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BASKET & STUDIO
from PINK BASKET N.16
by Pink Basket
FOCUS di Alessandra Tava
È POSSIBILE PRATICARE SPORT E STUDIARE CONTEMPORANEAMENTE?È POSSIBILE DIVENTARE UN GIOCATORE O UNA GIOCATRICE PROFESSIONISTA CONCILIANDO ANCHE ALTRI INTERESSI? NON SI RISCHIA DI FAR MALE ENTRAMBE LE COSE E NON ECCELLERE IN NESSUNA? LA PAROLA ALLE GIOCATRICI
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“Signora, siamo sicuri che tutto questo sport non tolga a suo figlio il tempo per studiare?”. “Come fai a esser pronta per la verifica di storia se ieri hai passato quattro ore in palestra?”.
“Se passassi le ore a leggere e studiare, invece che correre dietro a un pallone forse avresti migliori risultati, non pensi?”. “Veramente mi stai chiedendo due ore di permesso perché devi partire con la squadra per la trasferta?” Potrei andare avanti per ore a scrivere frasi del genere. Purtroppo capita sovente. I bambini e le bambine impegnati nello sport si sentono spesso dire cose del genere e, man mano che si cresce, è sempre peggio. Alle elementari e alle medie forse c’è più tolleranza, ma già al liceo le cose si fanno complicate, pensiamo poi quando si tratta di università o lavoro.
Non è giusto però fare di tutta l’erba un fascio. Infatti ci sono tantissimi insegnanti, professori, datori di lavoro che comprendono il valore aggiunto di fare sport.
Io, ad esempio, sono stata sempre molto fortunata. Al liceo, durante la prima ora del lunedì, la professoressa di turno, prima dell’appello, mi chiedeva sempre la stessa cosa: “Com’è andata la partita ieri?”. Non l’ho mai data per scontata questa domanda. Mi è capitata solo una professoressa all’università alla quale non andava giù che giocassi a basket. Le avevo chiesto cortesemente se fossi potuta arrivare un’ora dopo per l’esame orale, e che non sarei riuscita ad esserci in tempo per l’appello iniziale, ma di contarmi comunque come presente. Non chiedevo quel permesso per andare a fare shopping, avevo solo allenamento la mattina e non volevo saltarlo. Non mi sembrava una richiesta folle. La sua risposta, invece, mi era sembrata folle: “Se tu non corressi dietro a una stupida palla da basket questa domanda non me l’avresti mai fatta”. Avrei voluto rispondere che la stupida era lei e non la palla da basket ma, per fortuna, sono stata più educata che impulsiva e quello era anche un esame facoltativo.
Inutile dire che non mi sono mai seduta davanti a quella professoressa per l’interrogazione, ho semplicemente cambiato materia d’esame. Questo però, per quanto mi riguarda, è l’unico episodio spiacevole che mi è capitato in diciotto anni di studio e mi posso ritenere molto fortunata. So che per altre mie compagne non è stato così.
È possibile quindi praticare sport e studiare contemporaneamente?
È possibile diventare un giocatore o una giocatrice professionista conciliando anche altri interessi? Non si rischia di far male entrambe le cose e non eccellere in nulla? Pensiamo alla vita di un giocatore o una giocatrice professionista. Sicuramente l’impegno richiesto è tanto. Ci si allena tutti i giorni, spesso due volte al giorno, se le ore di allenamento sono quattro, l’impegno effettivo è di almeno sei ore, non si hanno i weekend liberi e lo stress psicofisico è ben presente.
Ma non è forse il “lavoro” più bello del mondo? Faccio ancora fatica a definirlo “lavoro”. Bisogna fare sicuramente sacrifici: non esiste uscire il sabato sera e l’aperitivo della domenica è sostituito dalla pasta in bianco e il pollo all’ora di pranzo.
Ma siamo sicuri che non ci sia tempo per fare altro? Per quanto mi riguarda il tempo c’è, eccome se c’è e, a quanto pare, non sono l’unica a pensarla così.
Valentina Bonasia, playmaker di Lucca, è iscritta all’ultimo anno della specialistica in Scienze motorie e così ci racconta il suo duplice impegno: “Non ho mai pensato ci fosse la possibilità di non studiare. Fin da piccola i miei genitori hanno sempre dato molta importanza all’istruzione quindi, nonostante studiare non sia una cosa che mi piaccia così tanto, mi sono sempre impegnata molto, forse anche per il grande senso di responsabilità che ho.
Negli anni mi è sempre pesato un po’ ma oggi, avendo maggiore consapevolezza di tutto, sono molto soddisfatta di quello che sto facendo. Sono sempre stata convinta che non potrò giocare per sempre e, visto che alla fine di tempo ne abbiamo abbastanza, mi piace pensare che sto costruendo le basi per un futuro diverso mentre mi diverto e faccio della mia passione il mio lavoro”.
Anche Alice Nori, ala grande di Battipaglia, sta per terminare i suoi studi in scienze motorie: “La cosa che mi ha spinto a studiare è stato il fatto che non si può giocare in eterno ed è giusto trovarsi con qualcosa di concreto in mano per non essere in grosse difficoltà quando deciderò di smettere di giocare. Poi lo sto facendo per me stessa e per dimostrarmi che ce la posso fare”.
