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LETTERA DA MANHATTAN
from PINK BASKET N.07
by Pink Basket
(SA)TIRO SULA SIRENA di Paolo Seletti
Caro Pink Basket, sono una giocatrice italiana che fa l’NCAA, e dopo aver letto il pezzo di Alice Pedrazzi sull’ultimo numero volevo raccontarvi tutta la verità, ma solo mantenendo l’anonimato. Le cose che escono nelle interviste sono fake news che ci obbligano a dire gli hacker russi, se no minacciano di farci mailbombing con le foto del cane di Chiara Ferragni e quelle del nero di whatsapp e forse anche con quelle del nero di whatsapp con il cane della Ferragni, che poi ti bloccano la crescita. Ecco come è andata davvero la mia stagione.
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L’ARRIVO
Sapendo che l’America è pronta ad accogliere i migranti con efficienza ed integrazione, come l’Italia, abbiamo provato ad arrivare in nave, su tre barconi salpati dal porto di Palos, la Nina Zilli, la Pimpa e la Claudio Santamaria. Ma arrivati a tiro delle coste USA ci hanno lasciato sei giorni alla deriva in mare aperto, mentre sulla spiaggia a farsi i selfie c’era il loro presidente, quello che sembra Umberto Smaila con il gatto con gli stivali sdraiato in testa. Allora abbiamo inviato una delegazione per cercare una soluzione politica, ma il presidente, come i nativi ai tempi di Colombo, ci ha accolti col linguaggio tribale e universale della fratellanza Seminole: dalla spiaggia ci faceva il gesto dell’ombrello e si dava delle gran pacche sulle natiche al vento, che simpatico, ridevamo tutti. Però qualcosa deve essere andato storto, perché non ci han fatto sbarcare. A quel punto abbiamo tentato dal Messico, ed era così pieno di muratori albanesi che sembrava Bergamo, ma invece di un condominio stavano tirando su un muro bianco tipo la barriera di Game of Thrones. Mentre cercavo la maniglia hanno sparato dei colpi in aria, come si fa da noi, per festeggiare. Col bazooka. Alla fine siamo state paracadutate per via aerea su una zona sperduta del Nevada. Non capisco, quando siamo atterrate c’era una sorta di centro accoglienza, tale Area 51, che poi io conosco solo l’Area dei 3 secondi. Comunque hanno strane usanze ‘sti Yankees e le mie compagne non le ho più riviste da allora, ma ho visto su quel loro social, mi pare Wikileaks, che una si è fidanzata col tipo di “the shape of water” e sembra che a un’altra siano spuntate 4 braccia. Comode per andare a rimbalzo mentre ci si scaccola. Che fortuna.
LA LINGUA
Pensavo di essermi preparata benissimo alla Cepu, e invece quando sono arrivata all’antiterrorismo e mi han chiesto se ero cristiana o musulmana ho risposto “tciù gùst is mei che uán”. Non so cosa hanno capito, ma secondo me agli americani non piace tanto il Maxibon, perché il primo provino l’ho fatto a Guantanamo College, una squadra con la divisa arancione, e con gli allenatori sempre incazzati. Però sono scappata perché ti facevano elettrostimolazione muscolare col taser, e ci si allenava solo un’ora al giorno, che manco in Serie C, e gli appartamenti erano umidi e senza finestre, una merda insomma.
IL PUBBLICO
A vedere le nostre partite ci sono 7000 spettatori. Anche a vedere le mie partite in Italia ci sono stati 7000 spettatori, o meglio, 7000 presenze (3000 per la questura). Se conti mia madre in ogni partita per 16 anni fai circa 1000. Mio padre solo quando era sobrio sono altre 10, la nonna cieca, il nonno fino al giorno in cui all’intervallo, sul 22-18, ha preso una cicuta per soffrire meno, il cane Ugo, che anche se guaiva la partita la guardava tutta ed era il più competente della famiglia, ecco, se li sommi fa 5000 presenze. Le altre 2000 sono andata e ritorno contro Broni.
IL CIBO
Ogni giorno in America un bisonte si sveglia e sa che dovrà correre più forte di due fette di pane al sesamo per non diventare un double-cheese-cheddar-fried-choco-buffalo-wings. Ogni mattina in America una giocatrice si sveglia e sa che dovrà correre per non diventare Platinette. È interessante invece il loro concetto di pasta, funziona bene come kukident gusto cemento a presa rapida: quando la mia compagna di stanza ha immerso gli spaghetti in infusione nell’acqua fredda per far rilassare le fibre mi è scattata la violenza e ho iniziato a insultarla come Joe Bastianich, e così ho capito che la sua lingua è universale: nessuno capisce un cazzo, nè di qua nè di là dall’Oceano.
LA SPARAPALLONI
Per fare allenamento di tiro ogni squadra da noi in Italia ha un assistente ciccione. Di solito l’assistente ciccione allena sei squadre e ha la gotta, quindi tra un tiro e l’altro puoi anche esercitarti nel peeling acrobatico, utile per vincere Italia’s got talent. Da loro invece c’è la sparapalloni, una sorta di mitragliatrice Gatling, residuato bellico della guerra di secessione, caricata a palle misura 6, che spara a 400 colpi al minuto sul tiratore inerme alla velocità delle punizioni di Oliver Hatton, quindi mentre ti alzi per il primo tiro vieni colpita nello stomaco dal secondo pallone che ti taglia il fiato e ti piega in avanti per vomitare e vieni finito alla testa dal terzo pallone mentre ti vomiti in tasca senza fiato. Ogni sessione di tiro è come andare da Mike Tyson e dirgli che ti sei fatto sua sorella. Anche l’allenatore di Mila e Shiro, quello così incazzato che al confronto Santino Coppa sembra il Tenerone di Gianfranco D’Angelo, quando ha visto il mio allenamento di tiro ha chiamato il telefono Rosa.
LE TRASFERTE
Alla prima trasferta in America dopo mezz’ora dalla partenza ho iniziato a prepararmi la fasciatura e a cambiarmi le scarpe. Abituata ai viaggi Piumazzo-Cavezzo, o Assago-Parabiago, quando siamo arrivati, dopo aver attraversato la Route66 come in Easy Rider in 4 giorni ininterrotti di viaggio su carri Conestoga, arrivata nello Utah avevo due tonni cotti a bassa temperatura al posto dei piedi, profumavo di selvaggina in stato di avanzata decomposizione e mi ero fusa col sedile al punto che ho giocato leggermente reclinata e con il supporto per la cervicale.
IL GIOCO FISICO
Qui sono tutte leggermente più muscolari di noi italiane. Alla presentazione della prima gara mi hanno dato un cinque e mi hanno mischiato i metacarpi tanto che per rimetterli assieme hanno chiamato quello che inventa i puzzle della Clementoni. Entro in quintetto e mi difendeva la figlia di Chuck Norris e Marilyn Manson. Come dite? Se l’ho capito dallo sguardo? No, dai baffi e dal dalla 44 magnum nello stivale. Quando mi ha fatto bodycheck ho compilato il cid per la constatazione amichevole, e avrei sicuramente vinto la causa se fossi riuscita a ritrovare a tentoni i bulbi oculari.... E se venire qui nonostante tutto ciò rimane un affare, beh, forse dovremmo pensare a quello che possiamo tentare per fare l’Italia great again!