Birra Nostra Magazine 3_2023

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BIRRA NOSTRA

NOVITÀ, DEGUSTAZIONI, PRODUZIONI, ITINERARI NEL MONDO BIRRARIO

BIRRA E CONSUMI

LO STATO DEI MICROBIRRIFICI di Davide Bertinotti

HOMEBREWING

CAMPIONATO 2022. NOTE E RIFLESSIONI di Norberto Capriata

TURISMO BIRRARIO

PUB CRAWL A GENOVA di Massimo Faraggi

FOCUS

Materie Prime

a cura di Margherita Rodolfi e Tommaso Ganino - Università di Parma

N.3| GIUGNO 2023 MAGAZINE

IPA FOR THE

THE EVERYDAY hop-heavy

Per ottenere il massimo dell’aromaticità ed un amaro deciso da Magnum, Chinook, Amarillo, Mosaic e Citra i birrai usano la tecnica dell’hop bursting, aggiungendo grandi quantità di luppolo durante la fase finale della produzione.

Per ottenere il massimo dell’aromaticità ed un amaro deciso da Magnum, Chinook, Amarillo, Mosaic e Citra i birrai usano la tecnica dell’hop bursting, aggiungendo grandi quantità di luppolo durante la fase finale della produzione.

LA RIVOLUZIONE DELLA BIRRA ARTIGIANALE WWW.ALESANDCO.IT

HOMEBREWING … e sai cosa bevi!

Si fa presto a dire birra artigianale ma passare dalla teoria alla pratica richiede tempo, pazienza e tanta, tanta pratica. Nel tempo gli homebrewer hanno modificato le loro strategie produttive, hanno preso confidenza con le materie prime e acquisito nuove competenze. Presi dalla passione ed anche dai buoni risultati ottenuti, i più intraprendenti ed arditi hanno provato a fare il grande passo e ad uscire dalla produzione casalinga. Difficoltà, intoppi, risultati parziali non sono mancati ma anziché scoraggiare hanno contribuito a ravvivare la passione e li hanno spinti a proseguire con maggiore intraprendenza e forza la loro avventura.

A cambiare la storia della birra artigianale italiana, fino al 2009 relegata in secondo piano, è stata la medaglia di platino al concorso “Mondial de la Bière” di Strasburgo che ha assegnato il meritato premio al birrificio Croce di Malto e alla sua Triplexxx. A raccontarci il cambiamento e cosa questo ha rappresentato per l’Italia ci pensa Andrea Camaschella che nel suo pezzo ne approfitta anche per condividere la ricetta della Triplexxx, così che gli homebrewer più intrepidi possano provare a realizzarla a casa propria. A Davide Bertinotti invece il compito di fare il punto sulla situazione dei microbirrifici all’estero ed in Italia senza dimenticare di voltare lo sguardo al futuro e ai nuovi scenari; a Norberto Capriata invece quello di raccontare il Campionato MoBI, ospitato al Drunken Duck di Quinto Vicentino, e il vincitore della stagione 2022 dedicata allo stile Wee Heavy: Jacopo Deola. Il focus, con

protagonista assoluto il luppolo, è dedicato alle materie prime e agli studi che i ricercatori dell’Università di Parma, Margherita Rodolfi e Tommaso Ganino, stanno portando avanti nell’analisi di questa particolare pianta rampicante in grado di caratterizzare in maniera significativa la birra a seconda della varietà. Tra gli interventi più tecnici merita di essere citato anche l’articolo di Matteo Malacaria che prosegue nella sua analisi degli aspetti più legati al marketing e al posizionamento in Italia della birra artigianale. Se si parla di cultura birraria non si può non parlare della scelta del contenitore più adatto ad esaltare al meglio la birra e i suoi aromi; a fare il punto sulla situazione è Simonmattia Riva che, partendo dalla sua personale battaglia contro “il bicchiere unico”, svolge un’accurata analisi sui vetri più adatti ai vari stili. I pub sono i protagonisti degli ultimi tre articoli: si parte dall’analisi, a cura di Antonio Boschi, delle musiche tipiche dei locali scozzesi ed irlandesi, per passare ad un vero e proprio pub crawl nostrano nel bellissimo centro storico di Genova. Seguendo i consigli di Massimo Faraggi sarà così possibile visitare la città e allo stesso tempo organizzare delle soste dissetanti nei più caratteristici locali genovesi di birra artigianale. A chiudere il numero ci pensa Francesco Donato che con il suo viaggio a metà tra il reale e l’immaginario ci porta a conoscere alcuni birrifici, questa volta nella città eterna. A questo punto non mi resta altro che augurarvi…

Buona lettura e buona bevuta!

