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COME INVECCHIA IL LUPPOLO? Il caso studio dell’Università di Parma

Il luppolo, o meglio, gli strobili (o coni) del luppolo, vengono utilizzati per la produzione di birra con innumerevoli stili, e impartiscono alla bevanda quell’amaro, quell’aroma caratteristico delle varietà impiegate.

Nella filiera brassicola il passaggio delicato e cruciale, ma anche energivoro ed economicamente dispendioso è lo stoccaggio in birrificio dei pellet di luppolo. La conservazione del luppolo è una fase molto importante per mantenerne la qualità, e dipende da diversi fattori. Per preservare al meglio le caratteristiche del luppolo, bisognerebbe mantenere le temperature più basse possibile ed evitare il contatto con luce e ossigeno, onde evitare ossidazioni sgradite e perdita della componente aromatica e amaricante. Senza contare che, cambiando varietà, o addirittura epoca di maturazione, possiamo andare incontro a cambiamenti anche nella stabilità delle sostanze di interesse durante la conservazione. Considerando le variabili che possiamo gestire una volta comprato il luppolo, per mantenerlo al buio potrebbe bastare la scelta di packaging con al- luminio, atmosfera in assenza di ossigeno (prodotto sottovuoto o in atmosfera modificata) e basse temperature.

Quali sostanze bisogna preservare?

Come abbiamo accennato, durante la conservazione possono esserci cambiamenti nel contenuto in acidi amari (alfa acidi, cohumulone in particolare, e beta acidi), in oli essenziali, e nel profilo aromatico. Quest’ultimo aspetto è molto complesso in quanto l’olio essenziale di luppolo è composto da numerosissime classi di composti che possono essere più o meno sensibili ai fattori esogeni a cui sono sottoposti i luppoli durante la conservazione. Per monitorare la qualità del luppolo, esistono degli indicatori e uno tra i più utilizzati è l’indice HSI (Hop Storage Index). Questo è un indice il cui valore è legato all’assorbanza di sostanze ossidate nel campione. Il valore dell’HSI varia tra 0 e 1: tanto più il valore è vicino ad 1 tanto più il luppolo è ossidato, quindi “vecchio” o mal conservato. Solitamente i valori ottimali sono compresi tra 0 e 0.3, mentre valori compresi tra 0.6 e 1 indicano chiaramente luppoli ossidati. I valori tra 0.3 e 0.6 indicano luppoli accettabili. Un’altra tecnica utilizzata dai laboratori di analisi, è l’osservazione al microscopio delle ghiandole luppoliniche (Figura 1), cioè quelle “sacche” che contengono resine e oli essenziali del luppolo; a seconda del loro stato più o meno rovinato (raggrinzimento), pos- siamo determinare se la conservazione è stata effettuata in modo idoneo. Ancora a livello analitico è altresì possibile controllare l’andamento della qualità del luppolo (cinetica) nel tempo: un metodo utilizzato è il monitoraggio del quantitativo di alfa acidi (Figura 2). Gli alfa acidi, presenti insieme ai beta acidi nelle resine del luppolo, costituiscono la componente che maggiormente contribuisce all’amaro, e per questa ragione a volte li sentiamo anche nominare “acidi amari”. Quando gli alfa e beta acidi diminuiscono del 10% rispetto al “tempo zero”, il luppolo è considerato ”leggermente vecchio”, quando il calo è tra 20 e 30%, abbiamo un luppolo vecchio, e riduzioni superiori al 30% identificano luppolo molto vecchio (non è più idoneo all’utilizzo, se non per produzioni di birre molto particolari… ma in questo caso l’ossidazione deve essere controllata e voluta).

Alfa e beta acidi: fattori deterioranti

Tra i nemici della conservazione possiamo annoverare l’ossigeno, portatore di ossidazioni, sia a livello di molecole aromatiche sia a livello delle molecole responsabili dell’amaricatura. In uno studio di colleghi croati, è stato infatti osservato che quando il luppolo viene conservato a 4 °C e ad atmosfera modificata, a distanza di 400 giorni (poco più di un anno), la quantità di alfa acidi restava invariata, mentre con pacchetti lasciati aperti all’aria, a parità di temperatura, la qualità di alfa acidi diminuiva drasticamente e si arrivava ad avere un calo fino al 50% circa.

Quindi, l’aria (e di conseguenza l’ossigeno), è uno dei fattori più impattanti per la qualità del luppolo durante la sua conservazione. Il luppolo raccolto e stoccato all’aria comporta un deperimento a livello qualitativo rilevante, sia a livello di alfa e beta acidi, sia di polifenoli contenuti. Inoltre, il contatto del luppolo con l’aria è il fattore che porta a modifiche sostanziali a livello di tutte le componenti di interesse all’interno del prodotto.

