REDAZIONE Direttore: Anna Maria Ricucci. Vicedirettore: Corrado Piroddi. Figure dell’individualismo: Ferruccio Andolfi, Elisa Bertolini, Simona Bertolini, Simona Del Bono, Antonio Freddi, Donatella Gorreta, Nausicaa Milani, Giacomo Miranda. Meditazioni filosofiche:Marco Anzalone, Elisa Bertolini, Valeria Bizzari (coordinatrice), Anna Pagliarini, Lavinia Pesci, Martino Pesenti Gritti, Alberto Siclari, Timothy Tambassi, Roberto Venturini. Cinema e filosofia: Marco Bigatti, Roberto Escobar, Pietro Parmeggiani, Corrado Piroddi (coordinatore). Libri in discussione: Mara Fornari, Mirella Lucchini, Timothy Tambassi (coordinatore). Esperienze didattiche: Teresa Paciariello (coordinatrice), Marina Savi, Chiara Tortora. Letteratura e filosofia: Margherita Aiassa (coordinatrice), Alessandro Bonanini, Carlo Guareschi, Italo Testa. Promozione: Marco Anzalone, Carlo Guareschi, Mirella Lucchini, Martino Pesenti Gritti, Anna Maria Ricucci. Ricerca immagini, composizione, grafica e web: Margherita Aiassa, Marco Anzalone, Elisa Bertolini, Valeria Bizzari, Alessandro Bonanini, Pietro Parmeggiani, Corrado Piroddi, Anna Maria Ricucci, Roberto Venturini. Direttore responsabile: Ferruccio Andolfi.
SOMMARIO
Figure dell’individualismo................................................................................................................................................p. 6 Amore di sé e narcisismo nei filosofi individualisti dell’Ottocento di Ferruccio Andolfi............................................................................p. 7
Meditazioni filosofiche..................................................................................................................................................p. 22 La presenza dell’assenza. Forse di Antonio Freddi...............................................................................................................................p. 23 Il tempo e la pienezza della gioia:un confronto Nietzsche-Dostoevskij di Livio Rabboni.........................................................................p. 29
Cinema e filosofia............................................................................................................................................................p. 34 Un altro mito della caverna: la forza della legge in Batman di Federica Gregoratto...........................................................................p. 35
Letteratura e filosofia..................................................................................................................................................p. 40
George Perec e W o il ricordo dell’infanzia: l’inassumibile di Michael Archetti......................................................................................p. 41 La prova del fuoco. Sogno, rimozione e coscienza ne Le rovine circolari di J. L. Borges di Giovanni Consigli.........................................p. 48 Emendabile o incurabile? La figura del delinquente-selvaggio nella Colonia felice di Carlo Dossi di Alessio Berrè...................................p. 53
Didattica e filosofia......................................................................................................................................................p. 64 Dalla relazione tra soggetti all’intersoggettività: un percorso didattico di Marina Savi..............................................................................p. 65
Libri in discussione....................................................................................................................................................p. 70 Realmente liberi, realmente rivoluzionari di Giacomo Miranda…………..……...............................................................................p. 71 La peste tra colpa e destino di Daniele Foti…………………….......................................................................................................p. 74 Sentire e conoscere: l’uomo, “creatura emotiva” di Cristina Travanini......................................................................................................p. 76
Giorgia Zerbini, nata a Parma nel 1980. Si laurea in Architettura nel 2008, studia e lavora a Madrid per diversi anni e dopo un’esperienza di alcuni mesi in Australia torna a Parma dove attualmente vive. La fotografia non è un lavoro, non è un hobby, ma è per Giorgia un modo di essere. Il mirino, il suo personale e particolare sguardo sulla cose. L’obiettivo, tutto ciò che la incuriosisce, che la meraviglia, che la turba: scene di strada, frammenti di città, paesaggi sconfinati.
.
Figure dell’individualismo
AMORE DI SÉ E NARCISISMO NEI FILOSOFI INDIVIDUALISTI 1 DELL’O TTOCENTO
I
mentalità comune e nella retorica religiosa o politica, che si limita a condanne sommarie di ogni traccia di egoismo o di individualismo, senza indagare le ragioni che hanno portato a riabilitare questi termini,
filosofi hanno affrontato la questione del narcisismo nel quadro di
originariamente legati all’idea di una trasgressione colpevole dei vincoli
una diagnosi della modernità come epoca dell’individualismo. Essi
comunitari. Molti conflitti e malintesi nei rapporti di coppia trovano
non hanno sempre una percezione precisa delle dinamiche psichiche in
giustificazione in un presunto mal definito «egoismo» imputato al
gioco e si muovono piuttosto sul terreno dell’etica o della teoria sociale.
partner. La persistenza di questi luoghi comuni rappresenta di per sé già
Di rado l’egoismo di cui parlano possiede la componente affettiva
una buona ragione per continuare a gettar luce sulla complessità e
presente nel narcisismo, per lo più indica un processo autoconservativo
ambivalenza del comportamento egoista.
dell’io. Tuttavia negli ultimi due secoli filosofi e teorici sociali hanno
Il secolo d’oro dell’individualismo è il secolo XIX. Simmel, che ha
fornito elementi utili per definire le condizioni di formazione di una
scritto al termine di questo periodo, caratterizza l’individualismo
personalità supposta sana e indicato i rischi che corre in un ambiente
dell’800 come un individualismo della differenza o dell’unicità 2. Vorrei
orientato verso una individualizzazione sempre più spinta e insieme,
ripercorrere questo itinerario ricostruendo le posizioni di tre grandi
paradossalmente, verso il conformismo sociale.
personalità. Un teologo luterano, Schleiermacher, esponente di rilievo
Il termine individualismo è stato utilizzato per designare quel-
del Romanticismo, operante al principio del secolo – i suoi Monologhi
l’insieme di fenomeni, di carattere sociale psicologico ed etico, che si
apparvero a Capodanno del 1800 3 – fornisce nel suo singolare
sono prodotti nell’età moderna, con il progressivo distacco di individui
individualismo una sintesi quasi perfetta tra il raccoglimento in se stessi
emancipati da una matrice sociale comune, a volte indicata con il
e l’apertura altruistica. Un anarchico individualista, Max Stirner, a metà
termine forte «comunità». Più remotamente i fenomeni di quest’ordine
secolo, radicalizza la critica della religione nell’L’unico e la sua proprietà
erano affrontati, a livello etico, ricorrendo ai concetti di «egoismo» o di
(1845) 4, rivendicando per l’io, nella sua singolarità, l’autosufficienza
«amore di sé». Queste vecchie impostazioni sono ancora attive nella
divina. A lui si deve l’esperimento più radicale di staccare l’individuo
7
Quaderni della Ginestra
dalla sua matrice sociale. L’unilateralità del suo punto di vista è ciò che
legittima. Sul piano etico si verifica la stessa cosa. L’etica kantiana delle
lo rende interessante ma insieme lo espone al fallimento. Il fallimento
legge universale, uguale per tutti, viene abbandonata a favore di un
discende dalla pretesa di eliminare dalla sfera dell’individualità qualsiasi
dover essere fortemente individualizzato.
momento sacro. Qualche decade più tardi Nietzsche prende atto delle
Schleiermacher descrive la scoperta di questa vocazione a costruire
difficoltà insuperabili che derivano dalla separazione del soggetto dal
un proprio io incomparabile attraverso una mescolanza singolarissima
processo storico-naturale che lo precede, e ricompone questi due
degli elementi della comune umanità come un evento cruciale, una sorta
momenti nel sentimento cosmico dell’oltreuomo – che oscilla però
di illuminazione, che gli ha permesso di riaggregare d’allora in avanti
continuamente tra sentimento di appartenenza a una totalità più grande
tutte le sue successive esperienze a questo nucleo fondamentale. Questa
e incorporazione dentro di sé di questa totalità5.
scoperta, egli afferma, «mi ha elevato e separato da tutto ciò che di comune e di informe mi circonda, facendo di me un’opera della divinità
Schleiermacher e il doppio movimento dell’animo
che può rallegrarsi di avere una figura e una conformazione del tutto speciale». La capacità di conservarsi fedele a quest’immagine di sé è
Cominciamo dal pio Schleiermacher. Egli è un difensore della
rappresentata con un certo compiacimento: «In verità mi sembra di
religione dagli attacchi dei suoi detrattori illuministi. Ma la difesa
essere lo stesso uomo di quando cominciò la mia vita migliore, ma di
comporta una profonda reinterpretazione della religione stessa. Ogni
esserlo in modo più saldo e determinato» 6.
elemento mitico viene abbandonato, e persino dogmi che si presumono
In questo modello la percezione e costruzione del proprio sé più
irrinunciabili per il credente, l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima,
autentico e peculiare sta in equilibrio con il sentimento della comune
vengono ritenuti non essenziali e, per il loro carattere trasparentemente
umanità e con il sentimento dell’Assoluto. L’Assoluto stesso si esprime
utilitaristico (dio esiste per rendere possibile la nostra vita immortale),
nella forma della individualità, e l’individuo d’altra parte guadagna la
non propriamente religiosi. Ogni sentimento dell’Assoluto di cui il
propria stessa singolarità grazie a questa sua espansione religiosa. Messa
singolo individuo è portatore rappresenta una forma di religiosità
da parte come non religiosa la fede in una durata temporale illimitata
8
Figure dell’individualismo
oltre questa vita, l’accesso a una superiore dimensione spirituale è
Schleiermacher presenta il percorso di ricerca della propria identità
contemplata come possibile ad ogni istante di questa vita. Questa
come esemplare, come una meta cioè che tutti sono in grado e
tensione conferisce valore alla vita ma senza produrre gli effetti alienanti
dovrebbero perseguire. La varietà delle vocazioni è ridotta nei Monologhi
della credenza in una figura idealizzata e onnipotente. Caratteristica di
a due tipi principali. C’è chi orienta la propria vita, nell’otium, alla
questo individualismo etico-religioso assai originale è la convinzione che
formazione di sé – questa è la strada che Schleiermacher rivendica
per essere se stessi occorra trascendersi. Gli altri non rappresentano un
anche come propria – e chi attende piuttosto alla produzione di opere.
ostacolo alla propria formazione, che anzi si compie grazie a una
Mentre quest’ultimo – Schleiermacher ha in mente gli artisti dei circoli
sensibilità e un amore universale.
romantici – ha bisogno di solitudine, chi sceglie di attendere alla propria
Il compiacimento di sé che accompagna il processo di scoperta e
formazione non può fare a meno di rapporti socievoli.
realizzazione di sé non sembra avere particolari implicazioni
Altrove, nel primo discorso sulla religione8, ogni vita (e anima)
patologiche, e consiste piuttosto in un’autostima che conferma di
umana è vista come il prodotto di due tendenze opposte. La prima
continuo l’agente nella strada che sta seguendo. L’immagine di sé
tendenza porta il vivente ad «attrarre a sé tutto ciò che lo circonda,
ritrovata al termine di un laborioso processo di osservazione interiore
intrecciandolo alla propria vita, assorbendolo completamente, per
funge da ideale dell’io. Uso quest’espressione perché Schleiermacher
quanto possibile, nella sua realtà interiore». L’altra aspirazione mira ad
dice espressamente, in tacita polemica con Kant, di non conoscere più
«espandere sempre più il proprio io interiore, dall’interno all’esterno (ihr
la coscienza come istanza giudicante e punitrice (Gewissen). «Non
eigenes Selbst von innen heraus immer weiter auszudehnen), in modo che tutto
conosco più quel che gli uomini chiamano coscienza, nessun sentimento
sia compenetrato da esso, e tutto sia partecipato». La prima è rivolta al
mi tormenta né ho bisogno di ammonimenti». La coscienza (Bewusstsein)
godimento, la seconda invece lo disprezza e mira solo a un’attività
dell’umanità non genera una quantità di prescrizioni di ciò che deve e
sempre più intensa ed elevata da cui si originano le costruzioni storiche
soprattutto che non deve essere compiuto ma semplicemente ispira un
(«forza e legge, diritto e utilità»). Ogni anima partecipa di entrambe le
agire che sia degno dell’umanità 7.
tendenze, anche se in essa può essere prevalente o quasi esclusiva una di
9
Quaderni della Ginestra
esse.
In questa rappresentazione ciascuna individualità comporta
distrutto da un eccesso di passività nel ricevere.
sempre un bilanciamento tra due momenti opposti: quello centripeto o
A volte si ha l’impressione che Schleiermacher indulga a un certo
autoaffer mativo, per cui le cose vengono ricondotte (attratte,
autocompiacimento dell’io che si osserva nella meditazione. Egli rico-
incorporate) nell’ego che ne gode e si valorizza, e quello centrifugo,
nosce la propria stessa vocazione in una «cultura dell’io» nello spazio
orientato verso l’altro da sé, in un movimento infinito, per cui le cose
dell’otium che si oppone a quella del produttore di opere. Ma subito
ricevono forma ad opera di un ego produttore. Schleiermacher scorge il
precisa che l’efficacia di questa esplorazione interiore è subordinata a
rischio di un isolamento sterile non solo nell’estremo del ripiegamento
una ricca frequentazione sociale, e che anzi la meditazione stessa ha una
passivo su di sé ma anche nel polo opposto di un vuoto darsi da fare
destinazione sociale, quanto meno nel circuito dell’amicizia. Così
privo di obiettivi praticabili. Le combinazioni migliori corrispondono a
sarebbe errato vedere all’opera nelle pagine dei Monologhi un puro
ciò che oggi chiameremmo un’identità ben riuscita: in essa l’impulso a
ripiegamento narcisistico.
tener fermo il proprio sé come centro dell’esperienza si trova in perfetto
La matrice «religiosa» dell’individualismo di Schleiermacher pone un
equilibrio con quello opposto ad esprimere il proprio sé all’esterno,
interrogativo alla metapsicologia psicoanalitica, in genere piuttosto
imprimendo una forma al mondo.
scettica verso l’avvenire dell’illusione religiosa. Sembrerebbe che la
L’individualismo professato dal teologo berlinese corrisponde ben
particolare evoluzione della religione indicata dal protestantesimo
poco all’immagine a cui esso è stato comunemente associato nelle
liberale non comporti i rischi legati alla fede nell’onnipotenza del
polemiche successive. Non ha i tratti dell’individualismo atomistico che
pensiero né quelli dissolutivi del «sentimento oceanico».
ritroviamo nelle teorie liberali. La condizione perché l’individuo apprezzi la propria peculiarità è infatti una sensibilità universale che gli permette di situarla nel contesto della infinita varietà possibile delle espressioni di umanità. Né ha i tratti dell’individualismo possessivo: in assenza di un atteggiamento di apertura e di donazione l’animo sarebbe
10
Figure dell’individualismo
“AHORA HAY UN VACÍO...”, ESTACIÓN DE ATOCHA, MADRID, 2008 11
Quaderni della Ginestra
Stirner: un solitario nemico del sacro
pertanto distinguere azioni egoistiche e non egoistiche; l’unica distinzione possibile passa tra comportamenti dettati da un egoismo
A metà dell’Ottocento l’individualismo di Stirner, ne L’unico e la sua proprietà, sottolinea di nuovo il carattere incomparabile di ogni
«rozzo» e altre dettate da un egoismo «maturo», capace anche di momenti di «oblio di se stessi».
individualità. Anche per lui, come per Schleiermacher, l’uniformarsi a
In nome dell’unico Stirner conduce una polemica contro il principio
una legge generale si risolve in un rinnegamento di sé e della propria
di uguaglianza che vede rappresentato a livello di generalità filosofica
individualità. Ma questa nuova teoria individualistica muove da
nella morale kantiana e in forma politica dai movimenti liberali.
presupposti assai diversi: si situa all’interno di una critica allargata della
L’istanza dell’individualità (Eigenheit), ovvero la determinazione a seguire
religione (o del sacro), che investe ogni sua trasfigurazione umanistica,
la propria strada, rappresenta qualcosa di diverso e di assai più radicale
in primo luogo l’etica dell’abnegazione storicamente dominante.
della libertà (Freiheit), che è un semplice sbarazzarsi di vincoli
Il termine «individuo» non è ritenuto anzi in grado di esprimere la
opprimenti.
differenza, perché indica comunque l’articolazione di un «genere», e ad
Il frutto principale che Stirner trae dal confronto con la morale
esso viene preferito il termine «unico», il quale si sottrae a qualunque
kantiana è l’idea che ciascun individuo debba seguire il proprio interesse
definizione e rimanda solo alla descrizione di ciò che ogni singolo
o quanto meno ciò che è per lui interessante. La società viene
diventa. Lo «stato sociale,» cioè di appartenenza di un individuo a una
rappresentata come uno strumento che l’unico deve utilizzare per i
comunità, biologica o civile, è considerato uno stato di natura che
propri fini. Al di fuori di questa funzione utilitaria il sociale, l’essere
l’evoluzione maturativa del vivente, come quella complessiva della
legati, coincide con la sfera del sacro che Stirner intende eliminare.
civiltà, è destinata a superare. Il punto tendenziale di arrivo è dato da
Ciò spiega come mai Stirner, che pure poteva trovare nelle posizioni
una forma di egoismo consapevole o maturo, che consiste nell’onesto
di Schleiermacher la prefigurazione del carattere incomparabile
riconoscimento che qualunque azione si compia, fosse pure in nome del
dell’unico, si guardi bene dal richiamarsi alla costellazione di idee
più puro disinteresse, è compiuta per amore di se stessi. Non si possono
romantico-religiose prima illustrato. Il rapporto con l’infinito immette il
12
Figure dell’individualismo
finito in un’atmosfera sacra. L’appropriazione del sacro auspicata
esterne (lo Stato, la religione), ma la direzione della terapia è indicata
dall’«unico» suppone invece che esso venga «divorato» e così eliminato.
correttamente: conciliarsi con la propria figura di individui che hanno
Con questa eliminazione viene meno ogni venerazione e forma di
operato un distacco dalla totalità a cui appartenevano. Meno persuasiva
dipendenza – da cose, pensieri e legami sociali – che implica servilità, e a
è la convinzione che questo distacco debba essere operato in nome della
cui Stirner oppone la grandiosità dell’individualità ribelle o peccatrice.
propria perfezione.
Il delitto non è altro che l’atto (ogni atto) mediante cui il singolo si
Lo sviluppo delle individualità non è più garantito dal fatto di attuarsi
sottrae al potere e alla potenza delle istituzioni. Il singolo può assumere
nel quadro della realizzazione simultanea di una realtà assoluta. I limiti
il delitto come propria parola d’ordine in quanto lo carichi di questo
spaziotemporali dell’esistenza finita vengono apertamente riconosciuti.
significato fondamentale di disubbidienza di fronte al prepotere dello
In questo Stirner non fa che trarre le ultime conseguenze del
Stato: che tende a coincidere d’altronde con lo stato di cose esistente 9. Il
riconoscimento della mondanità compiuto da Feuerbach. La sua
delitto nasce da idee fisse, esiste solo in rapporto alla credenza in valori
posizione rappresenta davvero, da un certo punto di vista, l’inizio di un
sacri e assoluti. Chi si spoglia di tale credenza è innocente. Se continua a
modo nuovo di rapportarsi al problema del l’individualità, in un
definire la sua azione delitto lo fa solo polemicamente 10. Il peccato, o la
orizzonte di piena immanenza.
colpa, esiste solo in rapporto a una mancanza che la coscienza religiosa
Tuttavia, come egli stesso ebbe a dire, «il sacro non si lascia mettere
ha proclamato universale («siamo tutti peccatori»). L’eliminazione del
da parte facilmente» 12. Sarebbe azzardato considerare lo spostamento
peccato è resa possibile dalla coscienza che non ci manca niente e che
avvenuto come un processo non reversibile. Stirner si trovò di fronte al
«siamo già perfetti». Basterebbe dunque raggiungere questa coscienza
compito storicamente urgente di una liberazione dall’autorità del sacro.
«egoista» della propria perfezione perché il peccato perda ogni senso 11.
