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Il primo parco agrivoltaico universitario
di Sabrina Cliti
Ottomila metri quadrati, 774 pannelli bifacciali e una potenza di picco pari a 500kWp. Produrrà energia che verrà autoconsumata dall’Università Cattolica nella misura dell’80-85%, coprendo il 60% del fabbisogno energetico annuo; l’altro 20% confluirà nella Comunità energetica avviata pochi mesi fa. Sono i numeri del primo parco agrivoltaico universitario e di ricerca in Italia, che nasce nel campus di Piacenza sotto la supervisione scientifica di Stefano Amaducci, docente di Agronomia della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali e uno dei massimi esperti europei in materia. «Ogni pannello ha una potenza di 650 Watt ed è bifacciale, per produrre energia elettrica sia con la faccia rivolta verso il sole sia con quella che riceve le radiazioni riflesse dal terreno e dalle colture» afferma. «Inoltre, la distanza e l’altezza dei pannelli, posti a cinque metri da terra, permettono l’accesso alla magg ior parte dei mezzi meccanici che si usano in agricoltura».
Permetteranno anche di fare ricerca?
Da 10 anni a questa parte abbiamo sviluppato studi sull’energ ia rinnovabile da agrivoltaico, formulando ipotesi basate sulla teoria, utilizzando piattaforme informatiche per stimare la produzione energetica dei vari sistemi disponibili e simulare la risposta produttiva delle principali colture da pieno campo sottoposte all’ombregg iamento dei pannelli fotovoltaici. Adesso sperimenteremo finalmente in campo, sotto i pannelli, colture commerciali come il mais, il frumento, il pomodoro e lo spinacio
Sono già realtà un progetto europeo (Value4farm) e uno regionale, Agrivolt-ER. Questo è un impianto avanzato e molto flessibile, che consente di gestire al meglio la radiazione solare in funzione della produzione energetica e delle colture. La struttura sulla quale sono montati i pannelli si muove su due assi, permettendo così un inseguimento totale del sole, per massimizzare la conversione energetica, o consentendo di controllare il movimento dei pannelli per gestire l’ombregg iamento a beneficio delle colture sottostanti. Verranno, quindi, sviluppati protocolli di gestione dei pannelli per favorire la produzione energetica piuttosto che quella delle colture in funzione di obiettivi economici, ambientali e sociali.
E oltre alla ricerca?
«Grazie a questo impianto contribuiremo a realizzare la strateg ia di decarbonizzazione e, quindi, di sostenibilità del campus. Senza dimenticare la formazione: il parco darà un supporto strateg ico alle attività didattiche. Gli studenti potranno partecipare alle prove sperimentali, fare esperienza di pieno campo di quello che studiano sui libri e che insegniamo in aula. Quindi prima e seconda missione, ma anche terza missione, grazie alla condivisione del surplus di energ ia con la Comunità energetica, la prima Cer italiana che fa capo a un ateneo».
Che cosa si può rispondere alle critiche sull’impatto visivo dell’impianto?
L’impatto paesaggistico è uno dei principali fattori critici di accettabilità sociale, si tratti di pannelli solari o pale eoliche; per questo sono state nel tempo emanate linee guida, regole e normative, a livello nazionale, ma soprattutto a livello regionale. Con riferimento specifico al nostro parco, l’area su cui è stato installato, racchiusa tra la ferrovia, un cavalcavia e una zona industriale, è sicuramente di basso valore paesaggistico e ritengo che il parco agrivoltaico universitario abbia in realtà un impatto positivo, anche considerando che abbiamo valorizzato un terreno improduttivo e ormai abbandonato. In generale è necessario che si faccia cultura nei confronti della produzione energetica rinnovabile: i benefici sono superiori all’impatto visivo e avere tutto senza fare nulla è complicato. Quel campo era incolto, ora invece lo coltiviamo e facciamo sperimentazione e orti. È una grande opportunità».