Un altro fattore molto importante, che porta a differente stabilità alla conservazione è il grado di maturazione del luppolo alla raccolta. Infatti, da letteratura scientifica, si è osservato che stoccando a 20 °C pellet di luppolo appartenenti a

4 cultivar diverse, con 4 gradi di maturazione differenti (4 periodi di raccolta per ogni cultivar), dopo 6 mesi la qualità del prodotto era completamente modificata. Innanzitutto, tra un luppolo raccolto precocemente e tardivamente, il calo di alfa acidi non è stato costante in tutte le varietà, ma c’è un trend di aumento di degradazione tra raccolta precoce e raccolta tardiva, con differenze varietali notevoli. Ad esempio, la cultivar Magnum mostrava un decremento nel contenuto di alfa acidi maggiore andando avanti con la maturazione, mentre la varietà Magnat presentava un calo di alfa acidi più abbondante in tempi di raccolta più precoci. Questo punto è molto importante, e ci mostra quante variabili siano da studiare e da conoscere quando ci approcciamo alla coltivazione del luppolo e quanto sia importante gestire la coltivazione e tutte le sue fasi di processo, a seconda di ciò che abbiamo in campo. L’importanza del periodo di raccolta, precoce o tardivo, sulla conservazione è stato osservato anche a diverse temperature di stoccaggio, su una cultivar da aroma e una da amaro, a 5 °C e 20 °C per un anno. Anche in questo caso, la varia- bilità data dal grado di maturazione sulla perdita di alfa acidi era molto diversificata: i tempi di raccolta precoci hanno mostrato attitudine di degradazione più pronunciata, con pellet di luppolo meno stabili nel tempo. Allo stesso tempo la risposta era legata anche alla cultivar: la cultivar da amaro ha mostrato una perdita percentuale maggiore di alfa acidi rispetto alla varietà da aroma. Inoltre, la perdita di alfa acidi è stata ridotta nella tesi a 5 °C, rispetto alla conservazione a 20 °C.

Non tutto ciò che si ossida è negativo…

…ma non sempre invecchiando si migliora. Durante l’aging (invecchiamento del luppolo) avvengono numerose modifiche e le ossidazioni sono tra le più note reazioni di invecchiamento.

Anche la parte volatile, i composti aromatici del luppolo, tendono a subire la stessa sorte. L’olio essenziale di luppolo, nonostante la sua complessità nella componente volatile, contiene per un 80% terpeni e sesquiterpeni, una classe di molecole particolarmente volatile e odorosa. Tra i principali composti di interesse, troviamo il Mircene, caratterizzato da aromi resinosi, speziati e agrumati, il Cariofillene, dotato di sentori speziati e legnosi e l’Umulene, con sentore più terroso speziato, il Linalolo, dall’aroma fruttato e floreale, più idrosolubile dei precedenti e conservato nelle birre. Tutti questi composti, insieme agli altri presenti nell’olio essenziale, durante l’invecchiamento si modificano, si trasformano e si ossidano. Ma non tutte le modifiche a livello della parte aromatica sono negative, anzi... Il Mircene ad esempio è uno dei composti più presenti all’interno dell’olio essenziale di luppolo (ne costituisce anche più del 50% del totale dell’olio) e in caso di contatto con l’ossigeno potrebbe arrivare a formare altre tre molecole: Linalolo (floreale e aranciato), Nerolo (floreale, citrico e dolce) e Geraniolo (floreale). Queste tre molecole sono tutte molto profumate, più persistenti e stabili della molecola di partenza, e quindi ne potremmo trovare in quantità più elevate rispetto al Mircene anche nella birra. Il Mircene infatti, essendo molto volatile, nonostante sia presente in grandissima quantità nell’olio essenziale di luppolo di tantissime varietà, risulta spesso essere presente in quantità quasi irrilevabili nella birra, con l’eccezione di stili di birra che utilizzano il dry hopping come tecnica di aromatizzazione. In questo caso la molecola si conserva maggiormente. Tornando alle ossidazioni, se queste continuano, Nerolo e Geraniolo potrebbero portare alla comparsa del Citrale, che come già il nome ci fa intuire, è dotato di aroma citrico molto spiccato. Non di meno, un’altra molecola che invecchiando, o meglio, ossidando migliora, è il Cariofillene, molecola che di partenza si contraddistingue per un aroma speziato e legnoso, ma una volta ossidata a Cariofillene ossido, resta speziato e legnoso con note citriche. Però, non tutte le molecole sono così fortunate da “migliorare invecchiando”, infatti alcune ossidandosi trasformano le molecole aromatiche in molecole inodori, altre in molecole dall’odore sgradevole, che può passare dal rancido al cavolo bollito (figura 3).

