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DIETRO LE QUINTE

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IL CASO ITALIANE

IL CASO ITALIANE

FOCUS di Alice Pedrazzi

SIAMO ABITUATI A CONOSCERE A MENADITO COACH E GIOCATRICI. MA COSA SAPPIAMO REALMENTE DI CHI SI TROVA DIETRO LE QUINTE? CHI SONO QUEI PROFESSIONISTI CHE SI OCCUPANO A 360° DELLA SQUADRA? ADDETTO STAMPA, DIRIGENTE E PREPARATORE ATLETICO QUELLE FIGURE CHE SI CONOSCONO MENO, MA TRA LE PIÙ IMPORTANTI

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Quel momento, quasi solenne, in cui tutto è pronto e niente è cominciato. Quando l’arbitro alza la palla a due per la contesa iniziale che dà il via ad una partita, l’attimo è sospeso: se ci si fa caso, anche nei palazzetti più affollati e rumorosi, è come se ci fosse un istante di silenzio, quasi a sottolineare la solennità di quell’inizio. In quel frangente ognuno concentra il proprio sguardo – ed il conseguente pensiero – su un dettaglio, su uno dei protagonisti. Pensiamoci: c’è chi guarda i due giocatori piegati sulle gambe e pronti a saltare la contesa, chi il top player dell’una o dell’altra squadra, per scrutarne sensazioni ed emozioni, chi l’allenatore che dà le ultime indicazioni, chi si concentra sulla mano dell’arbitro tesa verso l’alto, con la palla pronta ad essere alzata. Poi c’è chi dedica il proprio lavoro quotidiano a far sì che quel momento possa realizzarsi, pur non essendo uno dei protagonisti che raccoglie sguardi o pensieri. Dai, siamo sinceri: chi in quel momento – o durante l’arco di una intera partita – pensa, ad esempio, all’addetto stampa? O al dirigente accompagnatore? O ancora: al preparatore atletico?

È come quando a teatro si apre il sipario: chi pensa al tecnico delle luci o all’impresario che ha reso possibile la realizzazione dello spettacolo in quella sede? O alla sarta-costumista? È il duro, ma affascinante, lavoro di chi sta dietro le quinte. Una vera e propria filosofia di vita, pensandoci bene. È un modo d’essere, in realtà, che unito a competenze e passione, diventa professione.

“Ogni tanto mi fermo a pensare a quale ruolo avrei potuto avere nella pallacanestro femminile, se avessi cercato più visibilità personale”, dice Francesco Forestan, Franz per tutti quelli che frequentano il mondo del basket donne, uno che ha trasformato, per esperienza e meriti sul campo, il suo nome in una definizione vivente di dirigente, perché lui, nel basket femminile è il dirigente per eccellenza: 3 anni nell’As Vicenza dell’indimenticato presidente Concato, poi 2 stagioni in A2 a Thiene, 12 intensi anni alla Reyer Venezia per arrivare a giorni più recenti, con i 2 anni da Team Manager a College Italia (nelle stagioni 2011-2012 e 2012-2013) ed alle collaborazioni, attuali, con il Settore Squadre Nazionali, per il quale svolge diverse funzioni, dal funzionario delegato per le nazionali giovanili, all’aiuto team manager e addetto ai materiali per la Nazionale A, accanto all’onnipresente e onnisciente Marco Gatta.

FRANCESCO FORESTAN È IL DIRIGENTE PER ECCELLENZA. FRANZ HA ALLE SPALLE 3 ANNI A VICENZA, 2 A THIENE, 12 ALLA REYER, 2 AL COLLEGE ITALIA. È ILFUNZIONARIO DELEGATO NAZIONALI GIOVANILI E AIUTO TEAM MANAGER PER LANAZIONALE A.

E invece no, quella visibilità non c’è stata, perché non ricercata. La differenza sta tutta qui, tra chi comprende a pieno il proprio ruolo e non solo lo interpreta, ma lo vive, sentendoselo addosso come una seconda pelle. “Il mio compito – prosegue Forestan, parlando come se fosse il “manuale del buon dirigente” – è quello di mettere tutte le altre componenti della squadra e della società nelle condizioni migliori per poter svolgere il proprio lavoro senza dover dedicare energie e investire tempo nelle esigenze (o emergenze) quotidiane”. Già, perché a quelle ci pensa lui. Il dirigente a cui nessuno, probabilmente, guarda quando si sta alzando la palla a due o quando la sirena del 40esimo suona per sancire una vittoria, magari con titolo e trofeo inclusi, ma senza il cui lavoro nulla sarebbe stato possibile. O tutto molto più difficile.

