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Munarini, il Re Mida dello sport scledense

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Lo Schiocco

Lo Schiocco

Aldo Munarini si avvia a chiudere il secondo mandato da assessore allo sport e lo fa lasciando la sensazione che, in questo ruolo, tutto quello che tocca si trasformi in oro. Mai come in questi ultimi anni, in effetti, da Schio ono usciti così tanti campioni e sono stati raggiunti risultati e successi così prestigiosi.

nel motociclismo dopo cinquant’anni ha portato una casa italiana, la Ducati, a vincere il titolo costruttori e piloti”.

Una congiunzione astrale o cosa?

“Di certo non sono meriti che mi prendo io... Diciamo che noi come Comune possiamo dire di aver generato delle cose positive che hanno contribuito a determinare anche il raggiungimento di dei risultati importanti”. Manca un annetto scarso alla fine di due mandati – dieci anni – alla guida dello sport scledense. Che bilancio può cominciare a tracciare?

“All’inizio siamo partiti prendendo spunto da quello che era già un patrimonio della città: c’era un brand lanciato, “Città dello sport”, nel tempo erano state costruite diverse strutture sportive, e c’era uno zoccolo duro fatto di tante società sportive che hanno sempre costituito un patrimonio fondamentale. Per me una grande soddisfazione e un grande risultato, alla fine di questo doppio mandato, sarà poter dire di aver sempre lavorato per favorire la collaborazione tra le associazioni sportive. Un esempio è quello che è successo nel calcio: abbiamo consegnato in questi anni quattro campi sintetici, una superficie che consente di essere usata con continuità da più squadre e che aumen- ta l’indice di rotazione di utilizzo di un impianto: questo ha portato a un aumento di iscrizioni in ogni società calcistica e a una miglior collaborazione tra più società. Anche questo è un aspetto culturale e sociale da tener presente. In passato c’era conflittualità tra società, tra quartieri: il fatto invece di aver stimolato la possibilità di lavorare insieme ha portato a sviluppare sinergie in più ambiti”.

Questo lavoro “ai fianchi” sulla collaborazione tra società sportive ha favorito il risultato arrivato con il riconoscimento di “Città europea dello sport”.

“Non c’è dubbio. Abbiamo individuato in Aces Europe, la Federazione della capitali e delle città europee dello sport, un organismo no profit nato a Bruxelles che si occupa di premiare non tanto i meriti assoluti ma le città che si distinguono per la messa a disposizione di strutture, per puntare sullo sport inteso come benessere dei cittadini, sullo sport inclusivo. È stato un percorso lungo che nel 2019 ci ha portato a candidarsi inizialmente per il 2022 e poi, a causa della pandemia, a rimandare al 2023. Siamo riusciti a ottenere questo titolo appunto per quest’anno, e anche questo è un risultato che va a merito soprattutto delle tante società e delle tante energie che lavorano in città per promuovere lo sport”. Ma è un titolo di merito che dà lustro o ne derivano anche delle risorse?

“No, non ci sono risorse dirette in gioco, anzi ci sono delle spese da sostenere: il titolo è un costo per la città, ma è un riconoscimento che permette di entrare in un circuito europeo che facilita anche il percorso per intercettare determinati bandi, apre relazioni, permette di entrare in una rete di città europee. Insomma, è qualcosa che dà frutti. Spero di aver dimostrato che questo Anno europeo dello sport ha portato un indotto anche economico, ma ha dato anche più forza alle associazioni, che si sono sentite coinvolte e hanno fatto tutte la loro parte. Sono nati grandi eventi, dal campionato italiano di karatè al campionato di biliardo con l’associazione Primo acchito, e a novembre faremo il campionato europeo di taekwondo”. Adesso, guardando indietro, qual è stata la soddisfazione più grande di questi dieci anni? “Si dice di solito che l’ultima è la più bella, e devo dire che è così. La Coppa Europa di baskin è stata la più bella. Perché la considero anche un simbolo di quello che, come assessorato, è stato il nostro obiettivo fin dall’inizio: quello di creare una città dove lo sport fosse davvero per tutti. Non interessava avere soltanto campioni: quelli nascono ogni tanto, puoi avere la fortuna di esserci nel loro tempo, di averli come testimonial. Avere avuto la possibilità di portare a Schio un evento internazionale legato al baskin, che a Schio è nato dieci anni fa grazie al gruppo di insegnanti di educazione fisica del liceo Tron, è stato un grande risultato, perché è lo sport inclusivo per eccellenza, quello dove disabili e normodotati giocano insieme, con regole nelle quali è lo sport che si adatta all’atleta e al grado di disabilità, non il contrario. Il baskin dà opportunità a tutti di esprimere le proprie potenzialità, non vede la disabilità come un limite ma come un’opportunità. La Coppa Europa era l’evento ideale per l’anno della Città europea dello sport, ci abbiamo creduto un po’ tutti fin da subito. Sembrava una scommessa difficile, ma aver portato in città un evento di questo tipo, che mediaticamente ha avuto un riscontro eccezionale e ha riempito il palazzetto una domenica mattina con 30 gradi all’esterno, è stata una vittoria per tutti”.

