cassandra
editoriale The last Supper Ok, forse detta così è un po’ tragica. Però è il mio ultimo editoriale e la cosa mi fa venire un po’ le vertigini. Per esempio ho realizzato che il 26 maggio è stato l’ultimo lunedì di scuola della mia vita. Cioè, se io a 40 anni mi ricorderò del mio ultimo lunedì, mi ricorderò di pochi giorni fa. Insomma, questo Cassandra che stiamo per stampare (manco solo io che scrivo mentre interroga in italiano) lo avete in mano oggi ultimo giorno, mentre mangiate torte ed imparate a fare bolle di sapone e pensate che finalmente è finita questa tortura, anche se vi mancheranno i vostri compagni, però tanto ci rivediamo a settembre, e stare tre mesi lontani dalla vostra compagna di banco che strilla come un’aquila non deve essere poi così male. E magari guardandovi intorno vedrete gente che si salta addosso e piange disperata. Forse non li capirete fino in fondo ora, ma fra qualche anno sì. Per la maggior parte di loro ( non tutti, ci sono anche quartini in lacrime perché è finito il loro periodo di segregazione), finisce la vita come è sempre stata e ne inizia una parte nuova che, per quanto bellissima, fa un po’ paura. Però la vita non è a blocchi, è un cammino e se mi giro indietro vedo tutta la strada che ho fatto, nella quale il Sarpi è tappa fondamentale. Detto questo, potete saltare direttamente al ciao! finale e non sorbirvi i miei ringraziamenti, ma lasciatemeli fare perchè li sogno dalla quarta ginnasio. Grazie a Giulia perché se devo descrivere la nostra amicizia dico che Dio ha fatto un’anima e poi l’ha divisa in due. Grazie a Pietro perché mi allaccia sempre le scarpe senza chiedersi mai il motivo. Grazie alla Cami perché condivide con me il mio più grande segreto, e a Marco perché so che suona sempre e solo per me. Grazie alla Ale perché mi provoca molto questa nostra neonata amicizia e alla Lalla perché in fondo io l’amerò sempre. Grazie al Sarino che mi fa sempre i grattini anche se è acida con Vincent, e alla Patty che è la persona più buona del mondo. Grazie a Filippo che mi scrive l’Ave Maria sul braccio e a Muzzi che mi presta Adventure Time. Grazie a Chiara P. per l’Apollo up and down e a Chiara C. perché dice agli altri di non picchiarmi. Grazie al Pedro perché “anche Ale respirava!”. Grazie alla Paolina e alla Lu che mi facevano fare la mamma apprensiva in Puglia e a Monica che stava con me ad aspettarle, le disgraziate. E grazie anche per le bruschette con i pomodorini. Grazie alla Gio e alla Lela che mi hanno detto che da grande farò il pusher. Grazie alla Cate, che mi mancherà tantissimo e a Giorgio, Elisa e Chiara perché un giorno saranno loro i grandi, e io sarò vecchia. Grazie a Bonti che mi chiama sempre Beatrice, e alla Paola che non ho ancora capito perché mi voglia così bene. Grazie a Sotti perché la nostra amicizia è un compromesso storico e io sono Don Camillo. Grazie alla Bob che anche se non era con noi, io l’ho pensata sempre. E grazie alla fu 4C con tutti quelli che ci siamo persi per strada perché siete stati la mia famiglia, anche se non siete tutti normali. Vi voglio bene. Ciao! Micaela Brembilla, IIIC
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editoriale A fine anno ci si aspetterebbe un po’ di caldo, no? Non so come sia per voi ma “giugno”, nel mio immaginario, evoca pienamente l’atmosfera di inizio estate e magari lascia fantasticare riguardo le prime mete di vacanza. E invece a noi studenti non è data nemmeno questa certezza, in aggiunta all’incognita degli scrutini che ci tiene sicuramente già abbastanza impegnati, sia che si punti ad avere tutti nove che tutti sei. Eppure durante l’ultima settimana non si può fare a meno di essere almeno un po’ allegri perchè dopotutto la vita da liceali funziona ancora a cicli di nove e tre mesi anche se avremmo dovuto imparare che è la scuola ad essere al primo posto (soprattutto al liceo, in vista dell’Università). Non so se il mio sia un caso anomalo, soprattutto al Sarpi, ma non l’ho mai vista così. Inconsciamente sono sempre stata convinta che la mia condizione naturale di bambina, e poi di adolescente, fosse di poter usufruire del mio tempo a mio piacimento, che di base io fossi nata per scegliere come meglio impiegarlo in base ai miei gusti, alle mie esigenze e alle mie voglie. La scuola, attivitá di primaria importanza, ha sempre avuto il peso di una costrizione, una cosa necessaria, da sopportare e da cui a Giugno sarei finalmente stata libera. Semplicemente intralciava irrimediabilmente il mio modo di vivere. Nemmeno in sei anni siete riusciti a farmi cambiare idea, fortunatamente, aggiungerei. Non sarebbe stato un adeguamento spontaneo ma la conseguenza di una martellante riproposizione di idee diverse dalle mie a cui avrei rischiato per finire di abituarmi. Questo non significa che andarmene non mi causi una discreta dose di malinconia. In questi anni città alta e il Sarpi sono diventati casa mia, non una seconda casa ma una equiparata a quella degli affetti. In quanto casa a tutti gli effetti mi sono adoperata, per quanto possibile, per migliorarla, per fornire il mio contributo alla sua sopravvivenza e alla dignità della sua esistenza e l’impegno che vi ho profuso è stato pienamente sentito e sincero. Sono stati soprattutto gli altri di voi che ho conosciuto a rendermi caro un posto che per certi aspetti somiglia ad una selva oscura e piena di rovi. Cassandra per prima: siete stati da sempre una seconda famiglia in cui ho fatto diverse esperienze e da cui ho imparato le cose più varie, fornendo contributi a mia volta. Ringraziare tutti uno per uno non mi sembra sensato dato che finire i per allungare ulteriormente tutta la faccenda e molte delle persone che includerei sono diplomate da qualche anno e non potrebbero mai sapere di essere state citate (e sappiamo tutti che fa sempre piacere). Quindi un grazie collettivo a quella parte di studenti che rende questa scuola degna di essere affrontata, perché sono convinta che in nessun altro liceo avrei potuto trovare un ambiente che sapesse accogliermi in un modo migliore. E se siete arrivati a leggere questa riga mi conoscete, mi vorreste conoscere o mi volete tanto bene, perché oltre alla mia presa di posizione reazionaria, amara e nostalgica c’è un intero numero che aspetta e si merita di essere letto. Marta Cagnin, IIID
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AVVERTENZE PREULTIMO NUMERO CHE POI COME FA A ESSERE L’ULTIMO NUMERO SE IN NUMERI SONO INFINITI 2 Come assumere questo cassandra Preferibilmente a sangue freddo, e nelle ore di Greco e Latino. Se vi piacciono le cose estreme anche durante la partita di pallavolo in palestra. Rischi per la salute Potreste morire in un incidente intellettuale Rischi per “salute” starnuto Consigli da Ippocrate e Galeno Non portare a contatto il giornale con uno dei quattro umori (Scazzo, incazzo, sciallanza e gioia). Scazzo: periodo di verifiche e interrogazioni una il giorno dopo l’altra Incazzo: periodo di verifiche e interrogazioni una il giorno dopo l’altra + Dolori mestruali(anche per i maschietti) Sciallanza: Pasqua Natale et similia Gioia: Mai. Consigli da Lino Campanelli(estrapolati da una qualunque conversazione della prima ora) V****************TUTTOFOTTUTAMENTECENSURATO*****************S*******D *****DF**F****gnomo*******scialaquaformiche****************************** **Gnekki***************paoloefrancescahannodettonoalC****O Che cosa leggere Non leggere nulla e risolvete il problema. Rischi per la salute Troppi. Tra cui: 1. Cecità causata da un’impaginazione frettolosa 2. Noia provocata dagli articoli di attualità 3. Dolori muscolari causati da Crippa e quelli della sua sottocommissione 4. Mascheronità causata dagli articoli di Sarpi 5. Sottosviluppo causato da Sabbo e Cultura
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6. Pianto e pessimismo causato dalle poesie di Raimondi e dai suoi amici di Narrativa 7. Fascismo e Comunismo causati da nobili sotto casa vostra 8. Vomito provocato da queste avvertenze dalle vignette di Lio (e dall’inutilità di Terza Pagina, perché non fa mai ridere) 9. Morte provocata dagli editoriali di Cagnin (e talvolta anche da quelli di Micaela) Altro “nome” e “Chiaramente” Altro ancora basta Paolo Bontempo, IID
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ASS: Quando, dove e perche’
In questa occasione, certamente costellata da imprevisti e cambiamenti dell’ultimo minuto, avremmo forse dovuto “farci sentire” di più, con comunicazioni mirate e diffuse per permettere Per l’ASS si sta per concludere il secondo anno un’affluenza maggiore all’incontro del 15 aprile. di attività. Dunque, come avviene per tutte le Si può sempre migliorare, a maggior ragione nel associazioni che si rispettino, è ora di fare un momento in cui si ha davvero voglia di farlo! bilancio. Niente cifre, per carità: mettiamo sulla bilancia ciò che ha funzionato e ciò che biso- Un bel giorno, poi, ci è stato proposto di sostegna migliorare. Innanzitutto, in concreto, cosa nere e partecipare ad un incontro che si terrà è stato realizzato? Parecchio, anche se magari il 3 giugno in aula magna, in cui sarà coinvolta nemmeno ve ne siete accorti. Ad esempio, le Emergency. Noi abbiamo accettato entusiasti magliette che ogni tanto vedo spuntare dalle e convinti, perché crediamo in un intervento felpe: tutto made in Sarpi, un po’ alla disperata costruttivo ed indubbiamente interessante socome sempre, ma tanto simpatico ed autentico. prattutto dal punto di vista umano. Con il ricavato della vendita delle magliette sarà Infine, dato che ci piace far festa, abbiamo penpagata la quota di partecipazione per la festa di sato all’organizzazione di una cena autogestita fine anno al Lazzaretto, organizzata con diverse in terrazza che possa essere un momento di scuole della città. Quindi grazie a voi e a noi: c’è convivialità serena, di spensieratezza, quella un gran senso di soddisfazione nel sapere che degli ultimi giorni di scuola. Ci stiamo rendendo siamo riusciti a pagare tutto “ di tasca nostra”. utili nell’organizzazione della serata e abbiamo Anche perché se aspettiamo gli altri… reso disponibili le risorse finanziarie dell’AssoDopo avere vestito i sarpini, abbiamo pensato ciazione. Dunque vi aspettiamo numerosi! che avrebbe potuto far comodo un aiutino in latino e greco, perciò ci siamo impegnati a stipulare una convenzione con il dott. Luca Cortinovis per lezioni di latinorum e graecorum, garantendo agli associati di poter usufruire del 20% di sconto.
Abbiamo anche tentato un’impresa più ambiziosa: proporre una mostra accompagnata da una conferenza all’interno dell’edificio scolastico. Il tema scelto non era affatto “leggero”, anzi; questa particolare preferenza aveva come obiettivo quello di sensibilizzare l’opinione di voi-noi studenti in merito ad un problema che ha percorso il Novecento, suscitando reazioni, polemiche e scandalo. La follia nei lager e la follia nei manicomi (prima della legge Basaglia) è stata declinata in immagini e testi che hanno ricoperto le pareti dello scalone, in modo che tutti poteste avere l’opportunità di conoscere anche quella realtà, che purtroppo è esistita.
