Patto, ascolto, relazione. Perché educare è sempre un atto di speranza.

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Patto, ascolto, relazione. Perché educare è sempre un atto di speranza

Un patto educativo per e con i giovani basato sulla reciproca capacità di ascoltarsi di Monica Amadini*1

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el videomessaggio in occasione del Global Compact on Education, papa Francesco chiede di sottoscrivere un patto educativo globale “per” e “con” le giovani generazioni: non possiamo sottrarre loro speranza, futuro, pace. Incomprensioni e dissensi, chiusure e silenzi non possono essere i tratti distintivi degli scenari intergenerazionali odierni. Da un lato, non possiamo disperdere l’eredità di valori e la matrice di senso che transita attraverso i legami intergenerazionali; ma, dall’altro, non possiamo nemmeno ignorare la forza trasformativa insita nelle nuove generazioni. Anzi, dobbiamo infondere in loro speranza, contrastando il senso d’indifferenza e d’impotenza che spesso le attanaglia. La costruzione dell’identità non è indipendente dalle eredità e dalle appartenenze, ossia da un legame con chi ci precede e dà radici alla nostra storia. Tuttavia, situarsi in un“noi” dischiude anche processi di differenziazione, tra fedeltà e cambiamento. I ragazzi e le ragazze di oggi, in altri termini, non sono solo “dentro” la storia, ma devono anche avere il diritto di produrre in prima persona la propria storia e quella dell’umanità: è in questo modo che il mondo si trasforma. Ogni nuova generazione introduce l’inaspettato e l’imprevisto, rompe la continuità portando la novità della propria presenza in un mondo già esistente, ma non per questo già compiuto. “Le nostre speranze sono riposte sempre nella novità di cui ogni generazione è apportatrice”, ammonisce Hannah Arendt (Tra passato e futuro, trad. dall’inglese, Garzanti, Milano 2001, pp. 250-251). L’educazione ha il preciso compito di conservare proprio “quanto c’è di nuovo e rivoluzionario” in chi si affaccia alla vita. Oggi le giovani generazioni risultano certamente più esposte all’incertezza dei riferimenti, all’ambivalenza e all’imprevedibilità dei modelli, per ragioni di varia natura, tra cui anche i drammatici problemi epocali. Tuttavia, l’impoverimento del tessuto etico-morale e religioso trova origine anche in una lacerazione del legame intergenerazionale. Laddove si trasmettono solo risposte parziali e provvisorie rispetto alla ricerca di senso, si continua a procedere senza punti di riferimento. È quindi indispensabile impegnarsi per la costruzione di un rinnovato patto educativo, capace di mediare i significati del singolo con quelli della collettività, dei padri con quelli dei figli. Dobbiamo metterci alla ricerca di approcci educativi che avvicinino e tengano insieme, capaci di assumere una rilevanza esistenziale ed essere strettamente connessi con l’impegno di vivere-la-vita. Gli adulti sono chiamati a rendere partecipi le giovani generazioni delle risposte che hanno dato alle domande profonde della vita. Un’attenzione specifica va, quindi, riservata a uno stile partecipativo e a un dialogo che scaturisce dal terreno dell’esperienza, accettando la fatica (e il rischio) di dare nome e storia, cuore e corpo, alle ragioni delle nuove generazioni e alle risposte che sanno dare alla propria ricerca di senso. Quello che viene a profilarsi, pertanto, è un patto che si fonda non solo sulla possibilità di essere ascoltati dai giovani ma anche sulla necessità di ascoltarli. Solo le comunità attente e pronte a recepire le istanze di senso dei giovani sanno testimoniare una presenza responsabile; e sanno rinnovarsi al tempo stesso. Le eredità possono conoscere nuove attualizzazioni soltanto se si genera una ricerca aperta e condivisa, ammettendo una certa dose d’incertezza ma anche di novità, attraverso il dialogo e l’ascolto reciproco. Docente di Pedagogia generale alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica

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