Speciale: Pensare la realtà

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REDAZIONE

Direttore: Corrado Piroddi. Vicedirettore: Anna Maria Ricucci Redazione: Valeria Bizzari, Antonio Freddi, Giacomo Miranda, Teresa Paciariello, Lavinia Pesci, Corrado Piroddi, Anna Maria Ricucci, Timothy Tambassi. Collaboratori esterni: Marco Anzalone, Simona Bertolini, Mara Fornari, Donatella Gorreta, Federica Gregoratto, Francesco Mazzoli, Giovanna Maria Pileci, Marina Savi, Cristina Travanini. Direttore responsabile: Ferruccio Andolfi.


SOMMARIO

Introduzione..............................................................................................................................................................................................p. 4 Umanamente oggettivo. Spunti di riflessione a partire dai «Quaderni del carcere» di Lucia Mancini.........................................................p. 6 Tra rappresentazionalismo e realismo diretto: lineamenti di un’interpretazione cartesiana di Giacomo Miranda....................................p. 14 Sulla realtà delle proprietà estetiche: un’incursione nel dibattito analitico di Cristina Travanini.............................................................p. 23 La struttura della compresentazione nella fenomenologia husserliana di Daniela Bandiera....................................................................p. 31 Realtà, ontologia e prospettivismo nell’elaborazione americana di Nietzsche di Antonio Freddi..............................................................p. 37 Realtà e possibilità. Una riflessione sulla proposta metafisica di E.J. Lowe di Timothy Tambassi.........................................................p. 51



Introduzione Giunta alla seconda edizione, la Giornata di Studi per Dottorandi e Dottori di Ricerca ha mantenuto il taglio della precedente, privilegiando un approccio argomentativo e dialogico intorno al tema della realtà e del suo rapporto con il pensiero. Studiosi specializzati in diversi ambiti della filosofia, legati all’Università degli Studi di Parma che ha fatto da cornice all’evento, si sono confrontati senza che l’apertura prevista dal dibattito si traducesse in una deroga alla scientificità o alla specificità dei rispettivi metodi. Ne è risultato un succedersi di contributi densi e stimolanti, raccolti in questo numero della rivista «Quaderni della Ginestra» la cui Associazione culturale di riferimento, «La Ginestra», è stata, insieme all’Università di Parma e alla Società Filosofica Italiana, tra i patrocinatori dell’evento. Al riguardo, rinnoviamo i nostri più sentiti ringraziamenti alla prof.ssa Beatrice Centi, Responsabile dell’Area di Filosofia del Dipartimento A.L.E.F. dell’Università di Parma, e al prof. Ferruccio Andolfi, presidente dell’Associazione culturale «La Ginestra», direttore de «La società degli individui» e autorevole sostenitore di questa iniziativa. Ringraziamo i singoli Relatori per gli articoli che compongono la raccolta e cogliamo, infine, l’occasione per apprezzare il lavoro di Corrado Piroddi, direttore dei «Quaderni della Ginestra» e responsabile dell’editing. I curatori Giacomo Miranda Timothy Tambassi



Quaderni della Ginestra

UMANAMENTE OGGETTIVO. SPUNTI DI RIFLESSIONE A PARTIRE DAI QUADERNI DEL CARCERE

C

diventa necessario premettere alcune considerazioni metodologiche da tenere sempre presenti nel momento in cui affrontano i testi gramsciani.

os’è la realtà?

Il breve paragrafo che segue ha una semplice funzione introduttiva, può

Questo interrogativo, da sempre uno dei punti cardine

essere saltato da chi ha già dimestichezza con lo studio delle annotazioni

dell’indagine filosofica, non è estraneo alla ricerca intellettuale condotta

gramsciane.

da Gramsci nei Quaderni del carcere 1. Se da un lato questa constatazione

In primo luogo occorre tenere presente che i Quaderni del carcere non

può non destare stupore data la natura frammentaria e miscellanea dei

sono una trattazione organica e lineare di uno o più argomenti, ma degli

Quaderni, dall’altro non possiamo che interrogarci sul motivo che può

appunti, più o meno approfonditi, che Gramsci raccoglie tra il 1929 e il

avere spinto Gramsci, un politico ma non un filosofo, ad affrontare un

1935 su ogni campo del sapere umano: storia, letteratura, economia,

tema apparentemente così lontano, così eterogeneo, dai suoi interessi

scienze, traendo spunto da ricordi e da letture di libri e riviste.

specifici.

La prima fase del lavoro carcerario (dall’8 febbraio 1929 alla

Si cercherà quindi di mostrare come la riflessione sul concetto di

primavera del 1932) viene dedicata alle traduzioni dal tedesco, inglese e

realtà nell’economia del lavoro intellettuale gramsciano trascenda il

dal russo, e all’accumulazione progressiva di note di vario argomento; a

piano teoretico-epistemologico per assumere una connotazione

partire dall’aprile del 1932 (pur continuando la stesura di nuove note

squisitamente politica.

miscellanee) Gramsci dà inizio alla compilazione di quaderni, da lui definiti «speciali», destinati a smistare e raccogliere ‘monograficamente’

1. Premesse metodologiche

alcune delle annotazioni precedenti. A causa del regolamento carcerario, che limitava il numero di libri e quaderni consentito in cella, Gramsci,

Data la natura degli scritti carcerari, per poter meglio contestualizzare

per ovviare a questa restrizione, divideva idealmente e strutturalmente

le mie osservazioni, che non hanno la pretesa di essere conclusioni, ma

alcuni di essi in sezioni. Tale pratica gli consentiva di affrontare

semplici spunti di riflessione a partire da alcuni paragrafi dei Quaderni,

contemporaneamente più tematiche e di comportarsi come se avesse a 6


Pensare la realtà

disposizione un numero maggiore di quaderni2. Si possono così

sottolineare il carattere provvisorio delle sue riflessioni:

riconoscere diverse tipologie di quaderni: i quaderni miscellanei, nei quali vengono raccolte annotazioni senza distinzioni di materia, i

tutte queste note sono provvisorie e scritte a penna corrente: esso

quaderni misti (ossia quei quaderni che hanno una parte miscellanea e

sono da rivedere e da controllare minutamente, perché contengono

almeno una sezione monografica) e i quaderni speciali, monografici,

inesattezze, anacronismi, falsi accostamenti ecc. che non importano

destinati a raccogliere le riscritture di note precedenti.

danno perché le note hanno solo l’ufficio di promemoria rapido. 5

Valentino Gerratana, autore della prima edizione critica dei Quaderni del carcere, individuava tre differenti tipologie di appunti: i testi A (ossia le annotazioni in prima stesura cui Gramsci attinge per la compilazione dei quaderni «speciali»), i testi B (che rimangono in unica stesura) e i testi C (ossia le annotazioni in seconda stesura dei quaderni «speciali») 3. Nello

Queste righe fanno parte di un’annotazione del maggio 1930; a due anni di distanza Gramsci estrapola questo passo, lo rende autonomo e lo pone in calce al quaderno speciale 11, intitolato Introduzione allo studio della filosofia. Nel testo C leggiamo:

specifico i testi C permettono di cogliere, attraverso le modifiche operate rispetto alle annotazioni originarie, il «ritmo del pensiero in isviluppo»4 che sostanzia i Quaderni: il processo di revisione continua cui Gramsci sottopone i suoi appunti e, di conseguenza, le sue posizioni

le note contenute in questo quaderno, come negli altri, sono state scritte a penna corrente, per segnare un rapido promemoria. Esse sono tutte da rivedere e controllare minutamente, perché contengono certamente inesattezze, falsi accostamenti, anacronismi. Scritte senza

teoriche. Infatti, nella quasi totalità dei casi, le riscritture sono più

aver presenti i libri cui si accenna, è possibile che dopo il controllo

dubitative che assertive perché tendono a problematizzare quanto

debbano essere radicalmente corrette perché proprio il contrario di ciò

scritto nelle annotazioni in prima stesura.

che è scritto risulti vero.6

Per comprendere l’idea del lavoro di interrogazione continua che anima i Quaderni del carcere è possibile fare riferimento al seguente passo,

Proprio perché la riflessione gramsciana è per sua natura provvisoria,

un appunto particolarmente prezioso perché in esso è Gramsci stesso a

e Gramsci stesso mette in guardia dalla necessità di non «far dire ai testi,

7


Quaderni della Ginestra

per amor di tesi, più di quanto i testi realmente dicono» 7, le mie

Materialismo ed empiriocriticismo, banalizzando la differenza kantiana tra

riflessioni che non vogliono essere ‘dati acquisiti’, ma spunti di

fenomeno e cosa in sé 10, affermava l’esistenza di una realtà

riflessione, interrogazioni a partire da alcuni appunti carcerari.

indipendentemente e pienamente conoscibile a prescindere dai nostri schemi concettuali, dalle nostre pratiche linguistiche, dalle nostre

2. Realtà, spunti di riflessione

credenze. È interessante notare che nella critica di questa posizione Gramsci non cita mai l’opera leniniana, ma sempre il testo di Bucharin,

Il tema della realtà viene affrontato in diverse annotazioni, per lo più

Teoria del materialismo storico, manuale popolare di sociologia marxista (tradotto

rubricate sotto i titoli La tecnica del pensiero e L’obbiettività del mondo esterno.

in diverse lingue europee, il testo, che tra il 1921 e il 1929 ha avuto sedici

La maggior parte delle note che citerò sono tratte dalle tre serie di

edizioni nella sola Unione Sovietica, era stato pensato come una sorta di

Appunti di filosofia8.

abc, ad uso popolare, del marxismo), citato nei Quaderni nella forma

Già a una prima e superficiale lettura si rileva come il fine principale di questi appunti sia quello di invalidare le tesi del realismo filosofico. Per

perseguire

questo

dell’oggettività del mondo esterno già nella prima serie di Appunti di

contemporaneamente contro due approcci, il ‘senso comune’ 9 e il

filosofia del Quaderno 4 affermando che questa non è un fatto scientifico

materialismo sovietico, due ‘orientamenti’ che, seppur all’apparenza

comprovabile mediante prove empiriche, ma «una concezione del

incommensurabili,

e

mondo, una filosofia». La scienza può solo vagliare le sensazioni al fine

controintuitiva, la problematizzazione dell’obiettività e della piena

di separare quelle permanenti dalle fallaci, legate cioè a «speciali

conoscibilità del mondo esterno. Il senso comune perché ancora

condizioni umane». In questo senso la scienza rettifica e perfeziona la

inconsapevolmente permeato dall’ideologia religiosa (secondo la quale

nostra percezione del mondo descrivendo «l’essere comune a tutti gli

l’uomo, ultima creatura di Dio, si trova inserito in una realtà già esistente

uomini, l’essere indipendente da ogni punto di vista che sia meramente

e perfettamente compiuta). Il materialismo sovietico perché, sulla scia di

particolare.»12

a

Gramsci

respingere,

perché

si

Gramsci definisce con chiarezza la sua posizione nei confronti

muove

portavano

obiettivo

contratta di Saggio popolare 11.

assurda

8


Pensare la realtà

Con l’esplicito riferimento all’uomo, Gramsci ci suggerisce una

individualmente arbitrarie). Ricordare il libretto di Bertrand Russell

concezione storica, transeunte, umana della realtà. Per corroborare

(ediz. Sonzogno, in una nuova collezione scientifica, numero 5 o 6) sulla

questa tesi Gramsci riprende l’argomentazione fornita da Russell circa le

filosofia neorealistica, e il suo esempio. Il Russell dice presso a poco:

categorie di Oriente-Occidente e i concetti di linea, punto, superficie.

«Noi non possiamo pensare, senza l’esistenza dell’uomo sulla terra, all’esistenza di Londra e di Edimburgo, ma possiamo pensare

Ricordo una affer mazione di Bertrando Russell: si può immaginare sulla terra, anche senza l’uomo, non Glasgow e Londra, ma due punti della superficie della terra uno più a Nord e uno più a Sud (o qualcosa di simile: è contenuta in un libretto filosofico di Russell tradotto in una collezioncina Sonzogno di carattere scientifico). Ma senza l’uomo cosa significherebbe Nord e Sud, e “punto”, e “superficie” e “terra”?13

A pochi mesi di distanza, nella seconda serie di Appunti di filosofia del 14

Quaderno 7, l’argomento viene approfondito :

all’esistenza di due posti, dove sono oggi Londra e Edimburgo, uno a Nord e l’altro a Sud». Si potrebbe obbiettare che senza pensare all’esistenza dell’uomo, non si può pensare di «pensare», non si può pensare in genere a nessun fatto o rapporto che esiste solo in quanto esiste l’uomo. Ma il fatto più tipico, da questo punto di vista, è il rapporto NordSud e specialmente Est-Ovest. Essi sono rapporti reali e tuttavia non esisterebbero senza l’uomo e senza lo sviluppo della civiltà. È evidente che Est e Ovest sono costruzioni arbitrarie, e convenzionali (storiche), poiché fuori della storia reale ogni punto della terra è Est ed Ovest nello stesso tempo: costruzioni convenzionali e storiche non dell’uomo in

9

Oggettività del reale. Per intendere esattamente i significati che può

generale, ma delle classi colte europee, che attraverso la loro egemonia

avere questo concetto, mi pare opportuno svolgere l’esempio dei

mondiale le hanno fatte accettare a tutto il mondo. Il Giappone

concetti «Oriente» e «Occidente» che non cessano di essere

probabilmente è Estremo Oriente non solo per l’Europeo, ma anche

«oggettivamente reali» seppure all’analisi si dimostrano nient’altro che

per l’americano della California e per lo stesso Giapponese, il quale

una «costruzione convenzionale» ossia «storica» (spesso i termini

attraverso la cultura inglese chiamerà prossimo Oriente l’Egitto, che dal

«artificiale» e «convenzionale» indicano fatti «storici», prodotti dello

suo punto di vista dovrebbe essere Occidente lontano ecc. D’altronde il

sviluppo della civiltà e non costruzioni razionalisticamente arbitrarie o

valore puramente storico di tali riferimenti appare dal fatto che oggi le


Quaderni della Ginestra

parole

Oriente

e

Occidente

hanno

acquistato un significato

extracardinale e indicano anche rapporti fra complessi di civiltà 15

Gramsci definisce così il retroterra filosofico del materialismo storico secondo cui «non si può staccare il pensare dall’essere, l’uomo dalla natura, l’attività (storia) dalla materia, il soggetto dall’oggetto, se si fa

In questa prospettiva, se lasciato sul piano meramente teorico-

questo distacco si cade nel chiacchiericcio, nell’astrazione senza senso» 19.

speculativo, perde senso l’interrogativo circa la realtà del mondo esterno

Ecco che, per superare la separazione tra essere e pensiero, tra

perché «ciò che importa non è dunque l’oggettività del reale come tale

attività e materia, Gramsci concepisce il materialismo storico come un

16

ma l’uomo che elabora questi metodi» .

nuovo monismo ossia come la

Il rapporto uomo-realtà viene da Gramsci risolto attraverso il concetto di praxis perché «senza l’attività dell’uomo, creatrice di tutti i 17

valori anche scientifici, cosa sarebbe l’“oggettività”?» .

attività dell’uomo (storia) in concreto, […] applicata a una certa «materia» organizzata (forze materiali di produzione), alla «natura»

Non è difficile notare l’assonanza tra questa posizione e quanto

trasfor mata dall’uomo. Filosofia dell’atto (praxis), ma non dell’«atto

espresso da Marx nelle Tesi su Feuerbach che Gramsci legge e traduce in

puro», ma proprio dell’atto «impuro», cioè reale nel senso profano della

carcere proprio negli stessi mesi in cui registra queste osservazioni. La

parola. 20

seconda tesi su Feuerbach, nella traduzione di Gramsci, recita: Ne segue che il marxismo può essere a buon diritto essere definito la quistione se al pensiero umano appartenga una verità obbiettiva,

materialismo storico se e solo se si interpreta il termine materialismo nel

non è una quistione teorica, ma pratica. È nell’attività pratica che

suo «significato più estensivo» 21, ossia come categoria ermeneutica che

l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere

escluda la trascendenza dal proprio orizzonte teorico e pratico.

terreno del suo pensiero. La discussione sulla realtà o non realtà di un

In conclusione, ogni interrogativo sulla natura e sulla realtà che

pensiero, che si isoli dalla praxis, è una quistione puramente scolastica.18

venga posto sub specie aeternitatis, prescindendo cioè dalla prassi umana, è un falso problema perché natura e realtà sono sempre dati in quella

10


Pensare la realtà

Dopo aver apportato poche varianti, nel corrispettivo testo C Gramsci aggiunge: «senza l’uomo, cosa significherebbe la realtà dell’universo? Tutta la scienza è legata ai bisogni, alla vita, all’attività dell’uomo» 23. Ne risulta che, conoscendo solo «i fenomeni in rapporto all’uomo e siccome l’uomo è un divenire, anche la conoscenza è un divenire, pertanto anche l’oggettività è un divenire» 24. Oggettivo quindi, si domanda retoricamente Gramsci, «non significherà “umanamente oggettivo” e non perciò anche umanamente “soggettivo”?»25

3. Considerazioni conclusive

MATTEO CERRETELLI , LET TURE DI STRADA

sintesi storica nella quale è impossibile prescindere dall’attività umana.

Gramsci con la sua riflessione si impegna a definire la realtà come un costrutto umano, sociale, per la precisione. Un prodotto storico e quindi destinato a variare col mutare del sistema sociale di riferimento. A mio avviso, si può affermare che ad essere importanti non siano

Se è così, ciò che più importa non è dunque l’oggettività del reale come tale ma l’uomo che elabora questi metodi, questi strumenti materiali che rettificano gli organi sensori, questi strumenti logici di discriminazione, cioè la cultura, cioè la concezione del mondo, cioè il rapporto tra l’uomo e la realtà. Cercare la realtà fuori dall’uomo appare

11

tanto le argomentazioni che Gramsci utilizza a favore della sua tesi, quanto piuttosto il fine che le anima. Gramsci non era un filosofo, Gramsci era «un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta politica immediata»26. Qual è stato il motivo

quindi un paradosso, così come per la religione è un paradosso, peccato,

che può aver

spinto Gramsci

ad affrontare un argomento

cercarla fuori di Dio.22

apparentemente così lontano dai suoi interessi più o meno immediati


Quaderni della Ginestra

come il concetto di realtà e la critica del realismo filosofico di Bucharin?

Per Gramsci il compito del politico in un momento storico di crisi è

Probabilmente la risposta a questa domanda risiede nel senso ultimo

educare le classi popolari ad assumere progressivamente un ruolo attivo

che hanno le pagine dei Quaderni. I Quaderni del carcere sono un

e consapevole nella vita politica del paese. Rifondare la filosofia partendo

laboratorio concettuale immenso, frammentario, labirintico, ma hanno

dal concetto stesso di realtà diventa quindi la precondizione per la

un fine preciso: elaborare per il futuro un progetto politico impossibile, a

riflessione e l’azione politica.

causa della dittatura fascista, da attuare nel presente. Definire la realtà come un processo, una costruzione umana, storica, e respingere l’idea che

LUCIA MANCINI

si tratti di un qualcosa di fisso, immutabile, indipendente dall’uomo, rientra a pieno titolo in questo progetto politico. Gramsci è intimamente convinto della traducibilità tra concezione del mondo (anche quando inconsapevole, acritica) e agire politico. La filosofia, per Gramsci, non è pura teoresi, né semplice storia delle idee, la filosofia è l’intera forma mentis sottesa al comportamento individuale e sociale, la filosofia dà senso e vivifica la strategia politica. Come sottolinea giustamente Frosini, il «materialismo volgare» (e il realismo filosofico che sottende) appare a Gramsci un’ideologia da subalterni perché «non fa che ripetere in forma variata la concezione religiosa del rapporto tra uomo e mondo come di due sfere reciprocamente estranee»: per Gramsci, «il materialismo perpetua la percezione che di se stessi hanno le classi subalterne, come di oggetti privi di volontà, in balia delle circostanze» 27.

Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975-2007. I riferimenti ai Quaderni del carcere seguiranno questo ordine: QC, numero di quaderno, numero di paragrafo, numero di pagina dell’edizione critica. Le citazioni delle traduzioni carcerarie fanno riferimento a Quaderni di traduzioni (1929-1932), a cura di G. Cospito, G. Francioni, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2007: saranno citati con la sigla QT seguita dall’indicazione del quaderno e del numero di pagina dell’edizione critica. Per quanto riguarda le citazioni dalle lettere, farò riferimento a Lettere dal carcere (1926-1937), a cura di A. A. Santucci, Sellerio, Palermo 1996. I riferimenti seguiranno questo schema: LC, numero di pagina e tra parentesi il destinatario seguito dalla data della lettera. 2 Per quanto riguarda le ‘norme’ redazionali e le modalità di stesura che Gramsci adotta in carcere, rimando alla Nota al testo di Gianni Francioni (QT, 835-898). 3 V. Gerratana, Prefazione in QC, XXXVI-VII. 4 QC, 4, 1, 419. 5 QC, 4, 16, 438. 6 QC, 11, Avvertenza, 1365. 7 QC, 6, 198, 838. 8 Con il titolo di Appunti di filosofia Gramsci definisce tre blocchi di note contenute nei Quaderni 4, 7 e 8, stese nei due anni compresi tra il maggio del 1930 e il maggio del 1932. La prima serie (dalla carta 41 recto alla carta 80 verso del Quaderno 4) è stata vergata tra il maggio e il novembre del 1930, la seconda (da c. 51 recto a c. 73 verso del Quaderno 7) tra il novembre del 1930 e il novembre del 1931 e l’ultima (dal recto di c. 51 al verso di c. 79) tra il novembre del 1931 e il maggio del 1932. Per quanto riguarda 1

12


Pensare la realtà

la particolare accezione del termine filosofia in Gramsci rimando al testo di F. Frosini, La religione dell’uomo moderno. Verità e politica nei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, Carocci, Roma 2010. 9 Per Gramsci, il senso comune «è la “filosofia dei non filosofi”, cioè la concezione del mondo assorbita acriticamente dai vari ambienti sociali in cui si sviluppa l’individualità morale dell’uomo medio. Il senso comune non è una concezione unica, identica nel tempo e nello spazio: esso è il “folclore” della filosofia, e come il folclore si presenta in forme innumerevoli: il suo carattere fondamentale è di essere una concezione del mondo disgregata, incoerente, inconseguente, conforme al carattere delle moltitudini di cui esso è la filosofia» (QC, 8, 173, 1045). 10 «Ogni differenziazione misteriosa, sottile, ingegnosa tra il fenomeno e la cosa in sé è un’assoluta assurdità filosofica. In effetti ogni uomo ha osservato milioni di volte la trasformazione semplice ed evidente della “cosa in sé” in fenomeno, in “cosa per noi”. Questa trasformazione non è altro che la conoscenza. La “dottrina” del machismo secondo cui, poiché noi conosciamo solo le sensazioni, non possiamo sapere niente sull’esistenza di qualche cosa oltre i limiti delle sensazioni, è un vecchio sofismo della filosofia idealistica e agnostica che viene servito con una nuova salsa». (Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, [1908], in Opere complete, XLV vol., Editori Riuniti, Roma 19551970, vol. XIV, pp. 13-377, p. 116). È doveroso ricordare come nei suoi Quaderni filosofici (scritti di carattere personale, non destinati alla pubblicazione e quindi liberi da preoccupazioni politico-ideologiche immediate) Lenin registri osservazioni gnoseologiche meno ingenue nelle quali la conoscenza non viene definita come mera «fotografia» ma come «processo». «La conoscenza è il processo di immersione (dell’intelletto) nella natura inorganica allo scopo di subordinarla alla potenza del soggetto e allo scopo di ottenere generalizzazioni (conoscenza dell’universale nei suoi fenomeni). […] Il coincidere del pensiero con l’oggetto è un processo: il pensiero (=l’uomo) non si deve rappresentare la verità come la morta quiete, come una semplice immagine (copia), pallida (inerte), senza tendenza, senza movimento, come un genio o un numero, come un pensiero astratto» (V. I. Lenin, Quaderni filosofici, a cura di L. Colletti, Feltrinelli, Milano 1976, pp. 186-187). 11 N. I. Bucharin, Teorija istoričeskogo materializza. Populjarnyi učebnik marksistkoj sociologii, Mosca 1921; La théorie du materialisme historique. Manuel populaire de sociologie marxiste, Édition Sociales Internationales, Paris 1927; trad. it. A Binazzi, a cura di V. Gerratana, Teoria del materialismo storico. Manuale popolare di sociologia marxista, La nuova Italia, Firenze 1977.

13

QC, 4, 41, 466. QC, 4, 41, 467. 14 Un’ulteriore spia dell’interesse di Gramsci può essere dato dall’autonoma correzione dei riferimenti geografici (Edimburgo in luogo di Glasgow) dell’esempio di Russell. Rimando alle osservazioni di Giuseppe Cospito nel saggio Gli strumenti logici del pensiero: Gramsci e Russell in Gramsci e la scienza, storicità e attualità delle note gramsciane sulla scienza, a cura di M. P. Musitelli, Istituto Gramsci Friuli Venezia Giulia, Trieste 2008, pp. 63-80. 15 QC, 7, 25, 874. 16 QC, 4, 41, 467. 17 Ibidem [corsivo mio]. 18 QT, 7 [a], 743. 19 QC, 4, 41, 467. 20 QC, 4, 37, 455. 21 QC, 11, 16, 1408. 22 QC, 4, 41, 467. 23 QC, 11, 37, 1457. 24 QC, 8, 177, 1049. 25 QC, 8, 177, 1048. 26 LC, 448 (alla madre, 24 agosto 1931). 27 F. Frosini, Gramsci e la filosofia, cit., p. 87. 12 13


Quaderni della Ginestra

TRA RAPPRESENTAZIONALISMO E REALISMO DIRETTO: LINEAMENTI DI UN ’INTERPRETAZIONE CARTESIANA

N

dato un inedito rilievo alla nozione di idea nel pensare la realtà. Poiché, come apparirà in seguito e alla fine, i due temi sono strettamente

ella storia della filosofia uno dei temi più ricorrenti, e talora

congiunti, dapprima procederò con una breve esposizione dello status

inflazionati, è senza dubbio il mind-body problem. In generale, lo si

delle idee in Descartes fatta eccezione per quella di Dio, che

identifica con l’aporia della presenza, in un solo individuo, di due

meriterebbe una ben più ampia trattazione a parte; dopodiché

sostanze separate quanto a funzioni e, per conseguenza diretta, a status

ricostruirò le linee guida di una recente interpretazione del filosofo

ontologico. L’immaterialità della mente e dei pensieri appare, se non in

come rappresentazionalista e, al contempo, realista diretto; infine, alla

contraddizione, certamente difficile da conciliare con la materialità del

luce della teoria dell’idea che sarà emersa, abbozzerò in estrema sintesi

corpo e dei suoi movimenti meccanici, per quanto l’esperienza ordinaria

una lettura di Descartes in chiave antidualista, riferendomi in particolare

confermi il singolo nella persuasione di essere all’origine di pensieri e, al

al carteggio con la principessa Elisabetta di Boemia.

contempo, di azioni materiali. E tuttavia il ricorso all’esperienza, a ciò

Come prima e immediata osservazione, in Descartes l’elemento

che restituiscono i sensi, non è sufficiente, non consente di eludere la

imprescindibile per pensare la realtà, l’idea, ha perso quasi totalmente i

problematicità di una coppia di opposti che verrebbero a coesistere in

suoi originari connotati platonici. L’opera cartesiana, invero, non è un

un io unitario, o che come tale sperimenta se stesso. Il semplice esperire,

caso isolato, risente dell’influsso di un milieu in cui accanto al concetto di

o esperirsi, ben lungi dal privare il mind-body problem della sua rilevanza

idea-archetipo si era attestato quello di atto compiuto da una mente

filosofica, si inserisce in quanto tale nella questione più ampia evocata

finita, e dunque immanente alla causalità di quest’ultima. Nel Lexicon

dal titolo della «Giornata di Studi», poiché il primo passo per pensare la

philosophicum di Rudolph Goclenius, edito nel 1613, l’idea viene trattata

realtà è pensare la propria realtà.

sotto due aspetti, uno generale e l’altro particolare, o speciale: descritta

Al riguardo mi è parso significativo proporre la figura di Descartes,

secondo il primo aspetto, l’idea è la forma o exemplar di una cosa

tradizionalmente considerato il campione di un dualismo senza

guardando alla quale un opifex (artigiano, con un richiamo evidente al

soluzione – cioè senza conciliabilità – tra mente e corpo e noto per aver

Demiurgo del Timeo) produce (efficit) qualcosa in funzione di una precisa 14


Pensare la realtà

intenzione. Specificando questa definizione ne risulta, in base al

agens, l’essere dell’idea non può ridursi a mero nulla, perché, se così

secondo aspetto, che idea è la forma o la ragione di una cosa nella

fosse, si dovrebbe dubitare della consistenza ontologica del suo agens,

mente di Dio, forma eterna ed immutabile contemplando la quale viene

ossia della mente. Bisogna allora suppore che il grado d’essere di

creato qualcosa di analogo benché dotato di attributi antitetici a quelli

un’idea, incomparabile con quello degli oggetti extramentali, sia tuttavia

dell’archetipo, quali la durata, la mortalità, il movimento etc.

sufficiente non solo a distinguerla dal nulla, ma anche ad introdurre un

Prescindendo da quest’ultima, consideriamo invece la prima modalità di

principio di individuazione che stabilisca una differenza numerica

intendere l’idea, precisata poco dopo – sempre alla voce «Idea» del

rispetto alle altre idee. Assumo qui il termine “numerica” nel senso

Lexicon – come segue: «Idea est ratio architectatrix […] in mente

cartesiano di “formale”, in quanto, a prescindere da ciò che

artificis»1. Qui appare accentuato il carattere della progettualità: il

rappresentano, il criterio differenziante di base delle idee è il loro essere

significato di idea tende a differenziarsi da quello di exemplar nella misura

entità individuali, ciascuna identica a se stessa. Si danno perciò idee

in cui ciò che si designa non è più il corrispettivo perfetto di una cosa

plurime solo in quanto si danno atti di pensiero plurimi, vale a dire

imperfetta, bensì un movente, qualcosa di nettamente più simile al

esercitati da una sostanza pensante, la mens, che mentre opera

prodotto della causalità esercitata da una mente umana.

produttivamente in questo modo, per così dire, ‘vede’ i prodotti della

Una fonte delle Meditazioni cartesiane, la Summa philosophiae

sua operazione. E il ‘vedere’ della mente equivale a possedere

quadripatita di Eustache de Saint-Paul, pubblicata nel 1609 e ristampata

rappresentazioni, vale a dire oggetti dotati di un’esistenza intenzionale,

nel 1614, lascia anch’essa sopravvivere, in formale omaggio alla

la cui essenza obiettiva non è altro che l’immagine (non subìta dalla

tradizione platonica, il binomio idea-exemplar, ma attribuisce apertamente

mente ma effetto del suo agire) dei corrispettivi nella realtà. L’idea di

all’idea la natura di atto, ovvero di effetto riconducibile ad un agente 2.

una rosa bianca, per esempio, è quanto all’esse formale un atto della

In Descartes l’inerenza delle idee alla potenzialità della mente

mente, saturato tuttavia, a livello di esse obiectivum, dalla gamma di

rappresenta un dato acquisito, tanto più che si pone all’origine di una

attributi percepiti in presenza della rosa bianca reale. Ogni idea, da

serie di conseguenze assai rilevanti. In primo luogo, in quanto actus di un

quella della rosa bianca a quella di Dio, è sempre idea di qualcosa, non

15


Quaderni della Ginestra

può essere un contenitore vuoto, donde comprendiamo bene il valore

collegio gesuitico di La Flèche tra il 1607 e il 1615. L’attributo

simbolico dell’idea cartesiana, cioè il suo ‘rimandare ad altro da sé’: alla

“essenzialista” è giustificato dalla rilevanza riconosciuta alla nozione di

mente quanto all’esse formale, alla realtà esteriore quanto all’esse obiectivum.

essenza nella definizione di ens. Due erano le modalità di concepire l’ente:

Poiché dunque, attraverso questa duplice dinamica di rinvii, l’idea si

come atto d’essere, ossia d’esistere, e dunque exsistens, oppure nel senso

pone come indispensabile raccordo tra epistemologia e ontologia, si

di essenza (o natura) di una cosa esistente, intendendo ciò per cui la

comprende bene la centralità – e l’originalità – assegnata da David

cosa è ciò che è o, il che è lo stesso, ciò da cui derivano necessariamente

Clemenson alla modalità di trattazione che ad essa riserva Descartes e

le proprietà che determinano la cosa in quanto tale. Quando parliamo di

che, secondo il docente della St. Thomas University, può conciliare

ente reale, pertanto, ci riferiamo a un ente la cui essenza è del tutto

rappresentazionalismo e realismo diretto attraverso la dual presence theory.

indipendente dalle operazioni dell’intelletto, sicché l’ente reale ‘tavolo’ è

Prima di illustrarne il significato, trovo però opportuno riportare le

quell’essenza posta la quale deriva la proprietà di esistere in piena

definizioni di ‘rappresentazionalismo’ e ‘realismo diretto’, funzionali

autonomia dalle rappresentazioni mentali e in unione con tutte le altre

anche a giustificare la scelta del titolo del mio intervento. In

peculiarità che contraddistinguono l’‘essere un tavolo’, dall’immobilità al

Descartes’Theory of Ideas (Continuum 2007), il testo di riferimento di

risultare una superficie piana che poggia su quattro sostegni, e così via.

Clemenson, il ‘rappresentazionalismo’ designa la posizione per la quale

Come il tavolo, anche l’idea del tavolo, che sappiamo essere un ente non

nulla di ciò che immediatamente percepiamo esiste separato dall’atto

reale, possiede la sua essenza, ma si tratta di un’essenza che si colloca

con cui è percepito, e pensare e percepire, va precisato, hanno il

alle ultime propaggini della capacità comprensiva del concetto di ente,

medesimo significato in Descartes. Il realismo diretto asserisce, invece,

consistendo essa interamente nell’essere pensata. Mentre, quindi,

che almeno alcune delle percezioni che otteniamo immediatamente di

un’essenza reale – quella che gli Scolastici moderni denominavano esse in

qualcosa esistono indipendentemente dalla mente.

mundo – deve esistere e non può non esistere, un’essenza ideale può essere,

Clemenson muove dal carattere essenzialista della metafisica

ossia è fintanto che è pensata nella sua esistenza intenzionale, meritando

cartesiana, retaggio della formazione che Descartes ricevette presso il

così l’appellativo di ‘ente di ragione’: il quale è all’origine di un’ulteriore 16


Pensare la realtà

suddivisione che si rivelerà tra poco cruciale, quella tra ens rationis cum

che p esista intenzionalmente, a condizione però che tale esistenza

fundamento in re ed ens rationis sine fundamento in re.

soddisfi il requisito di dipendere interamente dalla mente, in quanto

Quest’ultimo è un’essenza intenzionale, o idea, senza il minimo

concepire anche una chimera nell’orizzonte del

pensabile è

ancoraggio alla realtà esterna, come suggerisce l’espressione sine

un’operazione legittima. Diviene invece più complesso asserire che ‘p è

fundamento in re, dunque non è da escludere che possa consistere anche in

esistente’ qualora l’essenza di p sia intenzionale e, allo stesso tempo,

un concetto autocontraddittorio come, per esempio, quello di chimera.

dotata di un fondamento in qualcosa che intenzionale non è. L’aggiunta

La chimera è in sé autocontradditoria perché riunisce proprietà

cum fundamento in re sortisce appunto l’effetto di porre, secondo l’essenza,

incompatibili con la loro presenza simultanea in un unico ente reale.

l’esistenza di un ens intenzionale come del tutto e non del tutto

Quanto invece all’ens rationis cum fundamento in re, desidero rinviarne

dipendente dall’agens di cui è actus. La contraddittorietà è solo apparente,

per il momento l’illustrazione per concentrarmi, piuttosto, sul

a patto di considerare con attenzione le distinzioni ontologiche

consolidamento delle nozioni finora richiamate: la centralità dell’ens in

tematizzate dagli Scolastici e sopravvissute, ancorché con variazioni, nei

quanto essenza, l’esistenza come elemento ontologicamente successivo

Principia cartesiani del 1644.

alla posizione dell’essenza e, dunque, modo d’essere dell’essenza stessa.

Ad un esame non superficiale dei testi di La Flèche, materiale di

Ne segue che dato un soggetto p, dire che p esiste significa, mettendo

riferimento privilegiato da Clemenson e valorizzato soprattutto negli

temporaneamente tra parentesi la qualifica di in o extra mentem, porre

elementi di continuità in Descartes, si intuisce come il concetto di

l’essenza di p necessariamente non contraddittoria con il fatto che p

distinzione si muova tra due estremi opposti, quello della realtà e quello

esista. Nella proposizione ‘p è esistente’, quindi, la copula ‘è’ che

della concettualità, senza tuttavia escludere gradi intermedi il cui

connette soggetto e predicato esprime l’attitudine dell’essenza di p ad

numero varia a seconda degli autori presi in considerazione. Distinguere

esistere. Nella medesima proposizione assumiamo che p sia un oggetto

in base all’essenza reale di una cosa, ad esempio del tavolo, presuppone

mentale, dunque abbia – o sia, è indifferente – un’esistenza intenzionale:

che si assegni alla cosa un’unità altrettanto reale e, come sappiamo, già

fino a questo punto, con gli opportuni caveat, non si pone il problema

implicata nella sua essenza al di fuori del nostro pensiero. In generale, si

17


Quaderni della Ginestra

può dire che p e q sono realmente distinti se e solo se p o q esistono

noi il pensiero espresso nella proposizione ‘p è esistente’, ma, per

senza alcun legame di dipendenza reciproca né, ovviamente, da una

quanto nella realtà p e la sua esistenza siano inscindibili, nulla vieta di

mente pensante. Al contrario, qualunque distinzione concettuale avviene

pensarli in reciproca autonomia, fermo restando che l’archetipo (qui in

per necessità all’interno della mens, ma anche in ambiti così eterogenei

senso non platonico) della suddetta proposizione rimanga esterno alla

vale in maniera uniforme un criterio tanto generale quanto

mente.

fondamentale, quello cioè che pone la discernibilità nel numero.

