Cassandra - Dicembre 2013

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l’editoriale

Una gigantesca cartella

di Micaela Brembilla, IIIC

L’editoriale. Ok, mai scritto un editoriale. E, lo ammetto, quasi mai letto. Il primo editoriale di Cassandra che io abbia mai considerato era scritto da Isacco Cividini (il primo sarpino che mi ha rivolto parola al di fuori della mia classe) e diceva che se Cassandra fosse una studentella del Sarpi sarebbe una quartina dalle provincia in equilibrio precario sull’1A con una gigantesca cartella. Ricordo che mi era piaciuto molto, anche perché ai quei tempi io ero proprio una quartina con una gigantesca cartella. Ora sono in terza, ho ancora una gigantesca cartella (no, non è vero, si è rotta) e sto dall’altra parte a scrivervi un editoriale. Assurdo. Comunque, invece di tediarvi con le mie tirate nostalgiche da sarpina all’ultimo anno, dovrei illustrarvi il taglio di questo numero. Difficile. Molto difficile. Cassandra è l’esempio del disordine che funziona, dello sfaso da sesta ora che prende non si sa bene come una forma più o meno sensata e non può di certo essere riassunta in una pagina. Io vi posso solo dire che questa volta abbiamo una sottile linea rossa che siamo riusciti a sviluppare più o meno in ogni sottocommissione (incredibilmente anche in Terza Pagina che è piena di fanciulle quest’anno, chissà perché…). Per il resto, leggete Cassandra, perché a noi piace sempre molto farla, indipendentemente da tutto. E poi, se non siete d’accordo con qualcosa, come è successo, venite a dircelo, anzi, scrivetecelo, perché possono nascere cose interessanti! Buona vita

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Non c’è origami che, per complesso che sia, non cominci con una semplice piega (p. 4) Intervista (p.5) Ritorno al futuro (p. 6) Scuola in pigiama (p. 9)

Olio d’oliva e colza (p. 11) Fratelli (p.12) Sei gradi possono cambiare il mondo (p. 13) Un requiem in rosso-nero (p.14) L’altro 11 Settembre (p.16)

IL SOMMARIO

Sarpi Attualità’ Cultura NArrativa sport 3^ Pagina Fidati è qualcosa in più (p. 18) Ciak, si gira (p. 20)

Storie di Wretched Town (p. 22) Il Barbiere (p.24) Le foglie (p. 25)

C’mon Ted! (p. 26) Paggelle (p.27)

Io sono già una marca di caramelle balsamiche (p. 28) BergamoScienza: Mettiti alla prova (p.29) The Walking Dead: Sarpi’s edition (p. 31) Ipse Dixit (p.32)

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Non c’è origami che, per complesso che sia, non cominci con una semplice piega di Camilla Locatelli, IIIB “Origami è un termine giapponese composto dal verbo ‘ori’ piegare e ‘kami’ carta. Quindi origami è piegare la carta. Nulla di più che piegare la carta.”

le implicazioni geometriche delle figure che avremmo realizzato e qualcun’altro ancora affiancava il maestro Decio nel momento clou della piegatura.

Così le dispense fornite a noi guide definiscono quest’arte. Io, però, credo che quest’esperienza a Bergamo Scienza volesse proprio dimostrarci che negli origami si può vedere qualcosa di più che semplici pieghe. Il titolo del laboratorio era infatti ‘Geometria tra le pieghe’, perché lo scopo di quest’esperienza era quello di stupire e stupirsi di come si possano apprendere basilari nozioni di geometria piana in un modo alternativo alla riga e al quaderno.

L’aspetto difficile del compito di guida in questo laboratorio era quello di riuscire ad interagire in modo efficace con il proprio pubblico, adattando le spiegazioni al livello di conoscenze matematiche che avevamo di fronte. Il primo gruppo con cui abbiamo lavorato ad esempio era una prima media e ovviamente era completamente ignaro di qualunque nozione sui numeri irrazionali, che erano parte fondamentale della spiegazione geometrica, perciò oltre a tagliare parte della spiegazione, abbiamo anche dovuto rendere più facilmente comprensibile e interessante per dei ragazzini un argomento noioso come la geometria. Il secondo gruppo invece era una seconda liceo, che sicuramente aveva conoscenze più fresche e più solide, quindi per noi è stato molto più semplice, mentre il terzo gruppo, essendo di privati, era molto composito e non equilibrato, quindi le spiegazioni sono state molto ridimensionate

Noi in quanto guide dovevamo capire e soprattutto riuscire a spiegare ( che vi assicuro è la parte più difficile) i fondamenti degli origami e le implicazioni geometriche delle poche figure, che grazie all’aiuto del maestro Decio e del professor Criscuolo, abbiamo imparato a costruire (tetraedro, scatola masu e elica) Esistono tre tipi di origami quelli Geometrici, quelli Figurativi e quelli Tradizionali. Attraverso gli origami geometrici appunto si possono apprendere le principali nozioni di geometria euclidea, riguardanti ad esempio l’area di un quadrato e il rapporto in cui questa si trova con la sue diagonale.

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Credo che quest’esperienza oltre ad avermi permesso di avvicinarmi al mondo degli origami e ad aver stimolato le mia capacità artistiche (che quasi cinque anni di Sarpi hanno soppresso), avermi permesso di conoscere una persona piacevole e appassionata come il Dopo aver partecipato al corso tenuto maestro Decio, mi ha dato la possibilità da parte del professor Criscuolo e del di capire quanto sia complesso ‘stare maestro Decio (diventato per noi Dedall’altra parte della cattedra’ : comciosan), giunto il momento di dimostrare prendere come rapportarmi a un grupquel poco che avevamo imparato, ci po molto diversificato di persone, riuscire siamo divisi i compiti: qualcuno introdu- a farmi capire senza sostituirmi al mio ceva l’argomento origami e geometria interlocutore (in particolare nella fase al piano inferiore, qualcuno spiegava


fare fa, chi non sa fare insegna’ perché anzi per insegnare bisogna avere un mix di abilità molto diverse fra loro: una discreta conoscenza dell’argomento, una pazienza infinita e una buona dose di entusiasmo ma anche di noncuranza rispetto a ciò che le persone possano pensare di te e della tua materia. Sarò quindi un po’ più cauta nel giudicare il lavoro dei miei insegnanti d’ora in poi. O almeno ci proverò.

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della piegatura) è stato molto più difficile di quanto pensassi e questa difficoltà mi ha fatto riflettere su quanto spesso ho superficialmente sottovalutato il lavoro dell’insegnante. Pur avendo sempre pensato che seppur una persona sia molto preparata non significa per forza che sappia insegnare, mi sono resa conto di quanto possa essere frustrante avere di fronte una persona completamente disinteressata a ciò che tu con molto entusiasmo cerchi di fargli capire, e quanto questa frustrazione possa influenzare le tue capacità comunicative. Perciò sono giunta alla conclusione che è completamente falso il detto’ chi sa

(ok, questo proposito ha la stessa possibilità di realizzazione di un ‘domani inizio la dieta’)

Associazionismo Sarpino

di Giulia Testa, IIIB Circa un anno fa, un nostro compagnodi scuola aveva avuto un’idea un po’ bizzarra, un po’ al di sopra dell’ordinario e un po’ estranea alle abitudini sarpine: creare un’associazione che potesse favorire iniziative scolastiche senza gravare (o dipendere) sulle finanze d’istituto. Il giorno 6 febbraio 2013, questa idea ha trovato concreta realizzazione nella costituzione della Associazione Studenti Sarpi, di cui oggi, con piacere e con onore, sono qui a parlarvi in veste di presidente. Breve descrizione dell’Associazione, per i quartini che ne hanno sentito parlare veramente poco, e per tutti coloro che hanno ancora dei dubbi a riguardo. Gli associati sono sia sarpini (membri ordinari, cioè con diritto di voto) sia genitori, docenti, personale ATA, ex sarpini o qualunque essere umano particolarmente filantropo che voglia associarsi (membri sostenitori, cioè senza diritto di voto). La responsabilità legale dell’associazione ricade su presidente, vicepresidente (Marcello Zanetti, IIB) e segretaria (Francesca Marchesi, IIIB). L’organo rappresentativo dell’assemblea degli associati è il direttivo, costituito dai referenti di

commissione e da alcuni membri ordinari (membri con diritto di voto) e da presidente del comitato, rappresentanti di istituto e consulta e un delegato dell’Associazione genitori (membri senza diritto di voto). E fin qui ve l’ho semplificata al massimo. Ora vorrei parlare seriamente. L’associazione ha riscontrato, in questi mesi, giudizi sia favorevoli sia molto severi. Vorrei partire da questi: “l’ASS è una mafia, è un’associazione di privati e non c’entra niente con la scuola”. Solo una cosa è vera: che siamo un’associazione di privati. Per forza, per definizione. Ciò non significa affatto che i privati tutelino i propri interessi, visto e considerato che fra i primi articoli dello statuto, come una delle finalità, si legge “reperire e amministrare risorse per sostenere e ampliare i progetti studenteschi organizzati in seno agli organi interni all’Istituto (commissioni degli studenti e Comitato studentesco in primis)”. Per quanto riguarda la “mafia”: mezzo Sarpi è una mafia, nella misura in cui gli studenti che non si interessano delle dinamiche scolastiche lasciano che “siano sempre i soliti a tirare la carretta” e poi si lamentano di non venire informati, e questo vale anche per le commissioni studentesche. Da ultimo, chi sostiene che l’ASS non c’entri niente con

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la scuola, non ha il minimo interesse a vedere una “vita Sarpina” migliore. L’ASS sta, attualmente, pensando a tutti i modi per supplire alla carenza di fondi scolastici da spendere in attività extrascolastiche. Tra queste attività vorrei citare (in via informale, dato che l’ufficialità delle attività spetta solo al verbale esposto in aula magna) l’organizzazione delle feste di Natale, di fine anno e del ballo delle terze (collaborazione con commissione eventi) e la proposta delle magliette per l’open-day (in collaborazione alla preziosissima Associazione Genitori).

articolo, posso solo rispondere che se credi in questa idea, se credi nella collaborazione degli organi studenteschi, se credi nell’autogestione di una parte della vita scolastica, se credi nelle attività studentesche fuori dalla scuola, associati. Perché questa associazione non è solo un fondo alternativo al P8 (per chi non lo sa, il fondo –teoricamente- destinato alle attività studentesche scolastiche), ma un modo per spendersi attivamente, insieme, per la nostra scuola. La nostra scuola non è solo lezione, annuario, Cassandra, visite d’istruzione: la nostra scuola siamo noi che ci prendiamo cura di quello che Quindi, alla domanda, “perché dovrei abbiamo. E lo condividiamo. associarmi?”, dovrei innanzitutto ricordare che più associati ci sono, più l’ASS può pensare in grande. Però, in questo

Ritorno al futuro

c’è vita dopo il Sarpi? Storie di ex-sarpini [rubrica] 19 OTTOBRE 2013, AULA MAGNA: “CONVERSARE CON I RICERCATORI: DAI BANCHI DI SCUOLA AI LABORATORY DI RICERCA” MATTEO M GALIZZI, LONDON SCHOOL OF ECONOMICS