Non vorrà dimenticare il Masiera Day, però... “Ah, certamente no. Un altro progetto che mi ha entusiasmato fin dall’inizio. Per ricordare Livio Romare abbiamo intitolato a lui il palasport e siamo arrivati a istituire le borse di studio, che sono la massima espressione di riconoscimento del valore di un atleta-studente. La Masiera Academy dimostra che molti ragazzi che eccellono nello sport eccellono anche nello studio, perché lo sport aiuta a organizzare i propri tempi e a fare anche sacrifici”

C’è qualcosa che resta da fare, da qui in avanti? In altre parole, che eredità lascia al suo successore, sempre che non finisca per essere lei stesso?

“C’è da implementare ancora l’impiantistica, perché quella non è mai completa. Manca ad esempio un’area da arrampicata. E c’è da cominciare il progetto di rilancio dello stadio di atletica di via Riboli”. Già, di quello avevamo parlato qualche anno fa in anteprima proprio su questo mensile. Un progetto che si è rivelato troppo ambizioso causa Covid. È così?

“Sì, avevamo presentato un grande progetto prima della pandemia, con 9 milioni di euro di possibili investimenti. Il Covid ce l’ha distrutto, perché non ci sono più state le risorse. Dunque quel progetto l’abbiamo messo necessariamente da parte, ridimensionando gli obiettivi. Siamo andati a Roma un mese fa e abbiamo intercettato un bando del Credito sportivo e ora abbiamo un progetto che vale un impegno di 1,4 milioni per la riqualificazione della pista, che ora non è omologata, e il relativo anello di illuminazione. Vedremo se nel bando si riuscirà a inserire anche l’intervento sull’area spogliatoi, che è vetusta. E poi c’è l’area foresteria che potrebbe essere data in concessione a privati”.

A proposito di privati, a Schio in questi anni sono stati fondamentali per certi fenomeni sportivi. Basti pensare a Marcello Cestaro, da cui dipendono le fortuna del Famila. E se negli anni Ottanta non ci fosse stata la passione di Sergio Zaupa non si sarebbe mai arrivati alla serie D con lo Schio calcio. I risultati di squadra eclatanti dipendono dai privati, insomma.

“È un po’ la logica dello sport italiano, che ha sempre delegato molto alle associazioni sportive dilettantistiche, le quali si sono affidate a volontariato, famiglie e agli sponsor. Non si sono mai incentivati strumenti più flessibili ed efficaci. Questa logica però diventa sempre più pericolosa, perché senza le sponsorizzazioni lo sport diventa eli-

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tario, e si finisce con il dover aumentare i costi a carico delle famiglie.

