Cassandra - Novembre 2011

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Editoriale

Novembre 2011

Parliamone, anzi, discutiamone Nel caso a qualcuno fosse sfuggito, siamo in un momento di passaggio. Per la precisione, siamo in quel genere di momento di passaggio in cui nessuno se la sente di festeggiare. Insomma, vien da chiedersi, è finita l’“era Berlusconi” e nessuno dice niente? Innanzitutto, forse, perché si fa una certa fatica a realizzare che sia finita. Una figura che ha dominato la scena politica per diciassette anni non può semplicemente sparire, dimissioni o meno; e infatti Berlusconi non è affatto sparito, a giudicare dalle sue promesse di continuare l’attività parlamentare. Ma il vero motivo per cui quasi nessuno tra coloro che evidentemente aspettavano la caduta del Presidente del Consiglio ha particolare desiderio di esultare è che la situazione attuale rimane estremamente preoccupante. Oltre a essere un momento di passaggio, questi giorni costituiscono soprattutto un momento di incertezza. Governo tecnico, governo politico, la Lega che dice no a qualunque proposta e chiede le elezioni, Napolitano che nomina Mario Monti, il “totoministri” che si è trasformato in un gioco su internet: insomma, una discreta confusione in cui non si sa bene quali siano le prospettive immediate. Già, le prospettive. La cosa certa è che non sono rosee. Il sospetto è che manchino del tutto. Non nel senso che non ci sarà un futuro, evidentemente; nel senso che proprio la “mancanza di prospettiva” è uno dei rimproveri che più spesso vengono fatti alla classe politica italiana. Si fa sempre notare come ogni governo sembri prendere i provvedimenti che più sono utili sul breve termine, magari in vista di una rielezione, senza badare a quanto potrebbe succedere in un lontano futuro in cui la responsabilità cadrà su altri. Ho pochi dubbi sul fatto che questo a Mario Monti non sarà concesso; anche se l’utilizzo continuo dei mercati come indicatori dello stato dell’economia può essere da questo punto di vista preoccupante. Il mercato, per sua natura, fluttua ogni giorno (anzi, molto più spesso): dunque non è adatto a valutare provvedimenti che dovranno essere efficaci sul lungo periodo, a meno di una notevole lungimiranza degli analisti. Ma non sono un’economista. Ecco il punto: non siamo economisti. Una buona parte delle persone che leggeranno questo articolo non sono neppure elettori, e una parte veramente minima potrà in un momento della propria vita definirsi “un politico”. I cittadini medi, normali – noi studenti, magari – cosa devono pensare della situazione in questo periodo? Le nostre prospettive sono altrettanto preoccupanti di quelle nazionali, com’è naturale: giorno per giorno ci viene ripetuto quanto le nostre possibilità di inserirci nel mercato del lavoro (e ancora questo mercato!) siano ridotte, quanto un percorso universitario non ci garantisca più una carriera, eccetera. Tanto meno ci sembra di avere qualche possibilità di influenzare le vicende politiche, e neppure di avere voce in capitolo. Cosa possiamo fare? Cosa c’entriamo, noi? “Impegniamoci in prima persona”, scriveva Davide un mese fa su questa stessa pagina. Io aggiungo: laddove non possiamo farlo, o anche dove possiamo, parliamone. Che sembra una battuta di spirito, e invece è l’essenza della democrazia. Perché alla fine sarà sempre un interesse tra i tanti a prevalere, ci saranno sempre una maggioranza e una minoranza, ma in Parlamento le leggi devono essere discusse prima che approvate. Perché un politico è tenuto a rendere conto del proprio operato ai suoi elettori, anzi, a tutti i cittadini. Ma se non impariamo noi innanzitutto a discutere, a confrontarci, a essere in grado di ascoltare le ragioni degli altri e di spiegare le nostre (il che non è sempre facile come sembra), senza farci influenzare da discorsi vuoti o manipolatori da demagoghi, non saremo neppure in grado di chiedere conto. A manifestare si va sempre con gli slogan, ma le decisioni si prendono dopo aver riflettuto. E discusso. Si parlava un tempo di “governo del fare” come se fosse la più geniale delle invenzioni, ma forse un “governo del riflettere” non sarebbe una cattiva idea. Soprattutto oggi. Non resta che ribadire la cosa più ovvia: Cassandra è anche uno spazio di discussione. Chi vuole leggere è il benvenuto, chi vuole scrivere lo è altrettanto. Martina Astrid Rodda, III C

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Sommario Sarpi - Intervista doppia: Pusi VS Trivia - Ore da 57 minuti

Attualità -

A Giocare col nero perdi sempre! Il razzismo che non ti aspetti Io quella volta lì avevo 25 anni la politica degli Intermundia WAR IS OVER! Sì, ma per chi?

cultura - Keep Calm and... be an Austen Heroine - Un orecchiante - Drive: 5 lettere, tanta roba

narrativa - Reunion nella solitudine

sport - Il levriero e la bottiglietta

terza pagina - Guida per interpretare i sogni - ipse Dixit


Sarpi

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INTERVISTA DOPPIA PUSI E TRIVIA

1)Numero di scarpe. Pusi: 38 (guardando perplessa le intervistatici). Trivia: Ho il 38. Ed è un problema perché non trovo le scarpe, dato che è un numero da bambino… (Cubelli passando: “ma mio figlio ha il 38!”) Eh si, mio figlio ha il 42..

Pusi: Eh certo vogliono mangiarle! Trivia: Alice guarda i gatti. Boh, ma devo rispondere in 7) Non pensa che la ma- modo matematico? Alice, Alitematica sia la peggiore ce… Come il coniglio di Alice delle opinioni? nel paese delle meraviglie! Pusi: …Ma chi ha fatto queste Credo per avere da mangiare: domande?... Non posso fare bieco materialismo! commenti sugli studenti, ma 2) Nome e cognome. posso pensarli… N.B.: la professoressa duranPusi: Paola Pusineri, sopran- Trivia: NO! Assolutamente! te l’intervista era piuttosto nome “Pusi” (ma non è vero! provata a causa dell'interroÈ stata la protesta dell'intervi- 8) Che cosa pensa della gazione di Martinelli appena stata). filosofia? conclusa. Trivia: Gianluigi Trivia. Pusi: Ieri mia figlia voleva ripetermi Hegel: è stata un La Sottocommissione 3) Che cosa canta sotto la esperienza devastante. Sarpi doccia? Trivia: Eh è difficile questa! Pusi: Per il bene della mia fa- Sono d'accordo con Einstein miglia e dei vicini non canto “la filosofia senza la fisica è sotto la doccia. vuota, la fisica senza la filosoTrivia: Guccini, in genere. fia è arida”. 4) Sa che ore sono? Pusi: Le 11. Trivia: Si, 10.51.

scegliere Euclide perché Archimede è il fondatore della matematica moderna.

9) Come si sente in una scuola che molti studenti hanno scelto perché non amano la matematica? 5) Si farebbe tangere da Pusi: Difficile questa domanuna semiretta? da… Potrei dire una banalità, Pusi: NO. Assolutamente, che spero che quando escano potrebbe infilzarmi… e nean- abbiano cambiato idea! che da un retta, è ancora più Trivia: Bene, dato che sono pericoloso! qui per farla apprezzare. E poi Trivia: Mah dipende, se è li- almeno in questa scuola i raneare no! gazzi apprezzano qualcosa! Ci sono scuole in cui non apprez6) Archimede e Euclide: zano niente… chi butterebbe giù da un dirupo? 10) Perché i gatti guardaPusi: Ma nessuno, poverini… no Alice? dovendo scegliere butterei giù Pusi: In realtà è Alice che le intervistatrici. guarda i gatti… Trivia: In linea di massima Intervistatrice: No, i gatti nessuno, ma se proprio devo guardano le alici!


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Ore da 57 Minuti

Ovvero: Quando mi accorgo di esserci [Nota Bene: Questo articolo è incredibilmente sdolcinato e melodrammatico, ma in qualche modo bisognava riempire le pagine della sottocommissione Sarpi, altrimenti la Ari ci rimane male, povera.] Immagini sconnesse e nonsense si ripetono in continuazione, cambia la situazione, cambia l’ambientazione, cambiano i personaggi … mi sveglio, apro gli occhi d’impatto. Sono le 6:31, non so per quale arcano motivo punto la sveglia a quell’ora, fatto sta che la mattina mi piomba nelle orecchie con uno stramaledetto bip-bip crescente. Guardo il soffitto nel buio, sospiro , alzo la testa e poi scendo dal letto. Prendo i vestiti dalla sedia con una manata e vado in bagno, accendo la stufetta elettrica e mi ci piazzo davanti, poi c’è la procedura di attivazione del corpo: mi lavo e mi vesto. Riemergendo dal torpore causato dalla stufetta e dal sonno, guardo l’orologio: minchia sono già le sette! Mi fiondo giù dalle scale, verso a casaccio del maledettissimo latte, lo riscaldo a microonde per cinquanta maledettissimi secondi, ci sbatto dentro il caffè, qualche maledettissimo cereale o dei biscotti dell’Esselunga. Mentre mi lavo i denti mi sto contemporaneamente allacciando le scarpe e pettinando i capelli con le mani, indosso la giacca e lo zaino con un gesto veloce e sono fuori casa:

fa freddo e piove, maledizione. Cento metri per raggiungere la fermata del pullman dove mi aspettano il Bonti, il suo scazzo mattutino e l’Ago, miei compagni di ventura. Salgo sui vari pullman che prendo in automatico: 8; 10; Funicolare in alternanza a 8; 1. In totale assenza mentale vedo e saluto gente, finalmente comincio a svegliarmi. Arrivo in città alta e camminando verso l’Oscuro Casermone mi rendo conto di aver paura di essere interrogato, di essere in ansia per una versione e di avere sensi di colpa per aver buttato via il pomeriggio il giorno prima. Così, entrato in classe, non degno di un saluto i miei compagni, ma apro i libri a caso e leggo senza apprendere niente, così l’ansia aumenta invece di diminuire. La mattina si presenta come di merda. La giornata si presente come di merda. Ore, interrogazioni, testa sul banco, fuori una foschia malinconica, oltre la foschia il vuoto. Che schifo, che palle, che vita. Il Sarpi è ambientazione e antagonista di questa noia.

razza - Città Bassa che si sveglia, sento il freddo alle mani, sento le foglie secche cadere, vedo gli alberi oltre la finestra. Ed ecco: mi sento vivo, all’improvviso. Tutto quello che ho intorno è stupendo, ogni millimetro di muro secolare, ogni attimo di vita, ogni respiro che faccio, ogni sguardo amico, vedo tutto in un’ottica diversa, faccio parte di tutto ciò. L’unica condizione per accorgersene è stare attenti, stare vigili, non farsi abbattere da un numero pari o inferiore al cinque, perché non siamo assolutamente definiti da un numero, ma dalla nostra capacità di farci attrarre dal mondo stupendo che abbiamo intorno. Così non do più per scontato nulla: tutto, anche le lezioni più pallose, anche le scritte in Aula CIC, anche la puzza del seminterrato, anche i sassi di Piazza Rosate sono segno di qualcosa di infinitamente più grande e bello. E’ difficile da spiegare … ma sento la mia banalissima vita, scandita in ore da cinquantasette minuti, come incredibile dato di fatto, come stupefacente dono d’immenso Amore.

non do più per scontato nulla

Ma poi, all’improvviso, dopo un pessimo voto, dopo una solitudine attanagliante, eccolo. Lì, nelle frasi dei miei amici, nelle lezioni, nei corridoi. La pioggia mi bagna i capelli, ma resto a guardare - oltre la ter-

un certo Pietro Raimondi, V F


Attualità

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A GIOCARE COL NERO PERDI SEMPRE!