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Gli anni al Liceo Sarpi me li ricordo straordinari: il tanto studio, le diverse materie, tutte affascinanti; i professori, severi ma bravissimi; i compagni di classe (la ‘A’) e di liceo, tra i quali gli amici di una vita; l’esperienza politica, rappresentante di classe, d’istituto, di distretto, di coordinatore di associazioni politiche giovanili; l’organizzazione delle feste e dei concerti di fino anno; la scherma, le partite di basket da arbitrare; le tante goliardate e stupidate; le prime ragazze. E soprattutto quell’idea che si poteva essere ancora tutto, come il Terenzio di ‘homo sum, nihil umanum mihi alienum est’ /solo a me la citazione sembra palesemente sbagliata? C’è un “puto” come verbo/, quell’onnivora passione di imparare e leggere tantissime cose nuove, dalla fisica alla storia, dalla tragedia

greca alla letteratura contemporanea, dalla filosofia alla storia dell’arte, senza dover scegliere. Ma poi ad un certo punto devi scegliere: l’universita’ e la facolta’, cosa vuoi fare da grande. E non era facile: ogni scelta implicava dover rinunciare a tante altre materie ugualmente affascinanti. In ogni cosa vedevo le radici di cosa ero, ed immaginavo mentalmente i sentieri di cosa potevo essere. Ad un certo punto mi ricordo che ero indeciso tra due aree che ugualmente mi intrigavano: la fisica, di cui mi piaceva il metodo scientifico e l’andare alle radici ultime delle cose e del mondo dove viviamo; e la psicologia, di cui sapevo pochissimo, ma che intravedevo dietro le nostre letture di tragedia greca, filosofia, e letteratura dei primi del novecento, con l’idea potente di scandagliare i recessi remoti della nostra mente. Come spesso mi sarebbe poi successo in altre occasioni, non scelsi nessuna delle due opzioni. La fisica richiedeva tanta matematica e al Sarpi la matematica purtroppo l’avevo praticamente abbandonata, nonostante la passione che


appassionai cosi’ tanto ai corsi piu’ quantitativi e matematici che cercai di sceglierne il piu’ possibile. E poi anche l’universita’ non e’ solo studio, e’ un’altra esperienza straordinaria, con ancora la passione politica; i primi veri lavoretti; le feste e i concerti dei collegi da organizzare; le tante (forse troppe) goliardate e stupidate; altre ragazze ancora, e le immancabili delusioni. E sono ancora gli amici ed i compagni di collegio e della ‘casa di Pavia’, e i professori straordinari. La scelta della tesi di laurea fu importantissima: mi piaceva l’applicazione dei modelli matematici a problemi concreti, di grande rilevanza politica, e anche l’idea che gli economisti applicati lavorassero come consulenti per i governi, le imprese, o gli organismi internazionali. Mi laureai allora con una tesi in economia pubblica su come applicare la cosiddetta ‘teoria dei giochi’ all’offerta volontaria di beni pubblici, come l’ambiente, l’istruzione, la sanita’. Il mio relatore di tesi (che sarebbe poi diventato Presidente dell’Istituto di Studi ed Analisi Economica al Ministero dell’Economia e Finanze) mi spinse ad andare avanti. Mi piaceva, in effetti, approfondire lo studio della statistica applicata all’economia, la cosiddetta ‘econometria’. Bisognava pero’ vincere un dottorato preparando un esame su tutte le materie quantitative, e, mentre lavoravo, mi rimisi a studiare. Vinto il dottorato partii per il Regno Unito per un Master in Econometria. E ancora una volta bisogna ripartire da zero: stare ancora piu’ lontano da casa, riprendere l’inglese scarsetto e troppo scolastico, rifare amici (e ragazze) da tantissimi paesi del mondo, e soprattutto mettersi sotto a studiare. Ed e’ a York, dove c’e’ uno dei primi laboratori in Europa, che incontro per la prima volta l’economia sperimentale e comportamentale, una disciplina a cavallo tra economia (e teoria dei giochi) e psicologia, che utilizza il metodo sperimentale per testare ipotesi sul comportamento economico: i partecipanti ad un esperimento sono assegnati ad un gruppo che viene ‘trattato’ con un intervento economico, o ad un gruppo di controllo senza alcun intervento, e

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ne avevo alle medie. La psicologia, ti dicevano, dopo non ti fa trovare nessun lavoro, piuttosto fai medicina e poi psichiatria. E a quest’ultima scelta, in effetti, pensai davvero tanto, ma erano nove-dieci anni di studio, mi dicevo. Poi, per una strana associazione di idee, mi convinsi che avrei dovuto studiare economia. Ancora non ne capisco bene la ragione: forse sembrava un po’ a meta’ strada tra la matematica e il modello scientifico della fisica, e l’andare alle radici del comportamento umano e sociale della psicologia. O forse perche’ a sua volta era una scelta che teneva aperte molte porte e strade, invece di chiuderle per sempre, un po’ come continuare un liceo classico: dalla storia alla statistica, dalla matematica alla filosofia. O forse ancora perche’ ne sapevo ancora meno che della psicologia, ma, appassionato di politica come ero, capivo che, nelle nostre societa’ in fondo, tutto e’ motivato da ragioni economiche: capire quelle ragioni significava comprendere le radici ultime di cosa muove il mondo. Mi iscrissi ad Economia a Pavia (sono sempre stato un appassionato sostenitore delle scuole ed universita’ pubbliche…) dove c’era un bellissimo curriculum con tanta statistica, ma anche tanta ‘economia politica’, storia, e diritto. I primi anni furono molto duri. Non solo perche’ lo studio della matematica e della statistica mi richiedeva di dover riprendere tutti quegli anni in cui ero rimasto indietro, e li’ non aspettavano. Ma anche perche’ l’universita’, soprattutto se vissuta via da casa, non e’ piu’ un piccolo mondo ‘secluso’ e protetto in cui alla fine conosci tutti, come il mio liceo Sarpi. Gli studenti sono molti molti di piu’, girano e cambiano in continuazione, vengono da citta’ ed ambienti diversi, hanno anche modi di parlare e pensare diversi. E poi capivo che non sapevo niente in confronto a loro: su tante materie ero molto indietro rispetto a quelli che venivano da ragioneria o dal liceo scientifico. Ma il classico ti da’ metodo, disciplina, e flessibile apertura mentale alle diverse materie. Bisognava ripartire da zero, e mi misi sotto a studiare. E alla fine mi

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si misurano le differenze nei comportamenti e l’efficacia dell’intervento. Ed ecco che, per strani motivi, mi trovo alla fine molto piu’ vicino alla psicologia di quanto avessi pensato, e, via, riparto un’altra volta da capo, su e giu’ dagli aerei della Ryanair: Oxford, Varese, Mannheim, Roma; la Marie Curie Fellowship a Barcellona; ricercatore a Brescia; il PhD a York, l’Alan Williams Fellowship al Centre for Health Economics; insegnare a Queen Mary a Londra; Helsinki, Bruxelles, Lisbona, Bordeaux; la

GUIDA GALATTICA PER ASPIRANTI CLASSICISTI

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London School of Economics; i vari lavori di consulenza per imprese, ministeri, ed enti internazionali; il Centre for the Study of Incentives in Health all’Istituto di Psichiatria del King’s College London, dove finisco a collaborare con colleghi psicologi e medici, a freudiana dimostrazione che le soffocate passioni ‘sarpine’ per la psichiatria erano destinate, prima o poi, a riaffiorare.

za si perde: ecco il bello delle “scienze umane”. A volte il loro messaggio riesce a filtrare anche da un libraccio di versioni, magari rimaneggiate con la scusa di semplificarne la lingua (con che diritto LUCA CORTINOVIS, LETTERE CLASSICHE poi); o al programma, che gode nel toglierti da sotto il naso un argomento INTRODUZIONE proprio quando stai cominciando ad L’ultima volta che Cassandra ebbe il apprezzarlo (e che mai arriva alla fine, (dis)onore di ospitare un mio articolo ero ma questo è un altro discorso). in prima liceo: non avrei mai immagina- Per farla breve: ho scelto lettere classito di scriverci ancora, dopo più di dieci che e, siccome chi ha una passione non anni. vede l’ora di trasmetterla agli altri, l’ho A quel tempo ero il classico studente fatto per insegnare. che la sfangava, cercando di stare in DECALOGO PER L’ASPIRANTE NOVIZIO equilibrio sull’assurda giostra dei voti. Pensavo (e la vita me ne ha dato la I) I voti che hai al liceo in latino e greco conferma) che, tutto sommato, amnon contano niente. mazzarsi di studio 10 ore al giorno non 2) Hai la media del 9 e studi unicamente fosse l’adolescenza ideale. Mi divertivo perché i tuoi voti ti fanno sentire migliore e al diavolo la media! Al di là del sadidegli altri? Per fare lettere classiche ci smo, del “tributo di sangue”, e di altre vuole passione, non è roba per te (e, per sciocchezze del genere, in ciò che si inciso, vai a quel paese). studia c’è davvero qualcosa che val3) Ti piacerebbe fare lettere classiche ga la pena imparare. Per esempio: gli Autori (con la A). Quando uno studente ma hai la media del 4 e pensi che la lingua sia davvero troppo difficile? Non li ha davanti non sa (perché non glielo è così: chiunque può imparare qualundicono) in che modo quel testo sia sopravvissuto ai millenni saltando di papiro que cosa se vuole. Il latino e il greco non sono certo le cose più difficili del mondo, in papiro, di codice in codice. Non si rende conto che è passato attraverso la né occorre un’intelligenza esagerata per impararli. penna di qualcuno che lo ha copiato, 4) Le scienze dell’Antichità sono tante, magari di nascosto, magari rischiando qualcosa. E perché accadeva? Perché ciascuna con limiti ben precisi. Sono scienze, non dimenticarlo mai. forse vale la pena di leggerli e rileggerli 5) Chiunque è in grado di leggere e (soprattutto RI), perché ancora oggi ci comprendere i classici, di esprimere giusanno parlare se sappiamo ascoltarli. I dizi validi ecc. Tu devi avere un occhio testi restano più o meno gli stessi, cambia il mondo (parecchie volte è succes- scientifico: conoscere più informazioni so nei secoli), ma nulla della loro poten- possibile e incrociarle nel migliore dei


volta orientato starà a te procedere sulla strada che vorrai seguire. 10) La facoltà di lettere classiche è in media più facile del liceo e i voti sono altissimi. Ho fatto orali con voti discreti (27-28), che al Sarpi sarebbero stati valutati insufficienti. La scena muta frutta dal 22 al 24. La vera impresa è farsi bocciare. Ciò è dovuto alla simpaticissima riforma dell’università di qualche anno fa per cui una facoltà riceve fondi in base al numero di laureati che produce: chi ha pochi studenti (e lettere classiche ne ha pochissimi) o fa laureare tutti o chiude.

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modi. 6) Se sei in dubbio tra lettere classiche e moderne fai lettere classiche: avrai una preparazione più completa, e un vantaggio quando cercherai lavoro (augurandosi che la situazione migliori). 7) Il principale sbocco lavorativo è l’insegnamento (italiano, storia, geografia nelle scuole medie e nel biennio delle superiori, italiano, latino e greco nel triennio). Se non ti piace insegnare scegli un’altra facoltà: non vorrai diventare frustrato che odia il proprio lavoro! Sarebbe una catastrofe per te e per i tuoi studenti. 8) Altri tipici sbocchi lavorativi sono la carriera universitaria, l’archeologia e l’impiego nei beni culturali, ma non ci farei troppo affidamento: al momento sono percorsi molto lunghi e incerti (non che l’insegnamento dia salde garanzie). 9) L’università mette a disposizione gli strumenti: sta a te imparare ad usarli e camminare sulle tue gambe. Se uno affronta l’università come affrontava il liceo, cioè studia, dà gli esami e basta, non impara quasi nulla di nuovo. Una

P.s.: le espressioni “sciocchezze” “non contano niente” e “vai a quel paese” contenevano in origine situazioni per adulti... sono state sostituite per non urtare le menti più fragili... i palati fini potranno facilmente intuire che cosa ci fosse prima L.C.