Più il livello si alza, più è facile pensare che la giocatrice non faccia altro che giocare e allenarsi, ma non sempre è così. A Schio, squadra ai vertici del campionato italiano e impegnata in Eurolega, sono ben sei le giocatrici che stanno studiando: Valeria Battisodo e Martina Fassina studiano scienze motorie, Olbis André economia aziendale, Jasmine Keys psicologia, Francesca Dotto studia ingegneria civile e Sabrina Cinili informatica. Ed è proprio Sabrina, che non ha bisogno di presentazioni, a spiegarmi le difficoltà che incontra nel conciliare basket e studio, essendo tutte le settimane impegnata con due partite e viaggi in Europa: “La difficoltà principale per me è riuscire a studiare invece di riposare. Ci alleniamo tanto e, aggiungendo anche l’impegno dell’Eurolega, il riposo è fondamentale, soprattutto col passare degli anni - dice ridendo - e ogni tanto devo sostituire il riposo con lo studio. Ho trovato però un certo equilibrio studiando durante le ore di viaggio. Ecco, questo mi riesce bene e non toglie ore al riposo di cui il mio fisico e la mia testa hanno bisogno”. Mentre mi racconta delle difficoltà che incontra studiando, Sabrina è in pullman di ritorno da una trasferta di Eurolega a Girona (le sto quindi rubando tempo allo studio) dicendomi anche come Francesca Dotto non sia con la squadra perché la sera prima, dopo la partita, ha dovuto prendere un aereo diverso dalle sue compagne per andare a Pisa a dare un esame. È stata accompagnata in aeroporto da alcuni tifosi presenti per il match e ha preso il primo aereo utile per potersi trasformare da playmaker a studentessa modello. Con sacrificio e forza di volontà è quindi possibile fare entrambe le cose ed è risaputo che le soddisfazioni maggiori si ottengono dopo gli sforzi più grandi.
E proprio di soddisfazione personale ci parla Beatrice Barberis, giocatrice di Torino: “Mi è sempre piaciuto studiare. Devo ringraziare i miei genitori perché mi hanno insegnato l’importanza dello studio e non ho mai preso in considerazione la possibilità di abbandonarlo. Mi sono serviti tanta perseveranza e impegno. Le difficoltà ci sono sempre: dagli esami in corrispondenza di trasferte infinite alla necessità di studiare in ogni momento libero della giornata, tra un allenamento e l’altro, quando magari vorresti solo riposare.
Per portare avanti due impegni così ci vuole organizzazione, costanza e tanta passione. Alla fine però si prova una grande soddisfazione”.
Anche Giulia Arturi, capitano e bandiera di Geas Sesto San Giovanni, non ha mai messo in discussione la sua vita extra cestistica: “Proseguire gli studi non è mai stata una questione. Iscrivermi alla triennale dopo il liceo e alla magistrale dopo la triennale era un percorso che avevo in testa da sempre per la mia vita, era voluto e necessario a prescindere dallo sport. Alla fine per me è sempre stata la norma avere qualcosa oltre la pallacanestro. Ho sempre considerato una priorità avviare una vita che stesse in piedi da sola a prescindere dal basket”.
Insomma, sono tantissime le giocatrici che ci dimostrano l’importanza di avere altri interessi oltre alla pallacanestro. Ho citato tutte ragazze che stanno studiando ma ci tengo a precisare che, per me, la cosa ancora più importante della laurea è quella di coltivare un interesse oltre allo sport che si pratica, per sentirsi completi, per mettere le basi per un futuro lontano dai campi da basket e per sentirsi realizzati dentro e fuori dal rettangolo di gioco. Certo è che il basket femminile non permette di vivere di rendita e quindi è più facile essere spinte a proseguire gli studi, ma sono del parere che, indipendentemente dal guadagno, sia una cosa intelligente investire il proprio tempo per porre le basi per il futuro.
Ci sono anche giocatori delle squadre maschili che studiano nonostante il grande impegno e gli stipendi indubbiamente più alti. Ne cito uno perché ho la fortuna di incrociarlo un giorno sì e uno no in palestra: Giampaolo Ricci. Pippo studia matematica e la cosa palese ai miei occhi è che ha portato in università le doti che l’hanno reso il giocatore che è. Lo conosco da anni e ho visto in prima persona l’impegno, la costanza e la dedizione che ha messo quotidianamente sul campo per arrivare a giocare a livelli altissimi, non mi stupisce il fatto che abbia deciso di fare ulteriori sacrifici per laurearsi. Perché, in fin dei conti, i due mondi così apparentemente lontani e inconciliabili sono più simili di quello che si possa pensare. Le caratteristiche e le peculiarità che un giocatore deve possedere per fare la vita da professionista sono poi le stesse che uno studente deve avere per passare gli esami. E sono anche convinta che l’uno sia propedeutico all’altro.
Io, ad esempio, non sono mai stata agitata per un esame all’università, anche se non ero pronta alla perfezione, perché mi preoccupavo sempre di più della partita della domenica. Il basket mi aveva infatti insegnato a gestire la tensione meglio dei miei compagni di corso. Penso inoltre che quello che gli atleti imparano giocando e studiando contemporaneamente sia già di per sé una scuola per il mondo del lavoro: la gestione del tempo, la gestione dell’ansia, le necessarie capacità di organizzazione, la costanza e la determinazione.
È bello sapere che sono molte le giocatrici e i giocatori che si mettono in discussione in altri campi e che si pongono obiettivi difficili da raggiungere. Voglio essere onesta, per quanto mi riguarda, la soddisfazione e la felicità che si provano dopo aver discusso la tesi e aver preso una laurea non saranno mai forti come la gioia e l’emozione di aver vinto un campionato. Coi campionati vinti, però, non costruiremo mai il nostro futuro, con qualcosa di concreto in mano dopo anni di studio forse sì.