarire la mia posizione! Io intendevo dire, con quel “pola? PUSI: Lo fai Daccordo? Ti trebbe”, che lo può fare ma che non lo farà! (ripassando prego, fallo!! freneticamente) CAPELLI: Profe! Io non sono PUSI: Prima o poi ti interrogo riuscito a fare una frase! Gambirasio! GAMBY:Io due! GAMBY: Non è detto, profe! SUARDO: Io cinque!

26 La morte è sempre dietro l’angolo... Basta un attimo e tutto è finito! PUSI: Sì Gambirasio... Con questa nota di ottimismo correggiamo il compito. BIANCA: Faccio leva sul suo spirito materno, profe! PUSI: Fai male! PANUCCIO: Allora Donose. Cosa troviamo man mano che saliamo sulle montagne della Mesopotamia? SORY: Allora... Piante, abeti, rocce nude, muschi e licheni... PANUCCIO: Come muschi e licheni? E il clima com’è? SORY: Verde! PUSI: Ma dov’è Volontè? Non ditemi che è rimasta chiusa in bagno! O magari è scappata con Gassman, come biasimarla! Ci hanno detto che recita anche lui nella fiction! Ma io non l’ho mai visto...


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La Redazione Direttore Responsabile: Davide Rocchetti, III A

Vicedirettrice: Martina Astrid Rodda, III C

Impaginatore-Grafico: Pietro Raimondi, V F

Segretaria: Benedetta Montanini, II A

Caporedattori: Arianna Piazzalunga, II C Sara Moioli, II A Glauco Barboglio, II C Pietro Valsecchi, III F Luca Parimbelli, III I Letizia Capelli, II A

Sarpi AttualitĂ Cultura Narrativa Sport Terza Pagina

Copertina: Stefano Togni, II A

Illustratrici: Camilla Balbis, I I Chiara Piantanida, IV F

Redattori

Michele Soldavini , III I Davide Gritti, II A Alice Montanini, II A Benedetta Montanini, II A Elena De Leo, II B Benedetta Campoleoni, II B Stefano Martinelli, II B Filippo Alessandro Boukas, II C Isabella Manenti, II C Iaia Paganoni, II C Lorenzo Teli, II C Andrea Calini, II I Lucia Cappelluzzo, II I Sara Colombo, II I Francesca Carminati, II I Paolo Sottocasa, I A Giulia Testa, I B

Micaela Brembilla, I C Federico Ghislotti, I C Patrizia Locatelli, I C Marta Cagnin, I D Camilla Balbis, I I Leopoldo Biffi, V C Andrea Sabetta, V C Federica Sala, V E Pietro Raimondi, V F Sara Latorre. IV D Giulia Vitale , IV D Sara Zanchi, IV D Federica Zonca, IV D Elena Giozani, IV F Elena Moreschi, IV F Elena Occhino, IV F


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