Ah, così, giusto per saperlo, abbiamo all’attivo circa 2000€ ricavati dal tesseramento, dal servizio guardaroba della festa di gennaio e dalla vendita delle magliette. Insomma ASS c’è, è qui per promuovere attività interessanti in modo indipendente, per agevolare gli studenti nel momento in cui hanno proposte da condividere, per sostenere economicamente qualcosa che va oltre la scuola. ASS è un organo creato dagli studenti per gli studenti ed in quanto tale ha bisogno di persone e di nuove idee: ha bisogno di voi. Con la speranza che l’anno prossimo prosegua il progetto di una componente studentesca propositiva e soprattutto autonoma, l’ASS vi augura buone vacanze!
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Francesca Marchesi III B
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Chiudere il cerchio
“MESSAGE IN THE BOTTLE
La fine arriva per tutti, in un modo o in un altro. Spesso la si immagina, ma poche volte le aspettative si realizzano. Così eccomi, dopo tre anni, a scrivere il mio ultimo articolo su Cassandra. Ho pensato a lungo a cosa scrivere, a come mi sarei sentita, a cosa avrei ricordato. Ed ora che sono qui davanti al mio computer non possono che venirmi in mente mille momenti indimenticabili, mille emozioni che hanno segnato la mia crescita, mille motivi per cui Cassandra è una famiglia e non una commissione. Mille motivi per cui Cassandra è e resterà il mio vero amore (“Unico, esclusivo…e non corrisposto”). Ma per un solo ricordo sto scrivendo, ora. Alla fine tutto si confonde: rabbia, gioia, sogni, delusioni, aspettative, disillusioni. Tutto perde senso di fronte alla cima della salita. E non resta che pensare a quando si era all’inizio. Così, al di là di me stessa, di tutto quello che avrei da dire, vorrei dedicare questo articolo e le mie ultime righe su Cassandra ad un paio di articoli del numero di giugno dell’anno 2011, quando per me stava finendo la quinta ginnasio. Quando pensai per la prima volta “e se entrassi a far parte di Cassandra?”. Quando lessi l’ultimo editoriale di Irene Lizzola e l’ultimo articolo di “Sarpi” di Fabio Ravasio. Non ho mai incontrato questi ragazzi, ma sono stati loro a cambiarmi la vita. Non c’è bisogno di spiegare perché. Ringrazio questi ormai ex sarpini e affido ogni mia emozione alle loro parole. “ L’ULTIMO EDITORIALE ALIAS L’ARTICOLO DI ADDIO Dopotutto, cosa resta? Resto perché ho bisogno di mantenermi salda a delle radici che ho paura di non ritrovare più. […] Che possiate tutti arrivare alla fine del vostro percorso e poter dire con una buona dose di certezza: ‘se tornassi indietro, lo rifarei’. […] …Resto, sulle pagine di questo giornalino, nel ricordo di te che leggi.” Ire “Litz” Lizzola, III H
L’ultimo articolo. Mi sembra di scrivere un testamento o un’epigrafe. No, questa vuole essere una storia, un racconto. […] C’era una volta uno studente, il suo primo giorno di scuola. […] E dopo cinque anni non ci si ricorda nemmeno se facesse caldo o freddo, quel giorno. […] Non siamo eroi ora, non lo eravamo anni fa. Nessuno, poi, è tenuto ad essere un eroe, né un martire. Anni, pagine, libri e traduzioni t’insegnano: gli eroi erano solo grandi uomini capaci di essere fedeli alla propria indole, fino alla fine. “Solo”. Come se fosse poco desiderare di restare se stessi. Non volere cambiare. <<Cambierai da te, ragazzo!>>. Ma comunque, non ti preoccupare, dico io, ci saranno sempre delle colonne bianco-grigie pronte a cambiarti. E sai, forse non è un male non essere eroi; forse non è così male cambiare. Non è male quando cambiare significa crescere, significa imparare nuovi motivi per andare avanti. Sarà un mondo di ostacoli, di pericoli, di pessimisti sempre pronti a dirti quello che rischi, mai quello che guadagni. Perché quello che guadagni è la tua identità, è la possibilità di avere la tua voce nello stonato coro del mondo, e questo, ragazzo mio, non te lo dice nessuno. Ma dovrai perdere l’innocenza […]. Non sentirti stabile, non sentirti al sicuro. Queste colonne bianco-grigie ti minacceranno, non ti riconosceranno più di quanto lo possano fare le scale, i muri, i banchi. Ma sai, ragazzo mio, chi ti parla ha scoperto che quando ti senti perso nel deserto, se sai aspettare la notte e sopportare il freddo, se sai scrutare il cielo, trovi una stella di un colore diverso dalle altre: una stella del colore del mercurio, come fatta di argento liquido, che ti saprà indicare la via per proseguire. […] Ragazzo mio, ho un messaggio per te: dopo cinque anni ci si sente stanchi, abbattuti persino. Ripensare al ragazzo del primo giorno mi tiene coi piedi per terra. […] Poi ho desiderato svanire, e sono ritornato in me. Con un brivido, con quel vento del primo giorno ancora sulla pelle, ho guardato il mio cielo al di là degli
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alti soffitti bianchi, al di là di ogni gabbia, al di là delle migliaia di pagine, dei litri di inchiostro. Mi sono fidato della voce nel deserto. E là, lassù, fingendosi distratta, è brillata la mia stella di argento liquido. Un’altra volta mi ha stretto a sé. Un’altra volta, forse, mi ha salvato. E ti dirò, anche qui, dopotutto, c’è spazio per vivere.” Fabio Ravasio IIIH
G. Se ricevesse un’inaspettata busta contenente un milione di euro, come li spenderebbe? P. Comprerei una casa qui e un’altra al mare, il resto lo darei in beneficenza ai bambini poveri. G. Quale genere musicale preferisce ascoltare? P. Latin Jazz, salsa, son cubano e musica etnica.
Il cerchio si chiude come è iniziato.
G. Quali sono i suoi hobbies? A Cassandra, a tutti Voi, a chi non è più qui ma P. Tiro con l’arco. ancora mi parla, Grazie. Giulia Testa, III B G. Chi è il suo mito? (persona a cui si ispira)
Simu salentini dellu munnu cittadini.
P. Non ho nessun mito, mi affascina il Dalai Lama.
Fuggire da un fiume di magma incandescente è un’impresa, ma siamo sicuri che sia più facile essere travolti da un torrente di melodie senza lasciarsi contagiare? Dalla mediterranea regione della Puglia, un membro del personale ATA ci delizia con la sua musica vivace e armoniosa.
G. Cosa pensa del nostro Liceo? Quali considerazioni ha sviluppato sul Sarpi, dopo un anno? P. Questa struttura vecchia rende il Sarpi una scuola bellissima, solo che dovrebbero metterla a posto perché d’inverno fa freddo. Comunque, nonostante questo disagio, tornerò di nuovo. G. Se potesse tornare a scuola, frequenterebbe il Sarpi? Perché?
G. Si presenti.
P. Mi chiamo Pietro Paolo Cosa, ho 56 anni e sono nato a Taranto, una bellissima città puglie- P. Non potrei frequentare questa scuola, perché è un po’ troppo rigida per me. se. G. Cosa faceva prima di lavorare al Sarpi?
G. Cos’è la vita secondo lei?
P. Prima di lavorare al Sarpi facevo il musicista in un’orchestra di Brescia, dal 1984 fino al 2007. Poi, stanco di viaggiare, ho fatto domanda a scuola.
P. La vita è tutto ciò che ci circonda, compresi noi stessi, che ne facciamo parte. In questo breve percorso terreno cerco di rendere la vita più felice e più serena.
G. Qual era il suo sogno quand’era bambino?
G. Saluti gli studenti nel modo che preferisce.
P. Il mio sogno era girare il mondo suonando.
P. Saluto tutti gli studenti del Sarpi che sono dei bravi ragazzi, educati ecc. Ve lo dice uno che è passato da tante scuole. Ciao.
G. Cosa vorrebbe fare da grande? P. Da grande vorrei fare il compositore (ma lo sono già)
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Giovanni Testa, IVC
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Se sei un quartino e tu lo sai, batti le mani.
Tra tutte le cause che mi hanno spinto a iscrivermi al Sarpi sicuramente non c’è la volontà. E nemmeno la consapevolezza di ciò che mi avrebbe atteso. Prima del termine delle iscrizioni online, ancora indeciso, mi bendai con un foulard opaco e lanciai una freccetta su un quadrante nel quale erano riportate le molteplici scelte che mi tormentavano giorno e notte. La punta si conficcò nel puntino sulla lettera i di ‘’Sarpi’’. Il giorno dopo compilai l’iscrizione per questo Liceo classico, con zaino in spalla e cartina geografica, pronto a partire. In realtà sapevo da sempre che sarei capitato in un Liceo, pur non sapendo dell’esistenza del Sarpi fino a qualche anno fa; qualcosa mi diceva che il destino mi avrebbe condotto su questa strada. E quando mi tolsi la benda per leggere l’esito della partita a freccette, non sembrai affatto dispiaciuto. Probabilmente perché non avevo la minima idea di cosa significasse frequentare questa scuola. All’Open Day sembravano tutti così allegri, soddisfatti della propria scelta e vogliosi di trasmettere la propria passione ai nuovi studenti. Fui entusiasta di quella giornata, ma non mi convinsi, pensando che ‘il greco è difficile’. Ora posso dire che la grammatica greca è più complicata di quanto pensassi nove mesi fa, ma tuttavia mi sento gratificato, in quanto, anziché girarmi i pollici tutto il dì, riempio il pomeriggio con qualcosa che in fondo, sforzandomi, riesco ad apprezzare. Ho passato l’intera estate a pormi domande e a costruirmi castelli immaginari su come dovesse essere l’ambiente, cosa dovessi fare per essere uno Studente, quali nuove amicizie mi aspettassero. Nella mia desolata scuola media di provincia, un’altra ragazza prese la mia stessa decisione. Ella è ‘casualmente’ la mia migliore amica, la conosco da quando eravamo spermatozoi. In vista
dell’inizio di una vita nuova, decidemmo di trascorrere mercoledì 11 settembre a Gardaland, divertendoci e liberando le nostre anime da ogni timore. Ero pronto a passare una giornata indimenticabile, ma accadde che questa ragazza incontrò dei gravi problemi di salute e venne ricoverata in ospedale, mancando due settimane da scuola. Dissi, imbronciato, che senza di lei non sarei andato da nessuna parte, e allora i miei genitori per consolarmi mi portarono a Orio Center. Invece di distrarmi non feci altro che fantasticare tutto il tempo di fronte alla vetrata del secondo piano, dove c’è McDonald’s, la quale offre una vista magnifica delle Orobie. Ma a me non interessavano le Alpi scongelate, io fissavo a bocca aperta il profilo inconfondibile del Sarpi che fino all’aeroporto ama mettersi in mostra. Iniziai da solo, dunque, l’anno scolastico. Come un bambino, che per la prima volta lascia la mano della mamma per andare all’asilo, così io percorsi il sentiero che separa la fermata dell’autobus dalla scuola, notando con piacere che Piazza Rosate era ancora deserta. Ma no, in realtà era già deserta. Diedi un’occhiata all’ora e mi accorsi di essere arrivato in ritardo; ottimo per essere il primo giorno. Entrai ansimante nell’atrio della scuola dove mi confusi in una folla di tanti studenti come me, sconosciuti, impauriti e incoscienti. Giusto in tempo per aggregarmi alla mia nuova classe: volti mai visti prima e bizzarri, sguardi impassibili e furtivi; una professoressa sorridente e accogliente scrive alla lavagna una frase in latino di Terenzio e così ci dà il benvenuto al Sarpi; il sangue pulsante nelle vene fa vibrare le pareti dell’aula. Non mi resi conto della mia condizione umana fino a quando, nella prima lezione dell’anno, mi sentii un completo ignorante. Nell’aula fluttuavano nomi e citazioni che non avevo mai sentito prima. Mezz’ora per capire chi fosse Erodoto, un’ora per capire come si scrivesse historia, un mese per scoprire che non è ‘La tragedia è di Porè’, bensì ‘La tragedia Edipo Re’. Avrei infiniti aneddoti da raccontare per dimostrare quanto un quartino possa essere impacciato, goffo e malvisto all’interno della