Scuola in ospedale Continua la collaborazione con la realtà scolastica dell’Ospedale

dei ragazzi della scuola in pigiama BERGAMOSCIENZA 2013 IN OSPEDALE: “NEL MONDO DEGLI ORIGAMI AVVENGONO COSE STRANE…” E’ passato circa un mese dal laboratorio di BergamoScienza presso la nostra sezione ospedaliera e ancora non riesco a togliermi dalla mente gli sguardi entusiasti dei miei allievi. È stato veramente molto bello vederli mettersi in gioco e sfruttare ogni attimo di attività. Pareva che il tempo si fosse fermato e ognuno non volesse più andarsene. Quanta spensieratezza e serenità abbiamo re-

spirato! I docenti esperti sono stati bravissimi a coinvolgere, oltre ai ragazzi, tutte quelle persone che si avvicinavano anche solo per curiosare. In particolare genitori, volontari ed educatori che sono rimasti fino alla fine, cimentandosi in tutte le proposte. Ho visto mamme piegare fogli colorati e gridare di gioia per essere riuscite a realizzare una scatolina floreale, volontari desiderosi di conoscere le procedure per realizzare un particolare modellino, infermiere che chiedevano spiegazioni

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durante il cambio di una flebo o educatori che aiutavano i più piccoli, rispiegando loro le piegature corrette. Nel giro di pochi minuti l’ingresso del reparto di pediatria, alcune camere di degenza e l’aula scolastica si sono animati di ragazzi e adulti impegnati nella realizzazione di girandole, scatolette, fiori, tetraedri, triangoli e tanto altro ancora. Tutto in un clima di festa e di grande solidarietà.

Visto il grande successo ho chiesto agli organizzatori di ritornare, se possibile, prima di Natale. Mi hanno subito dato la conferma manifestandomi la loro disponibilità e il desiderio di essere ancora dei nostri. È stata un’esperienza molto positiva che speriamo possa essere l’inizio di una produttiva collaborazione.

Ma deve essere stata una buona esperienza anche per i nostri esperPer i più piccoli è stata magistralmente ti, perché sono stati così carini da raccontata anche una storia che si arpubblicare un articolo sul sito di Berricchiva man mano di nuovi modellini gamoScienza: lo trovate qui: http:// da realizzare: una casetta, un pianoforte www.bergamoscienza.it/ita/Default. da collocare nel salotto della casa, un aspx?SEZ=4&PAG=48&NOT=389 piccolo grillo saltellante nel giardino circostante, una volpe nascosta nel bosco. Non vedo l’ora di potervi raccontare la Addirittura i ragazzi hanno realizzato una prossima puntata. A presto! montagna innevata con tanto di grillo Profe Marco sciatore e un pesce nuotatore, animato da un semplice movimento delle dita.

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di Giulia Testa 3B

Esuliamo da Bergamo Scienza, ma restiamo nella scienza e nella ricerca. Quando si parla di medicina, non tutti pensano subito ad alcune caratteristiche fondamentali di un medico: costanza, curiosità, perseveranza, tenacia, vitalità, forza, speranza. Eppure, non era un medico il protagonista di questo articolo, ma ha indubbiamente dato un contributo prezioso alla medicina moderna. Sto parlando di Augusto Odone, economista italiano deceduto il 28 ottobre 2013, dopo una vita spesa in un’impresa. Negli anni Ottanta del secolo scorso, suo figlio Lorenzo manifestò sintomi ambigui: episodi di dislessia, comportamenti di aggressività e scatti d’ira, problemi di equilibrio, disturbi nell’udito. La diagnosi: adrenoleucodistrofia, o ALD, una malattia rarissima del metabolismo, irreversibile, con progressione molto rapida nella forma infantile fino a portare alla morte entro due anni dalla diagnosi. A causa dell’ALD, l’accumulo di acidi grassi distrugge la mielina, la guaina protettiva del sistema nervoso, che porta a progressive disfunzioni motorie e cerebrali. La malattia si trasmette di madre in figlio, poiché viene trasmessa dal cromosoma X: i figli maschi contraggono la malattia, mentre le figlie femmine sono portatrici sane. Subito i medici dichiararono l’impotenza della medicina di fronte a questa malattia, ma i coniugi Odone non pensarono neanche un momento all’idea di abbandonare loro figlio. Dopo essersi rivolti ai migliori specialisti dell’epoca e dopo aver sempre incontrato ostacoli e risposte negative, presero una decisione incredibile a dirsi: cominciare a studiare medicina. Chiesero agli amici d’infanzia di Lorenzo di trasferirsi a Washington per stargli accanto, mentre loro conducevano ricerche sul campo. Nel 1985, giunsero alla sintesi di una “cura”,

a base di olio di oliva e colza, chiamata Olio di Lorenzo. Questa cura ha permesso a Lorenzo di vivere fino a 30 anni: la sua morte è avvenuta nel maggio 2008. Grazie a lui, grazie all’amore dei suoi genitori e, è proprio il caso di dirlo, alla loro testardaggine, molti pazienti oggi riescono a convivere con l’ALD. Convivere, perché purtroppo l’Olio di Lorenzo non è una cura definitiva: lo studio ha dimostrato sì l’efficacia nel prevenire l’inizio della malattia nei bambini che sono ancora presintomatici, e nel rallentarne l’evoluzione nei bambini nei quali la patologia è già conclamata, ma purtroppo ha dimostrato anche che l’olio può soltanto bloccare gli effetti dell’ALD. Ciò che mi premeva sottolineare in questo articolo è la forza dei coniugi Odone. Nell’informarmi sulla loro storia, è sorta spontaneamente una riflessione sulla condizione dei giovani che ambiscono alla facoltà di medicina, a volte spaventati dal test d’ingresso, a volte spaventati dal lungo percorso di studi. Ecco, io spero che dopo aver letto una storia simile, chi è ancora confuso trovi dentro di sé la risposta alle proprie domande. Per me, questa storia è un esempio di amore, di tenacia, di quella potenza dell’essere umano, di quel rifiuto di cedere, che portano a “grandi cose”; è anche una prova del fatto che se si desidera davvero un risultato, lo si ottiene; che se non si hanno i mezzi, si cercano; che se si ha paura, si trova un motivo per superarla. Agli scettici suoneranno come parole vuote, ma non mi interessa. Io auguro a tutti i futuri medici sia tanta fortuna sia tanta forza di andare avanti: non si sa mai che le persone più grandi si nascondano nei volti più nascosti, ma arriva un momento nella vita di ciascuno in cui occorre tirare fuori… la grinta.

Attualità

Olio d’oliva e colza

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attualità

Fratelli di Carminati Stefania, VB Ruvide pietre e porte abbattute,

Tra i muri abbattuti ed il sangue versato

colpi di mitra o di cannone

uno sguardo ancor vivo richiama attenzione

e tutte le storie che son succedute sembran private d’amore o passione.

Una giornata scottante alla pelle piuttosto fredda per animo e cuore dove a nostri fratelli e sorelle è stato tolto ogni colore.

è quello di un bimbo così frastornato in cerca di qualche consolazione.

Tra gli esili arti ed i vestiti strappati domande e pensieri lo fanno tremare non hanno risposta poiché complicati persino un soldato non saprebbe spiegare.

Volti che, stesi, non temon la morte urla di madri che han perso i bambini

Che fare la guerra non è per bambini

uomini fragili contro la sorte

ma nemmeno gli adulti ne sanno granché,

imposta loro in caldi confini.

Sono ormai immersa nella polveriera

è un po’ come uccidere i nostri vicini in cerca di un qualche ed assurdo perché.

di chi sa ammazzare per futilità invoco pertanto questa preghiera

Penso che ormai lui sia cresciuto,

sperando che qualcuno poi la udirà.

ricordando ancora la strage passata e risposta concreta non ha ricevuto ma forse risposta non c’è mai stata.

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di Sara Testa, VF

L’appuntamento di Bergamo Scienza del 10 ottobre 2013 era incentrato su uno dei temi attuali più importanti: l’inquinamento e, più nello specifico, il riscaldamento globale. Questi fenomeni sono causati dal consumo di carbone, petrolio e gas naturale. Ne consegue un’emissione sempre più crescente di anidride carbonica che ha portato ad un innalzamento della temperatura media del pianeta di 0.7 gradi . Cosa accadrebbe se la temperatura dovesse continuare a crescere fino allo spaventoso livello di sei gradi in più? Grazie a immagini girate in tutto il mondo e a ricostruzioni digitali realistiche, il documentario della National Geographic Channel “Sei gradi possono cambiare il mondo” ci illustra i rischi a cui andrebbe incontro il nostro pianeta se le emissioni inquinanti dovessero continuare al ritmo attuale. Prima di tutto, il documentario spiega cosa accadrebbe se la temperatura aumentasse di un solo grado: l’Artico potrebbe essere privo di ghiaccio per metà dell’anno, l’innalzamento del livello del mare potrebbe sommergere migliaia di case nel Bengala, gli uragani inizierebbero a colpire il Sud dell’Atlantico. Con due gradi in più invece si accelererebbe lo scioglimento di ghiacciai in Groenlandia portando gli orsi polari ad essere una specie a rischio di estinzione, la foresta inizierebbe a crescere nella tundra canadese e la maggior parte della barriera corallina dei tropici scomparirebbe. Tre gradi in più potrebbero provocare cicli di siccità, incendi nella foresta pluviale dell’Amazzonia (e quindi ancora

più emissioni di anidride carbonica), la scomparsa della neve su quasi tutte le vette delle Alpi e la presenza di temperature in Europa Centrale uguali a quelle del Medio Oriente e del Nord Africa.

Attualità

Sei gradi possono cambiare il mondo A quattro gradi il livello degli oceani continuerebbe a salire, sommergendo le popolazioni che vivono lungo i delta dei fiumi: il Bagladesh e l’Egitto verrebbero devastati e Venezia sommersa. Il ghiaccio dell’Himalaya si scioglierebbe completamente causando enormi siccità e carestie. Alla temperatura di cinque gradi città come Los Angeles ed Il Cairo sarebbero prive di risorse idriche ed al posto delle fasce temperate si creerebbero due zone inabitabili. Infine, a 6 gradi, la desertificazione si diffonderebbe nella maggior parte del globo, gli oceani apparirebbero completamente blu perché privi di forme di vita ed i disastri naturali aumenterebbero in maniera esponenziale. Tuttavia, la situazione è ancora recuperabile e National Geographic non esita a consigliare a tutti di mettere in atto alcuni piccoli accorgimenti per il risparmio energetico. Infatti, ogni essere umano può contribuire alla difesa della Terra da possibili sconvolgimenti devastanti, partendo dalle azioni quotidiane, per esempio lo spegnimento immediato dei computer dopo l’utilizzo, l’uso di lampadine a fluorescenza, il miglioramento dell’efficienza di tutte le centrali a carbone e la riduzione dell’emissione di anidride carbonica delle case e dei veicoli stradali.

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attualità

Personalmente ritengo questo documentario molto educativo perché mette tutti a conoscenza di come potrebbe essere il mondo fra 50 anni. Anche se a volte può dare una visione un po’ trop-

po catastrofica della realtà, per quanto riguarda gli aspetti scientifici, direi che questo video si è rivelato molto esaustivo ed interessante.

Un requiem in rosso-nero

di Niccolò Nobile, 1A “Essere di destra oggi significa Stato, Nazione, tradizione, valori spirituali. Noi non ci definiamo conservatori, ma nazionalpopolari o sociali, proprio per dire che siamo la destra dei valori e non quella conservatrice”.