Le parole che troverete scritte qui sotto sono stralci che fanno parte del testo della cosiddetta “Legge Scelba” (dal nome del deputato democristiano Mario Scelba), approvata dalla Camera dei Deputati il 20 giugno 1952. Questa dovrebbe essere la legge che ci protegge dagli incubi del ventennio fascista e che protegge gli alti valori della Resistenza. Dovrebbe. Perché proprio in Italia, il paese che ha la responsabilità storica di aver fatto nascere il Fascismo, secondo le stime, almeno centocinquantamila giovani sotto i 30 anni vivono nel culto del Nazifascismo, che è stato indubbiamente il cancro del XX secolo. I loro miti sono Hitler e Rudolph Hess. Sempre in Italia ci sono almeno 5 partiti ufficiali (Forza Nuova, Fiamma Tricolore, la Destra, Azione Sociale, Fronte sociale nazionale), 6 se si considerano anche i rimasugli di An, a sua volta rimasuglio del M.S.I., che secondo questa legge non potrebbero esistere e che, secondo il buon senso storico, non dovrebbero neanche essere pensati. Circa 203 circoli, associazioni e centri sociali su tutto il territorio italiano si riconoscono nella destra estrema violenta e xenofoba, più 63 sigle su 85 di gruppi ultrà (75% degli ultrà italiani) sono ultrafascisti, ricorderete le svastiche appese nello stadio di Roma. Incalcolabili sono le aggressioni a chiunque sia ritenuto nemico e diverso da

queste persone, che ha la sola colpa di essere nato lontano dall'Italia. Pochi forse sanno che ogni anno, da Bolzano, parte una comitiva di nostalgici del Reich nazista in pellegrinaggio verso Dachau, il primo campo di concentramento operativo della barbarie nazista, per “ricordare” davanti ai forni dell'orrore, col saluto romano bello in alto, al grido di “Sieg Heil!”, che per loro i veri martiri d'Europa non sono quei sei milioni di Ebrei massacrati (storia alla quale non credono), ma bensì le lucide menti di Hitler, Mussolini e compagnia, gli unici che avrebbero cercato di rendere l'Europa un paradiso in terra, pulito dalle razze inferiori. Oppure ancora i giornali non parlano del fatto che ogni anno, nella notte tra il 23 e il 24 aprile, qualche centinaio di nazifascisti celebra in tutta la provincia di Varese (una delle più infette d'Italia dal germe nero) la nascita di Hitler, tutto questo con cori contro gli ebrei e i comunisti, decantando la superiorità della razza ariana. Poi, per completare la serata, qualche pestaggio ai primi extracomunitari incontrati per strada o a qualche capellone che viene scambiato per “zecca comunista” solo per il look. Questi fatti stanno prendendo piede in tutta Italia, in modo particolare al nord, spesso appoggiati dagli esponenti locali della Lega. Il Fascismo è un male, e deve essere abbattuto

sul nascere. Ahimè sono molti i giovanissimi che si avvicinano e si riconoscono in questi “princìpi”. Giovani che non sanno neanche quello che è stato il nazismo. Che vadano a leggersi le testimonianze da Auschwitz, Mathausen e Treblinka di Primo Levi o Simon Wiesenthal! Vorrei concludere questo breve articolo (le cose da dire sono tante e ci vorrebbe un numero intero di Cassandra per elencarle tutte. Tanto per farvi capire che non ho inventato le informazioni sopra citate, vi aggiungo che la bibliografia di questo articolo è solo la consultazione di “Bande Nere”, di Paolo Berizzi, ed. Bompiani) con due citazioni, sul fascismo storico, degli uomini tra i più brillanti che il Novecento ci abbia regalato: • “Il fascismo per me non può essere considerata una fede politica, sembra assurdo quello che dico ma è così. Il fascismo a mio avviso è l'antitesi delle fedi politiche, è in contrasto con esse. Non può essere definito tale perché col fascismo nessuno poteva esprimere la propria fede politica se non la pensava come lui. Se non eri fascista eri oppresso. Come si fa a definire “fede politica” l'oppressione delle fedi altrui? Io il fascismo lo combatto, sul terreno democratico, da socialista quale sono.” [Sandro Pertini] • “Il fascismo non è stato uno scherzo. E' stata un'onda-


7 ta di barbarie che ha minacciato di travolgere il mondo e di trasformare l'Europa in un immenso campo di concentramento nazista. In Italia sappiamo cos'è stato il fascismo: non solo la soppressione di ogni libertà, non solo lo sfruttamento dei lavoratori, non solo la miseria e l'abbandono delle regioni meridionali. L'asservimento al nazismo. Il massacro dei comunisti, anche, tra pochi giorni cade l'anniversario della morte del nostro “capo”, Antonio Gramsci, assassinato scientificamente dai fascisti; il massacri di partigiani, di giovani che si opponevano al fascismo e che difendevano la libertà.” [Enrico Berlinguer] Basta coi fascisti! Art. 1 - (Riorganizzazione del disciolto partito fascista). Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi

novembre 2011 propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista.

attualità

da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni. La pena è della reclusione da due a cinque anni e della multa da Art. 2 - Sanzioni penali 1.000.000 a 4.000.000 di lire Chiunque promuove, orga- se alcuno dei fatti previsti nei nizza o dirige le associazioni, commi precedenti è commesi movimenti o i gruppi indi- so con il mezzo della stampa. cati nell’art. 1, è punito con la reclusione da cinque a dodici Art. 5 - Manifestazioni fasciste anni e con la multa da due a Chiunque, partecipando a venti milioni di lire . pubbliche riunioni, compie Chiunque partecipa a tali manifestazioni usuali del diassociazioni, movimenti o sciolto partito fascista ovvegruppi è punito con la reclu- ro di organizzazioni naziste sione da due a cinque anni e è punito con la pena della con la multa da 1.000.000 a reclusione sino a tre anni e 10.000.000 di lire . con la multa da 400.000 a Se l’associazione, il movi- 1.000.000 lire . mento o il gruppo assume in Art. 9 - (Pubblicazioni sull’attutto o in parte il carattere di tività antidemocratica del faorganizzazione armata o pa- scismo). ramilitare, ovvero fa uso della La Presidenza del Consiviolenza, le pene indicate nei glio bandisce concorsi per commi precedenti sono rad- la compilazione di cronache doppiate . dell’azione fascista, sui temi L’organizzazione si considera e secondo le norme stabilite armata se i promotori e i par- da una Commissione di dieci tecipanti hanno comunque la membri, nominati dai Presidisponibilità di armi o esplo- denti delle due Camere, presivi ovunque siano custoditi. sieduta dal Ministro per la pubblica istruzione, allo scoArt. 4 - Apologia del fascismo po di far conoscere in forma Chiunque fa propaganda per obbiettiva ai cittadini e parla costituzione di una associa- ticolarmente ai giovani delle zione, di un movimento o di scuole, per i quali dovranno un gruppo avente le caratte- compilarsi apposite pubbliristiche e perseguente le fina- cazioni da adottare per l’inlità ideate nell’art. 1 è punito segnamento, l’attività antidecon la reclusione da sei mesi a mocratica del fascismo. due anni e con la multa da lire Art. 10 - (Norme di coordina400.000 a lire 1.000.000. . mento e finali). Alla stessa pena di cui al pri- [...] La presente legge, munita mo comma soggiace chi pub- del sigillo dello Stato, sarà inblicamente esalta esponenti, serita nella Raccolta ufficiale princìpi, fatti o metodi del fa- delle leggi e dei decreti della scismo, oppure le sue finalità Repubblica italiana. È fatto antidemocratiche. Se il fatto obbligo a chiunque spetti di riguarda idee o metodi razzi- osservarla e di farla osservare sti, la pena è della reclusione come legge dello Stato.


Attualità

Purtroppo, questo articolo non potrà mai avere fine. Concluso oltre una settimana fa, oggi (lunedì 14 novembre) mi tocca ritoccarlo alla luce di quanto letto su Repubblica. Pare che un gruppo armato neonazista tedesco, tale “Braune Armee Fraktion” (il nome, un'invenzione dei media, è un ricalco della più nota “Rote Armee Fraktion”, gruppo armato di estrema sinistra della Germania occidentale negli anni '70), in tredici anni abbia commesso l'omicidio di almeno nove stranieri e una poliziotta. Ma la parte più inquietante è che da anni i servizi segreti per l'Interno sapevano del gruppo e non si capisce se abbiano sottovalutato la minaccia o, addirittura, favorito ai tre principali esponenti del gruppo dei passaporti falsi. Esponenti che, appena accerchiati dalla polizia dopo una rapina in banca, si sono suicidati a colpi di pistola, compiendo un'azione che avevano già anticipata ai vari simpatizzanti in caso di cattura. In nome dei loro miti hitleriani, 66 anni dopo la caduta del Reich nazista.

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IL RAZZISMO CHE NON T'ASPETTI

Chi ha la stessa lingua fa parte dello stesso popolo. Eppure avere lo stesso idioma non sempre porta ad essere “fratelli”. Il caso paradossale, capitato alla professoressa Sarah Williams di Pittsburgh, dimostra che spesso gli odi stratificati nei secoli vincono la “fratellanza linguistica”. Insomma, la storia prevale sulla lingua. Ma procediamo per gradi. Il tema del razzismo ha sempre fatto discutere i popoli. E’ assai delicato, sembrerebbe banale ma non lo è. E’ solo un po’ nascosto, camuffato, in questa nostra società multietnica, ma pur sempre presente. Viene attribuito come piaga del passato. E in effetti non se ne parla molto al giorno d’oggi, perché sui media si tende a Andrea Calini, II I privilegiare aspetti più concreti, l’economia e il lavoro, la tanto chiacchierata politica. Dunque notizie riguardanti atteggiamenti discriminatori sono relegati in secondo piano. Appunto, come la vicenda di Sarah. La professoressa di lingua spagnola è stata discriminata dai latinos, etnia prevalente tra studenti e docenti dell’ateneo. Attaccata ed “eliminata”

da persone della stessa cultura e che parlano la stessa lingua per motivazioni ancestrali (dominazioni ispaniche). L’insegnante infatti era stata richiamata più volte dal capo dipartimento della scuola, boliviano. Le si imputava un accento madrileno e non poteva essere diversamente visto che aveva studiato spagnolo a Madrid e non a La Paz. Lei sulle prime sottovalutò il richiamo finché ricevette la lettera di benservito. Troppo “iberica” in un mare di sudamericani, quasi tutti emigrati di recente ma ancora col dente avvelenato nei confronti dei conquistadores e della loro lingua. Ora l’arcigna e intransigente professoressa (sui voti e sulla disciplina non scherzava) darà battaglia in un’aula di tribunale. Vuole giustizia. Questa vicenda dimostra che l’odio e la discriminazione verso l’altro colpiscono anche all’interno dello stesso mondo, dello stesso ceppo culturale. La piaga del razzismo quindi va intesa in senso lato e non si sviluppa solo tra ambienti, culture e popoli diversi. Leggendo questa notizia, mi sono sorpresa e stupita. Infatti pensavo che il razzismo


9 fosse il frutto dell’odio verso persone di altre culture o più semplicemente di altre caratteri somatici. Avevo come riferimento lo sterminio nazista degli ebrei, la Shoah, l’apartheid dei bianchi nei confronti dei neri in Sudafrica, il genocidio turco degli armeni: tutte testimonianze di razzismo sociale, biologico e culturale sfociato in violenza, in veri e propri massacri di popoli. Questo atteggiamento è derivato dalla xenofobia, dalla paura e dall’avversione profonda per lo straniero. Frutto, per lo più, di una mancata conoscenza che porta l’uomo a chiudersi anziché ad aprirsi verso l’altro. Risultato di un’insicurezza di fondo, di un complesso d’inferiorità, che porta l’uomo ad aggredire e sopraffare l’altro in una sorta di difesa preventiva. E tuttavia è doveroso ricordare che la crescita delle maggiori civiltà è stata possibile dall’incontro-scontro tra i popoli. Quelle che si sono chiuse in una sorta di autodifesa sono scomparse, quelle che si sono aperte sono sopravvissute.