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scuola. Ad esempio, una mattina di ottobre stavo passeggiando per i corridoi, quando alle spalle sentii intonare ‘Se sei un quartino e tu lo sai, batti le mani *clap clap*’, mi voltai sbigottito e non c’era nessuno. Da quel momento penso che la scuola sia infestata, non riesco a convincermi del fatto che alcuni liceali siano così discriminatori nei confronti dei più piccini. Un quartino è un indifeso e inesperto cerbiatto che esplora una selva rigogliosa e affascinante con occhi colmi d’innocenza. L’ho imparato a mie spese. Mentre le nozioni e lo studio si accumulavano, le corse in autobus diventavano sempre più abitudinali e le notti si allungavano, dentro di me qualcosa stava cambiando. Non sono più lo stesso fanciullo che, meravigliato, osserva il Sarpi a chilometri di distanza, che crede che Sarpi sia un acronimo satanista, che la lingua di comunicazione a scuola sia il latino. Questa non è la scuola dei sogni, ma nemmeno un lugubre scantinato degli incubi. Se ci fossero gli armadietti personalizzati andrebbe già meglio. Devo ammettere che all’inizio pensavo che non ce l’avrei fatta, che a gennaio avrei sicuramente congedato Città Alta per trasferirmi in un’altra scuola. Temevo di perdere completamente la vitalità, di trasformarmi in uno zombie. Va bene, con occhiaie e passo vacillante lo sembro, però al contempo ho sempre il piacere di sbizzarrirmi nel cercare di riconoscere gli edifici di città bassa, che dalla finestra della mia classe paiono lontani e insignificanti, e cercare disperatamente il luogo in cui si nasconde il tesoro. Ma come posso gettare lo sguardo oltre le mura quando il vero tesoro si trova all’interno della scuola stessa? Non sto parlando dell’architettura sublime o dei reperti storici, ma degli studenti che la popolano. Vivo ogni giorno nella certezza di essere circondato da magnifici alieni, di poter incontrare in ogni momento un mondo sconosciuto all’angolo del corridoio, conoscere un’anima diversa dalla mia. Nonostante gli studenti compongano un numero esiguo, a scuola mi manca sempre il fiato, non trovo uno spazio adatto a me a causa della ricchezza interiore degli individui e del peso e dell’influenza della loro anima, che si espandono fino a far tremare
i sanpietrini. È per questo che non mi arrendo, perché non troverei altro ambiente sociale migliore del Sarpi, perché ovunque io possa recarmi, non mi sentirei a casa come mi sento qui. Dopo aver trascorso un anno scolastico in questo edificio neoclassico non ho appreso solo come mimetizzarmi tra le colonne, come parlare con animali impagliati e come salire le scale dal verso giusto, ma ho imparato anche a mettere sotto lente qualsiasi cosa mi passi sotto al naso, a valutare con le mie basilari conoscenze il mondo circostante, a percepire la realtà filtrare nei pori della pelle, a darmi da fare per completare il Ginnasio e affrontare il Liceo. Mi hanno insegnato ad apprezzare, osservare, disprezzare, aggiustare, comprendere, distruggere, scolpire, affermare, confutare, e sì, un po’ anche a tradurre. Giovanni Testa, IVC
Il Sarpi dieci anni dopo: istruzioni per l’uso Ritorno al Futuro: Storie di ex studenti «È davvero finita, ed è giunto il momento in cui con una piccola stretta allo stomaco devo definitivamente chiudere con questa lunga e fantastica esperienza. Sono le ultime righe che scrivo per Cassandra e, anche se nella vita non si sa mai, le ultime da direttore di un giornale». Così cominciava l’ultima pagina di Cassandra numero 30, l’ultimo numero del 2003-2004, dieci anni fa. Chi scriveva è chi torna a scrivervi oggi, sarpino allora e sarpino ancora adesso (arrendetevi, l’etichetta di sarpino non si cancella. Mai) per lanciarvi un messaggio. I tempi erano molto diversi, per tanti aspetti, e per altri sono uguali. Mi sono sfogliato i numeri di quell’anno: i temi trattati furono il bicentenario della scuola, la censura in tv (era l’anno in cui
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tro sé stessi già sanno chi vorrebbero diventare, che lavoro piacerebbe loro fare, come si vedono quando tutto questo marasma di libri e quello che li attende all’università sarà alle spalle. Quello che vi chiedo di fare è: ascoltate quella voce che dall’interno vi urla cosa fare. In quell’estate del 2004 lasciai Cassandra con un sogno, preciso e complicato: continuare a fare quello che mi faceva stare meglio, scrivere, e diventare un giornalista. Ma il senso di responsabilità che il Sarpi ti inculca mi fece deviare dalla strada maestra e mi infilai per anni in una facoltà universitaria che non mi piaceva, ma che avrebbe potuto garantirmi un ipotetico futuro radioso e Quello che vorrei dirvi è che, dopo dieci pri- magari di infilarmi in quel fantomatico percorso mavere, inevitabilmente tutto è diverso. Ma verso la “futura classe dirigente”. anche che ciò che siete o state diventando in questi anni è l’essenza di ciò che sarete negli Niente di più sbagliato. Il Sarpi insegna a fare anni a venire. Vi sorprenderebbe sapere che a tutto (davvero, fidatevi di chi l’ha finito prima di ventinove anni ancora ci si trova nei bar con gli voi, passandosela tra l’altro non sempre benissiamici del liceo a ricordare quell’interrogazione mo), ma non a cambiare le proprie ambizioni. È di filosofia in cui, studiando tutto in un giorno, ingombrante non solo nello skyline di Città Alta avevi strappato un 9, quella volta che la profe e nelle vostre vite attuali, ma anche per le scelte di chimica beccò il tuo bigliettino durante una che state facendo e che farete. Ma deve essere verifica e volle sottolineare l’onta e il disonore un Virgilio, non un Caronte. E sappiate che tra del fatto non a tutta la tua classe, ma anche a dieci anni, quando proverete a ricordarlo, vi verquella parallela, oppure quella versione sbaglia- ranno in mente i momenti di complicità con gli ta dalla prima all’ultima parola o quella bravata amici, di goliardia con i compagni e non la pedi quel tuo compagno di classe che, come segno santezza delle ore chiusi in camera a studiare di protesta per una “verifica a sorpresa di greco” o la tensione pre verifica. Quelle faranno parte fissata il penultimo giorno di seconda liceo, la solo del vostro vissuto e del vostro modo di aftrasformò in una “verifica a sorpresa di greche”. frontare le prove della vita, ma se abbiamo tutti Sono momenti epici che vi accompagneranno a quanti imparato ad affrontare il sacrificio non significa che dobbiamo vivere di sacrifici. lungo. Berlusconi tuonò contro Biagi, Santoro e Luttazzi), la guerra in Afghanistan e le bandiere della pace, il film dell’anno (“Il Signore degli Anelli – Il Ritorno del Re”), un libro appena uscito e molto atteso (“Harry Potter e l’Ordine della Fenice”), Marco Pantani, che morì a febbraio, lo scandalo fideiussioni nel calcio, con l’ultimo campionato a 18 squadre, e due album musicali appena usciti di due gruppi emergenti: si chiamavano Muse e Strokes. E poi, ovviamente, l’esasperazione dicembrina per il troppo studio e la poca voglia di stare sui libri ad aprile. Ci sono cose che non cambiano mai.
Lo sapete di sicuro anche voi guardando i telegiornali: la mia generazione non è particolarmente fortunata per quanto riguarda il lavoro e spero che per voi la situazione potrà essere più rosea. Ma anche (e forse soprattutto) considerando i tempi che corrono, l’invito che vi faccio è: anche se siete allenati ad “immolarvi” abbandonate questa logica e sognate, il rischio di svegliarvi un giorno e rendervi conto che potevate farlo e non l’avete fatto in nome della paura di Molti di voi – la maggior parte, mi auguro – den- restare incompiuti è grosso. Al di là di tutto questo c’è una cosa che ci tengo a dirvi. Il Sarpi ci insegna e ci segna, ci apre la mente e ci abbrutisce la vita, a volte, ma vi renderete conto che più avanti vi tornerà utile. A volte, però, può confondere. Il Sarpi ci mette addosso la responsabilità di essere alla sua altezza anche dopo averlo lasciato (quante volte, come me, vi sarete sentiti dire che sarete la classe dirigente del futuro?). Non cascateci.
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Non vi ho più detto che fine hanno fatto i miei sogni: molti anni dopo, mentre stavo stancamente concludendo il mio percorso universitario, mi sono improvvisamente reso conto di stare vivendo una vita che non era la mia. È stata una scossa tellurica, una scintilla, ha fatto male. Ma mi ha spinto a prendere in mano la situazione ed è andata bene: ho mandato in un giorno quasi trenta curricula e uno dei destinatari mi ha richiamato. Ho fatto il colloquio, ho iniziato uno stage, inizialmente non remunerato, poi mi hanno preso. E ora sto facendo la trafila per diventare giornalista, un vero giornalista. È quello che so fare, è quello che voglio fare, è quello che sono ed è stato il Sarpi a farmelo capire. Fate lo stesso, ascoltate i vostri sogni e non abbandonatevi al senso del dovere. Tanto il vostro dovere lo sapete fare.
in modo che le informazioni su attentati terroristici, rapine o altri eventi del genere non possano essere ottenute dalla polizia tramite intercettazioni. Dopotutto le intercettazioni sono state una tecnica fondamentale nella lotta al crimine da quando è andata ampliandosi la possibilità di comunicazione con i cellulari ed internet. Forse vi spaventerà che appunto per questo fu creato Echelon, un sistema di computer finanziato da cinque paesi, tra cui ovviamente gli Stati Uniti, che intercetta le comunicazioni globali in cerca di informazioni criminose, reagendo di fatto a termini specifici nelle comunicazioni come attentato, Obama, o termini del genere. Scalpore ma forse non stupore fu sollevato dallo scoprire che Echelon è stato utilizzato anche come sistema per lo spionaggio economico industriale per favorire le imprese dei cinque stati aderenti al progetto.
Marco Venturini Un crittografo statunitense, tale Phil Zimmermann, ovviò a tale chiara violazione della privaSportal.it cy da parte del governo regalando al mondo uno dei sistemi crittografici più sicuri, il PGP (pretty Calcissimo.com good privacy) nel 1991 (volendo è disponibile gratuitamente via internet). Ovviamente per e soprattutto questo fu citato in giudizio dalla NSA, dall’FBI e III D 2003-2004 da altre organizzazioni, anche se furono poi fatte cadere le accuse nei suoi riguardi .
Crittografia e Privacy Tutti sono concordi nel dire che il diritto alla privacy è un diritto fondamentale dell’uomo; tuttavia è sorto un’enorme dibattito legato all’utilizzo della crittografia per salvaguardare questo diritto. La crittografia, nota sin da tempi antichissimi, ha oggigiorno raggiunto vette sorprendenti riguardo complessità, garantendo quindi un’assoluta segretezza a chi sceglie di utilizzarla. Considerato questo fatto, è comprensibile come i governi, in particolare quello degli Stati Uniti, abbiano iniziato a temere un largo impiego della crittografia; infatti essa potrebbe benissimo essere usata da associazioni criminali
L’Unione Europea si vanta nella sua carta dei diritti di garantire al cittadino un completo diritto alla privacy sia che egli si trovi nei confini degli stati aderenti all’Unione, sia che si trovi all’estero. Pertanto la crittografia pubblica, che ci permette di poter trasmettere informazioni private in completa sicurezza, è legalmente ottenibile nei paesi membri. È quindi questo un ottimo segno del fatto che l’Unione si preoccupa per noi, a differenza di quanto succede in America, dove le dispute sono ancora aperte.
