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ZARA, LA GIRAMONDO

STORIE Di Francesco Velluzzi

UNA VITA PER LA PALLACANESTRO CHE L’HA PORTATA AD AFFRONTARE SFIDE E AVVERSARIE SEMPRE DIVERSE IN TUTTO IL MONDO. OGGI, FRANCESCA ZARA CONTINUA A CRESCERE TRA LAUREA, IL CENTRO A PAVIA E I SUOI TANTI SOGNI

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Francesca Zara ti apre un mondo. America, Russia, Francia, Italia. Ha fatto tutto, spesso prima delle altre. Scelte nette, decise, nel basket come nella vita. Seguendo sempre l’amore. Per il campo. Che resta la sua vita. Ha fatto la cestista ad altissimo livello, ha vinto la sfida della Wnba, ma anche l’Eurolega. Quando lei era star, Cecilia Zandalasini non sapeva che sarebbe diventata la giocatrice più mediatica del basket italiano. Eppure c’è un filo conduttore: Broni. La città in cui oggi Francesca opera da preparatrice atletica del club che figura benissimo in A1 e guarda con il sorriso all’obiettivo playoff. La stessa città in cui è nata Cecilia, oggi protagonista al Fenerbahce in Turchia, e in cui vivono tuttora i genitori di Zanda.

Le due si sono incrociate la scorsa estate durante il deludente europeo delle azzurre di Marco Crespi. Cecilia, forte di anello ed esperienza in Wnba e straniera del club turco in cui gioca attualmente, doveva essere la punta di diamante del gruppo, Francesca viveva una situazione nuova: “Il ct Crespi mi ha chiamata per dare una mano a Matteo Panichi nella parte di preparazione e anche per seguire da vicino le ragazze sul campo. Con Matteo ho imparato e vissuto una bella esperienza. Con le ragazze pure. Un capitolo super della mia professione anche se il risultato sportivo purtroppo non è arrivato”. Può arrivare Cecilia Zandalasini? “È una giocatrice forte, ma non ha ancora espresso tutto il suo potenziale”.

CARRIERA Siamo partiti dal presente di Checca, cioè il lavoro di preparatrice atletica che la appassiona e la entusiasma anche per il centro aperto a Pavia, dove abita. Ma sarebbe impossibile non fare un rewind e andare indietro nel tempo a sbirciare le soddisfazioni di una carriera straordinaria.

Zara, che compie 43 anni a dicembre, è stata un playmaker con la “P” maiuscola. Play, guardia, talento. Sbocciato da bambina. Nata a Bassano e cresciuta tra Schio e Vicenza dove il basket femminile aveva un solo cultore: Antonio Concato. Poi, la maglia di quella che oggi è sempre la società simbolo del movimento Francesca non l’ha più indossata. Mentre quella di Vicenza è stata la prima vera. Fino ai 18 anni. Quando quella ragazzina bionda, dotata di indiscutibili qualità, ha fatto il suo primo vero viaggio verso la Sicilia, Alcamo. Perché se volevi provare a diventare una campionessa dovevi provare a crescere anche come persona. Dopo il primo anno in Sicilia, ecco Como.

“L’esperienza più importante in Italia. Ho avuto modo di conoscere la vera Catarina Pollini, di lavorare con Aldo Corno, ma soprattutto di vincere. Cinque scudetti, qualcosa di incredibile, oltre alle coppe Italia e Supercoppe. Se penso ai ricordi italiani, professionalmente Como è stata tanto. Tanto di più. Otto anni indimenticabili della mia vita. Poi come scordare la Fiba Cup vinta a Napoli o l’esperienza umana di Parma dove conservo anche dei ricordi stupendi. Ho finito lì la mia carriera da giocatrice. Poi sono arrivata a Broni per dare una mano in un momento particolare. E sono ancora qui a Broni, a lavorare con le ragazze per farle crescere al meglio, anche dal punto di vista atletico e fisico. Un lavoro importante, se correlato alla parte tecnica”.

ESTERO Ma nella vita e nella carriera di Francesca Zara c’è anche tanto estero. L’enorme soddisfazione di essere entrata a far parte della Wnba, quando fino a quel momento c’erano state soltanto Pollini e Susanna Bonfiglio. “L’ho vissuta a 27 anni a Seattle. Non ero più la protagonista principale, ero quella che giocava insieme a tante stelle. Peraltro da playmaker. L’America è il sogno. La grandezza. Tutto. Vivevo da sola e ho vissuto benissimo. Perché quando giochi lì, dove lo sport è vissuto in una situazione completamente diversa, davanti a 11mila persone tutto ti sembra davvero fantastico. Lo sport negli Stati Uniti ha davvero una dimensione particolare. Io ho vissuto un anno, ma lo ricorderò sempre anche se allora non c’era l’impatto mediatico che c’è oggi, se una cestista va a giocare nel campionato per eccellenza”.