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E’ trascorso un anno dalla scomparsa di Pino Rauti, l’uomo che, nel bene e nel male, fu protagonista di uno degli aspetti più controversi della politica italiana degli ultimi cinquanta anni: quello della Destra, parlamentare e non, sociale e tradizionale. Propongo un’analisi obbiettiva di questa figura e del suo operato, senza cadere in un facile nostalgismo passatista o in una retorica celebrativa priva di contenuto. Per comprendere realmente un personaggio occorre calarsi integralmente nel contesto che lo vide operare, individuandone i meriti come gli errori e le debolezze. Occorre giudicare non solo alla luce degli eventi contemporanei, cosa che purtroppo è fin troppo frequente, ma quale uomo della sua epoca, e come tale sintesi di un retaggio storico e culturale, come dell’implacabile avvicendarsi degli eventi. Analizzando la figura di Rauti, bisogna individuare due dimensione fortemente intrecciate tra loro: quella politica e quella di intellettuale. Definito da alcuni il Gramsci nero o, con poca attinenza, fascista di sinistra, Pino Rauti si arruolò nella RSI a sedici anni, una scelta difficile e controversa che già basterebbe ad emarginarlo; legato ad Evola, nell’immediato dopoguerra fu tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, il più importante partito di destra degli

ultimi sessant’anni di storia patria, e del Centro Studi Ordine Nuovo, un’associazione politico-culturale che privilegiò il confronto con gli ambienti di sinistra (coi quali individuava come punto di contatto la lotta al capitalismo e all’atlantismo) e con gli aspetti meno conosciuti della cultura tradizionale. A quest’epoca risalgono una sua monumentale Storia del fascismo lodata persino da Giorgio Del Boca e il famoso convegno dell’Hotel Parco dei Principi sulla cosiddetta strategia della tensione. Uscito dal partito nel 1956, vi rientrò qualche anno dopo e fu a capo dell’ala di minoranza in opposizione alla segreteria di Giorgio Almirante; deputato per diverse legislature, fu a sua volta eletto segretario del MSI nel 1988. Contrastato da quelle correnti che avrebbero poi dato vita ad Alleanza Nazionale, perse la leadership del partito in favore di Fini; successivamente si oppose alla svolta di Fiuggi che vide lo scioglimento del vecchio MSI e l’abbandono della tradizione missina da parte dei dirigenti di AN. Nel 1995 fondò il Movimento Sociale-Fiamma Tricolore, di breve fortuna, e che, angustiato dalle controversie interne, lasciò nel 2002 per trascorrere gli ultimi anni nel silenzio, muto testimone del naufragio politico della destra italiana. Ricordatone il ruolo politico di non poca importanza, è bene riconoscere il ruolo culturale ricoperto da Rauti. Già negli anni del secondo dopoguerra essere di destra significava legarsi inequivocabilmente alle radici del vecchio regime e trovarsi in minoranza, andando incontro ad un inevitabile ostracismo, anche culturale. Rauti ebbe il merito di


situazione italiana; dall’altra parte bisogna ricordare che il PCI era il più forte partito di matrice comunista in Europa e che l’URSS rappresentava ancora una realtà forte e potente. Inoltre politologi come Marco Tarchi, autore di diversi saggi sui movimenti populisti, ed ex dirigenti missini come Tommaso Staiti, ora M5S, gli rimproverarono il progressivo abbandono della carica rivoluzionaria nel contesto della lotta all’interno del partito. Detto questo Rauti fu l’ultima tra quelle figure d’uomo, anche di parte opposta naturalmente, che si sforzarono di fare politica (già, perché oggi cosa vuol dire fare politica? E’ un termine che è ormai è stato privato di qualsiasi senso) in maniera coerente e fedele, e che ebbero il coraggio di non nascondersi dietro false etichette e bandiere, ma di lottare per l’ideale della propria vita anche quando la fiamma si era ormai spenta. Gli errori e le debolezze furono errori e debolezze del suo tempo, e come tali vanno compresi: non giustificati, ma capiti. Pino Rauti, coi suoi valori, i suoi sbagli, le sue cadute e i suoi meriti, rappresentò un mondo eterogeneo, vario, a volte persino contraddittorio nelle sue tante sfumature, un mondo controcorrente che ebbe il coraggio di difendere le sue posizioni alla luce del sole. Voler rievocare, oggi, quello spirito sarebbe cosa vana, e forse persino un errore, una nostalgia fine a sé stessa. Ma se è vero che, come diceva Tolkien ,le radici profonde, non gelano, allora qualcosa di quello spirito sopravvive e, retaggio di un mondo e di un’epoca conclusisi, resisterà in mezzo a noi.

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risollevare dall’isolamento una generazione di giovani missini, rendendosi interprete delle esigenze antisistema dei giovani. Fu lui ad individuare un terreno culturale da cui poter trarre le radici e l’identità del movimento, introducendo in Italia autori quali Guénon, Mircea Eliade o lo stesso Tolkien. Inoltre, in contrapposizione alla dicotomia USA-URSS fu con Rauti che incominciò a delinearsi negli ambienti di destra l’idea di Europa Nazione, naturalmente in un’accezione che nulla ha a che vedere con la moderna UE. Fautore di una maggiore apertura culturale, ebbe il merito di superare gli angusti spazi del nostalgismo mussoliniano per aprire la strada ad una destra alternativa. A quest’idea si rifanno le esperienze dei cosiddetti Campi Hobbit, il terzomondismo e le campagne antiabortiste, che ebbero il merito di coinvolgere maggiormente le giovani generazioni. Ripenso spesso alla sua figura di signore e politico d’altri tempi. Non posso negarlo: personalmente mi lega a quest’uomo una personale simpatia. Eppure, al di là di questo e stimandolo come intellettuale, tengo fortemente a non travalicarne il ruolo politico. Se Rauti rappresentò una maniera di vivere e vedere la Destra (quel mostro politico eretico ed innominabile) come un’alternativa ad un sistema schiacciato tra l’immobilismo della DC e il radicalismo di sinistra, altrettanto gravi furono alcuni suoi errori. Fu in gran parte sua la colpa, dettata dalle circostanze del resto critiche, di scorgere in una reazione forte e fin troppo decisa l’unico argine al comunismo nella complicata

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L’altro 11 Settembre Vita e morte del Compagno Presidente Salvador Allende. di Paolo Sottocasa, 3A L’11 settembre è ricordato quasi esclusivamente per l’attentato alle Torri Gemelli nel 2001. Circa trent’anni prima, però, in America Latina gli americani legittimarono la soppressione di un governo democraticamente eletto solo perché l’allora Presidente Allende aveva osato contrastare il capitalismo americano… quell’uomo, quel Compagno, fu ucciso dalla “democrazia americana”.

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Salvador Allende nacque a Valparaíso il 26 giugno del 1908, in una famiglia di tradizioni progressiste appartenente alla borghesia. Nonostante la provenienza, durante il periodo degli studi Allende si avvicina all’anarchico Juan De Marchi, calzolaio di origini torinesi , che influenzò molto la sua formazione politica giovanile. Dopo la laurea in medicina, nel 1933 partecipò alla fondazione del Partito Socialista Cileno e nel 1937 venne eletto deputato del parlamento. Nel 1943 venne scelto come segretario dei socialisti e ricoprì la carica di ministro della sanità fino al 1945, anno in cui divenne senatore. La sua scalata politica si concluse il 5 settembre 1970, quando, con il 36,3% dei voti, Allende fu democraticamente eletto Presidente del Cile. La sua elezione fu come un pugno nello stomaco per il vicino gigante statunitense, poiché Allende fu il primo presidente marxista eletto in un sistema democratico occidentale. «Noi partiamo da diverse posizioni ideologiche. Per voi essere un comunista o un socialista significa essere totalitario, per me no... Al contrario, io credo che il socialismo liberi l’uomo.». Nell’intervista del 4 ottobre 1970 pubblicata sul New York Times la componente ideologica socialista è ben chiara tanto che il terrore per lo spettro comunista, che dall’Eu-

ropa si era diffuso in tutto il mondo, si colpì velocemente gli ambienti governativi americani, i quali tentarono con tutti i mezzi di boicottare Allende prima e dopo le elezioni, fomentando anche la possibilità di un golpe. Ci si accorse, però, subito della singolarità del Presidente, il quale intendeva trasformare il Cile aprendo la cosiddetta “via cilena al socialismo”, chiamata anche “rivoluzione con empanadas e vino rosso”, a sottolinearne il carattere pacifico. Mentre in Europa il segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer sosteneva la necessità di un confronto democratico con le altre forze politiche, in Cile il socialismo si stava affermando senza la violenza rivoluzionaria, ma con la forza di profonde riforme economiche e sociali. Allende disse: « Stiamo cercando di superare lo Stato borghese, di cambiarlo dalle fondamenta. » e le prime “vittime” del socialismo cileno furono le povere multinazionali americane che controllavano la stragrande maggioranza delle miniere di rame del paese. Venne avviato un grande processo di nazionalizzazione di tutte le strutture economiche e si mise mano alla riforma agraria. Sul piano sociale si attuarono riforme che aumentarono le tutele per i lavoratori e per le fasce più deboli della popolazione e abbatterono il livello di analfabetismo nel paese. Furono varate imponenti riforme scolastiche che resero accessibile l’iscrizione all’università anche a contadini e a operai. L’istruzione fu facilitata con la creazione di innumerevoli biblioteche e la fornitura di libri a prezzi molto bassi. Furono poi aumentati i salari, ci fu la costruzione di nuove case popolari, fu garantito mezzo litro giornaliero di latte


e per non tradire i propri principi, anche se una legislazione di emergenza avrebbe potuto salvare il governo. Alla fine il golpe arrivò l’11 settembre 1973 dopo mesi di agonia del governo. Il generale Pinochet attaccò Santiago e assediò il Palacio de La Moneda, dove Allende si era barricato insieme alla guardia personale e ad altri sostenitori. Mentre gli aerei bombardavano il palazzo, Allende pronunciò il suo ultimo discorso alla nazione, chiudendo con queste parole: « Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento. ». Poco dopo il Presidente si toglierà la vita, avendo rifiutato di arrendersi. “Salvador era un uomo, vissuto da uomo, morto da uomo, con un fucile in mano.” Augusto Pinochet, appoggiato dagli Stati Uniti, prese il potere dopo un colpo di chiaro stampo fascista e instaurò una terribile dittatura militare che porterà migliaia di morti non solo tra i sostenitori del Compagno Presidente. È la sera dell’11 settembre 1973…“Ora la forza ce l’ha un traditore ma il Socialismo non muore. Esso è ben vivo e continua a lottare con unità popolare.”

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ad ogni bambino e furono introdotte maggiori tutele a favore delle donne, in particolare delle madri. Quello che è doveroso sottolineare è che fu incentivata la solidarietà con l’invio di migliaia di volontari che prestavano servizi di tipo sociale nelle baraccopoli e nelle campagne lontane dai centri abitati. Insomma il Cile conobbe un’intensa stagione di riforme che elevarono le fasce più deboli della popolazione e al contempo fecero aumentare le tensioni con gli Stati Uniti che non avevano mai smesso di sostenere, anche economicamente, gli avversari politici del Presidente. Nonostante gli sforzi di mantenere l’ordine, il governo viene mandato in crisi da uno sciopero di camionisti, dall’inflazione altissima, dalla carenza di cibo e dal crollo del prezzo del rame che danneggia l’esportazione cilena. Indirettamente gli Stati Uniti sono i responsabili della crisi di governo e per evitare la diffusione del comunismo in America Latina la CIA indirizzò le formazioni cilene di destra verso insurrezioni armate alle quali la Unidad Popolar rispose con manifestazioni di piazza. Il generale Pinochet fu messo a capo delle forze armate, poiché considerato fedele al governo. I conservatori accusarono il governo di violenze e repressioni degli scioperi, censura, corruzione e, con una campagna di stampa continuata dopo il golpe a opera dei militari, misero in giro voci diffamatorie sulla vita privata e sui piani politici di Allende, accusandolo di voler diventare un dittatore. Allende rifiutò fino all’ultimo di usare la forza e la legge marziale, che i poteri presidenziali permettevano, per evitare una guerra civile