Specularmente, se la distinctio ex natura rei può definirsi come una

Immaginiamo a questo proposito Socrate e Platone da un lato, e l’idea

distinzione reale ampliata oltre i confini della realtà oggettuale in senso

di verde e di bianco dall’altro. L’unico tratto comune è costituito dal

stretto, anche la distinzione concettuale può proiettarsi al di fuori di un

raggruppamento, in entrambi i casi, di due unità numeriche.

orizzonte puramente mentale, e conservare la propria non-realtà seppur

Ho tuttavia accennato anche a gradi intermedi che, di fatto,

in unione con il reale extramentale. Questo modo di distinguere

giustificano l’ampliamento del discorso sul concetto di distinzione.

ricevette il nome di rationis ratiocinatae o, si noti bene, di cum fundamento in

Entro pertanto nel merito di due sotto-varietà contemplate nei manuali

re. Esaminando dunque da vicino questa espressione, come è possibile

dei Gesuiti e note a Descartes. Una prima è la distinzione ex natura rei,

che un’operazione – la distinctio, appunto – su essenze intenzionali

comprendente sia la distinzione reale tra essenze reali (gli enti Socrate e

rinvenga il suo fondamento nella realtà? Un esempio chiarificatore

Platone) sia un’altra tipologia di distinguo non interamente reale, vale a

proviene dalla teologia. Se Dio è concepito come semplice, ovvero se

dire la distinzione modale. La distinctio modalis dipende strettamente da

l’essenza dell’idea di Dio pone la semplicità, in che termini potrà dirsi

come un’essenza esterna alla mente è. Essa dipende dunque dai modi

giusto e misericordioso? Non è forse vero che la pluralità di questi

d’essere che necessariamente scaturiscono dalla sua posizione, come

attributi entra in conflitto con l’unità simplex del soggetto? Per evitare

quando poniamo ‘p è esistente’, ma ciò non toglie che possiamo pensare

che Dio si riduca ad un molteplice divisibile in se stesso e per

– muovendoci dunque su un piano non più esclusivamente reale – p e la

preservare, al contempo, la differenza qualitativa tra gli atti di giustizia e

sua esistenza come distinti. Altrimenti detto: dall’esistenza di p deriva in

di misericordia, occorre postulare un livello differente dall’ontologia di 18


Pensare la realtà

Dio, e precisamente il livello reale in cui si manifestano realmente giustizia e misericordia. In re, insomma, l’incompatibilità viene a cadere. Non solo quindi è legittimo parlare di una distinzione originariamente concettuale e cum fundamento nelle cose, ma la relazione che interviene tra mentale e reale appare ben lontana dallo snaturare o, peggio ancora, dall’esaurire un ambito nell’altro. In conclusione, come ho anticipato poco fa, la distinzione tra due enti cum fundamento in re non è totalmente dipendente dalla mente ancorché da essa tragga origine. Tenendo allora ferma la tripartizione scolastica che include la distinzione reale, cum fundamento in re e quella puramente concettuale, nei Principia cartesiani del 1644 si nota, pur con le debite variazioni, che la seconda tipologia appena evocata è stata parzialmente respinta dall’autore e, in certa misura, conservata, incorporata sotto la semplice dicitura di ‘distinzione razionale’. In fondo, non si tratta forse di un caso di sinonimia con ‘concettuale’, al punto da rendere irriconoscibile il fundamentum in re? A prima vista la risposta risulta affermativa: Descartes prende in esame l’idea di triangolo e ne scinde essenza ed esistenza, riconducendo tale operazione alla concettualità. Tuttavia apprendiamo subito che quella distinzione è reale in senso lato, ossia nasce come ente di ragione ma non perde l’aggancio con qualcosa di indipendente dalla ANDREA MARCHE SE , INDIVIDUI

ccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccc 19

mente, vale a dire con una porzione di spazio delimitata da tre lati circa


Quaderni della Ginestra

la quale non è contraddittorio ideare, in senso cartesiano, un’essenza e

può

allora

riscontrare

in

Descartes

la

compresenza

di

un’esistenza separate.

rappresentazionalismo e realismo diretto nelle loro versioni deboli e più

Se le cose stanno così, il principio generalissimo di numerabilità

agevolmente conciliabili: il filosofo francese è rappresentazionalista nel

applicabile indifferentemente a res esterne o a idee finisce per incrinarsi.

momento in cui formula la tesi che l’oggetto immediatamente percepito

Infatti, combinando l’essenza intenzionale delle rappresentazioni

sia qualcosa di dipendente dalla mente, mentre il suo realismo diretto

mentali con la possibilità di distinguerle cum fundamento in re risulta che la

lascia aperto un margine di indipendenza dalla mente, il che significa che

cosa rappresentata nell’idea è in primis un oggetto della mente, ma

l’idea, lungi dal dischiudere scenari solipsistici, riacquista il rilievo

simultaneamente possiede un esse reale. Il tavolo è percepibile, pensabile,

assegnatole da Descartes in tutta la sua opera e ci permette di

ma al contempo esiste realmente distinto dall’idea in cui è pensato

riformulare il mind-body problem come, in primo luogo, l’idea di un’unione

benché, numericamente, identico ad essa. In ogni istante, secondo

nella quale sono distinguibili mente e corpo ma che nella realtà,

Descartes, una cosa può avere un modo di essere reale o intenzionale –

nell’ontologia dei realia, si mantiene intatta.

o ambedue – senza contraddizione. L’esistenza esterna del tavolo non è

Intendo, a questo punto, abbandonare il piano teoretico delle

dunque il tavolo intenzionato, bensì il fundamentum in re che sospende la

argomentazioni prodotte da Clemenson per soffermarmi, invece, sulla

validità della rigida differenziazione numerica e fa di due tavoli – quello

parte iniziale della corrispondenza epistolare tra Descartes e la

reale e quello rappresentato – un unico tavolo nella rappresentazione.

principessa Elisabetta di Boemia. Cronologicamente faccio riferimento

La tesi della presenza duale enunciata da Clemenson, e che ho voluto ricostruire partendo dai concetti di ‘essenza’ e ‘distinzione’, sostiene

al 1643, ad un periodo intermedio tra le Meditazioni (1640) e i Principia (1644).

appunto che realtà e intenzionalità sono due modi d’essere di una stessa

Dapprima Elisabetta invita Descartes a chiarire lo status quaestionis

essenza che implicano identità numerica, per quanto l’essere-presente

della relazione mente-corpo. Nonostante lo sforzo compiuto per

del rappresentante (l’idea) nella mente rimanga radicalmente altro

delucidarlo, il filosofo è costretto a dichiarare la natura aporetica,

dall’essere-presente del rappresentato (la cosa) nella realtà. Clemenson

intrinsecamente complessa, del problema. Poco tempo prima, nella sesta 20


Pensare la realtà

Meditazione, egli si era pronunciato in maniera più scoperta, asserendo –

congiunta in una modalità del tutto particolare perché è coestesa al corpo,

senza troppo problematizzarlo – che mente e corpo sono insieme uniti

ovvero è diffusa in modo uniforme attraverso la totalità del corpo

e distinti, e nelle Risposte alle Quarte Obiezioni questa convinzione aveva

pesante. Descartes propone a Elisabetta di immaginare la mente in

trovato forma argomentativa nella nozione di un’unità sostanziale reale,

analogia con la gravità, sicché, al modo in cui la forza si esercita sul

tale da rendersi presente alla mente come il concetto chiaro e distinto di

grave, anche la mente provocherebbe realmente movimenti nel corpo

una sostanza completa.

ancorché non in maniera meccanica. Tuttavia, data la realtà di queste

Con atteggiamento pedagogico, Descartes sceglie di introdurre

azioni, lo statuto della mente si avvicinerebbe pericolosamente a quello

gradualmente Elisabetta nel nucleo del problema e accoglie le sue

di una qualità del corpo, una caratterizzazione inaccettabile per

perplessità: anzitutto, come porre attenzione all’ordre des raisons,

Descartes e puntualmente contraddetta, infatti, da altri riferimenti

all’ordine speculativo, senza perdere di vista il sensibile, senza cioè

testuali. Nelle Risposte alle Quinte Obiezioni la mens è contraddistinta dalla

sacrificare l’unione quale, originariamente, ci viene notificata dai sensi?

pura inestensione, e similmente si esprimono i Principia là dove, rigettata

In secondo luogo, Descartes rivela alla principessa che è connaturato

la coestensione, emerge l’esperienza sensibile in quanto evidenza

all’intelletto il limite che impedisce di comprendere l’unione di due

dell’unione di res cogitans e res extensa e della stretta congiunzione tra le

sostanze separate. Se questa vexata quaestio, per sua natura, non è

due sostanze addirittura alla maniera aristotelica, ossia attraverso

traducibile in termini più perspicui, può allora essere utile – in armonia

un’informazione dell’una ad opera dell’altra.

con le finalità pedagogiche del carteggio – far ricorso ad una

Come motivare, pertanto, queste oscillazioni nella descrizione

similitudine. Il filosofo, infatti, ricorda a Elisabetta di aver fornito, alla

dell’unione di mente e corpo? Esiste, al di là delle polemiche contingenti

fine delle Risposte alle Seste Obiezioni, una concezione della gravità –

che certo influirono sulle Risposte e sui Principia, così come al di là dei

altrove attribuita agli Scolastici – incardinata su tre assunti: 1. la gravità

tentativi di soddisfare la curiosità di Elisabetta, un elemento invariante

del corpo ne causa il movimento ma non meccanicamente; 2. la gravità

che si possa ricollegare alla centralità dell’idea enfatizzata da Clemenson

del corpo è una qualità reale del corpo; 3. la gravità del corpo è ad esso

e al fatto che in un’idea si dia una distinzione numericamente non altra dalla

21


Quaderni della Ginestra

cosa unitaria in essa rappresentata? La risposta viene da sé: Elisabetta fatica a comprendere l’unità perché non la pensa come idea originaria, sicché costringe il pensiero di Descartes, per così dire, ad un movimento innaturale, ossia al dedurre qualcosa di originario – l’unione, appunto, che si dà per prima – muovendo dalle parti – mente e corpo – di cui essa consta e accentuandone le rispettive differenze. È questa la via al dualismo,

1

R. GOCLENIUS, Lexicon Philosophicum, 1613, p. 209. «Quam Graeci Ideam, Latini Exemplar appellant, quae nihil aliud est quam imago seu species expressa rei faciendae in mente artificis. Est igitur idea seu exemplar hoco loco phantasma seu phantasiae opus quoddam in artifice cui opus externum conformatur. Sicque in artifice quatenus est artifex, duo sunt interna operandi principia, nempe ars in mente seu ratione, et idea seu exemplar in phantasia. Ars quidem habitus, idea vero actus seu expressus quidam animi conceptus est». EUSTA CHE DE SAINT-P AUL, Summa Philosophica Quadripartita, III, disp. I, quaest. III. 2

etichetta affibbiata alla filosofia di Descartes già dai contemporanei e radicatasi poi in un autentico pregiudizio giunto fino ai giorni nostri. Per la dual presence theory, di contro, l’idea dell’unione è numericamente identica a come l’unione è in realtà, ed anticipa qualunque divisione successiva. Come è impossibile pensare essenza ed esistenza del triangolo senza fondamento in quella porzione di spazio reale la cui somma degli angoli interni è pari a 180°, così è altrettanto improbabile che dalle nozioni astratte di mente e corpo si giunga all’unità dell’individuo. Non solo le percezioni sensibili e la conoscenza, ma anche le passioni, l’amore, l’odio, attestano che il pensare la nostra realtà passa necessariamente attraverso il nostro essere nella realtà come enti indivisi.

GIACOMO MIRANDA 22


Pensare la realtà

SULLA REALTÀ DELLE PROPRIETÀ ESTETICHE: UN ’INCURSIONE NEL DIBATTITO ANALITICO

Q

In tale definizione si sovrappongono questioni molto diverse, che vengono affrontate in modo specifico da altre discipline, come

uando si afferma la bellezza, l’eleganza o la malinconia di un

l’ontologia o la filosofia dell’arte, la filosofia della percezione, la critica

oggetto, lo si qualifica in termini che sembrano sfuggire alla

d’arte. Seguendo la prospettiva di Eddy Zemach in Real Beauty (1997),

percezione ordinaria. Con che tipo di proprietà abbiamo a che fare?

restringeremo in quanto segue il dominio dell’estetica allo ‘studio del

Prendendo le mosse dalla posizione di Eddy Zemach, si cercherà di

bello nelle sue varie forme’, escludendo questioni più generali sulla

comprendere potenzialità e limiti esplicativi di una teoria realista delle

natura delle nostre percezioni, nonché questioni più specifiche sulla

proprietà estetiche.

natura dell’opera d’arte. Com’è noto, l’interesse della filosofia di tradizione analitica per

Premessa

questioni di natura estetica è relativamente recente – anche a causa della diffidenza, di stampo neopositivistico, per la nozione di ‘bello’.

L’uso del termine ‘estetico’ è di per sé problematico. La stessa

Distinguendo

tra

discorso

dichiarativo

e

non-dichiarativo,

il

disciplina ‘estetica’ include una tale quantità di questioni da rendere

neopositivismo include gli enunciati estetici nel discorso non-

difficile delimitarne con chiarezza i confini. Nella sua costitutiva

dichiarativo: in quanto non verificabili, le proposizioni dell’estetica sono

polisemanticità, l’estetica è di fatto caratterizzabile come

ritenute prive di valore conoscitivo e, quindi, di interesse filosofico. Definire qualcosa come ‘bello’ ha dunque a lungo significato

scienza della sensibilità, studio del bello nelle sue varie forme, teoria dell’arte, punto di raccordo dei caratteri sensuali di poetica e retorica, la disciplina in cui si confrontano quei poteri dell’uomo che, come l’immaginazione, costruiscono rappresentazioni extralogiche 1.

abbandonare il terreno del dibattito razionale per addentrarsi in un campo privo di riferimenti chiari e condivisi. Il realismo estetico, come vedremo, è tuttavia in grado di soddisfare il paradigma neopositivistico: i nostri giudizi estetici sono corretti (o scorretti) nella misura in cui si riferiscono (o meno) aproprietà estetiche

23


Quaderni della Ginestra

‘bello’. È la direzione oggettuale implicita nella seconda questione a interessarci ora. Possiamo riconoscere, nell’oggetto, qualcosa che ci consenta di qualificarlo come ‘bello’? Qualcosa come proprietà estetiche specifiche, di cui andrà indagata la natura e la relazione con le proprietà non-estetiche. Nella sua Critica della facoltà di giudizio (1790), Kant fa riferimento alla possibilità di considerare il bello proprietà reale delle cose. Quando qualcuno mette un oggetto su un piedistallo, e lo chiama bello, […] non giudica meramente per se stesso, ma per tutti, e parla della bellezza come se fosse una proprietà delle cose. Dice quindi che è la cosa in questione ad essere bella2. MATTEO CETTERELLI , ABBANDONATO ALLA REALTÀ

indipendenti dalla mente [mind-independent] di chi le percepisce. La

Proviamo ora a valutare le implicazioni di un’eventuale eliminazione del

bellezza è una qualità reale delle cose, che compare nell’inventario di ciò

«come se» kantiano, considerando la possibilità che le proprietà estetiche

che compone il mondo.

costituiscano effettivamente caratteristiche reali dell’oggetto.

Una volta ristretta la nozione di estetica all’analisi di ciò che definiamo ‘bello’, si tratta di chiarire a quali condizioni si possa parlare

Descrivere il reale. “Real Beauty”

di ‘bellezza’ di un oggetto. Una risposta a questo interrogativo implica due tipi di considerazioni, relativamente all’esperienza in base alla quale

Per proprietà estetiche di un oggetto intendiamo non solo il suo

definisco ‘bello’ un oggetto x, e relativamente all’oggetto x che definisco

essere ‘bello’ o ‘brutto’, ma anche il suo essere ‘elegante’, ‘raffinato’,

24


Pensare la realtà

‘drammatico’, ‘sgargiante’, ‘sciatto’, proprietà che si ritengono oggetto di

Nel fondare il proprio realismo estetico, Zemach prende le mosse dalla

un’esperienza emozionale da parte del soggetto.

seguente obiezione antirealista: è un dato di fatto che sia molto più

Ciò che ora ci interessa valutare è la possibilità di un realismo delle

facile trovarci d’accordo sul fatto che x è rosso, piuttosto che sul fatto

proprietà estetiche così come è sostenuto da Eddy Zemach nel suo Real

che x è elegante. Proprio contro questa presunta ovvietà argomenta

Beauty (1997). Qui Zemach non prende posizione per il realismo delle

Zemach. Quando osserviamo qualcosa, afferma, l’osservazione avviene

proprietà in generale: intende piuttosto sostenere che, se ammettiamo

in una serie di condizioni standard che rendono attendibile

l’esistenza di un qualsiasi tipo di proprietà, primarie o secondarie che

l’osservazione. Ciò vale tanto per le proprietà secondarie di un oggetto

siano, allora dovremo ammettere anche l’esistenza di proprietà estetiche.

(il colore varia al variare delle condizioni di luce) che per quelle primarie

L’assunto di fondo è che non vi sia differenza tra il definire un oggetto

(si pensi alla misurazione di una distanza, in cui è ugualmente necessario

x blu e il definirlo bello. Le proprietà estetiche ‘grazioso’, ‘orribile’,

tener conto di specifici standard – per esempio, che il sistema di

‘vistoso’, ‘sgargiante’, sono qualità reali delle cose, al pari del loro essere

riferimento sia in quiete). In questo senso, le proprietà estetiche non

grandi o piccole, rosse o blu, oneste o disoneste.

hanno nulla di diverso da qualsiasi altra proprietà osservabile: qualcosa

Nella loro specificità, le proprietà estetiche non sono riducibili a proprietà psicologiche o fisiche di altro tipo: in effetti, il tentativo

di bello può comunque apparire orribile se osservato in condizioni nonstandard.

riduzionistico di spiegare i termini estetici ricorderebbe «la speranza

Se l’attribuzione di una proprietà dipende dalle condizioni in cui

materialistica di spiegare l’azione senza un apparato di credenze e

l’osservazione avviene, diventa necessario chiarire in base a cosa sia

desideri»3. La scienza non può spiegare in alcun modo le nostre

possibile definire le condizioni ‘standard’ di osservazione. Nel caso dei

osservazioni estetiche; nessuna analisi neuronale ci consente di spiegare

colori chiunque è in grado di stabilire le condizioni standard che

come il delicato si distingua dallo sgargiante4.

consentono di vedere qualcosa come rosso: è necessaria la luce del

L’interrogativo di partenza è il seguente: l’enunciato estetico descrive

giorno, normali condizioni psicofisiche, l’assenza di fattori che possano

5

alterare l’osservazione. Più complicato, invece, è individuare le

uno stato di cose? È oggettivamente vero? Se sì, cosa lo rende vero? 25


Quaderni della Ginestra

condizioni standard dell’osservazione in ambito estetico. Si prenda: -

una persona che indica una farfalla, mentre l’esperto la definisce ‘falena’;

-

la persona comune che sente il suono di una chitarra, mentre l’esperto riconosce un liuto;

-

un uomo che dice «metto la maglietta rossa», e la compagna che risponde: intendi quella magenta?6

-

Nel suo lavoro l’artista sfida lo stile manierista prevalente nella sua epoca, realizzando i suoi dipinti in modo ruvido, omettendo i dettagli, e ottenendo così un effetto drammatico sorprendente 9.

Manierismi, ruvidezza del tratto, risultati drammatici sono proprietà estetiche riscontrate dall’autrice – ed è qui il suo prestigio, la sua affidabilità, la sua capacità di giustificare le proprie asserzioni a convincerci della correttezza del suo giudizio. È la comunità di esperti a

uno spettatore che definisce una scena teatrale ‘espressiva’,

garantire la veridicità del discorso estetico. In questo senso, grazie al

mentre il critico lo corregge affermando: non è una scena

lavoro degli esperti di riferimento, ogni teoria estetica risulta adeguata o

7

espressiva, è una scena ‘istrionica’ .

inadeguata, suscettibile di controllo, perfino empiricamente verificabile.

Riprendendo tesi classiche humeane 8, ciò che emerge da questi

Può tornarci utile un esempio proposto da Zemach stesso: si prenda

esempi è la presenza di esperti a definire le condizioni di correttezza di

un adolescente appassionato di musica rock che ascolta un brano di

un’osservazione. Che si parli di farfalle, strumenti musicali, colori o

Bach senza apprezzarlo. Si potrebbe interpretare il non apprezzamento

spettacoli teatrali, in ciascuno di questi casi si danno personalità dotate

di Bach come prova del fatto che Bach sia noioso. Oppure si potrebbe

di peculiare sensibilità, in grado di stabilire gli standard osservativi in

affermare

questione. Cosa renda un esperto tale, è questione che Zemach non

culturali/concettuali per apprezzarlo, né una sensibilità educata in tal

affronta. Intuiamo tuttavia la duplice abilità dell’esperto, caratterizzato

senso. Qui Zemach è incline a ritenere adeguata la seconda ipotesi, dove

da un lato da una maggiore ‘sensibilità’ al bello, dall’altro da una più

le condizioni standard di osservazione per la valutazione di Bach sono

approfondita conoscenza della materia in oggetto. Si prenda una

fissate non da un adolescente appassionato di musica rock ma da critici

qualsiasi citazione tratta da un testo accademico di storia dell’arte:

musicali professionisti. In effetti, una teoria musicale che definisca Bach

che

l’adolescente

non

ha

(ancora)

gli

strumenti

26


Pensare la realtà

noioso non sarà in grado di spiegare moltissime cose: perché musicisti

coerente (internamente e rispetto ad altre teorie); più semplice; con

nei secoli si ostinino a suonare brani di Bach, perché compositori

maggiore potere esplicativo. La teoria migliore – coerente, semplice,

successivi si siano confrontati con le sue opere, etc.. Certo è possibile

potente, elegante – deve, in una parola, essere ‘bella’! Scegliere una

sostenere che tutto il mondo della musica sia vittima di un’illusione ma,

qualsiasi teoria scientifica significa impegnarsi sul fronte estetico, e

se così fosse, la pazzia dei critici si manifesterebbe probabilmente anche

ammettere la bellezza della teoria in questione10.

in altro modo, e non solo nel loro apprezzare Bach. Una teoria che,

D’altra parte, sostenere la bellezza di una teoria ancora non significa

invece, prenda come condizioni standard per l’osservazione in ambito

trovare la bellezza nel mondo, nelle cose. La realtà nell’oggetto delle

musicale le condizioni sotto le quali le composizioni di Bach risultano

proprietà estetiche non è stata ancora dimostrata. Possiamo anche

esteticamente belle, avrà particolare potere predittivo: spiegherà i legami

desiderare e costruire una teoria scientifica coerente, semplice ed

tra Bach e i suoi predecessori e successori; potrà dar conto di fenomeni

elegante: ma cosa succede se invece il mondo, in sé, non è affatto

storici e sociologici.

altrettanto coerente, semplice ed elegante? In altre parole, cosa ce ne

Preferire una teoria estetica ad un’altra non è dunque arbitrario. Ma

facciamo di una teoria bella se il nostro mondo è in realtà molto brutto?

questo ancora non significa aver dimostrato l’esistenza delle proprietà

Un bel modello può essere altamente esplicativo ed elegante, ma può

estetiche.

essere falso. Può un realista metafisico verificare che le cose nella realtà hanno davvero proprietà estetiche?