“La capacità di organizzare e organizzarsi, il cercare e trovare un collegamento costante tra staff squadra, l’essere il trait d’union tra la componente societaria e quella tecnica e saper intuire, prima che si manifestino, le problematiche”. Queste, secondo Forestan, le qualità fondamentali di un buon dirigente che, alla stregua di un buon padre di famiglia, deve gestire persone e situazioni, nel miglior modo possibile, dimostrando di essere – come si intuisce dalle sue parole – anche una buona Cassandra. Un compito non banale, da svolgere sempre stando un passo indietro, perché le luci illuminano altri. “Le difficoltà maggiori – rivela Franz, anima per tanti anni del lato femminile di una società, l’Umana Reyer Venezia, capace di costruire una solida struttura societaria in grado di giocare ruoli di primissimo piano non solo nei due massimi campionati, maschile e femminile, ma anche nei due settori giovanili – sono legate alla necessità-capacità di essere utile a tutti, di trovare soluzioni che accontentino le varie componenti dello staff e della società ed alla non sempre facile gestione dei rapporti”.

Le soddisfazioni, però, per chi dirigente sportivo lo è non solo sulla carta d’identità, ma nell’anima, non mancano: “La più bella, senza dubbio, è stata l’emozione dell’oro vinto con la nazionale U20 questa estate. Per come eravamo partiti (con due sconfitte, ndr) e per la capacità di reazione che abbiamo avuto, mostrando maturità e consapevolezza, salire sul gradino più alto del podio a cantare l’Inno di Mameli è stata una emozione fortissima”. In pochi avranno incrociato il suo sguardo, ma quella vittoria – chi fa sport lo sa bene – è sua, anche “in nome e per conto” di tutti gli altri dirigenti, tanto quanto di chi sul campo ha fatto canestro o dalla panchina ha diretto le operazioni.

Conosce bene le sensazioni del campo, per essere stata una ex grandissima giocatrice, ma oggi assapora quelle di chi sta, non dietro, ma accanto alle giocatrici, aiutandole a trovare la condizione fisica migliore per esprimere il proprio potenziale tecnico: Francesca Zara, ex azzurra dalle mille battaglie e tante vittorie, è oggi la preparatrice atletica della Pallacanestro Broni ’93, attività che affianca a quella della palestra Top (Training to Optimize Performance) che gestisce a Pavia con Angela Scariato (altro grande personaggio del “dietro le quinte” del basket femminile, per anni fisioterapista di riferimento di società di A1 come Pavia, Magenta e Vittuone, ndr).

FRANCESCA ZARA E' LA PREPARATRICE ATLETICA DI BRONI. EX GIOCATRICE AZZURRA, CREDE MOLTO NEL SUO LAVORO ISPIRANDOSI A DUE GRANDI PREPARATORI: ROBERTA FRANCHI ED ANNIO SABBADIN

“Quello del preparatore è un ruolo difficile e di grande responsabilità – racconta Zara, con il suo inconfondibile sorriso -, mi ispiro a due grandi maestri, come Roberta Franchi, che mi ha seguito durante tutta la carriera, aiutandomi a recuperare sin dal mio primo infortunio al ginocchio, e Ennio Sabbadin, storico preparatore veneto, con numerose esperienze anche in azzurro”. Il campo vissuto da protagonista certamente le dà una chiave di lettura in più, per entrare in empatia con le atlete di oggi e svolgere uno dei ruoli più delicati fra quelli che restano nell’ombra: “Sento forte la responsabilità nei confronti delle atlete – confida Zara – e ritengo fondamentale avere un rapporto collaborativo e di fiducia con lo staff tecnico. Solo così si possono gestire 12-15 persone con esigenze e problematiche differenti, con l’obiettivo di portarle allo stesso livello”. Un ruolo delicato, dunque, che però cela molte soddisfazioni.