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“Fidati, è qualcosa in più” di Pietro Raimondi, 2D I CANI, GLAMOUR (2013) - 42 RECORDS Quando ho ascoltato questo disco per la prima volta, appena caricato su YouTube dalla band, sono rimasto turbato. Sarà che erano le undici di sera, sarà che ero stanco morto ed emotivamente sconvolto, ma questo disco mi ha veramente fatto un certo effetto. Diciamo che seguo I Cani dall’uscita del primissimo singolo e che “Il Sorprendente Album d’Esordio dei Cani” (2011) è uno di quei dischi che mi ricorderò molto a lungo. Nel senso che già in quinta ginnasio mi trovavo a scrivere sotto il banco “vedi Niccolò la gente non è il mestiere che fa”. Quelle atmosfere casarecciamente elettroniche, quel punk buttato sui sintetizzatori, quella voce fragile e musicalmente scorretta, quelle liriche fatte di panorami metropolitani e gioventù serali. Niente, o quasi niente, di tutto ciò in “Glamour”. L’album è pulito come melodie, arrangiamenti, composizione, è ben prodotto (da nientepopòdimeno che Enrico Fontanelli degli Offlaga Disco Pax) e posso dire che una delle prime cose che si avvertono è l’oggettiva maturazione del gruppo (che poi alla base dei Cani c’è Niccolò Contessa, giovine romano, tastiere e voce). Proprio questa

maturazione si ritrova incisivamente tra i concetti delle liriche. Gli adolescenti liceali, universitari, mantenuti, postmoderni, illusi ed emotivamente instabili del primo disco sono diventati grandi. Ora hanno un lavoro, un lavoro vero, magari si sono compiuti pure come artisti e sono in tour per tutta Italia (in senso direi meta-letterario, tipico del gusto modernista dei cani, l’utilizzo di personaggi altri da sé con il fine di parlare di sé o viceversa, ottenendo spesso volentieri canzoni che parlano di gente che fa canzoni): hanno capito che non si va avanti a Long Island e velleità. Ma le problematiche di fondo, che hanno infiammato in totale onestà e purezza i loro animi, sotto strati e strati di apparenza, sono rimaste. E l’idea di aver superato l’adolescenza, ma di non averle archiviate non fa altro che ingigantirle, fino ad urlare. Un po’ come nelle canzoni dei Fine Before You Came. “Fidati, è qualcosa in più”. Il problema non è più andare a scuola, sostenere gli esami, innamorarsi o avere vent’anni: c’è qualcosa che, avvicinandosi l’età adulta , resta, più profondo che mai. Ti viene quasi voglia di scappare per non sentirlo , ti viene voglia di “stare sempre così, avere cose pratiche in testa” per far finta che non ci sia. Da una parte abbiamo “l’unica vera nostalgia” del sentimento sincero della giovinezza, dall’altra la consapevolezza che “non si può correre soltanto dietro ai sentimenti”, anche perché il mondo fa di tutto per opporsi


la tachicardia cercherò di ricordare che nonostante tutto c’è la nostra stupida, improbabile felicità. La nostra niente affatto fotogenica felicità. Sciocca, ridicola, patetica, mediocre, inadeguata”. Inadeguata, perché Contessa non sembra vedere motivi per cui essere razionalmente felici, ma non può negare di esserci passato, di essere stato felice per sbaglio. Un po’ come “il momento in cui si ricomincia a respirare”, che Contessa dirà di aver espresso in Roma Sud. È dunque con una certezza fragile che si continua a stare al mondo, nonostante il mondo.

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ad ogni reale sentimentalismo: “Non c’è niente di twee in tutto il mondo”. E così, procedendo spesso per citazioni, da un intergenerazionale abusato De André fino ai “groppi in gola” dei Baustelle o ai già citati Fine Before You Came, quasi si volesse affidare alle parole di altri quello che si vuole dire, I Cani ci raccontano dell’invecchiare in tutti i sensi, di cosa volesse dire “arte” per Piero Manzoni (Storia di un artista) e di cosa vuol dire per le nostre pretese intellettuali da social network, ragionando sempre su quell’ardore di “sogni ambiziosi” che pulsa sotto a tumblr, sotto alle “mostre borghesi” e sotto alle foto profilo. Rapporti una volta considerati immortali che si sfilacciano, la paura “che gli amici mi scordino, e di quelli che scordo io”. Le promesse di tre o quattro anni fa che si perdono. Un terrore di perdere tutto che afferra nella piena quotidianità, nella normalità (e dire che volevamo essere “tutto tranne normali”), in mezzo ad un corridoio, all’improvviso: quasi una crisi di panico. La constatazione che ogni sogno passato, presente e futuro, ogni sincero desiderio che la società non riesce ad ammazzare e che si porge quasi istintivamente o, per riutilizzare questo termine, molto sentimentalmente, alle stelle, è destinato a svanire nel totale disinteresse dell’universo, che ha da badare alla sua assoluta relatività. “Tutto l’universo nasce e muore di continuo e se ne frega dei progetti e degli amori e dei miei fallimenti”: forse è questa la frase che fin dal primo ascolto mi ha lasciato addosso quella sensazione di turbamento. Per carità, il mondo è pieno di maestri del cinismo e del relativismo ben più tristi dei Cani, ma quella canzone (San Lorenzo), con quella melodia così ignorante ed allegra, posta dopo tutto il disco fino a questo punto, ha un non so ché capace di colpirmi più in profondità di altre logiche del nulla. Eppure, fosse solo per questa frase, non si troverebbe la forza di alzarsi dal letto. Il brano finale, Lexotan, butta lì una cosa piccola, stupida e fragile: una speranza. Una speranza chiamata felicità. È una felicità particolare: né una serenità edonistica, né una realizzazione totale: “E se dovessi avere sulla tangenziale

Questo è quel poco che sono riuscito a tirare fuori da un disco molto organico, ma comunque veramente vasto; quel poco che sono riuscito a leggere dietro l’hipsterismo, quasi pesante, quasi voluto a cui ”l’ennesimo gruppo pop romano” non rinuncia. I Cani, non senza fatiche, hanno fatto un disco più maturo, non necessariamente migliore, del precedente. Hanno dimostrato la solita capacità di tirarsi fuori per un attimo dalla tanto cara società postmoderna e di raccontarla con sguardo un po’ sfottente e un po’ disperato, come abbiamo già visto nel primo album; c’è infatti una precisa integrazione dei due dischi. “Glamour” inizia con il suono conclusivo del “Sorprendente” e termina con i rumori iniziali del primo disco, in perfetta ringkomposition. Forse, però, in questo album c’è qualcosa in più. Si fa spazio, in mezzo a miliardi di arti e sociologie, una certa attenzione all’uomo, una certa attenzione all’individuo per quanto meschino, per quanto ridicolo. Forse esagero, forse mi esprimo troppo soggettivamente, ma penso che, più dell’umanità, i Cani stiano cercando l’uomo. Il cane, del resto, è il miglior amico dell’uomo.

Per ascoltare il disco gratuitamente: www.glamourcani.tk

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Ciak, si gira! di Giulia Argenziano, 2B Vittorio De Sica fu uno dei massimi esponenti del Neorealismo italiano nonché la causa della mia sindrome dell’Epoca d’Oro. Ma andiamo con ordine. Nacque a Sora, un paesino in provincia di Frosinone, il 7 luglio del 1901. Crebbe a Napoli, in una famiglia modesta e già all’età di sedici anni intraprese la carriera teatrale. Il suo primo ruolo cinematografico nelle vesti di attore fu nel film diretto da Mario Camerini, “Gli uomini, che mascalzoni!” (1932). Per quanto però fosse bravo nel rivestire ruoli differenti davanti alla macchina da presa, Vittorio cominciò a sentire l’esigenza di raccontare le sue storie, invece che interpretare quelle degli altri. Fu così che nel 1939 diresse il suo primo film da regista, “Rose scarlatte”, una commedia disinvolta e simpatica, tratta da un progetto teatrale di Aldo De Benedetti. La sua produzione registica, fino al 1942, seguì la scia di questa prima pellicola, non discostandosi molto dal genere comico-sentimentale. Soltanto dopo aver conosciuto e instaurato con Cesare Zavattini un rapporto di amicizia, De Sica iniziò a trattare le tematiche neorealiste.

a volte anche amara, e le condizioni di vita, non sempre facili, delle famiglie italiane nel Dopoguerra. Il lavoro nell’ambito neorealista di De Sica iniziò con due capolavori, considerate pietre miliari del cinema nostrano: “Ladri di biciclette” e “Sciuscià”, pellicole che si aggiudicarono l’Oscar come miglior film in lingua straniera, facendo guadagnare grande successo e fama al loro regista anche oltreoceano. I film narrano con drammaticità gli aspetti amari del Dopoguerra.

In particolare, “Ladri di biciclette” affronta il tema del lavoro, la difficoltà delle famiglie per ‘sbarcare il lunario’ e la durezza della vita in quegli anni, dove l’unico che si salva non è chi è dalla parte del giusto, ma chi sa arrangiarsi da sé, spesso anche andando contro l’etica e la giustizia. Tutto ciò viene proposto grazie alla grande interpretazione dei due protagonisti “presi dalla strada”, come si dice in gergo, cioè due attori non professionisti. Fungono da protagoniste anche la città di Roma, presentata in tutta la sua monumentalità, e la bicicletta, fonte di unico sostentamento della famiglia, poiché neUrge però che io vi introduca, annoian- cessaria per il lavoro svolto da Antonio, il dovi a morte, le caratteristiche principali protagonista. di questo filone cinematografico. “Sciuscià” invece, affronta con vigore il Il Neorealismo fu un movimento cultu- tema di ragazzi abbandonati che si danrale, nato durante la Seconda Guerra no alla delinquenza in una Roma sconMondiale e sviluppatosi negli anni subito volta dalla guerra e invasa dalle truppe successivi al termine del conflitto. Oltre alleate. I due giovani protagonisti, accua Vittorio De Sica, come esponenti del sati di alcuni reati, vengono mandati in movimento, si devono ricordare Luchi- un riformatorio; qui, maltrattati e incomno Visconti, al quale si attribuisce il primo presi, scoprono cos’è la vera violenza, film del genere neorealista, “Ossessione”, fino a diventare loro stessi brutali deline Roberto Rossellini. Le trame di queste quenti. pellicole sono ambientate tra le classi sociali disagiate o lavoratrici e trattano In entrambi i film si sente forte e impedella situazione economica e morale del tuoso lo spirito di denuncia e di profontempo, mostrando la realtà quotidiana, da sensibilità, con il quale De Sica si è


I disastri della guerra furono nuovamente ripresi in considerazione nel film “La Ciociara”, tratto dal romanzo di Moravia, con la grandiosa interpretazione di Sofia Loren, che per questa parte ottenne l’Oscar per la migliore attrice nel 1960.

quale lavorarono anche Luchino Visconti e Federico Fellini, “Ieri oggi domani”, che consacrò la coppia MastroianniLoren vincendo l’Oscar come miglior film in lingua straniera, “I Girasoli”, “Amanti”e “Una giornata particolare”. L’ultimo film diretto da De Sica prima della morte (nel 1974) fu “Il Viaggio”, con la partecipazione di Richard Burton a fianco della Loren. È un racconto di derivazione pirandelliana, rappresenta il percorso malinconico di una donna malata terminale, che assieme al suo primo amore, il fratello del marito defunto, viaggia verso Nord, fino a trovare la morte a Venezia. Quest’ultimo progetto suggella la fine dell’itinerario artistico e umano del regista, il quale morì nello stesso anno a Neuilly-sur-Seine.

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approcciato nel produrre queste due pellicole. I bambini sono i protagonisti indiscussi di entrambi i prodotti cinematografici, sono gli osservatori della cruda quotidianità e in loro sono riposte le speranze per un futuro migliore. Attraverso i primi piani e i campi lunghi silenziosi, De Sica trasmette la sua attenzione e vicinanza agli umili, agli ultimi. Come ho già detto, questi progetti ottennero grande successo principalmente in America e in Francia, dove De Sica venne osannato; in Italia invece, vennero molto criticati, soprattutto dai più grandi esponenti della politica, perché, a detta di questi ultimi, davano un’idea sbagliata del nostro paese. Proprio per questo motivo, altri film del genere furono censurati e ne fu vietata l’esportazione nei paesi stranieri.

La grandiosa sensibilità e l’attenzione a temi sociali, come i contrasti tra miseria e povertà, fecero di Vittorio De Sica uno dei più grandi registi italiani di tutti i tempi, di cui, a mio modesto parere, dovremmo andare fieri.

