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PENSO DUNQUE SONO
from PINK BASKET N.20
by Pink Basket
COVER STORY - DI GIULIA ARTURI
PER LA PRIMA VOLTA DOPO 21 ANNI LA SERIE A1 PARTE SENZA MACCHI, CHE È IN PROLUNGATAPAUSA DI RIFLESSIONE: “ME LA SONO GUADAGNATA, DOPO LO SHOCK DEL LOCKDOWN”. FUTURO APERTO ANCORA NEL BASKET, COME ALLENATRICE O DIRIGENTE. “MA MI STO ANCHE ALLENANDO”: OGNI SORPRESA È POSSIBILE PER IL GRAN FINALE CHE LA PANDEMIA HA NEGATO
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“È un discorso ricorrente per me, sollevare ogni volta un po’ l’asticella”. I gesti di un saltatore in alto sono sempre gli stessi. La concentrazione, la rincorsa, gli ultimi due passi, lo stacco, la salita, l’inevitabile ricaduta accompagnata dalla delusione del fallimento o dalla gioia del successo. Chicca Macchi, in un salto durato una carriera, non ha conosciuto la discesa. Dove la discesa non è la sconfitta, l’errore, parte di un gioco che ha amato per 25 anni e tutt’ora ama, ma l’accontentarsi. In questo lei ha continuato a salire. Se l’asticella non si può più alzare perché il cielo è stato raggiunto, allora si sposta un po’, per scoprire altre dimensioni. Con l’attitudine da campionessa, Macchi affronta anche questo momento più riflessivo del suo percorso. La pandemia ci ha costretto a mettere parte della nostra vita in pausa e Chicca sta aspettando il momento giusto per premere play e riprendere dalla rincorsa, con lo stesso spirito e lo stesso talento che l’hanno resa unica in campo.
Per la prima volta dopo 21 stagioni, la serie A femminile inizierà orfana di Chicca Macchi.
“Ho fatto questo calcolo giusto poco tempo fa: è dal 1998 che non salto una preparazione. Stranissimo. Di solito l’estate scorre con quel punto fisso davanti a te: la consapevolezza che prima o poi riprenderai ad allenarti. Provo sensazioni strane, ma non direi che sto poi così male, soprattutto in questo momento iniziale di stagione”.
Alla fine della scorsa stagione hai preso una pausa di riflessione. A che punto siamo?
“Non ho ancora deciso quale sarà il mio futuro. Per la prima volta dopo tanto tempo sono ferma, mi sto prendendo del tempo per me. Sicuramente tutto ciò che il Covid-19 ha comportato ha influito: stare chiusi in un appartamento, lontano dagli affetti, è stato tosto e mi ha fatto riflettere. Ho realizzato quanto tempo ho trascorso lontano dalla famiglia e da qui l’esigenza di prendermi un attimo di tempo per capire. Purtroppo, la situazione non dà grandi certezze e penso di essermelo guadagnato. È difficile, ma sono serena, pensavo di avere molta più ansia. Ero abituata ad una routine scadenzata tra allenamenti, partite, trasferte, è una rivoluzione, ma mi piace questa nuova libertà, senza la necessità di incastrare tutto. Un privilegio del momento”.
La pandemia ha significato un drastico cambiamento della quotidianità e della vita per milioni di persone. Parlando di atleti, da un giorno all’altro ci siamo trovati dall’adrenalina della palestra all’immobilità del lockdown.
“Già, per questo ho ancora dei dubbi. L’anno scorso giocavo con la consapevolezza che sarebbe stata la mia ultima stagione. La brusca interruzione è stata scioccante, per tutti ovviamente, a maggior ragione nella mia situazione. Ho letto del ritiro di Valentina Marchei, la pattinatrice, l’idea di finire una carriera così, di punto in bianco, mi ha colpito. Quando hai dedicato una vita ad uno sport, ti aspetteresti un finale diverso. Ma forse aveva ragione mia mamma quando diceva ‘niente vien per niente’. Non so cosa mi aspetta o cosa c’è scritto per me, ma in questo momento la cosa giusta è prendermi questa pausa.
Per osservare la mia vita da una finestra, con più distacco. Non voglio avere rimpianti, per aver rispetto della mia carriera ho bisogno di metabolizzare le cose e di non decidere su due piedi. È stato quasi impossibile farlo mentre ero presa nel viverla: considerato che pensavo che avrei smesso a 30 anni e sono arrivata a 41 senza neanche accorgermene! (risata)”.

Insomma, la brusca interruzione ha complicato le cose.