Ma una volta che fu indebolita quest’autorità, furono gli stessi individui
Il processo di liberazione dal senso di colpa è rappresentato in maniera
emancipati a voler ripensare la loro autonomia in un contesto di
piuttosto semplicistica, come se il senso di colpa non avesse profonde
appartenenze e dipendenze. L’unico fu così messo in grado di
radici nella vita interiore degli individui e derivasse solo da istanze
abbandonare anche l’idea fissa del proprio vantaggio e di assumersi
13
Quaderni della Ginestra
nuove responsabilità sociali.
individualità propria è una conciliazione con ciò che è stato sempre
Questo accade un secolo più tardi in quel singolare continuatore di
vissuto con rimorso, in quanto si opponeva al valore morale centrale
Stirner che è Albert Camus, autore de L’homme revolté (1951). Il modo in
dell’«essere legati» (Gebundensein). La buona coscienza con cui
cui questi concepisce la rivolta, ancorandola a un valore umano
l’individualità viene finalmente vissuta favorisce la formazione di
condiviso che si vuole proteggere, le imprime una svolta solidaristica.
individualità forti e il compimento di grandi azioni. La moralità stessa,
L’origine della rivolta è squisitamente individuale, ma essa mette in
opera di questo individuo cosciente di sé, si configura sempre più come
questione questa condizione solitaria dell’individuo e consente il
invenzione personale degli stessi criteri di valore. Attenersi a prescrizioni
passaggio dalla tragedia individuale (l’assurdo) a una coscienza collettiva
morali uniformi per tutti ha senso solo per individui che «non si
della necessità di opporsi a condizioni inaccettabili di esistenza in nome
riconoscono in modo rigorosamente individuale e debbono avere una
dei valori minacciati. Sono solo le moderne società individualistiche,
norma fuori di sé».
mettendo in campo questioni di diritti, con il contrasto tra l’uguaglianza
Questo tema di un individuo forte che si sottrae al peso della
proclamata e le disuguaglianze di fatto sussistenti, ad attivare i
tradizione, accentuato fortemente negli scritti del periodo intermedio
movimenti di rivolta, ma questi non fanno altro che mettere in risalto
della produzione di Nietzsche (il cosiddetto periodo «illuministico»),
una delle dimensioni essenziali dell’essere umano 13.
cede progressivamente al motivo, apparentemente opposto, secondo cui l’individuo acquista grandezza attraverso un sentimento cosmico che gli
Nietzsche: un ego che ricapitola il mondo
consente di riprendere in sé l’infinito corso degli eventi. A questa apertura corrisponde una revisione dell’idea tradizionale del soggetto
In Umano troppo umano Nietzsche ha mostrato come la rottura di
come unità sovrana. L’io cosciente viene indebolito, dissolto in una serie
comunità tradizionali coese, la messa in discussione di tradizioni ritenute
di istanze inconsce, concepito come uno strumento al servizio della
sacre, ha aperto la strada a nuove possibilità di sviluppo di «spiriti liberi».
saggezza dell’organismo, che non attende questo sviluppo per svolgere
La prima condizione per il riconoscimento del valore della
le sue funzioni autoconservative. È una finzione regolativa, che serve ad
14
Figure dell’individualismo
assicurare una certa stabilità e riconoscibilità. Nel Crepuscolo degli idoli
una capacità di appropriazione e di conseguenza il fondamento di un
questo costrutto viene riportato al bisogno di indicare un responsabile
sistema di differenze e preminenze gerarchiche 14.
di ciò che accade, un centro di imputazione. Da questo assunto morale,
L’affermazione che l’ego rappresenta l’intera catena dell’essere fino a
già esaminato nell’aforisma 107 di Umano troppo umano, sarà possibile
lui potrebbe essere letta in senso solidaristico, come il riconoscimento di
liberarsi con l’avvento della «saggezza», che rinuncia al giudizio e
un’affinità di fondo che unisce tutti gli esseri, malgrado le differenze, in
riconosce l’«innocenza del divenire».
un destino comune. Ma Nietzsche fa valere questo carattere riassuntivo
Nietzsche condivide l’obiettivo stirneriano di liberare gli individui dal
dell’io esattamente per il motivo opposto, per rimarcare la differenza di
senso di colpa, e innanzitutto dalla colpa di essere se stessi. Ma per lui
valore di ciascuno di questi percorsi, ciascun ego riepiloga a suo modo
questa colpa può essere superata solo a condizione di rinunciare alla
l’intero cammino evolutivo che lo precede, attraverso un punto di vista
limitatezza del punto di vista dell’individuo.
selettivo, che lo rende distante e incomparabile con qualsiasi altro. Il
Il concetto di sacro che affiora in questa ridefinizione nietzschiana
generico attaccamento a sé dell’individuo non ha valore alcuno, né
dell’individuo non implica tuttavia quel vissuto di dipendenza che
merita alcuna speciale considerazione, solo l’egoismo dei grandi
Schleiermacher aveva riconosciuto come elemento distintivo della
individui ha interesse per l’umanità. Questo egoismo consiste nel volere
religione, ma che anche un critico della religione come Feuerbach aveva
il destino del mondo, ovvero nell’inglobare in sé l’intero suo divenire. Il
riproposto in un orizzonte immanentistico come sua eredità
senso di appartenenza, che la formula sembrava suggerire, slitta così
ineliminabile. Non è facile precisare infatti se il superamento della
impercettibilmente verso l’incorporazione del mondo. Alcuni critici
prospettiva dell’individuo corrisponda a un riconoscimento di limiti o a
hanno utilizzato, a proposito di questo «rospo gonfiato fino
una più esaltata coscienza di sé, che rischia di compromettere la giusta
all’inverosimile», proprio le metafore dell’«incorporare», del «divorare» o
intuizione della necessità per l’individuo di «farsi parte». Se è vero che la
del «fagocitare» il mondo 15.
forza dell’individuo viene collegata alla sua capacità di aderire all’intero processo del divenire, questa capacità è sempre sul punto di diventare
15
Quaderni della Ginestra
SENZA META, SIENA, 2010 16
Figure dell’individualismo
Conclusioni
una coscienza adeguata dei condizionamenti che l’io subisce da parte del mondo reale. Dal punto di vista relazionale la priorità del proprio punto
Vorrei spendere qualche parola finale circa gli insegnamenti che si
di vista, nella scoperta e costituzione del proprio sé come nel plasmare il
possono trarre dalla tradizione etico-filosofica esaminata per quanto
mondo, è sempre bilanciata dall’insistenza sulla necessità di scambi
concerne il senso che l’amore di sé riveste nella costituzione dell’identità
socievoli, ritenuti essenziali per la propria stessa identificazione.
personale.
Il soggetto in questa concezione ha una figura coerente, forte,
La categorie utilizzate per indicare l’io e le sue vicende sono varie.
persino grandiosa. Intuizione e sentimento sono le sue facoltà
Nel caso di Schleiermacher l’io è inteso in termini di «spirito», di
costitutive. L’orientamento religioso e le scelte etiche ne sono gli
«anima» o di «animo», con una enfatizzazione della sua dimensione inte-
elementi costitutivi. L’etica, diversamente che in Kant, non mira a
riore, autoriflessiva, e della sua libertà nel decidere del proprio destino.
garantire la convivenza sociale attraverso regole e divieti, ma aderisce ai
Il «mondo esterno» riflette il nostro essere interiore. Ciò deve però
progetti di vita individuali, che si suppongono dotati di una
essere
cui
fondamentale positività, e, grazie al radicamento in una comune
nell’apprendimento del mondo giocano un ruolo decisivo le nostre
«umanità», armonizzabili. La costruzione coerente del proprio piano di
interpretazioni che non in quello di uno spiritualismo assoluto e
vita è la norma fondamentale o unica di una siffatta morale, che quindi
sostanzialistico. La deduzione del mondo dall’io, al modo di Fichte, non
non conosce neppure una molteplicità di virtù.
inteso
piuttosto
nel
senso
«ermeneutico»
per
appartiene a Schleiermacher, che anzi lamenta in Fichte la separazione
L’unico di Stirner ha caratteristiche meno forti e determinate. Come
di filosofia e vita. I momenti di necessità del mondo sono riportati al
ha osservato Simmel, per il suo carattere formale è «l’io dell’egoismo
fatto che in esso, come comunità degli spiriti, interagiscono una
svuotato di ogni contenuto, radicale, privo di legge e di contrasto» 16. La
molteplicità di attori e si producono quindi effetti non corrispondenti
coerenza del percorso vitale sembrerebbe disperdersi nella varietà e
alle azioni libere di ognuno di essi. Sembra quindi scongiurato il rischio
momentaneità del «godimento di se stessi». Tuttavia l’egoismo si
di un assorbimento del mondo nell’io, sebbene manchi indubbiamente
presenta a questo soggetto come una sorta di missione, capace di
17
Quaderni della Ginestra
liberarlo dagli infiniti vincoli, istituzionali, religiosi ed etico-umanistici
comune umanità acquistano una curvatura speciale in ogni singolo, non
che l’hanno finora condizionato. Si tratta di una via che dovrebbe
sembra comprendere che essi, con tutta la loro peculiarità, restano
condurre all’«autenticità» e anche a rimodulare i rapporti sociali secondo
tuttavia comuni, creando quindi vincoli sociali 17.
questa dimensione. Il contrasto tra individui, portato all’estremo, fino a
Nietzsche prospetta una concezione che lascia trasparire meglio di
negare cioè gli stessi ruoli sociali che essi rivestono, dovrebbe metterli in
quelle dei suoi precursori l’ambivalenza del soggetto e i pericoli a cui è
grado non solo di competere ma anche di avere relazioni positive faccia
esposto. Permane l’ideale di un uomo grande, che si spinga anzi oltre i
a faccia. «Nella estrema separatezza si dissolve il contrasto».
limiti dell’umano, come suggerisce il termine Übermensch. Uno degli
La socialità viene recuperata nella forma esile del contratto, ovvero di
aspetti di questa grandezza consiste nella invenzione o creazione dei
un’unione volontaria, che ha limitati scopi utilitaristici. Marx si
propri criteri morali di condotta. La scelta etica non ha principalmente
confrontò con questo modello, lamentando il carattere poco vitale di un
un orientamento sociale ma è volta all’incremento del proprio sé. Il
rapporto sociale di tipo strumentale. Egli ripropose a suo modo l’unicità
dovere è collegato al potere, al possesso di risorse, a un’espansione
libera da ruoli sociali irrigiditi come meta dello sviluppo storico e della
vitale. L’individuo grande è quello che è capace di volere che la propria
stessa trasformazione rivoluzionaria. In questa critica resta dubbio però
vita sia ripetuta all’infinito. Resta indeterminato se l’espansione di sé sia
se l’istanza dell’unicità ribelle possa essere guadagnata al termine di un
volta ad una auto affermazione sugli altri o possa assumere anche
percorso di cui essa stessa non sia stata protagonista.
l’aspetto dell’abnegazione.
Preziosa appare la tesi stirneriana per cui l’altruismo può essere
L’ambivalenza di questa posizione, che alterna vissuti di superiorità e
ricondotto a una forma di egoismo maturo. Non esiste però alcuna
di annullamento, può essere descritta in linguaggio religioso. Nietzsche,
ragione per negare che un’azione da cui si ricava un senso di
come ha osservato Simmel, «vuole liberarsi dal tormento della
soddisfazione di sé sia per ciò stesso non altruistica. Un analogo vizio di
lontananza da Dio». Non può tollerare di non essere Dio, analogamente
ragionamento si può osservare nella stessa concezione antropologica di
ai mistici cristiani o a Spinoza. L’intollerabilità dell’opposizione tra Dio
Stirner, il quale, dopo aver giustamente affermato che gli elementi della
e l’io nel caso della mistica si annulla per il fatto che cade l’io – questo è
18
Figure dell’individualismo
pure il senso dell’affermazione spinoziana omnis determinatio est negatio –,
2. l’etica. Qui la tendenza comune porta verso il superamento
mentre Nietzsche ottiene lo stesso risultato negando Dio. La soluzione
dell’etica universalistica orientata alla salvaguardia della convivenza
di Schleiermacher partiva viveversa da un presupposto di compatibilità
sociale in nome di un’etica che aderisce alle specificità dell’agente
della particolarità con l’universalità divina. Per lui, è ancora Simmel a
morale. Il movimento è da un’etica della prescrizione e della colpa verso
notarlo, esse si escludono così poco che, al contrario, quella è soltanto la
un’etica fondata su un’ideale positivo dell’io e sulla vergogna di non
forma in cui questa si mostra». «La personalità, l’unicità, è il modo in cui
corrispondere ad esso. Mentre la prima si presenta come un’etica delle
vive l’universo». Se la scissione dei due termini decade, non c’è più
regole riferite a singole azioni da sottoporre a giudizio, l’altra assume
necessità di negare, in nome della sua insostenibilità, uno dei suoi lati18.
come referente ideale una certa immagine coerente del soggetto 19. La
Se ci chiediamo conclusivamente per quali aspetti la linea di pensiero
coscienza della propria identità, ovvero del possesso di determinate
che ho qui ricostruito possa contribuire, in maniera diretta o indiretta, a
risorse (poteri) crea la responsabilità di esercitarle, al di là di ogni
illuminare la questione del narcisismo, l’attenzione può concentrarsi sui
obbligo e sanzione 20. La psicoanalisi, a partire da Freud, ha privilegiato il
seguenti punti:
modello superegoico di etica, la sua versione kantiana. Ora, che cosa
1. il rapporto io-mondo. Nella tradizione considerata l’io ha una sorta di priorità sul mondo. Quest’ultimo è un riflesso dell’io o dello
accadrebbe se essa assumesse un modello di etica non imperativo bensì ottativo? E quali conseguenze ne deriverebbero per la pratica clinica?
spirito (Schleiermacher), è uno strumento di cui l’io si serve per la
Naturalmente il fatto solido e gravido di conseguenze del senso di
propria autoconservazione, utilità e godimento (Stirner), viene
colpa non può essere accantonato con disinvoltura. Suppongo, ma qui
incorporato da un io che la metapsicologia psicoanalitica definirebbe
mi avventuro in un campo incognito, che la separazione, ogni
megalomanico (Nietzsche). L’aspirazione dell’io alla grandezza è un
separazione dell’individuo dai suoi luoghi originari di appartenenza non
elemento comune, di per sé non patologico. Lo diventa quando si
possa essere vissuta senza sentimento di colpa. La sua attenuazione, o
realizza a spese dell’altro, asservito a strumento o addirittura inglobato
la capacità di convivere con esso, potrebbe essere favorita
in sé.
dall’assunzione di un diverso modello, consapevolmente utopico, di
19
Quaderni della Ginestra
moralità come realizzazione del proprio singolare dover essere.
l’interpretazione della religione come onni potenza del pensiero e del
3. L’altruismo. Si assiste, almeno in Stirner e Nietzsche, a una
desiderio non ha tenuto nel debito conto la varietà delle espressioni
riduzione dell’altruismo a una forma di egoismo maturo. Si registra qui
religiose e degli stessi modi d’intendere il desiderio d’immortalità.
qualche affinità con la posizione di Heinz Kohut, il quale contesta
Questo desiderio, reinterpretato in modo secolarizzato, indica una
anche lui l’opposizione tra quei due termini e ragiona sulla possibilità
possibilità aperta in ogni istante dell’esistenza terrena. A questo modo il
che a partire dal narcisismo sia possibile seguire una sua linea evolutiva
sacro perde la qualità originaria di un tremendum minaccioso per indicare,
per così dire autonoma che porta di in direzione dell’assunzione di cause
in maniera più accogliente, quel trascendimento di sé che si richiede per
sovrapersonali e persino dell’eroismo.
essere se stessi: una dimensione «spirituale» che elimina la piattezza del
4. La ribellione. Può essere interpretata come una dimensione
richiamo alle rigide leggi della necessità naturale.
costitutiva dell’esistenza. Indicherebbe allora l’aspetto per cui ogni individuo rifiuta le regole mortifere delle istituzioni sociali ed etiche per
FERRUCCIO ANDOLFI
assumersi, in quanto centro di iniziativa e di decisione, nuove responsabilità proprie. Attraverso di essa l’individualismo passivo che la società moderna induce e prescrive si trasforma in una risposta innovativa al problema della scomparsa delle appartenenze, in un tentativo di elaborare il lutto delle separazioni. 5. L’orizzonte religioso o postreligioso. Gli autori considerati sono i protagonisti di una critica radicale della tradizione religiosa, da un fronte interno ad essa (la teologia liberale di Schleiermacher) oppure esterno (la critica di ogni varietà del sacro nel caso di Stirner, il conferimento di una dimensione sacra a un ego grandioso nel caso di Nietzsche). Forse
20
Figure dell’individualismo
Relazione presentata al XVI Congresso Nazionale della Società Psicoanalitica Italiana, Roma 25-27 maggio 2012. La relazione apparirà anche negli Atti del congresso. 2 G. Simmel, Forme dell’individualismo, Armando, Roma 2001. 3 F.D.E. Schleiermacher, Monologhi, Diabasis, Reggio Emilia 2011. 4 M. Stirner, L’unico e la sua proprietà, Adelphi, Milano 1979. 5 F. Nietzsche, Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1967 ss. 6 F.D.E. Schleiermacher, Monologhi, cit. p. 54. 7 Ivi, p. 50 s. È possibile che qui S. fosse memore di un osservazione simile di Goethe, che compare nelle righe conclusive delle Confessioni di un’anima bella, sesto capitolo del Wilhelm Meister: «A malapena mi ricordo di un solo comandamento; nulla mi appare sotto forma di legge; è un istinto quello che mi guida e mi conduce sempre sulla via giusta; seguo liberamente i miei sentimenti e ignoro tanto la costrizione quanto il pentimento» (trad. it. Adelphi, p. 376). 8 Sulla religione. Discorsi a quegli intellettuali che la disprezzano, Queriniana, Brescia 1989, p. 44. 9 L’unico, cit., p. 207. 10 Ivi, p. 215. 11 Ivi, pp. 373-375. 12 Ivi, p. 45. 13 A. Camus (2011), Nota sulla rivolta, in “La società degli individui”, n. 42, 2011, pp. 95-106. 14 F. Andolfi (1995) Nietzsche e i paradossi dell’individualismo. in “Segni e comprensione”, n. 25, anno IX, maggio-agosto 1995, pp. 16-31. 15 S. Giametta (1991), Nietzsche il poeta, il moralista, il filosofo, Garzanti, Milano, p. 114 s.. 16 G. Simmel, Forme dell’individualismo, cit., p. 44. 17 Per questo rilievo critico cfr. G. Simmel, La legge individuale, Armando, Roma 2001, p. 104 e F. Andolfi, Il non uomo non è un mostro. Saggi su Stirner, Guida, Napoli 2009, p. 120 s. 18G. Simmel , Friedrich Nietzsche filosofo morale, Diabasis, Reggio Emilia 2008, p. 96 s. 19 H. Merrell Lynd, On Shame and the Search for Identity, Routledge and Kegan Paul, London 1958, p. 49 s., pp. 207-209. 20 J.-M. Guyau (2009), Abbozzo di una morale senza obbligo né sanzione, Diabasis, Reggio Emilia. 1
21
Meditazioni filosofiche
Meditazioni filosofiche
LA PRESENZA DELL’ASSENZA. FORSE. “Questo libro nasce da un testo di Borges: dal riso che la sua lettura provoca scombussolando tutte le familiarità del pensiero – del nostro, cioè: di quello che ha la nostra età e la nostra geografia – sconvolgendo tutte le superfici ordinate e tutti i piani che placano ai nostri occhi il rigoglio degli esseri, facendo vacillare e rendendo a lungo inquieta la nostra pratica millenaria del Medesimo e dell’Altro. Questo testo menziona «una certa enciclopedia cinese» in cui sta scritto che «gli animali si dividono in: a) appartenenti all’Imperatore, b) imbalsamati, c) addomesticati, d) lattonzoli, e) sirene, f) favolosi, g) cani in libertà, h) inclusi nella presente classificazione, i) che si agitano follemente, j) innumerevoli, k) disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello, l) et caetera, m) che fanno l’amore, n) che da lontano sembrano mosche». Nello stupore di questa tassonomia, ciò che balza subito alla mente, ciò che, col favore dell’apologo, ci viene indicato come il fascino esotico d’un altro pensiero, è il limite del nostro, l’impossibilità pura e semplice di pensare tutto questo. […] Questo testo di Borges mi ha fatto ridere a lungo, non senza un certo malessere difficile da superare. Forse perché sulla sua scia spuntava il sospetto di un disordine peggiore che non l’incongruo e l’accostamento di ciò che non concorda; sarebbe il disordine che fa scintillare i frammenti di un gran numero d’ordini possibili nella dimensione, senza legge e geometria, dell’eteroclito; e occorre intendere questa parola il più vicino possibile alla sua etimologia: nell’eteroclito le cose sono ‘coricate’, ‘posate’, ‘disposte’ in luoghi tanto diversi che è impossibile trovare per essi uno spazio che li accolga, definire sotto sotto gli uni e gli altri un luogo comune. Le utopie consolano: se infatti non hanno luogo reale si schiudono tuttavia in uno spazio meraviglioso e liscio; aprono città dai vasti viali,
23
giardini ben piantati, paesi facili, anche se il loro accesso è chimerico. Le eterotopie inquietano, senz’altro perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e quello, perché spezzano e aggrovigliano i nomi comuni, perché devastano anzitempo la ‘sintassi’ e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma anche quella meno manifesta che fa ‘tenere insieme’ (a fianco e di fronte le une alle altre) le parole e le cose […]. Le eterotopie […] inaridiscono il discorso, bloccano le parole su se stesse, contestano fin dalla sua radice, ogni possibilità di grammatica […]. […] Quando instauriamo una classificazione consapevole, quando diciamo che il gatto e il cane si somigliano meno di due levrieri, […] qual è dunque l’elemento di base a partire dal quale possiamo sostenere questa affermazione con piena certezza. Su quale ‘tavola’, in base a quale spazio d’identità, di similitudini, d’analogie, abbiamo preso l’abitudine di distribuire tante cose diverse e uguali? Qual è questa coerenza – di cui è facile capire che non è né determinata da una concatenazione a priori e necessaria, né imposta da contenuti immediatamente sensibili?” Michel Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, RCS libri, Milano, 1998, pp. 5-8.