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 1 giugno 2023 Editoriale
MIRKA TOLINI Professionista della scrittura e della comunicazione, collaboro da dieci anni al progetto Birra Nostra
2 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 SEGUICI SU facebook.com/BirraNostraMagazine IN QUESTO NUMERO... EDITORIALE Homebrewing… e sai cosa bevi! 1 BIRRA E CONSUMI Lo stato dei microbirrifici 4 di Davide Bertinotti MARKETING Birra artigianale: segmentazione, posizionamento e targeting 10 di Matteo Malacaria BIRRE E BIRRIFICI Artigianale e iconica: Triplexxx di Croce di Malto 16 di Andrea Camaschella HOMEBREWING Finale campionato Homebrewing 2022: note e riflessioni 22 di Norberto Capriata MATERIE PRIME L’estate di un ricercatore: cinetica di maturazione del luppolo Columbus 28 di Margherita Rodolfi Come invecchia il luppolo? Il caso studio dell’Università di Parma 34 di Tommaso Ganino 4 22 16 10 NOVITÀ, DEGUSTAZIONI, PRODUZIONI, ITINERARI NEL MONDO BIRRARIO MAGAZINE BIRRA NOSTRA

BIRRA E MUSICA

Birra Nostra Magazine - Bimestrale

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Hanno contribuito a questo numero

Davide Bertinotti, Antonio Boschi, Andrea Camaschella, Norberto Capriata, Francesco Donato, Massimo Faraggi, Tommaso Ganino, Luca Grandi, Matteo Malacaria, Simonmattia Riva, Margherita Rodolfi.

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BIRRA NOSTRA MAGAZINE 3 giugno 2023
BIRRARIA Ad ognuno il suo: l’importanza del bicchiere adatto 40 di Simonmattia Riva
CULTURA
Irlanda e le musiche tradizionali nei pub 46 di Antonio Boschi
BIRRARIO Tra luoghi, birre e fantasia. Quarta tappa: Roma 52 di Francesco Donato Pub crawl a Genova 56 di Massimo Faraggi
DAL MONDO BIRRARIO HANNO SCRITTO PER NOI
Scozia,
TURISMO
NOVITÀ
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BIRRA ARTIGIANALE ITALIANA QUALITÀ 40

LO STATO dei microbirrifici

Attualità e prospettive del settore craft italiano

Il settore della birra, e in particolare quella artigianale, è in crisi? In diversi Paesi europei, non solamente in Italia, organi di stampa e gruppi economici lamentano tempi difficili e le recenti

notizie riguardanti chiusure di noti produttori nazionali (il bergamasco ELAV, in particolare, ha fatto scalpore) hanno promosso il dibattito sullo stato e sulle prospettive dei birrifici nel nostro paese.

L’impatto della pandemia è stato molto pesante, in particolare nel 2020, con le limitazioni dei pubblici esercizi e i diversi lockdown: il consumo della birra in Italia ha avuto un calo drastico di qua-

4 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 BIRRA E CONSUMI di Davide Bertinotti

si il 20% rispetto all’anno precedente e dopo anni di aumento della diffusione del prodotto birra tra i fruitori italiani, il dato del consumo pro-capite è tornato ai livelli del 2016. Ma, come per ogni settore, le medie nascondono i dettagli: è stato ampiamente raccontato come – nei periodi di lockdown – la grande distribuzione fosse la principale fonte di approvvigionamento di prodotti alimentari e bevande degli italiani e che i birrifici artigianali fossero quasi assenti nel canale distributivo della GDO. I numeri citati dal rapporto annuale Assobirra ci dicono che i 2,3 milioni di ettolitri bevuti in meno dagli italiani nel 2020 hanno avuto maggiori ripercussioni su alcune aziende e meno su altre e, anzi, qualche gruppo industriale ha mantenuto inalterate le quote di vendita, se non addirittura aumentate.

Il 2021 ha testimoniato, fortunatamente, l’atteso rimbalzo verso l’alto, riportando il consumo pro-capite a livelli superiori al dato record del 2019. Ma quando tutto sembrava volgere al meglio, le vicende belliche ucraine e le problematiche degli approvvigionamenti energetici e di materie prime hanno dato un’ulteriore mazzata alle aziende del settore. I dati aggregati complessivi relativi al 2022 non sono ancora disponibili, ma qualche elemento numerico può essere commentato.

Il Regno Unito

Lo scorso dicembre ha fatto molto discutere, tra appassionati e addetti ai lavori, il grido d’allarme lanciato da un noto publican inglese in merito alle recenti chiusure dei produttori della terra d’Albione, in particolare nomi ben noti tra gli appassionati, come Exe Valley, Wild Beer Co., Kelham Island (poi rilevato da Thornbridge). In totale, nel post pubblicato sui social venivano citati ben 63 birrifici che avevano in qualche modo interrotto la produzione, tra chiusure, amministrazioni concordate e fallimenti. Apocalisse birraria causata da pandemia, crisi energetica e Brexit? Forse,

a leggere meglio i numeri, le cose non sono così drammatiche: il ben informato sito quaffale.org, l’equivalente britannico del nostrano microbirrifici.org, riporta freddamente i numeri dei birrifici attivi, delle nuove chiusure e aperture nel Regno Unito e i dati pubblicati smentirebbero il de profundis. Innanzitutto, i dati complessivi: in Gran Bretagna sarebbero attivi poco meno di 2000 birrifici e 63 chiusure corrisponderebbero all’incirca al 3% del settore, quindi non esattamente una tabula rasa. Inoltre, le 63 chiusure (Quaffale ne riporta 83 per il 2022, ma il concetto non cambia) non sarebbero certo una novità per il settore, rappresentando un fisiologico ricambio di aziende a fronte di altrettante nuove aperture. In particolare, poi, il 2022 non può certo essere considerato un annus horribilis per i birrifici britannici, visto che nel 2018 e 2019 le chiusure furono rispettivamente di 160 e 158 unità, sempre controbilanciate e superate da nuove aperture. Insomma, comples-

sivamente il settore cresce in termini di nuove aziende.