I film che seguirono al periodo neorealista di De Sica, furono più convenzionali, rientrando nel genere di commedia sentimentale e di satira sociale. Da ricordare sono “Matrimonio all’italiana” (tratto dal romanzo “Filumena Marturano” di Eduardo De Filippo), “La Riffa”, lungometraggio inserito nel film “Boccaccio ‘70”, al

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Storie di Wretched Town parte 2 di Jacopo signorelli IVC Ero nella ressa di Glen Market Road a svolgere un paio di commissioni natalizie, come d’altronde fa ogni veterano incolore o abulico garzone che si rispetti, il giovedì mattina antecedente alla festa. Non che sia uno che abbia l’albero decorativo in camera, insomma ci vuole qualcosa di più per rischiarare la mia nebbiosa vista, ma Kelsie è una tradizionalista, ci tiene a queste usanze. In questi anni non è passato 25 dicembre senza che non mi regalasse qualcosa: solitamente calze, film di Eisenstein a noleggio o qualche numero al lotto, ma non son mancati Bic Mini dell’85 o alcuni scritti di Zoscenko. Fatto sta che quella mattina ricevetti una telefonata. Era Jimmy, un bislacco tipo dell’Hampshire, mio amico da quando arrivai qua e proprietario di un fatiscente locale aldilà del ponte che divide South Mile da Timber Cross. “Cal è successo un casino”- tuonò lui senza alcun complimento. “Cosa hai combinato?”-ribattei cercando di dimostrarmi il più interessato possibile. “No, non c’entro io, si tratta di Harvey. Lo sai beh il suo problema al fegato… non regge più, e sai come funziona. Niente soldi, niente assicurazione, niente nuovo fegato. E’ all’ospedale di West Cotts.”- disse tutto d’un fiato, con un tono che mi era troppo familiare. Prima ancora di terminare la telefonata invocai un taxi. Non lo facevo da tanto tempo. In breve raggiunsi l’ospedale. Ebbi il tempo di pensare a Harvey. E lo facevo con la consapevolezza che a quel de-

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generato irlandese ero il solo a celebrar memoria, almeno tra me e me. Arrivò in questo marciume a stelle e strisce non si sa come, col mito di Charlie Mopps e con l’aria da far pensare a Deco Cuffe. Fece ogni sorta di lavoro, ma non perché fosse abile in questo campo. Sposò l’ultima figlia di un importante uomo della zona, garantendogli una vita che combinava benessere con il suo essere lavativo. Le cose non andarono per il verso giusto, e finì anche lui nella miseria. E’ il mio unico amico. Ed è altrettanto vero il reciproco. Il clima dell’ospedale era tremendamente insopportabile. Tanfo di frustrazione e dipartita ventilava pesantemente il corridoio che andavo ad attraversare per giungere da Harvey. Osservai l’infermiera che mi aprì la porta. La giovane non avrà avuto più di venticinque anni. Harvey era da solo, solo come un cane. Scherzammo, che altro si poteva fare? Parlammo di tutto, ma ad un certo punto forse troppo. La morte l’avrebbe divorato in qualche tempo. Nessuno poteva pagargli il trapianto. Sì, lo chiamavano il Paese dove i Sogni si avverano, il nostro. Inevitabilmente, incominciò a riflettere sulla sua squallida fine e ,quasi a tirar le somme, asserì: “Io ne ho passate tante nella vita, come ben sai Cal. Son sopravvissuto a ogni sorta di blasfemia pronunciata da Dio. Abusi, droghe, emigrazione, cancro,


“Non ci devi pensare a loro. Loro non vivono, e lo sai bene. La differenza sta solo..” “Sai Cal, te la dico io qual è differenza.”ingiunse ad un tratto Harvey- “Quelle persone una mattina si son svegliate e hanno scelto. Hanno deciso di radersi tutti i giorni e di farsi stringere la cravatta da una brava moglie conosciuta al college, presentarsi al lavoro, sorridendo e annuendo ad ogni sorta di ingiuria pronunciata dal loro capo, per poi fottergli il posto e ricominciare a schernire i loro prossimi. Hanno deciso di mandare i figli in una scuola privata, di assumere una tata a tempo pieno perché la moglie ha fatto carriera come manager e non può pensare pure ai bambini. Hanno fatto un’assicurazione sulla vita e si son presi un bell’attico a due isolati dalla palestra, così la sera possono mantenersi sani e non perire in un lurido ospedale di West Cotts. Hanno deciso di non imprecare se non quando i Giants sono sotto di 3 punti, di votare sempre moderato e di partecipare alle cene degli ex-alunni.

mantenere un’ex-moglie e le sua innaturale passione per il cambiamento.” – Mi fissò per un attimo, con lo stesso compromesso con cui gli anziani col crepacuore fissano la loro stagionata felicità in uno di quei bordelli periferici, per poi riprendere fiaccamente a parlare: “E ti dicevo, la differenza è stata che io quella mattina mi svegliai in un whiskyshop”.

Narrativa

depressione e perché no, anche la solitudine. E ora quei vigliacchi che stanno oltre a quella porta, mi vengono a dire che mi restano pochi mesi di vita. Non dico che avrei voluto campare altri vent’anni, perché se me ne fossi andato vent’anni fa sarebbe stato lo stesso. Ma è quando hai il corpo più in la che qua, che il fegato vuole farsi un ultimo bicchiere, ma non di quello schifo che ci serve Jimmy tutte le sere, ma un sorso di vita, quella vera. Quella che hanno ancora quei bastardi oltre la porta”

Meravigliato da ciò che Harvey disse, stetti in silenzio. Forse era tempo di non buttare via anche la mia esistenza? Non è mai troppo tardi?

L’infermiera mi esortò ad uscire, il mio tempo lì era finito. Salutai Harvey.

Uscii, ma tornai a casa a piedi.

Quando è tardi, è tardi.

Hanno scelto un’auto sportiva ma che consumi poco, un televisore ad alta definizione, i posti in prima classe, una birra analcolica per il venerdì pomeriggio, una bella amante per il sabato sera e il pranzo con la suocera la domenica. Vedi Cal, loro quella mattina hanno indirizzato la loro vita, l’hanno capita, hanno voluto dargli un senso. Se poi questa non è vita, lo sarà la mia passata a

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narrativa

Il Barbiere di Giulia Testa IIIB Bergamo Scienza, Laboratorio Parà dòxa, sabato 5 ottobre 2013 Il Paradosso del barbiere (o paradosso di Russel): “« In un villaggio vi è un solo barbiere, un uomo ben sbarbato, che rade tutti e soli gli uomini del villaggio che non si radono da soli. Il barbiere rade sé stesso? » Se, come apparirebbe plausibile, il barbiere si radesse da solo, verrebbe contraddetta la premessa secondo cui il barbiere rade solo gli uomini che non si radono da soli. Se invece il barbiere non si radesse autonomamente, allora dovrebbe essere rasato dal barbiere, che però è lui stesso: in entrambi i casi si cade in una contraddizione.”

Io non sono nato felice. Durante l’adolescenza, la vita mi era odiosa e pensavo al suicidio.

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Sognavo di fare il matematico, ma per un motivo o per un altro questo sogno sfumava, come svanivano i fumi delle ciminiere della città. La città. Quante possibilità può dare un ammasso di materia, di aria e di persone grigie? Non lo seppi mai. Non mi sono mai allontanato da qui. Perché qui viveva mio padre e prima di lui suo padre e il padre del padre di suo padre prima di tutti. E nessuno di loro aveva mai neanche solo pensato di poter cambiare vita. Mai, mai nessuno mi aveva fornito una spiegazione della mia condizione: un lavoro si trasmette di padre in figlio, è così che si impara il mestiere, bisogna sentirlo nelle vene, averlo nel DNA. Ma io volevo fare il matematico. Loro appartenevano a questo

villaggio. Ma io? Io so di non appartenervi, né a questo villaggio né a questo mestiere, né mi appartengono questi oggetti, così asettici. Non ho mai avuto confidenza con nulla di ciò che è pratico o manuale: io volevo fare il matematico. Ciò che per le persone comuni poteva essere un’ossessione, i numeri, per me erano un linguaggio. Un’epistemologia. Un’etica. Una metafisica. Forse la mia esistenza non è reale: ecco perché quella sensazione di sentirmi solo un numero al mondo… Un’entità non esistente. Pura idea. Ma dove esistono le idee? Non possono esistere fuori dal mio cervello, altrimenti io non esisterei. Esse devono appartenere a me, devono essere parte di me, perché sono il prodotto della mia esistenza. Che siano esse il solo frutto della logica? Sempre mi ha accompagnato un misto di attrazione e di disgusto verso la logica, verso il ragionamento, come se l’esercizio estremo della ragione non potesse finire che distruggere sé stesso. Ma la logica è il fondamento di ogni conoscenza. O no? Ecco, l’ennesima dicotomia del mio essere. Forse qui potrei trovare la radice del mio straniamento da questa vita. Appartengo io ad un insieme di persone o appartengo solo a me stesso? Ma se appartenessi io ad un insieme di persone, non sentirei l’appartenenza a questo villaggio? Dunque io non appartengo né apparterrò mai ad un insieme di persone. Ma allora non potrei vivere in città, come sogno. Sono o non sono io il mio corpo? A me non interessa il mio corpo, quello che fa, quello che dice: io non sono il mio corpo, io sono la mente. Significa quindi che io appartengo solo a me stesso? Ma, se così fosse, perché liberarmi della mia vita? Forse non sono io il problema. Forse io appartengo a questo villaggio tanto quanto appar-


regge. Potrei essere così vicino alla soluzione di questo paradosso vivente, di questa contraddizione ambulante…

Due giorni dopo, il barbiere del villaggio venne ritrovato nel suo negozio, impiccato. Nella tasca, aveva il seguente biglietto: L’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a sé stessi appartiene a sé stesso se e solo se non appartiene a sé stesso.

Narrativa

tengo a me stesso, ma è il mondo che non appartiene a sé. Sono le idee, sono i numeri, sono i concetti, è il pensiero, è la verità, è la conoscenza che non appartengono a nulla se non alla nostra presunzione di averli afferrati e rinchiusi in una parte del nostro essere. È questo insieme che non appartiene a sé stesso. Ma se l’insieme non appartiene a sé stesso, come possono i suoi elementi esistere? La causa fondamentale dei problemi è che nel mondo moderno gli stupidi sono sicuri di sé mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi. Come spiegazione non regge. Solo la matematica

Le foglie di Pietro Raimondi IID (per la serie: stupide canzonette senza musica, se volete ascoltarla fatemi un fischio e porto io la chitarra)

E cadono le foglie sull’asfalto

Non sarà poi niente

chiederò al tuo sguardo “Non morire”,

seguire con passo pesante

ma non c’è più niente da capire.

i capelli tuoi rossi,

che dal mattino sono mossi.

Non sarà poi tanto

E gentilmente cadono le foglie.

avere quasi per incanto

Non sarà poi molto

i tuoi occhi ed i tuoi sospiri,

cercare spesso il tuo volto, sguardi soltanto accennati

ed il nostro vivere è un salto,

poi carezze come fiori. E gentilmente muoiono le foglie.

per giorni ad un tratto perduti.

E cadono le foglie dappertutto

Ed in silenzio cadono le foglie.

ed ogni giorno passa ed io aspetto, anche questo autunno dovrà finire e non c’è più niente da capire. E non c’è più niente da capire.

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sport

C’mon Ted!

