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4.3.15 Sol LeWitt …………………………………………. pag

dopo che il suo agente glielo chiese, ma lui preferiva lavorare per e con l’essenzialità della forma, ed il colore già ne comprometteva la purezza desiderata. In genere utilizzò la "prospettiva giapponese”, che consiste essenzialmente in questo: un oggetto, o una serie di oggetti, vengono visti contemporaneamente in più prospettive (almeno 2 o 3 volte) sotto punti di vista diversi, in modo tale che vi sia una “saldatura” tra le figure, che risultano non poter esistere in una visione generale, quindi realisticamente impossibili e incoerenti. Sembra infatti che la mente non riesca a contemplare una visione globale di un oggetto, ma che continuamente ne guardi delle parti per confrontarle con le altre; negli oggetti impossibili c’è il tentativo di ricomporre tutte queste visioni parziali in un disegno unico, dove l’ incoerenza è nel vedere una figura localmente corretta in una globalmente impossibile. Confrontando il lavoro di Reutersvärd con quello di Maurits Cornelis Escher, anch’egli dedito all’impossibile, si può osservare che l’artista olandese costruisce mondi abitati attorno ad oggetti impossibili, mentre Reutersvärd nei suoi progetti preferisce evitare ogni contaminazione, sia con il reale che con l’assurdo, privilegiando la purezza della figura essenziale, tutta geometrica, pulita. Infatti Reutersvärd, ritenne che il bello estetico della sua operazione consisteva nella “figura impossibile” in sé, non nella magia o nel paradosso espresso. La purezza geometrica della sua scoperta inconsapevole e la ricerca dell’ essenzialità dell’oggetto nella sua Arte meritano una famosa citazione di Einstein che sembra fatta apposta per Reutersvärd e la sua Arte.

“Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa.” (24)

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4.3.15 SOL LEWITT In questo spaziare nell’Arte del ‘900, tra numeri e forme geometriche aperte a nuove dimensioni, tra scoperte ed invenzioni di figure impossibili, forme attribuite ad inconsci platonici da rivelare, torniamo sulle orme di chi ha concepito l’Arte scevra da estetismi per dar risalto all’idea portante del suo progetto artistico-intellettuale. L’artista in esame è Solomon "Sol" LeWitt (1928/2007), che nasceva a New York quando Duchamp portava il verbo europeo delle nuova Arte, non-Arte, nella sua città. L’esportazione della nuova idea di Arte aveva come obiettivo quello di superare la rappresentazione oggettiva della realtà per giungere alla concettualizzazione dell’Arte; il nuovo compito dell’artista è supportato dalla matematica, che sembrava poter dare un considerevole contributo a rafforzare nell’Arte l’elaborazione di idee, spostando l’attenzione e l’interesse dell’artista verso valutazioni estetiche e di senso riferite non a capacità manuali, ma intellettuali. LeWitt quando da adulto entrerà seriamente in contatto con la nuova Arte, ne diventerà un protagonista assoluto sia nella figura dell’artista che in quella di teorico. Nel 1967 scrisse a proposito: "Nell'arte concettuale l'idea concetto è l'aspetto più importante del lavoro. Quando un artista utilizza una forma concettuale di arte, vuol dire che tutte le programmazioni e decisioni sono stabilite in anticipo e l'esecuzione è una faccenda meccanica. L'idea diventa una macchina che crea l'arte." (25)

Prima ancora di scrivere il suddetto testo, quasi un manifesto dell’Arte concettuale, Sol LeWitt fu esponente anche della corrente minimalista newyorkese i cui componenti volevano reinventare l’arte per tornare alle sue fondamenta e si esprimevano attraverso opere caratterizzate dalla loro essenzialità e semplicità delle forme geometriche. L’intento dei minimalisti e di LeWitt era quello di eliminare dall’Arte ogni psicologia, ogni soggettivismo, ogni espressività e per questo le sue opere sono interpretate come strutture logiche, come pure coordinate cartesiane, come forme primitive dell’Universo capaci di adattarsi a molteplici soluzioni. Ne è un esempio l’”Open Modular Cube” del 1966, dove lastre di legno piegate e verniciate in bianco e nero, piuttosto che cubi bianchi che si ripetono nello spazio, e graticci modulari che si moltiplicano all’infinito, sono forme elementari utilizzate per riproporre costanti significative del rapporto tra l’Arte e la Matematica: la ripetizione, la modularità, l’iterazione. Per la sua indagine l’artista predilige la forma del cubo, scelta per ottenere una serie di combinazioni dallo sviluppo regolare, determinate dalla necessità di non lasciar spazio ad emozione alcuna, e dai suoi studi sulla geometria. Ne è un esempio Serial Project #1 ABCD, installazione del 1966, dove la elementarità insita nell’opera, scevra da possibili distrazioni, fa si che la forma particolare dell’opera è solo una conseguenza delle relazioni logiche e matematiche sulla base delle quali è stata concepita e creata; così facendo LeWitt ha trasformato gli elementi del processo artistico, idea, calcoli, misure, in opere d'arte stesse.

Fig. 46 S. LeWitt, Open Modular Cube, 1966

Dal 1968 inizierà la lunga serie “Wall Drawings”, grandi pareti dipinte o trattate con linee o disegni geometrici, considerate radicali oltre che per il contenuto, anche per l'elemento

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