Il Belgio e altri Paesi

Mecca per gli appassionati, il Belgio è stato per molti anni un mondo birrario relativamente fisso e costante, con circa 130 birrifici stabilmente sul mercato e con alcuni di questi in produzione da diversi lustri: la varietà dell’offerta è sempre stata una caratteristica (vincente) della birra locale. Paradossalmente, anche qui i venti di novità della rivoluzione craft mondiale si sono fatti sentire negli ultimi anni e accanto ai tradizionali produttori (che in fondo possiamo denominare artigianali ante litteram, viste le dimensioni, i metodi produttivi e l’impostazione filosofica) sono nate negli ultimi 12 anni tantissime nuove realtà, spesso con impostazioni stilistiche e comunicative che guardano al mondo globalizzato contemporaneo della craft beer. Un’esplosione con tassi di crescita annuali a doppia cifra che ha portato il

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 5 giugno 2023 BIRRA E CONSUMI

numero dei birrifici belgi attualmente attivi a 430 unità.

Complessivamente il numero di produttori di birra in Europa è oggi di circa 10.000 unità e i dati di crescita citati per Regno Unito e Belgio sono applicabili a molte nazioni, in particolare all’Olanda (da 300 birrifici nel 2014 a quasi 1000), alla Svizzera (da 480 nel 2014 a quasi 1300) e soprattutto alla Francia, (da 660 nel 2014 a circa 2500). Il caso francese

meriterebbe un approfondimento per l’enorme portata dei numeri del fenomeno, ma anche in altri paesi si è assistito a crescite rilevanti, come ad esempio per la Croazia (da 6 a oltre 100 produttori in soli 5 anni).

L’Italia

Rispetto ad altri paesi europei, il fenomeno della birra artigianale si è affermato in Italia qualche anno prima: le

motivazioni di tale precocità sono forse legate al nostro approccio culturale al vino e alla gastronomia in generale e probabilmente qualche influenza è da addebitare anche al movimento degli appassionati birrificatori casalinghi, che dal 1995 hanno acquisito piena liceità di fronte alla legge. La crescita è stata inizialmente lenta, ma già attorno al 2007, quando si superò la cifra di 200 birrifici artigianali attivi nel nostro Paese, molti operatori del settore previdero un repentino crollo del numero di produttori perché “il mercato era ormai saturo” e i consumi non potevano di certo sostenere nuovi marchi in circolazione. Invece la crescita è continuata, sia nei consumi complessivi sia, pur lentamente, in quelli del segmento craft: eravamo i fanalini di coda in Europa per consumo pro capite e francamente peggio non si poteva certo fare.

A dispetto delle Cassandre che sin dal 2007 prevedevano un ridimensionamento del settore, l’aumento del numero dei produttori è proseguito anche a tassi considerevoli, in particolare tra il 2013 e 2017 con oltre 200 nuovi attori all’anno, includendo nelle statistiche sia birrifici con impianto proprio sia beer firm.

Il numero di nuove aziende è diminuito negli anni successivi rispetto al citato periodo di boom, ma non si è mai interrotta la tendenza positiva, anche nel biennio 2020-2021 fortemente caratterizzato dalla pandemia. È corretto dire che le pratiche burocratiche e finanziarie necessarie ad aprire un birrificio in Italia necessitano di un periodo di tempo mediamente identificabile in 18-24 mesi, tra l’acquisizione degli spazi produttivi/commerciali, l’acquisto e l’installazione degli impianti, l’ottenimento dei permessi e del codice accisa, le prime cotte, etc.

Quindi è lecito pensare che le aperture del 2020-2021 fossero state pensate e impostate prima dello scoppio della pandemia; ciò nonostante, gli imprenditori interessati hanno proseguito, con notevole dose di ottimismo, nel proprio

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Fig. 1 - Nuove aperture Fonti: microbirrifici.org

progetto, senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi contingenti. Soprattutto se consideriamo che le nuove aperture degli ultimi mesi appaiono qualitativamente diverse da quelle degli anni precedenti: si tratta più che altro di una sensazione di molti operatori di settore, dal momento che non esistono statistiche oggettive a supporto di queste affermazioni; tuttavia sembra che dal punto di vista dimensionale (in termini di capacità di impianto, di cantina e potenziale produttivo) i nuovi birrifici siano in media considerevolmente più “grossi” e strutturati rispetto a quelli di alcuni anni or sono. E ovviamente con investimenti più rilevanti che frequentemente raggiungono cifre a sei zeri. Evidentemente, con un elevato numero di attori già presenti, un progetto imprenditoriale nel settore birra che voglia raggiungere successo e acquisire quote di mercato oggi deve necessariamente prevedere un business plan che includa numeri importanti di investimento e fatturato. Probabilmente la cifra probante relativa alle nuove aperture sarà quella del 2023, ma posso confermare che, pur se non ricomprese nelle grafiche illustrate in queste pagine, anche nel corrente anno continuano ad apparire nuove realtà brassicole in Italia.