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Marcello Zanetti, IIB
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LE FAVOLE DELL’EUROPEISMO
In questi mesi si è parlato tanto di Europa, elezioni e quant’altro e sulle reti televisive italiane hanno fatto la comparsa pubblicità che elogiano la costruzione dell’organismo politico europeo. L’idea che viene fatta circolare è che l’Europa sia il frutto del raziocigno dell’uomo che ha deciso di non portare più la guerra, ma la pace. Insomma è iniziato quel processo di propaganda e di indottrinamento delle nuove generazioni al fine di creare una grande comunità europea che sia l’erede delle conquiste del passato: la pace, la libertà e la giustizia. Dicono che l’Europa sia pacifica, che non abbia un esercito e che non porti guerre. Peccato che la realtà sia ben diversa in quanto si sta sperimentando la creazione di reparti militari multinazionali, i quali andranno a costituire il futuro esercito europeo e un esempio lampante della politica pacificatrice è l’impiego di una brigata franco-tedesca in Centrafrica. Certamente possiamo però riscontrare, almeno in questo frangente, come tedeschi e francesi non litighino più! L’idea di Europa ha radici antiche, si può ritrovare qualcosa di analogo in Kant, il quale nel suo scritto “Per la pace perpetua” ipotizza la costruzione di un organismo sovranazionale che abbia come fine la pace. In qust’opera politica si parla anche di smilitarizzazione degli
eserciti permanenti e di quella che potrebbe essere considerata l’antenata della cittadinanza europea, ovvero il diritto per ogni uomo di essere ospitato in un altro paese. Purtroppo Kant non ha potuto assistere al mutamento profondo che il sistema capitalistico ha prodotto non solo nella vita quotidiana, ma più in generale nelle relazioni internazionali ed in particolare nelle varie politiche imperialistiche, preludio dei due grandi conflitti mondiali. Ed è proprio dopo il secondo conflitto mondiale che l’idea di un’Europa unita tornò a farsi sentire. Con la spartizione imperialistica e la divisione del mondo in blocchi, gli USA decisero di ridurre le spese militari per le truppe di occupazione in Europa e per questo incentivarono una politica di riarmo degli stati membri della Nato, compresa la Germania Ovest. Il riarmo della Germania era inaccettabile soprattutto per la Francia, la quale inizialmente si oppose, ma il 9 maggio 1950, per bocca del Primo Ministro Robert Shuman, fu presentato un piano di gestione sovranazionale dell’attività estrattiva del carbone e dell’acciaio. Nacque così la CECA (comunità europea del carbone e dell’acciaio), la quale doveva essere uno strumento che consentisse la pace tramite la messa in comune di queste due materie prime che all’epoca erano indiespensabili per una qualsiasi politica di riarmo. Questo fu, dunque, il primo passo che avrebbe poi portato all’Unione Europea.
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Fin da subito l’Europa è stata il tentativo, promosso anche dagli Stati Uniti, di costruire una sorta di terzo blocco quasi autonomo dal punto di vista
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E proprio a cent’anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, mentre tutti parlano di pace, tutte le potenze si riarmano, persino la pacifica Europa ha messo in cantiere un esercito proprio. I nazionalismi hanno sempre diviso l’umanità, oggi come ieri. Che differenza fa se il nazionalismo diventa “continentale”? Perchè questa volta l’emergere di nuove potenze non dovrebbe finire in un disastro mondiale come nel Novecento? Ai posteri l’ardua sentenza. Chiamatemi pure utopista, ma un’Umanità unita sotto un’Unica bandiera, per me, è un sogno ancora La costruzione dell’Unione Europea è infatti la realizzabile. risposta alla crescita spropositata della Cina, al Paolo Sottocasa, IIIA declino della potenza statunitense e all’emergere di nuovi colossi quali il Brasile e l’India. Le borghesie nazionali europee hanno constatato quanto i paesi che una volta si ritenevano arretrati stiano esplodendo sul mercato e quanto la Monarchia. Può essere una parola che oggiloro forza sia insormontabile se si rimane entro giorno suscita strane impressioni, in fondo la la cerchia di un’economia nazionale. Nell’econo- maggior parte delle nazioni è una repubblica, mia di mercato, quello che conta è l’incessante noi viviamo in una repubblica, “monarchia” a riproduzione del capitale su basi allargate, dun- pensarci bene fa venire in mente solo il Regno que, la sua valorizzazione e per ottenere ciò Unito. Ma la monarchia può essere molto di più, servono grandi gruppi che possano contrastare infatti è una forma di governo ancora ben prequelli avversari. Il mondo dunque si avvia verso sente anche nella stessa Europa. Per citare solo una divisione tripolare. Mai bisognerà scordare alcuni paesi oltre al Regno Unito basti pensare a la lezione dell’internazionalismo, poiché l’unico Spagna, Paesi Scandinavi, Lussemburgo, Paesi modo per la classe operaia di superare illesa gli Bassi e ovviamente il Vaticano. eventi storici e di non essere strumento in mano alla borghesia è quello della solidarità di classe, Anche se non sembra molte repubbliche rasdella lotta di classe, quella lotta di classe che somigliano grandemente ad una monarchia; le tutti negano e stigmatizzano. Le nostre armi repubbliche presidenziali infatti prevedono che saranno allora la formazione e l’organizzazione appunto il presidente riceva un gran numero di per costruire una società diversa, il cui centro sia poteri decisionali cosa che lo rende di fatto se l’uomo con la sua soggettività e le sue proble- non di nome assai simile alla figura di un momatiche. Noi studenti possiamo avere un ruolo narca. Ovviamente la forma di monarchia atchiave, basta non farsi contagiare da ideologie tualmente più utilizzata è quella parlamentare avvelenate come i nazionalismi e decidere di e non quella assoluta o quella costituzionale. La non stare con nessuna potenza. Rendiamo ogni monarchia parlamentare si differenzia da una giorno un Primo Maggio in cui vedere lavoratori repubblica presidenziale solo per il fatto che il e studenti insieme per ribadire un concetto fon- monarca ha un mandato privo di scadenza, la damentale: il Primo Maggio è una lezione della successione è ereditaria e il re in casi di grave crisi può richiamare a sé tutti i poteri incarnando storia... “Historia magistra vitae”. la figura del dittatore della Roma repubblicana. militare e con funzione di cuscinetto, che fosse in grado di fermare un’ipotetica invasione sovietica. Tutto ciò fu dettato dalla necessità statunitense di ridurre le spese militari in Europa per reimpiegarle nel sudest asiatico. L’unificazione, però, è andata avanti fino ai giorni nostri e ha visto l’entrata nella zona euro di 28 paesi, molti dei quali stati satellite del Patto di Varsavia. Nel 1991, con il crollo dell’URSS, si esce dalla logica dei blocchi “ideologico-politici” e si entra in quella dei blocchi economici.
Viva la Monarchia
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tati eccellenti, ma la svolta nella sua vita si ebbe quando iniziò a lavorare presso la clinica psichiatrica dell’Università di Roma occupandosi del recupero dei bambini “anormali” (come venivano definiti): osservando i piccoli disabili, la Montessori si convinse che essi potevano essere integrati nella società attraverso un percorso educativo e, in seguito, sviluppò il suo innovativo pensiero pedagogico, il cosiddetto “Metodo Montessori”. Secondo Maria, il bambino doveva crescere in un ambiente che lo mettesse a suo agio e che gli permettesse di esprimere la propria creatività e di imparare rispettando i suoi tempi e la sua volontà (da qui gli spazi “a portata di bambino”, per esempio con le maniglie delle porte più basse del normale, e i materiali didattici appositaQuando all’interno del paese c’è un acceso di- mente studiati). battito politico e un cittadino è invaso dal dubbio su cosa potrà accadere, su chi tra i difensori In anni di bacchettate quali quelli in cui visse la delle varie correnti di pensiero meglio incarna le dottoressa marchigiana, la diffusione di una pesue speranze, ci sarà sempre e comunque il so- dagogia basata sulla naturale curiosità e capacivrano a calmare i suoi timori garantendo che an- tà cognitiva dell’essere umano avrebbe potuto che se compirà la scelta sbagliata c’è qualcuno incontrare il ostacoli insormontabili, eppure tutpronto a rimediare e a riportare tutti nella giusta to il mondo la accolse positivamente e ancora oggi esistono scuole Montessori in ogni Paese. direzione. Ogni volta che sento del metodo stile Mary PopGIGE DA DODONA pins sviluppato da quella piccola grande donna, non posso fare a meno di confrontarlo con quello con cui ho a che fare da quando avevo sei anni. La scuola italiana ha un bel po’ di problemi, lo sappiamo bene, ma uno non irrilevante è la scarsa attenzione prestata agli alunni quali 1896. Mentre nel Klondike inizia la corsa all’oro, INDIVIDUI DOTATI DI PENSIERI, ATTITUDINI i fratelli Lumière sconvolgono gli spettatori con ED EMOZIONI. Programmi da seguire, verifi“L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat” che da somministrare (manco fossero medicine e ad Atene si svolge la prima Olimpiade, nella amare), abilità da valutare, ecco a cosa si ridunostra bella penisola una ragazza marchigiana ce troppo spesso quel periodo di tempo che va discute la sua tesi: è Maria Montessori, la prima da settembre a giugno; non c’è interesse verdonna a essersi laureata in medicina nell’Italia so ciò che il ragazzo crede o prova, né rispetto unita. per le sue inclinazioni e i suoi tempi, semplicemente un obiettivo da raggiungere perché il Maria Montessori è stata una di quelle fanciulle ministro del Governo vigente ha deciso così. che rendono le altre fanciulle orgogliose di far Io credo che sia una vera e propria ingiustizia. A parte del gentil sesso. Figlia di genitori istruiti, causa di insegnanti incompetenti e schizofrenici, dopo gli studi si fece notare per ricerche dai risul- di presidi indifferenti e di chiunque si occupa in Ora forse vi chiederete il perché di questo mio discorso; perché qualcuno dovrebbe parlarci della monarchia? Perché secondo me è una forma di governo garante di maggiore stabilità. Non pretendo di risolvere il dibattito eterno su quale sia la migliore forma di governo, ma semplicemente esporre la mia personale visione a riguardo. Perché quindi ho scelto la monarchia? Perché il fatto di avere la figura di un re a guidare il paese dà un caposaldo all’opinione pubblica, arginando le crisi che si possono venire a creare a livello di partiti parlamentari. Di fatto il re incarna la fiducia del popolo in un governo che difenda il loro diritti e grazie ai poteri di cui ancora è rivestito può effettivamente agire in tal senso.
THE MOST INTERESTING WOMAN OF EUROPE
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modo superficiale del sistema scolastico, milioni e milioni di giovani menti vengono private del piacere della scoperta, che si riduce allo studiare quello che serve per prendere il bel votino, e tanti altri si vedono umiliati in quanto meno “dotati”.
A parer mio, la formazione culturale di un individuo coincide, almeno in parte, con quella umana, perché contribuisce a plasmare il suo pensiero e ad aprire la sua mente, ma troppi “addetti”(con le dovute eccezioni, ci mancherebbe) prendono sotto gamba il loro ruolo e non capiscono di avere la responsabilità di aiutare le nuove generazioni a liberarsi dall’ignoranza, madre di cancri come il razzismo, l’omofobia e la violenza.
pazzesca dei traduttori italiani, oltretutto). Fatto sta che i due chiamano il film “Se sei vivo spara”, poi portato all’estero come “Django Kill”, sulla scia del successo del film con Franco Nero dell’anno prima, ma la traduzione è completamente a cazzo, nel senso, una trovata commerciale. Ci sono tutte le premesse per un film di mmerda insomma. E invece no. Giulio Questi non è un registello della prima ora, non fa il mestiere per guadagnare, è un bergamasco che si è fatto le ossa, fisicamente con la resistenza post 8 settembre, e cinematograficamente con una serie di documentari, alcuni entrati nell’agenda cult di film maledetti(“nudi per vivere” 1964, ritirato dalle sale, e resuscitato pochi anni fa dalla cineteca di bologna, un solo esemplare in pellicola, girato insieme a Montaldo e Petri). Arcalli invece è uno sceneggiatore esperto, che poi sfonderà scrivendo per Antonioni (“Zabriskie Point”) e Bertolucci(“Il conformista” e “Novecento”). I due buttano nella sceneggiatura cose apparentemente discostanti dal genere, e il risultato è un film cruento e sanguigno, cinico e a tratti geniale.