“Sì, anche se sicuramente ho smesso di pensare che tutte le carriere importanti debbano finire con la ciliegina sulla torta. È presuntuoso crederlo. Io ho avuto l’esempio di Betta Moro: ha dato il suo addio al basket vincendo lo scudetto, segnando il canestro della staffa. È l’immagine di una fine perfetta, ma non può essere così per forza. Forse questo pensiero è una forma di protezione per quello che è successo, ma non sono stata già abbastanza fortunata nella mia vita e nella carriera con tutto quello che ho fatto? Bisogna anche guardare in faccia la realtà”.
Una volta mi hai raccontato che il futuro ti incuriosiva. Cosa ti ha proposto il mondo del basket?
“La pallacanestro è stata la mia vita, al momento faccio fatica a vedermi in un altro ambiente. Ma ho una certezza: qualsiasi cosa farò, deve avere alle spalle un progetto, un senso, un filo che colleghi quello che ho fatto al mio futuro. Mi sono arrivate tante proposte e tante idee. Allenatrice, procuratrice, team manager, giocatrice-allenatrice.
L’idea di fare la team manager mi piace, potrei portare quello che ho imparato in questi anni. Allenare? Bisogna capire che possibilità ci sono. Mi sono state anche proposte soluzioni con un paio di allenamenti a settimana e la partita. Non sono io, vorrei esserlo ma non sono quel tipo di giocatrice. Ho sempre voluto vincere anche al campetto, mi viene difficile immaginarmi in una situazione a metà diciamo. Ma al momento non escludo neanche di tornare a giocare, non per fare altri 4 anni, ma per finire la carriera sul campo, non sul divano di casa com’è successo a marzo. Non mi precludo nessuna possibilità”.
Ti stai allenando?
“Sì, mi sto allenando, quindi astenersi perditempo! (risata)”.
Il basket che hai conosciuto agli inizi e quello per ora messo in pausa sono diversi?
“Sì da un lato è diverso, a livello mediatico è tutto cambiato. I social sono una rivoluzione. In campo mi sono accorta che c’è un po’ meno fame. Sicuramente, com’è normale, le generazioni sono diverse. In questi anni ho realizzato che ero io a dover fare un passo indietro e capire. Ma vedo che è più facile accontentarsi. Anche se alcuni momenti della mia carriera non me li sarei goduti di più se non avessi voluto sempre fare qualcosa meglio”.
Però dall’altra parte hai sempre preso con un certo spirito il giocare a basket.
“Anche durante le partite sono sempre riuscita a trovare quel momento di divertimento, quella cazzata in campo, anche con le avversarie. Mi chiedevo ogni tanto perché non tutti la prendessero così: ci stiamo divertendo, stai facendo la cosa che ami. Ha sempre fatto parte del mio modo di essere un po’ scanzonato, soprattutto in campo. La cosa più irrazionale che ho fatto è stata durante una finale scudetto, nel 2008, contro Taranto: in un momento cruciale mi sono accusata di una deviazione e la rimessa è tornata alle avversarie. Eravamo pari, era gara 5, se avessimo perso quella partita ero finita! Ma che figura di merda avrei fatto se non fossi stata onesta? (risata). Quando in cuor tuo lo sai, come si fa a non ammetterlo. Non dico che il pubblico di Schio mi abbia fischiato, ma forse quasi (risata)”.

Hai giocato in delle corazzate in carriera. Como o Schio?
“Schio. Ho vinto di più e ho avuto la possibilità di giocare l’Eurolega, è stata la mia avventura più completa. Ma a Como è impossibile dimenticare l’anno che abbiamo vinto lo scudetto giocando in 6/7, nel 2004. Era stato lo scudetto delle italiane”.
Un litigio memorabile?
“Le battaglie più grosse le ho fatte con Betta Moro, avversaria a Taranto, compagna a Schio. Come le ho sempre detto, era la persona che amavo di più fuori e che odiavo di più in campo, era proprio una questione di pelle. Poi crescendo, con gli anni, ho capito che il suo atteggiamento era proprio quello che la portava a essere la campionessa che è stata”.
C’è una frase che vorresti non aver mai pronunciato?
“Non che si possa dire (risata). Ufficialmente no, ecco”.
La Nazionale è un rimpianto?
“La Nazionale non è un obbligo, né un regalo, è un privilegio farne parte e quindi bisogna viverlo per quello che è. Per quel che mi riguarda, quando non sto bene in un posto si vede chiaramente e quindi quando un’atleta non si sente integrata nel gruppo, questo si riflette subito anche nel rendimento in campo. Ho fatto fatica all’idea di tornare in azzurro: un gruppo diverso, tante giovani, avevo la sensazione di essere troppo ingombrante per loro, di non essere nel posto giusto al momento giusto.