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attualità

IO QUELLA VOLTA LI' AVEVO 25 ANNI

Grazie. Grazie al grande uomo che è stato Giorgio Gaber, per le sue canzoni, per le sue malinconiche riflessioni, ricche di un’ironia dolce e decisa, per i suoi testi capaci di accarezzarci e schiaffeggiarci al tempo stesso, linee guida per fermarci a pensare alla nostra società, al nostro vivere toccando argomenti attuali e delicati. Questo che riporto è un monologo scritto alla fine degli anni ’90 da Gaber e Luporini, conclusione di altri sei monologhi nei quali un attore a partire dal dopoguerra fino al duemila si immedesima in un venticinquenne dell’epoca che racconta gli avvenimenti ed i cambiamenti del periodo in cui sta vivendo. Solo in quest’ultimo l’attore è un adulto di sessant’anni che dà le proprie considerazioni sulla sua società. “Io, quella volta lì, avevo sessant’anni. Eravamo nel 2000 o giù di lì. Praticamente ora. E vedendo le nuove generazioSara Zanchi, IV D ni, i venticinquenni di ora così diversi mi domando: che eredità abbiamo lasciato ai nostri figli? Forse, in alcuni casi, un normale benessere. Ma non è questo il punto. Voglio dire... un’idea, un sentimento, una morale, una visione del mondo... No, tutto questo non lo vedo. Allora ci saranno senz’altro delle col-

pe. Sì, il coro della tragedia greca: i figli devono espiare le colpe dei padri. Siamo stati forse noi padri insensibili, autoritari, legislatori di stupide istituzioni? No. Allora dove sono le nostre colpe. Un momento, era troppo facile per noi essere pacifisti, antiautoritarii e democratici. I nostri padri avevano fatto la resistenza. Forse avremmo dovuto farla anche noi, la resistenza. E’ sempre tempo di resistenza. Perché invece di esibire il nostro atteggiamento libertario non abbiamo dato uno sguardo all’avanzata dello sviluppo insensato? Perché invece di parlare di buoni e di cattivi non abbiamo alzato un muro contro la mano invisibile e spudorata del Mercato? Perché avvertivamo l’appiattimento del consumo e compravamo motorini ai nostri figli? Perché non ci siamo mai ribellati alla violenza dell’oggetto? Il Mercato ci ringrazia. Gli abbiamo dato il nostro prezioso contributo. Ma voi, sì, voi come figli, non avete neanche una colpa? Dov’è il segno di una vita diversa? Forse sono io che non vedo. Rispondetemi: dov’è la spinta verso qualcosa

E’ sempre tempo di resistenza


Attualità che sta per rinascere? Dov’è la vostra individuazione del nemico? Quale resistenza avete fatto contro il potere, contro le ideologie dominanti, contro l’annientamento dell’individuo? D’accordo, non posso essere io a lanciare ingiurie contro la vostra impotenza. C’ho da pensare alla mia. Però spiegatemi perché vi abbandonate ad un’inerzia così silenziosa e passiva? Perché vi rassegnate a questa vita mediocre senza l’ombra di un desiderio, di uno slancio, di una proposta qualsiasi? Forse il mio stomaco richiede qualcosa di più spettacolare, di più rabbioso, di più violento? No! Di più vitale, di più rigoroso, qualcosa che possa esprimere almeno un rifiuto, un’indignazione, un dolore… Quale dolore? Ormai non sappiamo neanche più cos’è, il dolore! Siamo caduti in una specie di noia, di depressione... Certo, è il marchio dell’epoca. E quando la noia e la depressione si insinuano dentro di noi tutto sembra privo di significato. Si potrebbe dire la stessa cosa del dolore? No! Il dolore è visibile, chiaro, localizzato, mentre la depressione evoca un male senza sede, senza sostanza, senza nulla... salvo questo nulla non identificabile che ci corrode.” (Giorgio Gaber e Sandro Luporini) Sara Colombo, 2I

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LA POLITICA DEGLI

INTERMUNDIA

Non mi dedico alla notizia del momento, le dimissioni del premier Berlusconi: oltre al rischio di banalizzare un fatto che merita tutta la nostra lucidità, credo che sia ingenuo illudersi che abbattere una statua sia sufficiente a intaccare il sistema che l’ha eretta. Distruggere un simbolo non implica necessariamente far cambiare strada alla società da cui ha avuto origine: i problemi della politica italiana vanno al di là di Silvio Chioma Folta, e temo che continueranno. Non ho la pretesa di analizzare i problemi della politica italiana. Però ce n’è uno che in particolare mi colpisce molto, ed è un problema dei politici e dei cittadini insieme, perché credo che la politica sia lo specchio della società tanto quanto la società sia lo specchio della politica. Forse potrebbe essere il problemasintesi tra la malattia della politica e quella della società, ed è la distanza. La distanza come assolutezza (nel senso etimologico di “libertà da legami” che certo voi dotti latinisti coglierete subito): assolutezza dei politici dalla responsabilità anche etica del loro ruolo e assolutezza dei cittadini dal loro diritto (che secondo me è soprattutto un dovere) di prendere in mano la loro sorte e chiedere conto ai politici delle loro azioni. Forse quella che io chiamo

assolutezza è in realtà la visione di un modo di far politica fondato sull’ipocrisia, in cui la legittimità del ruolo non è connessa alla credibilità personale di chi lo esercita, come se le istituzioni fossero un’entità astratta, avulsa dalla realtà e che non ha nessuna necessità di incarnarsi nella persona di chi la esercita (tipica frase davanti agli scandali di Berlusconi: “ma quello che in privato sono affari suoi, è inutile parlare di gossip: l’importante è quello che fa in politica”). È un grosso rischio: un meccanismo di questo genere rischia di imporre un rispetto (che assume, mi pare, i tratti del disinteresse) dell’autorità che impedisce di agire contro di essa nel momento in cui non è più adatta a guidarci: prendiamo la strada che ci viene indicata, perché viene dall’alto, a prescindere da chi ci siede, in alto. Ma perché è così marcata la percezione della distanza? Io credo che ci siano almeno due motivi. Uno è legato alla struttura legislativa che lega i cittadini ai loro rappresentanti, che votano ma poi perdono voce in capitolo riguardo al proprio vivere nello Stato: l’unico elemento di democrazia diretta di cui disponiamo è il referendum. Dice il costituzionalista Onida: “il popolo è uno strano sovrano: si limita a scegliere coloro che esercite-


11 ranno il potere, senza poterli legalmente indirizzare. Per di più, questo popolo sovrano ogni 5 anni compie le sue scelte elettorali avendo scarse possibilità di discutere preventivamente con i futuri eletti (anche se gli elettori ascoltano molti discorsi e molte promesse): il popolo è, anche quando decide, un ‘sovrano muto’”. Non penso però sia solo questo il motivo. Una delle cause sta anche nell’habitus mentale che abbiamo assunto nel guardare e nel fare politica, sia nell’essere cittadino sia nell’essere politico, ed è un habitus in cui la politica non è cosa dissimile dai rapporti privati, che ne costituiscono lo sfondo e la base, e la cui gestione nel modo più proficuo possibile rappresenta il fine ultimo della carriera politica. Il pubblico è privato, ma non vale il contrario: il privato (e quindi, paradossalmente, l’effettiva gestione del pubblico!) è segreto, riservato, da tutelare come privacy. Lo spaccato che negli ultimi mesi si è aperto (uno degli esempi più recenti è il caso Lavitola Tarantino) ha squarciato un velo che ci siamo concessi il lusso di ignorare per molto tempo. I politici usano lo Stato per farsi gli affari loro, semplicemente ignorando la nostra esistenza come nazione a

novembre 2011 cui si deve rispondere del proprio operato perché noi siamo solo carne da elezione. Noi da parte nostra assumiamo come normale il loro atteggiamento perché è sempre stato così, e se è sempre stato così è perché non c’è modo di evitarlo e se non c’è modo di evitarlo noi siamo impotenti e la politica è schifosa ma è lontana, lontana… ed ecco che così la loro irresponsabilità legittima il nostro (comodissimo, peraltro) disinteresse e il nostro disinteresse regala terreno fertile ai loro abusi.

Come possiamo rispondere infatti se non rivolgendo a nostra volta l’attenzione solo ai nostri affari? Non sentiamo la necessità di essere parte di una comunità cui dobbiamo contribuire, se per chi dovrebbe rappresentarla essa non è altro che un mezzo per affermarsi e potenziarsi. Gli anni che viviamo segnano il trionfo dell’individualismo, l’oppio delle nostre menti, inteso come egoismo ma anche come esaltazione dell’indivi-

attualità duo, messo su un piedistallo con tutti i suoi difetti, le sue sciagure, i suoi consumi, i casi della sua esistenza, glorificato senza il minimo interesse ad andare oltre e a dare all’idolo del momento (il protagonista di un reality, il modello di una pubblicità, il protagonista di una tragedia da telegiornale che non si capisce in cosa sia diversa da una telenovela di basso livello… insomma, tutte le rappresentazioni del singolo con cui i mass media ci bombardano quotidianamente) una prospettiva più ampia di sé stesso: non esiste, nelle immagini dell’uomo comune per come ci viene rappresentato, nessuna p r o s p e t t i v a collettiva e, di conseguenza, nessun tratto che lo distingua come cittadino oltre che come semplice uomo. La democrazia non è una parte della nostra vita quotidiana. E questo garantisce il perpetuarsi di una politica da brivido come quella attuale e, insieme ad essa, il nostro senso di solitudine. Sentimento pericoloso, per la democrazia, la solitudine. Il senso di impotenza e di abbandono, di essere soli contro un sistema che vuole schiacciarci e a cui non possiamo far altro che adeguarci, il senso di distanza, spalancano sotto i nostri piedi il baratro della disgregazione sociale, che segna, innanzitutto a livello ideale, la perdita di senso della democrazia. La democrazia è coesione, con-