Diamo una mano alla sostenibilità

Per cercare di ridurre le temperature di stoccaggio, abbiamo pensato a un esperimento (in collaborazione con Az. Agricola Bellavista – Cooperativa Luppoli

Italiani, Grattacoppa (RA)), su una varietà di luppolo, con due tecniche di conservazione (sottovuoto e in atmosfera modificata con arricchimento in azoto), e a due temperature di conservazione (4 °C e 10 °C). Questo esperimento aveva l’obiettivo di determinare la possibilità di conservare la qualità del luppolo con maggiore risparmio energetico (per es. a 10 °C) per un lungo tempo di conservazione (fino a 24 mesi).

La varietà esaminata è stata Chinook, un luppolo amaricante, contraddistinto da un alto contenuto in alfa acidi (dal 12 al 14%) e basso contenuto in beta acidi (dal 3 al 4%), con un interessante aroma speziato, resinoso a volte con note di ananas, che si presta bene per essere utilizzato come luppolo a duplice attitudine. Il monitoraggio della variazione nella qualità è stato effettuato ogni 6 mesi per 24 mesi (arriveremo a 36 mesi al termine delle analisi).

Gli acidi amari

Dai risultati abbiamo visto una buona stabilità degli alfa acidi nel tempo, con una leggera diminuzione dei beta acidi e del contenuto in olio. Questo perché la principale causa di ossidazione, cioè l’ossigeno, è stata esclusa dal nostro esperimento.

Per quanto riguarda la parte aromatica invece si è osservata:

❱ una diminuzione della componente balsamica nel tempo, data dal Pinene, che ha visto ridurre il suo contributo aromatico soprattutto nella conservazione in azoto a 10 °C.

❱ Diminuzione della percentuale di Mircene, fruttato e balsamico, che ha visto una maggiore riduzione a 24 mesi a 10 °C, sia sotto vuoto, sia sotto azoto.

❱ Riduzione del contributo della componente fruttata, durante i primi 24 mesi: si sono osservati cambiamenti di alcune molecole, che in percentuale hanno diminuito la loro presenza all’interno del profilo aromatico, privandolo, o comunque rendendole meno presenti.

❱ Calo della componente fruttato-floreale, con una riduzione percentuale di Linalolo, Geraniolo e Perillene, molecole dalle spiccate capacità aromatizzanti. E ricordiamoci che alcune di queste molecole sono coinvolte in reazioni di invecchiamento che le portano a trasformarsi in altre molecole aromatiche e non.

❱ Diminuzione della componente speziato-terrosa, grazie al contributo delle molecole Umulene e Cariofillene in particolare. La diminuzione maggiore è avvenuta nei sacchetti con atmosfera modificata (arricchimento in azoto) e conservati a 10 °C.

❱ Aumento della componente degli ossidi, che nel tempo sono invece aumentati, soprattutto in atmosfera modificata (arricchita in azoto) a 10 °C.

E quindi?

Ecco, giunti alla fine, possiamo dire che ogni tecnica di conservazione si è mostrata piuttosto valida, con alcune differenze nella conservazione di composti aromatici. Abbiamo visto che la temperatura maggiore, 10 °C, porta a maggiori cali rispetto alla conservazione a 4 °C, ma mantiene comunque un buon profilo sia in acidi amari, sia in composti aromatici. A nostro parere, e nel nostro esperimento, i sacchetti sottovuoto sono risultati più conservati rispetto ai sacchetti in atmosfera modificata (arricchita in azoto). Tenendo conto che questo studio è stato condotto per capire se una conservazione a 10°C (temperatura meno energivora e più utilizzata nelle celle refrigerate nei microbirrifici italiani) può sostituire quella a 4 °C, possiamo dire che abbiamo raggiunto l’obiettivo, e che effettivamente la conser- vazione a 10 °C permette un buon controllo delle degradazioni a carico del luppolo, a patto che questo venga mantenuto in sacchetti privi di ossigeno, quindi in confezioni integre. Una volta aperte le confezioni, le ossidazioni procedono molto più velocemente e si consiglia un utilizzo in breve tempo a qualsiasi temperatura. In questo caso la temperatura di conservazione consigliata è quella più bassa. Ricordandoci che le piccole ossidazioni avvenute potrebbero portare a molecole con sentori molto negativi, o, in alcuni casi, piuttosto positivi. Per concludere, se manteniamo il luppolo in condizioni di sottovuoto o in atmosfera modificata con arricchimento in azoto, il bouquet floreale cambia, non per forza in positivo o in negativo… al vostro naso l’ardua sentenza! ★

Iniziativa realizzata nell’ambito del Programma Regionale di Sviluppo Rurale 2014-2020, Tipo di operazione 16.1.01 Gruppi Operativi del Partenariato Europeo per l’Innovazione: “produttività e sostenibilità dell’agricoltura”, Focus Area 3A – Progetto “Filiera Professionale Italiana della coltura del Luppolo” – prohopsmartchain.org/

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