La componente principale della scuola siamo noi, gli alunni, anche se quasi nessuno ci ascolta. Spero che quando verrà il nostro turno di amministrare questo Paese non cadremo negli stessi errori dei nostri padri e nonni, perché vorrebbe dire che il bambino non apprende sperimentando sulla propria pelle e che non è in grado di trarre delle conclusioni da ciò che vive, contrariamente a quanto sosteneva quella Maria Mon- L’impostazione è classica: un messicano(Thomas tessori che il New York Tribune del 1913 definì Milian) viene tradito dai suoi compagni dopo una “the most interesting woman of Europe”. rapina. I compagni si ritrovano però in una città assurda per cui se sei un criminale muori, cioè Sara Latorre, I D ti torturano, ti impiccano, ti mettono in mostra come trofeo divulgativo di una legge che deve essere rispettata. Giudici che diventano carnefici e colpevoli, un west già in partenza nero, senza C’ERA UNA VOLTA IL WEST, A BERGAMO. via di scampo, chiuso in una struttura non areata. Era il 1967, e fu un casino. Un vero casino. Giulio Thomas Milian cerca vendetta, ma rimaQuesti e Franco Arcalli scrivono un film, un we- ne incastrato in qualcosa più grande di lui, stern per l’esattezza. Sono gli anni di Sergio Le- in un mondo che ha perso valori, nella corone, dello spaghetti-Western, di un genere che ruzione, in una religione più che mai fallinon è più né John Wayne né John Ford, né Howard mentare, nel nulla. L’epilogo è tragico e inHawks né Gregory Peck. Gli indiani d’ America cendiario, sfumato nel suo non essere finale. scompaiono dal cinema e con loro la carica ideo- Il film esce ma viene vietato ai diciotto anni. logica di quei film che tanto avevano accresciuto La censura ha paura. Da due ore di pellicola lo il mito nazionale americano, quella tendenza a portarono a 90 minuti, tagliando in particolare bollare i nativi come “Ombre rosse”(Svarionata lo scotennamento di un indiano, gli abitanti del
SE SEI VIVO SPARA
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paesino che strappano a mani nude i proiettili d’oro dal corpo di un morto, e cavalli sventrati da una bomba. Passa un mese e il film viene sequestrato e per dieci anni scomparirà nel nulla.
La cifra significativa del cinema di Questi diventa così la violenza, una violenza che non è solo distruzione, ma anzi, diventa allucinazione, visione deformata della vita. Thomas Milian (strabiliante giuro, meglio del solito) parla poco, ed è accompagnato da due misteriosi indiani, sorta di angeli accompagnatori. La visione deviata e le inquadrature ravvicinate trasmettono insicurezza, e la prima ora di film è veramente bella. Poi stucca un po’ e rischia di cadere in alcune convenzioni del genere, ma film imperfetti se ne vedono tanti. E forse anche questo lo è, ma ha qualcosa per cui vale la pena andare avanti, un inconscio fascino. (Per noi homini del 2000 non è per nulla violento, se vi può rassicurare). Abbiamo due registi bergamaschi degni di essere ricordati nell’albo d’oro, uno l’antitesi dell’altra, Olmi e Questi, l’uno un grandissimo(da riscoprire i suoi primi film) quotidianista tradizionale, l’altro un dinamico rompischemi. Questi è poco ricordato purtroppo, ma il suo estro straniante ha la fama di Cult, specie se si considerano i suoi ultimi film, tra cui “La morte ha fatto l’uovo” 1968 (sapiente thriller ) e il maledettissimo e assurdo “Arcana” del 1972, che consiglio caldamente se siete appassionati di film malati e fuori di testa (e pronti a vedere tazze che volano e gente che vomita rane). Gli anni settanta sono anni fortunati per il cinema, specie quello italiano. C’è dentro di tutto, sfondano in molti, ma l’idea che da Bergamo si possa finire in Messico, fra sparatorie e Cowboy, fra corse all’oro e saloon di bassa portata, segna la fine dell’astrazione utopica, e un nuovo inizio verso la dialettica trascendentale. E tralasciando questi scherzi retorici, consiglio di scaricare illegalmente uno dei tre film citati nell’articolo, e poi divertitevi ed entrate nel vortice di disperate sensazioni di un uomo che adesso ha
quasi novant’anni, ma che trova ancora il coraggio di prendere una videocamera in mano, e girare cortometraggi da solo, in casa propria. Dicono che il proibizionismo verrà abolito, nel frattempo sdraiatevi sul divano e aspettate. “Lei sa sparare bene, può andare dove vuole” Paolo Bontempo, IID
Singin’ Drunken Lullabies (Marianna Tentori va a concerti che non si merita)
Fra un sorso di birra per le verdi brughiere, una commedia di Oscar Wilde, una tavoletta di cioccolato alla Guiness (io una volta ho provato a farlo ed è un miracolo se sono scampata all’arresto: sempre meglio non farmi cucinare e affidarsi all’originale) ed un romanzo di Joyce, un bel giorno dall’Irlanda arrivarono i Flogging Molly. Neanche più giovanissimi ormai, patriottici fino all’ossessione (e va beh: sono irlandesi) e, secondo me, tanto tanto bravi. Nella mia ignoranza musicale, paragonabile a quella di uno scaricatore di porto dublinese (tanto per restare in tema), vi avrei detto che suonano musica Irish folk; Wikipedia mette una mano pietosa, e corregge in “celtic punk, pop punk, punk revival e alternative rock”. Ma non volevo lanciarmi in analisi musicologiche assolutamente fuori dalla mia portata; più semplicemente, volevo coinvolgervi nella mia passione per questo gruppo scoperto quasi per caso circa un anno e mezzo fa. Cominciamo col dire che ho avuto la fortuna di sentirli dal vivo: grazie ad un’intrepida amica che fece Brescia-Bergamo a mezzanotte passata con il terrore dei camion, il 18 agosto 2013 ho assistito al concerto dei Flogging Molly al Festival di Radio Onda d’Urto (che si tiene ogni anno e al quale consiglio tutti di andare perché è molto carino). Oltre all’enorme salto di qualità dell’ascolto, dal mio ipod a dieci metri da me, mi è piaciuto anche il loro modo di fare durante il
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concerto: nelle pause fra le canzoni parlavano al pubblico affabilmente, facevano battute (buttavano giù un po’ di alcol…)…alla Guccini insomma. Entrando invece un po’ più nel merito, quello che mi piace della loro musica è la particolarità di ogni canzone, la sua unicità (e non che alla fin fine siano originalissimi nel variare lo stile, ve ne accorgete dopo che avete ascoltato qualche canzone): da cover ben fatte come “The times are a-chancing” a pezzi ballabili come “Drunken Lullabies”, al ritmo travolgente di “With a wonder and a wild desire”, alla musica meravigliosa di “Whistles the wind” o al testo dolcissimo di “If I ever leave this world alive”, per non parlare dell’aulicità del titolo di “Kiss my Irish ass” (non mi pare di essermi mai azzardata ad ascoltarla, quest’ultima), ogni brano costituisce un’opera a sé stante, godibile anche da un profano totale di questa band, e magari abbastanza intenzionato a rimanere tale. Dunque, ecco a voi (in pillole, me ne rendo conto, ma sono le undici meno un quarto e ho il terrore di aggiungere strafalcioni sintatticogrammaticali a quelli musicali, e soprattutto credo di aver fatto passare quello che per me è essenziale) i Flogging Molly! Non lasciateveli sfuggire, e buon ascolto! Marianna Tentori, IIB
Ciak si gira! Stanley Kubrick Stanley Kubrick fu un regista, sceneggiatore, produttore, montatore, scenografo e fotografo americano, nato a New York nel 1928 e morto a St. Albans nel 1999 all’età di 70 anni. È considerato tra i migliori cineasti della storia del cinema in particolare per il suo grandioso eclettismo che lo portò, nel corso della sua carriera, ad affrontare con grande abilità ogni genere di film: dal noir all’horror, dalla commedia nera alla fantascienza, passando per il thriller e arrivando fino ai “war film”. In totale ha diretto tredici lungometraggi, per
ognuno dei quali è stato candidato al Premio Oscar, che vinse solo nel 1969 per i migliori effetti speciali con il film “2001:Odissea nello spazio”. La sua passione per gli audio-visivi incominciò fin da giovanissimo, quando, all’età di 13 anni, il padre gli regalò la sua prima macchina fotografica. Incominciò così a seguire studi artistici di fotografia in parallelo con i suoi impegni scolastici; in questi anni inoltre si avvicinò alla poesia simbolista e alla filosofia, in particolar modo quella di Nietzsche, che influenzò fortemente la sua carriera negli anni successivi. Dopo essersi diplomato, nel 1967, venne ingaggiato come fotografo dal magazine “Look”. Con il denaro guadagnato in questo periodo si pagò gli studi presso l’Accademia di Arte Cinematografica, decidendo di volersi occupare completamente di cinema. Nel 1953 uscì il suo primo lungometraggio “Paura e desiderio” (Fear and desire), che gli permise di prendere confidenza con la tecnica cinematografica. Stanley Kubrick è ricordato per essere stato uno dei registi più ossessivi nella storia del cinema: attento a ogni particolare poteva passare ore a studiare e curare ogni inquadratura, con una cura maniacale per l’illuminazione, la prospettiva e la posizione dei personaggi e degli oggetti in scena. Come causa di questa attenzione possiamo addurre due diverse motivazioni: la sua grande passione per la fotografia, che cercava di riversare nei suoi film, e il fatto che tendenzialmente le sue inquadrature fossero prolungate, a tratti quasi esitanti, così da lasciare lo sguardo dello spettatore libero di indugiare su ogni componente scenica e di indagarne i significati. Nei film di Kubrick preponderante non è il dialogo tra i personaggi, ma vi è una predilezione per il silenzio, lasciando che siano solo i movimenti di camera a esprimere sentimenti d’inquietudine, paura e drammaticità, per fare in modo che lo spettatore venga in qualche modo gettato nella realtà scenica rappresentata, facendogliela vivere in prima persona. Esempi illustri di questa capacità comunicativa possono essere due sequenze tratte da “Shining” e “Full Metal Ja-
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cket”. Nella prima, la cinepresa si muove con un movimento libero, cioè autonomo nell’ambiente, seguendo la traiettoria del piccolo protagonista, Danny, che corre sul suo triciclo lungo i corridoi dell’Overlook Hotel, finchè il bambino non esce di campo, dopo aver svoltato alla fine del corridoio; a questo punto la telecamera indugia ancora per qualche secondo sullo spazio vuoto e immobile, generando nello spettatore un momento di tensione, che preannuncia la sequenza successiva nella quale compariranno i fantasmi delle due gemelle un tempo massacrate in quello stesso hotel. Nella seconda, invece, la cinepresa si trova a pochi centimetri dal suolo e segue un gruppo di soldati che avanza verso un villaggio nemico; la velocità di avanzamento irregolare e la traiettoria ondulante e instabile sembrano voler proiettare lo spettatore nel sentimento di paura e circospezione vissuta dai soldati, sebbene i movimenti di camera non possano essere definiti delle vere e proprie soggettive, dal momento che la cinepresa è troppo bassa per fornire una tale prospettiva. Nelle inquadrature di Kubrick possiamo notare, come già accennato sopra, un’attenzione per la resa prospettica e un forte senso geometrico. Si è notato infatti che, per creare atmosfere inquietanti o suggestive, il regista si avvale di una prospettiva così detta “ad un punto”, che prevede l’utilizzo di linee parallele convergenti in un punto di fuga centrale; inoltre dividendo a metà il fotogramma è possibile riscontrare una perfetta simmetria e specularità tra i due semipiani. Importante per il regista è anche il suono, in particolare lo stretto rapporto tra musica e immagini, sempre volto a coinvolgere ed emozionare lo spettatore. Un esempio tra tanti è la forte contrapposizione creata nel film “Arancia Meccanica” tra la musica di Ludovico Van Beethoven e le immagini di ultraviolenza proposte nel corso della pellicola. Il tema principale nei film di Kubrick è la titanica lotta tra bene e male, la volontà di mostrare la vera natura dell’uomo, che tende sempre, suo malgrado, a compiere il male. La violenza, l’odio, la perversione sessuale, sono infatti realtà
che non possono essere sradicate né dalla società, né dall’interiorità dell’essere umano. Da qui nasce per esempio la critica sottesa posta da Kubrick nei confronti di Burgess, scrittore del romanzo di “Arancia Meccanica”, e della sua visione futuristica della società, dove al protagonista Alex De Large viene negata persino la libertà di scelta tra perseguire il bene o compiere il male. Le sceneggiature di questi film inoltre presentano una struttura ad anello, in cui il finale si rifà sempre all’incipit della pellicola; per esempio in “Arancia Meccanica” Alex ritorna al suo stato iniziale di malvagità, anzi, se possibile, ancora più cattivo di prima, perché cosciente dell’inevitabile presenza nella società del male, in ogni sua manifestazione. Kubrick contribuì infine all’innovazione di alcune tecniche cinematografiche, tra cui la steadycam (sfruttata principalmente in “Shining”), supporto meccanico indossabile dotato di un sistema di ammortizzazione che permette al cameraman di muoversi liberamente, persino correre, senza trasmettere vibrazioni alla macchina da presa. Insomma, per concludere sento di dover citare una frase di Kirk Douglas che riassume un po’ tutto quello che è stato detto finora: “Stanley Kubrick è una merda di talento!”. Giulia Argenziano, IIB
L’illusione del Niente Tutto svanisce e ricompare, si mescola e sparisce. Come sabbia sospinta dal vento, vortica e si assospisce. Tutto muta e rimane invariato in una confusione di colori, che in fondo sono solo un’illusione.