Attualità

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si urlando “perché ci giunga divisione, è capacità di auto- un giorno ancora la notizia/ porsi un limite personale per di una locomotiva, come cosa viva/ lanciaconsentire una ta a bomba libertà colletticontro l’ingiuva, che sia fonstizia”? Fordata sull’uguase solo per il glianza. fatto che vale Le soluzioni? la pena, ogni L’istruzione, tanto, ripetercerto. La reci l’un l’altro sponsabilizzache l’ingiuzione, certo. stizia è qualL’abbattimento cosa contro dei simboli, cercui bisogna to! Ma credo che scagliarsi. Per sia altrettanto prendere la importante, acrincorsa incanto a questi sieme, andare percorsi a lunoltre l’impogo termine, trovare subito un punto di partenza immediato, tenza del singolo, e lanciarsi anche in modo confuso e limi- davvero contro l’ingiustizia. tato, ideologico, acritico e greSara Moioli II A gario, il senso di essere parte e non solo relitto. Ecco perché le manifestazioni popolari, nonostante i mille difetti che hanno, sono importantissime: in esse si crea allo stato elementare e per certi aspetti antidemocratico paradossalmente (si urlano slogan privi di significato reale, spesso anche volgari, che non hanno dietro nessuna riflessione o dibattito critico) quel senso di essere insieme per andare da qualche parte come gruppo, perché se non ci vengo io non arrivi neanche tu, perché avrei l’interrogazione di greco però cosa me ne faccio del greco se non potrò contare su una società in cui seminare quel che so e contribuire a curare un giardino pubblico sempre più bello e ricco… vale lo stesso anche per i concerti: a che pro stare sotto un palco e sgolar-

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WAR IS Quando è iniziata la rivolta in Libia, qualcuno (e anche io a dir la verità) temeva l’entrata in guerra dell’Italia, ed effettivamente ci furono truppe italiane della NATO, ma la guerra non ha interessato direttamente l’Italia, né tantomeno noi cittadini. Il nostro paese non conosce guerra da più di sessant’anni e, sostanzialmente, si interessa poco delle altre, anche perché molto spesso la parola “guerra”, che magari può colpire un po’ troppo l’opinione pubblica, viene camuffata, mascherata, così indorata che nessuno la nota più. Però, se da una parte è colpa dei media che per assurdi motivi spesso politici non ci danno le notizie così come dovrebbero essere ma come vorrebbero che fossero, dall’altra molto spesso noi non abbiamo voglia di andare al di là di questo spettro di notizia che ci viene fatto passivamente assimilare e rimaniamo nel nostro bel mondo Mulino Bianco idilliaco e perfetto, dove ci giungono solo voci ovattate di quel che accade fuori. Ora, non vorrei essere sempre ambasciatrice di cattive notizie, ma il mondo è pieno di guerre invisibili a cui nessuno fa caso. Chi sa dell’attentato suicida a Mogadiscio, Somalia, che il 4 ottobre scorso ha fatto più di cento vittime, o dei ventidue pellegrini uccisi dai terroristi in Iraq e


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OVER!

Sì, ma per chi? vato il nostro momento per

ritrovati il 13 settembre? Chi sa dei bambini morti in Pakistan lo stesso giorno perché viaggiavano con lo scuolabus (lo scuolabus! Cosa c’è di più normale di uno scuolabus?!) in una zona di Mattani (vicino Peshawar), teatro di frequenti sparatorie? Chi sa dei manifestanti morti in Yemen il 18 settembre perché la sicurezza ha sparato su di loro mentre chiedevano in piazza le dimissioni di Saleh? Chi si ricorda del conflitto tra Israele e Palestina, della Colombia, dell’Afghanistan? Fra qualche mese anche la stessa Libia sarà dimenticata… E chi sa che tra l’undici settembre e il dieci ottobre di quest’anno sono morte circa 4.438 persone nel mondo? In un mese! Ma la cosa che mi ha stupito di più è l’aver capito che essere convinti che fare la guerra sia un mezzo barbaro per ottenere le cose o, più generalmente, essere onesti e coerenti con se stessi è una cosa molto rara, mentre credevo -illusa!- che fosse di pochi il non esserlo. E invece non è così. Le leggi spesso si fanno per impedire agli altri di fare quello che non è riuscito a te, e per darti una parvenza di uomo giusto, mentre

in verità tutto è nato da un’ingiustizia fallita (esempio, la guerra di e per il petrolio in Colombia: finché il governo ci guadagnava, i campi di coca in montagna andavano bene per finanziare la guerra; ma quando sono

attualità

fare dell’Italia e del mondo un posto migliore. E allora facciamolo, non deve essere difficile, se si tiene in mente che non operiamo per noi, ma per un bene più grande. È il modo più semplice per non fare una guerra. “Ci si spara addosso in pochi minuti, ma servono generazioni per far guarire completamente le ferite” Gino Strada, fondatore di Emergency Micaela Brembilla, IC

entrati nel mirino degli americani nella lotta contro la droga, sono diventati illegali) . Ed è questa pseudogiustizia che fa più male, perché quando si scopre quello che sta sotto, ci si sente traditi da chi dovrebbe essere lì per te. Dicono che tocchi a noi ora, che sia arri-


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KEEP CALM AND…

E adesso basta! Possibile che la massima aspirazione delle ragazze di oggi sia mostrare il “canale di Suez” e quella dei ragazzi vestire Frankie Garage? A questo punto non c’è da stupirsi se la letteratura (ma mi vengono i brividi a chiamarla così…) moderna non fa altro che sfornare spazzatura su spazzatura, da “Tre metri sopra al cielo” a “Ho voglia di te” oppure, in ambito cinematografico, “Come tu mi vuoi”. Ma ciò che mi fa più ribrezzo è come viene rappresentato l’amore. A cosa si è ridotto questo sentimento? È solo un’idea, un concetto, un’immagine di due ragazzi che stanno insieme, ma è completamente svuotato del suo potere e del suo valore. “Il vero amore è unico, profondo, esclusivo”. Sì, ma quello descritto oggi è turbolento e frivolo, vedasi Eclipse (mamma mia, che voltastomaco). Scusate, che senso ha stare con un vampiro geloso e possessivo che non va aldilà dell’equazione “non riesco a leggerti nel pensiero=ti amo” (perché, onestamente, l’amore di Edward nasce da lì) e nel frattempo passare i più bei momenti adolescenziali con un licantropo che ti vuole solo perché sei la ragazza del nemico? Mi verrebbe proprio da dire: “Bella, vindica te tibi!”. L’amore è stato svuotato alle radici: adesso nasce da situazioni demenziali e degenera in atteggiamenti ancora più demenziali, come nel caso di “Come tu mi vuoi (perdonate la ripetizione: è il peggior film

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be an Austen heroine

che abbia mai visto), dove il belloccio finge di innamorarsi della secchiona e lei (poveraccia) per piacergli elargisce ripetizioni private e…andiamo avanti. Meno male che c’è ancora gente al mondo in grado di apprezzare i sentimenti autentici. Per fare un esempio, mi vengono in mente le lettrici e i lettori (perché ho scoperto che piace anche agli uomini, anche se a troppo pochi, purtroppo) dei romanzi di Jane Austen. È di questa grande donna che ora vorrei parlare, e della sua visione al femminile del mondo, ma un femminile libero da stereotipi e svincolato dalle convenzioni. Prima di cominciare però devo precisare che questa mia esigenza di scrivere su di lei deriva da un disagio profondo e da un disgusto quasi disumano che provo nel muovermi tutti i giorni tra adolescenti decerebrati (non è il caso dei sarpini: non di tutti, almeno) e non da un’approfondita conoscenza del personaggio. Ebbene, Jane Austen nacque il 16 dicembre del 1775 a Steventon, nello Hampshire. Tra il 1795 e il 1797 scrisse i suoi due primi romanzi, che in seguito si trasformarono in “Ragione e sentimento” e “Orgoglio e pregiudizio”, ma

pubblicò anche altri romanzi quali Persuasione, Emma, Mansfield Park e L’Abbazia di Northanger. Pur vivendo nel periodo delle guerre napoleoniche, la Austen non tratta mai nei suoi romanzi gli avvenimenti bellici. Gli eventi a lei più cari infatti sono le cerchie ristrette della provincia, le storie d’amore e la vita quotidiana. Con ironia e arguzia illustra i personaggi che popolano la campagna inglese e che influenzano il sogno di felicità matrimoniale delle sue eroine. Le donne sono il fulcro fondamentale di ogni romanzo e per questo motivo Jane Austen è considerata “una delle prime scrittrici a dedicare l’intero suo lavoro all’analisi dell’universo femminile” o, con le parole di Virginia Woolf, “l’artista più perfetta tra le donne”. Ma l’ironia di Jane Austen non risparmia nemmeno le sue eroine, di cui descrive pregi e difetti in maniera imparziale: con battute sarcastiche il lettore inquadra i personaggi senza la necessità di lunghe descrizioni sui loro caratteri. La cosa più evidente da osservare sui caratteri delle eroine è la loro lenta e graduale, ma alla fine completa, maturazione: le donne, qualunque sia il loro carattere e il loro punto di partenza, devono possedere


15 virtù come la moderazione e il buon senso che vincono sulla avventatezza e l’impulsività. Un esempio di virtù femminile in questo senso è sicuramente Elinor, protagonista di “Ragione e sentimento”, che, portando nel cuore per diversi mesi l’amore segreto nutrito per un uomo, e al tempo stesso consolando e sostenendo la sorella minore Marianne, romantica, impulsiva, testarda e intransigente, che viene delusa nella sua prima storia d’amore, alla fine riesce a raggiungere la felicità coniugale. Grande donna Elinor: grande esempio di sicurezza e di riservatezza, di gentilezza e prudenza ma anche di forza e determinazione. A lei può essere accostata, per affinità di pregi e carattere, la dolce e timida Anne, che secondo me è la più fortunata delle ragazze, visto che dopo otto anni dalla rottura di un fidanzamento riesce a riprendersi, solo con la grazia del suo candore, il cuore dell’amato. Un caso a parte è invece la cara Emma, che si avvicina molto ad una principessina viziata più che ad un vero esempio di virtù; fatto sta che dopo una maturazione imposta un po’ per forza Emma è costretta a riconoscere i numerosi difetti del suo carattere, perché solo così può ottenere ciò che le sta più caro: l’amore di un uomo che le è sempre stato accanto, ma di cui lei non si è mai curata seriamente. Ma da non dimenticare è sicuramente la migliore (parere personale) delle creature di Jane: la signorina Elisabeth Bennet. In-

