7 minute read
4.3.12 Jackson Pollock …………………………………… pag
from DO i NUMERI tra Arte e Matematica - Tesi di laurea di Tiziana Pavone in Net Art e Culture Digitali
by poianissima
La stazione metropolitana Vanvitelli a Napoli dal 2003 ha il soffitto percorso da una magica spirale a luce neon azzurra, la cui collocazione ha l’intento di instaurare una nuova relazione dinamica con lo spazio, dove l’Arte e la vita stessa sono animate dalla stessa “logica ciclica”. La spirale aurea simboleggia la Legge profonda della Natura, quella energia che sottintende il tutto nel suo dinamismo continuo, regolare e perfetto. “L’uomo ama gli alberi perché comprende che sono parte della serie essenziale della vita. Quando un uomo ha questo tipo di relazione con la natura, comprende che anche lui è parte di una serie biologica. La serie di Fibonacci è naturale. Se metti una serie di alberi in una mostra, avrai delle entità morte. Ma i numeri di Fibonacci, in una mostra, sono vivi, perché gli uomini sono come numeri in una serie. La gente sa che i numeri sono vitali, perché possono andare avanti all’infinito, mentre gli oggetti sono finiti. I numeri sono la vitalità del mondo”. (17)
Fig. 41 Mario Merz, Senza titolo, stazione metropolitana Vanvitelli, Napoli, 2003
Advertisement
4.3.12 JACKSON POLLOCK Anni prima che il matematico polacco Benoît Mandelbrot (1924/2010) introducesse nel 1975 dalle pagine del suo saggio “Gli oggetti frattali” il termine geometria frattale, ci fu chi in modo inconsapevole portò nelle sue tele la geometria che non ammette più la rigidità delle teorie di Euclide: fu Jackson Pollock (1912/1956), massimo esponente dell’espressionismo astratto, le cui opere sono attraversate dall’intreccio di linee tracciate e o sgocciolate sulla tela. I capolavori di Pollock furono analizzati con strumenti matematici con l’aiuto di un elaboratore elettronico, evidenziando una trama frattale e rivelando la caratteristica
fondamentale del frattale stesso (18): la “autosomiglianza”, per cui ogni più piccola parte è simile, ma non necessariamente identica, alle forme più grandi della stessa struttura. Dopo aver abbandonato il cavalletto e trasferita la tela ai suoi piedi, rendendosi intensamente partecipe all’azione pittorica che stava compiendo, Pollock, imbevuto di energia cosmica, danzava al suo ritmo riproducendo la verità delle forme naturali.
“Sul pavimento mi sento più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del quadro; posso camminarci intorno ed essere letteralmente dentro al quadro. Un metodo simile a quello degli indiani dell’Ovest che lavorano sulla sabbia”. (19)
La verità si trova all'interno di un modello (la Natura), da cui si generano in modi sempre differenti, ma analoghi, su scala progressivamente più piccola o più vasta, modelli simili; tutto ciò compiuto al di là di ogni volontà umana, ma in accordo con Verità superiori che conducono la Natura a essere quella che osserviamo. Ogni frattale genera l'altro in una gestazione iterativa e infinita: un frattale è ciò che genera ed anche ciò da cui è generato, così come l'uomo genera l'uomo e da questi è generato. Una prima somiglianza, quindi, sul piano ciclico e creativo della Vita, fra quella che è la regola base di un frattale e la Legge fondamentale dell'esistenza umana. Ma le strutture frattali che Pollock espresse nelle sue tele eseguite tra gli anni 1943 e 1952, quindi ben prima della formulazione della teoria da parte di B. Mandelbrot, rappresentano un caso di frattali non reperibili in natura, ma prodotti dall’uomo. Lo sgocciolamento, dripping, della vernice fluida attraverso i fori praticati nel contenitore o dal pennello imbevuto, è un processo naturale che, pur esprimendo liberamente l’energia naturale dell’artista, obbedisce a sua insaputa, a Leggi precise all’interno di un sistema matematico le cui basi furono poste all’inizio del ‘900 da Poincarè (1854/1912) che avvertiva la necessità di un’ipotesi scientifica atta a spiegare gli aspetti irregolari e incostanti della natura in campo fisico.