Il punto di vista ontologico. Le proprietà estetiche esistono?

E Zemach risponde che sì, il mondo deve di fatto avere proprietà estetiche: si può dubitare dell’esistenza di elettroni, quark, neutrini, e di

Al realista scientifico, per il quale esistono soltanto le proprietà

qualsiasi entità postulata dalla scienza, ma non si può dubitare

stabilite da una certa teoria scientifica, Zemach propone la seguente

dell’esistenza di proprietà estetiche, di cui abbiamo una conoscenza

argomentazione in difesa della realtà delle proprietà estetiche. Il realista

immediata, evidente, indubitabile11. Per il solo fatto di avere una certa

scientifico, di fronte a due teorie rivali, sceglie (con Quine) quella più

struttura, il mondo ha necessariamente un certo aspetto e, quindi, certe

27


Quaderni della Ginestra

proprietà estetiche – che sono assai meno problematiche delle sue

mondo ci restituisca il mondo così com’è, «noumenicamente»

proprietà geometriche, di proprietà come ‘centrale’ o ‘sferico’ che si modificano a seconda del tipo di spazio newtoniano/riemanniano

Il realismo ingenuo non è un’opzione attuale in metafisica. Sappiamo

considerato. Possiamo allora fidarci delle nostre credenze estetiche

che il sistema dei sensi umani è attivato solo da pochissime delle

molto più che delle nostre conoscenze scientifiche, perché basate sulla

caratteristiche fisiche del nostro ambiente. […] Credere, come fanno i

percezione delle proprietà estetiche presenti nel mondo. Ciò non significa del resto avventurarsi in una nuova forma di

realisti ingenui, che l’immagine che ha l’uomo della natura sia una replica precisa del mondo così come è in sé, è piuttosto irragionevole12.

realismo ingenuo: non possiamo pensare che il nostro osservare il

Osservazioni Emergono alcuni evidenti punti di forza di una teoria realista delle proprietà estetiche. Innanzitutto le potenzialità contro posizioni relativistiche. Che ‘sul gusto non si possa discutere’ è un’affermazione di senso comune che il realista può agevolmente confutare, nel momento in cui l’esistenza di proprietà estetiche consente di formulare valutazioni appropriate e verificabili. D’altro canto, il riferimento di Zemach all’esigenza di fissare condizioni standard di osservazione e di individuare una comunità di esperti di riferimento cui affidarsi nella valutazione estetica, mette in luce come neppure il realista delle proprietà possa sottrarsi alla necessità MATTEO CETTERELLI , 3 LONG S HADOWS

di addurre ragioni a sostegno delle proprie affermazioni. In questo

28


Pensare la realtà

senso, anche in ambito di realismo estetico si assiste all’apertura di un

giudizio estetico, individuo un criterio per stabilire quali valutazioni

orizzonte pragmatico, di uno spazio intersoggettivo di confronto

sono corrette e quali non lo sono. D’altra parte, di nuovo non è

razionale, in cui si richiede giustificazione per qualsiasi enunciato

necessario fare riferimento a proprietà estetiche reali per poter

espresso, scientifico, etico o estetico che sia. È nella comunità di esperti,

ammettere la possibilità di un controllo razionale intersoggettivo dei

quindi in un contesto di interazione sociale, che possiamo trovare la

nostri enunciati estetici: affermare che un oggetto è ‘bello’ o ‘delicato’ o

ragione ultima a giustificazione della scelta di una certa teoria estetica.

‘sgargiante’ non è comunque isolabile dal più ampio contesto delle

Come poi gli esperti arrivino a giudicare della bellezza di un oggetto è

relazioni umane, delle forme di vita in cui l’enunciato estetico viene

un’altra questione, non necessariamente da risolversi attraverso il ricorso

formulato. Nel momento in cui si apre un orizzonte pragmatico entro

alle proprietà estetiche. La proprietà ‘bello’ è nell’oggetto, direbbe

cui collocare il discorso estetico, postulare l’esistenza di proprietà

Zemach, ma talvolta è necessario affidarsi a degli esperti per cogliere la

estetiche diventa superfluo per il raggiungimento di un accordo

bellezza in questione. In ultima istanza, anche all’interno di una

valutativo intersoggettivo. Affermare che «x è bello» richiede comunque

prospettiva realista, che un oggetto sia bello o meno è deciso all’interno

un dare ragione del proprio enunciato rispetto ad altre caratteristiche

di un contesto di pratiche intersoggettive condivise, consolidate dal

dell’oggetto o ad altre pratiche sociali e culturali, a prescindere da

confronto razionale.

considerazioni ontologiche sull’esistenza o meno delle proprietà

L’ambito estetico si

sottrae di

conseguenza

all’irrazionalità

estetiche. Un oggetto può essere percettivamente ‘bello’, ‘mostruoso’,

attribuitogli dalla tradizione neopositivistica, che definiva gli enunciati

‘elegante’, ma in caso di conflitto valutativo non è nell’oggetto che

dell’estetica (così come quelli dell’etica) ‘pseudo-enunciati’, in quanto

troviamo la soluzione alle nostre diatribe, bensì nel contesto più ampio

non suscettibili di verificabilità empirica. Definire la bellezza, così come

del confronto pratico, in cui si forniscono ragioni a sostegno delle

qualsiasi proprietà estetica, reale proprietà dell’oggetto indipendente

proprie posizioni.

dalla mente di chi la percepisce, consente di dar conto della normatività dei giudizi estetici: se c’è qualcosa nel mondo che rende vero il mio 29

CRISTINA TRAVANINI


Quaderni della Ginestra

1

E. Franzini, Estetica, Bruno Mondadori, Milano 2010, p. xv. I. Kant, Kritik der Urteilskraft, 1790; tr. it., Critica del giudizio, Laterza, Roma-Bari 1984, p. 89. 3 E. Zemach, Real Beauty, Pennsylvania State University Press, University Park 1997, p. 97. 4Esclusa l´ipotesi riduzionistica, resta tuttavia aperta la possibilità di una ‘sopravvenienza’ delle proprietà estetiche rispetto a proprietà fisiche: le proprietà estetiche ‘sopravverrebbero’ sulla struttura fisica del mondo, quali «modi di apparire di ordine superiore che dipendono da modi di apparire di ordine inferiore, a cui tuttavia non sono riducibili» (J. Levinson, “Aesthetic Supervenience” (1983), ristampato in J. Levinson, Music, Art and Metaphysics: Essays in Philosophical Aesthetics, Cornell University Press, Ithaca (NY) 1990, p. 146). In questo senso, due oggetti strutturalmente e contestualmente identici non potrebbero differire per qualità estetiche. 5 E. Zemach, Real Beauty, cit., p. xi. 6 Non commenteremo qui la banalità dello stereotipo per cui la donna si suppone più sensibile dell’uomo al colore. 7 Cfr. E. Zemach, Real Beauty, cit., p. 55. 8 D. Hume, “Of the Standard of Taste”, 1757; tr. it., La regola del gusto, Abscondita, Milano 2006. 9 E. Zemach, Real Beauty, cit., p. 56. 10 Cfr. E. Zemach, Real Beauty, cit., p. 68. 11 Ibidem, p. 67. 12 E. Zemach, Real Beauty, cit., p. 53. 2

Riferimenti bibliografici P. D’Angelo, a cura di, Introduzione all’estetica analitica, Laterza, RomaBari 2008. E. Franzini, Estetica, Bruno Mondadori, Milano 2010. D. Hume, “Of the Standard of Taste”, 1757; tr. it., La regola del gusto, Abscondita, Milano 2006. I. Kant, Kritik der Urteilskraft, 1790; tr. it., Critica del giudizio, Laterza, Roma-Bari 1984. J. Levinson, “Aesthetic Supervenience” (1983), ristampato in J. Levinson, Music, Art and Metaphysics: Essays in Philosophical Aesthetics, Cornell University Press, Ithaca (NY) 1990, pp. 134-158. J. Levinson, “What are Aesthetic Properties?”, in Proceedings of the Aristotelian Society, suppl. 78, 2005, pp. 211-227; tr. it. “Cosa sono le proprietà estetiche?”, in J. Levinson, Arte, critica e storia. Saggi di ontologia analitica, a cura di F. Desideri, F. Focosi, Aesthetica, Palermo 2011, pp. 149-162. S. Velotti, La filosofia e le arti. Sentire, pensare, immaginare, Laterza, Roma-Bari 2012. N. Zangwill, The Metaphysics of Beauty, Cornell University Press, Ithaca (NY) 2001. E. Zemach, Real Beauty, Pennsylvania State University Press, University Park 1997 .

30


Pensare la realtà

LA STRUTTURA DELLA COMPRESENTAZIONE NELLA FENOMENOLOGIA HUSSERLIANA

I

cela in sé un “invisibile radicale” che non è un non-ancora-visto, ma espressione di un’impossibilità di pienezza totale, di percezione totale.

n che modo la fenomenologia pensa la realtà? Che cosa vuole e può

La fenomenologia, husserliana e non, è talmente votata alla ricerca della

dirci sulla realtà la fenomenologia husserliana a quasi cent’anni dalla

complessità e della ricchezza del reale, che, potremmo dire, il suo

1

pubblicazione di Idee I? La fenomenologia è davvero una ‘truffa’ , come

principale compito è proprio, ripartendo dall’epochè, quello di riscoprire

sostiene la protagonista de L’eleganza del riccio di Muriel Barbery? È «un

tutto l’infinito campo di ricchezza e di stratificazioni che la realtà stessa

solitario e infinito monologo della coscienza con sé stessa, un autismo

ci propone, in una dinamica che in molti modi può essere interpretata,

duro e puro che nessun vero gatto andrà mai ad importunare» 2?

ma di certo non come ‘autistica’.

Modo efficace per ripensare il modo in cui la fenomenologia

Come dicevamo, le riflessioni di Merleu-Ponty sono in realtà una

interpreta la realtà potrebbe essere focalizzare l’attenzione su una delle

rivisitazione e un ampliamento del modo in cui Husserl stesso intense il

fondamentali strutture che Husserl mette in campo quando si tratta di

processo percettivo, sempre destinato ad una pienezza relativa, dinamica

rivolgersi alla realtà, e cioè quella della com-presentazione, del continuo

e mai conclusa. Questa concezione attraversa immutata l’intero sviluppo

procedere attraverso quelli che Husserl stesso definisce ‘orizzonti’.

della fenomenologia husserliana e sembra anzi radicalizzarsi sempre di

Questa ‘struttura’, ripresa da Heidegger e Gadamer, è stata

più, come si mostra ad esempio in Idee II, in cui la determinazione

particolarmente evidenziata da Merleau-Ponty nel volume postumo del

dell’oggetto appare come un vero e proprio concetto limite, poiché, in

1964 Il visibile e l’invisibile, nel quale il filosofo sviluppa proprio il

definitiva, dice Husserl, «la percezione della cosa non è un’esperienza

concetto di ‘orizzonte’, e cioè quello di una coesistenza di visibile e

che ci informi esaustivamente sulla cosa» 3, essa è un continuo riattivarsi

invisibile così strutturale, tanto da dover in definitiva riconoscere che

di

l’essere del mondo, della realtà non si mostra mai all’uomo nella sua

all’apprensione stessa della cosa, senza ricevere la nostra esplicita

pienezza, ma si sottrae costantemente alla trasparenza totale. La nostra

attenzione. Il progresso dell’esperienza è allora per Husserl “un

esperienza ha un limite costitutivo: essa è strutturalmente prospettica e

riempimento di motivazioni già presenti, le quali semplicemente si

31

orizzonti,

che

avevano

magari

passivamente

contribuito


Quaderni della Ginestra

arricchiscono e si delimitano nella loro unità di senso”4 e questo

attraverso il concetto di compresentazione Husserl metta in forma

processo è, in via di principio, incrementabile all’infinito ed esclude la

l’intuizione per la quale la percezione procede sempre attraverso

possibilità reale di una datità in originale adeguata della cosa, come

orizzonti che non possono mai essere saturati. Noi non percepiamo mai

sottolinea ad esempio Rudolf Bernet 5. Come Husserl stesso ricorda

qualcosa in modo completo, ma di una cosa abbiamo sempre una parte

6

percepita in modo chiaro e distinto, sulla quale si focalizza la nostra

possibili e indeterminati di scoperta, tanto che si può addirittura arrivare

attenzione attiva, e una parte tendenzialmente infinita di rinvii,

a dire che «la cosa è propriamente ciò che nessuno ha mai visto

associazioni, orizzonti, che sono sempre co-fungenti nella percezione a

realmente, perché è continuamente in movimento, continuamente e per

livello più o meno passivo e che possono essere in ogni momento

chiunque; per la coscienza, è l’unità della molteplicità aperta e infinita

riattivati e condotti all’attenzione percettiva. Qualsiasi percezione si

delle mutevoli esperienze proprie e altrui e delle cose dell’esperienza»7.

delinea sempre allora appunto come una compresentazione, e cioè come

nella Crisi, nella conoscenza della cosa restano sempre orizzonti

Questo

carattere

costitutivamente

infinito

della

percezione

una Verschmelzung tra un presente percettivo e un complesso gioco di

husserliana ci sembra trovi massima espressione attraverso la

elementi com-presenti: la Wahrnehmung è sempre anche un Mit-

definizione della Appräsentation o Kompräsentation, “struttura percettiva”

Wahrnehmen.

attraverso la quale emerge il senso più profondo della percezione

La struttura della com-presentazione viene applicata da Husserl in

husserliana, e, più in generale, del modo stesso in cui la fenomenologia

primis in riferimento alla costituzione cosale, la quale procede sempre in

husserliana si rivolge alla realtà, in una continua tensione verso la

una compenetrazione di elementi presentati direttamente alla nostra

valorizzazione della complessità e multiformità del reale attraverso

attenzione e di elementi invece solo appresentati, che emergono

infiniti rinvii e associazioni.

dall’infinito possibile insieme di orizzonti e possono sempre essere

La struttura percettiva della compresentazione è stata ampiamente

condotti successivamente a presentazione. Il soggetto è così sempre

analizzata ad esempio da Elmar Holenstein in Phänomenologie der

immerso tra le cose del mondo circostante e viene sollecitato prima di

Assoziation, volume nel quale viene messo in luce come proprio

tutto a livello passivo, quindi prima della vera e propria relazione 32


Pensare la realtà

riporta l’attenzione sulla natura quasi contraddittoria della natura della percezione del nostro stesso corpo, che, nonostante sia di sicuro, per così dire, l’oggetto percettivo a noi più prossimo, risulta anche ciò su cui abbiamo un punto di vista più limitato; noi infatti non possiamo mai allontanarci dal nostro corpo e, anche mettendo in funzione tutte le nostre capacità sensoriali, non solo visive, ma anche tattili, non abbiamo mai una percezione completa del nostro corpo: il nostro stesso corpo vivo si forma per noi sempre attraverso una compresenza di ciò che è percepito in modo originale e di ciò che invece non lo è. In secondo luogo,

come

sottolinea

ad

esempio

Holenstein 8,

si

la

compenetrazione relativa alle possibilità di differenti campi sensoriali: il campo tattile, quello visivo, quello relativo alle sensazioni di calore non sono semplicemente insieme, ma funzionano in modo armonico MARTINA TAMBASSI, TOUGH

proprio attraverso una funzione di compresentazione. Si deve infine

frontale e oggettivizzante: prima della datità nella sua pienezza, prima

ricordare l’approfondimento husserliano relativo alla questione degli

dell’esperienza piena di una singola cosa, il soggetto risulta

impulsi; ad esempio nelle ultime pagine di Idee II 9, Husserl chiarisce che

continuamente affetto da una pre-datità passiva, da un orizzonte di cose.

la soggettività umana non è affatto un monolito, ma è altamente

La struttura della com-presenza non viene però applicata da Husserl

stratificata, tanto che l’io spirituale, l’io libero e razionale trova sempre

solo alla costituzione cosale, bensì ad esempio anche alla percezione del

un fondamento imprescindibile in una ‘base oscura’ 10, individuata nella

nostro stesso corpo e ciò almeno in un triplice senso. Prima di tutto

sfera sensibile delle associazioni, persistenze, tendenze, pulsioni,

bisogna infatti ricordare che sono molte le occasioni in cui Husserl

sentimenti in quanto stimoli, che l’uomo condividerebbe con l’animale

33


Quaderni della Ginestra

come una sorta di comune e basilare psichicità sensibile: anche il livello

dell’altro (Fremderfahrung) che il concetto di appresenza o compresenza si

della corporeità psico-fisica, nel quale il nostro corpo materiale e la

radicalizza, venendo a connotare in modo strutturale la percezione

nostra psichicità si fondono in modo indissociabile, si mostra così come

dell’alterità. Come Husserl chiarisce infatti nelle Meditazioni Cartesiane, in

strutturalmente caratterizzato dalla compresenza, in quanto la sfera degli

chiara polemica con Theodor Lipps, io posso ‘accedere’ all’altro solo in

istinti e delle pulsioni viene a mostrare come la nostra corporeità viva sia

modo mediato e indiretto, e cioè tramite appresentazione.

sempre caratterizzata da una sfera che fonda la coscienza desta, attiva,

Il concetto di appresentazione in relazione al problema dell’empatia

spirituale, ma che permane per molti versi, come Husserl stesso ricorda,

serve ad Husserl per mostrare come l’alter si offra sempre secondo una

oscura. La compresenza è quindi una struttura che fa parte non solo

doppia modalità: egli è percepibile originariamente nella sua

della costituzione cosale, ma anche della nostra stessa costituzione,

Körperlichkeit, ma a questa originaria presentazione si aggiunge sempre

caratterizzando, come abbiamo visto, sia la percezione del nostro Leib

anche il livello della psichicità ap-presente; se infatti la presenza

come Körper, cioè come cosa inserita nello spazio-tempo che si sottrae

originaria può riguardare solo un essere oggettivo, l’appresenza viene

costitutivamente ad essere data per intero al nostro sguardo, sia del

invece qui a riferirsi ad un essere psico-fisico, a quell’unione di psiche e

nostro Leib come essere psichico, poiché la nostra stessa coscienza non

corpo vivo che caratterizza la natura umana. Ogni appresenza comporta

è mai un flusso limpido e chiaro neppure a noi stessi, in quanto essa si

quindi, per essenza, un nucleo fondante di presenza originaria e ciò in

fonda su una base inconscia ed istintiva che non possiamo mai del tutto

virtù del fatto che ogni psichicità richiede una corporeità fisica

condurre dalla compresenza alla presenza.

intersoggettivamente esperibile: ogni appresenza rimanda alla presenza

Se la nostra stessa corporeità e la nostra stessa coscienza non

originaria, cioè all’esperienza percettiva del corpo fisico particolare che

possono mai essere del tutto condotte dalla compresenza alla presenza

supporta la psichicità e che viene percepito originariamente, ma è

neppure per noi stessi, è facile intuire come la situazione si complichi

unicamente attraverso l’appresenza che io posso afferrare l’altrui

estremamente nel caso della percezione di un altro essere umano

interiorità e, in questa modalità di percezione sui generis, nella quale

nell’empatia e infatti, non a caso, è proprio nell’analisi dell’esperienza

alcuni elementi possono costitutivamente essere solo compresenti, è 34


Pensare la realtà

come se la psichicità rivendicasse tutta la propria peculiarità.

saturazione: nella percezione cosale ogni compresenza è trasformabile

Anche nella percezione cosale, come avevamo visto, esiste sempre un

in via di principio in una presenza, invece nell’empatia si dà sempre una

momento di com-presenza, perché il mio sguardo prospettico non è mai

compresenza radicale e strutturale, che mai può trasformarsi in

in grado di afferrare l’oggetto in modo completo, esaurendo l’orizzonte

presentazione. Elemento molto interessante della fenomenologia

percettivo che l’oggetto stesso reca con sé, ma la differenza tra la

husserliana è che inoltre queste ‘integrazioni’ possono essere anche di

compresenza nella percezione cosale e in quella di un alter è essenziale,

tipo intersoggettivo. Poniamo l’esempio del punto di vista su una cosa:

poiché se di un oggetto io ho sempre la possibilità di portare a

io posso avere più punti di vista su una cosa grazie alle possibilità che mi

percezione diretta qualsiasi elemento all’inizio semplicemente com-

sono offerte dal mio Leib cinestetico, ma posso avere anche un vero e

presentato, nella compresenza relativa all’empatia, attraverso la quale mi

proprio nuovo punto di vista su quella stessa cosa anche attraverso

si dà l’interiorità di un altro soggetto, ci sono invece degli elementi

l’empatia, pensata da Husserl come una vera e propria possibilità di

strutturalmente compresenti, che di principio non possono essere

esperienza sul mondo, un’esperienza certo sempre indiretta, ma non per

condotti a percezione diretta; come sottolinea Alice Pugliese «la

questo meno reale, di assumere il punto di vista dell’altro e di ampliare

differenziazione tra la conoscenza delle cose e la conoscenza di un altro

le proprie prospettive sul mondo. Queste integrazioni intersoggettive

io è differenza a priori, trascendentale in senso proprio, perché riguarda

risultano così fondamentali prima di tutto per la mia stessa auto-

le condizioni di possibilità del riempimento» 11. Se la psichicità altrui

percezione (Husserl sottolinea ad esempio l’importanza degli altri per

fosse per

sarebbe più

“completare” la percezione del mio stesso Leib e per percepire il mio

differenziazione tra io e tu, tra i differenti flussi temporali-motivazionali.