“Vedere la squadra esprimersi ad alti livelli è molto gratificante”. Come segnare il tiro della vittoria? Impossibile, è ovvio, fare paragoni, ma le parole di Francesca trasudano passione ed una capacità non comune di passare dall’avere il palcoscenico tutto per sé, al preparare, in silenzio e con tanto lavoro, chi va in scena oggi: “Assistere al ritorno allo sport di una atleta che ha subìto un infortunio, conoscerne e guidarne i tanti piccoli passaggi e le conquiste quotidiane, è una emozione forte”. Essere stata atleta, indubbiamente agevola: “Certo, comprendo le loro paure”. Quelle che non ha avuto lei, guidata da passione e competenza, nello scegliere un ruolo delicato e, forse, poco celebrato. Ma i riconoscimenti, anche in poco tempo (ha iniziato solo dal 2015, anno in cui ha smesso i panni della giocatrice, ndr), non sono mancati: questa estate ha seguito, con il ruolo di Coach Development, in sinergia con il preparatore azzurro Matteo Panichi, la nazionale A durante gli Europei: “Mi sono dedicata all’integrare la parte fisica con quella tecnica. Un esempio concreto? Seguire, e migliorare, il lavoro dei piedi nell’arresto e tiro”. Tanta sostanza, poca apparenza.

All’apparenza invece, non propria, certo, ma delle atlete e delle società, pensa un’altra figura da back-office: l’addetto stampa, bravo ad illuminare le figure delle protagoniste sul parquet, nascondendo nell’ombra la propria. Lo sa bene Michele Farinaccio, ragusano doc, un passato da giornalista per La Sicilia e dal 2013 addetto stampa della Virtus Eirene Ragusa, di cui dal 2016 fa anche le telecronache, prestando la sua voce al racconto delle gesta delle ragazze durante le partite casalinghe. “Tutto è iniziato – racconta Michele – in virtù di una grande passione, quella per la pallacanestro”. Già, la passione, la forza che muove (quasi) tutto. E poi gli esempi: “Flavio Tranquillo – confida Farinaccio - è il mio modello, certamente il giornalista di basket a cui provo ad ispirarmi”. Già, perché saper guardare in alto e trarre ispirazione è certamente una qualità importante per chi deve dare parola ad un racconto sportivo fatto di tante vittorie, certo, ma anche sconfitte. “Indubbiamente – prosegue Farinaccio - le qualità di un buon addetto stampa sono la competenza, il senso di appartenenza al gruppo-squadra e poi, come detto, la passione. Senza queste tre caratteristiche, non si può essere un buon comunicatore”.

MICHELE FARINACCIO È L’ADDETTO STAMPA DI RAGUSA. RAGUSANO DOC, È UN GIORNALISTA DALLA FORTE PASSIONE PER IL BASKET E DA UN PROFONDO SENSO DIAPPARTENENZA ALLA SQUADRA. SI ISPIRA A FLAVIO TRANQUILLO.

Perché raccontare gli altri non sempre è facile, anche quando, o forse soprattutto quando, si sta “dentro” il gruppo: “Alle volte – confida l’addetto stampa ragusano – la difficoltà sta proprio qui: non sempre si può e si deve dire tutto ciò che si vorrebbe. Questa è la differenza principale tra fare informazione e fare comunicazione”. Travolgenti, però, le emozioni: “Senza dubbio – conclude Farinaccio – le due vittorie di Coppa Italia sono state un momento magico da raccontare, così come indimenticabile è stata gara 4 della prima finale scudetto, una emozione dolce-amara (Ragusa perse contro Schio il primo set-point casalingo per lo scudetto, ndr) che né io, nè l’intera città, dimenticheremo facilmente”.

La prossima volta, quando assisteremo alla palla a due, che nel mondo dei canestri è il sipario che si apre sullo show che “must go on”, ricordiamoci di cercare, con lo sguardo ed il pensiero, il preparatore atletico seduto in fondo alla panchina, il dirigente, magari appollaiato accanto al cubo del cambio e l’addetto stampa, davanti al suo pc o con le cuffie per la telecronaca: troveremo nei loro occhi tutte le tensioni e le emozioni che solo il lavoro, quello fatto di impegno e passione, sanno suscitare. E l’umiltà, vera, di sapere che questo impegno non sarà mai illuminato dalle luci della ribalta, ma che senza, tutto sarebbe un po’ più complicato.

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