Parallelamente alle considerazioni effettuate in precedenza riguardo ai numeri dei birrifici del Regno Unito, anche in Italia le chiusure più consistenti di produttori birrari sono avvenute nel biennio 2018-2019, mentre gli avvenimenti pandemici e bellici non sembrano avere influenzato più di tanto la tendenza generale. Dando invece uno sguardo più approfondito al settore, mentre i birrifici (intesi come aziende di semplice o prevalente produzione e distribuzione) hanno mantenuto, pur nelle difficoltà, i propri impianti attivi, una lieve riduzione è avvenuta nel 2022 nel numero complessivo dei brewpub e dei beer firm Circa i brewpub, la pur lieve riduzione illustrata dal grafico potrebbe non essere in effetti così probante: nel corso degli

anni la linea di confine, così netta in passato, tra birrificio e brewpub è sfumata in modo considerevole, con birrifici che hanno aperto taproom e pub a proprio marchio e brewpub che hanno cominciato a commercializzare il proprio prodotto attraverso reti distributive più elaborate. Quindi, forse, sarebbe maggiormente corretto ormai uniformare le due categorie sotto l’unica voce di “produttori con proprio impianto”. La lieve

tendenza negativa dei beer firm invece è evidente ed è dovuta, più che a chiusure crescenti nel 2020-2021, a uno stop alle nuove aperture, in particolare nel 2022. In effetti, il lockdown pandemico e la crescente competizione sul mercato potrebbero avere limitato gli spazi per questo tipo di attività economica. Capiremo nei prossimi mesi se si tratta di una fase contingente oppure se il beer firm avrà importanza decrescente nel settore.

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 7 giugno 2023 BIRRA E CONSUMI
Fig. 2 - Chiusure Fonti: microbirrifici.org

Prospettive future

Il fatto che da 15 anni vi siano Cassandre che prevedono un crollo del settore birrario craft e che vengono regolarmente smentite dai fatti non significa che si verificherà una crescita perenne del numero dei produttori. In fondo anche l’orologio rotto segna l’ora esatta due volte al giorno! È indubbio che la crescita sia sostenibile a due condizioni: che il consumo pro-capite di birra continui ad aumenta-

re e/o che i birrifici artigianali riescano a rosicchiare quote di mercato alla grande industria. La prima, periodo pandemico a parte, si è verificata, ma non è garantita per il futuro, ovviamente, in maniera indefinita. La seconda condizione invece si è riscontrata sino all’incirca al 2016: produzione e consumo di birra artigianale sono aumentati, percentualmente, sino a circa il 3,1% sul dato nazionale e a questa cifra sono rimasti immobili (sem-

pre non considerando il 2020) sino ad oggi. C’entra naturalmente la reazione dell’industria che ha colto le potenzialità degli spazi presenti sul mercato della “nuova birra” raccontata dai birrifici craft. Da un lato le multinazionali hanno portato avanti test di acquisizione di alcuni marchi italiani (proprio del 2016 è l’acquisto di Birra del Borgo da parte di ABInBev, il primo di una breve stagione di acquisti), scelta che invero non ha pagato e che è stata parzialmente rigettata dagli interessati (vedasi il riacquisto da parte degli ex proprietari del brand Hibu da Heineken). Ma soprattutto la scelta vincente, sino ad oggi, è stata quella del lancio dei marchi “crafty”, ossia industriali che si vestono da artigianali: le varie “non filtrate”, “cruda”, “regionali” etc. La fetta di mercato che i birrifici artigianali avrebbero dovuto acquisire grazie al maggiore interesse dei consumatori nei confronti di un prodotto nuovo, è rimasta nelle mani della grande industria. Cosa potranno fare i birrifici craft? Se desiderano seguire la strada dei loro colleghi statunitensi (che hanno raggiunto il 14% del mercato in hl, il 25% in valore) e superare la fatidica quota di mercato del 3,1%, dovranno concentrarsi su tre aspetti principali: riuscire a comunicare al consumatore la vera differenza tra craft e crafty, affrontare il nodo GDO, sino ad ora poco considerato, e implementare i canali distributivi Horeca: qui la comunicazione è elemento importante ma è anche fondamentale fornire servizi parallelamente al prodotto; i publican indipendenti, che acquistano e gestiscono in proprio le attrezzature di spillatura, sono numericamente ancora una piccola minoranza e gli altri pubblici esercizi, come bar e pizzerie, hanno bisogno di essere assistiti sugli aspetti tecnici. I birrifici, almeno quelli più strutturati, dovrebbero iniziare a considerare l’importanza di questo approccio distributivo. ★

8 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 BIRRA E CONSUMI
Fonti: microbirrifici.org, brewersofeurope.org, assobirra.it. Fig. 3 - Birrifici attivi Fonti: microbirrifici.org

BIRRA ARTIGIANALE

Segmentazione, posizionamento e targeting

La birra artigianale italiana, che per comodità di lettura per l’intera durata dell’articolo verrà intesa come mercato della birra artigianale italiana, ha visto costantemente crescere il numero di birrifici attivi sul territorio nazionale. Si presuppone che siamo al cospetto di quella che viene coloritamente definita una vacca, bella grassa e ancora tutta da mungere, con la differenza che non produce latte bensì birra. Insomma, apparentemente siamo al cospetto di un mercato talmente rigoglioso da offrire sostanzioso nutrimento a tutti i suoi attori, vecchi e nuovi. Ma è veramente così? Una pur timida conferma arriva dal consumo pro-capite nazionale di birra, cresciuto da 30 litri scarsi a oltre 36 litri. Il limite di questi dati è che non si capisce quanta quota parte di questo consumo