Leib come un corpo nello spazio, cosa che si può verificare solo grazie

In particolare la forma radicalizzata di compresenza presente

all’intervento del punto di vista altrui) e anche per ampliare

nell’empatia serve allora a mostrare come la compresenza funzioni

ulteriormente l’orizzonte delle compresentazioni stesse, il quale

sempre attraverso successive integrazioni, integrazioni che nel caso

funziona sempre attraverso ‘emersioni’ che si verificano in base al

dell’empatia non possono di principio mai giungere a completa

principio di somiglianza-omogeneità o dissomiglianza-eterogeneità;

35

me direttamente percepibile non

ci


Quaderni della Ginestra

come Husserl ricorda all’Appendice XXVI di HUA XV, la costituzione del mondo procede attraverso il passaggio da orizzonti conosciuti ad orizzonti sconosciuti, attraverso i quali emerge come non ogni anomalia sia un semplice disturbo della normalità, ma come le anomalie stesse possano avere una funzione positiva, e cioè quella di conferire al reale elementi nuovi e inattesi, i quali vengono a rappresentare veri e propri centri propulsori per l’avanzamento della costituzione stessa. Tali anomalie sono inoltre da considerarsi in un doppio senso: non solo le anomalie che possono emergere nel processo percettivo, ma anche la relazione stessa a ‘punti di vista anomali sul mondo’, come quello dei malati di mente, dei bambini, dei primitivi, o anche degli animali, sembra per Husserl davvero in grado di allargare la percezione che noi abbiamo del mondo, tanto che si può di certo affermare che finanche un gatto

5

Come cause principali del fatto che la datità in originale adeguata della cosa sia solo una possibilità ideale e non reale, Rudolf Bernet ricorda che: non è possibile ridurre lo spazio infinto alla finitezza del campo visivo; il continuum di adombramenti, attraverso cui si presentano le cose spaziali, si può estendere all’infinito; il corpo spaziale, essendo mobile, può uscire dal campo di apparizioni e successivamente ritornarvi (R. BERNET, I. K ERN, E. MARBA CH, Edmund Husserl, trad. it. di C. La Rocca, il Mulino, Bologna, 2002, p. 171). 6 Il concetto di ‘orizzonte’ è utilizzato da Husserl anche nella Crisi: «In ogni percezione di una cosa è implicito un ‘orizzonte’ di modi di apparizione e di sintesi di validità che non sono attuali e che tuttavia sono co-fungenti» (E. HUSSERL, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. it. di E. Filippini, Saggiatore, Milano, 2002, p. 186). 7 Ivi, p. 191. 8 E. HOLENSTEIN, Phaenomenologie der Assoziation. Zu Struktur und Funktion eines Grundprinzips der Passive Genesis bei E. Husserl, Martinus Nijhoff, Den Haag, 1972, p. 155. 9 In particolare, Husserl attua questa divisone a pp. 275-276 di Idee II. 10 Ibid. 11 A. P UGLIESE, Unicità e relazione. Intersoggettività, genesi e io puro in Husserl, Mimesis, Milano, 2009, p. 170.

può arrivare ad inquietare profondamente lo sguardo fenomenologico.

DANIELA BANDIERA 1

M BARBERY, L’eleganza del riccio, edizioni e/o, Roma 2007, p. 50. Ivi, p. 54. 3 E. HUSSERL, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, libro II, trad. It. Di E. Filippini, Einaudi, Torino, 2002, p. 54. 4 Ivi, p. 114. 2

36


Pensare la realtà

REALTÀ, ONTOLOGIA E PROSPETTIVISMO NELL’ELABORAZIONE AMERICANA DI NIETZSCHE

C

he cosa si deve intendere per ontologia in riferimento a

l’ambito determinante e la struttura portante dell’intero sistema di Nietzsche: l’eterno ritorno sarebbe la sintesi della differenza e della riproduzione del diverso al suo interno.

Nietzsche 1? E’ possibile individuare nel suo prospettivismo uno

Alla ricerca di punti di vista inusuali, arricchenti e forse spaesanti su

spazio per la dottrina dell’essere e per il concetto di realtà? Nelle

queste e altre questioni vorrei prendere in considerazione uno scorcio

interpretazioni di Ricoeur 2 e Habermas 3, dove diviene assai difficile

del panorama filosofico americano contemporaneo, individuabile da una

distinguere il piano epistemologico da quello ontologico-metafisico

parte per comuni interessi interpretativi verso Nietzsche e dall’altra per

giungendo forse ad un dissolvimento del secondo nel primo, Nietzsche

legami di affinità più o meno evidenti con il pensiero del filosofo di

sembra persuaso della possibilità di pervenire ad un essere ultimo, la

Röcken. Non si pensi perciò ad un’avventura in un territorio ‘disabitato’

volontà di potenza, che prenderebbe il posto dell’ontos on della vecchia

perché l’attenzione per l’aspetto ontologico del prospettivismo è ben

metafisica.

presente in America, per esempio, fin dalle interpretazioni di William

Se invece Nietzsche volesse proprio negare l’essere e quindi la stessa

Salter e Frank Lea, risalenti alla prima metà del Novecento, anche se

ontologia? Se, così come ha ammonito a diffidare della volontà di verità,

diventerà consistente soprattutto a partire dagli anni Sessanta. Questi

denunciasse anche la volontà di essere? In effetti le interpretazioni di

due studiosi, che in parte anticipano posizioni post-analitiche, ritengono

Vattimo4 e Derrida5 suggeriscono proprio che egli abbia cercato di

che il prospettivismo di Nietzsche altro non sia che l’approccio al

smascherare senza rimpiazzare, che abbia inteso la demitizzazione come

mondo come sistemazione estetica ed ermeneutica di impulsi (bisogni e

compito infinito che non pretende di pervenire ad esseri o essenze

istinti) sia interni che esterni secondo particolari strutture di significato.

ultime. Un’alternativa, pur sempre anti-essenzialista, al rifiuto completo

Il mondo avrebbe dietro di sé non uno ma innumerevoli sensi, derivanti

dell’ontologia è stata la qualifica di Nietzsche come esistenzialista

dai nostri bisogni e istinti che lo interpretano con una forma

6

proposta, per esempio, da Lev Sestov a inizio Novecento. Contro il rifiuto dell’ontologia si schiera anche Deleuze 7, il quale anzi la ritiene 37

epistemico-ontologica di dominio. La trattazione procederà ora per paragrafi che cercano di ‘muoversi’


Quaderni della Ginestra

attorno a questioni che spostano ogni volta il centro d’attenzione o il

della realtà a favore di una sua molteplicità che dall’epistemologia

punto di vista: se si vuole un po’ come nella celebre parabola indiana dei

penetra nell’ontologia.

sei uomini ciechi che cercavano di conoscere un elefante toccandolo.

Recentemente

Brian

Leiter 8

ha

proposto

un’interpretazione

ontologico-pragmatica secondo la quale il mondo noumenico non è

Classiche (o vecchie) categorie

conoscibile, quindi non importa se esista o meno. In questo senso Nietzsche sembrerebbe ammettere la possibilità di un’ontologia

Un punto di partenza, invero piuttosto classico, per una disanima

tradizionale, dove il problema ontologico sarebbe svincolato da quello

vagamente sistematica all’interno della visione americana di Nietzsche

epistemologico. Tale indifferenza verso il noumeno ammetterebbe,

potrebbe essere chiedersi se la proposta del filosofo tedesco appartenga

almeno in linea teorica, la possibilità della coesistenza allo stesso tempo

al realismo, all’idealismo, al materialismo o a forme di antirealismo.

di un mondo conoscibile, per cui pare valere un certo grado di

Benché Nietzsche rifiuti spesso il soggetto, a prima vista non sembra

idealismo, e di uno inconoscibile, al quale ascrivere le fiduciose pretese

che il suo prospettivismo possa conciliarsi con l’idea (tipica del realismo)

di realismo. In realtà Leiter si sta soffermando su una fase, rintracciabile

che la realtà esiste indipendentemente dal soggetto, dai suoi schemi

nelle opere precedenti alla Gaia scienza, nella quale Nietzsche sembra

concettuali, dal suo linguaggio: basta pensare alle sue frequenti critiche

non preoccuparsi eccessivamente del problema ontologico.

dell’oggettività. D’altra parte si può forse credere che egli si ritroverebbe

Arthur Danto ritiene che Nietzsche non sia né un idealista, per il

in un idealismo, magari berkeleiano, in cui solo le idee sono reali? Cosa

quale non c’è un mondo al di fuori delle articolazioni della mente, né un

significherebbero allora i suoi richiami alla terra che per taluni lo

fenomenista, il quale crede che tutto ciò che ha significato possa essere

avvicinano al materialismo? Sicuramente è difficile far rientrare

espresso in termini di esperienza. Non avrebbe però voluto rinunciare

Nietzsche semplicemente in uno dei primi due schieramenti. Più

all’idea che esista un mondo là fuori e sarebbe stato costretto a

costruttivamente ci si potrebbe chiedere se egli neghi l’esistenza di un

mantenere questo residuo di realismo per avere qualcosa rispetto al

secondo mondo retrostante quello dei fenomeni, oppure neghi l’unicità

quale le nostre credenze fossero false 9. Sebbene possa essere plausibile il 38


Pensare la realtà

realismo

residuo

di

Nietzsche,

questo

passaggio

di

Danto,

Un capovolgimento, sebbene diverso, delle precedenti concezioni

soffermandosi sulla falsità, rende definitivo uno stadio intermedio della

ontologiche, è in effetti quanto legge Alexander Nehamas. Nietzsche

complessiva argomentazione critica di Nietzsche che, a mio parere, si

non negherebbe la realtà del mondo ma considererebbe gli oggetti che

conclude invece con la negazione della antitesi verità-falsità.

lo costituiscono il prodotto e non il fondamento di rapporti olistici ed

Frank Lea vede in Nietzsche il superamento sia del materialismo che

ermeneutici: «una cosa non è [perciò] per Nietzsche un soggetto che ha

dell’idealismo: il mondo materiale non è un’illusione ma il vero essere di

effetti ma semplicemente un collezione di effetti correlati, selezionati da

ogni cosa consiste nella sua azione10. La realtà viene ad essere costituita

qualche punto di vista particolare»11.

da centri di forza, cioè la volontà di potenza sostituisce sia la res cogitans che la res extensa, non più recipiente di stimoli esterni, ma attività stessa.

A questo proposito interessante è ancora Arthur Danto, il quale coglie l’importanza della critica di Nietzsche alla contrapposizione tra

Da questi e altri esempi appare come le interpretazioni americane

realtà e apparenza: se, come lui sostiene, scompare il mondo vero

rifiutino perlopiù di incasellare la componente ontologica del pensiero

scompare anche il mondo apparente 12. L’interpretazione dell’americano

di Nietzsche in una delle precedenti macroclassificazioni troppo nette.

sembra però lasciare in sospeso la questione dell’esistenza di un mondo metafisico rispetto al solo mondo come mondo-relazione13: infatti egli

Realtà o apparenza?

attribuisce molta importanza ad un frammento di Umano, troppo umano14 in cui si parla della possibilità del mondo metafisico. Come osservato

Emerge piuttosto un altro tema classico dell’ontologia per il quale si possono senz’altro trarre spunti più interessanti dall’atteggiamento di

per Leiter, questa interpretazione andrebbe associata alla constatazione della successiva evoluzione del pensiero in Nietzsche.

Nietzsche: la gradualità o le antitesi esistenti in seno all’essere, in

Una rivisitazione è quanto offre l’interpretazione di Maudemarie

particolare la distinzione tra mondo reale e mondo apparente. Il filosofo

Clark15: sicuramente Nietzsche rifiuta il realismo metafisico, per il quale

tedesco rivisita, stravolge o capovolge, come vorrebbe l’interpretazione

la realtà è qualcosa in sé e la sua determinata natura è del tutto

di Heidegger, tale distinzione di origine platonica?

indipendente da noi, dalla nostra struttura cognitiva. Ma la sua analisi va

39


Quaderni della Ginestra

oltre: infatti mentre l’essenza (gnoseologica), realtà o cosa in sé, che dir

forma di realismo a cui accostare le prospettive non può certo essere

si voglia, sarebbe legata al realismo metafisico e quindi contraddittoria

quella del senso comune, cioè diretto o ingenuo, secondo il quale la

con il prospettivismo, l’esistenza di una cosa indipendente dalla mente e

nostra percezione ci metterebbe in contatto non fallace con il mondo e

anche dalle prospettive (che lei associa al realismo del senso comune)

con gli oggetti che manterrebbero proprietà indipendenti dalla nostra

16

sarebbe invece compatibile con il prospettivismo . La negazione delle

percezione. Infatti ciò significherebbe trascurare, per esempio, le critiche

cose in sé da parte di Nietzsche non contraddirebbe l’esistenza

di Nietzsche al positivismo. Un altro punto non chiarissimo è il

extramentale di un oggetto di cui si hanno le prospettive, a patto di non

concetto di essenza: questa studiosa sembra separare l’extramentale in

confondere esistenza con essenza. Per giungere a tali considerazioni la

esistente e essenza-concetto, attribuendo a Nietzsche la negazione della

Clark concentra la sua attenzione anche sulle ultime opere di Nietzsche

seconda: quindi una sorta di nominalismo (in effetti è abbastanza

nelle quali egli distinguerebbe tra oggetto che esiste indipendente da

diffuso in ambito analitico) in cui sono negate non solo le essenze

come

universali ma anche quelle individuali.

appare

(l’aspetto

esistenziale

o

ontologico

ma

epistemologicamente non rilevante, vuoto) e oggetto in sé (l’aspetto

Secondo l’interprete post-analitico Richard Schacht17 Nietzsche

concettuale, epistemologico, a cui compete l’essenza), entrambi distinti

sembrerebbe escludere la distinzione tra realtà e apparenza a favore

dal fenomeno e per Nietzsche non conoscibili, se non in modo illusorio.

della sola esperienza, forse verso una forma di fenomenismo rivisitato18.

Anzi, dei due Nietzsche nega l’oggetto in sé. Quindi non c’è nulla di

Alcuni aspetti del mondo sono effettivamente come ci si presentano: il

conoscibile nascosto al di là delle apparenze, non c’è alcun velo di Maya

divenire, il cambiamento, cioè proprio ciò che i filosofi hanno

da squarciare. Ma l’oggetto (non l’oggetto in sé) esiste senza il bisogno

considerato apparenze, sono invece tra le reali caratteristiche del mondo.

di assumere che la sua vera natura sia indipendente da come appare.

Al mondo fenomenico non si contrappone il mondo vero: potrebbero

Ecco allora spazio per il prospettivismo: l’apparenza non nasconde

al massimo contrapporsi tra loro differenti mondi conoscibili solo

un’essenza e quindi non c’è più rischio di contraddizione.

all’interno di specifiche prospettive ma in ogni caso sempre fenomenici.

La posizione della Clark fa però sorgere alcuni dubbi. Innanzitutto la

Riformulando il significato di apparenza, il mondo è un mondo di 40


Pensare la realtà

apparenze, dove l’apparenza non è un modo di cogliere il mondo ma è

ontologia e cosmologia, possiamo chiederci quale idea di mondo gli

la natura stessa in cui consiste il mondo19. Non c’è alcuna trascendenza,

abbiano quindi attribuito gli studiosi americani?

alcun mondo delle idee (per usare l’espressione platonica contro cui

Schacht sostiene sia l’interpretazione che non esista un mondo a

Nietzsche sembra scagliarsi) da opporre al fenomeno. Proseguendo nel

prescindere dalle prospettive sia l’idea che esso non si riduca ad una

ragionamento si può giungere fino ad osservare che, nel momento in cui

prospettiva, quanto piuttosto alla somma di prospettive. Il mondo è

elimina i concetti di trascendenza e di realtà assoluta, Nietzsche fa

essenzialmente un mondo di relazioni tra centri di forza, i centri di

cadere anche i concetti di esperienza e di apparenza, annullando

prospettive; esso è differente da ogni punto di vista, senza i quali nulla

ovviamente la contrapposizione: «il contrasto tra il mondo apparente e il

esiste.

mondo vero si riduce al contrasto tra ‘mondo’ e ‘nulla’» 20.

Anche Danto osserva come il mondo relazionale sia differente a

Secondo Nehamas saremmo di fronte ad un vero e proprio cambio

seconda dei punti di vista, mostri aspetti diversi, ma, diversamente da

di paradigma, che va oltre la contrapposizione realtà-apparenza. Per

come inteso da Schacht, non lo ritiene la somma di tutte le prospettive,

Nietzsche «verità ed errore, conoscenza ed ignoranza, bene e male non

in quanto esse sarebbero tra loro inconciliabili e quindi non sommabili.

devono essere contrapposti l’uno all’altro; al contrario, li immagina

In realtà, mi sembra che per quanto possa essere discutibile l’idea della

come punti di uno stesso continuum»21; aggiungerei alla serie anche realtà

realtà come somma delle prospettive, la loro eventuale inconciliabilità

e apparenza. Questo riferimento di Nehamas al continuum mi sembra

non costituisce un reale ostacolo alla loro somma o al loro

costituire un guadagno interpretativo rispetto alle visioni discrete, se

accostamento: si tratterebbe semplicemente di un’eterotopia 22. Piuttosto

non binarie, di altri interpreti.

bisogna rilevare che Schacht sembra talvolta contrapporre la singola prospettiva alla somma delle prospettive, attribuendo alla prima il nome

Mondi e prospettive

di apparenza e alla seconda quello di realtà: ma per Nietzsche non si tratta in entrambi i casi di realtà?

