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TIZIO BONONCINI
from TRAKS MAGAZINE #52
by Fabio Alcini
Dopo la pubblicazione di una serie di singoli esce il terzo album del cantautore bolognese “Tutto il mondo è un palcOSCENO”
Questo disco ha avuto una gestazione piuttosto lunga. Ce la racconti?
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Sì, in effetti sono pezzi che ho iniziato a scrivere nel 2017. Io do la colpa alla pandemia, che ha rallentato tutto, compresa la produzione dell’album! Mi fa ridere che abbiate usato il termine “gestazione”, visto che per me un album è a tutti gli effetti come un figlio e perché , questo nello specifico, è stato prodotto esattamente tra la nascita della mia prima figlia nel 2017 e la nascita della seconda, lo scorso 30 aprile! Dicevamo? Ah sì. Purtroppo o per fortuna non devo rispondere a nessuno se non ai miei tempi artistici, e per questo preferisco che le mie canzoni abbiano un certo periodo di decantazione. Quando abbozzo un pezzo a casa, al piano, capita spesso che poi lo abbandoni per settima- ne o anche mesi, per poi riprenderlo successivamente. E tutto questo moltiplicato per un sacco di tracce, ben 15! Troppe?! Forse sì, ma per me erano necessarie. Tutte e 15. Un altro rallentamento è stato causato da mie scelte di produzione: ho cambiato studio di registrazione in corso d’opera, rivolgendomi al produttore Stefano Riccò, allo Studio Esagono di Rubiera RE; poi ho avuto contatti con alcune etichette e ho dovuto scegliere con chi pubblicare. In sintesi, avrei potuto rispondere con una sola frase: sono un eterno indeciso, ho difficoltà a prendere decisioni, ecco perché ci ho messo un sacco di tempo!
Parli con ironia di una serie di storture che ci affliggono. Ci racconti la genesi tipica di una tua canzone?
Le mie canzoni nascono guardan- domi intorno con curiosità. Vivendo. Cercando di lasciarmi stupire da quello che vedo. Tra l’altro, come dicevo, queste canzoni sono nate dopo la nascita della mia prima figlia, evento che mi ha fortemente “sensibilizzato” su quelle storture. Ho avvertito fortissima la necessità di parlarne. Con ironia, perché l’ironia è un filtro che permette di astrarre, di usare un punto di vista trasversale e imprevedibile. Di base poi io sono un gran chiacchierone. Se mi imbatto in un argomento che mi interessa, amo parlarne, sviscerarlo, sentire le opinioni degli altri, di amici, parenti, colleghi. A volte senza neanche la necessità di farmi una mia opinione personale (strano, in questo mondo di tuttologi).
E scriverne in una canzone è un modo per parlarne con una platea più ampia. E’ una mia necessità l’intervista comunicativa. Alcune canzoni di questo album, come Uomo Macho e Biscotti, in particolare, hanno avuto una gestazione lunghissima proprio perché erano argomenti che mi premevano molto. E prima di trovare il modo - a mio avvisogiusto per affrontarli, ho scritto e poi gettato pagine su pagine. Solo quando né testo né musica mi annoiano all’ennesima ripetizione, allora propongo la canzone al mio sodale, Vincenzo De Franco, violoncellista che mi segue ormai dal primo album. Vincenzo prova puntualmente a stravolgermi la musica. Io mi oppongo. Poi ci ripenso... un tira e molla creativo che spesso porta a una bellissima crescita delle canzoni.
C’è stato anche un certo cambiamento a livello sonoro. Ci spieghi perché?
Di base perché mi piace cambiare.
In tutti i miei dischi ho avuto approcci sonori diversi. Nel primo, Entrambi Tre del 2012, c’era un suono molto scarno ed essenziale, molto folk. In Non fate caso al disordine, del 2017, è sempre tutto fortemente acustico, ma le sonorità sono un po’ jazzy, swing. Parlo volutamente per approssimazione. Questa volta mi è venuta voglia di giocare con i suoni elettronici, che mai prima avevo usato nelle mie canzoni. Molto dipende anche dagli ascolti che faccio in un determinato periodo della mia vita. Mi son preso delle cotte musicali incredibili... che corrispondono poi alla veste musicale che voglio dare all’album.
Titolo e copertina fanno riferimento al teatro e del resto c’è una certa dose di cabaret nei tuoi pezzi. Quali sono le tue fonti di ispirazione in questo campo?
Questo album è musicalmente alla ricerca di una fusione tra il pop e il cabaret. Quando dico cabaret non penso a Zelig. Non faccio stand up comedy. Penso più al cabaret che in Italia potremmo chiamare teatro-canzone e che rimanda a Jannacci, Gaber, Cochi e Renato... per dire. Che fanno parte della mia formazione, ovviamente. Ma paradossalmente ho ascoltato più Battiato, per questo album. Volevo che avesse un vestito più pop, che potesse suonare “moderno” anche all’ascoltatore distratto, pur mantenendo vivo il gusto per l’ironia e il paradosso tipici del cabaret. Ho scoperto che esiste il punk cabaret. Così ho deciso che il mio genere è il pop-cabaret. Hai già pronta la versione live di questo disco? Ti vedremo in tour?
Più o meno. Alcuni pezzi sono già in rodaggio da un po’. Non aspettatevi di sentirmi live riproporre gli stessi arrangiamenti del disco. Faccio di necessità virtù. Intanto non mi esibisco mai con una formazione fissa: porto i miei pezzi in solo, in duo o trio. Per cui ogni live è necessariamente a sé stante. Un po’ come se io fossi la cover band di me stesso. Per tornare al concetto di pop-cabaret, durante i miei concerti la performance, lo spettacolo e la comunicazione e il gioco tra i musicisti e con il pubblico la fanno da padrone. Le basi le ho prese in considerazione, ma penso che ammazzerebbero un po’ il bello del mio live. Forse. Una volta Lorenzo Kruger, che conosco e a cui ho avuto il piacere di aprire un live, su facebook scrisse una interessantissima analisi di questo argomento, che faccio mia. Metteva a confronto teatro e cinema con musica live e musica registrata. Prima il cinema era il teatro filmato. Poi il cinema si è differenziato, con l’aumentare della tecnologia, ed è diventato un’arte a sé stante. E il teatro così ha avuto modo di acquisire più forza, senza bisogno di ricorrere il cinema. Allo stesso modo potrebbe essere vista la musica live, come il teatro, e la musica registrata, come il cinema. In quest’ottica io cerco di presentare un live che non punti quindi a riproporre esattamente il mio disco: il mio live è uno spettacolo in cui racconto le canzoni sono messe in scena, e in cui cerco (e spero) di coinvolgere il pubblico.