Quaderni della Ginestra
Q
uesta meditazione nasce da un testo di Foucault: dal riso amaro
non è tanto pensare ciascuno di questi singoli gruppi di animali,
che la sua lettura provoca scombussolando tutte le familiarità
sebbene
della filosofia…
alcuni
di
essi
creino,
per
esempio,
paradossi
dell’autoreferenzialità; impossibile è pensarli come un tutto, immaginarsi
Quando ci si imbatte in Borges la tentazione di perdersi in molteplici
un locus dove possano incontrarsi, un ordine razionale di relazioni di
rimandi testuali e labirintiche auto-citazioni è davvero forte: piacevole
uguaglianza e differenza che li accomuni: la serie alfabetica fornisce
sarebbe cimentarsi in giochi di scatole cinesi, analoghi a quelli con cui
infatti solo un finto luogo della giustapposizione.
Calvino ci diletta in Se una notte d’inverno un viaggiatore, o in infiniti
Eppure tutto ciò è dicibile! Il linguaggio nudo e crudo non sembra
“rimbalzi” tra spettacolo e spettatore, quali lo stesso Foucault riconosce
infatti curarsi molto di certe difficoltà: lo scollamento, anzi la frequente
nel Velasquez di Las Meninas. Ma qui il testo “da meditare” è di Foucault
estraneità, tra verbum, intellectus e res non potrebbe essere più evidente. In
e io potrei al massimo compiacermi dell’idea di concepire una caotica
questo caso il linguaggio, oltre a donare presenza ad esseri fantastici
meta-meditazione sui “fantasmi filosofici” che esso evoca.
(come le sirene), fornisce uno spazio non-luogo in cui tali categorie
Il filosofo francese opta per un titolo terribilmente essenziale, Le
enciclopediche possono convivere e apparire, solo apparire, distinguibili:
parole e le cose. Non gravitano forse attorno a questi due concetti tutto il
le parole dividono l’indivisibile. Non diventa però lo spazio della
sapere umano e la sua filosofia? O meglio attorno alla ricerca dei relativi
rappresentazione, della conoscibilità: relegato alla pagina e alla voce esso
ordini, quello in cui mettere le parole e quello che individua le cose,
non sembrerebbe in alcun modo collegabile alla realtà o al pensiero. Che
nonché infine quello che lega le une alle altre? A sfidare tale ipotesi ecco
volesse avvertirci proprio di questo Borges collocando l’enciclopedia in
Borges con una peculiare enciclopedia di animali: come ogni tassonomia
un luogo per noi alieno, l’esotico estremo oriente?
che si rispetti essa dovrebbe mostrare un ordine delle cose attraverso
Non si può non notare come Foucault, insistendo sullo “spazio”,
l’ordine di una serie di parole, ma in questo caso qualcosa non funziona.
sembri restare, almeno in parte, legato alla concezione visiva, platonica,
Le parole falliscono il loro obiettivo e il pensiero s’arresta perplesso di
della conoscenza. Come egli suggerisce, siamo di fronte ad
fronte ad una strana forma di impossibilità. Ciò che sembra impossibile
un’eterotopia, il negativo inquietante delle consolatrici utopie, mostro
24
Meditazioni filosofiche
linguistico che inaridisce le frasi e rende impossibili tutti i legami tra “(a
sottratto alla vista: in questo caso non si scorge da nessuna parte
fianco e di fronte le une alle altre) le parole e le cose”. L’eterotopia non
l’ordine in base al quale gli animali sono stati separati. È davvero
consente discorsi, ma va ben oltre la falsità, ben oltre la classica colpa di
scomparso o piuttosto non c’è mai stato? Esattamente come accade nel
mal accordare le parole alla realtà di cui lo straniero accusa il sofista
dipinto Las Meninas per l’oggetto-soggetto di rappresentazione, cioè i
nell’omonimo dialogo platonico. La scelte pseudo-sintattiche di Borges
sovrani di Spagna, il brano di Borges mette in risalto, non mostrandolo
impediscono l’auspicabile aggancio delle parole tanto con le cose
o meglio mostrando gli effetti della sua mancanza, ciò di cui Foucault
quanto soprattutto con il pensiero: neppure la fantasia riesce a gestire
andrà alla ricerca per le quattrocento e oltre pagine della sua opera. Sarà
tale classificazione.
“archeologia” proprio perché egli sembra voler disseppellire, far
Forse si potrebbe attribuire ad un ipotetico autore Foucault-Borges il
emergere, ciò che il tempo e i sedimenti dell’abitudine, della cultura e
tentativo di ridicolizzare, evidenziandone la potenziale inefficacia, la
dell’inconscio hanno coperto: l’ordine o meglio gli ordini, le strutture
quasi maniacale ansia di trovare definizioni che pervade la filosofia
dell’episteme, del sapere, ciò senza il quale non potremmo pensare e
occidentale. Risulta infatti evidente come per possedere un oggetto con
conoscere. La sua aspirazione è osservare l’ordine nel suo essere grezzo,
il pensiero non sia sufficiente catalogare e specificare, come non basti
i suoi modi d’essere, i modi con cui la sua presenza si è manifestata nella
dare biblicamente un nome alle cose per renderle epistemologicamente
nostra cultura, in base a quali a-priori si è costituito il sapere.
proprie. Ma ancor più interessante è notare come la sottolineatura
Questo peculiare ruolo dell’ordine, o del principio d’ordine, richiama
dell’eterotopia evidenzi una latitanza, illumini il vuoto lasciato in questa
almeno in parte la celebre allegoria della Repubblica: così come per
turba di animali da un assente fondamentale, il principio d’ordine.
Platone non è possibile distinguere e conoscere gli oggetti del sapere
Ordinare significa, per Foucault, distinguere il “Medesimo” dall’“Altro”.
senza la “luce” del Bene, per Foucault pare essenziale la presenza
La classificazione di Borges rende però impossibile una simile cesura,
dell’ordine. L’analogia potrebbe estendersi anche a moralità ed estetica?
mostrandone al tempo stesso la necessità epistemologica. L’ovvio, il
Forse no, ma più fondamentale mi pare chiedersi se l’ordine contenga
consueto, paradossalmente si manifesta solo nel momento in cui è
un barlume di valore ontologico. Pur essendo solo uno tra i possibili
25
Quaderni della Ginestra
CAMPO MAGNETICO, TOSCANA, 2010 26
Meditazioni filosofiche
ordini, non è casuale o arbitrario ma è “quello che ha la nostra età e
Sicuramente possono creare qualcosa al di fuori del nostro attuale
la nostra geografia”. Pare quindi qualcosa di più di un semplice schema
concetto di razionalità, qualcosa di incommensurabile con i nostri
o categoria mentale. Non è forse la realtà in cui siamo costantemente
abituali schemi mentali, ma non credo impensabile. Siamo realmente di
gettati e immersi fin dall’inizio? Non è qualcosa di paragonabile alle
fronte solo ad una relazione tra parole e parole anziché tra linguaggio e
aperture, alle radure dell’essere di cui parla Heidegger? Sulla scia di
pensiero? Ha forse Borges scritto tali definizioni a sua insaputa, senza
quest’ultimo accostamento si potrebbe anche supporre non solo il
che il suo pensiero lucido ne costituisse il luogo comune? In ogni caso
profondo legame dell’ordine con il linguaggio, ma addirittura la loro
se anche le sue parole fossero frutto dell’inconscio, ciò non
fondamentale coincidenza.
significherebbe che sono impossibili e impensabili. Chi non ha
Procedendo su questa via di “meditabondo travisamento” del
sperimentato sogni nei quali gli abituali criteri di logica e
pensiero di Foucault posso forse azzardare anche una maggiore deriva
consequenzialità risultassero in crisi, nei quali fosse, almeno
critica: forse il filosofo francese si inganna e la mancanza di un principio
all’apparenza, impossibile riconoscere un ordine? Credo sia riduttivo
d’ordine, che distingua differenza e uguaglianza, è solo apparente.
limitare il pensiero alla razionalità accettata e condivisa, all’ordinato o,
Possiamo noi realmente concepire discorsi senza una coerenza?
meglio, ordinabile. Probabilmente “ci sono più cose in cielo e in terra,
Potrebbe Borges averci trasmesso qualcosa senza un ordine? Perché ha
[Foucault], di quante ne sogni la tua filosofia”! Inoltre un qualche
suddiviso gli animali in un certo modo e non altrimenti? In realtà
elemento extra-testuale comune tra noi lettori, Borges e questa
l’eterotopia dello scrittore argentino potrebbe essere solo il risultato di
enciclopedia deve pur esserci per giustificare la comunanza degli effetti,
una
cioè il riso o il disagio.
somma
di
principi
d’ordine
parzialmente
sovrapposti,
indipendentemente dal fatto che egli ne sia stato consapevole. Forse all’ordine non si sfugge.
Proprio
questi
particolari
“effetti”
suscitano
un
ulteriore
interrogativo, benché forse marginale: da quale meccanismo interiore
Possiamo inoltre chiederci se possa esistere un discorso che non
deriva il disagio di cui parla Foucault? Dalla sorpresa o dalla necessità di
corrisponda ad un pensiero, parole che creino l’impensabile.
compensare una qualche profonda esigenza? Perché ne va della nostra
27
Quaderni della Ginestra
serenità se non riusciamo a scorgere l’ordine, se ci sfugge la possibilità
vite particolari, realtà contingenti. A partire da queste individualità
di distinguere il medesimo e l’altro? Perché questa anxietas definiendi
filosofia e scienza possono, in un secondo momento, raggiungere il
secondo un criterio preliminare? Perché risulta insopportabile il
livello teorico e generalizzante, sebbene con metodologie, almeno
paradosso di Menone riguardo alla ricerca della conoscenza ma non
all’apparenza, piuttosto differenti. Non so se questa possa essere una
l’altrettanto paradossale circolo ermeneutico che richiede sempre un già
strada per avvicinare o cogliere le analogie tra arte e scienza, ma
compreso, un punto di partenza? Perché l’eterotopia ha effetto sulle
sicuramente lo è per diminuire la distanza tra la cosiddetta filosofia
nostre emozioni? Mi affascina la valenza antropologica ed esistenziale di
ermeneutica e la filosofia analitica, così legata alla scienza. In tal modo si
una questione all’apparenza puramente epistemologica: ma su tutto ciò
spiegherebbe anche perché tale modalità speculativa, che parte da opere
non pare soffermarsi Foucault. Non saprei neppure decidere se questo
d’arte, sia così cara a filosofi di formazione analitica, seppur
trapasso sia a sua volta una meta-struttura dell’episteme culturale
successivamente divenuti “eretici”, come R. Rorty o S. Cavell:
occidentale o caratterizzi ogni cultura.
sopravvive in loro il legame con un metodo scientifico ancorché
Scusandomi per la brusca variatio mi concedo infine un ultimo
rivisitato, dove l’arte è il laboratorio della filosofia.
tentativo di riflessione, sollecitato da questo splendido caso di utilizzo filosofico di opere d’arte che, nel caso di Foucault, diventa
ANTONIO FREDDI
“archeologia” culturale: le sue speculazioni procederanno infatti attraverso Las Meninas di Velasquez e il Don Chisciotte di Cervantes. Mi pare che tale approccio, comune anche a molti altri filosofi contemporanei, possa essere letto come una modalità forse insolita di avvicinare la filosofia alla scienza. Così come la scienza empirica procede per singoli esperimenti, singoli eventi, l’arte e la letteratura offrono alla speculazione filosofica aperture altrimenti impossibili su
28
Meditazioni filosofiche
IL TEMPO E LA PIENEZZA DELLA GIOIA: UN CONFRONTO NIETZSCHE-D OSTOEVSKIJ
L
a domanda sulla felicità è, fra i temi indagati dalla riflessione filosofica, una delle questioni più ricorrenti e determinanti. Non cre-
do possa essere diversamente: l'esperienza della felicità, di uno stato ori“Davvero io cercai di aiutare in un modo o nell’altro i sofferenti: ma mi è sembrato di far cosa migliore, quando imparavo a meglio gioire. Da quando vi sono uomini, l’uomo ha gioito troppo poco: solo questo, fratelli, è il nostro peccato originale!”
ginario e positivo della mente e del sentire è del resto un’ esperienza u-
(F. NIETZSCHE, Così parlo Zarathustra, Milano, Adelphi, 1992, p.97).
rappresenta l' esito.
niversale che, anche quando sfugge a tutti i tentativi di definizione linguistica, è sempre presente ai nostri desideri, ne informa i contenuti e ne Per quanto scarna, insufficiente e pretenziosa possa essere la nostra capacità di elaborare un sapere compiuto intorno alla felicità, e per
“Tutto dovrai sopportare, prima di ritornare qui. Ci sarà molto da lavorare. Ma io sono sicuro di te, ed è perciò che ti mando. Cristo è con te, custodiscilo in te, ed Egli ti custodirà. Conoscerai un grande dolore e nel dolore sarai felice. Eccoti il mio testamento:nel dolore cerca la felicità.”
quanto siano diversi i beni e gli oggetti in cui crediamo di trovarla – A-
(F. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, Milano, Bompiani, 2005, pp.169-171).
capacità – almeno nella sua forma piena ed espansiva, la gioia- di so-
dorno, del resto, diceva che non si ha la felicità, ma ne si è immersi e circondati- la storia del pensiero è ricca di immagini della felicità costruite a partire da alcuni elementi costanti: il suo carattere transitorio, la sua spendere il fluire del tempo e la sua relazione con il sentimento opposto, il dolore. Tra le immagini più suggestive a mio avviso rientrano quelle proposte da Nietzsche e da Dostoevskiij perché, nella diversità dei contenuti, mostrano come il tema della felicità, delle sue modalità e declinazioni speculative sia inevitabilmente intrecciato con una presa di posizione di fronte alla trascendenza e a alla fondazione dell'etica: mentre Nietzsche
29
Quaderni della Ginestra
tende ad affermare che la felicità sia sperimentabile solo in un orizzonte
della corporeità e dell'istintualità. Un atteggiamento sano e generoso si
di senso saldamente innestato nella finitezza in cui le concezioni del be-
basa, dunque, su alcuni presupposti fondamentali:il riconoscimento del
ne e del male sono storicamente determinate, Dostoevskij, di fronte alla
carattere finito dell'esistenza, la capacità fondativa di creare valori basati
presenza pervasiva del dolore, tende a risolvere la questione della felicità
sulla forza e la consapevolezza che ogni attesa di compimento sia desti-
nella dimensione metafisico-religiosa del rapporto con il divino. Il narra-
nata ad incontrare il proprio limite solo nella natura. Coloro che espri-
tore e il filosofo, con la forza del loro pensiero poetante, mettono in e-
mono questo atteggiamento sono chiamati, nel testo, più esplicito e ri-
videnza come la ricerca della felicità illumini la domanda sul significato
solutivo rispetto a Così parlò Zarathustra, della Genealogia della morale, gli
dell'esistenza ed offrono proposte che si impongono all'attenzione
eletti, gli aristocratici: per loro la gioia è più originaria del dolore.
dell'uomo contemporaneo, alla sua decisione di circoscrivere il senso del
A tradirci, invece , a farci perdere la possibilità di conseguire una gio-
vivere nello spazio del finito o di aprirsi ad un discorso di intonazione
ia continua e perfetta è un'eccedenza del desiderio. Un'eccedenza che
religiosa. Per questo, pur tracciando direzioni opposte, le prospettive i-
non si esprime nei toni prevedibili dell'eccesso e della sovrabbondanza,
naugurate da Nietzsche e Dostoevskij costituiscono una sorta di riferi-
ma si mostra con i tratti della dismisura e del disorientamento. Un'ecce-
mento obbligato per chiunque voglia seriamente interrogarsi sulla plura-
denza, in altri termini, che altera la direzione originaria e la destinazione
lità di significati che attribuiamo alla parola felicità e su come la nostra
della nostra attività desiderante -naturalmente situata nel territorio della
idea della gioia determini le nostre convinzioni morali.
contingenza e della finitezza- e che si rivela come tensione alla trascen-
Secondo Nietzsche la beatitudine, la gioia compiuta e perfetta -die Se-
denza o, secondo il linguaggio proprio di un sentire radicato nelle pro-
ligkeit- è qui, nello spazio del mondo vero e terreno, preparata per quanti
spettive e nei contenuti della teologia cristiana, come ricerca di un aldilà,
non pongono la vita sotto giudizio e non interrogano, né interpretano
di una vita ulteriore in cui il compimento e la perfezione – altri termini
l'esistenza secondo i criteri del bene e del male, ma si pongono in modo
che definiscono la felicità come stato risolutivo del desiderio- sono fatti
attivo nei suoi confronti, ne accettano la radicale mancanza di senso e
spirituali, realizzati nelle dimensioni della contemplazione e dell'unione
orientano la propria ricerca della felicità nei territori finiti e disponibili
con il divino. Questa declinazione del desiderio, giudicata in autentica
30
Meditazioni filosofiche
perché fondata sulla superiorità dello spirito sul corpo, del soprannatu-
Specularmente opposto è l'orientamento di Dostojevskij la cui narra-
rale sulla natura è considerata da Nietzsche l'espressione di un risenti-
zione, peraltro precedente di qualche anno rispetto alle riflessioni del fi-
mento e di un' impotenza nei confronti della vita che ritirano la nostra
losofo, si pone idealmente come voce contraria ai temi proposti da Nie-
ricerca della gioia dal contesto vitale della salute e la costringono a rifu-
tzsche.
giarsi nella dimensione fuorviante della salvezza. Tale patologia –dato
E', in particolare, un dialogo dei Fratelli Karamazov sembra contrastare
che i valori, gli orientamenti che definiscono il bene e il male, che rico-
le posizioni di Nietzsche: in una sorta di testamento spirituale lo starec
noscono la gioia e il dolore sono produzioni culturali- ha una precisa o-
Zosima invita il giovane Alesa a compiere la sua opera nel mondo, a cercare,
rigine storica nel conflitto che oppone la civiltà romana a quella ebraica
custodito da Cristo, nel dolore la felicità.
e al risultato del suo processo di universalizzazione, il cristianesimo.
Per Dostoevskij, che afferma un cristianesimo tragico la cui densità
Il sistema valoriale della civiltà romana consiste principalmente in un ethos del coraggio, dell'affermazione di sé e dell'istinto di dominazione. Il sistema valoriale ebraico insiste, invece, sulla passività, sulla quiete e sulla compassione. Mentre l'organizzazione valoriale romana asseconda la vita, affermandone con forza la ricchezza contraddittoria e conflittuale, l'organizzazione valoriale ebraica e cristiana esalta il dolore, risolvendo le proprie istanze di realizzazione nelle prospettive di una vita ultraterrena. Affermare dunque, come fa Nietzsche, che la gioia è più originaria del dolore significa, in fondo, liberarsi della difficile eredità ebraica e cristiana e riproporre un'esperienza del vivere in cui la gioia appare la tonalità emotiva di una istintualità in accordo con la natura.
31
PAESAGGIO DI LUCE, AUSTRALIA, 2011
Quaderni della Ginestra
speculativa è stata con merito indagata dalla riflessione ermeneutica del
renza. Se, come abbiamo visto, Nietzsche tende ad affermare l'inconsi-
secondo Novecento, la gioia e il dolore sono, se non cooriginari, com-
stenza del bene e del male, Dostoevskij considera il male e il bene, la
presenti e coabitano la realtà dell'uomo, riflessi di un bene e di un male
gioia e il dolore come attraversati da una tensione dialettica: la sofferen-
cui il narratore-filosofo assegna una dignità ontologica prioritaria.
za e il dolore che derivano dal male possono condurre al riconoscimen-
Significativa, specie nel confronto con Nietzsche, è l'immagine che
to del bene se riescono a mostrare il vincolo di solidarietà e di respon-
Dostoevskij propone dell'istintualità, considerata non come luogo di li-
sabilità originaria che unisce tutti i viventi. In altri termini, all'interno di
berazione, ma di distruzione, in cui la libertà dell'uomo è esposta al suo
un discorso narrativo che si svolge come approfondimento dell'espe-
precipitare, alla possibilità di scegliere il male che è, in ultima analisi, la
rienza religiosa cristiana, Dostoevskij tende a individuare nella sofferen-
sofferenza inflitta ad altri. Si può dire, anzi, dei personaggi di Dostoe-
za, principalmente nella sofferenza accettata, la realizzazione di
vskij – si pensi, ad esempio, a Stavrogin nei Demoni- che quanto più so-
un’esperienza di compassione e di corresponsabilità. In questo senso,
no caratterizzati da una personalità orientata dal desiderio di autoaffer-
Dostoevskij articola la propria riflessione distinguendo fra la sofferenza
mazione, tanto più sono sensibili alla passione per la violenza e la cru-
inutile –quella dei bambini, ad esempio- riscattabile solo in una prospet-
deltà.
tiva di fede, e la sofferenza consapevole di chi vuole soffrire con altri e
Rispetto al tema dell'istintualità, della parte naturale dell'uomo che si
al posto di altri: la gioia, in questo caso, è sperimentata nel soffrire in-
esprime in via prioritaria come volontà incontrastata, appare evidente la
sieme e nel fare propria la sofferenza degli altri. Secondo Dostoevskij
differenza di prospettive fra Nietzsche e Dostoevskij: per Nietzsche è
non c’è, dunque, possibilità salvezza e di felicità che non passi attraverso
l'affermazione della vita, della sua forza rigogliosa; per Dostoevskij è
lo scontro con il male e con la sofferenza: la gioia è, comunque, come il
l'ambivalenza della vita che comprende lo sviluppo ipotetico della pro-
bene, originaria, ma è costretta, nella finitezza e nella contingenza, a mi-
pria negazione.
surarsi con la presenza ineluttabile del male e del dolore.