Seppur trascurando la separazione inaugurata da Christian Wolff tra 41

Ci si può anche chiedere se il prospettivismo possa essere ritenuto


Quaderni della Ginestra

una sorta di pluralismo ontologico. Nehamas prende in considerazione questa possibilità, ma per sottolineare la differenza tra le due concezioni. In entrambi i casi si ha una pluralità di interpretazioni, ma il pluralismo ontologico è assai più impegnativo in quanto ritiene che il mondo posseg ga tante nature quante sono le interpretazioni. Tali interpretazioni dovrebbero essere complete, cioè su tutto il mondo: il pluralismo ontologico non sarebbe quindi compatibile con la nostra necessità di semplificazione di cui spesso parla Nietzsche 23. Il semplice prospettivismo sarebbe invece assai meno esigente dal punto di vista ontologico: il mondo è unico e finito ma può sempre essere ri-descritto in ogni sua parte. E’ evidente come Nehamas attribuisca grande importanza al concetto di semplificazione, sebbene forse lo privi della valenza negativa presente in Nietzsche: la natura del mondo è data nella totalità delle concezioni che lo riguardano, ma noi dobbiamo (o meglio non riusciamo a fare a meno di) semplificare e selezionare. Questo significa che non vediamo oggetti diversi, ma vediamo da prospettive diverse. A mio avviso un’ottima metafora di tale situazione (e forse anche dell’eterotopia di cui ho detto prima) è rinvenibile nelle figure ambigue (come l’anatra-coniglio, la vecchia-ragazza, ecc.) e negli switch di cui ha trattato la psicologia della Gestalt. Pur essendo sempre possibili, e in un

cccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccc ANDREA MARCHESE , A REAL GHOST 42


Pensare la realtà

certo senso presenti, entrambe le “visioni” in tali figure, solo una alla

versioni sommate insieme, senza però che questa somma diventi la

volta può mostrarsi alla nostra percezione. Tali cambi di prospettiva

singola realtà di cui le versioni siano apparenze. Quindi non c’è alcun

trovano un interessante parallelo nei mutamenti di paradigma e del

diritto qui di parlare di apparenze, perché il dipinto è solo queste

mondo fenomenico di cui parla Kuhn: vari studiosi effettivamente

“apparenze” ognuna vista da una distanza particolare 25. In altre parole si

associano i paradigmi alle prospettive. Sarebbe a questo proposito

potrebbe attribuire a Nietzsche la convinzione che ogni nuovo

interessante capire se si tratti di un’analogia o se la teoria della Gestalt

approccio alla realtà crei non soltanto una nuova interpretazione, ma

rappresenti una possibilità generale sul funzionamento della mente che

proprio un nuovo testo da interpretare. Ogni visione del mondo è il

comprende non solo il caso scientifico dei paradigmi.

risultato di una ricostruzione creativa26.

Per meglio esemplificare la propria posizione Nehamas propone una

L’interpretazione di Nehamas sembra oscillare tra un unico mondo e

metafora cinematografica-pittorica, il finale del film Mio zio d’America24:

molteplici mondi contemporanei senza prendere a fondo in

la sequenza si apre con un paesaggio di campagna, che però si rivela

considerazione la possibilità di un unico mondo cangiante e mutevole,

essere nel mezzo di una città ed essere un affresco-murales iperrealista

cioè dalla natura in divenire (un divenire sia temporale che spaziale). La

sulla parete di un edificio; pare perfetto nei suoi particolari e nelle sue

natura dell’universo risulterebbe regolata da relazioni di tipo

linee; ma con l’avvicinarsi dello zoom si nota come la superficie non sia

interpretativo e quindi non sarebbe fissa ma indeterminata: ciò che

liscia ma mostri i difetti dei mattoni e delle loro giunture, la loro

appare è frutto di un particolare e continuo riordinamento delle

ruvidezza e l’irregolarità dei colori; quindi il paesaggio si perde sostituito

componenti dell’universo. Dopotutto egli stesso osserva che le nostre

da confuse pennellate. Si presentano perciò differenti versioni della

categorie linguistiche sono compatibili con differenti versioni della

situazione, dall’iperrealismo si è passati all’impressionismo (o addirittura

struttura ontologica del mondo, il mondo della volontà di potenza può

al surrealismo). Quali sono le vere linee? Qual è il vero dipinto? Alain

essere descritto in molti modi, nessuno dei quali deve o può costituire la

Resnais (il regista) risponde che sebbene non si possano vedere

sua rappresentazione ultima: «[Nietzsche] vuole mostrare che il mondo

contemporaneamente tutte le differenti ‘versioni’, il dipinto è tutte le

non ha una struttura ontologica»27.

43


Quaderni della Ginestra

Risulta pertanto naturale che Nehamas ritenga la genealogia, con la

‘nessuno’. Perché ci sono molti cibi. E se mi chiedono qual è il modo in

sua polivalenza e la sua creatività, l’alternativa nietzschiana all’ontologia:

cui il mondo è, devo ugualmente rispondere ‘nessuno’. Perché il mondo

«domandare che cosa sia in se stessa la natura del mondo o quale

è in molti modi. [...] Ci sono molti modi in cui è il mondo e ogni

descrizione di esso sia in definitiva corretta equivale a chiedere quale

descrizione vera afferra uno di essi 30.

albero genealogico raffiguri

le reali

connessioni

intercorrenti tra ciascun individuo del mondo»

28

genealogiche

. La genealogia

consente molte alternative e non scopre né impone una realtà data una volta per tutte perché dipende dall’immagine indeterminata del mondo offerta dalla volontà di potenza, che nel fare ciò incorpora i propri interessi. Spostandosi dal piano dell’interpretazione del pensiero di Nietzsche a quello della sua influenza, non si può non osservare come la questione della pluralità dei mondi e/o della loro ‘volubile’ struttura ontologica richiami senz’altro il pensiero di Nelson Goodman. Noi possiamo costruire una «varietà di versioni corrette e anche in conflitto, ossia di mondi» 29, una molteplicità di sistemi divergenti che trattano dello stesso dominio. Si possono approvare tutti o nessuno di tali mondi, ma non c’è un fondamento in base a cui accettare la realtà di uno, ma non degli

Ciò non sembra molto differente da quanto affermava Nietzsche: «nella misura in cui la parola ‘conoscenza’ ha in genere un senso, il mondo è conoscibile; ma lo si può interpretare in altro modo: esso non ha un senso dietro di sé, ma innumerevoli sensi» 31. Risulta qui ben evidente il collegamento tra piano epistemologico e ontologico. È naturale allora chiedersi come siano possibili teorie contrastanti: gli oggetti a cui esse si riferiscono sono diversi, teorie diverse per oggetti diversi. Un esempio citato spesso da Goodman è la duplice visione (geocentrica o eliocentrica) del moto relativo tra terra e sole: gli oggetti, nonché lo spazio e il tempo che occupano, sono ‘version-dependent’. Come suggerisce Nehamas parlando di Nietzsche, anche in Goodman le cose a cui si riferiscono le versioni del mondo si formano e vanno di pari passo con le versioni stesse. Alla molteplicità delle versioni del mondo si collegano le posizioni

altri.

critiche tenute da Goodman nei confronti del realismo, che egli Se mi chiedessero quale sia il cibo per l’uomo dovrei rispondere

considera interamente relativo alla cultura da cui è posto: «la

44


Pensare la realtà

rappresentazione realistica non dipende dall’imitazione, dall’illusione o

si intende qualcosa di organizzato e concettualizzabile: mentre Galileo

dall’informazione, ma dall’addottrinamento» 32. Egli giudica il suo

vedeva un pendolo, gli aristotelici vedevano pietre oscillanti, ecc. Se

pensiero «un relativismo radicale sottomesso a restrizioni rigorose, che

invece si vuole fare riferimento all’idea, magari un po’ oscura, che ci sia

si risolve in qualcosa di assai prossimo all’irrealismo»33, posizione diversa

un qualcosa là fuori, allora forse il mondo è sempre lo stesso. Non è

dall’antirealismo; la mente, attraverso le versioni, costruisce i mondi:

affatto facile trarre le conseguenze ontologiche dal pluralismo dei mondi

«l’irrealismo non sostiene che tutto o qualsiasi cosa sia irreale, ma vede il

proposto da Kuhn: «a mio giudizio, non v’è nessun modo, indipendente

mondo fondersi in versioni e le versioni creare mondi, ritiene l’ontologia

da teorie, di ricostruire espressioni come ‘esservi realmente’; la nozione

evanescente, e ricerca ciò che rende una versione corretta e un mondo

di un accordo tra l’ontologia di una teoria e la sua ‘reale’ controparte

ben costruito»34.

nella natura mi sembra ora, in linea di principio, ingannevole» 36. Poiché è

Ma allora si tratta proprio di esistenza di mondi diversi e non solo di

naturale pensare che non ci siano discorsi indipendenti da teorie,

diversa interpretabilità di un unico mondo? In ogni caso per Goodman

probabilmente siamo di fronte, come rilevabile in altri filosofi successivi

non si può parlare di mondo indipendentemente dal riferimento a

come Donald Davidson, ad una scissione tra piano discorsivo-

specifiche strutture: «il nostro orizzonte è costituito dai modi di

concettuale e piano ontologico: che si tratti di una particolare forma di

descrivere tutto ciò che viene descritto. Il nostro universo consiste, per

nominalismo, rilevabile anche in Nietzsche?

così dire, di questi modi piuttosto che di un mondo o di mondi» 35. La costruzione degli oggetti e dei mondi sembra quasi un ‘farli emergere’

Esistono le cose, esistono i fatti?

da un magma indistinto dell’essere. E’ evidente però che per Goodman

Ovvero “Le cose non sono le cose”

il costruire si basa su qualcosa che già c’è là fuori, anche se risulta impossibile non solo capire di che cosa si tratti, ma addirittura pensarlo.

Nietzsche osserva: «si deve prima di tutto interpretare questo fatto:

Rimanendo in un contesto filosofico vicino a Goodman, di mondi

esso se ne sta lì in sé, stupido per tutta l’eternità, come ogni cosa in sé» 37

ontologicamente differenti sembra parlare Thomas Kuhn, se per mondo

e ancora «contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni dicendo «ci

45


Quaderni della Ginestra

sono solo i fatti», io direi: no, appunto i fatti non esistono, esistono solo

intenderebbe Nietzsche con il termine fatti, che altrove nega? Secondo

interpretazioni»38.

questa studiosa la natura degli oggetti (e dei fatti) è solo l’interpretazione

John Wilcox esprime una perplessità comune a molti studiosi di

da uno o più punti di vista. Ma si tratta in ultima istanza della somma

Nietzsche (e non solo): se tutta la nostra conoscenza è interpretativa,

dei vari punti di vista? Oppure oggetto delle varie interpretazioni sono

cioè prospettica, c’è qualcosa che resta costante e di cui abbiamo

solo altre interpretazioni? La Clark non chiarisce questo eventuale

prospettive

39

? Nietzsche, suo malgrado, è costretto ad usare il

realismo ontologico e non sembra inoltre tenere conto del fatto che

linguaggio e il portato metafisico che ha spesso denunciato: il termine

Nietzsche, nelle opere non giovanili, definisca chiaramente gli oggetti

prospettiva, in questo caso, richiama immediatamente un “bersaglio”, la

solo una menzogna utile, un errore incarnato nel linguaggio. Qual è

cosa in sé, a cui sarebbero indirizzate le prospettive. Il dubbio di Wilcox

allora l’oggetto delle nostre interpretazioni? Forse ogni interpretazione

quindi forse travisa il senso e lo scopo del prospettivismo di Nietzsche.

crea i propri oggetti e fatti?

Siamo infatti sicuri che debba necessariamente esistere qualcosa al di là della prospettiva?

Correttamente Schacht, come altri interpreti post-analitici, insiste sul legame tra prospettivismo e natura relazionale degli oggetti molto più di

Basandosi su quanto si trova in Genealogia della morale la Clark ritiene

quanto facciano Wilcox e la Clark: se la natura di qualcosa dipende dai

che Nietzsche non neghi l’esistenza dei fatti, ma di una loro natura

modi, dalla varietà di specifici punti di vista a partire dai quali la si può

indipendente dall’interpretazione: «la peccaminosità dell’uomo non [è]

incontrare, allora solo nella misura in cui uno è capace di fare gli

un dato di fatto, ma piuttosto unicamente l’interpretazione di un dato di

appropriati cambi di prospettiva tale natura diviene accessibile42.

fatto. [...] Col fatto che qualcuno si sente colpevole, peccaminoso, non è

Alcuni studiosi si sono soffermati sulle conseguenze di un’originale

ancora per nulla dimostrato che a ragione egli si senta tale» 40. Quindi

proposta in cui Nietzsche sembra comporre la fisica a lui

esisterebbero fatti e interpretazioni di fatti: ma che dire allora dei

contemporanea e il prospettivismo, la teoria degli oggetti come fasci

passaggi fondamentali per il prospettivismo in cui Nietzsche afferma

strutturati di potenza. Essa è rintracciabile in Volontà di potenza (o

che non esistono i fatti 41, ma solo le interpretazioni? Che cosa

Frammenti Postumi) dove può essere letto anche il radicalizzarsi di una 46


Pensare la realtà

tradizione anglosassone, contraria all’ontologia delle sostanze, che parte

ontologia che risponda a domande come “che cosa è un fatto?”, “che

da Berkeley, passa per Hume e giungerà poi fino a Russell. Infatti all’idea

cosa è un evento?”. Secondo Nehamas l’informazione essenziale che

di Hume che l’io non sia atomico, bensì un fascio di percezioni,

Nietzsche voleva fornirci è l’interconnessione di tutte le cose, ontologica

Nietzsche aggiunge l’idea che l’io sia prospettico, all’idea di Berkeley che

e epistemica allo stesso tempo. Infatti se «la loro [dei quanti] essenza

non esistano oggetti indipendenti dalle loro proprietà aggiunge che

consiste nella loro relazione con tutti gli altri quanti»45, allora essi non

queste siano tipi di prospettive di potenza, all’idea di Russell che gli

posseggono un sostrato indipendente. Che ne è quindi delle cose in sé?

oggetti siano una costruzione aggiunge che anche il sé è una

È proprio a questo punto che all’interno del concetto di potenza si

costruzione43.

manifesta la presenza del prospettivismo. Infatti il reale è un tutto fluido

Nella lettura di Danto le cose e gli esseri viventi “sono” volontà di

e dinamico in quanto regolato da rapporti olistici ed ermeneutici, la sua

potenza, non “hanno” volontà di potenza. Neppure è corretto parlare di

natura non è afferrabile una volta per tutte ma è legata alle

cose: l’ontologia di Nietzsche tratta di quanti dinamici e non più di cose

interpretazioni: come osserva Nehamas, «la sua [di Nietzsche]

e soggetti aventi volontà, perché loro stessi sono volontà, attività. A

concezione della relazionalità essenziale del tutto [fa] parte del suo

questa interpretazione che subordina l’oggetto ad una attività, si può

tentativo di mostrare che non vi è un mondo già dato, rispetto al quale

collegare anche la proposta di filosofi come Davidson 44: al concetto di

le nostre concezioni e teorie possono essere vere una volta per tutte» 46.

oggetto essi affiancano o sostituiscono quelli di fatti o ancor più di

Tra gli oggetti non possono che crearsi relazioni olistico-ermeneutiche:

eventi e di state of affairs, parlano di ontologie degli eventi. La realtà non

essi non posseggono caratteristiche proprie, ma si definiscono nei loro

è un sistema atomistico composto da una continuità discreta di quanti,

rapporti e nelle loro differenze reciproche. Ne deriva la fondazione

bensì il risultato delle miriadi di configurazioni che essi possono

dell’ontologia nietzschiana su un prospettivismo “pan-interpretativo”:

assumere.

come osserva Tiziana Andina «l’essenza delle cose coincide con la loro

Per analoghe ragioni Nehamas, pur parlando di fatti, di oggetti e di eventi, non ritiene ci sia una teoria nietzscheana al riguardo, una 47

possibilità di essere interpretate» 47. Quasi impossibile non pensare ancora a quanto osserva Goodman: i


Quaderni della Ginestra

fatti nella visione filosofica fondazionalista, cioè come qualcosa a cui ci

stesso modo le cose non sono circoscrivibili da definizioni e

troviamo davanti e che costituiscono la realtà, non esistono, «sono

proposizioni ultime, ma sono la totalità in divenire di eventi, sono

qualcosa di chiaramente artificiale» 48, teorie di piccola taglia.

modificate da successivi eventi e generano nuove interpretazioni: «non

L’americano presenta anche una serie di esempi tratti sia dalla vita

come una sostanza è correlata al suo attributo ma come un intero è

quotidiana sia dalle scienze in cui si evidenzia la loro natura di

correlato alle sue parti; inoltre questa relazione è interpretativa e non

interpretazione dipendente dalla prospettiva in cui ci si muove (realista

causale» 51. Lo stesso rapporto di genesi sintetica e interpretativa,

ingenuo, fisico, ecc). Sono gli oggetti, o fatti, ad essere il prodotto

potremmo dire, esiste tra un’opera d’arte e le varie interpretazioni che di

dell’interpretazione, paradossalmente dell’effetto (nel pensiero comune),

essa vengono date. Infatti in un’altra metafora, che Nehamas attribuisce

direbbe Nehamas 49. Tornando a quest’ultimo vediamo infatti come

a Nietzsche, il mondo è come un’opera che genera se stessa: «come nel

l’interpretazione rivesta un ruolo fondamentale non solo nella

caso della letteratura, così nel mondo, secondo Nietzsche reinterpretare

descrizione, ma anche nella continua ri-descrizione “costitutiva” delle

gli eventi significa riordinare gli effetti e perciò generare nuove cose» 52.

cose. Infatti, poiché la distinzione sostanza-accidente per Nietzsche non

Non proprio di interpretazioni ma di narrazioni parla R. Rorty,

ha più ragione d’essere e la struttura delle cose dipende esclusivamente

profondo estimatore del pensiero di Nietzsche, che propone un

dall’interpretazione, ogni nuova interpretazione produce nuove “cose” e

interessante sviluppo del ‘capovolgimento ontologico’ che, come visto,

queste, a loro volta, nuove interpretazioni.

alcuni studiosi leggono in Nietzsche. L’americano sembra sostituire alla

Nehamas fa ricorso ad una metafora, certo non nuova, che però

realtà la narrazione, fondendo normatività, creatività e descrizione 53. La

aiuta a chiarire questo passaggio: il mondo come testo letterario. Tutte le

scomparsa della realtà in senso metafisico non implicherebbe però il

cose e gli eventi si pongono nei confronti delle loro relazioni come il

regno del simulacro: l’esercizio dell’immaginazione non corrisponde alla

personaggio di un romanzo nei confronti dei propri atti: ogni successiva

simulazione. Anzi, a mio avviso, si apre la possibilità di narrare storie

azione di un personaggio lo modifica, genera una nuova interpretazione

che, con il loro potere creativo, possono davvero fare la differenza: le

sul suo passato, facendolo risultare «la somma dei suoi effetti» 50. Allo

forme di narrazione che chiamiamo teoriche possono aiutare a portare 48


Pensare la realtà

alla realtà un mondo migliore; si possono produrre nuove realtà, virtualità attualizzate. La grande possibilità insita nella proposta di Rorty è che siano i fatti a derivare dai nuovi mondi narrati, e non più viceversa: la genesi della realtà è spostata nella narrazione allontanandosi dai fatti, che cambiano in base alla narrazione. Il mondo può essere scomposto in fatti solo dopo il lavoro costituente della narrazione: i fatti sono frutto di un’analisi, di una scomposizione del mondo narrato, e non più generatori del mondo per sintesi; prima viene la narrazione, poi i fatti. Questo sviluppo molto coraggioso lascia però alcuni dubbi: da dove viene la creazione se non da altri linguaggi, da altre narrazioni? Che cosa c’è al di fuori delle narrazioni? Al fine della “creazione” bastano le sole narrazioni o è necessario anche qualcos’altro? In Rorty il centro della realtà, intesa come narrazione, pare essere occupato dal linguaggio, o meglio dai linguaggi o dai vocabolari; gli individui, cose o persone, paiono emarginati: emerge una deriva verso la trascendenza e il metafisico a scapito della pragmaticità e dell’umanità a cui l’americano invece pare spesso aspirare54. L’essere diventa il linguaggio oppure l’essere è semplicemente nel manifestarsi di tutte le prospettive attraverso i linguaggi a cui l’uomo può accedere.