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CULTURA

telligente, testarda e determi- e sicuro e il giovane fedele che nata, sicura di sé e d’appoggio ha legato il suo cuore non ad un per gli altri, con quella punta corpo di donna, ma ad uno spidi ironia e sarcasmo che non rito e ad un’anima. guastano mai (soprattutto se Detto questo, vorrei sottolinela sorella del tipo che ti piace are come i rapporti tra donne è una vipera!), Elisabeth è un e uomini in Jane Austen siano personaggio interessante sot- perfettamente (con poche vato più punti di vista. Innanzi- riazioni) equilibrati: non esitutto perché non si lascia mai ste una sola coppia in cui un mettere i piedi in testa da nes- membro sia superiore all’altro, suno, ma al tempo stesso non ma entrambi sono identici per è superba e non cerca mai di qualità e opposti per difetti, in prevaricare sugli modo da corregaltri; in secondo La vita non è fatta di gersi. Non è queluogo ammette cose, ma di valori e sto l’amore auteni propri errori tico? Un rapporto la dignità e il rispet(cosa che tutti non basato sulle dobbiamo rico- to sono imprescin- apparenze o sulnoscere come la dibili in una società la menzogna, ma più difficile da dove il primo nucleo dove tutto viefare nella vita) e ne messo a nudo è costituito da un abbatte i pregiuquando si parla dizi che l’hanno uomo e una donna di sentimenti. Ed sviata dalla veriè questo che forse tà. mi manca di più oggi. RagazEd ora vorrei aprire una pic- ze, non ci si deve far ingannare cola parentesi sugli uomini dalle convenzioni che dettano di Jane: perché è giusto che il modo in cui vestire o parlaqualunque donna, oltre che re: ricercate le cose belle, gli femminista, sia anche un po’ sguardi sinceri e non emozioni maschilista, e così vale per e sensazioni superficiali. Trovaogni uomo, altrimenti come si te in voi stesse quello che valepotrebbe andare avanti? te e tiratelo fuori. La vita non è Non c’è dubbio: nella classi- fatta di cose, ma di valori e la fica degli eroi della Austen ai dignità e il rispetto sono impreprimi posti devono figurare scindibili in una società dove il Mr. Darcy, Mr. Knightely, il primo nucleo è costituito da un colonnello Brandon e il capi- uomo e una donna. Ricordatevi tano Wenthwort. che “la donna è nata dalla coEssi rappresentano (nell’ordi- stola dell’uomo, non dai piedi ne) l’innamorato di un amore per essere calpestata né dalla così intenso da stregare “ani- testa per essere superiore, ma ma e corpo”, l’uomo che de- dal lato per essere uguale, sotsidera solo il bene dell’amata to il braccio per essere protetma che ne corregge gli errori, ta e accanto al cuore per essere con delicatezza e fermezza, amata”. Trovate in voi stesse le il pazzo di un amore tenero, eroine di Jane e fate vedere chi sincero, costante, impavido siete veramente! Giulia Testa IB


cultura

Nella storia del fumetto italiano uno dei posti più importanti è occupato da Andrea Pazienza, pugliese d’origine, adottato da mamma Bologna. Si iscrive al DAMS nello stesso anno in cui si iscrive lo scrittore Pier Vittorio Tondelli, un altro rappresentante dell’animo inquieto dei giovani italiani degli anni ’70. Prima di collaborare insieme ad altri nomi rilevanti nel panorama fumettistico italiano (Tamburini, Liberatore, Scozzari) nella realizzazione di diverse fanzine e riviste satiriche (“Frigidaire”,”Il Male”,”Cuore”), partecipa, giovanissimo, a “Linus”, storico giornale allora diretto da Oreste Del Buono. Una leggenda dice che Umberto Eco, direttore del DAMS ai tempi di Pazienza, abbia raccomandato le tavole del giovane Andrea a Del Buono, ma sono solo ipotesi dell’inizio di una fortunata avventura editoriale:”Le straordinarie avventure di Pentothal”. Il nome della storia periodica,

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uscita a puntate su “Alter Alter”, rivista parallela a “Linus”, prende spunto dalla sostanza stupefacente che il Diabolik delle sorelle Giussani utilizza come siero della verità per estorcere le informazioni alle povere vittime: allo stesso modo le tavole di Pazienza sono il reportage disilluso di una quotidianità frustrante. Non solo, l’autore è allo stesso tempo somministratore del Pentothal e PAZiente, perciò il reportage è più simile a un viaggio onirico che a un rigoroso elenco dei fatti e dei misfatti. La Bologna di Pazienza è psico-geograficamente surreale, simile a quella Felliniana:tuttavia, in Pentothal, sotto al labirinto di portici, c’è una passerella di manifesti e di scritte che rivelano il rancore degli anni di piombo (”Un trip non è mai trop”, “Mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa”). In particolar modo emerge il punto di vista dei giovani, nella narrazione degli eventi periodici ormai entrati nell’immaginario

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collettivo (la fila in mensa, il servizio militare), nel linguaggio innovativo impiegato da Pazienza. Il lettering selvaggio caratterizza espressioni dello slang comune (“sono in para dura”, ”sono proprio flippato”) e modula la ripetizione di filastrocche e giochi linguistici, quali “cala aprile del settantotto/sulla capa del poliziotto”, ”le idee sono come le diomedee:hanno tutte e duee le due e”, ”passa un giorno, passa un mese/anche il micio si ritrova borghese”, ”immediapresto”. Eventi come i viaggi a Napoli e a Roma vengono rivissuti e riletti in maniera onirica, utilizzando topoi e riferimenti storico-letterari: così Napoli diventa un enorme fogna che si affaccia sul Mar Tirreno, mentre Pazienza, a seconda dei casi, è il fallito cadetto del generale Custer, un Don Chisciotte che difende i propri ideali apartiticamente e fanciullescamente o un esploratore delle foreste fantascientifiche dei mondi di Moebius. Esattamente come


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17 nel capolavoro di Cervantes, il protagonista cambia continuamente nome (Pazienza, Andrew Patience, Pentothal, Pentodrin, Detective), alternando simultaneamente i sogni, gli stili, i greggi di pecore e i mulini da combattere. Tuttavia, al di là di ogni significativa innovazione riguardo al linguaggio e alle tematiche, raramente affrontate prima, la novità che balza all’occhio mentre si sfogliano le tavole è la forma: se Hugo Pratt è riuscito, con il suo Corto Maltese, a rendere più raffinato il fumetto italiano nei tempi della narrazione, nella caratterizzazione dei personaggi, Pazienza ha apportato un rinnovamento sul piano stilistico-formale. Quella di Pazienza è un’innovazione a livello internazionale. La suddivisione dei riquadri è rara e sapientemente proporzionata (un esempio: l’incidente stradale che causa il primo dei viaggi onirici). In Pazienza Robert Crumb è messo sullo stesso piano dei corpi scheletrici di Schiele; il signor Antipyrine e il Dadaismo, insieme alla contaminazione confusa di stili e arti, sono la regola imperante di un interminabile gioco dell’oca. Il bambino sognante di Little Nemo qui è cresciuto e deve far fronte alla realtà. In questa epopea moderna PentothalPazienza è diventato sentinella del suo tempo, “un Orecchiante” che spia da sopra la cima elevata del suo letto le vicende e i vizi dei suoi contemporanei. “Ne avessi avuto il sentore, avrei aspettato e disegnato questo bel Marzo. 16 marzo ‘77”

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DRIVE: 5 LETTERE, TANTA ROBA

NO SPOILER: il mio scopo in questo articolo non è raccontarvi tutta la rava e la fava del film, ma semplicemente spiegarvi perché questo film è una figata. Perciò GIU’ LA TESTA e leggere. Drive: titolo facile e diretto. Refn: nome leggermente più difficile. Reef? Renf? Ronf? E che è? Un medicinale? Un’onomatopea? Assolutamente no. Nicolas Winding Refn, nato a Copenaghen nel 1970 spaccato, è a detta del sottoscritto uno dei registi più fighi sulla piazza. Conosciuto da tempo nel circuito semi-underground, sta acquisendo solo ora la fama internazionale che merita. Ha iniziato la sua carriera a soli 25 anni, con “Pusher” . Non è il film con Daniel Craig; non è quella tamarrata di “Push”; è “Pusher”, capostipite di una trilogia omonima, grandioso spaccato della malavita danese che rivisita con vivacità il genere e lo stile gangster movie. Il film ebbe tra gli altri anche il merito di lanciare il mitico attore (danese pure lui) Mads Mikkelsen, sorta di feticcio di Refn, che ha poi recitato in altri grandi film nordeuropei come “Le mele di Adamo” (black comedy grottesca e commovente) e “L’ombra del nemico” (film storico sulla “resistenza” danese degli Stefano Togni, II A anni ’40). La fama di Refn è cresciuta costantemente grazie alle opere successive, in particolare

i recenti “Bronson” (2006), con Tom Hardy, storia romanzata in chiave folle e psichedelica del detenuto più violento d’Inghilterra, e “Valhalla Rising”(2009), con Mikkelsen, mistica epopea vichinga che mi ha fatto cospargere di bava il telecomando. Ora questo idolo se n’è uscito con “Drive”, vincendo guarda guarda il premio per la miglior regia al festival di Cannes. Ma cos’è Drive? Mi sembra di averlo già detto: una figata. Uno di quei film che dopo che lo hai visto al cinema la domenica, ti rimbalza nel cervello per il resto della settimana. Drive è il Nuovo Cinema d’Azione. E’ la scopa che spazzerà via dalla vostra mente qualsiasi residuo di monnezza come Bad Boys o Mission Impossible. Vi farà saltare sulla poltrona. Rallenterà e accelererà bruscamente i battiti del vostro cuore. Forerà le vostre pupille e accarezzerà le vostre orecchie. L’energia e la potenza più pure affioreranno sulla superficie dello schermo, si staccheranno dalle immagini che le generano e lentamente vi raggiungeranno e sarete nell’abbraccio della vecchia Magia del cinematografo, quella vera. C’è un driver. Pilota preciso, chirurgico, guida addirittura con indosso guanti di pelle. Porta una giacca sportiva bianca con uno


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trama, che di per sé è irrilevante. scorpione dorato disegnato sul- La vera bomba è la regia di Refn, la schiena, e quando riesce tiene secca e cruda e allo stesso tempo in bocca uno stuzzicadenti (re- poetica. Quei lunghi silenzi, più miniscenza da Clint Eastwood). potenti di mille dialoghi taranE’ interpretato da Ryan Gosling, tiniani, quelle esplosioni di vioottimo attore ora all’apice della lenza brutale, artistica, ai limiti sua carriera. Un personaggio si- del gore (che mi hanno ricordato lenzioso, misterioso, senza nome: esce da un passato oscuro, terribile, che lo ha reso capace di alternare silenzi e pacati sorrisi a picchi di violenza quasi animale. Lui di giorno fa lo stuntman (“guida nei film”), ma di notte fa l’autista per rapine: “hai 5 minuti. In quei 5 minuti ti aspetterò. Non mi interessa quello che succede prima. Non mi interessa quello che succederà dopo che ti avrò portato a destinazione”. Si innamora di Irene, che non è una di quelle gnoccone che si vedono in TV, ma è “Bloody” Sam Peckinpah), quei dolcissima e incantevole. La loro ralenti epici, quasi leoniani, sono storia d’amore è fatta soprattutto impastati con una drammaticità di sguardi (come ho visto scritto unica e una scelta esemplare di da qualche parte: “use your eyes: tempi e di suoni. Il tutto, accomtouch is overrated”), di parole ta- pagnato da una magnifica colonciute, di mani che si sfiorano, e di na sonora, ti afferra per il collo silenzi carichi di intensità emoti- e ti scaraventa anima e corpo al va e di tenerezza. Succederà qual- centro della storia. Le immagini cosa di tragico e le loro vite cam- respirano e ansimano, gemono, bieranno per sempre. Questa è la come lo schermo di Videodro-

18 me. La presenza di killer mafiosi, di Bryan Cranston (padre di Malcom nell’omonima serie televisiva e protagonista della serie “Breaking Bad”) e del grandissimo Ron Perlman (Hellboy) non fa altro che migliorare le cose. Con questa opera Refn rivoluziona il cinema d’azione, incatenato com’era allo stereotipo americano (botte-inseguimento-sesso, esplosione-inseguimentosesso…), e impone il suo personale concetto di intrattenimento: un cinema sì adrenalinico ed emozionante, ma anche e soprattutto dotato di spessore artistico. Ed è compresa anche la morale, per niente buonista: il mondo è un vortice di violenza che ci trascina inevitabilmente nel suo occhio, per quanto ci sforziamo di sfuggirgli. Sarà possibile la redenzione?... Detto questo, posso solo consigliarvi di correre a vedere “Drive” (ormai dovrete recuperarlo in dvd; è rimasto poco tempo al cinema e non è stato pubblicizzato a sufficienza. Mah…) e gli altri capolavori di Refn. Vi chiederei di gridare il suo nome ai vostri amici, e agli amici dei vostri amici. Perché non accetto che sia meno famoso di Michael Bay. Il Teli, II C


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Reunion nella solitudine

In quei giorni di primi freddi gli occhi stanchi di Sandro si incendiavano nel blu elettrico del tabellone partenze e seguendo un loop sballato di ritardi e cancellazioni e coincidenze finivano su una macchia d’orzo oltre il vetro temprato dallo smog; i tavoli bianchi del “Posta” gridavano spietati il contrasto cromatico. Il locale, affollato dal popolo della stazione, tantopiù quando l’aria sibilava tra i binari per trovarti e ti segava le gambe. Cristina erano due-tre notti che s’era occupata il tavolino in fondo a destra lontano dalla porta, il che faceva sperare in una sopravvivenza: un inverno che è sempre troppo e a scaldarla le sigarette singhiozzanti di Pier, guardia notturna. Nottambulo Pier scivolato al bancone vede appannarsi un bicchiere vuoto, birra di qualità sempre peggiore. Nel buio Mara pensava sempre solo a lui e lui lo sapeva ma lui soltanto, che per gli altri Mara era una fantasia sua e non era mai esistita, forse un’angoscia. Angoscia delle notti fiacche accese coi fiammiferi, quando i treni inseguono i loro fantasmi in ritardo e se ne fregano dei passeggeri addormentati su sedili. Le notti aspettano i pendolari,non meno morti e non meno puntuali. Mara non esiste. Le guardie notturne non sopravvivono all’alba,quando la notte soccombe spenta ai fantasmi del giorno.