Dall’America alla Russia, insomma le superpotenze. Francesca non si è fatta mancare nulla. E ha accettato anche questa sfida, affascinante e, soprattutto, di altissimo livello dal punto di vista cestistico. “Proprio dopo Seattle, è arrivata l’opportunità di andare a giocare allo Spartak Mosca nel club del potentissimo Shabtai Kalmanovich - assassinato a Mosca alcuni anni fa, ndr -. Chiaro che per certi versi era un mondo davvero irreale. Giravamo con l’autista. Ma eravamo anche a 45 minuti d’auto dal centro di Mosca. Insomma, decisamente lontani. Non è stato facile adattarsi a una vita molto diversa, al cambio climatico e al gran freddo patito in quella stagione. Ma proprio la stagione del basket è stata qualcosa di straordinario perché ho vinto l’Eurolega, la massima manifestazione in campo europeo per club, una soddisfazione che non si può descrivere e che resterà per sempre. Soprattutto se penso che in carriera ho avuto la possibilità di giocare insieme a campionesse del calibro di Diana Taurasi, Sue Bird, Lauren Jackson”.

Allo Spartak erano una squadra fortissimi... ”Sì, davvero uno squadrone. Aver giocato con Taurasi resta uno dei ricordi più belli della carriera. Già allora era una campionessa. Ma lo era soprattutto fuori dal campo dove era semplice e disponibile. Noi in quell’anno stavamo tanto assieme tra compagne. Ci trovavamo tra di noi, poi ogni tanto c’era qualche festa del patron...Che non si negava nulla, ogni suo compleanno era un autentico spettacolo, un party molto lussuoso al quale noi del basket eravamo naturalmente sempre invitate”. L’avventura straniera di Francesca si è conclusa la stagione successiva, 2007-2008 in Francia a Valenciennes, un altro top club di quel periodo, dieci anni fa. “La Francia è un’altra culla del basket femminile europeo. È stata la mia ultima esperienza lontana dall’Italia. E in quell’anno c’è stato anche l’ultimo europeo giocato nel 2007 con la maglia della Nazionale italiana”.

Un capitolo lunghissimo della carriera di Zara che ha indossato l’azzurro per la prima volta a 19 anni, nel 1996. Ha messo 124 volte quella maglia alla quale è stata sempre molto legata, fino al 2011 quando ha detto basta alla Nazionale. Perché, comunque, gli anni erano diventati 35. E Francesca già voleva incominciare a pensare e a programmare il futuro. Sempre nello sport, mai lontana dal campo di basket, sempre a contatto con gli atleti.

PREPARATRICE “Tra pochi mesi porterò a termine anche i miei studi in Scienze Motorie. Ci tengo. Il 2020 sarà l’anno della laurea. Finora ho fatto tanti corsi interessantissimi. Anche quelli da personal trainer e quello di crossfit. Ho appreso molti insegnamenti. Tutti orientati verso quella che è diventata la mia professione. Quella di preparatrice atletica. È un lavoro che mi piace tanto, quello che ho deciso di portare avanti. Adoro moltissimo la sezione del lavoro dedicata al post infortunio. E adesso, finalmente, comincio a vedere i frutti. Perché insieme ad altre due socie, Angela Bengio (dalla quale è partito tutto il progetto) ed Enrica Pavia - che non gioca più con la maglia di Broni, ma si è ben ripresa dai tanti guai fisici e gioca ora in A2 con Castelnuovo Scrivia. Pavia ha già completato il corso di studi universitari a Scienze Motorie, ndr - abbiamo aperto un centro a Pavia. Si chiama Top. Prendiamo atleti di ogni genere e pure le ragazze di Broni vengono da noi dove si cura anche la parte dedicata alla fisioterapia. Pensiamo che gli atleti vadano seguiti anche in un regime di off season, è molto importante mantenere la cura del proprio corpo e del proprio fisico. Parte fisica e parte tecnica, ripeto, vanno di pari passo”.

Francesca si è trovata anche a fare l’assistente allenatore. Poteva intraprendere il cammino proprio a Broni, ha visto l’effetto che fa la scorsa estate in Nazionale accanto a Marco Crespi. “Ma ho capito che non è il tipo di lavoro che fa per me. Quella dell’allenatrice non è la mia strada. Quindi vado avanti seguendo la passione, ma senza mai lasciare l’amore per la pallacanestro che è stata ed è la mia vita. Il campo lo vivo ugualmente, ogni giorno, ma sicuramente in una maniera molto diversa. Stare vicina a un club come Broni mi piace perché c’è una sana passione. C’è la genuinità dei tifosi che sono un esempio unico nel panorama del basket femminile. Seguono la squadra ovunque e rendono una partita emozionante già soltanto per la coreografia che preparano. Poi la dirigenza ha creato un bel clima attorno alla squadra che, come detto, penso possa tranquillamente ambire ai playoff. Quello è l’obiettivo che ci si deve prefissare”.

PARALIMPICI Ma la vita di Francesca Zara e delle due socie si svolge prevalentemente al centro che hanno aperto a Pavia, al Top. Dove le tre ideatrici del progetto hanno a cuore un altro particolare tema, che stavolta sconfina nel sociale. “Abbiamo anche deciso di lavorare con i disabili. Ed è un rapporto che curiamo con particolare trasporto. Cerchiamo di introdurli allo sport e di farli appassionare a discipline che creano in loro un interesse diverso. Puntiamo sempre a migliorare la loro indipendenza e la loro autonomia”. Un altro punto in più a favore di Francesca Zara. Banale dirlo, non è stata soltanto una campionessa dello sport. Lo è diventata anche nella vita.

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