Fig. 42 Jackson Pollock, Blue Poles Number 11, acrilico su tela 2,10 × 4,87 m., 1952
“Blue Poles: Number 11” dipinta da Pollock nel 1952 è una delle tele più significative dell’artista in riferimento alla sua applicazione incosciente di geometria frattale. La tela non
ha né limite né cornice e l’osservatore perde anch’egli i suoi confini attratto dal vortice di linee variamente colorate ed intrecciate, che Pollock impresse senza seguire nessun progetto, ma lasciandosi guidare dalla sua stessa spinta creativa interiore. Ora è sicuro che la capacità di Pollock di lasciarsi andare, di abbandonare il suo Io e la sua volontà, gli permise di accedere a livelli più alti e sottili del reale, di entrare veramente in contatto con la Natura delle cose del Mondo, di diventare un tramite per la rivelazione di una verità matematica all’epoca ancora nemmeno immaginata. Con questa sua opera Pollock intese omaggiare i popoli indiani d’America, coloro che nella Storia dell’Umanità hanno onorato sempre con grande rispetto le meraviglie, i doni ed i misteri della Natura. Questa opera è come un ponte tra le Verità e l’artista che, dipingendo il caos, nel ripetere della sua struttura nell'infinitamente grande quanto nell'infinitamente piccolo, ne svela le sue qualità di ordine, regolarità e bellezza. “Lo scienziato non studia la natura perché è utile farlo; la studia perché ne trae diletto, e ne trae diletto perché la natura è bella. Se non fosse bella, non varrebbe la pena di conoscerla, e se non valesse la pena di conoscere la Natura, la vita non sarebbe degna di essere vissuta”. (20)
Nel profilo delle foglie, nello sviluppo dei coralli, nella forma dei fulmini e delle nuvole, nella forma delle montagne e delle coste, nei letti dei fiumi e nella crescita degli alberi, nella forma del cervello, nella ramificazione dei vasi sanguigni ed in tante altre manifestazioni della Natura incontriamo i frattali, che non sono altro che delle rappresentazioni tangibili di equazioni matematiche. La geometria frattale si rivelerà più adatta a spiegare la Natura, dove la complessità sembra comunque rispettare delle regole. Ebbe le sue prime formulazioni teoriche nei primi anni del’900, quando due matematici, l’algerino Gaston Julia Gaston Julia (1893-1978) e lo svedese Helge von Cock (1870/1924), studiando l’andamento di una particolare serie matematica ricorsiva, pervennero al risultato che i confini della rappresentazione grafica erano frastagliati all’infinito e che riproponevano sempre la stessa struttura a varie scale di grandezza. Ma a causa delle difficoltà per effettuare calcoli così complicati e per la natura stessa dei problemi che intendevano affrontare che erano assolutamente di natura astratta, la loro ricerca ebbe una frenata di svariati decenni per raggiungere l'obiettivo solo con l’avvento del computer. Ci pensò, come già scritto, il matematico Benoît Mandelbrot (1924/2010) che fu il primo a coniare il termine “frattale” pescato dai suoi lontani studi di latino (fractus: frammentato e irregolare). Era uno studente ambizioso e curioso e fin da ragazzo riconobbe di possedere una dote straordinaria, quella di poter risolvere problemi di ordine matematico grazie alla sua capacità di visualizzarli traducendoli in immagini. Affrontò svariati problemi apparentemente di natura completamente diversa, come l’andamento della borsa, la misurazione delle coste inglesi, la formazione dell'universo, .., che avevano intrinsecamente lo stesso modello di ripetizione che tanto affascinava Mandelbrot. Abbandonata la carriera accademica per lidi più stimolanti, ebbe la fortuna di lavorare all’ “IBM” e di conoscere il matematico, trasferitosi negli Stati Uniti, John von Neumann (1903/1957), colui che materializzò l’idea di Turing e che avviò il futuro artista alla conoscenza della macchina universale ed al suo utilizzo. Mandelbrot partì da quei costrutti matematici astratti di inizio secolo che gli stessi matematici ritenevano non avere aderenze
con la realtà naturale e comprese che invece erano gli strumenti-oggetti matematici adatti a comprendere il problema del disordine della Natura che tanto aveva a cuore. Quindi, armato di una macchina universale, seppur ancora poco efficiente, e soprattutto della capacità di vedere l’intima connessione tra concetti astratti matematici e la struttura e le forme irregolari della Natura, Mandelbrot dotò l’Umanità di una nuova geometria in grado di misurare non più coni, cerchi e quadrati, ma coste frastagliate, letti di fiumi, alberi in crescita e poi in fiore. Una rivoluzione, un nuovo modo di leggere il mondo! Galilei potrebbe scoprire ora che il libro della Natura si è arricchito di un nuova “cifra”(lettera del suo alfabeto), di un nuovo strumento matematico per comprenderla e sarebbe fieramente orgoglioso nel poterlo utilizzare per misurare anche i suoi aspetti in continua trasformazione, che offrono spettacoli per l’occhio e per la conoscenza. E le idee di Mandelbrot divennero delle bellissime strabilianti immagini che permisero di VEDERE le inarrestabili connessioni esistenti tra tutte le forme dell’Universo, nel loro continuo rinnovarsi in strutture sempre simili nella apparente casualità ricorrente delle sue forme. Mandelbrot creò anche un frattale che prese il suo nome, conosciuto anche fuori dall’ambito matematico per le incredibile immagini multicolori che l’elaborazione dell’algoritmo rilascia, utilizzando la computer graphic. Per questo importante risultato nel 1993 gli fu conferito un prestigioso premio, il Premio Wolf per la Fisica, con la motivazione: "per aver trasformato la nostra visione della Natura". Anche l’Arte è grata a questo matematico per le immagini della Natura espresse in una formula matematica, che quando elaborate sono in grado di mostrarci il lato caotico del mondo attraverso un ambiente dove regna la regolarità: il paradosso matematico affascina al pari delle immagini ricche di particolari e di riconosciuta bellezza estetica.
Fig. 43 B. Mandelbrot, Vista parziale dell'insieme di Mandelbrot: Mandel zoom 11 satellite double spiral, fotografia creata da Wolfgang Beyer col programma Ultra Fractal 3.