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Adriana Lirathni, IV
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“Ma io vorrei sapere, in tutta onestà, con che CUORE puoi farmi questo?” ormai Z urlava. X tirò un sospiro, si sistemò più comodo sulla poltrona e si massaggiò le tempie. “Senti” cominciò, conciliante “la stai prendendo nell’ottica sbagliata. Non deve avere un senso. Sei un personaggio di un romanzo, non esisti davvero. Se in questo momento mi prendessi una bella sbornia” e per un attimo la sua mente corse, con un guizzo di desiderio, al suo scaffale degli alcolici “se mi prendessi una sbornia, se andassi a dormire, se semplicemente uscissi a fare un giro, smetterei di pensare a te e tu scompariresti direttamente. Fattene una ragione. Sei un brav’uomo, hai pure fatto delle cose utili nella tua vita, quell’intuizione che ti è venuta a pagina 227 non è mica roba da tutti, cosa credi, però rassegnati. Devi morire. D’altronde capita a tutti. Cosa ci posso fare io? Si chiama espediente narrativo. Hai presente che schifo uscirebbe farti partire per l’Australia, farti diventare muto o che so io? Seriamente, non posso fare un finale così di merda. Niente di personale, ma dev’esserci il colpaccio finale, capisci? Scrivo gialli io, mica Harmony”. “Sì però… Ma dai, che schifo. Non riesco a farmene una ragione. Ma che senso ha così? Che senso ha avuto la mia intuizione geniale di pagina 227, se mi fai morire come un topo a quaranta pagine dal finale? A cos’è servita la laurea in fisica, cosa vuoi che me ne freghi dei miei cinque anni a Parigi, se poi devo finire così?” “Santo cielo… ma non capisci che la tua fine è ancora più tragica se avviene a fronte di tutta la tua intelligenza, la tua capacità di cavartela in ogni situazione ed il tuo successo? Mai letto l’Edipo Re? Eppure l’ho scritto bello chiaro a pagina 5 che hai fatto il classico. Adesso PIANTALA. Se la smetti di assillarmi vedrò… Boh, ti farò farò scrivere prima di morire una lettera in cui sveli una parte importante dell’enigma. Però… Beh, non so. Fammici pensare e vedrò che posso fare. E adesso va’ via!” Detto questo, X buttò giù l’ultimo sorso whisky, sbattè il
bicchiere sul tavolino e lasciandosi andare sulla poltrona chiuse gli occhi. Quando li riaprì, Z non c’era più. “Dio, che stress” pensò “che accollo di uomo. Credevo di non riuscire più a sbarazzarmene”. Si alzò dalla poltrona, percorse a passi lenti lo studio fino alla porta, uscì, scese le scale, entrò in salotto e fece per dirigersi verso il caminetto. “Non ti pare di averlo trattato un po’ male?” X fece un balzo, e si guardò attorno atterrito. “C-cos..?” “Sono qui” rispose tranquilla una voce proveniente dalla poltrona più vicina al caminetto. X si fece avanti. “Oddio!” Urlò, cadendo in ginocchio. “Oddio, oddio, oddio, non posso crederci!” e alzò gli occhi, colmi di reverenza. Semisdraiato con noncuranza sulla poltrona, con un portasigarette nella mano sinistra con cui giocherellava distrattamente, c’era Y, il poeta maledetto morto più di due secoli prima, il sommo, il leggendario, l’uomo grazie al quale X aveva capito di voler fare lo scrittore. “Maestro…” cominciò X, con le lacrime agli occhi “Maestro… Quale onore…” Y fece un gesto d’impazienza con la mano. “Lascia perdere. Perché fai fare quella fine atroce a quel poveraccio?” “Ma, Maestro… La suspance… Il finale… Le esigenze narrative…” “Oh, su, su, mon ami, risparmiami questo cumulo di fesserie. Questo è un problema che io mi sono posto a ventritrè anni, di sicuro non a quaranta. Noi scriviamo perché ci è necessario e scriviamo le cose in un determinato modo perché sentiamo che non possono essere scritte altrimenti, però c’è un po’ dello scrittore in ogni personaggio. Sii un po’ onesto con te stesso… Perché non sei riuscito a far finta che un giovane genio possa inevitabilmente trionfare? Era un romanzo, che ti costava? La verità, mon frère, è che tu sei un po’ un fallito. E lo dico con affetto, perché in duecentoquarant’anni un seguace così fedele e appassionato come te io non l’ho mai avuto, ma sei un fallito, e hai anche una discreta consapevolezza di esserlo, nonostante tu ti ritenga intelligente. Ecco perché hai fatto fare quella fine a quel buon diavolo di Z. Se lo ammetti, sarai solo uno scrittore migliore”. “Io… Io…” X chinò il capo, sconfitto. “Ascol-
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narrativa
ta Maestro… Ti ho aspettato per tutta la vita, ogni sera sognavo che tu apparissi qui, nel mio salotto, e rivelassi il senso della vita, dell’arte e della letteratura… E’ comunque un onore che tu sia venuto fin qui per me… Però… Io non… Proprio non riesco a…. Sì, hai ragione, diamine, hai maledettamente ragione… Povero Z. Non se lo meritava davvero. Però… però non me lo merito nemmeno io!” X ebbe un sussulto, si levò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro davanti alla poltrona “l’hai detto anche tu! Io sono intelligente! Sono talentuoso! Non c’è una sola ragione al mondo per la quale io debba… A meno che…” X s’interruppe, la sua testa scattò a fissare Y negli occhi “Ma sì… a meno che anch’io non sia un personaggio di un tuo racconto! Tutto questo non è mai successo! Io non sono mai esistito! Tu puoi ancora cambiare le cose! Tu puoi ancora riscrivere il finale! IO LO SO!” “No, no, mon chère, no” disse Y con dolcezza “non è così. La mia ultima riga io l’ho scritta molto tempo fa. Tu sei vivo, reale. La tua storia devi scriverla tu. Non sei più giovanissimo, d’accordo, ma hai sempre avuto una discreta penna. Hai le capacità per scrivere quello che vuoi, per te. Basta che la smetti di ammazzare poveri personaggi innocenti, e ti dedichi al tuo finale. Almeno, prova a buttarlo giù. E poi, quel che sarà sarà.”
X ricadde in ginocchio, le mani sugli occhi ed un tumulto di sentimenti contrastanti nel cuore, che facevano a pugni fra loro. Quando li riaprì, era solo nella stanza. Marianna Tentori, IIB
il rischio «Accetterai quel lavoro?». La luce del sole filtrava attraverso le foglie, il cielo era terso, solo poche nuvole si rincorrevano in quella macchia indistinta color indaco, e i lunghi capelli rossi di Margaret erano sparsi tra l’erba, scompigliati. Lei se ne stava distesa sul prato verde col suo vestito estivo preferito, teneva gli occhi chiusi e si
tamburellava il petto con le dita. Mi pose quella domanda con improvvisa serietà, preoccupata. Io cercai la risposta lontano da noi, volgendo lo sguardo verso un gruppo di bambini che si rincorrevano felici. «Non posso abbandonare tutto e andarmene così», risposi quasi soprappensiero. «Insomma, la Nuova Zelanda è molto lontana». Tornai a osservare Margaret che nel frattempo si stava puntellando sui gomiti per potermi osservare meglio. Capì immediatamente che più che convincere lei con quella frase, tentavo di convincere me stesso e aggrottò le sopracciglia in segno di protesta. «Ma sarebbe la tua grande occasione, vuoi veramente sprecarla?». Mi avvicinai a lei e sorridendo e le accarezzai il viso. «Ci saranno altre opportunità per me in futuro, ne sono certo. Per ora sto bene qui dove sono, con te, non ho bisogno d’altro». Non era convinta, glielo si leggeva in faccia, ma alla fine dopo un lungo sospiro ricambiò il mio sorriso. Il parco cominciò ad affollarsi, si era fatto tardi e Margaret si alzò d’improvviso scrollandosi dalla gonna i fili d’erba che vi si erano attaccati. «Devo correre in negozio, sono in ritardo. Ci vediamo a casa sta sera», disse prima di chinarsi a scoccarmi un rapido bacio sulla guancia e dirigersi a passo svelto verso la fermata del tram. La guardai mentre diventava un puntino tra la folla e svaniva all’orizzonte. Decisi poi di avviarmi verso l’appartamento in cui da poco ci eravamo trasferiti. Durante il tragitto ebbi il tempo di ripensare a quello di cui avevamo parlato poco prima. La decisione che ho preso è quella giusta, pensavo. Trasferirmi in Nuova Zelanda ora che io e Margaret avevamo finalmente deciso di andare a vivere assieme sarebbe stata la scelta più insensata che potessi mai prendere. Sebbene fosse il mio sogno ottenere un ingaggio come fotografo per una rivista in un paese straniero, questo non poteva realizzarsi, non in quel momento per lo meno. Non potevo abbandonare tutto quello che eravamo riusciti a creare.