vada imputata alla birra artigianale e quanta a quella industriale. Il mio spirito critico, o forse la mia indole scettica e sospettosa, mi fa pensare che si sia verosimilmente verificata proprio la seconda condizione. Questo giustificherebbe le diverse operazioni di finanza straordinaria, vale a dire fusioni e acquisizioni di cui parleremo in un’altra occasione, adoperate dall’industria a danno dei birrifici artigianali. In questo frangente limitiamoci a capire perché tutti si buttano a capofitto in questo mercato ma pochi ne escono a testa alta. Parleremo, come anticipato nel titolo, di segmentazione, posizionamento e targeting, tre facce della stessa medaglia tridimensionale, tre argomenti che nella mentalità esemplificatrice italiana rispondono alla medesima attività: entrare nel mercato.

Si apre così un mondo di cui molti disconoscono l’esistenza.

Proviamo a vederci chiaro

C’era una volta il birrificio che nasceva con la chiara intenzione di produrre birra per soddisfare il semplice bisogno di alcol, limitandosi a fare un prodotto che potesse definirsi gustoso. Il birrificio Tal dei Tali si limitava a competere sulla base delle attrezzature più sofisticate e sulla capacità di razionalizzare le risorse ai fini di una produzione piuttosto standardizzata, cercando di tenere il passo con una domanda pressoché insaziabile. Fece una cosa del genere Henry Ford, agli albori dell’omonima casa automobilistica, quando coniò l’aforisma oggi diventato iconico secondo cui “ogni cliente può ottenere un’auto di qualunque colore

MARKETING
di Matteo Malacaria

desideri, purché sia nero”. Bei tempi, direbbero i produttori odierni. Dipende, risponderei io, perché anche questa, che può essere a tutti gli effetti considerata una strategia di marketing, va contestualizzata: Ford giunse all’apice del successo negli anni venti del 1900, ti lascio soltanto immaginare quanto fossero diverse le cose a quei tempi. Questo preambolo mi è utile per dire che, viste le condizioni del periodo storico, Mr. Ford ha deciso di puntare su un mercato di massa, poco segmentato e con un target poco o nulla diversificato. Da quel giorno le cose sono cambiate radicalmente, eppure non è cambiato il concetto di base: scegliere cosa vendere (Prodotto) e dove venderlo (Posizionamento) significa fare marketing (vedi articolo “Le 4P del Marketing Mix”, Birra Nostra Magazine n.2/2023). Oggi approfondiamo proprio la faccenda del posizionamento.

Facciamo un passo indietro: cosa significa segmentare un mercato? Significa prendere la tua torta di compleanno e assumerti l’incombenza di tagliarla a fette, ciascuna delle quali di spessore variabile. Alle persone care e a chi si è comportato bene spetterà quella più grossa, agli altri fette sottili ed esili per dispetto. No, dai, bisogna essere equi con tutti. Indipendentemente dal merito di ciascun invitato, certamente il taglio non sarà perfetto e inevitabilmente le porzioni avranno dimensioni diverse, ciascuna con la sua quantità di zuccheri. Ecco, saranno i consumatori paradossalmente a fare la scelta: i golosi si appropinquano verso le fette più grosse, io e tutti gli altri andiamo verso quelle piccole. Noi siamo i consumatori e creiamo domanda, tu sei l’impresa che cerca di creare un’offerta adatta a tutti. È facile, perché indipendentemente da quanto siano golosi i consumatori, all’impresa basta sapere che a tutti loro piacciono gli zuccheri. Punto.

La segmentazione

Tutto chiaro fino a questo punto? Adesso immagina che, per chissà quale truc-

co di magia, ogni fetta presenti una farcitura diversa, che ben si sposa a un mercato popolato da consumatori dai gusti tra loro molto eterogenei. Mentre prima c’era solo lo zucchero, adesso ci sono la stevia, il fruttosio, il galattosio e chissà quante altre parole con –osio, che accontentano palati diversi ma soprattutto valori diversi; c’è chi preferisce lo zucchero di origine animale, chi quello vegetale e così via. Laddove una volta c’era solo un modello Ford e andava bene a tutti, nel tempo i gusti sono cambiati, si sono moltiplicati, comportando il proliferare di modelli diversi. Di conseguenza l’impresa che vuole sopravvivere deve scegliere con oculatezza il gusto da servire: non può competere con l’industria, che vanta dimensioni colossali, e deve distinguersi dai competitor più piccoli, per non affogare nel qualunquismo in cui la maggior parte sguazza. Alcune imprese vanno oltre: non si differenziano per tipologia di prodotto o servizio oppure di approccio,

bensì innovano, inventano un bisogno inesistente – in realtà esistente ma non espresso, quindi latente – e vanno a giocare in un campionato tutto loro, dove possono divertirsi a piacimento finché i ricavi non attirano altre imprese interessate a prendere parte ai giochi.