ANTONIO FREDDI 49

Per gli scritti di Nietzsche si è fatto riferimento alle edizioni critiche Nietzsche, Werke (KGW) e Briefwechsel (KGB) nonché alle relative traduzioni italiane pubblicate in vari anni da Adelphi. Fa eccezione Der Wille zur Macht, per la quale si è fatto riferimento alla traduzione a cura di Ferraris M. e Kobau P., Bompiani, Milano 2005. 2 P. RICOEUR, De l'interprétation. Essai sur Freud, Editions de Seuil; Parigi 1965 ; tr. it. Della interpretazione. Saggio su Freud, Il Saggiatore, Milano 2002. 3 Si veda per esempio T. R OCKMORE , Habermas, Nietzsche, and Cognitive Perspective, 1999 in B. E. BABICH E R. S. COHEN (a cura di), Nietzsche and the Sciences I: Nietzsche, Theories of Knowledge and Critical Theory, Kluwer, Dordrecht e Londra 1999. 4 G. V ATTIMO, Ipotesi su Nietzsche, Giappichelli, Torino 1964; Introduzione a Nietzsche, Laterza, Roma-Bari 1985. 5 J. DERRIDA, Eperons. Les styles de Nietzsche, Flammarion, Parigi 1978; Otobiographies. L’enseignement de Nietzsche et la politique du nom propre, Galilée, Parigi 1984. 6 Si veda L. I. SESTOV, Достоевский и Ницше; 1903; tr. it La filosofia della tragedia. Dostoevskij e Nietzsche, Marco Editore, Cosenza 2004. 7 G. DELEUZE , Nietzsche et la Philosophie, PUF, Parigi 1962; tr. it. Nietzsche e la filosofia, Colportage, Firenze 1978. 8 B. LEITER, Nietzsche on Morality, Routledge, New York 2002. 9 A. DANTO, Nietzsche as Philosopher, MacMillan, New York 1965, p. 96. 10 F. LEA, The Tragic Philosopher, Philosophical Library, New York 1957, p. 259. 11A. NEHAMAS, Nietzsche: Life as Literature, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1985, p. 92; tr. it. (a cura di M. PERA) Nietzsche: la vita come letteratura, Armando, Roma 1989, p. 113. 12 A. DANTO, cit., 1965, p. 91. 13 A. DANTO, cit., 1965, p. 78. 14 F. NIETZSCHE , Menschliches, Allzumenschliches, 1878, 9. 15 M. CLARK , Nietzsche on Truth and Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 1990, p. 41. 16 M. CLARK , cit., 1990, p. 136. 17 R. SCHACHT, Nietzsche, Routledge and Kegan Paul, Londra 1983, pp. 188-189. 18 F. NIETZSCHE , Götzen-Dämmerung, 1888, III, 2 e IV. 19 R. SCHACHT, cit., 1983, p. 191. 20 F. NIETZSCHE , Der Wille zur Macht, 1901, 567. 21 A. NEHAMAS, cit., 1985, p. 44 (tr. it., p. 61). 1


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Per approfondire il concetto di eterotopia si faccia riferimento a M. FOUCAULT, Les mots e les choses, Gallimard, Parigi 1966, introduzione, oppure la conferenza Des espaces autres, 1967; tr. it. Eterotopie, in Archivio Foucault, Feltrinelli, Milano 1998. 23 F. NIETZSCHE , Jenseits von Gut und Böse, 1886, 24. 24 Film di Alain Resnais del 1980. 25 A. NEHAMAS, cit., 1985, pp. 51-52 (tr. it., pp. 68-69). 26 F. NIETZSCHE , Die fröhliche Wissenschaft, 1882, 58. 27 A. NEHAMAS, cit., 1985, p. 96 (tr. it., p. 118). 28 A. NEHAMAS, cit., 1985, p. 104 (tr. it., p. 126). 29 N. GOODMAN, Ways of Worldmaking, Hackett Press, Indianapolis 1978, p. x; tr. it. Vedere e costruire il mondo, Laterza, Roma-Bari 1988, p. ix. 30 N. GOODMAN, Problems and Projects, Bobbs-Merrill, New York 1972, pp. 30-31. 31 F. NIETZSCHE , Der Wille zur Macht, 1901, 481 oppure Werke (Nachlass), 8 [7] 60, fine 1886-inizio 1887. 32 N. GOODMAN, Languages of Art: An Approach to a Theory of Symbols, Bobbs-Merrill, Indianapolis 1976; tr. it. (a cura di F. BRIOSCHI), I linguaggi dell’arte, Il Saggiatore, Milano 2003, p. 40. 33 N. GOODMAN, cit., 1978, p. x (tr. it., p. viii). 34 N. GOODMAN, Of Mind and Other Matters, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1984, p. 29. 35 N. GOODMAN, cit., 1978, p. 3 (tr. it., p. 3). 36 T. K UHN, The Structure of Scientific Revolution, 2nd ed. con poscritto, University of Chicago Press, Chicago 1970, p. 206; tr. it La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1999, p. 247. 37 F. NIETZSCHE , Zur Genealogie der Moral, 1887, III, 7. 38 F. NIETZSCHE , Der Wille zur Macht, 1901, 481 oppure Werke (Nachlass), 8 [7] 60, fine 1886-inizio 1887. 39 Cfr. J. WILCOX, Truth and Value in Nietzsche: A Study of His Metaethics and Epistemology, The University of Chicago Press, Chicago 1978. 40 F. NIETZSCHE , Zur Genealogie der Moral, 1887, III, 16. 41 F. NIETZSCHE , Der Wille zur Macht, 1901, 481. 42 R. SCHACHT, cit., 1983, p. 101. 43 F. NIETZSCHE , Jenseits von Gut und Böse, 1886, 12. 44 Per esempio in D. DAVIDSON, Essays on Action and Events, Oxford University Press, New York 1980; tr. it., Azioni ed eventi, Il Mulino, Bologna 1992, capp. 7, 8, 9, 10, 11. 22

F. NIETZSCHE , Der Wille zur Macht, 1901, 635. A. NEHAMAS, cit., 1985, p. 81 (tr. it., p. 102). 47 T. A NDINA, Il volto americano di Nietzsche, La Città del Sole, Napoli 1999, p. 338. Volendo si potrebbe osservare che esattamente la stessa cosa che ai miei occhi si compie a proposito dell’essenza del pensiero di Nietzsche. 48 N. GOODMAN, cit., 1978, p. 93 (tr. it., p. 109). 49 A. NEHAMAS, cit., 1985, p. 92 (tr. it., pp. 112-113). 50 ‘A Thing is the Sum of Its Effects’, è il titolo di un capitolo del già citato testo di Nehamas (1985). 51 A. NEHAMAS, cit., 1985, p. 89 (tr. it., p. 110). 52 A. NEHAMAS, cit., 1985, p. 91 (tr. it., p. 112). 53 Cfr. R. R ORTY (1989), Contingency, Irony and Solidarity, Cambridge University Press, Cambridge 1989; tr. it. (a cura di A. G. GARGANI) La filosofia dopo la filosofia, Laterza, Roma-Bari 2001. 54 Per esempio quando parla di solidarietà: si ved, per esempio, R. R ORTY , cit., 1989, paragrafo ‘Solidarietà’. 45 46

50


Pensare la realtà

L

REALTÀ E POSSIBILITÀ. UNA RIFLESSIONE SULLA PROPOSTA METAFISICA DI E.J. LOWE

persuasione che nonostante la varietà delle soluzioni e degli approcci, si

e nozioni di realtà e possibilità svolgono una funzione centrale

preliminari necessarie per occuparsi di metafisica in modo proficuo» 2.

possano trasmettere in modo neutrale almeno alcune delle acquisizioni

nella metafisica di E. J. Lowe, sia perché lo stesso Lowe definisce

la metafisica come la disciplina che studia le più fondamentali strutture

Con queste parole Franca D’Agostini sottolinea il rinnovato interesse

della realtà, sia per l’obiettivo che le ascrive, ossia stabilire «che cosa può

che la filosofia contemporanea, nelle sue diverse correnti, ha riservato (e

esserci». In queste pagine, cercherò di analizzare il ruolo che la realtà

sta riservando) alle ricerche in metafisica, evidenziandone la pluralità di

assume nella proposta metafisica di Lowe, il rapporto che l’autore

soluzioni e metodi di ricerca. Obiettivi preliminari di queste ricerche

individua tra la metafisica e le varie discipline scientifiche e intellettuali,

sono innanzitutto di definire cosa si intenda con metafisica, in che

e infine di discutere il concetto di possibilità che è alla base della sua

modo si differenzi e rapporti alle altre discipline filosofiche, scientifiche

proposta 1.

e intellettuali, e di difendere la metafisica dalle varie posizioni antimetafisiche che ne negano la possibilità o che la degradano «a qualcosa

1. Breve nota introduttiva «La novità degli ultimi anni è che si sono affermati nuovi modi di occuparsi della ‘scienza dell’essere in quanto essere’, e si è andata sviluppando una nuova e diffusa consapevolezza nei confronti di questa

51

di non meritevole di questa denominazione» 3. Tali obiettivi sono centrali nella proposta metafisica di Lowe, proposta che rappresenta lo sfondo concettuale su cui si articola e struttura l’intera ricerca dell’autore, e i cui tratti principali sono ben delineati in due sue opere: The Possibility of Metaphysics (1998) e A Survey of Metaphysics (2002). In A Survey of

disciplina. Tutto il Novecento è pieno di annunciate o sperate o effettive

Metaphysics4, Lowe si concentra sui (vari) tentativi di definizione di

rinascite della metafisica, ma questa volta almeno alcuni segni fanno

metafisica, sugli obiettivi di tali ricerche e sul rapporto tra metafisica e

sperare per il meglio. [...] In ogni caso, se il campo del lavoro del

discipline scientifiche e intellettuali. In particolare, Lowe difende una

metafisico è ancora relativamente diviso e anarchico [...], c’è la positiva

concezione di metafisica come disciplina che studia la struttura


Quaderni della Ginestra

fondamentale della realtà come un tutto, dalle obiezioni del relativismo,

considerata in se stessa 8. In quanto studio sulla realtà, la metafisica si

dell’epistemologia naturalizzata e da coloro che definiscono la metafisica

occupa delle entità su cui si struttura la realtà stessa (i suoi costituenti

come lo studio dei nostri pensieri circa la realtà, evidenziando al

basilari) e del modo in cui esse si collegano, e di chiarire alcuni concetti

contempo la centralità che il concetto di possibilità assume nella sua

universalmente applicabili – concetti come identità, possibilità,

proposta. In The Possibility of Metaphysics, invece, Lowe si propone di

necessità, spazio, tempo, persistenza, cambiamento e causalità –

restituire alla metafisica un ruolo centrale nella ricerca filosofica,

esaminando le dottrine che li riguardano.

fissando le ragioni per cui la metafisica è possibile ed è una disciplina

La centralità che la realtà, considerata come unitaria e auto-coerente,

filosofica ragionevole, «con una metodologia autonoma e propri criteri

e la verità, definita come unica e indivisibile9, assumono nella riflessione

di validità»5. Secondo Lowe tutte le discipline – e tutte le forme di

sulla metafisica dell’autore permette di chiarire il rapporto che lega la

sapere – si basano su assunzioni metafisiche. Restituire un ruolo di

metafisica alle altre discipline scientifiche e intellettuali. Scrive a tal

primo piano alla metafisica significa analizzare criticamente e rendere

proposito Lowe:

esplicite quelle assunzioni che le varie discipline accolgono senza un «Le varie discipline scientifiche, e le altre discipline intellettuali i cui

apparato critico adeguato.

praticanti non sono probabilmente interessati a definirsi ‘scienziati’ – come gli storici e i letterati – sono tutte impegnate, almeno in parte,

2. Che cos’è la metafisica

nella ricerca della verità, ricercandola ciascuna con i propri metodi di

Lowe descrive la metafisica come la disciplina razionale a priori, di carattere non empirico, che studia in modo sistematico le più fondamentali strutture della realtà6 – realtà considerata come unitaria e 7

indagine e all’interno del proprio ambito di ricerca. Tuttavia, l’indivisibilità della verità implica che tutte queste forme di ricerca devono, se vogliono riuscire nei loro obiettivi, riconoscere la necessità di essere coerenti l’una con l’altra. Nessuna di queste forme di ricerca può

indipendente dal nostro modo di pensarla e descriverla – e che ha

infatti presumere di definire la questione della reciproca coerenza,

l’obiettivo di esaminare le possibilità reali, cioè le possibilità della realtà

perché nessuna tra queste discipline ha un’autorità al di fuori del proprio 52


Pensare la realtà

ambito di ricerca. Tale autorità può essere fornita solo da coloro che praticano una disciplina intellettuale che aspira a una completa universalità nel suo oggetto di ricerca e nei suoi obiettivi – e questa la disciplina è la metafisica, come tradizional mente concepita» 10.

In questo senso, secondo Lowe, la metafisica ha una priorità concettuale rispetto a ogni altra disciplina (che ha un dominio più limitato11), ne costituisce lo sfondo concettuale, e fornisce la struttura all’interno della quale le varie discipline sono pensate e collegate le une alle altre: «uno dei ruoli della metafisica, come disciplina intellettuale, è fornire un forum in cui possono essere affrontate dispute sui confini tra le varie discipline – per esempio, la controversia sul fatto che l’oggetto di ricerca di una disciplina scientifica, come la biologia o la psicologia o l’economia, possa essere incluso in un’altra disciplina scientifica, presumibilmente più ‘fondamentale’, come la fisica. [...] La metafisica può occupare questo ruolo interdisciplinare descritto, perché il suo obiettivo di ricerca principale è la struttura fondamentale della realtà come un tutto. Nessuna scienza speciale – nemmeno la fisica – può avere questo obiettivo, perché l’oggetto di ricerca di ogni disciplina scientifica è identificato in modo più restrittivo» 12.

53

MARTINA TAMBASSI, SOFT


Quaderni della Ginestra

La metafisica, inoltre, ha l’obiettivo di indagare e stabilire ‘che cosa

importante notare che una tale affermazione non deriva solo

può esserci’ (che cosa è metafisicamente possibile), ed è dunque

dall’evidenza

strettamente correlata al concetto di possibilità (metafisica), possibilità

affermazione, spetta a lui stabilire [...] che l’esistenza di questa

che, secondo Lowe, deve essere esplorata (o almeno assunta), prima che

caratteristica è quanto meno possibile. Il punto centrale è che l’evidenza

qualsiasi pretesa di verità circa la realtà possa essere legittimata dall'esperienza. Attraverso l’esperienza, sulla quale si fondano le scienze empiriche, si potrà poi mostrare quale tra le varie possibilità metafisiche

empirica.

Quando

un

metafisico

fa

una

simile

empirica non può essere la prova dell’esistenza di qualcosa che non è una caratteristica possibile della realtà. Ma stabilire che l’esistenza di una determinata caratteristica della realtà è possibile non è un qualcosa che può essere conseguito con metodi di indagine puramente empirici,

alternative è plausibilmente vera nella realtà. La metafisica è dunque

proprio perché l’evidenza empirica può essere solo l’evidenza di uno

preliminare rispetto alle scienze empiriche, in quanto «l’esperienza da

stato di cose possibile, indipendentemente da tale evidenza. In questo

sola non è in grado di determinare ciò che è attuale senza una

senso, la metafisica [...] ha un medoto di indagine di carattere non-

delimitazione metafisica del regno del possibile»13. Le scienze empiriche,

empirico, nella misura in cui è la disciplina intellettuale la cui

invece, dovendo stabilire che cosa è attualmente vero sulla base

preoccupazione è di tracciare le possibilità dell’esistenza reale. La

contenuti

metafisica si occupa di scoprire ciò che la totalità dell’esistenza potrebbe

dell’esperienza, su cui si fondano le scienze empiriche, possono infatti

abbracciare: vale a dire, quali categorie di entità possono esistere e quali

essere valutati solo alla luce di un quadro più generale che ci indichi cosa

di esse possono coesistere. Dopo aver tracciato le possibilità, rimarrà la

dell’esperienza,

presuppongono

la

metafisica 14:

i

è metafisicamente possibile.

questione

circa

quale

tra le

varie

possibilità

reciprocamente

incompatibili per caratterizzare la struttura fondamentale della realtà si ottenga attualmente – e a questa domanda si può rispondere solo, se non

«Dobbiamo riconoscere che, quando un metafisico afferma l’esistenza di una caratteristica strutturale fondamentale della realtà che

del tutto, con l’aiuto dell’evidenza empirica, e solo attraverso tentativi e in modo provvisorio» 15.

reputa contingente, egli dovrebbe al contempo riconoscere che tale affermazione deriva, almeno in parte, dall’evidenza empirica. Ma è

In questo senso, le scienze empiriche possono interagire con la 54


Pensare la realtà

metafisica per determinare cosa è attuale: in particolare per stabilire se

Ammessa dunque a priori la correttezza di un determinato argomento

una determinata posizione metafisica è vera nell’attualità. Dichiarare

metafisico e a posteriori la sua interazione con le discipline scientifiche

dunque che il mondo esibisce una determinata proprietà metafisica sarà

per stabilire che cosa è attuale, avremo allora motivi, sia a priori che a

quindi un giudizio a posteriori, dal momento che deve rispondere al

posteriori, per affermare la correttezza e l’applicabilità di tale argomento

tribunale dell’esperienza. Ma il contenuto del giudizio manterrà sempre

metafisico al mondo attuale. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che la

il suo carattere modale esprimendo un’autentica possibilità metafisica:

metafisica non può dirci che cosa c’è nella realtà se non interagendo con le discipline scientifiche: in questo senso, per quanto riguarda l’attualità,

«questa concezione dello statuto epistemologico degli enunciati della metafisica, essendo a un tempo modali e a posteriori, è ovviamente vicino alla posizione di Kripke. Egli sostiene, ad esempio, che alcuni enunciati di identità e costituzione veri siano metafisicamente necessari e tuttavia conoscibili solo a posteriori. Ciò che può essere conosciuto a priori, secondo Kripke, è semplicemente che, se vale l’identità tra due

la metafisica da sola non può fornirci certezze. D’altra parte, gli stessi scienziati, secondo Lowe, formulano inevitabilmente assunzioni metafisiche, sia implicitamente che esplicitamente, nelle costruzioni e nel controllo delle teorie – assunzioni che sono al di là di quello che la scienza è in grado di fondare. E queste assunzioni devono essere

oggetti a e b, allora essa ha il carattere di una necessità metafisica ma il

esaminate criticamente sia dagli scienziati che dai filosofi: in entrambi i

fatto che essa valga può essere conosciuto solo a posteriori. Non sono

casi attenendosi ai propri metodi e oggetti di ricerca.

particolarmente incline ad accettare la posizione di Kripke [...] né

Si può dunque affermare che sia la metafisica che le discipline

accetto la tesi connessa secondo cui la costituzione originaria di un

scientifiche mirano alla fondazione di una realtà oggettiva. Differiscono

oggetto è metafisicamente necessaria. Al contrario concordo con la sua

però per il loro atteggiamento riguardo al contenuto dell’esperienza che,

intuizione che la metafisica abbia a che fare con verità modali e che

secondo Lowe, ha un ruolo fondamentale nello stabilire come sia

possa, tuttavia, fornire risposte a questioni riguardanti l’esistenza attuale

effettivamente fatta la realtà. Per gli scienziati, infatti, l’esperienza è una

che si configurano come a posteriori» 16.

sorta di supporto evidenziale per ipotesi esplanatorie, e il suo contenuto è accettato in modo relativamente acritico, anche se è spesso