Entro o non entro? La domanda mi rimbalza nella mente da diversi minuti. O sono ore? Difficile decifrare il tempo, quando ci si trova con lo spirito sulla vetta di una montagna, inesperto, e con il corpo nella mia città. Guardo il mio riflesso nella vetrina del locale: la mia attrezzatura consiste in un paio di guanti consunti ed una sciarpa di lana grezza che mai mi è sembrata così leggera e inconsistente. La sensazione di gelo nelle ossa è amplificata dal silenzio più totale che avvolge ogni cosa intorno a me, interrotto solo dal suono metallico dei miei denti che sbattono. Mi stringo nel cappotto e sollevo il capo: accanto a me c’è una donna, che sta osservando l’interno del locale attraverso la grande vetrata. Il candore dei fiocchi di neve si confonde nei suoi capelli paglierini, sciogliendosi sul suo impermeabile blu. Mastica il filtro di una sigaretta nervosamente, continuando a fissare qualcosa al di là della superficie trasparente. Distolgo lo sguardo, e torno a fissare la porta. Entro o non entro? Una sensazione di disgusto mi pervade, di nuovo. Tutte quelle persone sedute che considerano disinteressati il bicchiere davanti a loro mi mettono angoscia, per la mia incapacità di scavare le loro menti, di scrutare le loro anime. Come se non bastasse, la temperatura sta di nuovo scen-

narrativa

dendo. Scorro di nuovo l’interno del locale e rimiro attonito la solitudine di quel gruppo di persone. Quanto sono diverso da loro? La consapevolezza della mia sconfitta nei confronti della civiltà mi eleva rispetto al loro oblio? O forse sono più colpevole, perché non faccio nulla per cambiare questa situazione? Magari fossi ricco, o incredibilmente intelligente, troverei certamente un rimedio a tutto questo mal di vivere. Invece ho paura. Ho paura del confronto con loro, ho paura delle loro possibili parole, dei loro cenni di comprensione alla mia situazione, ho paura del calore che da loro potrebbe derivarmi. Ho paura di vivere una relazione con ciascuno di loro. Potrei entrare nel locale, ordinare qualcosa di caldo, e starmene seduto in mezzo alla gente, godere del silenzio, gioirne fino a sublimare delle salde certezze che dentro ognuno di noi ristagnano ferree. Guardo nel vetro lo squallore di me stesso. C’è qualcosa di nuovo: un sorriso, un’intenzione, forse anche solo il vagheggiare di una speranza. Apro la porta, ed entro. Un altro sorso di birra e via. Cristina è abituata a quella scena, ormai era diventata una routine. E’ tutto così semplicemente perfetto. Prima il lavoro: si spacciava sempre per una donna delle pulizie; bastava suonare il campanello, sfoggiare il sorriso più


narrativa ipocrita ed essere convincente. Immediatamente tutti si fidavano di lei. Era l’unico modo che aveva per entrare nella vita delle persone. Una volta padrona della casa, il piano cominciava. Frugando nei cassetti, osservando vestiti e accessori, analizzando il cibo nel frigorifero, la provenienza dei tappeti, le fotografie di famiglia, il colore delle tende, la marca di shampoo usata o le pantofole accanto al letto, poteva farsi un’idea delle persone. Per un po’ di tempo cercava di immedesimarsi in loro. Dormiva nei loro letti, mangiava i loro cibi, indossava i loro gioielli, si lavava nei loro bagni e si divertiva con i giochi dei loro bambini. Ovviamente stava sempre attenta a non lasciare alcuna traccia delle sue ‘’intrusioni’’ e tutto era sempre come i proprietari l’avevano lasciato. Dopo questo periodo di conoscenza, iniziava la fase meditativo- organizzativa. Il bar era il suo rifugio. Ultimo tavolo nell’angolo. Dopo la solita serie di birre bionde bevute in tre sorsi, i pensieri iniziavano a fluttuare nella sua mente. Quando? Semplice: bisognava agire di notte, momento in cui le vittime erano più indifese, deboli e attaccabili che mai. Come? La tecnica preferita era un colpo secco nel petto, dritto al cuore. Perché? A quello non c’era risposta. Lo faceva e basta senza riuscire a darne una spiegazione. L’idea che potesse tenere nelle sue mani l’esistenza delle persone e dirigerla nella direzione che lei voleva era potente e gratificante. E ancora più eccitante era sentire le loro grida disperate che supplicavano pietà, e i loro lamenti agonizzanti di chi è in fin di vita. Quella sera si prepa-

novembre 2011 rava ad agire contro l’uomo che stava parallelamente di fronte a lei: Pier. Essendo una cliente abituale del bar, lo vedeva spesso, talmente tanto frequentemente che aveva finito per interessarsi a lui. Non lo conosceva, ma una forza irresistibile e un bisogno impellente avevano supplito alle sue scarse conoscenze. Pier beveva molto e fumava: non sapeva altro, eppure non riusciva ad accettare l’idea di rassegnarsi e desistere. Per questo aveva preso a frequentare il bar più spesso e in particolare quegli ultimi tre giorni non le avevano lasciato tregua. Non riusciva a concentrarsi come avrebbe voluto, avendolo sempre sotto gli occhi. Riuscì finalmente ad ammettere che fosse attratta da lui, il che la confondeva ma la inebriava ancora di più fino a farle sperare che un insolito spostamento nell’aria pesante del locale, portasse fino a lei un filo del fumo delle SUE sigarette. Nel frattempo, struggendosi, lo osservava cercando di dominarsi e costringendosi a restare seduta al tavolo aspettando l’occasione giusta. Si ripeteva continuamente che il giorno dopo sarebbe stato quello migliore per agire. In realtà aveva già progettato tutto, sarebbe bastato seguirlo una volta fuori dal locale e aspettare di non essere vista per sorprenderlo alle spalle e affondargli dolcemente fra le costole il coltello che, anche ora seduta al bar, le scintillava nella mano, colpito dalla luce della lampada che filtrava obliquamente fra le pieghe del cappotto. Eppure erano già passati tre giorni senza che si fosse decisa ad agire, quella sera rimuginava sulla sua insolita debolezza conscia del fatto che stava nuovamente posticipando il momento tanto atteso e chie-

20 dendosi come aggirare l’ostacolo rappresentato, per una volta, soltanto da se stessa. Si passò una mano fra i capelli riscuotendosi dal torpore che l’aveva assalita e vide di sfuggita gli occhi di Pier scrutare la stanza senza un motivo apparente, posandosi anche su di lei; fu sufficiente. Aveva deciso, ormai non c’era più spazio per i dubbi, di lì a poco avrebbe risolto tutto. Questa sera sono ancora qua, seduto sul bancone di questo bar, in attesa del raggio di sole che aspetto da tre mesi. E lì, sul fondo del bicchiere, mi sembra di intravedere il volto di lei riflesso, come avvolto in un alone di nostalgia. Ricordo con malinconia il giorno del nostro primo incontro e in un istante ogni particolare diventa nitido nella mia mente… Il suo sorriso, i suoi occhi azzurro ghiaccio, che mi scioglievano ogni volta che i nostri sguardi si incontravano; sento il dolce profumo di lavanda, lo stesso aroma che avevo respirato durante il nostro primo incontro nel parco, il delicato venticello primaverile mi accarezza la pelle, con la stessa leggerezza con cui scompigliava il biondi capelli della mia Mara. I ricordi ora mi stanno velando gli occhi di lacrime mai cadute e la mia paura di perderla sta diventando quasi palpabile, viva. Ma non voglio apparire un debole agli occhi della gente nel bar, così inizio a fumare una sigaretta, l’unica mia vera salvezza da tre mesi. Poi, involontariamente, picchietto le dita sul bancone in legno e il piede batte nervosamente sul pavimento; lo sguardo vaga tra le bottiglie mezza vuote di Martini


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e vodka, fino a scivolare oltre una porta dietro la quale si intravedono le cameriere indaffarate a cucinare. Tornando alla realtà il gelo che viene da fuori e dal mio cuore mi assale e non vedo vie di fuga da questo inverno senza fine, così accendo un’altra sigaretta. Un passato scomodo non si dimentica con uno schiocco di dita: è questo ciò che penso incessantemente da tre lunghi, bui mesi. In un momento rivivo il flashback della mia insulsa vita, piena di rabbia, rancore, ferite non rimarginate e del lontano ricordo di Mara, l’unica salvezza, la ragione che mi permette di compiere un respiro, poi un altro e un altro ancora… Erano tre mesi che l’aspettavo, seduto su questo bancone, ma l’avevo desiderata per tutta la vita.

accogliere una ragazza pensierosa con gli occhi arrossati dalla stanchezza e dal gelido vento notturno.

Una sigaretta. La prima di una lunga serie, ne sono certa. D’altronde, è l’unica fonte sempre disponibile a cui posso attingere per trovare le forze necessarie per affrontare la vita; quelle forze che ora mi servono per trovare il coraggio di entrare nel bar Posta. Eccolo: lo vedo attraverso la vetrata. Pier, appoggiato al bancone, è intento a fissare un bicchiere vuoto di birra. Mi dà le spalle. Non mi vede. Non deve sapere che sono qui, non fino a quando non mi sarò decisa ad entrare. Mi stringo ancora di più nel mio cappotto e attingo di nuovo alla mia fonte di energia. Una panchina: isolata, semi illuminata dalla luce fioca di un lampione, sembra fatta apposta per

spirare. Il desiderio sempre più costante di imprigionare per sempre il calore del suo corpo nella mia mano mi tormentava. Ho avuto paura. Temevo i miei stessi sentimenti. Ho avuto paura di aver trovato finalmente l’amore. Non potevo permetterlo: mai sarei appartenuta ad una persona. Nessun uomo mi avrebbe mai abbandonata. E mai, guardandomi allo specchio, avrei visto una donna sola, con il cuore spezzato e il volto rigato dalle lacrime, come mia madre, abbandonata da quell’uomo che devo chiamare padre. Sono sparita dalla vita di Pier. Sono diventata un fantasma. “Ci vediamo domani sera al Posta, alle 9”, mi disse l’ultima notte trascorsa insieme. Non ho avuto il coraggio di an-

narrativa darci.