A seconda dei casi e delle ambizioni, tramite la segmentazione si può spaziare da un approccio di massa, il che è puramente teorico, visto che si tratta dell’esatto contrario della segmentazione; come a dire: a dieta ti metterai tu, io sono ghiotto e la torta me la pappo tutta! Fino ad arrivare, man mano che aumenta il numero di fette, a una strategia multi-segmentata. É quello che succede quando l’industria si presenta al pubblico con etichette diverse, mettendo sotto lo stesso cappello una serie di brand che possano strategicamente coprire i vari segmenti come ad esempio ha fatto Peroni che ha immesso sul mercato la Nastro Azzurro per conquistare il segmento cosiddetto premium

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 11 giugno 2023 MARKETING

Aumentando esponenzialmente il numero di imprese che competono all’interno dello stesso segmento si entra nei cosiddetti segmenti di nicchia che sono in media pari al 5,1% dell’intero mercato… Una percentuale irrisoria se si considera la torta nella sua interezza. A ogni modo questa è la situazione della birra artigianale, dove convivono una caterva di imprese che si azzuffano per accaparrarsi le briciole. Briciole di cui l’industria fa tranquillamente a meno: un sacrificio necessario per non incorrere in scomode situazioni di oligopolio, attirandosi così le ire del Garante della concorrenza dei mercati. In teoria, puramente in teoria, una segmentazione spinta porterebbe a un altro estremo, ovvero quello della iper-segmentazione, in cui l’azienda è talmente versatile da riuscire a organizzare un’offerta su misura di ogni cliente. L’avvento di internet ha reso tutto tracciabile, pertanto è possibile attivare strategie di ascolto e di offerta estremamente mirate, ma è ancora impossibile realizzare un’offerta su misura dei singoli individui.

Il posizionamento

Bene, il taglio della torta è terminato. Abbiamo persino individuato la nostra fetta preferita. Possiamo così dare inizio

alla seconda fase: il posizionamento. Stavolta cito l’esempio di Dreher e Moretti, entrambe del Gruppo Heineken. Vista la comune proprietà c’è chi sostiene che siano la stessa birra che finisce in due bottiglie diverse. Lasciando perdere i maliziosi, cosa contraddistingue veramente le due birre? Spoiler: non è il gusto. Allora le etichette? In parte, per il motivo seguente. É proprio il posizionamento: una birra si trova al supermercato e l’altra anche nei ristoranti; la prima non investe in pubblicità, l’altra investe eccome ed è così che è riuscita a crearsi quell’aura di birra che sprizza Italia da tutte le bolle. Attenzione però, perché per posizionarsi correttamente non basta scegliere se collocarsi o meno sugli scaffali della GDO. Posizionarsi significa occupare quello spazio virtuale esistente tra come il brand vuole essere percepito e come invece il consumatore lo percepisce davvero. Mi spiego meglio, richiamando l’esempio precedente. Mettiamo caso che un giorno un cambio ai vertici dell’ufficio marketing di Dreher porti in cattedra un nuovo manager, chiamato Mr. X, un ambizioso che decide di rivedere la politica aziendale, posizionando Dreher nel summenzionato mercato premium, dove dovrà competere con la Nastro Azzurro.

Il colpo di testa di Mr. X, tuttavia, non può cancellare con un colpo di spazzola l’immagine e l’opinione che il mercato si è fatto della birra Dreher, che adotta ancora una strategia di distribuzione di massa e che pratica prezzi tra i più bassi sul mercato che restituiscono davvero poco valore al brand. Risultato? Mr. X potrà anche essere ambizioso, ma a fine anno la sua testa molto probabilmente salterà perché incapace di individuare una strategia di posizionamento adatta a Dreher, che nella testa delle persone continua a rimanere “la birra degli operai”. Per forza di cose il posizionamento di un brand è influenzato dalle opinioni personali, tuttavia a farla da padrona è soprattutto la brand reputation, ovvero l’insieme di recensioni/opinioni pubblicamente disponibili, sulle quali l’azienda può intervenire eccome. In che modo? Con una strategia di posizionamento e una comunicazione funzionale allo scopo. Mr. X potrebbe anche riuscire nell’intento di piazzare la Dreher nei locali stellati, ma non è questo il giorno. Impiegherà anni, decenni, forse secoli, perché deve correggere tutta la comunicazione che negli anni precedenti ha portato il mercato a farsi un’idea chiara di birra Dreher, che è appunto una birra economica e poco saporita.

12 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 MARKETING

Se il posizionamento è importante per i grandi marchi, è addirittura fondamentale in un mercato di nicchia. Purtroppo i birrifici italiani faticano a comprendere questo concetto, oppure semplicemente lo sottovalutano. Non dovrebbe essere una lotta tra le migliori ricette, che rimangono comunque un fattore di successo; dovrebbe essere una lotta di vantaggio competitivo, cioè di incarnazione di determinati valori e della loro comunicazione – una comunicazione con i dovuti crismi però, non raffazzonata. La ricetta in questione è data da tutti i benefici distintivi che rendono unica e distintiva la birra in questione e soprattutto il birrificio che la produce. Le leve sulle quali si può ricorrere sono quella del prodotto, insieme alle sue caratteristiche (performance, longevità, affidabilità, design, novità, sapore, ecc.), quella del prezzo –che dà un’idea del valore economico di un prodotto – e quella d’immagine, che riassume tutta la componente intangibile “raccontata” da un logo.

La forza del logo

Un esempio: ti trovi di fronte alla vetrina di un negozio di abbigliamento sportivo.