55


Quaderni della Ginestra

interpretato alla luce delle teorie scientifiche prevalenti. Per i metafisici,

del mondo nel miglior modo possibile alla luce dell’esperienza,

invece, il contenuto dell’esperienza, e in particolare i concetti che

assumendo un atteggiamento mentale aperto nei confronti di nuove

servono a strutturare tale contenuto, è esso stesso oggetto di ricerca,

evidenze empiriche che possono sopraggiungere in futuro. Dobbiamo,

critica e spiegazione sistematica, in base a principi a priori. Una tale

naturalmente, rivolgerci alla scienza sperimentale per sapere ‘che cosa

divergenza impone, secondo Lowe, che metafisica e discipline scientifiche debbano sviluppare un rapporto di reciprocità – rapporto che l’autore definisce in termini di ‘complementarità’ e ‘cooperazione’ –

c’è’: gli scienziati, tuttavia, possono dirci cosa suppongono ci sia solo assumendo una qualche categorizzazione delle entità in questione e il compito di costruzione delle categorie è assegnato in ultima analisi alla metafisica e non alle scienze empiriche 17. La modesta speranza della

in modo tale che la scienza non ignori più l’apriorità dei principi

metafisica analitica è di poter facilitare il compito della costituzione di

metafisici, così come la metafisica tenga in conto le costruzioni teoriche,

teorie empiriche fornendo una struttura categoriale nella quale collocare

a posteriori, della ricerca scientifica e dei suoi risultati. Da questo punto

le entità supposte da tali teorie. Una metafisica inadeguata [...] può senza

di vista il metafisico non può permettersi di ignorare gli sviluppi della

dubbio intralciare il processo di costruzione delle teorie scientifiche [...].

scienza, ma non può rendersi colpevole di ‘schiavitù’ ideologica rispetto

Poiché

ai risultati scientifici. Dunque, nel chiedersi ‘che generi di cose

inevitabil mente, su alcune presupposizioni metafisiche è meglio che tali

esistono?’, il metafisico deve basarsi sui risultati della scienza e lavorare

assunzioni siano frutto di riflessione razionale piuttosto che implicite e

criticamente sulle assunzioni e sulla metodologia della riflessione

non adeguatamente controllate» 18.

ogni studioso formula teorie

e congetture

basandosi,

scientifica, in modo tale da arrivare a una sintesi tra principi metafisici a priori e costruzioni teoriche scientifiche a posteriori:

3. Possibilità metafisica

«Probabilmente [...] il miglior servizio che la metafisica analitica può

Dopo aver definito la metafisica come la disciplina che ha l’obiettivo

offrire è semplicemente tracciare le possibilità di esistenza e quindi

di indagare e stabilire che cosa può esserci (che cosa è metafisicamente

fornire gli strumenti concettuali con i quali categorizzare il contenuto

possibile), ci occupiamo ora della nozione di possibilità che ne è alla

56


Pensare la realtà

base: la nozione di possibilità metafisica.

derivano cioè dall'esperienza, ma servono per costruire ciò che

Ora, potremmo chiederci: come è possibile stabilire che cosa è

l’esperienza ci dice della realtà. Ciò ovviamente non significa che

metafisicamente possibile? Secondo Lowe, in quanto esseri razionali,

l’applicabilità di una nozione metafisica alla realtà possa essere

non possiamo non considerarci capaci di conoscere almeno qualcosa sul

determinata interamente a priori, ma solo che la sua possibile

regno della possibilità metafisica: il ragionamento stesso dipende infatti

applicabilità può essere determinata in questo modo. Con un esempio:

dalla nostra capacità di comprendere le possibilità, ossia di riconoscere che un argomento è valido se non è possibile per la conclusione essere

«i metafisici hanno dibattuto a lungo sulla possibilità del mutamento

falsa se le premesse sono vere – e un essere razionale può discernere la

e della realtà del tempo [...]. Si tratta, tuttavia, di questioni né puramente

validità di almeno alcuni argomenti.

empiriche né puramente logiche. Il modo in cui dovremmo concepire il

Su questi presupposti, Lowe considera la possibilità metafisica come

tempo è anch’esso un problema metafisico e cioè se e come la nozione

una possibilità reale (de re), che riguarda la natura delle cose,

di tempo debba essere correlata ad altre nozioni metafisiche più

indipendentemente dal nostro modo di pensare e concettualizzare il

fondamentali. [...] Quello che vorrei sottolineare in questa sede è,

mondo, e dal nostro modo di descriverlo19. La possibilità metafisica di

innanzitutto, che queste tematiche possono essere affrontate con una

uno stato di cose, per esempio, non è determinata semplicemente dall’assenza di contraddizione nelle proposizioni utilizzate per descriverlo (benché, ovviamente, l’assenza di contraddizione sia un requisito minimale della possibilità metafisica), ma piuttosto dal fatto

discussione razionale e, secondariamente, che il tipo di argomentazione in esame è chiaramente metafisico. Far vedere che il tempo è metafisicamente possibile non consiste solamente nel dimostrare la consistenza logica del discorso temporale [...] né nel formulare una coerente teoria fisica del tempo sulla scorta, ad esempio, della teoria

che l’esistenza di tale stato di cose è resa possibile da principi e categorie

della relatività di Einstein. Quest’ultima dichiara alcuni principi

metafisicamente accettabili. La nozione di stato di cose, come quella di

fondamentali riguardo al tempo [...] ma il fatto che il suo oggetto sia

sostanza, proprietà e così via, è essa stessa una nozione metafisica.

proprio il tempo e che, in quanto tale, risulti possibile, sono questioni

Queste sono considerate da Lowe come nozioni trascendentali: non

metafisiche alla quali nessuna teoria scientifica può dare risposta» 20.

57


Quaderni della Ginestra

Considerando

le

nozioni

di

possibilità

e

necessità

come

referenziali non siano vuote.

interdefinibili, Lowe intende mostrare come la nozione di necessità (e dunque di possibilità) metafisica non coincida con la nozione di

«Quindi, assumendo che ‘l’acqua è H 20’ debba essere analizzato

necessità logica, anche se esiste una nozione di necessità logica

come un enunciato di identità costituito da due espressioni referenziali

coestensiva con la necessità metafisica21: la necessità logica ampia (o

(o nomi), risulterà essere solo debolmente necessario. Notiamo che se

allargata), cioè la verità in ogni mondo logicamente possibile, ovvero in ogni mondo in cui valgono le leggi della logica22. Ossia: dato P, se P è metafisicamente necessario allora non esiste alcun mondo logicamente possibile nel quale non-P sia vero, anche se è coerente dire che P è

‘l’acqua è H20’ viene analizzato come ‘Per ogni x, x è acqua se e solo se x è H20’, allora le difficoltà scompaiono immediatamente da sole poiché ‘l’acqua è H20’ diventa banalmente vera in tutti i mondi in cui l’acqua non esiste (nei mondi, cioè, dove nulla è acqua e quindi nulla è H20). Ciò che è fondamentale, in ogni caso, è che non è in virtù delle leggi della

necessario e che non-P è tuttavia possibile – nel senso che la verità di

logica più sole definizioni che ‘l’acqua è H20’ risulta vera in tutti i mondi

non-P non è scartata dalle leggi logiche insieme ai concetti non-logici

logicamente possibili (o, alternativamente, in tutti i mondi nei quali l e

presenti in P. In molti casi, tuttavia, questo tipo di necessità non è

espressioni referenziali non sono vuote) e pertanto non si tratta né di

conoscibile a priori, proprio perché molto spesso non è fondata sulla

una necessità logica assoluta né ristretta»24.

logica e sui concetti ma sulla natura delle cose 23. Un esempio di necessità logica ampia potrebbe essere ‘L’acqua è

In questo senso, diciamo che ‘l’acqua è H20’ è una necessità logica

H20’, anche se si può obiettare che questa proposizione non possa

ampia, in virtù della natura dell’acqua, non in base alle leggi logiche e

essere vera in ogni mondo possibile, dal momento che l’acqua non è

alle definizioni o ai concetti di acqua e di H20. Lowe chiama questo tipo

presente in tutti i mondi possibili. Una tale obiezione può tuttavia essere

di necessità con l’aggettivo ‘metafisica’ in quanto il suo fondamento è di

aggirata distinguendo tra necessità forte e debole: una proposizione è

carattere ontologico e non formale o concettuale. Ciò può costituire una

debolmente necessaria (nel senso della necessità logica ampia) solo nel

ragione per riservare il termine ‘necessità metafisica’ a quel tipo di

caso in cui è vera in ogni mondo possibile nel quale le sue espressioni

necessità logiche ampie che non sono anche necessità logiche assolute o 58


Pensare la realtà

ristrette. Ho sviluppato queste riflessioni in T. Tambassi, L’esistenza del reale. Metafisica, sostanza e tempo nella proposta di E.J. Lowe, “Philosophia: E-Journal of Philosophy and Culture”, 6, 2014, http://philosophy-e.com/lesistenza-del-reale-metafisica-sostanza-e-temponella-proposta-di-e-j-lowe/. 2 F. D’Agostini, Recensione: Manuali di metafisica, “2R – Rivista di Recensioni Filosofiche (SWIF)”, 3, 2007, pp. 57-58. 3 E. J. Lowe, The Possibility of Metaphysics: Substance, Identity and Time, Clarendon Press, Oxford 1998, trad. it. La possibilità della metafisica. Sostanza, identità, tempo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2009, p. 14. A tal proposito va sottolineato come Lowe individui quattro posizioni anti-metafisiche: il relativismo, lo scientismo, il neo-kantismo e il semanticismo. La prima posizione definisce la metafisica come «un prodotto deteriore della tracotanza intellettuale dell’Occidente, ovvero l’illusoria ricerca di un’inesistente verità ‘oggettiva’ e ‘totale’ effettuata secondo i principi della logica a torto considerati eterni e universali», piuttosto che connessi a una determinata situazione culturale. La seconda sostiene che, anche ammessa l’esistenza di un ambito di speculazione metafisica, saranno le scienze empiriche a dirci ciò che si può dire su tale ambito. La terza sostiene invece che la metafisica non può dire nulla sulla realtà oggettiva in se stessa, ma si occupa piuttosto di descrivere alcune proprietà necessarie e fondamentali del nostro pensiero sulla realtà. Infine, la quarta sostiene che le questioni metafisiche possano essere risolte con il solo ricorso alla teoria del significato, cfr. E. J. Lowe, La possibilità della metafisica, cit., pp. 14-19. 4 E. J. Lowe, A Survey of Metaphysics, Clarendon Press, Oxford 2002. 5 E. J. Lowe, La possibilità della metafisica, cit., p. 5. 6 Lowe tuttavia è restio a fornire una definizione rigorosa di metafisica, la cui imprecisione potrebbe comportare «il rischio di privilegiare un’impostazione filosofica a discapito di un’altra» E. J. Lowe, La possibilità della metafisica, cit., p. 13. 7 In questo senso, secondo Lowe, è un errore (kantiano) supporre che la metafisica riguardi la struttura dei nostri pensieri sulla realtà, piuttosto che la realtà stessa: «È vero […] che noi possiamo solo parlare razionalmente circa la natura dell’essere, in quanto siamo in grado di pensieri su cosa vi sia o su cosa vi possa essere nel mondo. Ma ciò non significa che dobbiamo sostituire lo studio del nostro pensiero sulle cose allo studio delle cose stesse. I nostri pensieri non costituiscono infatti un velo o una tenda interposti tra noi e le cose alle quali cerchiamo di pensare, e che in qualche modo ce le rende inaccessibili o imperscrutabili. Al contrario, le cose sono accessibili a noi proprio perché siamo in grado di pensarle. E le cose a cui pensiamo non collassano nei 1

«Potremmo legittimamente

affermare

[...]

che è un tratto

caratteristico (anche se non necessario) delle necessità metafisiche il non essere conoscibili a priori, a differenza con le necessità assolute e ristrette che sono, invece, tipicamente conoscibili a priori. [...] Definire ‘necessità metafisica’ come sinonimo di ‘necessità logica ampia’ o come sinonimo di ‘necessità logica ampia che non è né necessità logica assoluta né ristretta’ è alla fine una questione di gusti. Entrambe le definizioni andranno bene, se adeguatamente argomentate. Tuttavia, per questioni di semplicità e per consonanza con altri studiosi, adotterò la prima opzione. Ma vorrei far notare che benché non abbia problemi ad ammettere che la necessità metafisica di una proposizione come ‘L’acqua è H20’ (o dello stato di cose che tale proposizione descrive) non sia conoscibile a priori – dal momento che si basa sulla natura dell’acqua che non è conoscibile secondo quella modalità – insisto ancora sul fatto che la sola esperienza non è in grado di determinare cosa sia attuale in assenza di una delimitazione metafisica del possibile. Normalmente tale delimitazione fa riferimento alle categorie metafisiche, che sono completamente conoscibili a priori, a differenza dei generi naturali come l’acqua»25

TIMOTHY TAMBASSI 59


Quaderni della Ginestra

pensieri che abbiamo di esse» E. J. Lowe, A Survey of Metaphysics, cit., p. 14. 8 E. J. Lowe, La possibilità della metafisica, cit., p. 42. 9 Lowe considera la nozione di verità come primitiva e indefinibile, e così come per altre nozioni è restio a fornirne una definizione esaustiva, pur riconoscendole un ruolo ineliminabile nell’attività intellettuale. La mancanza di una definizione non gli impedisce tuttavia di considerarla come unica e indivisibile (alethic monism) e di opporsi a varie visioni relativiste che considerano la verità stessa come molteplice o relativa a un soggetto conoscente. Per un approfondimento della posizione di Lowe sul concetto di verità si veda: E. J. Lowe, The Four-Category Ontology: A Metaphysical Foundation for Natural Science, Clarendon Press, Oxford 2006, pp. 177-210. 10 E. J. Lowe, A Survey of Metaphysics, cit., p. 3. In questo senso, secondo Lowe, la metafisica va intesa come una disciplina autonoma di carattere razionale, e ogni cosa, inclusi lo status e le credenziali della metafisica stessa, è oggetto di indagine metafisica. 11 Dalla metafisica otteniamo inoltre risposte a questioni concernenti le strutture fondamentali della realtà, questioni più fondamentali di quelle affrontate dalle discipline scientifiche, che si occupano di indagare solo parti specifiche della realtà. 12 E. J. Lowe, A Survey of Metaphysics, cit., pp. 2-3. 13 E. J. Lowe, La possibilità della metafisica, cit., p. 22. 14 Lowe non ritiene però necessario distinguere con precisione assoluta gli argomenti a carattere metafisico e i problemi scientifici altamente teorici: tracciare un confine non è utile e non è richiesto per sostenere «che l’oggetto della metafisica è sufficientemente differenziato da costituire un nucleo tematico di una disciplina relativamente indipendente» E. J. Lowe, La possibilità della metafisica, cit., p. 13. 15 E. J. Lowe, A Survey of Metaphysics, cit., pp. 10-11. 16 E. J. Lowe, La possibilità della metafisica, cit., pp. 41-42. 17 In altre parole: «la metafisica fornisce le categorie, ma il modo migliore per applicarle nella costruzione di specifiche teorie scientifiche è una questione che è meglio lasciare agli scienziati stessi, a condizione che rispettino i vincoli che la cornice categoriale impone» E. J. Lowe, The Four-Category Ontology, cit., p. 19. 18 E. J. Lowe, La possibilità della metafisica, cit., p. 124. 19 Cfr. E. J. Lowe, A Survey of Metaphysics, cit., pp. 11-13. 20 E. J. Lowe, La possibilità della metafisica, cit., pp. 26-27. 21 La posizione di Lowe su questo punto è molto vicina alle tesi di Platinga e Forbes, cfr. A. Plantinga, The Nature of Necessity, Clarendon Press, Oxford 1974; G. Forbes, The Metaphysics of Modality, Clarendon Press, Oxford 1985.

E. J. Lowe, La possibilità della metafisica, cit., p. 29. Ibidem, cit. pp. 38-39. 24 Ibidem, cit. p. 30. 22 23

25

Ibidem, cit. pp. 31-32.

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Gli autori

Daniela Bandiera ha conseguito nel 2009 la laurea specialistica in Filosofia presso l’Università degli Studi di Parma ed nel 2013 ha terminato il dottorato di ricerca in Filosofia Teoretica e Pratica presso l’Università degli Studi di Padova, presentando una dissertazione dal titolo Tra corporeità, spazialità e immaginazione: forme dell’empatia in Husserl. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Il dilemma morale nei Lineamenti di etica formale di Husserl (in Dilemmi morali, a cura di A. Da Re e A. Ponchio, Il Melangolo, Padova 2011) e Vivere è sentire: fenomenologia della sensibilità in due recenti saggi di Vincenzo Costa (in «Archivio di storia della cultura», (25), 2012). Antonio Freddi, dopo una prima laurea magistrale in Ingegneria, si è laureato con lode in Filosofia presso l’Università degli studi di Parma. Ha successivament e conseguito il Dottorato di ricerca in Filosofia presso l’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro” dove è cultore della materia per Storia della Filosofia Moderna e Contemporanea. Oltre a collaborare con l’Accademia Cattolica di Brescia a un progetto di ricerca relativo all’intercultural ità, attual mente sta frequentando il master di secondo livello “International Politics” presso l’Università di Bologna. Alla fine del 2012 ha pubblicato con l’editore Aracne il testo Nietzsche e il prospettivismo: interpretazioni e influenze nella filosofia americana contemporanea; la sua eclettica attività di ricerca in ambito filosofico è testimoniata da vari saggi brevi e articoli su R. Rorty, D. Davidson, M. Foucault, E. Tugendhat, A. Feenberg, H. Frankfurt, Platone, postmodernismo, individualismo, interculturalismo, d emocrazia, scetticismo e filosofia dell’arte (per gli editori Limina Mentis e Morcelliana e nelle riviste «Rivista di storia della Filosofia», «Intersezioni», «La società degli individui», «Humanitas», «Exibart», «Quaderni della Ginestra» e «Dialegesthai»). Lucia Mancini è nata a Massa il 21 dicembre 1984. Dopo la laurea specialistica in Teorie filosofiche, ha conseguito nel 2009 il diploma per la classe di scienze umane presso l’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Negli anni universitari ha studiato in particolar modo lo storic ismo tedesco, il marxismo italiano e l’illuminismo napoletano. Nel 2012 ha terminato il ciclo di dottorato in filosofia presso l’Università degli Studi di Pavia d iscutendo una tesi dal titolo “Per un’introduzione alle tre serie di Appunti di filosofia dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci”. Da due anni lavora come redattrice. Giacomo Miranda ha compiuto gli studi presso l’Università degli Studi di Parma addottorandosi nel 2012 con una Tesi sul tardo cartesianesimo olandese. Ha collaborato con la «Società degli Individui» e fa parte del comitato redazionale dei «Quaderni della Ginestra». Autore di curatele, l’ultima in ordine di tempo è l a traduzione, in collaborazione con Leonardo Allodi, di Dio e il mondo, autobiografia del filosofo tedesco Robert Spaemann. Timothy Tambassi è Assegnista di Ricerca presso il dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” per il progetto Geolat – Geografia per la letteratura latina. Ha studiato nelle università di Parma e Verona e svolto attività di studio e ricerca presso la Durham University. I suoi interessi di ricerca comprendono: la metafisica, la filosofia della mente, la filosofia politica e l’ontologia formale e della geografia. Oltre a una serie di saggi pubblicati su riviste scientifiche nazionali e internazionali, è autore delle monografie Il rompicapo della realtà. Metafisica, ontologia e filosofia della mente in E.J. Lowe (Milano-Udine, 2014) e Relativamente possibile (Gaeta, 2014). Ha curato (con G. Miranda) Percorsi nella soggettività (Parma, 2013). Cristina Travanini si è laureata all'Università degli Studi di Parma e ha conseguito il dottorato di ricerca presso la Scuola Superiore di Studi in Filosofia, Università di Roma Tor Vergata, con una tesi dal titolo “Oggetto e valore. Prove di parallelismi tra teoria del valore e teoria dell’oggetto in Alexius Meinong”.


Immagini di:

Matteo Cetterelli http://500px.com/mattofflorence

Andrea Marchese http://500px.com/andreamarchesepr

Martina Tambassi marty_tam@hotmail.it




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