Ma c'è ancora un'altra differenza, ancora più significativa, che riguar-
Il rilievo attribuito alla trascendenza, l’adozione di un orizzonte di
da le relazioni che intercorrono fra il bene e la gioia ed il male e la soffe-
senso esplicitamente cristiano –soffrire con altri è possibile nell’esempio
32
Meditazioni filosofiche
del Cristo sofferente- la coincidenza della gioia con la compassione sembrano porre una distanza incolmabile fra la meditazione di Dostoevskij e quella di Nietzsche, che,tuttavia, condividono un nucleo originario che le rende molto più vicine di quanto possa apparire superficialmente: la passione per l’uomo, l’attenzione alla sua costitutiva complessità e la capacità di non trascurarne gli aspetti prerazionali. Ed è nel segno di questa passione, che le riflessioni dei due autori si integrano reciprocamente e stabiliscono un punto di riferimento comune sia per chi vede esaurirsi nella natura il nostro essere persone, sia per chi colloca il nostro abitare la terra negli spazi della trascendenza: il pensiero di Nietzsche con la tematizzazione degli aspetti primitivi della nostra ricerca della felicità, la narrazione di Dostoevskij con la rappresentazione della dimensione relazionale in cui sperimentiamo la gioia.
LIVIO RABBONI
33
Cinema e filosofia
UN ALTRO MITO DELLA CAVERNA: LA FORZA DELLA LEGGE IN
I
BATMAN
l’iperbole distopica non si applichi più alle condizioni di vita di una società ultra-capitalistica, bensì alla sua alternativa rappresentata dalla democrazia radicale e dall’empowerment popolare. In un tratto innovativo
migliori blockbuster hollywoodiani sono quelli che contengono
nella saga batmaniana, Gotham City non è più la capitale marcia fino al
pregnanti raffigurazioni e diagnosi del nostro tempo storico, sociale
midollo di un impero in piena decadenza, bensì una New York luminosa
e politico. La trilogia di Christopher Nolan dedicata alla leggenda di
e florida, che viene attaccata da un nemico esterno e degenera poi nel
Batman, e in particolare il suo capitolo conclusivo, può confermare di
caos anarcoide post-rivoluzionario. Ora il vero cattivo è, tra l’altro, una
certo questa tesi. Il momento centrale di The Dark Knight Rises, quando
donna: Miranda/Talia, la figlia del vecchio maestro di Batman Ra’s.
tutti i prigionieri sono liberati e si apprestano a “prendersi la città”,
(Questi, come si ricorderà, era il prototipo del fanatico religioso
metterebbe addirittura in scena, secondo Zizek, potenzialità e debolezze
intellettualoide, prima legato ai cinesi e ora agli arabi.) Riappropriandosi
del
del progetto paterno votato alla purificazione dell’intera civiltà
movimento
noto
come
Occupy
Wall
Street
(http://www.newstatesman.com/2012/08/people’s-republic-gotham).
occidentale, Talia si allea subdolamente sia agli emarginati del sistema sia
Il suo leader, qui, è il terrorista Bane (caricatura di un black bloc
alle élite economiche.
sadomaso, ma anche inguaribile romantico), che rende esplicita questa
OWS,
terroristi
mediorientali,
New
York
come
capitale
idea di autodeterminazione democratica all’interno di uno stadio
dell’Occidente, ma anche la minaccia nucleare: l’ultimo Batman non
sportivo gremito.
potrebbe essere più radicato nel nostro tempo. Così radicato che, in
Come commenta giustamente Zizek, la rappresentazione di Nolan
un’inquietante inversione tra realtà e finzione, molti osservatori hanno
serve a dare corpo e voce alla paura dei liberali di destra e di sinistra nei
paragonato la New York attuale devastata dall’uragano Sandy proprio
confronti della possibilità che il tanto celebrato 99% s’impadronisca per
alla vecchia Gotham City (a quella in disfacimento del periodo pre-
davvero di
come in quest’ultima
nolaniano, però). Di quest’ultimo Cavaliere oscuro può essere fatta
riappropriazione del multi-rappresentato mito dell’uomo-pipistrello
emergere allora sia la sua funzione propagandistico-ideologica (in senso
35
Manhattan. È interessante
Quaderni della Ginestra
anti-anarchico e anti-socialista), sia il suo contenuto “realista” – lo
normativo si fonda cioè su qualcosa che non è del tutto razionale e
scenario macabro e fantastico, presente soprattutto nelle versioni di Tim
razionalizzabile, giustificato o giustificabile. L’ordine si regge in ultima
Burton (Batman, 1989, Batman Returns, 1992), ha dato il via libera alle
analisi sul credito che gli si accorda, sul fatto che vi sia una radicata
ansie e proiezioni del contemporaneo. Entrambi gli aspetti hanno reso
credenza nella giustizia di tale ordine, una credenza che giustifica, cioè
The Dark Knight Rises indigesto sia per chi è impegnato in qualche
rende giusta, anche quella forza e quella violenza che serve a un ordine
battaglia sociale di emancipazione che per i bat-fan tradizionali. La
normativo (per esempio all’ordine giuridico) per imporsi e far
riflessione sulla “politica” di Batman ha però anche un altro aspetto, più
funzionare la società. Significa questo forse affermare l’irrazionalità della
fondamentale. La questione centrale in questa saga è, infatti, quella del
società, l’arbitrarietà dell’autorità, e infine il trionfo della cosiddetta
fondamento del sistema socio-politico.
“legge del più forte”?
Una società sta in piedi e funziona in quanto ordine normativo, cioè
Secondo quanto sostenuto da Derrida nel breve saggio Force de loi
perché basata su un insieme di convenzioni, valori, leggi, più o meno
(1994), non è questa la conclusione da trarre. La “misticità” della
istituzionalizzate, che regolano e orientano la vita collettiva dicendo a
giustizia, ovvero il suo fondamento “senza fondamento”, deve essere
ciascuno cosa deve fare. Per svolgere la funzione normativa, l’ordine
spiegato in altro modo. La giustizia è l’ordine basilare che, imponendosi,
deve essere accettato in buona parte come legittimo e giusto. Ma che
pone i criteri stessi in base ai quali è possibile distinguere giusto da
cosa legittima la legittimità? Sulla base di quale criterio, principio o
ingiusto, legittimo da illegittimo. Di tale giustizia non si può dire se sia
fondamento si può dire che un insieme più o meno istituzionalizzato di
giusta o meno, perché essa non è fondata su qualcos’altro, piuttosto è
norme e leggi è giusto e deve essere seguito? Risposte molto diverse
fondante, fonda cioè l’ordine giusto.
sono state date nella storia dell’umanità a tale questione. Mi sembra che
Questa concezione del fondamento dell’ordine normativo in una
il mito di Batman si ponga in quella tradizione secondo la quale il
giustizia infondata potrebbe essere vista come una sorta di ribaltamento
fondamento dell’autorità della legge è un fondamento, appunto, mitico,
del mito platonico della caverna: mentre in Platone le budella della terra
o “mistico” (come direbbero Pascal o Montaigne). L’autorità dell’ordine
simboleggiavano l’errore e l’illusione, da illuminarsi attraverso la luce
36
Cinema e filosofia
veritiera proveniente dall’esterno, nella visione derridiana l’oscurità in
rapporto con Harvey Dent, il cavaliere speculare, biondo e idealista:
cui vero e falso, giusto e ingiusto sono indifferenziati e si confondono
dopo un continuo e snervante scambio di ruoli tra i due, quest’ultimo
assume la funzione normativa basilare. (La metafora dell’ombra come
fallisce e viene ridotto alla rappresentazione corporalmente più esplicita
base del politico compare esplicitamente anche nell’ultimo 007, Skyfall -
del doppio volto. Significativa è ovviamente anche la “fratellanza” tra
il regista Mendes si è del resto dichiaratamente ispirato a The Dark
Batman e Joker, dove l’uno non sarebbe pensabile senza l’altro – anche
Knight). Batman è l’allegoria di questa concezione anti-platonica, è un
se Joker rappresenta l’impossibilità dell’ordine di giustizia, e Batman la
altro mito della caverna. Il potere di Batman trova la sua origine
sua condizione.
sottoterra, dove il male, la sua angoscia più profonda (i pipistrelli)
È vero che, nell’ultimo film, i conflitti che hanno caratterizzato tutta
vengono fronteggiati e fatti diventare parte di sé. Tipica di Nolan la
la saga si attenuano, e il confine tra bene e male appare più netto. Alla
curvatura soggettivo-psicanalitica di questo intreccio: la possibilità di
fine, autosacrificandosi per il bene dell’umanità, Batman impone la sua
diventare un soggetto autonomo, che agisce bene per se stesso e per la
positività. Anche la polizia, ora schierata senza remore dalla sua parte,
comunità ed è così capace di esercitare il suo potere, non risiede nella
può finalmente abbracciare il ruolo (ideologico) di difesa dell’ordine
rimozione del male, bensì nella sua assunzione piena e consapevole. La
giusto. Ma la doppiezza è ancora presente: innanzitutto, nel legame
“bontà” dell’eroe non è però separabile dal suo opposto. Importante
erotico-sentimentale che lega l’uomo-pipistrello alle sue due nemiche, e
ricordare che, in Batman Begins (2005), è proprio Ra’s a insegnare come
soprattutto nel fatto che non è solo Batman a mostrare un doppio volto,
“diventare un tutt’uno con l’oscurità” – ed è per questo che Batman
ma anche Bruce Wayne. Bruce non è solo un filantropo che si allena per
dovrà poi opporsi al suo maestro, che contrariamente all’intima essenza
diventare supereroe, è anche playboy maschilista e capitalista finanziario
dei suoi insegnamenti, crede in una “true justice” pura e incontaminata.
a capo di una mega-corporation quotata in borsa e coinvolta nel traffico
Batman può essere considerato come il pilastro dell’ordine sociale
d’armi. Il lato “oscuro” di Batman non sta dunque solo nella caverna
cui appartiene. Un pilastro la cui ambiguità diventa evidente soprattutto
pullulante di pipistrelli, ma anche nelle alte vette dei suoi palazzi vetro; il
nel secondo film, The Dark Knight (2008). Si consideri soprattutto il suo
male contro cui combatte Batman è un male provocato da un sistema
37
Quaderni della Ginestra
cui lui stesso è a capo.
definitivo. In questo modo si previene ogni dogmatismo, e la
Ma consideriamo ancora il finale, da molti considerato un banale
mummificazione dell’ordine esistente: il futuro va verso scenari che non
happy end, in cui Batman si sacrifica per il bene dei suoi concittadini. O
sono prevedibili e immaginabili ma che racchiudono la premessa del
forse questa è solo un’utile finzione per stabilizzare l’ordine di giustizia?
poter essere altrimenti.
Mentre Batman, forse, si gode altrove la vita con la sua ragazza (ex Catwoman), a Gotham City/New York viene eretta la sua statua – viene
FEDERICA GREGORATTO
istituita la leggenda – e contemporaneamente un nuovo giovane (ex poliziotto) scende nelle sue caverne. È un buon finale, in effetti, perché rimane ambiguo. Forse Batman è davvero morto, e il flash di conciliazione romantica e individualista rimane un sogno del maggiordomo: ma l’indecidibilità (sacrificio vero o fasullo?) è proprio ciò che fa del fondamento dell’ordine un fondamento mistico, che si sottrae a ogni fissazione definitiva. È un buon finale, inoltre, perché rimane aperto: che Batman sia morto o meno, per la città e per ciascuno dei suoi abitanti inizierà ora una nuova vita. Ecco dunque il senso del vero happy end, cioè l’indecidibilità e l’apertura. Come spiega Derrida in Force de loi, l’infondatezza del fondamento è ciò che apre a un futuro imperscrutabile, dove tutto (o quasi) è ancora possibile. L’oscurità da cui emerge l’ordine di giustizia può avere un significato liberatorio: se ciò che vale come giusto e legittimo non è, in fondo, fondato, esso non è neanche fissato in modo
38
Cinema e filosofia
39
Letteratura e filosofia
GEORGES PEREC E W O IL RICORDO DELL’INFANZIA: L’INASSUMIBILE
aspettarlo gli zii, i convitti in cui nascondersi, lo smarrimento. E così la perdita della memoria. Perec non ha ricordi d’infanzia. Vernichtung dei genitori, dei nonni e di un’origine: perché i ricordi dell’infanzia sono la
P
are opportuno annoverare Perec tra quegli scrittori ai quali risulta
sostanziazione di chi siamo. La scrittura di Perec non si allontana mai da
difficile avvicinarsi prescindendo da un approccio biografico.
questo trauma infantile e muove in un cammino di ricerca identitaria in
Quest’ultimo rivela quel fondo di continua interrogazione sull'esistenza
cui ritrovare l’appartenenza, il ricordo, in cui conciliare un modo
proprio del romanziere francese. Se le opere in quanto opere sono
d’essere forzatamente diasporico con un’esigenza di raccordo e di unità
tracce e, come tali, segni, nel momento in cui sono tracciate, segnate,
destinata, tuttavia, a non trovare mai appagamento.
assumono un’esistenza autonoma e indipendente; nel nostro caso,
Con l’epilogo di una doppia sparizione, la vita di Georges Perec fu
tuttavia, recano ancora l’impronta appassionata del loro artefice. Il tutto
segnata per sempre da un annientamento inutile che i cosiddetti “figli
si complica quando si riscontra che questi segni stanno non per una
del dopo”, gli orfani della Shoah, non furono mai in grado di superare.
presenza, ma per un’assenza, un vuoto che nell’arco di un’intera vita
Nessuno rivelò a Georges della morte del padre e dell’estrema
non verrà mai colmato. La tematica del vuoto e della mancanza
preoccupazione, poi tramutata in certezza, della morte della madre.
appaiono fondamentali per la lettura delle opere perecchiane e
Nessuno si sentì di sottoporre il bambino all’ennesimo choc: Questo non
costituiscono la chiave di volta di una produzione eterogenea ma mai
consentì alcuna elaborazione del lutto. I religiosi del convitto imposero
totalmente altra dalla dimensione esistenziale e autobiografica.
a Perec delle regole ferree: non chiedere notizie dei genitori o di parenti,
La storia di Perec prende le mosse da uno dei drammi della storia più
non lasciar trasparire qualsiasi riferimento all’ebraismo. In poche parole
struggenti e incomprensibili: la Shoah. Figlio di ebrei polacchi emigrati in
un oblio totale, forse non necessario, comunque avvenuto. Georges
Francia, perde il padre nelle prime fasi del conflitto con la Germania e la
rimosse il ricordo del viso della madre. Al suo posto uno spazio vuoto.
madre, deportata a Drancy e poi ad Auschwitz. Egli scampa al peggio: la madre lo salva facendolo partire 41
per la zona non occupata. Ad
I passi delle opere di Perec si allineano in una “contrada” di cui egli ha cercato prima di trovare poi di depositare le tracce, la “via”. Il vuoto
Quaderni della Ginestra
memoriale è in questo caso la contrada del pensiero che non può
semplice porre una domanda sulla propria identità, unito allo sforzo
concretarsi in sistematicità e metodo ma nell'apertura in cui rispondere
verso di essa, è un’azione “piena”; in quanto azione, è ascrivibile a un
affermativamente alla domanda sul linguaggio, in cui tentare di ritrovare
agente. I personaggi di Perec sono un tentativo verso l’idem, la
la via e in cui ritrovarsi attraverso la traccia, la scrittura.
riconoscibilità, l’appartenenza, il cogliersi come corpo tra i corpi, allo
A partire dalle riflessioni sull’identità all’interno del testo Soi-même
scopo di identificare e re-identificare qualcosa di sé attraverso l’altro. In
comme un autre di Paul Ricoeur, si può avanzare una proposta di categorie
questa prospettiva, si coglie il legame tra il sé e l’altro, tra il sé e l’identità
interpretative, ovviamente in chiave ipotetica e problematica. Perec
narrativa (il primo altro, per Perec, è il personaggio dei propri romanzi).
manca, a causa della frattura originaria della propria biografia, della
Nello spazio dell’identità, l’atteggiamento di Perec è consciamente più
dimensione che Ricoeur chiama medesimezza, cioè la possibilità di
tensivo che definitivo nei confronti della verità. L’identità narrativa è
individuazione di un “carattere” e di tratti riconoscibili che aprono
stata una fonte di salvezza.
all’identità del sé nel senso di ripetibilità e riconoscibilità dello stesso
Silenzio… La creazione negativa di Perec scaturisce dalle ceneri di
(même): Perec può compiere l’atto di ripetizione della ricerca di una
Auschwitz e per questo fa appello a un non detto, all’indicibile
medesimezza, senza che l’operazione porti a qualcosa di compiuto. In
instancabilmente cercato ma inevitabilmente sfuggente. L’arte sottile di
Perec vi è un ipse che promette di ri-trovare l’appartenenza e la
Perec passa per questo dialogo tra il detto e l’indicibile, tra la memoria e
medesimezza ma, nel suo procedere, questo moto si risolve in una
l’oblio, la vita e la morte, la fiducia e lo sconforto. Ci si sente coinvolti in
frustrazione o in piccoli momenti di contatto subito fuggenti. Perec
un percorso umano che si deve condividere.
interroga e si interroga in una situazione di interlocuzione (ipse) con i
La parola, il fare artistico non totalizzano, non esauriscono, ma
propri personaggi e con l’altro uomo, che è per lui fonte di apertura nei
attingono a uno sfondo aperto nel quale si può per lo meno cercare di
confronti del passato e del presente, per identificare e identificarsi (idem).
porre delle domande; a volte un azzardo di risposta è donato. Perec
Se questa interrogazione non dà una possibilità di risposta, è comunque
dona molto. In primo luogo, la sua Storia.
un movimento etico dalla profondità salvifica in senso esistenziale: il
All’età di nove anni circa, a distanza quindi di tre anni dalla
42
Letteratura e filosofia
separazione della madre, la scoperta: il dramma della Shoah e la terribile
più volte nelle sue opere. Il riferimento è a Kaspar Hauser, il ragazzo
fine della madre gli sono disvelati attraverso una delle prime mostre
selvaggio che aveva impressionato un’intera generazione di intellettuali,
fotografiche sui campi di concentramento.
in particolar modo Verlaine) e riceve l’incarico da parte di un certo Otto
W o il ricordo d’infanzia rappresenta il testo più accurato e struggente
von Apfelstahl di salvare il vero Gaspard Winckler, un bambino affetto
in relazione al tema della biografia, dell’infanzia e del vuoto di Perec. Il
da mutismo elettivo che aveva fatto naufragio e del quale erano state
carattere testimoniale è associato a una sorta di auto-analisi psicanalitica
perse le tracce. Si noti come Gaspard Winckler-adulto debba salvare
che, a distanza di vent’anni dall’accaduto, offre a Perec una possibilità di
Gaspard Winckler-bambino esattamente come Perec-adulto debba
affrontare il rimosso, l’indicibile. Se da questo processo non si
salvare Perec-bambino dall’oblio e dal vuoto infantile. Inoltre si parla di
otterranno grandi risultati – dalla cenere della memoria non si può
un naufragio, così come aveva fatto naufragio la storia personale di
ottenere altro che cenere o poco più – ciò che conterà sarà quello
Perec, assieme alla Storia vera e propria. Il Gaspard Winckler-bambino è
slancio in avanti, quel bisogno di fare i conti con i propri fantasmi, con
sordomuto, condizione che ricorda quella di Perec-bambino, distrutto
una verità celata ma presente, anche se in negativo. W lascia interdetti, il
dalla separazione della madre, incapace e impossibilitato a comunicare
dolore sotteso è comunicato con un distacco apparentemente
questo dolore.
impersonale, ma è proprio questa distanza, più obbligata che frutto di
La seconda sezione della prima parte si propone invece di ricostruire
una scelta letteraria, a sottolineare il dramma, la tragedia, il naufragio
l’infanzia di Perec dai primissimi ricordi o eventi fino al giorno della
della Storia.
partenza e della separazione definitiva dalla madre. Struggente l’incipit
W o il ricordo d’infanzia è un piccolo libretto costituito da quattro parti.
di questa sezione «Non ho ricordi d’infanzia»1. La volontà
La prima sezione della prima parte consiste in un romanzo di avventura:
autobiografica appare dapprincipio destinata a una sconfitta. Il vuoto
narra di un disertore che, grazie a una sorta di società segreta, assume il
non sarà colmato. Rimane tuttavia un’ostinata volontà a riempire questo
nome fittizio di Gaspard Winckler (il collegamento è al tema
spazio. L’infanzia di Perec è un vuoto, una dimensione
dell’orfanità: il nome Gaspard è una sorta di alter ego di Perec e ricorre
sbriciolata della quale non rimangono che pochissime tracce indirette.