Due manichini indossano rispettivamente una tuta Kappa e una tuta Nike, identiche tra loro a eccezione di una differenza: il logo. Quale scegli? La tua risposta, così come la mia e presumibilmente quella della maggior parte delle persone è la stessa, ovvero Nike. Perché? Perché per tutti quanti noi Nike è un “concetto” di qualità, un concentrato di valore assimilato dal suo famoso swoosh, che senza dire niente comunica tutto. Abbiamo scelto Nike a parità di condizioni, di carattere estetico e immaginiamo anche di prezzo. Faremmo la stessa scelta se la tuta Nike costasse il doppio di quella Kappa? Incredibile ma vero, la risposta è ancora verosimilmente sì.

Perché le persone dovrebbero pagare di più per un prodotto pressoché identico a un altro molto più economico? La verità è che solo apparentemente sono identici ma la differenza è enorme. Nike si è posizionata in maniera esemplare, utilizzando una ricorrente e convincente campagna di comunicazione per fissare bene il concetto, nella mente dei consumatori, secondo cui le sue tute sono le migliori in circolazione e chi le acquista sa di aver scelto il top. Lo sanno tutti

che Nike è una buona marca, pertanto chi esibisce la tuta con quel logo ottiene anche il riconoscimento sociale, ovvero il fatto che anche le persone con cui entriamo in contatto possano riconoscerne la qualità. Che poi non è proprio questione di qualità, ma di immagine. Per esibire un certo brand, che fa leva sull’ego individuale e sul bisogno di riconoscimento sociale, oppure per godere del senso di appartenenza a una community di cui si condividono i valori – ricorda l’esempio di BrewDog menzionato nello scorso numero e il successo clamoroso delle sue iniziative riservate ai fan – siamo disposti a pagare due, tre, anche dieci volte il prezzo di un prodotto simile. Capisci adesso quanto può essere importante costruire una solida reputazione e lavorare sull’immagine aziendale? Quella è la terza “P” del Marketing Mix, quella di Promotion, ovvero genericamente di promozione. La P di Prodotto, ovvero la birra, da intendersi in questo caso come il suo contenuto, rimane certamente importante – io stesso mi guarderei bene dal consumare birra di dubbia qualità – ma da sola non basta. Prima, durante e dopo la produzione c’è tutta una mole di attività finalizzate ad accrescere, tassello dopo tassello, l’immagine aziendale, ultimo baluardo delle imprese che competono in un mercato di nicchia per riuscire a distinguersi con successo dalla concorrenza. Diversamente si verrà quasi certamente schiacciati dal peso della mediocrità.

Non c’è due senza tre Dopo segmentazione e posizionamento arriva il targeting. Il nome lascia intuire di cosa si tratta e il bersaglio del tiro all’arco rende bene l’idea: il target è il centro perfetto e rappresenta il cliente ideale. Ideale nel senso che spende molto e si lamenta poco? Anche, ma ideale in questo caso significa che è il cliente fatto apposta per la propria offerta. Se da una parte segmentazione e posizionamento influenzano la percezione da parte dei consumatori, il targeting

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 13 giugno 2023 MARKETING

consente alle imprese di concentrarsi su un pubblico mirato. Un titolo iconico come First, Best or Different (John Bradley Jackson, 2006) descriveva, già oltre quindici anni fa, tutto quello che l’imprenditore doveva sapere per competere con successo in un mercato di nicchia. Soprattutto per un’azienda di piccole dimensioni il vantaggio principale di una strategia mirata, a scapito della perdita di una quota significativa di mercato, è quello di godere di una maggiore capacità di adattamento alle esigenze di quel target. Il che, in un’epoca in cui le convinzioni cambiano rapidamente, equivale alla teoria Darwiniana secondo cui la sopravvivenza di specie dipende dalle capacità di adattamento. Analizzare il mercato, scegliere il cliente target, studiarlo, ascoltarlo, capire cosa vuole e di cosa ha bisogno, comprenderne i

bisogni e soprattutto fugarne i timori, espressi e inespressi, è a sua volta propedeutico al corretto posizionamento, che può definirsi tale solo se il prodotto finisce per occupare quello spazio vuoto, nella mente del consumatore, che lo differenzia da tutti gli altri e, ancora meglio, lo reputa migliore, giustificando il sacrificio economico per potersene accaparrare.

Comunicazione non convenzionale, etichette sbarazzine dall’immediato colpo d’occhio, nomi accattivanti, ingredienti speciali. Tutti questi sono elementi essenziali per gridare al mondo chi è il birrificio X e perché i consumatori dovrebbero preferirlo ad altri. Perché, diciamocelo, in un mercato di nicchia i consumatori non sono infiniti e le loro capacità di spesa sono limitate. Io, per esempio, ci penso due volte prima di acquistare una birra, ricordandomi che ogni scelta porta con sé il peso del “costo opportunità”: scegliendo una birra mi sto privando delle risorse per acquistarne un’altra, oppure per utilizzare gli stessi soldi per fare un acquisto diverso. Gli appassionati sono quelli che badano al contenuto, probabilmente si limitano a valutare solo quello. Ma come dicevamo sono la nicchia della nicchia, un pubblico insufficiente a rendere economicamente sostenibile un’impresa. Qualche giorno fa in un post social si commentava la scarsa partecipazione

alla diretta video Unionbirrai, una delle principali associazioni italiane di settore, con riferimento a Birra dell’Anno, la competizione più importante per la birra artigianale pro in Italia: la diretta è stata seguita, nel suo momento di massima condivisione, da 95 persone. Questa è una piccola grande famiglia, altro che nicchia!