Tre sigarette: era inevitabile. Il ricordo dei suoi occhi azzurri in quell’indimenticata, ultima notte Due sigarette. Non sono capace di amare. Più di luna non mi abbandona. volte ho tentato, ma il ricordo che Sono davvero disposta a perdere avrei voluto conservare si cancel- l’opportunità di amare per paulava invece di aumentare e senti- ra? vo che mi sforzavo di amare, che Lui è lì, dentro il bar. Sono sicura recitavo, di fronte al mio cuore, che mi aspetta. Tutte le notti. Da una commedia che non poteva tre mesi. ingannarlo. Fin dall’adolescen- E io vengo a sedermi su questa za avevo capito di non essere in panchina. Tutte le notti. Da tre grado di provare un sentimento mesi. Per cercare la forza di enche andasse al di là del primitivo trare nel bar. desiderio sessuale. Io che sono fatta di pietra e di Mentre la sigaretta brucia, guardo nel vuoto; lasciando che il rifuoco. cordo del suo sguardo e del suo Ma non importa. sorriso mi fluisca dentro ancora una volta. Un’altra boccata. Con Pier è stato diverso. Il cuo- Getto il mozzicone. re palpitava nel vederlo, una fitta Un respiro profondo e, senza esiallo stomaco mi impediva di re- tazione, entro nel Posta. N°1123- 9:45, questo treno non arriva più- N°5813- chi me lo fa fare questo lavoro, guarda in mezzo a che gente mi tocca stare..-N°2134- mai farci caso alle quote quando si tratta di cavalli- N°5598: anche oggi è andata, si torna a casa.- Che poi a me non è che me ne importa se son cenciosi o negri, mica sono razzista, - chi ne mastica di cavalli, come ce ne mastico io, non ci casca in questi trucchetti – altro che dormire stanotte, svengo sul divano. “Bzz.. bzz…” ecco! Le 9:46, è mia moglie che rompe perché sono in ritardo. Come “Furianera”, bel cavallo, gli allibratori lo tengono dentro la manica perché ha dei buoni tempi, ma non vince una gara


narrativa DA UN ANNO- che poi, finché si vive da soli, una birretta, una pasta al sugo … mica ci vuole il Gambero Rosso- solo mi facessero un po’ di spazio, diamine, si vede che son “qualcuno”- 9:47, certo che anche lei ha una bella faccia tosta, dopo che la mantengo facendomi un mazzo “così”essenzialmente perché il fantino non ha carattere. N°5813:”Scusi, ho visto il foglietto, lei gioca spesso?” N°2134: “Quando capita..” N°5813: “E si vince?” N°2134: “Basta saper giocare, alla fine son solo cavalli” N°5813: “Basta non esagerare, sa come si dice dell’ippica, che è un surrogato della masturbazione..” ridacchia

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*Gingle* “Il treno proveniente da ****** è in arrivo al binario 6”9:50, temo che lei mi tradisca. La prossima volta vado a lavoro in macchina –certo che è strana la vita, sono anni che passo le giornate sui treni e sono ancora solo come un cane – alla fine mi conviene puntare su quelli che erano favoriti tre corse fa, mi tradiscono sempre meno... *Gingle* “Il treno è in arrivo alla stazione di ****” Oh finalmente, non ne potevo più di questo disperato qua vicino – solo , in un oceano di persone –eccoli che scendono, almeno quello la smette di farmi domande sui fatti miei. 9:53 eccolo: “Si cara sto salendo adesso sul treno” N°5813:”Guarda dove vai, imbecille! Non vedi che sto scendendo?!”

Cosa avrà da ridacchiare ‘sto qua, che fa domande senza nemmeno conoscermi? Scommetto che ci prova- ma poi ne valeva davvero la pena di fare avanti e indietro su ‘sto treno puzza-di-piscio per guadagnare un po’ di più?-come -Cielo nudo, le notti passano sense le importasse se vengo a cena, za stelle sulle teste dei pendolari, poi a letto è sempre frigida -che si torna a casa. burbero, era solo per fare quattro chiacchere.

La commissione Narrativa Intro: Davide “Accio” Gritti IIA Sandro: Stefano Martinelli IIB, Elena Occhino IV F Cristina: Marta Cagnin ID, Iaia Paganoni IIC Pier: Federica Zonca IV D, Elena Moreschi IV F Mara: Lucia Cappelluzzo II I Pendolari: Pietro Valsecchi III F, Davide “Accio” Gritti IIA


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sport

Il Levriero e La Bottiglietta Poche giornate sono bastate all’Atalanta per lasciarsi alle spalle la penalizzazione che per molti avrebbe dovuto risultare un ostacolo insormontabile: la formazione orobica, sovvertendo tutti i pronostici, si ritrova dopo 10 giornate con 4 punti di vantaggio sulla zona retrocessione (occupata dall’Inter, stranezze di questo campionato ancora senza padroni) ma soprattutto con un bottino di punti che, senza penalizzazione, sarebbe da Europa. Molti fra gli addetti ai lavori attribuiscono questo exploit inatteso alla rabbia per una penalizzazione vissuta come spropositata, ma le vicende giudiziarie, ancora in corso, non possono essere un motivo per i risultati di una squadra. E dunque di chi sono i meriti? Sicuramente al primo posto vi è la società; la famiglia Percassi ha indovinato tutte le strategie, a cominciare dalla scelta di Marino come direttore generale: questi, grande uomo di calcio, ha infatti permesso alcuni degli acquisti più azzeccati dell’anno (da Denis a Moralez, passando per Cigarini), ma soprattutto ha confermato un tecnico quale Colantuono, grande lavoratore, consegnandogli in mano una squadra dall’indole guerriera ma dai piedi delicati, e i meriti del tecnico di San Benedetto sono l’aver indovinato la posizione migliore per il piccolo Moralez, libero da schemi e con la facoltà di occuparsi

delle sue posizioni preferite, e le “coppie” a centrocampo e in attacco (Moralez-Denis e Cigarini-Carmona, raramente gioca solo uno dei due). E lo stesso Colantuono ha sicuramente organizzato una preparazione estiva azzeccatissima, se è vero che l’Atalanta non è mai apparsa inferiore ad alcun avversario sotto l’aspetto della corsa: bisogna peraltro considerare che Colantuono ha costruito la sua carriera lavorando prevalentemente sulla difesa, che è il punto forte anche della Dea di quest’anno, perciò fino a quando arriveranno anche i gol l’Atalanta può sognare in grande. Ovviamente non vanno dimenticati i meriti dei singoli, a cominciare dal ritrovato Consigli, additato come causa maggiore della retrocessione di due anni fa e ora esaltato tra i migliori portieri italiani: di certo il vero Consigli è questo, tornato ai livelli di quando era il titolare dell’under 21 e i vari Sirigu e Viviano erano le riserve, e non l’impacciata giovane promessa di due anni orsono; la difesa al completo poi, con gli innesti di Masiello e Lucchini in aggiunta a Peluso, Manfredini e Capelli, sembra già aver raggiunto un feeling da “Grande”: raramente si vedono movimenti sbagliati, più spesso i gol subiti arrivano per invenzioni dei singoli; il centrocampo è costituito da giocatori che vedono il gioco in anticipo, quali Cigarini e Bonaventura, e i tipici “corridori” come Padoin

e il “Levriero” Schelotto, grande sorpresa di questo avvio di stagione: l’Atalanta gioca un bel calcio grazie anche a loro, e dove non arrivano i passaggi ci sono gli sfondamenti degli esterni (Schelotto di prepotenza, Bonaventura di classe); infine l’attacco, dove il “Tanque” Denis sta superando le più rosee aspettative con 8 gol in questo avvio di stagione, e il piccolo “Frasquito” Moralez non è da meno, con il suo baricentro basso e una rapidità da mal di testa, in attesa dell’esplosione dei giovani Marilungo e Gabbiadini, che mai hanno sfigurato nei pochi minuti a loro concessi. Ma dove può arrivare l’Atalanta? Sicuramente non può reggere questo ritmo per tutta la stagione, e forse alcune alternative tra difesa e centrocampo mancano, ma sicuramente un inizio così può dare una fiducia tale da far compiere imprese a questa formazione (salvezza anticipata? Europa?) sull’onda lunga dell’entusiasmo iniziale. La ricetta per proseguire di questo passo è non perdersi d’animo quando si presenteranno le prime vere difficoltà, per poter davvero sognare ad occhi aperti e tornare ad essere la “Regina” delle provinciali. Luca Parimbelli, 3°I


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MANUALE D’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI Dai tempi più remoti fino alla psicanalisi freudiana, si è sempre cercato di trovare un senso sensatamente sensato all’interno di qualcosa di insensatamente insensato (o forse solo apparentemente senza senso) quali sono i SOGNI. Visto che sono volate per secoli sciocchezze riguardo ad essi da parte di presunti indovini e strizzacervelli, abbiamo deciso di offrire a voi fortunati lettori di Cassandra parte della nostra infinita saggezza e darvi qualche dritta su come interpretare i vostri sogni a partire dagli elementi che vi ricordate aver sognato. (Questo è solo un riassunto, la versione completa sarà messa in commercio per poche migliaia di sterline cingalesi) - Un cammello in un cavolfiore: lo stress della scorsa settimana ti fa fare sogni che non c’entrano un cavolo quel quello che ti è successo e con quello che ti succederà, ma forse…. Del cammello non saprei dirti, ma molto probabilmente ti trasformerai in un alligatore a breve - Justin Bieber: FATTI DELLE DOMANDE!!! - Una mongolfiera: se passi la giornata con la testa tra le nuvole, poi non ti stupire che sogni cosa del genere, eh! Comunque aspettati la visita di un lontano parente (vedi foto)

- Acqua di cascata che scende all’ingiù: be’, che ti aspettavi altrimenti???? - Dente canino destro di fennec africano: ehm…. - Scatola di fiammiferi: sei forse un piromane??? O forse ti piace solo l’odore dello zolfo? In ogni caso cerca di non portarne in tasca (come già ti è successo) durante la lezione di chimica in laboratorio o nello stanzino dei detersivi infiammabili delle bidelle (non riesco a trovare un motivo per cui qualcuno dovrebbe infilarsi in quel buco, o meglio, non lo voglio sapere…) - Un cavatappi: anche in sogno brami di utilizzare il prodotto del vignaiolo??? Probabilmente il tuo futuro sarà esattamente come i tuoi sabati sera passati (sempre che tu te li ricordi) - Un unicorno di origami: non è che sei un androide, vero? In futuro probabilmente vedrai cose…. Eccetera eccetera… - Una doppia punta: o sei talmente ossessionato dalla cura dei tuoi capelli che anche di notte hai paura che si rovinino (vedi altra foto), oppure ti stai dando troppo alla nuova arte che hai inventato durante le noiose lezioni di storia: la TRICOMANZIA

ovvero la predizione del futuro attraverso lo schema apparentemente casuale delle tue doppie punte. Dunque nel primo caso credo che il tuo futuro non ti interessi più dei tuoi capelli, quindi anche se evito, nel secondo immagino che un tricomante come te veda molto più lontano di me nell’imperscrutabile destino…. - Un etto di bresaola: mi piace la bresaola, soprattutto sulla pizza con grana e rucola ah, tu volevi che parlassi del tuo sogno? Si va be’, ma come potrei mai trovare un senso a un sogno riguardo alla bresaola? - il GI: NOOOOOOOOOOOOO MA CHE RAZZA DI SOGNI PERVERSI FAI?!?!?!?!?!?!?!!? Mi rendo conto che questi saranno i sogni prodotti solo dalle menti più deviate, ma che volete farci? (L’AUTRICE DI QUESTO ARTICOLOCI TIENE A SOTTOLINEARE CHE I SOGNI DESCRITTI NON SONO AUTOBIOGRAFICI… OK VA BENE, LA MAGGIOR PARTE NON LO È) Cape Taun (Letizia Capelli), II A