43
del tutto
Quaderni della Ginestra
BLU, NUOVA ZELANDA, 2011 44
Letteratura e filosofia
Ne derivano solo ricordi lacunosi.
memoria cancellata porterà Perec a una crisi psicologica dolorosa.
Nella prima e nella seconda parte, più articolata, i capitoli si
L’analisi, che durò quattro anni, permise a Perec di affrontare il testo
avvicendano alternandosi uno a uno a seconda dell’appartenenza alla
abbandonato, il non detto, l’oblio. Si tratta più di una sottrazione di
prima o alla seconda sezione.
senso che di un riempimento. È una sorta di creazione negativa.
Una pagina bianca solcata da tre puntini neri tra parentesi tonde chiude la prima parte e proietta sulla seconda.
Philippe Lejeune, esperto conoscitore dell'autobiografia e indagatore dell'opera di Perec, insiste sull’analogia riscontrabile tra il movimento di
La prima sezione della seconda parte offre la cosiddetta distopia
decostruzione che, nel corso dell’analisi, ha consentito di aver accesso
dell’isola di W, isola retta dagli ideali olimpici che si scoprirà poi
alla sua storia e alla sua voce e i gesti di semplificazione-soppressione
metafora dell’universo concentrazionario nazista.
effettuati sul progetto complessivo di scrittura.
La seconda sezione della seconda parte ripercorre gli anni di Villardde-Lans, cioè gli anni successivi alla separazione della madre.
Leggere W può costare grandi fatiche: i rimandi tra le parti che si alternano nelle sezioni sono sottesi e continuamente da ricostruire; nei
Il bambino scomparso nella prima parte non verrà più nominato
ricordi di infanzia sono introdotte variazioni a volte volontarie per
nella seconda: Gaspard Winckler sembra il narratore e osservatore delle
cifrare l’indicibile, infiltrato senza che ci si possa accorgere. È una sorta
vicende che accadono sull’isola di W ma non viene mai nominato
di macchinazione orchestrata, in cui trova evidenza la difficoltà di
esplicitamente. Già a questo livello riscontriamo la possibilità di una
accesso all'insopportabile: con la spontanea fragilità del bambino e
lettura di secondo grado: la sparizione dalla narrazione del bambino
dell’adulto, Perec rivive sensazioni ed emozioni del passato sotto forma
sordo-muto coincide con la sparizione del Perec-bambino e della madre
di cifrature volutamente disorientanti per il lettore. Il va e vieni delle due
dalla sua vita.
serie sbriciola l’inerzia necessaria al piacere romanzesco, imponendo una
Perec decide di aggiungere a una versione iniziale la citazione di
ginnastica mentale e psicologica. Ci si trova spaesati di fronte alla calma,
David Rousset che esplicita definitivamente l’associazione tra l’isola di
alla freddezza scientifica di questa voce narrativa apparentemente
W e i campi di concentramento. Il processo di riesumazione di una
impersonale, che descrive imperturbabilmente un sistema sempre più
45
Quaderni della Ginestra
abietto. W o il ricordo d’infanzia è una biografia psicanalitica: un
(l’indicibile non si annida nella scrittura, al contrario, è ciò che ne ha
montaggio di sintomi, dovendo il lettore affrontare, da solo, il problema
innescato il processo); so che quanto dico è vuoto, neutro, è il segno
dell’interpretazione. W è la parte emersa di un immenso lavorio sotterraneo, protrattosi in silenzio per anni e ora rivendicante con
definitivo di un definitivo annientamento. […] Non scrivo per dire che non dirò niente, non scrivo per dire che non ho niente da dire. Scrivo: scrivo perché abbiamo vissuto assieme, perché sono stato uno di loro,
violenza la propria necessità. Perec rifiuta ogni lavoro di abbellimento o
ombra tra le loro ombre, corpo vicino ai loro corpi; scrivo perché
di coloritura nei confronti dei propri ricordi. Un narratore ipercritico
hanno lasciato in me un’impronta indelebile e la scrittura ne è la traccia:
bracca l’errore, l’inesattezza, l’affabulazione. Il linguaggio è comunque
il loro ricordo muore nella scrittura; la scrittura è il ricordo della loro
indicato come il solo mezzo in grado di rivendicare l’assenza. Essa, così
morte e l’affermazione della mia vita»2.
evidentemente “presente” nelle pagine dedicate ai ricordi d’infanzia, fa da contraltare al troppo-pieno della parte della fiction: in essa tutto è
Queste ultime parole sono la prova tangibile della possibilità di
sistematicamente descritto, organicamente rappresentato, strutturato nei
scrivere ancora poesia dopo Auschwitz. Perché di poesia si tratta. Vi
minimi particolari… Il movimento perpetuamente ostacolato della
sono passi in cui Perec sembra abbandonare la maschera, il pudore che
memoria si oppone allo scivolamento irrefrenabile nell’incubo di W.
lo scrittore mantiene sempre nel proprio scritto. L’impossibilità di
Nella prima parte, Perec corregge con un sistema di note e
scrivere qualcosa che non siano solo dettagli anodini sui genitori non
completamenti, come se fossero redatti in un momento successivo, gli
cancella la presenza dell’amore reciso nei primi anni di vita da una Storia
errori più evidenti della memoria, i quali non possono essere colmati…
crudele, inspiegabile. Pochi récits d’enfance accumulano in maniera così
Appare chiaro nella redazione di due testi di apertura sulle figure dei
ripetitiva i segni di scrupolo e di soggettività: come una sorta di basso
genitori e sulle fotografie che può solo descrivere, niente più:
continuo, Perec sfuma volutamente il senso e l’emozione in un sistema di giustapposizione ambiguo, costringendo il lettore a farsi carico del
Non so se non abbia niente da dire, ma so che non dico niente; non so se quello che avrei da dire non venga detto perché indicibile
legame tra gli elementi, attraverso l'immaginazione. Perec rinnova il genere autobiografico, il racconto d’infanzia nella
46
Letteratura e filosofia
fattispecie, introducendo due sostanziali novità: l’autobiografia critica e
una pista da corsa e, sguinzagliate come prede, concesso loro un certo
l’integrazione di autobiografia e fiction. Nel primo caso si arresta e si
vantaggio, vengono inseguite dagli uomini che fanno loro violenza.
ostina sugli errori e sulle lacune per far scaturire un senso. Viene
Ogni tipo di atrocità è commesso in questo tipo di gara.
esercitato un controllo critico non tanto sulla veridicità o meno degli
Incredibili appaiono “le piste di cenere, le camerate”. Perec si rende
eventi descritti, quanto sulla capacità della memoria e della scrittura di
conto dell’impossibilità di cambiare la Storia e di trovare conforto, pace.
attaccare quel nucleo sottraentesi. Il secondo è evidente: la fiction è una sorta di correttivo-integrazione per attingere, attraverso l’immaginazione legittimata, a ciò che la memoria non può raggiungere. Non si può prescindere nell’analisi di W o il ricordo d’infanzia da almeno alcuni accenni al mondo di W, vero e proprio sistema
Colui che entrerà un giorno nella Fortezza dapprima si troverà di fronte a una successione di stanze vuote, lunghe, grigie. Il rumore dei suoi passi che risuonano sotto le alte volte di cemento gli farà paura, ma dovrà camminare a lungo prima di scoprire, nascoste nelle profondità del sottosuolo, le vestigia di un mondo che crederà di avere dimenticato:
concentrazionario. Si pensi al fiero motto che domina l’entrata dei
mucchi di denti d’oro, fedi nuziali, occhiali, migliaia e migliaia di vestiti
villaggi “FORTIUS ALTIUS CITIUS” così paurosamente somigliante
impilati, schedari polverosi, stock di sapone di cattiva qualità…3
ad “Arbeit macht frei”. L’ideale sportivo inoltre era davvero fondamentale nell’universo nazista. La deviazione dello spirito sportivo, o meglio
Questi oggetti stanno ancora per un’assenza presente, per qualcosa di
un’accentuazione disumana del suo carattere agonistico appaiono da
annientato ma che continua a mormorare corrispondenze con il
numerosi segnali, lentamente e implacabilmente introdotti dall’autore. Si
presente.
pensi alla gara delle Atlantiadi: su W non esistono matrimoni o famiglie.
La Shoah segna una rottura tra un prima e un dopo, diventando
Gli individui non hanno nome ma soprannomi che si riferiscono alle
pertanto germe di scrittura. Vi sono una storia personale e una storia
posizioni ottenute nelle gare sostenute. I bambini vivono fino ad una
collettiva che costituiscono un tessuto di cui la scrittura cerca di
certa età con il solo aiuto di novizi; le donne invece sono rinchiuse in un
ricostruire la trama senza nessi. La memoria degli “orfani della Shoah”
gineceo. Nella gara delle Atlantiadi un gruppo di donne viene portato su
non è in grado di relegare il passato nel passato, non supera il lutto e
47
Quaderni della Ginestra
non può rimuovere del tutto. La memoria non può dire la totalità, può
un io perduto che vuole dirigersi verso un io recuperato. Attraverso la
al più ripetere incessantemente la frantumazione di un’identità pur nella
finzione o la narrativa si apre uno spazio, ben più vivibile, in cui l’io
direzione di un'integrazione. Si tratta di un’identità nomade che la
perduto può finalmente muoversi ed esprimersi attraverso un io
scrittura non può fissare, ma può tuttavia seguire nel suo incessante
ritrovantesi; Perec diventa un altro (le sue costruzioni immaginarie, i
movimento di ricerca. La Shoah è una figura in absentia, a cui
suoi peripli narrativi) per ridivenire se stesso.
ricondurre la scissione dell’io; attraverso il linguaggio si dà avvio a un’opera di configurazione e riconfigurazione, in cui spesso è il lettore-
MICHAEL ARCHETTI
fruitore ad essere coinvolto, riconoscendo l’origine della preoccupazione identitaria degli autori. Il sé è stato offeso e minacciato dalla storia ma la determinazione
a
sopravvivere,
anche
solo
come
valore
di
1 Perec Georges, W il ricordo d’infanzia, Torino, Einaudi, 2005, pag. 8. 2 Ibidem, pagg. 48-49 3 Ibidem, pag. 185.
testimonianza, rappresenta un appiglio contro un sicuro naufragio. L’operazione-fiction può forse valicare i limiti di un realismo destinato a lasciare vuoti insostenibili. Da testimone assente, Perec diviene testimone scrittore. Nei campi di concentramento si assiste alla logica di una temporalità che sbriciola la successione di istanti: tutto è ricondotto a un unico istante atemporale: non è passato perché non si esaurisce nel ricordo, non è presente né futuro perché rinasce continuamente nel presente di una memoria che non può dimenticare. La vicenda di W non è collocata temporalmente e offre queste suggestioni; il percorso letterario e narrativo di Perec attinge comunque all’autobiografico, in un dialogo tra
48
Letteratura e filosofia
LA PROVA DEL FUOCO.
SOGNO, RIMOZIONE E COSCIENZA NE LE ROVINE CIRCOLARI DI J. L. BORGES
V
sfondo al racconto. Spesso nei sogni, ci dice l’inventore della psicoanalisi, l’ambientazione presenta connotati confusi, spesso decisamente indefiniti. È così in questo caso. L’ambientazione del racconto è tratteggiata solo lievemente, e sfuma poi pian piano verso il
i sono numerosi aspetti, contenuti all’interno del testo, che
nulla: vengono menzionati due templi, uno situato a nord e un altro a
suggeriscono l’interpretazione del racconto Le rovine circolari,
sud, entrambi in rovina, un fiume, alcune canne appena affioranti
apparso sulla rivista ‘Sur’ nel 1940 e poi definitivamente all’interno della
dall’acqua, una selva; nessun elemento è delineato con nitidezza, al
raccolta Ficciones del 1944, come un vero e proprio sogno, o sogno a
contrario ogni cosa pare come avvolta da una sottile coltre di foschia.
cornice. Il racconto potrebbe essere letto come un processo di
Nemmeno il protagonista è presentato nel dettaglio. Viene descritto
autoanalisi da parte del protagonista, il quale, partendo da un proposito
come un uomo taciturno proveniente da Sud, un uomo grigio, un
soprannaturale, giunge alla comprensione di sé. La narrazione presenta
forestiero, un mago. A mio parere, questa mancanza di definizione non
essa stessa numerosi piani, concentrandosi sull’esperienza onirica del
è soltanto in linea con l’atmosfera magica e misteriosa che pervade
protagonista, un mago capace di plasmare la materia dei sogni. Tuttavia,
l’intero racconto, ma è sintomatica di qualcosa di ancor più
credo, nemmeno la veglia può essere considerata tale, poiché l’uomo che
straordinario. Le due vite del mago, quella della veglia e quella onirica,
sogna è in realtà sognato a sua volta, ma senza saperlo; per questo più
sono entrambe un unico sogno, ed egli, entità di certo soprannaturale,
sopra ho parlato di «autoanalisi», un’autoanalisi tuttavia «incosciente».
ha confuso il sogno con la realtà, poiché ha rimosso un evento
Lungo il progredire della narrazione, il mago attraversa svariati livelli di
fondamentale della sua esistenza, ignoto a noi tutti: quello della
sogno, o meta-sogno,
creazione di sé.
addentrandosi sempre di più negli abissi del
proprio inconscio. Ad un occhio che ha familiarità con l’opera di Freud,
A questo stato prenatale egli cerca di ritornare costantemente, anche se
non sfuggiranno certamente alcuni evidenti caratteri fondamentali di
inconsapevolmente, tramite un proposito, cardine del racconto, attuabile
questo stato onirico: in primis, la descrizione del paesaggio che fa da
soltanto per mezzo del sonno:
49
Quaderni della Ginestra
chiuse gli occhi pallidi e dormì, non per debolezza della carne, ma per determinazione della volontà1.
In questo caso, però, il rapporto con l’utero risulta particolare e dicotomico. Sembra infatti che il mago non desideri soltanto ritornare ad essere inquilino dell’utero, ma diventarne anche, e soprattutto, il proprieta-
e ancora, poco più avanti:
rio. Al primo aspetto fanno riferimento i primi sogni effettuati dal forestiero: egli sogna se medesimo in un anfiteatro, si sogna perciò in terza e
Il proposito che lo guidava non era impossibile, anche se certamente sovrannaturale. Voleva sognare un uomo: voleva sognarlo con minuziosa completezza e imporlo alla realtà2.
prima persona, come oggetto e soggetto del sogno, poiché appare contemporaneamente come immagine dall’esterno e come «attore» principale:
Il mago, perciò, dorme per volontà propria, non per necessità o stanchezza, con lo scopo di plasmare un essere vivente concreto dalla materia dei sogni. Tuttavia il suo proposito, nei presupposti e nelle conse-
Il forestiero si sognava al centro di un anfiteatro circolare che era in qualche modo il tempio incendiato [...] L’uomo impartiva lezioni di anatomia, di cosmografia, di magia4.
guenze, è colmo di richiami freudiani. Abbiamo già accennato al desiderio inconscio di un ritorno allo stato prenatale, il che significa in realtà
Il secondo aspetto, invece, riguarda i sogni avuti in seguito ad una sorta
ritornare all’utero materno. Freud fa di questa affermazione un caposal-
di cesura – o censura –, frappostasi tra l’intenzionalità del sognatore e
do della propria teoria del sogno, come si può riscontrare
l’incapacità da parte del sogno di creare qualcosa di conforme alle aspet-
nell’Introduzione alla psicoanalisi del 1917:
tative. Infatti, dopo aver preso coscienza del fallimento della prima serie di sogni, quelli aventi come oggetto il ragazzo/allievo «uscito» da quella
Ci ritiriamo perciò di tanto in tanto nello stato prenatale, ossia
sorta di accademia onirica, l’uomo smette di sognare. Semplicemente
nell’esistenza endouterina. O almeno, ci creiamo condizioni del tutto
non riesce più a creare le condizioni necessarie al compimento del pro-
simili a quelle di allora: calore, oscurità e assenza di stimoli3.
prio intento. Dopo un periodo di riposo il mago ricomincia a sognare, e
50
Letteratura e filosofia
sin dalla prima notte sogna un cuore fremente. Fa un sogno di cui non è
Ma la discesa negli abissi non termina di certo qui. Anzi, si può dire che
protagonista – non appare in prima persona – nel quale si comporta da
prenda avvio proprio a partire da questo punto. Infatti d’ora in poi il
spettatore:
mago si concentrerà sulla costruzione della propria creatura, un Dr. Frankenstein fuori dal tempo; ma la sua creatura, anche ad avvenuto
Quasi subito, sognò un cuore che palpitava. Lo sognò attivo, caldo,
completamento, rimane inerte, priva di soffio vitale, proprio come il suo
segreto, della grandezza di un pugno chiuso, di color granata nella pe-
alter-ego shelleyano. L’uomo supplica perciò un simulacro di pietra, il
nombra di un corpo umano ancora senza faccia e senza sesso; con amore minuzioso lo sognò, per quattordici lucide notti. Ogni notte lo per-
quale gli si rivela in sogno come il dio del Fuoco e infonde finalmente la
cepiva con maggiore evidenza. Non lo toccava; si limitava ad attestarlo,
vita all’essere creato dai sogni. Solamente il forestiero e il Fuoco stesso
forse a correggerlo con lo sguardo. Lo percepiva, lo viveva, da molte di-
sapranno della reale natura del figlio.
stanze e da molte angolature5.
Il mago si appresta quindi ad iniziare il proprio figlio ai segreti della magia e al culto del Fuoco, inviandolo infine presso le rovine di un altro
In questo secondo caso, il sognatore configura se stesso come «portato-
tempio, del tutto uguale al primo. Trascorsi diversi anni, gli giungono
re» dell’utero materno, trascende perciò il ruolo di mero ricercatore
all’orecchio voci riguardanti un uomo che in un tempio a nord può
dell’obliterazione endouterina e la sublima, elevandosi al livello di vera e
camminare tra le fiamme senza bruciarsi, e comincia a temere che que-
propria ‘madre’. Freudianamente l’anfiteatro circolare della prima serie
sta facoltà soprannaturale induca la sua creatura a riflettere sulla propria
onirica, essendo identificabile come contenitore, come stanza 6, potrebbe
natura, che, si ricordi, è di fantasma.
rappresentare appunto l’utero materno, al quale il mago ritorna da inqui-
Il processo di autoanalisi va così dispiegandosi verso la conclusione. Il
lino. Nella seconda serie, come appena detto, l’utero materno è rappre-
mago, temendo per il figlio, riflette in realtà sulla propria condizione:
sentato dal sognatore stesso, il quale vede dentro di sé il figlio, ancora senza volto e senza sesso. È un ritorno agli abissi ancora più profondo.
51
A volte lo inquietava l’impressione che tutto ciò fosse già accaduto7
Quaderni della Ginestra
Il narratore così aveva scritto poche righe più sopra, riferendosi al peri-
coscienza a ciò che è sgradito, e l’ha chiamato censura; ciò che sfugge
odo in cui l’uomo iniziava ancora il proprio figlio agli arcani della magia.
alla censura affiora alla coscienza, generando un’angoscia talmente in-
Qualcosa cominciava già a trapelare sempre più prepotentemente, fino
sopportabile – il campanello d’allarme – da svegliare il sognatore. Ora,
allo sconvolgente riconoscimento conclusivo.
la censura onirica è qui rappresentata dalla prima serie di sogni, e il campanello d’allarme (il sistema di sicurezza della censura) dal risveglio
In un’alba senza uccelli il mago vide abbattersi contro i muri
del mago e dalla successiva incapacità di sognare. Nella prima serie di
l’incendio concentrico. Per un istante, pensò di rifugiarsi nelle acque, ma
sogni, si ricordi, il mago non aveva pieno controllo delle proprie facoltà,
poi comprese che la morte veniva a coronare la sua vecchiaia e ad assol-
non riusciva ad istruire l’allievo scelto tra tanti, e soprattutto non l’aveva
verlo dalle sue fatiche. Camminò contro le lingue di fuoco. Esse non morsero la sua carne, esse lo accarezzarono e lo inondarono senza calo-
«creato»; tutto ciò aveva impedito il contatto con il dio del Fuoco, che
re e senza combustione. Con sollievo, con umiliazione, con terrore,
segna l’inizio del graduale cammino verso la coscienza. Evidentemente,
comprese che anche lui era un’apparenza, che un altro lo stava sognan-
però, qualcosa era scattato: il solo proposito di plasmare un uomo dai
do8.
sogni era sufficiente per suscitare tensione, una tensione tanto grande da suggerire alla censura il risveglio del sognatore. Tramite il risveglio e il
Improvvisamente il rimosso irrompe alla coscienza. Nascostosi nelle
sonno senza sogni, il rimosso viene ancora tenuto lontano.
pieghe infinite dell’inconscio per chissà quanti anni, affiora infine pro-
Il proposito, tuttavia, che in questo caso corrisponde al rimovente, con-
prio grazie all’operato del mago – «creazione» e educazione del figlio –,
danna il sognatore all’intima scoperta della verità, al riaffiorare del ri-
operato che potrebbe essere identificato come rimovente. Egli crede di
mosso. È possibile leggere il procedere dell’impresa come processo di
compiere un’azione dettata dalla propria volontà, in realtà non fa che
disvelamento, come un’autoanalisi incosciente. L’uomo, nonostante la
avvicinarsi inesorabilmente al rimosso. Ma i segni della pericolosità di
censura lo metta in guardia dal procedere, persegue il proprio scopo,
quest’intento sono disseminati lungo tutto il racconto. Freud ha teoriz-
supera le barriere dell’inconscio e riporta il rimosso alla coscienza.
zato una sorta di filtro, o sistema di allarme, che impedisce l’accesso alla
Nemmeno la sensazione che tutto ciò fosse già accaduto riesce a frenare
52
Letteratura e filosofia
il protagonista, deciso ormai – anche se inconsciamente – a scoprire la verità. Il rimosso riaffiora così per mezzo del rimovente. L’incendio del tempio circolare si afferma come stato ultimo del riconoscimento; il mago pensa in un primo tempo di cercare riparo nell’acqua, ma subito muta il suo pensiero, non comprendendo di essere giunto alla fine della sua vita, ma al termine della propria ricerca. Varca la soglia delle fiamme, sicuro di andare incontro alla morte, finendo invece per comprendere ciò che tanto tempo addietro aveva affidato all’oblio. La sua stessa esistenza è effimera, il suo sognare non è altro che un sogno nel sogno.