Però ho rubato un po’ di quella leggerezza dell’essere giovani e mi sono detta ‘ma chi se ne frega, vivi quello che stai vivendo senza pensarci troppo’ e ho ritrovato grande entusiasmo. Il mandibola day è stata una mazzata, forse ci saremmo potute togliere qualche soddisfazione in più”.
C’è un gesto tecnico che avresti voluto fare meglio?
“Sì, una marea. Come dice sempre il buon Giustino Altobelli ‘la difesa non è roba tua’ (risata). Poi sicuramente l’arresto e tiro, come non ha mai mancato di ricordarmi mio padre sino all’ultima partita giocata. Per me si trattava di tirare da metà campo o entrare a prendere botte!”.
Tuo papà è sempre stato il tuo primo tifoso. Come ha preso il tuo momentaneo distacco dal campo?
“È già iniziata l’agonia! (risata). Gliel’avevo detto: ‘Papà ti ufficializzo che è l’ultimo anno, quindi cerchiamo di viverla nel modo migliore’. Le telefonate post partita non sono mai mancate in 25 anni di carriera e da piccola poi ancora peggio; come tutte le ragazzine con un minimo di talento, appena l’allenatore non mi faceva giocare apriti cielo: ‘Ci sarà un motivo per cui non hai giocato?’ mi diceva mio padre, una solfa che proseguiva con ‘rivediamo insieme la cassetta’, perché pure si registrava le partite!”.
Quindi primo tifoso, ma anche primo critico!
“Assolutamente. Ogni tanto partiva un fischio, ben udibile nel palazzetto: era mio padre che richiamava la mia attenzione. C’erano i momenti in cui gli allenatori mi suggerivano di stare tranquilla, di non aggredire la partita, ma di aspettare che venisse da me. Tutto giusto, ma poi ecco che arrivava il fischio seguito da un ‘allora ti svegli o no?’ (risata).
Inflessibile. Devo dire che aveva preso abbastanza bene il discorso ultimo anno, era entrato nell’ottica giusta. Ma ora, quando è stato il momento, e mi ha chiesto ‘adesso cosa fai, hai visto, non inizi tu e non fanno neanche l’opening day’! (risata)”.
Il tuo sport preferito al di fuori dal basket?
“Lo shopping si può dire? A parte gli scherzi, paradossalmente la verità è che io non ho mai potuto provare uno sport al di fuori dal basket. Ho sempre detto che una volta chiusa la carriera avrei voluto provare il bungee jumping, è in cima alla lista di cose da fare!”.
Veramente una lista di cose da fare? Le prime due?
“Il bungee jumping appunto. E poi parapendio, con il mio amico Martino. Certo non cose propriamente tranquille! Ma come si fa a vivere senza quelle emozioni uniche, quell’adrenalina che si prova in campo? Forse questa sarà la cosa più difficile da superare. Quando si è abituati a un certo tipo di sensazioni tutto il resto sembra noia e qualsiasi altra strada intraprenderai non si avvicinerà neanche lontanamente a quello che hai provato per tanti anni in campo. E quindi ho sì una lista di cose che mi piacerebbe fare”.
Torniamo al basket giocato. L’avversaria più difficile da affrontare?
“La noia. Secondo me la prova più difficile da superare per un’atleta è quella di sentirsi annoiata in palestra. A me è capitato, e non si tratta di una mancanza di rispetto dire mi sto annoiando, ma della necessità di alzare sempre un po’ l’asticella per mantenere vivo l’interesse. Soprattutto per la nuova generazione, che ha già tutto fuori dalla palestra, sarebbe interessante tenere a mente questo aspetto”.
Hai preso il patentino di allenatore nazionale. Com’è trovarsi dall’altra parte della barricata? “
L’ho fatto perché mi stimolava, si torna sempre al discorso di spostare sempre un po’ l’asticella. È qualcosa che riguarda il mio mondo, ma da una prospettiva diversa. Se non sono stati i 15 giorni più difficili della mia carriera, ci siamo andati vicino! È stato impegnativo dal punto di vista mentale ed emotivo. Mi devo rimangiare tutto quello che ho sempre detto sugli allenatori: da atleta ti devi allacciare le scarpe e portare te stessa in campo. Tutto quello che c’è dietro è proprio un altro paio di maniche”.
Chi vince quest’anno?
“Schio ha fatto una squadra davvero illegale, con delle straniere così si gioca per arrivare alle Final Four di Eurolega”.