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narrativa
Arrivai a casa, passando in rassegna tutti i pro e tutti i contro della mia decisione, senza accorgermi di una busta abbandonata a terra proprio davanti alla porta d’ingresso. Soltanto quando la calpestai, notai la sua presenza. Incuriosito, mi chinai per prenderla. Era completamente bianca, non vi erano né l’indirizzo del destinatario, né il nome del mandante e neppure il francobollo, come se fosse stata lasciata a mano proprio davanti casa nostra. Mi guardai attorno con circospezione. Non notando nessuno, entrai nell’appartamento e mi andai a sedere sul vecchio divano che campeggiava nel centro del loft. Perplesso, mi rigirai tra le mani la lettera cercando di trovare una spiegazione, finché non presi coraggio e la lessi. C’erano poche parole, scritte a mano da una grafia che per quanto tremolante mi sembrava famigliare:
gio. Erano le ventuno esatte. Un cameriere mi si avvicinò amichevolmente. «Signor Harris?». Lo guardai stupito. «Sì, sono io». «Prego, la stanno aspettando», mi fece strada conducendomi verso il tavolino più isolato della sala. Un uomo stava seduto dandomi le spalle. «Ecco, si sieda pure, intanto io vado a prendervi il menù», il cameriere si congedò, lasciandomi solo. Io presi posto di fronte all’uomo che ora riuscivo a vedere in volto. Rimasi paralizzato, mentre un brivido mi percorreva tutto il corpo. L’uomo che avevo davanti era sulla sessantina, aveva i capelli brizzolati ed era vestito con un completo color cachi a coste. Il viso, sebbene solcato da profonde rughe e occhiaia violacee, era il mio. Sembravo io a sessant’anni…anzi, ero proprio io.
“Vediamoci sta sera alle 21:00 al ristorante vici- «Vedo che hai già capito», disse ridacchiando il vecchietto, poi tornò immediatamente serio. no alla stazione. Ti devo parlare.” «So che può sembrarti strano, ma sono tornato Il messaggio non era firmato, proprio come la indietro per avvertirti,quindi ascoltami attenbusta che lo conteneva, e non riuscivo a capire tamente». Tenni gli occhi fissi su di lui a bocca chi mai volesse incontrarmi per parlare e so- spalancata. Nel frattempo il cameriere tornò prattutto di cosa volesse discutere. Continuai a con i menù, chiedendoci cosa desideravamo osservare la grafia cercando di capire di chi fos- da bere nell’attesa. Il mio io sessantenne rispose. Forse è un mio amico che mi vuole fare uno se per entrambi e congedò nuovamente il cascherzo, pensai. Eppure nessuno dei miei amici meriere. «Ma tu…chi….cosa…come fai a….? », biascicai io. «Senti, non posso dirti molto, sappi aveva quella scrittura… solo che nel futuro si potranno fare molte cose e Dopo qualche tentennamento, decisi di andare tra queste anche fare una capatina nel passato. all’incontro. Lasciai un messaggio a Margaret, Ora però ascolta bene: devi accettare il lavoro in dicendo che avevo avuto un contrattempo e che Nuova Zelanda e lasciare Margaret». Capii che le avrei spiegato tutto non appena fossi tornato non era una proposta ma un vero e proprio ora casa, e mi avviai verso il luogo dell’appunta- dine e cominciai a irritarmi. «Cosa vorrebbe dire mento. che devo lasciare Margaret e accettare l’ingaggio?». Il ristorante in questione si trovava proprio di fronte alla stazione, nella zona più malfamata «Quello che ho detto. Lei ti farà soffrire, si standella città. Si stava facendo buio e l’aria era umi- cherà di te e si metterà con un altro e tu resterai da, pesante. Inspiravo a fatica, col torace gonfio solo, senza un lavoro che ti soddisfa e avrai spred’ansia e preoccupazione. cato la più grande opportunità della tua vita… Guardami, ti sembra che io sia felice? Rimpiango Entrai nel ristorante. C’erano poche persone e i ogni giorno di non aver realizzato il mio sogno… più dovevano essere pendolari. Guardai l’orolo- il nostro sogno». Il suo viso si rabbuiò mentre di-
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stoglieva gli occhi da me e giochicchiava nervosamente con le posate. Mi fermai per un attimo a riflettere. Ciò che mi aveva appena rivelato mi cadde addosso come una secchiata d’acqua gelida. Margaret mi lascerà?, pensavo, sbigottito. Non potevo crederci. Non volevo crederci. «Non è possibile…», sussurrai. Lui tornò a guardarmi e mi diede una pacca sulla spalla per consolarmi. «Lo so che è dura e che ti sembra assurdo, ma anche se credi che lei sia la donna della tua vita, non è così. Vuoi davvero sprecare tutta la tua vita per una donna?». La domanda mi colse di sorpresa. Provai a immaginarmi dall’altra parte del mondo senza Margaret, ma tutto ciò non mi era possibile, nemmeno dopo quello che il mio io sessantenne mi aveva rivelato. Probabilmente avrei vissuto di rimpianti per non aver accettato il lavoro e sarei rimasto solo, ma almeno avrei avuto la consapevolezza di averci provato e di non essere fuggito alla prima difficoltà. Così la risposta mi venne spontanea:«Correrò il rischio». Giulia Argenziano, IIB
retrica Quando mi hai detto che non volevi niente, niente se non la certezza che io fossi lì e da nessun’altra parte, forse non mi seguivi ancora su ask.fm. Quando su quella panchina ti batteva il cuore ed appoggiavi la testa sulla mia pancia, non potevi sapere che due mesi prima un anonimo mi aveva chiesto “voti i nomi?” e tra questi nomi c’eri anche tu. Ti votai 7/8, due mesi prima. Due mesi prima di scrivere alla Rocca i nostri nomi con un’infinito di mezzo. Due mesi prima che iniziassimo a scriverci sempre “ti amo” alla fine di ogni conversazione su Whatsapp. Mi sembrava naturale. Ci mandavamo serie interminabili di emoticon: quella con la faccina che manda un bacio, quella con il ragazzo e la ragazza per mano, quella con la bocca rossa e poi i cuori... miliardi di cuori rossi gialli verdi viola rosa blu, con le stelline, con la freccia di
cupido in mezzo. Talmente tanti cuori, talmente tanti “che fai amore?”, talmente tanti papiri su casa tua, sui tuoi compagni, su noi due, che la conversazione smise di funzionare. Dati eccessivi nella cronologia. Allora ricordo che tu installasti Facebook Messenger e iniziammo a scriverci sempre lì, anche se non ti andava perché avevi paura che tuo fratello vedesse la conversazione dal computer in camera vostra. Ci vedevamo due volte al mese per colpa mia che stavo in Friuli e i miei non mi lasciavano scendere a Bergamo tutti i weekend. Quando litigavi con tua madre mi chiamavi e piangevi al telefono per ore, Viber o Skype. Non sapevo fare altro che prometterti “appena posso prendo il treno” e quando ero lì, quando ero fisicamente lì, tu eri diverso. Sembravi tipo realizzato quando mi correvi incontro in Piazzale Marconi, fuori dalla Stazione. Una volta mi dicesti: “Questo è tutto quello che posso chiedere: averti qui ed essere assolutamente certo che tu non sia con qualcun altro, forse è stupido, ma è così”. Stupido, sì. Non capivi che in quel momento io ero ancora in Friuli, ancora in discoteca, ancora a scuola, ancora in gita, sempre e comunque con qualcun altro. Le foto nei club di provincia in cui le amiche mi taggavano. Mentre ti baciavo in Piazza Vecchia, a Pordenone qualcuno metteva “Mi piace”. Mentre camminavamo verso gli spalti e mi prendevi la mano, qualcuno su ask mi chiedeva “parlami del tipo di Bergamo” e io dieci minuti dopo rispondevo con una selfie di me e te abbracciati in cui ero uscita bene io, non tu. La stessa foto fatta con Retrica e quell’effetto vintage. Il tempo dell’upload, un sorriso e poi il gesto definitvo. Semplice, come accorciare le distanze per sempre. Ora dicono tutti omicidio premeditato, solo perché mi ero portata la pistola del nonno militare, ma ti giuro: è stata più istantanea come cosa, più spontanea, più concreta. #io #ilmioragazzo #bergamo #tiamo #damorire
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Martino De Piori, IID
narrativa
Malato, dicevano. Moribondo, sussurravano.
io la sesta ora non la reggo
<< Domattina Caleb passiamo ancora un attimino in ospedale>>
Aspettare
Risposi sbottando più per l’amarezza di dover pagare il parcheggio che per altro.
avvenimenti cosmici in terrazza.
Non so farlo il caffè io e allora metà hamburger avanzato me lo facevo andare per colazione.
Guardarsi attorno
Servizio a domicilio e non pagavo troppo, lo stemma rubato della Mercedes al posto del numero d’appartamento mi risparmiava la mancia.
confusi
Mi sentivo come quei fasulli letterati che non sapevano improvvisare la storia di una festa senza festeggiato. Riflettevo e non sapevo se fosse una provocatoria autocritica la mia o un istinto di superbia. Anche a scrivere male bisogna avere un certo stile.
e fingere lentamente di passeggiare nel silenzio statico del sole, quasi ad alzarsi
Le giornate che prima erano squilibranti anacoluti ora diventavano il frettoloso finale di una lenta intimità con la malinconia.
un po’ sulle punte per guardare meglio là in alto
Da piccolo mi ripetevano che non nascevo da un grembo illibato: mi sentivo comunque più figlio di Cèline che di una puttana.
da dove verrà l’apocalisse. Pietro Raimondi, IID
storie di wretched town - il finale
<< Portami alla fermata del quarantadue. Andiamo oggi in ospedale >> Strano che passasse la metro sotto i piedi e gli orari del pullman erano scritti a matita tra le irregolarità della parete che distingueva la fermata dai magazzini della fabbrica.
Giocavamo a carte segnando i punti sopra con- Sbagliavo a non chiamare l’ambulanza ma pregerie di cartoline sciupate e l’alba ci sputava sul ferivo crepare tra lo yiddish stretto dei contabili rossore delle guance gli indici tediosi dell’estate. della ditta che tornavano a casa che con una flebo nel braccio e le mascherine delle infermiere. Il posacenere di vetro rifletteva la lanugine delle grinza di Kelsie mentre il mozzicone incendiava Ascoltavo attentamente con la radiolina di un estinte emozioni e quando i vezzi diventano in- ragazzo lì vicino i risultati della National League solite crisi di paranoia mi facevo un caffè. e scontento guardavo la schedina. Nessun secondo giro questa sera, purtroppo.
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Kelsie mostrava ancora un po’ di femminilità ed ero contento. Non mi sono mai sposato per la paura di schiattare al fianco di una donna che per il grigiore dei capelli aveva barattato la sua indole. Il pullman arrivava con un lieve ritardo e il rumore dei clacson accompagnava i miei ultimi respiri. Dentro e con la ressa che c’era non potevo fare altro se non dimenticare il mio alito pesante e il mio battito lento.
Mi domandavo se fossi nato precoce per i debiti o tardivo per i calori.
con il suo criceto (morto) e scrivere libri e girare film sotto lo pseudonimo di Federico Moccia – è tutto vero! (dichiarazione di Giuglio fulminea durante la redazione di quest’articolo)-. Nel suo 10libro Giuglio, non sapendo cosa fare… Muore. IL giorno dopo decide di partire per il Brasile. Ignaro del pericolo che sta correndo, s’imbarca sulla Concordia, direzione: Capo Horn. Durante il viaggio però, a causa di una potente scossa, a Giuglio va di traverso l’oliva del suo Martini e muore. Mentre muore, lì vicino c’è Luca, principale esponente dell’ arredamento degli scatoloni. Luca decise che Giuglio sarebbe stato la nuova moda dell’arredamento scatologico. Purtroppo la nave, doppiato Capo Horn, venne inghiottita da un enorme gatto marino estremamente obeso e quindi non abbiamo più notizie né di Giovanni né di Michele, probabilmente morti nel combattimento contro un drago ninja.