GIOVANNI CONSIGLI
1
Borges, Jorge Luis, Las ruinas circulares, Sur, Buenos Aires 1940 in Ficciones, Editorial Sur, Buenos Aires 1944; trad. it. di Franco Lucertini, Le rovine circolari, in Finzioni, Einaudi, Torino 1955, cit. p. 48. 2 Ivi, p. 49. 3 Freud, Sigmund, Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse, 1915-1917, trad. it. di Marilisa Tonin Dogana ed Ermanno Sagittario, Introduzione alla psicoanalisi, Einaudi, Torino 2012, cit. p. 88. 4 Borges, Le rovine circolari, cit. p. 49. 5 Ivi, p. 51. 6 Freud, Introduzione alla psicoanalisi, cit. p. 148. 7 Borges, Le rovine circolari, cit. p. 52. 8 Ivi, p. 54.
53
TROPPO UMANO, PARMA, 2012
Quaderni della Ginestra
EMENDABILE O INCURABILE? LA FIGURA DEL DELINQUENTE-SELVAGGIO NELLA COLONIA FELICE DI CARLO DOSSI
T
verificatasi entro un arco cronologico piuttosto limitato, e scarsamente influente – se non addirittura estranea – nella formazione della cultura e dell’identità dello stato-nazione postunitario. Al contrario, si può osservare come il processo di costruzione della figura del delinquente-
ra i periodi storici in cui è possibile osservare lo svilupparsi di un
pericoloso abbia coinvolto i più diversi settori del sistema culturale; e
rapporto stringente tra letteratura e psichiatria in Italia, i decenni
come esso abbia marcato con la sua presenza alcuni momenti esemplari
successivi all’unificazione occupano senz’altro una posizione di rilievo.
della storia d’Italia, come il dibattito attorno al Codice Penale unitario e
Sin dalla pubblicazione delle prime opere di Cesare Lombroso, il fitto
il primo colonialismo italiano nei territori del corno d’Africa. Si trattò,
dialogo tra scienze umanistiche e scienze medico-antropologiche (che di
inoltre, di un processo cui certamente Lombroso e i suoi allievi presero
lì a poco sottolineranno sempre più il loro carattere di scienze sociali)
parte, ma che non iniziò e non si esaurì con la loro ‘scuola’. Per
appare particolarmente evidente. Si tratta, com’è noto, di un dialogo
sostenere questa tesi si può ricorrere – inaspettatamente – anche
avvenuto non solo sul versante della creazione artistica – e cioè sui
all’analisi di un romanzo, che si rivela particolarmente utile in questo
rapporti che legherebbero il genio e la follia1 – ma anche (e in misura
senso, date le sue caratteristiche testuali, il percorso editoriale e
non certo minore) sullo studio della delinquenza. Basti pensare che
l’entusiasmo con cui è stato recepito, anche all’interno degli ambienti
Enrico Ferri, illustre allievo dell’antropologo veronese e personalità
politici e diplomatici.
influente del Partito Socialista, dedicò un’intera opera allo studio de I
Nel 1883 l’editore milanese Angelo Sommaruga, che in quegli anni
delinquenti nell’arte2; e che l’attenzione rivolta da Lombroso alla
andava consolidando la sua posizione all’interno del mercato editoriale
letteratura, nella costruzione delle sue teorie sulla delinquenza, continua
romano, diede alle stampe la quarta edizione de La Colonia felice dello
3
tutt’oggi ad essere oggetto di interessanti ricerche .
scapigliato milanese Carlo Dossi. Il romanzo, com’è noto, racconta di
Ciò nonostante, resta piuttosto diffusa l’opinione secondo la quale
come un gruppo di delinquenti, spediti su un’isola deserta, dopo
queste teorie sulla devianza siano state (loro stesse) un’anomalia,
un’iniziale fase di disordini e crudeltà, si rendano conto che la legge 54
Letteratura e filosofia
procede dall’utilità; che il rispetto del patto sociale è in ultima analisi
certo per semplice umore di bizzarria contraddittoria)»7. A precedere il
assai conveniente per l’individuo; che infine l’amore e la famiglia
testo è infatti, chiara e netta, una Diffida, che sconfessa l’immagine del
possano trasformare il delinquente in onesto lavoratore ed emendarlo
delinquente tracciata dalla narrazione romanzesca, dichiarandola ormai
così delle colpe commesse. «Con sei edizioni in un ventennio, La Colonia
insostenibile, stanti le ultime conquiste della scienza psichiatrica.
4
felice è certamente l’opera del Dossi di maggior successo editoriale» ; dopo una prima pubblicazione (di sole duecento copie stampate a spese dell’autore nel 1874), il romanzo apparve a puntate sul quotidiano
Con la Colonia felice io m’era dunque proposto […] di dimostrare graficamente le seguenti anticipazioni delle cattedre, cioè:
romano la «Riforma» nel 1879 e ottenne un successo non trascurabile,
1° che il male insegna il bene;
se è vero che «il rilancio romano dello scrittore prese avvio proprio da
2° che la giustizia procede dall’utilità
5
La colonia Felice» . Si trattò di un rilancio, allo stesso tempo, letterario e
3° che inùtile è la pena di morte, quindi ingiusta;
politico : «la Riforma» e lo «Stabilimento Tipografico Italiano» erano
4° che, come rinnòvasi la materiale compàgine dell’uomo, può pa-
infatti, rispettivamente, il quotidiano e la casa editrice del partito
rimenti rifarsi quella morale; né il filo della memoria basta a congiunge-
crispino; e proprio quando Francesco Crispi sedette alla presidenza del
re, in una sola, le varie individualità per cui una persona passa. Conse-
consiglio, il nostro romanziere si trovò a ricoprire rilevanti incarichi
guentemente, potrebbe qualunque colpèvole riprincipiare, in tutta la vir-
6
politici e diplomatici. L’edizione sommarughiana de La Colonia felice appare particolarmente
tù della parola, la sua esistenza; 5° infine, che amore ha forza assai più della Forza.
curata, esito di un lavoro di revisione condotto con grande precisione da
Come si scorge, io era in perfetta regola con la filantropia conven-
parte dell’autore. Il testo è infatti seguito da una Nota grammaticale in cui
zionale, non però con la scienza. La guancia de’ preventivi miei conti
il Dossi illustra i criteri ortografici adottati. «Sennonché, nel momento
non avrebbe potuto mostrarsi più rosata e piacente, ma avèa un piccolo neo, quello di non segnare che un attivo ideale. Ben altre erano infatti le
stesso in cui veniva licenziata al pubblico, così attentamente ‘ricorretta’ e
cifre reali raccolte dalla psichiatria, dalla chimica organica, dalla statistica
provveduta, l’autore si premurava di sconfessare la sua opera (e non
criminale. L’uomo malvagio non è correggibile8.
55
Quaderni della Ginestra
Nel frattempo altre ‘cattedre’, non esattamente votate all’insegnamento
cadere sulla prima ipotesi 11. Eppure la sincerità con la quale il Dossi
della filantropia, avevano iniziato a fornire le loro ‘anticipazioni’: in
accolse in questi anni le conclusioni della «nuova scuola positiva» non
particolare, da quella di medicina legale e igiene pubblica dell’Università
pare possa essere messa in discussione. La medicalizzazione del
di Torino, l’ormai noto psichiatra e antropologo Cesare Lombroso
delinquente; la fusione di delitto e follia, ottenuta dichiarandone la
teneva il suo insegnamento sin dal 1876; e in quello stesso anno era stata
comune origine epilettica; la definizione della tendenza criminosa come
pubblicata per la prima volta una delle sue opere più prestigiose, L’uomo
natura morbosa, ereditaria e incurabile, almeno nelle sue manifestazioni
delinquente studiato in rapporto alla antropologia, alla medicina legale ed alle
più «atavistiche»; tutto ciò convinse più d’uno dei letterati italiani, e tra
discipline carcerarie9. Dossi ebbe modo di leggere questo studio sin da
essi appunto Carlo Dossi, tanto da indurlo a sconfessare un suo
questa prima edizione, e subito pensò di spedire all’antropologo
romanzo nel momento stesso in cui ne licenziava l’edizione più curata.
veronese una copia della sua Colonia felice. Da quel momento iniziò tra i
Su tale contraddizione vale davvero la pena di interrogarsi, anche perché
due una serie di corrispondenze epistolari che proprio attorno al 1883
le due tesi (apparentemente) opposte che la compongono – quella del
era andata infittendosi, in merito a un’altra pubblicazione che il Dossi
testo e quella della Diffida – corrispondono a quelle che avrebbero
stava portando a termine, I mattoidi al primo concorso pel monumento in Roma
diviso i penalisti dell’epoca, secondo quel paradigma dello «scontro tra
a Vittorio Emanuele II. Il termine ‘mattoidi’ fu suggerito all’autore
le due opposte scuole penali» tramandato da buona parte della
milanese proprio da Lombroso: a lui rivolse il Dossi la dedica dell’opera;
storiografia del diritto. Sarebbere cioè esistite, compatte e ben
in cambio l’antropologo inserì parte del materiale raccolto all’interno del
riconoscibili, da una parte la «scuola classica» del diritto penale, che
suo Genio e Follia10.
individuava le sue fondamenta attorno ai concetti cardine di reato, libero
Sarebbe certo un grave errore ridurre la figura del Dossi letterato a
arbitrio, responsabilità; e dall’altra parte (ma su questo non c’è alcun
una sorta di traduttore romanzesco delle teorie lombrosiane: anzi,
dubbio) la «nuova scuola positiva», che affermava la necessità di studiare
dovendo scegliere se tra i due fu il romanziere a ‘usare’ lo scienziato o
il delinquente piuttosto che il delitto, e accusava la parte avversaria di
piuttosto lo scienziato a servirsi del romanziere, la scelta dovrebbe certo
rimanere legata ad una concezione astratta e metafisica del diritto, del 56
Letteratura e filosofia
tutto sganciata dalle reali dinamiche sociali12.
Al contrario,
Certamente tra alcuni penalisti si accese una polemica a tratti feroce, che animò il dibattito attorno alla stesura del nuovo Codice Penale
non c’era bisogno dei positivisti perché il legislatore penale pensasse
unitario e che si svolse tanto tra i banchi dell’accademia quanto tra quelli
a sanzioni che oggi assimileremmo alle misure di sicurezza, perché esse
del parlamento13. Tuttavia, l’adozione eccessivamente rigida di questo modello non è in grado di sciogliere una serie di contraddizioni, alcune
erano presenti da decenni nel sistema e da più di un secolo nella cultura della prevenzione e della pena; non è necessario evocare i positivisti ogni volta che appare, sia pure in trasparenza, la ‘pericolosità’ dei sogget-
delle quali risultano evidenti anche nello studio del romanzo in oggetto:
ti, perché questo era il senso comune, tra la gente e per gli scienziati, nel
l’approvazione del Codice Zanardelli (secondo questa prospettiva, il
secolo XIX: senso comune al punto di comparire, senza contraddizione
massimo prodotto della «scuola classica», che segnò la sconfitta dei
né scandalo, nelle sentenze dei giudici, in piena vigenza del codice del
positivisti) avvenne sotto il governo Crispi, proprio mentre l’organo di
1889 che avrebbe dovuto essere incompatibile con quella prospettiva15.
stampa («La Riforma») dello stesso presidente del consiglio tentava di smuovere l’opinione pubblica in senso, verrebbe da dire, lombrosiano,
Né tali sanzioni furono di fatto affievolite nel Testo Unico delle leggi
attraverso le sue firme più note già convertite alle nuove dottrine
di Pubblica Sicurezza, proposto dallo stesso Crispi e approvato nello
(compreso quel Carlo Alberto Pisani Dossi che del presidente del
stesso anno del «classico» Codice Zanardelli; nel corso del decennio
consiglio sarà strettissimo collaboratore e consigliere). C’è inoltre il
successivo diventeranno anzi sempre più stringenti ed esplicitamente
rischio di non cogliere quegli elementi lombrosiani che hanno
applicate anche alla repressione del dissenso politico, prima con le «leggi
continuato a caratterizzare la criminologia e la cultura italiana anche nel
crispine» del 1894, poi coi provvedimenti del Gabinetto Pelloux, a
corso del Novecento 14, oppure di ipotizzare una genesi improvvisa di
seguito dei disordini del 1898.
quegli stessi elementi: una sorta di irruzione aliena in un’Italia
Dal canto suo anche la letteratura, verrebbe da pensare, non dovette
caratterizzata da una cultura «classica», metafisica e «filantropica», fino a
attendere la «nuova» antropologia criminale tardottocentesca per
quel momento estranea ai principi e alle pratiche del controllo sociale.
costruire, tra i suoi personaggi, le figure dei delinquenti pericolosi, se ad
57
Quaderni della Ginestra
COMPARSE, SYDNEY, 2011 58
Letteratura e filosofia
esserne già abbondantemente provvisto era proprio quel «senso
occhi – due fili di luce – che apparivano e scomparivano a tratti,
comune» che essa per prima contribuiva a costruire, data la straordinaria
quasi tementi di essere scorti […] Il quale, facèndosi innanzi: gente!
fortuna di cui godette in questo secolo il genere romanzesco – e in particolare il romanzo d’appendice. Per vedere confermata tale ipotesi
che si sta qui a dire il rosario?... Date ascolto alla Nera! […] L’incanto era rotto. Da ogni parte, grida che volèvano èsser parole, parole che volèvano èssere idee: idèe e parole, che accumulàtesi da
basta aprire la prima pagina del romanzo-archetipo di questo genere
mesi e mesi in quelli angusti cervelli, irrompèvano ora alle labbra, vi
popolare, I misteri di Parigi di Eugène Sue, e osservare quanto a
si stipàvano per sprigionarsi, pugnando a chi primo, e a vicenda im-
quell’altezza (1842-43) fosse già cristallizzata la figura del delinquente
pedendosi. E parlàvano tutti a una volta. Parèa che il tempo stesse
selvaggio (metropolitano): con tanto di esplicito riferimento ai
lor per fallire. Erano laidità; erano orrende bestemmie. E intanto si sconficcàvan le casse della carne salata e del pane, e
sanguinari selvaggi di James Fenimor Cooper, che agitavano il sonno dei
due, ondeggiando, barellavano in mezzo un botticello pesante, sul
coloni (e la veglia dei lettori). Anche il testo de La Colonia felice, scritto
quale era scritto branda.
dal Dossi prima della ‘conversione’ alle scienze positive, costituisce un’ulteriore conferma in questo senso. La delinquenza dei suoi
[…] Due ore dopo, leggero il barile, greve la pancia. Dal cibo, la bestialità avèa riavuto il consueto dominio16.
personaggi non è ancora morbosa, epilettica, medicalizzata, ma è già evidentemente ‘selvaggia’:
Certo questo carattere selvaggio, se anche già fosse in qualche misura costitutivo, non è ancora a questa altezza una «natura» dell’individuo
Quand’ecco, si udì uno stampo di un piede, e una tìnnula voce di
delinquente; o per lo meno non presenta ancora il suo carattere
donna echeggiò: vili! – Una giòvane snella, dal profilo tagliente e dalla
«morboso» e incurabile (infatti l’isolamento, la famiglia e il lavoro
chioma nèrissima, svolazzante, s’era piantata spavalda su di una cassa, e lampeggiando fùlmini neri da’ suoi occhi aquilini, squillava: vili! uomini inutilmente maschi!... volete a marito noi donne?
59
possono ancora cambiarne il segno). Ma a ben vedere non è nemmeno così necessario che lo diventi: in primo luogo perché anche la figura del
- Brava – rispose una voce secca al pari di nàcchere e veniva da
‘selvaggio emendabile’ ha saputo ispirare o corroborare misure
un magro e lungo di uno, dal ghigno nudo di peli e giallastro, e dagli
preventive di controllo sociale. In secondo luogo perché di essa, al netto
Quaderni della Ginestra
delle contraddizioni apparenti, hanno potuto continuare a servirsi anche
degenerazione positiviste; e i sostenitori di quelle stesse teorie
coloro che quell’emenda non credevano più possibile. Nel 1884
scientifiche elogeranno quel romanzo (filantropico) come anticipatore
Alessandro Lioy, avvocato, «uno dei più strenui campioni ed apostoli
delle nuove teorie, dalle quali dovrebbe invece essere confutato. Eppure,
della nuova scuola penale»17,
se si guarda a tali contraddizioni, più che come punti di blocco dell’analisi, come pista di ricerca da seguire, si ha modo di verificarne la
esponendo a Napoli, presso la Società Africana d’Italia, la proposta
frequenza e la costanza anche attraverso i decenni. La storiografia del
di una Colonia penitenziaria ad Assab, presentava l’utopia lirica dossiana
diritto ha già mostrato la produttività di una ricerca in questa direzione:
come un’anticipazione dell’arte sulla scienza, sicchè «Gualdo – l’eroe del
nonostante lo «scontro tra le scuole», un tratto permanente ha attraversato
Dossi – l’assassino trasformato in onesto lavoratore mercè l’isolamento, la colonia, la famiglia, rappresenterebbe il prototipo della scienza peni-
la cultura penale dell’Italia unita, la cui continuità si è data (almeno in
tenziaria». Quattro anni dopo (8 novembre 1888), in una seduta del se-
parte, ma è certo una parte non trascurabile) sul terreno della difesa del
nato in cui si discuteva il progetto del nuovo codice penale, Tullio Mas-
corpo sociale, attraverso le politiche adottate in materia di pubblica
sarani, intervenendo a sostegno della deportazione («unica eventualità di
sicurezza19.
redenzione, unico spiraglio di vita nuova» per i grandi malfattori), trovò modo di citare ai suoi colleghi una pagina della Colonia felice e di elogiarne l’autore: «un giovane – un giovane di ieri (gli anni corrono così pre-
Verrebbe da chiedersi se anche la critica letteraria non debba tentare la stessa operazione, sforzandosi quindi di tenere assieme ciò che si
sto!) – un uomo, al quale lo strenuo ingegno conquistò un posto rag-
dimostra sempre più difficile da separare. Una separazione di questo
guardevole presso il Signor Presidente del Consiglio»18.