Quello che mi auguro è che ci sia una visione sportiva, nel nostro paese, che faccia entrare più sport nelle scuole, togliendo tutto il lavoro di base alle associazioni sportive, e dando modo ai ragazzi di fare scelte sportive più consapevoli. In Italia abbiamo uno dei più alti gradi di abbandono della pratica sportiva d’Europa, perché specializziamo troppo presto i ragazzi in un unico sport, così poi si stancano e a 15 anni abbandonano. Invece si dovrebbe puntare sulla multidisciplinarietà fino ai 12 anni, per poi arrivare a una scelta più consapevole verso lo sport in cui si capisce di essere più portati. All’estero succede così, non sto inventando chissà cosa”. Ma dica un po’, se l’attuale maggioranza uscisse vincitrice dalle prossime elezioni, lei sarebbe pronto a continuare in questo ruolo?

“Se qualcuno mi proponesse di continuare io vorrei più risorse economiche, e una struttura che unisca sport, giovani, per far capire alle associazioni che siamo sempre più vicine a loro. Penso di aver fatto molto, in questi anni, con le risorse ridotte a disposizione, grazie appunto alla rete di risorse e di volontariato. Adesso se dovessi continuare non mi accontenterei più”. Ah, questo è un messaggio al prossimo candidato sindaco del suo schieramento...

“Bè, una richiesta non per me, ma per chi eventualmente dovessi rappresentare ancora. Anche perché lo meritano. È stato dimostrato anche quest’anno che dal punto di vista sportivo abbiamo una potenzialità incredibile. Abbiamo tracciato una strada per poter continuare a crescere”. Se Schio partecipasse a una sorta di Olimpiade e avesse da scegliere il suo portabandiera per la cerimonia di inaugurazione, lei chi sceglierebbe?

“Eh, non è facilissimo. Potrei dire Thomas Ceccon che certo resterà nella storia, ma anche Raffaella Masciadri che con il Famila ha vinto tutto ed è una testimonial autorevolissima. Però sceglierei due persone che non sono campioni assoluti, ma che hanno dato esempi incredibili. Uno è Stefano Ruaro, unico uomo al mondo che, con il Parkinson, ha completato una competizione massacrante come la Ironman di Cervia in 15 ore: ci ha dato dei messaggi incredibili, che abbiamo sintetizzato anche nei manifesti stradali, con lo slogan “Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso”. L’altro è Federico Rossi, unico uomo al mondo che è arrivato al passo dello Stelvio in carrozzina, in otto ore. Ecco, sceglierei loro come testimonial dello sport scledense”. ◆

Attualità

Mirella Dal Zotto

Nell’editoriale dello scorso numero si parlava di bella stagione e di annesse erbacce mai/mal raccolte. Va detto, a onor del merito, che un nutrito gruppo di cittadini, circa una novantina di persone, tenta sisificamente di mantenere il decoro urbano laddove non c’è. Si tratta dei componenti di “Schio Siamo Noi”, gruppo che si costituirà in associazione vera e propria in queste settimane.

A capo dei volontari che, pinze e sacchetti alla mano, puliscono qua e là in città, figura Cesare Pasin, ex operatore ecologico e socio della CIAS, ex presidente del consiglio di quartiere di Magré, ex componente della commissione per lo sviluppo dell’inceneritore, ex consigliere comunale: una persona piena di entusiasmo, senso civico e voglia di fare che coordina le attività e, da pensionato, prosegue in quella che considera la sua missione, cioè tenere pulita Schio rimediando a eventuali mancanze, anche su segnalazione di privati cittadini.

“Spesso nei contratti firmati con le cooperative addette a mantenere pulite le strade sono contemplati un paio di sfalci all’anno e non sempre si inserisce la pulizia, ad esempio, dei parchi-gioco – spiega -. Il risultato può essere che i bambini giocano tra le erbacce, dove magari ci sono rifiuti pericolosi come le siringhe, e gli anziani nemmeno si avvicinano alle panchine per paura di pestare chissà che cosa”.

A oggi siete una novantina di volontari e svolgete un servizio prezioso: come vi aiuta il Comune?

“Ci sono state fornite delle pinze apposite per la raccolta e molti sacchi dismessi prima della raccolta porta a porta, la sezione di Schio dei Consumatori Italiani Uniti ci ha dotato di gilet ad alta visibilità per muoverci in sicurezza; noi ci mettiamo la nostra buona volontà e a oggi abbiamo rac-

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