D’esser venuto al mondo postumo ne ero certo, di cosa non ricordo. Forse una molestia cerebrale di un autore senza immaginazione che ha finito l’inchiostro dell’autenticità e ha preferito inventarsi un ultima giustificazione. Meglio così, dopotutto, che per avere un occhio di riguardo P O S T F A Z I O N E : potevo morire con una riga in più. Quando lessi la storia di Giuglio, morto troppe volte per essere un normale uomo, mi appassioJacopo Signorelli, IVC nai immediatamente. Io credo di poter scorgere nella figura di questo ribelle senza età, una vera e grande opposizione alla chiesa cattolica, in tutte le sue componenti dogmatiche e costrittive. Vedo nel suo gesto un sacrificio cristologico ma non religioso senza precedenti, un’analisi della vita che (CON POSTFAZIONE DEL NOSTRO AMATO trapassa il materialismo per sfociare nel più bell’idealismo di sempre. Tanti uomini si sono immolaARISTIDE MASSACESI) ti martiri di una guerra che sanno già di perdere, ma combattere nonostante tutto è proprio solo OVVERO COME UNA SCIMMIA MANGIA IL LIdei grandi uomini, come Giuglio, come Michele, BRO DI MATEMATICA come Giovanni. Tutto questo per dirvi che sabato Tra i caratteri di Word è sempre stata una pre- esce il mio nuovo film, quindi non andate a messenza costante… Ma quando è stato inventato? sa la sera, e nemmeno al catechismo, e accorrete E da chi? L’inventore di webdings è chiaramente numerosi perché sono a corto di soldi e mi hanno Giuglio. Giuglio nacque a Dallas nel 1974 a. C. e detto di scrivere qualcosa su Cassandra.. Il film è morì a Cornale giovedì prossimo. Nella sua vita stra bello, si chiama “Hercules ritornerà e ti ucGiuglio fece molte azioni rivoluzionare di stam- ciderà, Idra scappa adesso o mai più altrimenti po, però, menscevico, come ad esempio met- muori e attenta a non farti male che mi togli la tere un pesce giallo nella vasca dei pesci rossi gloria”. Siateci. Grazie. Siete commoventi. (atto estremamente rivoluzionario e di protesta Marco Stupido(ndr) Balestra, VE per quell’epoca), sconfiggere la lega pokèmon
L’INVENZIONE DI WEBDINGS (
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Colombo: “no.. Ma fuori dal muro!” (Intendendo: non il volume del proiettore ma quello del computer) Andrea (intendendo male, esce dalla porta, guarda il muro e..)”ma non c’è nessun tasto qui!”
TREGGATTI
MEDICI: domanda posta da chi non è sicuro di essere stato interpellato
Filippo: “profe io non c’ero la scorsa settimana PESANTE: colui che si occupa di misurare il peso quindi non ho la fotocopia..” delle porte degli armadi Studente non identificato: “nemmeno io ce l’ho” ORDIRE: momento in cui serve la presenza di un Margherita: “prof posso spostare il banco vicino sovrano a Beatrice così guardo la scheda con lei? Perchè io l’ho dimenticata a casa..” BUSSOLA: se nessuno apre di qua, provo di là Maffioletti: “per fortuna ho detto no ad alcuni miei colleghi che volevano sostituire il libro di ESODO: non è né alla coque né strapazzato antologia con delle fotocopie! Se no a breve sarei finita in manicomio tra i pazzi pericolosi” LAVA: o la spacca IV E Sciarrotta: Ma tu cosa vuoi fare da grande? Leo: Boh Sciarrotta: Ma tu ti fai le canne?
MANDARINO: non andare tu, manda lui NOVITA’: chiamata anche ‘morte’ SPADINO: centro benessere per dinosauri
Piccirilli: Come si chiamava il figlio? (NEANCHE: purtroppo non ha nemmeno quelle) Classe: Felicissimo Alice: Eh no, dai, i genitori l’hanno fatto di Adele Carraro, VC proposito, come chiamare il cane Lucky e poi ti muore dopo due giorni
ipse dixit
(Si parlava di un’epigrafe funeraria dedicata a Felicissimo)
IV A
Strocchia: Ragazzi, pilae fractae sunt
Cavagnera: “come.. Non sapete cos’è l’alcova?” Classe: “no” Cavagnera: “e ma è un pó imbarazzante da spiegare.. Diciamo che è il luogo dove si producono gli amori..” Aurora: “un motel!”
Sciarrotta (dopo l’interrogazione): Oggi quanti ne abbiamo? Classe: 9 Leo (appena svegliato): Ma anche 9 e mezzo Strocchia (programmando lo studio pasquale): Poi riprendete lo studio dalle 14.30 alle 18.30 Federica: Certo! E poi andiamo a messa!
Colombo: “qualcuno sa come si fa ad alzare il volume?” Piccirilli (dettando i compiti): Amato, che Andrea: “io” (si dirige verso il proiettore e inizia fai? Non scrivi? Ti arrivano direttamente su a premere vari tasti) Whatsapp?
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IIIA
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TRIVIA: e questi esercizi ve li lascio mentre non siete impegnati col latino, greco, svizzero ecc ecc
parlando del discorso diretto* AGAZZI: ad esempio, il “Malebar” è tutto un “e lui gli dice, e lui gli risponde”. Certo, non si parla poi delle imprese epiche di Sottocasa... COLOMBO: anche la tua pronuncia si sta deteriorando.
AGAZZI: Agosti, chi è la madre di Nerone? GIULIA: ...Agrippa? AGAZZI: Agrippinaaaaaaaa! Agrippa è un uomo!
TRIVIa: Dove sono gli altri? LU: no ma profe li ho fatti i compiti delle vacan- BENA: Stanno arrivando! TRIVIA: eh, anche la morte sta arrivando... ze! COLOMBO: Sì Sì, li ho visti... *ridacchia* all’eTRIVIA: ...e per calcolare il Delta t... same di settembre PAOLO E FRANCI: PEppa Pig?!?! AGAZZI A BUONINCONTRI: tu sei l’unica a cui non vorrei mai rubare minuti di lezione... poi di LU: e che fine ha fatto la moglie di Einstein? fatto te li tirerò via comunque TRIVIA: eh, si è persa... MISSALE: Secondo la riforma bisognerebbe ar- PAOLO: è andata a comprare le sigarette e non è più tornata, ahahahaahah rivare fino alla fine del ‘900 col programma... LU: Moccia! AGAZZI: MA NOOO! temporibus è giusto, è AGAZZI: morotti, conciata così mi ricordi qual- quel tria che grida vendetta al cospetto di Dio! cuno che m’inquieta... AGAZZI: qui perchè c›è «e»? MOROTTI: *s’indigna* GIULIA: per apofonia... AGAZZI: Ah, ecco chi.. mi ricordi la terrorista AGAZZI: se dici apofonia latina ti accoppo della meglio gioventù! AGAZZI: sono tutti dei Giulio-Claudi! dovete credermi! PIAZZA: potrebbe alzare un po’ la voce? non sento molto bene COLOMBO: neanche io sento molto bene TRIVIA: avete mai visto il gabinetto di fisica? PAOLO: io, all’open day... 6 anni fa! TRIVIA: Ah, nell’antico testamento! AGAZZI:... E πέος, che in greco, scusate, vuol dire «cazzo» *risolini* AGAZZI: tra l›altro è una parola che rientra perfettamente nel trimetro giambico...
TRIVIA: se io e Cesarini abbiamo 20 caramelle e Cesarini ne ha 15, quante ne ho io? CESA: ma poverino ne ha poche! *Albena parla* AGAZZI: we, bulgara! TRIVIA: dottoressa Capecchi, se vuole ottenere occupata la bocca le do un pezzetto di gesso da masticare! LU: ma no... AGAZZI: l›amante περιφοιτον è l›amante che si concede a tutti, un po› puttanoso... AGAZZI: Catullo si lascia invaghire da Lesbia un po› come fanno Titti e Gatto Silvestro
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TRIVIA: e questo è chiamato «solenoide» PIAZZA: o sole mio...
PEZZA: ma allora mi ammette agli esami? no, perchè così vengo (Piazza ha una statuina di batman sul banco ndA) RINO: Batman! PIAZZA: Cosa? RINO: mettilo via, per cortesia. PIAZZA: cosa, Batman? RINO-OCCHIO-CHE-TUTTO-VEDE: nono, Batman può restare, è il cellulare che deve sparire (La cattedra è piena di adesivi di Peppa Pig ndA) BUONNI: ragazzi, ma la cattedra non è mica una banana chiquita! RINO: Agosti, vuoi uscire interrogata? GIULIA: NO. PAOLO: ho acidità di stomaco FRANCI: vuoi una mela? PAOLO: perchè? aiuta? FRANCI: nono, così, visto che ne avevo ancora... RINO: Morotti, ho rotto la tua pietra! ALE: noooo... RINO: No ma l›ho rotta volutamente! RINO: non fatemi innervosire o all›interrogazione ci do dentro
AGAZZI: di Cicerone potete dire quello che volete, simpatico, antipatico, ma che era un frufru no.
PAOLO: che poi «SasuNaru» (ovvero la coppia yaoi Naruto e Sasuke) sembra un sardo che dice «sa suonare»
IID Danny: what wuold you make with 30000000000$? Bonti: i could buy… Clint Eastwood Strocchia: lo avete fatto con le 2 Finlandesi? (Riferito al Baseball) Giaco: (filosofando Kant) Chi di fronte a un paesaggio così sarebbe in grado di dire “Che schifo”? Gnekkki: Omero Giaco: Perché? Gnekkki: è cieco Prima ora, Giaconia sta per iniziare la lezione. Entra Ruggeri(che avrebbe lezione in seconda ora). Giaconia a Ruggeri: “Batti Cinque”
Strocchia: Come si chiama quando ti interessi di TRIVIA: blablablasenalfablavlatangentebetapi- bambini? grecocoseno Gnekkki: pedagogo? SHA: PROFE MA CHE COSA STA FACENDO?! Strocchia: no Gnekkki: Pedofilo? AGAZZI: questo lo sanno anche i pistolini di quarta ginnasio che non sanno neanche dove sorge il sole AGAZZI: Giasone non è proprio un eroe senza macchia e senza paura... è, diciamo, un eroe segaiolo.
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Giulia Vitale, ID
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...
la redazione DIRETTRICE: Marta Cagnin, IIID VICEDIRETTRICE: Micaela Brembilla, IIIC SEGRETARIA: Marianna Tentori, IIB CAPOREDATTORI: AttualitĂ : Sara Latorre, ID Cultura: Andrea Sabetta, IIC Narrativa: Pietro Raimondi, IID Sarpi: Giulia Testa, IIIB Sport: Federico Crippa, IIIB Terza Pagina: Paolo Bontempo, IID IMPAGINATORE: Pietro Raimondi, IID COPERTINA: Michele Paludetti, IIC ILLUSTRAZIONI: Silvia Caldi IIIB, Lucia Marchionne, Laura Gabellini e Clara Rigoletti, VE REDATTORI: Giulia Argenziano IIB, Batman VE, Bianca Bona IVB, Silvia Caldi IIIB, Adele Carraro VC, Selene Cavalleri IE, Martina Di Noto IE, Chiara Donadoni ID, Valentina Fastolini IVC, Camilla Finzi IVD, Riccardo Ghislotti IVE, Gaia Gualandris VF, Federico Lionetti IIC, Roberto Mauri IVD, Caterina Moioli VF, Pietro Micheletti VB, Elena Occhino IF, Alice Paludetti VF, Michele Paludetti IIC, Chiara Pezzini VC, Matilde Ravaschio VE, Elisa Salvi IE, Sofia Savoldi VB, Giorgia Scotini VC, Elena Seccia VE, Jacopo Signorelli IVC, Valeria Signori ID, Paolo Sottocasa IIIA, Giovanni Testa IVC, Sara Testa VF, Giorgio Trussardi IVC, Eleonora Valienti VE, Chiara Maria Viscardi VC, Giulia Vitale ID, Sara Zanchi ID, Marcello Zanetti IIB