tipo è quella che storicamente ha caratterizzato l’atteggiamento della critica verso l’opera di Carlo Alberto Pisani Dossi e per cui si è spesso
Si mostrano così una serie di contraddizioni apparenti: un romanzo
sostenuto che il Carlo Dossi scrittore scapigliato e l’Alberto Pisani
di successo, nella sua edizione più curata e corretta, convive con la sua
Dossi diplomatico, «principale artefice della politica estera crispina» 20
Diffida, poiché giudicato dall’autore scientificamente inattendibile; la
(quindi del primo colonialismo italiano), siano state quasi due persone
filantropia (penitenziaria) convive con le teorie dell’atavismo e della
persone diverse, o addirittura inconciliabili. Anche in una prospettiva 60
Letteratura e filosofia
eminentemente letteraria, invece, leggere assieme lo scrittore e il politico
Si vede così quanto, pur entro continue ambiguità e contraddizioni, la
si mostra essere una linea di ricerca da praticare più a fondo, come
figura del delinquente e del selvaggio (interno o esterno che sia al
alcuni esperti hanno già avvertito in passato21 e come recenti ricerche
territorio nazionale) abbia caratterizzato con una certa costanza la storia
continuano a dimostrare 22. Tenere assieme questi due aspetti, indagare la
e la cultura dell’Italia Unita; e come le teorie di Lombroso e dei suoi
profondità e la solidità dell’intreccio cui diedero luogo, sembrerebbe
allievi abbiano piuttosto integrato che sconfessato questo tipo di
dunque un’iniziativa più che legittima. Una legittimità che, se possibile,
rappresentazione. L’immagine testimoniata dal romanzo dossiano e le
aumenta ancora di più se ci si concentra sulla sola Colonia felice. Leggerla
conquiste della psichiatria che avrebbero dovuto sconfessarlo seppero
assieme alle politiche penali e coloniali italiane non è un azzardo
insomma convivere a lungo, ben oltre l’approvazione del codice
ermeneutico, ma un fatto storico. Nella quarta edizione del romanzo
Zanardelli, mostrandosi in qualche caso particolarmente collaborative:
facevano il loro ingresso le nuove dottrine penal-positiviste; l’anno
trattando il tema della deportazione e del possibile impiego delle terre
successivo La Colonia felice (non ostante la Diffida) diveniva il progetto
coloniali italiane, il fondatore della «nuova scola penale» Enrico Ferri
(positivista) di una colonia penitenziaria eritrea; quattro anni più tardi, il
seppe riprendere – pur senza citarlo direttamente – la stessa
romanzo di Dossi faceva il suo ingresso nelle aule del Senato in cui si
rappresentazione del delinquente e le stesse misure correttive proposte
discuteva il progetto del nuovo codice penale («classico»). Si aggiunga
nel romanzo dossiano, saldando su di esse le nuove conquiste della
infine, dato a questo punto molto significativo, che se le terre delle
scienza positiva. Vale la pena, per concludere, di citare un ampio stralcio
colonie italiane nel corno d’Africa vennero chiamate «Eritrea», lo si deve
di questa Sociologia criminale, anche perché l’allievo del Lombroso non
proprio all’autore della Colonia felice : più di dieci anni dopo aver scritto
manca di citare alcuni padri della cultura umanistica occidentale a
quel romanzo «col quale vaticinava chiaramente all’Eritrea»23, fu infatti
sostegno delle sue tesi: non saranno, questa volta, i classici della
Carlo Dossi a coniare e suggerire a Francesco Crispi quel «nome
letteratura ad essere chiamati in causa, come già avvenuto in un altro
rubricante di una sperata porpora coloniale» 24, come alcune sue lettere
suo studio già citato, ma classici della filosofia come Platone, Aristotele
pubblicate di recente dimostrano ormai con certezza25.
e Plutarco. Come si vedrà, il loro utilizzo appare piuttosto estemporaneo
61
Quaderni della Ginestra
e frettoloso (come spesso già nel maestro Lombroso); ma rende (forse
Ma per noi italiani credo che si possa, purtroppo, fare una deporta-
proprio per questo) particolarmente evidente il portato politico
zione intema, mandando certe categorie di delinquenti a risanare i paesi
dell’operazione, che mirava ad incidere il più possibile nel processo di formazione della cultura nazionale – e che in qualche caso, come si è visto, non mancò di raggiungere il proprio obiettivo.
incolti per malaria. Se questa per essere domata esige un’ecatombe umana, molto meglio che sia di delinquenti anziché di onesti agricoltori. Un po’ meno di riguardi ai malfattori e un po’ più agli onesti contadini ed operai! E che i delinquenti divenuti pionieri di civiltà, si redimano colla morte di fronte all’umanità, ch’essi hanno così crudelmente offesa. La vera deportazione oltremarina, fino a pochi anni fa non era per
Deportazione, adunque, oppure reclusione perpetua indeterminata,
noi di pratica attuabilità […]. Ma dacchè l’Italia possiede la Colonia Eri-
come spiegherò or ora, per i più temibili delinquenti, incorreggibili, au-
trea, l’idea della deportazione ha preso vigore. Io stesso, nel maggio
tori di una qualche forma di criminalità atavica.
1890, proposi incidentalmente alla Camera dei deputati l’esperimento di
Sulla deportazione si è scritto molto, anche in Italia, massime alcuni
una colonia penale nei nostri possedimenti africani. […] Ad ogni modo,
anni fa, quando vi fu polemica vivace […]. Tuttavia nella deportazione
anche ammessa la deportazione dei delinquenti nati e incorreggibili, o
c’è un'anima di verità indiscutibile: che cioè quando essa sia perpetua e
all’interno od oltremare, rimane il problema della forma più adatta di lo-
quindi con minime probabilità di rimpatrio, è il mezzo migliore per
ro segregazione.
purgare la società da inquilini pericolosi e sollevarla dall' obbligo di
E si presenta allora, dapprima l’idea dello «stabilimento per incor-
mantenerli. Ma allora non può essere che la deportazione semplice, cio-
reggibili» […] perché si tratta di delinquenti pei quali non vi è speranza
è, come fece da principio l'Inghilterra, l'abbandono dei deportati in
di correzione. La natura congenita e la trasmissibilità ereditaria delle
un’isola o continente (con mezzi sufficienti per vivere lavorando) od
tendenze criminose in questi individui giustificano pienamente queste
anche il loro trasporto in paesi barbari, dove essi, che nei paesi civili so-
parole del Quetelet: «Le malattie morali sono come le malattie fisiche:
no semi-selvaggi, rappresenterebbero invece una mezza civiltà e per le
ve n’è di contagiose, ve n’è di epidemiche e ve n’è di ereditarie. Il vizio
stesse loro qualità organiche e psichiche mentre divengono grassatori
si trasmette in certe famiglie come la scrofola o la tisi». […] Così Aristo-
od assassini nei paesi civili, diverrebbero discreti capi tribù o militari nei
tele narra di un uomo, che accusato di aver battuto il padre, rispose:
paesi selvaggi, dove si trovano poi gente che non ricorre ai tribunali per
«Mio padre ha battuto mio avo; mio avo ha egualmente battuto mio bi-
rintuzzare le offese.
savo nel modo più crudele e voi vedete mio figlio: questo fanciullo non
62
Letteratura e filosofia
avrà ancora l’età di un uomo, che non mi risparmierà le sevizio e le percosse» (I). E Plutarco soggiunge: «I figli degli uomini viziosi e cattivi sono una derivazione della natura stessa dei loro padri» (II). Così ci spieghiamo la intuizione di Platone che, pure «ammettendo in principio che i figli niente dovessero soffrire pei delitti dei genitori, suppose però il caso in cui il padre, l’avo ed il bisavo fossero stati condannati a morte ed allora propose che i discendenti dovessero cacciarsi dallo stato, come appartenenti ad una razza incorreggibile» (III) 26.
ALESSIO BERRÈ
Cesare Lombroso, Genio e follia, Milano, Brigola, 1872; ora anche in Delia Frigessi, Ferruccio Giacannelli, Luisa Mangoni (a cura di), Cesare Lombroso, Delitto, genio, follia: scritti scelti, Torino, Bollati Boringhieri, 2000 2. 2 Enrico Ferri, I delinquenti nell’arte, Genova, Libreria editrice ligure, 1896. 3 Vedi Delia Frigessi, Cesare Lombroso, Torino, Einaudi 2003, pp. 327-352; Andrea Righini, Cose da pazzi: Cesare Lombroso e la letteratura, Pisa, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2001; e ora Lucia Rodler, Introduzione, in Cesare Lombroso, L’uomo delinquente studiato in rapporto all’antropologia, alla medicina legale e alle discipline carcerarie [1876], Bologna, Il Mulino, 2011. 4 Dante Isella, Note ai testi, in Carlo Dossi, Opere, Milano, Adelphi, 1995, p. 1458. 5 Ivi, p. 1459. 6 Vedi Francesco Lioce, Esperienza letteraria e ideologia politica: il caso Carlo Alberto Pisani Dossi (Da una lettera dell’inedita Vita di Carlo Dossi), in http://www.italianisti.it/FileServices/Lioce%20Francesco.pdf 7 Dante Isella, Note ai testi, cit., p. 1461. 8 Carlo Dossi, Opere, cit., p. 525. 9 Cesare Lombroso, L’uomo delinquente studiato in rapporto alla antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie, Milano, Hoepli, 1876. 1
63
Vedi Delia Frigessi, Un’amore corrisposto, in Id., Cesare Lombroso, Torino, Einaudi, 2003, pp. 327-352. 11 Ibidem. 12 Enrico Ferri, I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale, Bologna, Zanichelli, 1884. 13 Mario Da Passano, Echi parlamentari di una polemica scientifica (e accademica), «Materiali per una storia della cultura giuridica», XXXII, 1 (2002). 14 Vedi Mary Gibson, La criminologia prima e dopo Lombroso, in Silvano Montaldo e Paolo Tappero (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, Torino, Utet, 2009. 15 Mario Sbriccoli, Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penale italiano, in Luciano Violante (a cura di), Storia d’Italia. 14. Legge Diritto e Giustizia, Torino, Einaudi, 1997, pp. 486-551. 16 Carlo Dossi, La Colonia felice, cit., p. 541. 17 Cesare Lombroso, Palimsesti dal carcere, Torino, Bocca, 1888, p.109. 18 Dante Isella, Note ai testi, cit., p. 1459. 19 Mario Sbriccoli, Caratteri originari e tratti permanenti, cit. 20 Francesco Lioce, Esperienza letteraria e ideologia politica: il caso Carlo Alberto Pisani Dossi (Da una lettera dell’inedita Vita di Carlo Dossi), cit. 21 Luisa Avellini, La critica e Dossi, Bologna, Cappelli, 1978. 22 Francesco Lioce, Esperienza letteraria e ideologia politica: il caso Carlo Alberto Pisani Dossi (Da una lettera dell’inedita Vita di Carlo Dossi), cit. 23 Gian Pietro Lucini, L’ora topica di Carlo Dossi, Varese, A. Nicola & C., 1911. 24 Ibidem. 25 Francesco Lioce, Flussi migratori e politica africana: alcune lettere di Pisani Dossi a Luigi Bodio, «Rassegna Storica del Risorgimento», a. XCV, Fasc. III, Luglio-Settembre 2008, pp. 379-406. 26 Enrico Ferri, Sociologia criminale, Torino, Bocca, 19004, pp. 886-889. (I) Aristotele, Etica, VII [NdA]. (II) Plutarco, Opere, cap. 19. E così Lucas, Traité physiologique et philosophique de l’éredité naturelle, Paris 1847, I, 480 e 499: […] Lombroso, L’uomo delinquent, II e III ediz [NdA]. (III) Carrara, Programma, § 647, nota [NdA]. 10
Didattica e filosofia
DALLA RELAZIONE TRA SOGGETTI ALL’INTERSOGGETTIVITÀ: UN PERCORSO DIDATTICO
G
non solo a Husserl, ma a tutta quella tradizione di pensiero che ha riflettuto su questo argomento, da Merleau-Ponty a Edith Stein, a Ricoeur, e che, pur declinandolo in termini molto diversi, ne
li argomenti didatticamente più efficaci sono quelli che
condividono l’assunto di base: la dimensione interelazionale della
sollecitano negli studenti l’interesse culturale e li stimolano allo
soggettività. Ne consegue che l’esperienza che noi facciamo degli altri
stesso tempo a riflettere sulla propria esperienza, contribuendo
non può essere intesa secondo il modello della conoscenza, che
in tal modo alla loro formazione. L’intersoggettività è certamente uno di
presuppone un soggetto isolato che si rapporta ad un altro soggetto
quelli che meglio risponde a questi obiettivi. Nondimeno risulta difficile
isolato; il secondo importante cambiamento di paradigma deriva infatti
trattarlo in modo incisivo, anche perché viene
tematizzato
dalla considerazione che gli altri non ci sono dati come oggetti che
espressamente solo a partire dal Novecento, e in particolare con
incontriamo cognitivamente. La possibilità di comprenderci dipende
Husserl, pensatore che solitamente si affronta verso la fine dell’ultimo
piuttosto dal fatto che viviamo in un mondo condiviso.
anno di studio della filosofia. Ma la difficoltà è soprattutto teoretica e
Il tema dell’intersoggettività ha una grande rilevanza nella
riguarda le grandi svolte del pensiero, di cui gli studenti devono
formazione degli studenti, perché li mette in grado di comprendere la
diventare
riferimento
cultura contemporanea e dunque di integrare i diversi saperi, in modo
particolarmente significativi: in primo luogo essi dovranno riflettere
specifico la filosofia con l’arte e la letteratura. Per favorirne una
sulla svolta più importante, vale a dire il passaggio dalla concezione di
comprensione efficace, è utile proporre un percorso che ricostruisca la
tipo “egologico” dell’ontologia moderna, per usare un’espressione di
riflessione filosofica sulla relazione tra i soggetti secondo le differenti
Levinas, che tende a ricondurre l’esperienza della realtà e dunque anche
modalità in cui è stata intesa dal pensiero antico e moderno fino al
degli altri soggetti alla coscienza dell’Io - esemplificata in modo
Novecento, con particolare riferimento alla Fenomenologia e alle più
emblematico dal Cogito cartesiano -, ad una concezione che riconosce
recenti ricerche delle neuroscienze. Ciò comporta naturalmente che il
il carattere originario e costitutivo della relazione con l’altro. Ci riferiamo
tema venga riferito a diversi contesti: da quello morale, che riguarda il
65
consapevoli
per
assumere
punti
di
Quaderni della Ginestra
nostro modo di comportarci con gli altri, a quello metafisico, che
quale subentrano poi forme di intersoggettività che si strutturano a
riguarda l’esistenza degli altri soggetti, a quello cognitivo, che concerne
livelli differenti, in particolare con la mediazione del linguaggio. E’
la nostra capacità di comprendere le loro emozioni e le loro azioni. In
significativo però il fatto che alla luce dell’empatia, parlare di un singolo
queste pagine intendiamo proporre una prima fase del percorso che
che si pone in rapporto agli altri è un’astrazione, non presentandosi mai
sviluppa le premesse e si conclude con il riconoscimento dell’altro nella
secondo Husserl alcun soggetto al di fuori del contesto relazionale.
filosofia hegeliana.
Il percorso su questo argomento non può naturalmente essere
Un percorso di questo genere richiede che si chiarisca prima di tutto che con l’espressione
si indica quell’aspetto
d’altro canto proprio l’approccio iniziale alla filosofia, e in particolare il
specifico della relazione tra i soggetti, che il filosofo Husserl ha posto in
suo statuto dialogico, può suggerire lo sviluppo del tema della relazione
evidenza nella sua indagine sull’Io trascendentale e sul suo rischio di
con l’altro in un percorso monografico che segue il programma, per così
caduta nel solipsismo. Nelle Idee per una fenomenologia pura e nelle
dire
Meditazioni
dalla
problematizzazione dell’intersoggettività può inoltre venire rinforzata
consapevolezza del nostro corpo come soggetto esperienziale. Il corpo
dal ricorso alla letteratura più recente; per esempio, uno dei libri più letti
vivo è il fondamento costitutivo di ogni percezione, inclusa quella
dai ragazzi in questo momento è Io e te di Niccolò Ammaniti (Einaudi
sociale: è il comune denominatore tra il nostro modo di intendere noi
2010), di cui è appena uscita la versione cinematografica di Bernardo
stessi nella relazione col mondo e quello di rapportarci agli altri. Il
Bertolucci: un adolescente chiuso e introverso, al punto da rinchiudersi
carattere incarnato della nostra soggettività è proprio anche delle altre
in una cantina pur di sottrarsi al confronto con gli altri - mostrandosi
soggettività. Sulla base di un processo analogico nasce dunque un
però agli occhi dei genitori simile a loro - , attraverso un’esperienza
sentire comune che diviene condivisione, a proposito del quale Husserl
drammatica si apre finalmente a una relazione che darà un impulso
parla di “enteropatia”, tradotto quasi sempre con empatia. Questa indica
decisivo al suo cambiamento. Anche l’impiego del linguaggio
senza dubbio uno stadio originario del fenomeno intersoggettivo, al
cinematografico può aiutare ad impostare il problema: in questo caso
cartesiane
“intersoggettività”
proposto in astratto, senza il riferimento ad una situazione problematica;
egli
fa
dipendere
l’intersoggettività
istituzionale,
dell’insegnamento
della
filosofia.
La
66
Didattica e filosofia
suggeriamo la visione di alcune sequenze di un film meno recente, Il gusto degli altri di Agnès Jaoui (Francia 2000), in cui una serie di personaggi intrecciano relazioni difficili di cui si intuisce in molti casi l’inautenticità. Nello sviluppo del film però capita inaspettatamente ad un personaggio di provare la motivazione a scoprire l’altro, a conoscerlo nella sua diversità. Così, nel contesto di relazioni che si adattano al “gusto degli altri”, si delinea un modo nuovo di rapportarsi, improntato allo scambio e all’interazione. Ciò offre l’occasione per introdurre l’opposizione di relazione autentica e relazione inautentica, di matrice heideggeriana, che può fornire agli studenti una chiave di lettura per fare ordine nella complessità del discorso. La relazione con gli altri può essere affrontata inizialmente come
LAVAPIÉS , MADRID, 2011 X
problema etico, certamente più vicino al patrimonio esistenziale degli
caratterizzare le relazioni: il carattere disinteressato, la reciprocità e la
studenti e di più facile approccio nello studio della filosofia antica.
condivisione, che permettono di cogliere nell’amicizia finalizzata al bene
Come primo momento del percorso proponiamo la trattazione
dell’altro un modello di rapporto con l’altro duraturo e fecondo.
aristotelica dell’amicizia. La classificazione delle diverse forme di
Un nodo problematico che gli studenti sanno far emergere
amicizia proposta da Aristotele nell’Etica Nicomachea prevede, come è
suggerisce un ulteriore sviluppo: non persuade infatti come una
noto, la distinzione tra l’amicizia finalizzata all’utile, quella finalizzata al
relazione per essere autentica debba essere assolutamente disinteressata,
piacere e infine l’amicizia finalizzata al bene dell’altro. Al di là
dato che pare lecito nutrire un interesse, un’aspettativa verso l’altro,
dell’intento sistematico, perseguito dal filosofo, riteniamo di particolare
quando lo si considera un amico. La lettura di alcuni frammenti di
interesse ai fini del nostro discorso l’indicazione di parametri per
Epicuro può essere utile a chiarire e completare il discorso: sebbene
67
Quaderni della Ginestra
l’amicizia non abbia nulla a che fare con la ricerca dell’utile, è comunque
tale è ai nostri occhi gratuito, senza motivo.
alimentata da un interesse, senza il quale non potrebbe sussistere alcuna
Non meno interessante risulta mettere in evidenza il silenzio del
relazione, e contempla naturalmente anche la fiducia in un aiuto nei
pensiero moderno riguardo la relazione con l’altro e guidare quindi gli
momenti di maggiore difficoltà.
studenti a indagarne la ragione. In questa prospettiva, l’attività didattica
Disinteresse e reciprocità ritornano come componenti essenziali della
sarà finalizzata principalmente a rilevare come, a partire da Cartesio e
benevolenza agostiniana, che è accompagnata da carità e fratellanza.
almeno fino a Kant, il soggetto costituisca l’asse centrale della filosofia,
Tutti elementi che concorrono a caratterizzare la relazione con l’altro
nonché l’orizzonte trascendentale nel quale si dà accesso alla verità
nei termini della misericordia, che l’uomo impara ad esercitare da Dio,
Nella filosofia di Kant il tema della relazione è affrontato in ambito
un sentimento di portata universale che vede nell’altro ‘il prossimo’ e
etico, nella Metafisica dei costumi, dove dall’indagine fondativa dell’agire
che si realizza a pieno solo nella condivisione della fede. La relazione
morale si passa a esaminare l’applicazione della legge morale ai
assume in primo luogo una direzione verticale - l’altro come Altro
comportamenti
rispetto all’uomo -, per poi consentire un modo nuovo di pensare la
fondamentali
relazione orizzontale con i propri simili, che si sostanzia di mutua caritas
complementari: il rispetto e l’amore. Il rispetto è la massima che ci
per cui ogni uomo, sia questi uno sconosciuto o addirittura un nemico,
impegna a riconoscere la dignità dell’umanità in noi stessi e negli altri.
diventa ‘prossimo’. Il mutamento di prospettiva non potrebbe essere più
Come tale lo dobbiamo universalmente a tutti a prescindere dai meriti.
radicale rispetto alla concezione greca per la quale non solo l’eros
Tanto il primo rientra nella sfera del dovere ed è universalmente
platonico ma, come abbiamo visto, anche l’amicizia aristotelica si
fondato, quanto il secondo non può essere comandato, né riguardare
rivolgono a chi è riconosciuto come meritevole, come capace di
tutti. L’amore naturalmente rifugge universalità e astrazione, sa parlare
incarnare un valore che condividiamo e apprezziamo. Al contrario,
solo il linguaggio della relazione tra singoli, ciascuno dei quali vede
l’agape cristiana è spontanea; non riguarda i buoni e i meritevoli, ma
nell’altro un’individualità insostituibile. La complementarietà tra amore e
tutti. E’ un sentimento che deriva dall’amore di Dio per l’uomo e come
rispetto delinea una relazione equilibrata tra attrazione e presa di
concreti. modalità
Qui di
il
filosofo
relazione
con
approfondisce l’altro,
parallele
due e
68
Didattica e filosofia
distanza che crea lo spazio intersoggettivo del dialogo e dello scambio.
questo si attivi, vi è infatti in ciascuna autocoscienza la pretesa di essere
Nella prospettiva kantiana tuttavia la modalità fondamentale di
unica. Rispetto alle modalità prese in considerazione finora dell’amicizia,
relazione con se stessi e con gli altri è il rispetto; esso esprime il
dell’amore o del rispetto, la dialettica servo-padrone insegna che
riconoscimento di un’autorità indipendente, rintracciata nella libertà di
incontrare un altro individuo con la pretesa di conoscere il mondo,
volere che consente a ciascuno di costituirsi come persona. La relazione
soprattutto con lo stesso potere di libertà, apre uno scenario per nulla
tra i soggetti viene intesa perciò sul modello del “regno dei fini” come
conciliante, anzi nettamente conflittuale. Il riconoscimento reciproco
comunità ideale di carattere regolativo che raccoglie tutti gli esseri capaci
perciò, per quanto sia un’esperienza vitale, risulta tutt’altro che
di agire moralmente in quanto depositari di una ragione universale, che
rassicurante. La lotta si risolve positivamente quando il riconoscimento
accomuna, conciliando le differenze. Sia in ambito etico che
si compie con l’inclusione dell’altro nella relazione e non con la sua
cosmopolitico, il filosofo di Königsberg
delinea il pluralismo dei
esclusione. Superata la conflittualità, che appartiene ancora allo stato di
soggetti sullo sfondo di un’idea normativa di umanità che risponde
natura, la dinamica del riconoscimento tra individui liberi è affidata da
all’esigenza di individuare un valore incondizionato, alla luce del quale i
Hegel al linguaggio e alla dimensione dialogica dell’intersoggettività.
progetti individuali, in termini kantiani “i fini di ciascuno”, trovano la
Il tema hegeliano del riconoscimento è un punto di riferimento con
loro condizione di validità nell’unico “fine in sé” che possiamo
cui le riflessioni sull’intersoggettività si sono costantemente confrontate.
universalmente accogliere.