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di Jacopo Signorelli, IVF Idolo dei giovani, punto di riferimento Espressione trionfante e aria di insupera- per ogni sciatore, icona dello sport stabilità si notano nel riso beffardo del buon tunitense, Ligety va oltre il concetto di atleta, integrando sempre più quello di vecchio Ted Ligety. campione. Nella superba cornice di Soelden, teatro anche quest’anno dell’Ouverture di Il merito più importante che gli va riconosciuto è sicuramente la sua straordiCoppa del Mondo, naria padronanza delle nuove misure delle sciancrature a cui gli atleti sono il talento di Park City ha raggiunto la sua diciottesima vittoria in carriera nella obbligati dall’estate scorsa. disciplina “classica” dello sci, lo slalom gigante. Gli appassionati di questo sport In poche parole la Federazione Internon si stupiranno di certo davanti a que- nazione dello Sci, per gli amici FIS, ha alzato la lunghezza minima dello sci e sta vittoria (tra l’altro con un margine ne ha diminuito la curvatura degli archi bulgaro nei confronti di niente di meno laterali al fine di ridurre i numerosi infortuche Alexis Pintaurault e l’iridato Marcel ni, ma facendo perdere lo spettacolo e Hirscher) ma d’altra parte molti altri letaumentando (non poco) la difficoltà. A tori (nella viva speranza che ce ne sia qualcuno) nemmeno lo conoscono, al- tale decisione Ligety protestò vivamente, ma è risultato presto il miglior intermeno non pienamente. prete del nuovo sci, e clamorosamente ha aumentato il prestigio dello slalom Fino a qualche anno fa l’americano era considerato uno sciatore caparbio, gigante. capace di stupire e di ottenere qualche Il suo prossimo obiettivo? Oltre a umiliare bella vittoria ma nulla di più. ogni record della sua disciplina, un oro alle Olimpiadi manca nella sua bacheEppure il “cowboy” (soprannominato ca, e Sochi 2014 potrebbe diventare lo così) da due anni a questa parte oltre sfondo ideale per l’incoronazione del ad essere diventato l’indiscusso sucampione, protagonista dell’ennesima perprotagonista dello slalom gigante (nell’ultima stagione 6 vittorie su 8 gare), favola con cui questo immenso sport ci ha “alzato l’asticella” dei limiti dello sci, continua a viziare. continuando il lavoro iniziato da personaggi del calibro di Mario Matt e Bode Miller. Trovare un analogo a Ligety in un altro sport è un azzardo, perché Ted non ha rivali, e non per imperizia di questi altri. Messi ha Ronaldo, Ibra, Ribery e Ciccio Cozza. Djokovic ha Nadal e Federer, Hutton aveva Mark Lenders.


di Federico Crippa, IIIB Tifosi granata: anno nuovo (già da un po’), pagella vecchie. Ritorniamo allo scorso maggio, quando la curva del Toro decide di ricordare il divo senatore a vita Andreotti, appena mancato, alzando durante l’altrove fischiatissimo minuto di silenzio la foto di Falcone e Borsellino accompagnata dalla quanto mai appropriata scritta “Il silenzio è mafia”. Chapeau al tifo organizzato, per questo giro: 9 pieno.

sport

Paggelle 17 della storia può immaginare l’eccitata emozione, brutalmente fatta a pezzi dalla scoperta che David (Trezeguet per le infanzie rovinate che non l’avessero capito) saluterà i tifosi nell’intervallo del partitone col Sassuolo (che tra parentesi non è vero che sassuolo perdere): Trezegol ridotto a intermezzo di una gara che si preannuncia avvincente come una trentaduesimo di finale di Snooker. Preferisco tenermi il suo ricordo nel commovente addio che gli dedicò Del Piero: alia tempora, alia calciatorum magnitudo.

Boston Red Sox: immagino che il baseball, per il suo esagerato tasso adrenalinico, non se lo fili nessuno. I Red Sox intanto però hanno vinto le World Series, 6 tirato alla Vecchia Signora. per l’ottava volta nella loro storia ma per la prima al Fenway Park, la loro casa da più di cent’anni, museo all’aperto dello sport con palla e mazza. Notizia sconvolgente, lo so: 8 ai calzini rossi e al vostro entusiasmo, da innaffiare con Tessie, l’inno della squadra suonato dai Dropkick Murphys. Cinegioco: è un vecchio gioco enigmistico che ho scoperto quest’estate. Sostituendo, aggiungendo o togliendo una lettera al titolo di un film o di un romanzo si trova una nuova opera, che risponde a una data definizione. La versione sarpina prevede che a essere cambiati siano titoli di classici greci e latini: “l’educazione di Fido” è chiaramente la “Cinopedia” mentre “strenua difesa di un pezzo di pane” sarà il “Pro filone”. E “l’epico fondoschiena del mostro dai cento occhi”? 8 a chi indovina. Juventus: sulla pagina facebook pubblica un video dall’irresistibile hashtag #BentornatoDavid. Chi da bambino godeva delle prodezze del miglior numero

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Io sono già una marca di caramelle balsamiche di Martina di Noto, 1E “Un Motorola dalle sembianze di una saponetta Dove in grado di connettersi con i suo simili (in modo più o meno rapido) è mancato all’affetto di Martina [α Cina 2007 ω Gorle 2013]”. Così reciterebbe l’epitaffio del mio cellulare. Questa morte, preciso, non mi turba affatto; anzi, mi lascia proprio indifferente. Un paio di giorni dopo, durante la cena colgo l’occasione di informare la mia famiglia della perdita. Mio papà mi dice che è giunto il momento di fare un passo da gigante: evolvermi allo smartphone. Dalle sue parole, anche se non esplicitamente, mi arriva l’idea che ormai chi non ha uno smartphone sfiori l’emarginazione sociale. Gli spiego che a me basta un apparecchio elettronico che sia capace di ricevere e inviare messaggi e chiamate. Tutto qui. Ma già il giorno seguente, mi ritrovo fra le mani un aggeggio che, a quanto pare, ha una tecnologia più sviluppata di quella della NASA ai tempi dello sbarco sulla Luna. E’ il suo, me lo regala generosamente. E’ un’offerta che non posso rifiutare. Questa condizione di ereditiera non mi piace: sono una Paris Hilton che odia il denaro. Ignoro questo piccolo gioiellino della tecnologia per tutto il giorno. Soltanto prima di andare a dormire lo metto in carica lasciandolo sul comodino alla destra del mio letto. Vado a nanna, buonanotte.

sé una fionda, come se quel minuscolo giochino per bambini possa sostituire un’armatura come si deve. Si avvicina alla mia destra e comincia a tendere e lasciare l’elastico della fionda, producendo una sonora vibrazione. Ripete lo stesso gesto parecchie volte. Il suono diventa fastidioso, insopportabile, delirante. Devo porre fine a questa tortura medievale: lo colpisco con la spada e lo guardo perire soddisfatto. Dopo pochi secondi, assisto alla sua inspiegabile resurrezione: si alza da terra e riprende a pizzicare l’elastico della fionda. Lo uccido nuovamente. Risuscita nuovamente. In preda al terrore di un nemico che mi tormenta senza toccarmi, mi sveglio di soprassalto, ma ho come la sensazione che non sia mai stato così reale. Drogata da Orfeo, mi rendo conto che la vibrazione che mi sta esasperando è il gioiellino della tecnologia. Mi faccio ridere da sola: tanta paura per un innocuo cellulare. Lo spengo (dopo tanta fatica per capire come fare, ma questo non conta) e torno sotto le coperte. Trascorrono solo pochi secondi e l’alienante vibrazione torna a infastidirmi. Sono tanto sicura di non essere nel pieno della fase R.E.M. quanto di aver appena spento quel dannato cellulare. Apro gli occhi per controllare. E’ acceso, schiavo di un tiranno di nome Whatsapp che tenta di farmi impazzire sotto le mentite spoglie dei miei amici e compagni di Sogno di essere un gigante e di trovarmi classe. Lo spengo. Si riaccende. Incubo di fronte a un pubblico attonito, che e realtà ormai sono un tutt’uno. Per risolperò non sembra essere stupito dalla vere il problema, nel pieno della notte mia ingombrante presenza. Il pubblico sveglio la mia badante informatica: mia concentra la sua attenzione su un pasorella minore. L’indomani decido di storello esile che, dichiarando di volermi iscrivermi alla conferenza sulle innovasfidare a duello, mi sembra scherzare. zioni tecnologiche proposta da BergaNonostante la sua scarsa credibilità, lo moscienza. Ci vado e ascolto il relatore invito ad armarsi di lancia, spada, elmo Federico Casalegno, quasi invidiosa del e corazza. Lui rifiuta e mi mostra sicuro di suo sincero amore per la tecnologia. Tra


Ma, mi chiedo, è davvero soltanto una

magnifica risorsa o dietro di essa si cela un mondo che non possiamo controllare? Tra noi e l’inarrestabile mondo della tecnologia c’è la distanza che basta o esso, con un ritmo incessante, finirà per sottometterci? E infine, noi recitiamo la parte di Davide o quella di Golia? Per quanto mi riguarda, io sono già una marca di caramelle balsamiche.

Bergamo Scienza: mettiti alla prova

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tutte le belle frasi che dice c’è questa: “Attraverso la tecnologia noi siamo capaci di metterci in contatto con persone, luoghi, informazioni.” In quel momento il mio ego crolla definitivamente, annichilito dalla presa di coscienza che questa magnifica risorsa mi è estranea.

o forse è meglio che tu non lo faccia? di Paolo Bontempo, IID Rispondere alle domande ponendo una crocetta sulla risposta che ritenete più adatta. Fatto ciò, controllate il vostro profilo (esempio: se la maggior parte delle risposte sono 1 il profilo è il primo, e così via) Bergamo Scenza è: 1. Una cosa che ti fa perdere ore di scuola, quindi una figata assurda 2. Una cosa noiosa 3. Una manifestazione culturale rinomata e riconosciuta a livello internazionale, con ospiti importanti, dibattiti, conferenze… 4. Scritto in modo sbagliato perché manca una i Gli Origami sono: 1. Cose di carta che ti fanno perdere ore di lezione 2. Delle cinesate 3. Una tecnica importata dal Giappone che permette con l’utilizzo delle sole mani di costruire forme strabilianti e mistiche 4. Delle Lelli Kelly Perché gli elettroni vengono attratti dalle cariche positive? 1. Grazie, mi hai suggerito una doman-

da a fare alla profe così perdo un po’ di lezione! 2. Perchè sono troppo paxerelli! e GLI piace vivere scec… 3. Perché gli elettroni sono dotati di una carica negativa, quindi sono portati verso quella positiva 4. Forse è l’amore Da chi è stato introdotto il concetto di relatività di Einstein? 1. Grazie, mi hai suggerito una domanda da fare alla profe così perdo un po’ di lezione.. 2. Cazzo, questa la so, aspetta bello…. 3. Da Einstein 4. Da Donato! La Grande Abbuffata è: 1. Ma dai! Questa non la posso mica chiedere alla profe, uffff. 2. Una mangiata fino a che non ti caghi addossso 3. Un film magistralmente diretto dall’eccentrico Marco Ferreri, grande regista. 4. Una cena di Gala organizzata da Platinette? Quando senti parlare del “Bosone di Higgs”: 1. Pensi che potresti perdere ore di scuola 2. Eee minghieeee

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3. Pensi che sia un bosone massivo e scalare che gioca un ruolo fondamentale all’interno del Modello standard 4. Cambi canale

C. Sei un fighetto. La gente ti chiama lecchino, e fa bene. I professori ti amano, tu hai tutti 9, ma nessun amico. Parli solo con la macchinetta, ma lei non ti dice mai niente. Il tuo destino è la solituChi ha vinto il premio Nobel per la FISICA dine, quella dei numeri primi. Le uniche nel 1958 conversazioni che hai nella tua vita sono 1. Il famosissimo Perdo Orediscuola quelle con la bidella calabrese quando 2. Un giapponese di sicuro devi fare le fotocopie…non hai ancora 3. Pavel Alekseevič Čerenkov capito una parola di quello che ti ha Il’ia Frank detto. Igor Yevgenyevich Tamm Mi dispiace, sei destinato\ a entrare 4. Messi per la quarta volta consecutiva nell’albo d’oro delle persone inutili. Non puoi fare altro che cambiare modo di Perché la terra rischia di uscire dal siste- essere, o almeno prendi dieci santo dio, ma solare? per un nove non vale la pena! 1. Perché lo dice la scienza 2. Perché sboccia talmente tanto che D. MASCHIO: Tu sei l’unico che si salva. poi passa fuori Tu sei l’unico che ha scelto questa scuo3. La terra non rischia di uscire dal sistela consapevolmente. Fai ridere, tutti ti ma solare vogliono bene. Per te c’è un premio in 4. A causa della caduta di Giuliano Fer- segreteria, su vallo a ritirare. Sei un granrara e Giampiero Galeazzi nello stesso de, sei bello a prescindere dall’estetica. giorno. Quando vieni interrogato i professori sbavano, perché forse non hai studiato niente, ma la tua retorica è dolce come lo zucchero filato immerso nel miele. PROFILI FEMMINA: Sei per caso la Beatrice DanA. Ma che cazzo ci fai al Sarpi? Fuori tesca? Con la tua ironia fai innamorare dalle palle, gente come te merita solo di tutti, con la tua bellezza fai svenire tutti. andare al Mamoli! Ti credi figo solo per- Sei per caso l’Angelica di Ariosto? O la ché non fai niente durante la lezione? Lucrezia della Mandragola? O forse sei Non vale tornare indietro e cambiare le la Livia di Montalbano? Mentre ci pensi risposte, puoi solo cambiare scuola. Sei sorridi, e soprattutto, scegliti solo maschi il peggio. Sarai rimandato in sette mate- del profilo D. rie! È per quelli come te che i professori devono stare a scuola anche a settem- E. Non esiste nessun profilo E. bre! Puah, è ora di farsi un esame di autocoscienza, e sei talmente ignorante che verresti bocciato anche in quello! B. Tu sei un truzzo atroce. Buzzosauro del cazzo. Anche tu hai sbagliato scuola, dovevi andare nelle piantagioni di cotone, o al massimo a zappare la terra nell’Illinois! Stolto. Tu sei uno di quelli che fino alla prima liceo ha creduto che Catilina fosse la moglie di Cicerone! Tu NdR: Si prega i signori ascoltatori di non se una merda. Tu vuoi fare il simpatico, prendere sul serio ciò che è stato qui sempre, ma fai ridere allo stesso modo scritto. Nessuno vuole che per qualche in cui mio nonno sa guidare la macchimotivo vi sentiate offesi o roba del gena. Prendi il dizionario di greco, aprilo a nere. Cioè, ochei che con questa nota caso, troverai l’aggettivo più adatto a cade la finzione narrativa, però, phega, te. se qualcuno ci rimane male con la violenza verbale di questi profili poi lo abbiamo sulla coscienza, dunque scialli.