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Ipse Dixit III I

gete “TANGA”

PICCIRILLI: per uno strano destino della sorte…

PICCIRILLI: Corbani leggi il tuo tema, che ieri eravamo in quattro e nessuno è riuscito a leggere la tua scrittura NELLO: veramente, non si offenda, ma a giudicare dal lavoro sul tema sembra che non l’abbia proprio letto nessuno…

PICCIRILLI: non è che nel Romanticismo vedi una donPICCIRILLI: quest’anno ho na passare con una mucca… deciso di non fare niente… CUBELLI: Lisistrata dice “I PICCIRILLI: vi farò fare la- nostri uomini pensano solo voretti di gruppo, a coppie di alla guerra? Benissimo, non tre… gliela diamo più” (parlando della guerra dell’Oppio) GIACONIA: ho incontrato PICCIRILLI: lei era lì, che due ragazzi che mi dissero “La scavava nell’aria fritta… storia sono fatti” MICH: “e in questo caso direi (STE E MALVE ENTRANO che siamo d’accordo… IN RITARDO) MALVE: ci scusi profe, erava- GIACONIA: c’è un secondo mo col professor Campanelli round, potremmo dire, visto STE: si parlava di cozze, von- che si parla della guerra dei gole,... “Boxer” PICCIRILLI: Carducci non è che poeticamente abbia fatto chissà che… MICH: eh no…

GIACONIA: il Romantico è uno che non ci sta dentro

TOBALDO (a Nello e Chiara): Piccioncini, la smettete? CHIARA: scusi stavamo parlando dell’Inghilterra… TOBALDO: ah state già programmando il viaggio di nozze?

PICCIRILLI: Foscarini, per esempio, che ha una bella scrittura da signorina…

PICCIRILLI: Per esempio là in fondo Palamini che sta faOLLI: profe non vorrei subito cendo? criticare la proposta… PALA: CHE SODDISFAZIOPICCIRILLI (dopo aver nuo- GIACONIA: ecco, non lo fare NE!!! (sollevando e mostranvamente detto un termine per do il libro di italiano e i relatiun altro): oggi non so che mi (Curtò entra in ritardo, trafe- vi appunti) succede, magari sto diventan- lata) do dis… dis… come si dice… TOBALDO: Curtò è inutile che dis… fai la scena tanto lo sappiamo che hai corso solo l’ultima V E PICCIRILLI: siccome sul libro rampa di scale della non c’è, scrivetelo che ci fate torretta! BONASIA (spiegando i tre siun piacere, a voi… gnificati di fio): essere fatto... OLLI: pluralis maiestatis? non ha alcun vedere con la PICCIRILLI: no, siciliano (parlando della tangente) tossicodipendeza eh! TOBALDO: potete scrivere “tg PICCIRILLI: Dai apriamo ‘sti α” o anche “tang α”, basta che BONASIA: Fero è un verbo “Sepolcri” e vediamo cosa c’è poi, non ridete perché è succosì carino, ha tutta una stodentro… cesso davvero, non me lo leg- ria dietro!


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SALVATI leggendo: “Ed ecco: mento… ZAPPA: Placate le vostre fiam- sono stato in Frigia e vidi tanti LORENZO: Neanche io… me verbali! Manco ci fosse il uomini Frigi!” periodo dell’amore! PIETRO: Capitan Ovvio! SALVATI (leggendo): “Gli dei filarono questo per i mortali MORETTI: Mi dividete i pie- (si parla dell’oracolo di Delfi) infelici: vivere nell’amarezza; di? PIETRO: Mia sorella ci ha fat- essi invece son senza pene” CLASSE: Eh? to la tesina su Delfi! *s’interrompe e cala il silenMORETTI: Quelli metrici, SALVATI: Ah! Come si chia- zio* dai! ma tua sorella? CLASSE: Ahahahahahahahah PIETRO: Monica, il cognome BONASIA: Ormai mi sento un come il mio SALVATI: I greci volevano reperto bellico! SALVATI: Ma non mi dire! annientare i Persiani! PIETRO: Come quando sono PAOLO: Ma era una guerra PERSIA! (Pietro colpisce PaoEX IVF (2010-2011) stato in Frigia, del resto! lo a colpi di materassino) GENTILINI: Shakespeare in- RONDI: Bravo! Ti meriti un (Durante l’ora di scienze si sisteva sul fatto che tutti gli più zero. parla di Guglielmini, che lanuomini sono uguali… GENTILINI: Barbara (prociò un grave da una torre per PIETRO: Io no, io sono più nuncia inglese) provare la rotazione della terbasso *abbassa la testa* PIETRO: Streisand! ra) Uuuuhuhuhhuuu! ANZALONE: Poi cosa abbia SALVATI: Ma i ragazzi hanno lanciato io non lo so… pensieri allegri: è un τòπος! AGOSTINO (interrogato): E PIETRO: Forse la suocera.... PAOLO: Un gattos! (e la classe si accorse della qualità questa è una subordinata infinitiva soggettiva... RONDI: NonCorrereCoscarsa delle battute di Paolo) RONDI: Ma nasconditi! meUnTrenoFreccirossa! SALVATI: Ma, Lorenzo! Tu fai i compiti d’Italiano alle otto di GIULIA (leggendo la tradusera, quindi?! LORENZO: No, prima guardo zione): “Poiché perdo la forza dell’esercito…” Sanremo. RONDI: Il nervo! Il nervo (Marcello Sensini è l’autore dell’esercito! Giulia, ti puoi del libro di grammatica italia- pure nascondere. na) SALVATI: Ehh, ma questo Sensini: Quanti errori! PAOLO: Sensini ha fatto proprio un Ma(r)cello! PIETRO *toglie il sacchetto dal calorifero e ci mette il dizionario* RONDI: Cosa fa adesso? Stende i panni?!

COLLEONI: Abbiamo qui la circolare numero X PAOLO: A me, se devo essere onesto, sembra rettangolare… (La classe assale Paolo) LORENZO, interrogato, semplifica un’espressione alla lavagna RUGGERI: Lorenzo, io non sto capendo il tuo ragiona-

V F COLLEONI: Ad esempio, proprio come un asilo cattolico, è esente dall’ICI anche un asilo ebraico o un asilo satanico… PAOLO: I went to Sicily. GENTILINI: NEW ZELAND?! PICCIRILLI: Volevo fare un lavoro a coppie, quindi... accoppiatevi! CLASSE: Ahahahahahahah PICCIRILLI: Non in senso riproduttivo! (Brusìo) GENTILINI (all’improvviso):


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ALESSIACOMESIDICESCOIATTOLO!? ALESSIA(d’impulso): SQUIRREL! GENTILINI: Ah, ok.

PICCIRILLI: Ma vedete che siete dei cavoletti!?

GENITILINI: Paolo, can you tell me the time? PAOLO: Mancan cinque e suona, profe!

AGAZZI: Guarda che gli spiriti i’è mìa i fantasmi, eh!

PICCIRILLI: Il problema è che se noi facciamo schifo, l’unione europea ci dice: ”Guardate: voi fate schifo.”

III C

AGAZZI: Come dire, oh, Euripide, osti, te la cerchi! Poi lui se n’è andato da Atene perché lo spintonavano sull’autobus...

AGAZZI: Non è che un padre PICCIRILLI: Quando ho mal vada a vendere le figlie per il di testa sono intrattabile, po- sale e l’aglio, a meno che non trei fare una strage… dicono sia proprio che la signora di Erba soffris- snaturato. Almeno un pollo se di mal di testa… *Guarda la arrosto! classe minacciosa* RAFFAELLI: Anche qui i raggi devono... radere?” GENTILINI: Lo ripeto, lo

terza pagina qua? Copiamola che non si sa mai che sia qualcosa di importante!” AGAZZI: È l’undicesimo comandamento, “non citare la Mesopotamia invano”! AGAZZI: Equivoco antichissimo: questa, sposata, al sesto mese partorisce. Oh, è stato Zeus! RAFFAELLI: Questa è la dispersione, non la diffrazione... ti sei dispersa? BUONINCONTRI: Venere vincitrice... che cos’ha vinto? Al Totocalcio? CATTI: Prof, lei è la nostra mamma chioccia! CAMPANELLI: To’ sorella!

ri-ripeto e lo strapeto! AGAZZI: Cattaneo, se l’avesCLASSE: Ahahahahah GENTILINI: E non m’importa si trovata tu questa versione se la mettete negli Ipse Dixit! alla maturità cos’avresti fatto? (La classe è in aula di scienze. Avresti detto “voglio Si apre la porta, ma viene rila mamma”! chiusa immediatamente. Un PICCIRILLI: Guardate che i minuto dopo rientra Troiani avevano una cultura GENTILINI: Svoltato l’angoIsotta) come quella dei Greci… mica lo a destra c’è la vetrina degli RAFFAELLI: Eri tu anche priUmpa-Lumpa! animali impagliati. Chiedo a ma? ISOTTA: No, era la professoRONDI: Mi sembra di parlare qualcuno di aprirla e di mettervi dentro. ressa che si occupa dell’oriencinese imparato dai miei vicitamento, ha guardato e se n’è ni! CLASSE: Ahahahahahahaha- PAGLIARINO (parlando di andata... Persio): Probabilmente l’o- RAFFAELLI: Si è disorientahahahah RONDI: Adesso non li vedo scurità è stata la sua fortuna, ta? perché i copisti più, si vede che han freddo… dicevano “cos’è questa roba


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La Redazione Direttore Responsabile: Vicedirettrice: Davide Rocchetti, III A Martina Astrid Rodda, III C Impaginatore-Grafico: Pietro Raimondi, V F

Segretaria: Benedetta Montanini, II A

Caporedattori: Arianna Piazzalunga, II C Sara Moioli, II A Glauco Barboglio, II C Pietro Valsecchi, III F Luca Parimbelli, III I Letizia Capelli, II A

Sarpi AttualitĂ Cultura Narrativa Sport Terza Pagina

Copertina: Stefano Togni, II A

Illustratrici: Camilla Balbis, IB Chiara Piantanida, IV F Redattori

Michele Soldavini , III I Davide Gritti, II A Alice Montanini, II A Benedetta Montanini, II A Elena De Leo, II B Benedetta Campoleoni, II B Stefano Martinelli, II B Filippo Alessandro Boukas, II C Isabella Manenti, II C Iaia Paganoni, II C Lorenzo Teli, II C Andrea Calini, II I Lucia Cappelluzzo, II I Sara Colombo, II I Francesca Carminati, II I Giulia Testa, I B Micaela Brembilla, I C Federico Ghislotti, I C

Patrizia Locatelli, I C Marta Cagnin, I D Camilla Balbis, I I Leopoldo Biffi, V C Andrea Sabetta, V C Federica Sala, V E Pietro Raimondi, V F Sara Latorre. IV D Giulia Vitale , IV D Sara Zanchi, IV D Federica Zonca, IV D Elena Giozani, IV F Elena Moreschi, IV F Elena Occhino, IV F


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