In
particolare,
l’eredità
hegeliana
raccolta
sia
dai
pensatori
L’idea del riconoscimento dell’altro in quanto tale invece viene
immediatamente successivi sia da quelli del Novecento, riguarda la
tematizzata dal pensiero hegeliano, in particolare nella celebre dialettica
possibilità di pensare l’intersoggettività come un’esperienza originaria
servo-padrone della Fenomenologia dello Spirito, che rappresenta un
anche rispetto alla stessa soggettività.
momento di svolta decisivo del nostro percorso perché mette in discussione il carattere originario dell’autocoscienza, che presuppone come sua condizione proprio il riconoscimento dell’altro. Prima che 69
MARINA SAVI
Libri in discussione
REALMENTE LIBERI, REALMENTE RIVOLUZIONARI
D
qualitativamente determinabili, e dunque è la sua prospettiva – o interpretazione – finita a imporsi, non uno sguardo panoramico su
ella realtà, l’ultimo libro di Gianni Vattimo edito da Garzanti,
presunti fatti o su altre interpretazioni. Si tratterebbe, infatti, di una
riproduce le peculiari movenze speculative del ‘pensiero debole’
generalizzazione al di sopra dell’interpretante che Vattimo considera
attraverso due momenti accademici: i corsi di Lovanio (1998), tenuti
inaccettabile anche per il sapere scientifico. Il che, è evidente, finisce per
all’ombra dell’allora recente riconoscimento degli esiti nichilistici
mettere in crisi il paradigma corrispondentista della verità. L’adaequatio
dell’ermeneutica, e le prestigiose Gifford Lectures di Glasgow (2010),
rei et intellectus viene respinta perché, come si desume dalle premesse, «la
cornice di un confronto serrato con il ‘nuovo realismo’. La continuità
realtà ‘stessa’ non parla da sé, ha bisogno di portavoce – cioè, appunto,
tra le due sezioni dell’opera, integrate da una terza con finalità di
di interpreti motivati, che decidono come rappresentare su una mappa
approfondimento, deriva dal tema ricorrente del bisogno di realtà
un territorio a cui hanno avuto accesso attraverso mappe più antiche ».
contrapposto al nichilismo prospettivistico di Nietzsche, ovvero all’e-
Al contempo si incrina il mito dell’oggettività, di una datità estranea e
nunciazione della tesi che nega l’esistenza dei fatti a favore delle
indifferente che invece, secondo l’autore, soggiace costantemente a
interpretazioni e, al contempo, attribuisce a se stessa una natura
interpretazione ed è perciò differente a seconda della mappatura, per
interpretativa. Assumere che vi sia un’unica realtà, e che la dimensione
tornare all’immagine sopra evocata, del soggetto interessato. Una
fattuale sia ontologicamente consistente e implichi una precisa nozione
mappatura storica la cui limitatezza prospettica, è bene precisare, non va
di ordine, appare un’esigenza «nevrotica» e inconciliabile con
dissociata dall’idea heideggeriana, pienamente recuperata da Vattimo, del
l’umanesimo vattimiano che, dalla metafisica obiettivistica, sposta il
nascondimento dell’Essere, di quel suo costitutivo rifiuto a rendersi
fuoco sull’interpretante, sulla sua profondità storica, sul soggetto
completamente disponibile in forme oggettivate e definitive.
heideggerianamente ‘interessato’ al commercio con il mondo.
Rivelato nella sua infondatezza mediante gli argomenti appena
Sottratto a una neutralità desoggettivante, l’uomo è un «punto di
esposti, il bisogno di realtà viene in un secondo tempo contrapposto al
vista finito e parziale» sulle cose, intreccia con esse rapporti
bisogno di libertà, declinabile sul piano epistemologico, estetico e
71
Quaderni della Ginestra
cambiamento. Essere liberi, al contrario, « essere antirealisti » , come scrive Vattimo, « è oggi forse l’unico modo di essere, ancora, ‘rivoluzionari’» , e questo non perché, rinviando allo sfociare dell’ermeneutica nel nichilismo, si sia abdicato a qualunque criterio di verità, bensì perché tali criteri sono stati sottratti all’estraneità della metafisica e interiorizzati nella storicità del soggetto; sono stati resi dinamici e malleabili, retorici, frutto di una condivisione in divenire e a tratti conflittuale, non di un adeguamento chiuso e prestabilito. La filosofia radicalmente depurata della metafisica, in sintesi, è quella che « ha preso congedo da una concezione rigidamente oggettivistica della
verità, legandola invece sempre più esplicitamente al consenso di comunità che condividono paradigmi, tradizioni, anche pregiudizi, ma SALSEDINE, AUSTRALIA, 2011
che sono consapevoli della loro storicità» .
politico. Il realismo descrittivo e rispecchiante, al riguardo, si pone agli
Si tratta di una filosofia ‘cristianizzatasi’, ossia discesa per effetto di
antipodi di una filosofia interessata (secondo il significato di ‘tesa a’, non
kénosis nell’umano perdendo la connotazione di ricerca impersonale di
indifferente) e progettuale quale Vattimo intende proporre. Se da un
una verità somma; essa altresì è, quasi per vocazione, apertura caritativa,
lato, infatti, detto realismo accoglie e legittima un ordine prestabilito, e
cura verso l’altro. Se quindi la verità non precede ma segue l’accordo
cioè «l’universo della organizzazione totale» , dall’altro proprio per
intersoggettivo su di essa, senza eccezione per l’episteme della scienza,
questo è associabile alla condanna della metafisica come atto di
anche un absolutus tradizionale come il concetto di male è destinato a
violenza, di prevaricazione che cristallizza il pluralismo, spegne qualsiasi
cadere sotto i colpi della decostruzione della metafisica, in quanto
fermento rivoluzionario ed estingue la scintilla di ogni speranza di
quest’ultima, secondo Vattimo, è il male: « È male il dominio scatenato 72
Libri in discussione
della oggettività misurabile, l’ansia di non perdere questo dominio, in
prese di posizione siano entrambe pseudo-radicalizzazioni, e che la
tutti i molteplici sensi in cui ne facciamo esperienza, dalla pretesa di non
fiducia nella ragione debba evitare di trasformarsi in idolatria attraverso
perdere la prestanza fisica, che ci consente di sedurre, godere, prevalere
un equilibrio virtuoso tra fatti e interpretazioni: semplicemente,
sugli altri, alla volontà di potenza dei grandi soggetti storici, alle
risponderebbe Vattimo a una tale obiezione che chiude il volume del
molteplici forme in cui si dispiega il principio di prestazione a tutti i
dialogo con Girard, anche questa è un’interpretazione.
livelli della nostra esistenza» . Ed è precisamente questa la nota caratterizzante della filosofia di
GIACOMO MIRANDA
Vattimo quale emerge dal testo: un ricentramento dello sguardo sul soggetto e sull’Essere, un invito al recupero dell’autenticità dell’uomo quale essere interpretante chiamato, proprio in forza di questo statuto, ad un esercizio di responsabilità verso i suoi simili e verso il mondo in cui vive. Il percorso che in Della realtà giunge a siffatto esito è consapevolmente un’interpretazione, nella quale Nietzsche, l’Heidegger di Sein und Zeit e della controversa adesione al nazismo, Adorno, Dewey, Tarski, Feyerabend e Rorty mescolano le loro voci generando risonanze originali, non di rado meritevoli di essere discusse. Tuttavia l’alone interpretativo che si estende sul testo, certamente pregevole per gli scorci di dibattito che ancora può dischiudere, non può essere dissolto, per esempio, invocando alla maniera girardiana un compromesso che invalidi tanto un atteggiamento di mitizzazione del fatto quanto la struttura portante del ‘pensiero debole’. Ammettiamo pure che queste
73
G. Vattimo, Della realtà, Garzanti, Milano 2012, pp. 231, € 18.
Quaderni della Ginestra
LA PESTE TRA COLPA E DESTINO
rapimento del sacerdote Criseide). Se la peste è cosa di natura, la sua virulenza straordinaria che rende impensabile il senso stesso del suo
C
he cos'è la peste? E qual è il senso della vita umana di fronte a
catastrofismo (come può esistere qualcosa di così orrorifico?), vuol dire
essa? Che senso ha, in altre parole vivere in un mondo in cui
che la natura, da sola, non basta a spiegarla. Essa è, in sensu stricto, il male
incombe la peste? Si interroga su queste (e su altre) domande Sergio
o, meglio, lo sfondo del Male in cui si staglia l'esistenza stessa dell'uomo.
Givone ne La metafisica della peste: colpa e destino. Partendo dalla questione
Che la peste non sia solo peste ma sia il Male è facile a capirsi: essa reca,
ontologica della peste (che cosa è la peste) l'autore cerca di andare al
ovunque
cuore della riflessione mettendo in luce quanto il terribile flagello viva e
immotivatamente. Uccide i giusti quanto gli ingiusti. La sua “condotta”
si rifletta all'interno di una profonda dualità e, di conseguenza,
non segue un senso, un disegno. La peste non ha senso. Certo, si dirà
ambiguità: essa, la peste, è, allo stesso tempo, immanente e trascendente.
che è solo un virus, un fatto di natura. Eppure la sua portata risulta
É immanente in quanto fatto di natura: è un'infezione del corpo, una
troppo grandiosa per risolversi in una chiave naturalistica, tanto da
malattia, sia pure la più virulenta, ma non altro. Ma ha anche un lato
domandarsi, in forma traslata, “Se Dio esiste, perché la peste?”.
scoppia,
dolore
morte
e
desolazione.
Si
abbatte
trascendente, perché nell'eccedenza della sua portata, nello sterminio
Si scopre allora che tutta la riflessione di Givone sulla peste non è
straordinario che compie, riaccende nell'uomo domande sul destino, il
altro che un pretesto per parlare dell'uomo e del senso della sua vita di
fato e la colpa.
fronte al male e a una morte incolpevole e incombente. Non già la
La peste reca in sé, qualcosa di fatale: è nella natura ma sembra
peste, il morbo-peste, la malattia dei ratti, ma il male che affligge l'uomo,
incombere esternamente (trascendenza) sul mondo come vendetta per
il male verso l'uomo e il male dell'uomo, il destino che si abbatte
una colpa da espiare per mezzo della morte. Come non vedere allora
immotivatamente nell'uomo e la colpa che ogni uomo porta in sé in
nella peste il senso di una colpa, una tanatodicea? La peste come vendetta
quanto peste, in quanto male di cui ognuno fa le veci. Responsabilità
divina causata da un'offesa da redimere, come le frecce avvelenate che il
verso il destino direbbero i drammaturghi greci, peccato originale i
dio Apollo lancia nel campo degli Achei per punire una profanazione (il
cristiani. Destino ed elezione direbbero i primi, caduta e salvezza i 74
Libri in discussione
secondi. Non dunque meditatio pestis, meditatio naturae,
vivi, è questa la nostra colpa» (Jaspers).
quanto meditatio mortis, meditatio mali, meditatio hominis. Perché la peste,
Colpa incolpevole dunque, colpa di destino, ciò non di meno colpa.
prima di essere un fatto di natura, ordinario o straordinario che sia, è un
Perché il destino e la colpa lungi dall'escludersi a vicenda in realtà
fatto umano, troppo umano. Basti leggere per capirlo Lucrezio, Boccaccio,
cadono insieme. E se questa colpa, e se questo destino, in quanto banali
Berni, Leopardi, Manzoni, ma anche gli stranieri Defoe, Blake, Poe,
risultano senza senso, non sarà allora una metafisica della peste a dirci
Dostoevskij, Camus, tutti autori che Givone prende in prestito per
che forse la stessa insensatezza è, in ultima analisi, il senso dell'essere?
parlare di quanto il senso, o i diversi sensi, della vita umana, ruotino intorno al fatto più spiacevole della vita stessa: il male, la morte. Perché
DANIELE FOTI
non c'è vita e non c'è significato che non parta partendo dal male. Curioso fatto: «non mortis, sed vitae meditatio», direbbe Spinoza. Ecco allora la peste parlare della caduta nella barbarie (Cormac Mc Carthy), ma anche della possibilità di resistere al male attraverso una nuova etica (Camus); parlare del male come entità psichica, spirituale, quasi una colpa essenziale alla vita (Artaud), ma anche come strumento di misericordia divina (Manzoni); come un fatto che riduce l'umanità allo stato di natura capace, allo stesso, tempo di aprire alla solidarietà umana (Leopardi); la peste che tutto appesta, persino il linguaggio preparando l'avvento di Hitler e del nazismo (Kemplerer). E se quest'ultimo male, banale o, meglio, banalissimo, si è abbattuto sull'Europa come un orribile destino, non di meno si è potuto parlare di una colpa di cui l'umanità intera si trova responsabile e che va affermando: «noi siamo
75
Sergio Givone, Metafisica della peste: colpa e destino, Einaudi, Torino 2012, pp. 206, € 22
Quaderni della Ginestra
SENTIRE E CONOSCERE: L’UOMO, “ CREATURA EMOTIVA”
S
ebbene inizialmente concepito come traduzione inglese de Qu’est-ce qu’une emotion, breve saggio introduttivo sulla natura dell’emozione
apparso presso Vrin nel 2008, il testo di Deonna e Teroni in esame si presenta essenzialmente come un testo nuovo: ampliato e modificato rispetto all’originale, intende offrire un’introduzione alla filosofia delle
emozioni in una prosa estremamente chiara e scorrevole. Ma in che senso l’emozione può diventare oggetto di una riflessione filosofica? Per Deonna e Teroni si tratta innanzitutto di chiarire cosa si debba intendere per ‘emozione’, per poi proporre una teoria originale che renda giustizia al ruolo fondamentale delle emozioni nel nostro valutare quotidiano. I primi due capitoli del testo sono dedicati a rispondere alla domanda: cos’è un’emozione? Sono presentate e valutate le principali teorie sulla natura delle emozioni, di cui sono esposti pregi e difficoltà. È possibile individuare tre caratteristiche essenziali delle emozioni: hanno una certa fenomenologia, sono legate cioè a un ‘sentire’ corporeo; sono dirette verso un oggetto – godono di intenzionalità; sono soggette a standard di correttezza (le emozioni possono essere appropriate o inappropriate) e a standard epistemologici (le emozioni possono essere giustificate o non-giustificate). Nel primo capitolo, in particolare, l’emozione è distinta da altre tipologie di fenomeno affettivo, come desideri e stati d’animo [moods]. Desideri ed emozioni si differenziano per ‘direzione di adattamento’: mentre l’emozione ha una direzione mente-mondo, è cioè giustificata nel momento in cui un oggetto istanzia effettivamente la qualità presentata dall’emozione – per
LE PORTE DELL’EDEN, AUSTRALIA, 2011
esempio, la mia paura risulta legittima se l’oggetto nel mondo è di fatto
76
Libri in discussione
‘pericoloso’ –, il desiderio ha invece una direzione mondo-mente, ossia
chiaramente estranei alla formulazione di giudizi? La sovrapposizione di
tende a modificare il mondo per renderlo conforme alle aspirazioni
emozione e giudizio elimina erroneamente il versante fenomenologico,
dell’individuo. Infine, diversamente dall’emozione, uno stato d’animo
del ‘provare’ fisicamente l’emozione, del ‘sentirla’ a prescindere dal
(come ‘scontroso’) non è affatto intenzionale, non riferendosi ad alcun
nostro padroneggiare concetti. D’altro canto, gli autori prendono
oggetto specifico. Una volta differenziata l’emozione da altri fenomeni
ugualmente le distanze da teorie che disconoscono la funzione
affettivi, gli autori difendono, nel secondo capitolo, l’unità della
informativa dell’emozione (il suo essere diretta verso un certo oggetto),
categoria di ‘emozione’, mettendo in luce la dipendenza di ogni
e che si concentrano esclusivamente sul coinvolgimento corporeo che
emozione, anche le più complesse (il senso di colpa, per esempio) da
l’emozione implica, o definiscono le emozioni in termini di percezione
stati cognitivi di base.
di proprietà valutative. Nel sesto capitolo, inoltre, si evidenzia la natura
Tra il terzo e il sesto capitolo vengono analizzate le principali
fuorviante
dell’analogia
tra
percezione
ed
emozione,
la
cui
posizioni contemporanee sulla natura delle emozioni. Nel terzo capitolo
interpretazione in senso letterale è evidentemente esclusa dall’assenza di
viene confutata la teoria secondo cui le emozioni sono combinazioni di
specifici ‘organi dell’emozione’ che svolgano una funzione analoga a
desideri e stati cognitivi, e si difende la connessione tra emozione e
quella svolta dagli organi di senso in campo percettivo. Gli autori
valutazione. Nel quarto e nel quinto capitolo viene invece
delineano quindi la propria proposta di una teoria ‘attitudinale’ delle
problematizzata la connessione tra provare un’emozione e attribuire una
emozioni, in cui trovano conciliazione la funzione informativa
certa proprietà valutativa a un oggetto, confrontando le opzioni realista-
dell’emozione, il suo dirigersi verso un oggetto, e il versante
oggettivista e disposizionalistico-soggettivista sul valore. Nel quinto
fenomenologico di un coinvolgimento corporeo. L’emozione è definita
capitolo, in particolare, si confuta la ‘teoria del giudizio valutativo’,
come «attitudine verso un oggetto, appropriata quando l’oggetto
secondo cui le emozioni vanno ridotte ai giudizi valutativi su cui si
esemplifica una certa proprietà valutativa», dove per ‘attitudine’ si
fondano. Ma se emozione e credenza/stato cognitivo coincidono, come
intende la reazione del nostro corpo di fronte a un determinato oggetto
spiegare che si possano attribuire emozioni anche a bambini e animali,
e alle sue proprietà.
77
Quaderni della Ginestra
Negli ultimi tre capitoli, infine, si approfondisce la questione della giustificazione di un’emozione, indagando a quali condizioni essa possa essere dichiarata ‘giustificata’ e sottolineando l’importanza degli stati cognitivi di base. Si ritorna quindi sul rapporto tra emozioni, sentimenti, stati d’animo e desideri, evidenziando il ruolo fondamentale dell’emozione nel nostro quotidiano acquisire conoscenza del valore. Pur presentato come introduzione alla filosofia delle emozioni, il testo di Deonna e Teroni va al di là della semplice illustrazione del dibattito contemporaneo sulla nozione di emozione: gli autori prendono esplicitamente posizione contro o a favore delle teorie esposte, avanzando una teoria originale sulla natura dell’emozione. Altro importante pregio del testo è il suo non limitarsi all’analisi della sola nozione di emozione, dando conto della complessità della vita affettiva, costituita anche da stati d’animo, desideri e sentimenti. Particolarmente utile per ottenere una visione d’insieme dello stato attuale del dibattito sull’emozione, il testo in esame vi contribuisce in modo del tutto originale.
CRISTINA TRAVANINI J.A. Deonna, F. Teroni, The Emotions. A philosophical introduction, Routledge, London-New York 2012, pp. xiii+137, € 22
78