di Marco Balestra e Giovanni Pinotti, VE (CON PREFAZIONE DEL DOTTOR PRESIDENTE)

L’esegesi della deiezione sostanziale di marchio Germanico ma Romeriano nell’analisi sociologica e antropologica dell’esegesi del non essere, pur partendo da impostazione solida di defezioni ariostesche e Machiavelliche in guisa di onomatopee sociali verso la miopia cronica di subdola onorificenza. Serrata ma serrante retorica rispettiva, nell’induzione all’astrazione anale. L’introspezione è affidata alla risemantizzazione diacronica anacronisticamente contemplativa nel conglomerato extra urbano(Dottor Presidente) Sei in torretta a fare la versione di greco. Assonnato, appoggi per un attimo la testa sul banco. Ma improvvisamente la porta si apre di scatto, facendoti sobbalzare. Pensi che sia la bidella, ma poi ti accorgi di cosa hai davanti...Uno zombie! Con i tuoi notevoli riflessi derivati dalla tua disperazione (a sua volta derivata dalla tua incompetenza in greco), prendi il dizionario e inizi a mulinarlo finché non colpisci lo zombie alla tempia, staccandogli la testa. Chissà se è morto? Cosa importa?! Non hai tempo per pensare a queste stupidaggini ! Dicevamo...Esci dall’aula e scendi le scale. Trovi una strage ma, cosa peggiore, il distributore di merendine svaligiato. Pazienza, l’emergenza fame passa in secondo piano. Ora occupati della tua sopravvivenza. Dalle mani morte di un quartino strappi un dizionario più piccolo (il GI non è abbastanza maneg-

gevole) e ti dirigi verso lo scalone. Lo percorri tutto scivolando finché non arrivi nell’atrio, dove colpisci altri zombie, sporcando così il maglione nuovo che ti eri comprato e pensando a un nuovo piano di sopravvivenza ideato per scampare alla furia di tua madre. Esci dal portone...e trovi ad aspettarti un’enorme orda di zombie. Prendi la moto di Campanelli e scappi. Un momento, ma non servono le chiavi ? Senti, qui sono io il narratore, tu sei solo una pedina, ergo, taci. Riprendendo il discorso, parti. La tua corsa procede poco, perché uno zombie, tirandoti un sasso, buca la ruota della moto. Con un sasso ?! Ma come fa ?! Era un sasso speciale, dannazione, lasciami finire !!!! A causa della ruota, crolli dolorante al suolo. Stai per essere preso quando vedi per terra una pistola. Ricordandoti di Black Ops, raccogli l’arma e inizi a sparare, ma in pochi secondi hai già finito il caricatore. Stai per essere preso, quando ad un tratto apri gli occhi...Sei nella tua classe, non hai ancora iniziato la versione e mancano cinque minuti alla consegna. Ad un tratto, però, la porta si apre...

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The Walking Dead Sarpi’s Edition

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IPSE DIXIT IIB

convincerci della sua tesi

Danny: what’s the meaning of FBI? (Zappoli entra con succo di frutta e caffè) Divvi: Prof, ma non le viene acidità di Elzi: Fratelli Bro Ignoranti! stomaco? Elzi (durante fisica): Prof, mi prendono in Milesi a Elzi: spiegami la differenza fra giro! Chiamerò il mio avogadro! contributo e disturbo… Elzi: se è contributo mi da la caramella! Pusi: poi faremo una piccola rappresentazione di Archimede, Ravina si presterà a correre nudo urlando “ηυρεκα, ηυρεκα!”

Ex VC

Elzi: prof, ma se mi butto nel Mar Morto con una ferita aperta muoio?

Rox: aaaah, i fantasmiii!

Pusi: in seguito ad un aumento di temperatura (Galante disturba)…. Galante viene BRUCIATO, le ceneri disperse al vento (Divvi entra in ritardo con un cerotto sul collo) Gentilini: buongiorno, ti ha morso un vampiro?

*si apre la porta*

Messi: buongiorno..

Mazzacchera: non potete dire che il venerdì sia pesante, avete tre ore con me!

Tobaldo: non si dice che sono ‘numeri Zappoli: Galante! Vieni qui davanti, con sotto zero’! le orecchie basse! (Galante si alza) Zappoli: abbassa le orecchie! Rox: ahah, sono congelati! Zappoli: trovata la mappa? Classe: no! Zappoli: cercatela con più RATIO! Piccirilli (indicando Pizzi): ma quella specie di Rasputin ce l’avevate anche l’anno scorso?

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Messi: i simboli dei numeri romani sono un po’ come il Kamasutra delle lettere.. Classe: ahahah, ipse dixit

Zappoli (parlando degli ipse dixit): io adesso mi vergogno ad andare in giro per strada!

Messi: segnate, segnate!

Zappoli: scusate eh, ma nel 1033 chi è che non crede in Dio? Pizzi: i Cinesi!

Candeloro: cos’è ‘poisoning’?

Giorgia: penso sia un rimedio.. Zappoli (parlando di Pizzi): lui parlando santamente, da buon Rasputin, cerca di Candeloro: sì, per andare all’Aldilà!


Mazzacchera: non fate quelle facce in semi veglia, date degli esiti estetici da iguana!

Rino: Ecco, la nube di Oort è a forma di… Tarallo.

Frattini: Comi, che strumento suoni? Comi: pianoforte, ma ora lo faccio parttime, perchè con la scuola non riesco.

IIIB Gotti legge “iuventus” invece che “iuventutis”

Milesi: Più classico di così è proprio overdose.

Signorelli: A fare la sesta ora di calcolo di limiti in questa classe, mi sembra di fare l’animatore turistico in un villaggio vacanze.

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Milesi: Perché non puoi truccare gli scemi.

Bonazzi: Ti piace il calcio? Gotti: No, era un lapsus. Bonazzi: Non ti piace il calcio???????????? Gotti: No, è che non so leggere.

Colo: …spice trade [per gli ignoranti: commercio delle spezie] Zappoli. Spice. Le Spice Girls?

Milesi: Napoleone non era ‘sto gran… pezzo di figliuolo… Era un pezzo e basta.

(su un quadro di Goya) Gotti: La tipa in mezzo è brutta. Milesi: Lascia perdere lei, guarda questa. È una zia in alzheimer, con tutto il rispetto per la malattia. Gotti: Ma perché li ha ritratti così brutti?

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Intervista

Condividiamo ora le risposte che hanno dato un famigerato fumettista di 2C e un’innocente matricola di 4C

a cura di Adele Carraro, VC e Alice Paludetti, VF Sigle: F: Federico Lionetti, IIC ; G: Giovanni Testa, IVC -Qual è la prima cosa che pensi quando ti svegli? F: Dopo quattro anni al Sarpi, la mattina sono uno zombie: il corpo si muove automaticamente, ma il cervello dorme ancora. Si sveglia solo quando scendo dall’autobus per salire al Sarpi. In quel momento penso a draghi che combattono contro unicorni-arcobaleno G: di che colore è il cavallo bianco di Napoleone? Non ricordo.. -Quante crepe ci sono sul soffitto della tua classe? F:io non credo nella concezione di soffitto, ma posso dirti tutto sulla piastrella sotto la cattedra.

F: teoricamente è una bella idea, la prossima volta che si allaga la palestra, verrò a scuola in costume con pinne e maschera. G: Perchè i preti sono più fighi. -Cosa mangi all’intervallo? F: quartini! Yum! G: Sinceramente la domanda che mi pongo è “mangerò all’intervallo?” -Cosa costruiresti con cinque bastoncini di legno?

G:Sarebbe come contare le stelle della volta celeste.

F: una casa. Siamo bergamaschi, un popolo di muratori e costruttori! Con un elastico, un po’ di cotone ed una spilla possiamo costruire una palestra.

-Quanto pesi sulla Luna?

G: 5 stuzzicadenti.

F: la prossima volta che vado a trovare E.T. mi peserò, prometto.

-Come faresti se dovessi ordinare un panino con: salsiccia, insalata, pomodori, hamburger, cotoletta, sottaceti e ketchup con sole tre parole?

G: Peso di meno, ma la pancia c’è, perpetua. -Pensi che l’ubicazione del Sarpi favorisca lo sviluppo muscolare? F: credo di sì. Infatti, dopo quattro anni, i miei polpacci sono così sviluppati che adesso hanno vita propria.

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-Ti sei mai chiesto perchè nuoto si fa in seminario e non nella palestra dei sotterranei?

G: Certo, è una delle ragioni per cui ho scelto di iscrivermi a questa scuola.

F:”voglio questo” o “mi dia questo” G:”Il solito, grazie.”


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LA REDAZIONE DIRETTRICE: Marta Cagnin, IIID VICEDIRETTRICE: Micaela Brembilla, IIIC SEGRETARIA: Marianna Tentori, IIB CAPOREDATTORI: AttualitĂ : Sara Latorre, ID Cultura: Andrea Sabetta, IIC Narrativa: Pietro Raimondi, IID Sarpi: Giulia Testa, IIIB Sport: Federico Crippa, IIIB Terza Pagina: Paolo Bontempo, IID IMPAGINATORE: Pietro Raimondi IID COPERTINA: Clara Rigoletti VE (testo: Paolo Bontempo) ILLUSTRAZIONI: Silvia Caldi IIIB, Lucia Marchionne, Laura Gabellini, Clara Rigoletti, VE REDATTORI: Giulia Argenziano IIB, Batman VE, Bianca Bona IVB, Silvia Caldi IIIB, Adele Carraro VC, Selene Cavalleri 1E, Martina Di Noto IE, Chiara Donadoni ID, Valentina Fastolini IVC, Riccardo Ghislotti IVE, Gaia Gualandris VF, Federico Lionetti IIC, Roberto Mauri IVD, Caterina Moioli VF, Pietro Micheletti VB, Elena Occhino IF, Alice Paludetti VF, Michele Paludetti IIC, Elisa Salvi IE, Sofia Savoldi VB, Giorgia Scotini VC, Elena Seccia VE, Jacopo Signorelli IVC, Valeria Signori ID, Paolo Sottocasa IIIA, Giovanni Testa IVC, Sara Testa VF, Giorgio Trussardi IVC, Eleonora Valienti VE, Chiara Maria Viscardi VC, Giulia Vitale ID, Sara Zanchi ID, Marcello Zanetti IIB


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