Un marketing integrato

Forse un domani le cose cambieranno e i produttori nostrani potranno avere la visibilità che meritano, tuttavia è necessaria un’inversione di tendenza, subito. Il che significa anche un cambio di filosofia aziendale: adottare il marketing come una funzione integrata nella gestione aziendale e non più come un ufficio cui delegare la promozione di un evento, se e quando ci sono fondi per promuoverlo. Da qui alle corrette strategie di segmentazione, posizionamento e targeting ci vorrà un po’, ma sono fiducioso. Se qualche birrificio di cui non faccio nomi è riuscito a ragionare fuori dal coro, diventando apripista della birra artigianale nei ristoranti, vuol dire che anche gli altri birrifici ce la possono fare. Semplicemente devono iniziare a guardare meno fuori e concentrarsi più su sé stessi, per trovare la propria identità. La sfida è chiara: comprendere la propria unicità e trasmetterla al pubblico. È questa l’essenza dell’imprenditoria, pura affermazione di sé e delle proprie ambizioni. Decidere di avviare una produzione è facile, dimostrare di avere il carattere per farlo è un altro paio di maniche. Diversamente avremo sempre a che fare con una nicchia piatta dove l’unica differenza sostanziale è il prezzo. E sai cosa succede quando la competizione si gioca sull’aspetto economico? Che il posizionamento va a farsi benedire, il prodotto artigianale viene equiparato a quello dell’industria e da quest’ultima spazzato via.

Riusciranno i birrifici italiani, perlomeno alcuni di questi, a differenziarsi, oppure moriranno nel tentativo? Lo scopriremo presto, molto presto: il futuro è già qui. ★

14 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 MARKETING

SIREN, DIECI ANNI DI BIRRE incredibili dal Berkshire

Siren Craft Brew nasce nel Berkshire, poco lontano da Londra. Un birrificio indipendente che nel 2023 festeggia il suo decimo compleanno. Un birrificio che, luppolo dopo luppolo, ha affrontato con caparbietà tante incredibili sfide senza mai perdere la voglia di divertirsi e di dissetare neofiti ed appassionati con le migliori birre possibili.

Un po’ di storia

La storia di Siren inizia nel Giugno 2012. Ispirato dalle buone birre artigianali, di cui sente il richiamo proprio come un marinaio quello delle sirene, Darron Anley dà vita a questa realtà con l’obiettivo di creare birre di carattere, che possano raggiungere più persone possibili. Le birre di Siren raccolgono immediatamente i consensi dei bevitori inglesi, tanto che già nel 2014 Siren è il Best New Brewery nel Regno Unito e il secondo miglior birrificio al mondo secondo Ratebeer.com.

L’approccio del birrificio è orientato verso la creatività, verso una selezione accurata degli ingredienti ed una ricerca continua. Proprio per questo nel 2018 Siren apre

un fortunato crowdfunding che raccoglie oltre un milione di sterline, grazie al contributo di 1500 investitori con l’obiettivo di investire nel passaggio da bottiglie a lattine e di ingrandire il birrificio stesso. L’obiettivo viene raggiunto e nel 2019 Siren presenta al mondo le sue lattine con le iconiche e coloratissime grafiche.

Le birre di Siren

I prodotti della core-line di Siren come Soundwave e Lumina, due profumatissime IPA dalla luppolatura moderna, sono accomunati da ottima bevibilità ed equilibrio delle parti, allo stesso tempo birre come Pompelmocello (Sour IPA infusa al pompelmo) e Broken Dream (morbidissima Breakfast Stout) hanno contribuito a creare l’identità del birrificio. Ma senza dubbio sono i progetti più folli e creativi ad averlo reso celebre. È questo il caso del “Project Barista”, nelle cui birre l’arte brassicola incontra il mondo della torrefazione del caffè e del progetto Caribbean Chocolate Cake in cui si esplora il rapporto tra cacao, birra e legno. Tra

le birre più celebri di Siren poi non si può non citare Maiden, Barley Wine celebrativa, prodotta blendando diverse annate della stessa birra affinate in botti diverse sul modello del metodo Soleras usato nella produzione del Marsala.

I festeggiamenti per il compleanno

In occasione del suo decimo compleanno, durante il mese di marzo, Siren ha organizzato una grande festa per accogliere tutti gli appassionati in birrificio e diverse Tap Takeover nei locali di tutto il Regno Unito. Ha inoltre deciso di selezionare dieci cause benefiche a cui destinare altrettante donazioni.

I festeggiamenti sono continuati ad aprile in tutta Europa, toccando l’Italia nel week end dal 14 al 16 aprile, quando dieci locali in tutta Italia hanno organizzato una Tap Takeover servendo quattro birre speciali prodotte proprio per il decimo compleanno.

Tutti i prodotti di Siren sono disponibili in Italia tramite Ales&Co: www.alesandco.it

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 15 giugno 2023 INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

BIRRE ARTIGIANALI ICONICHE Triplexxx di Croce di Malto

Il 17 ottobre 2009 la Triplexxx di Croce di Malto si aggiudicò la medaglia di platino al concorso Mondial de la Bière di Strasburgo. Fu un evento memorabile, anzitutto perché fu il primo riconoscimento per un birrificio artigianale italiano rilasciato da una giuria (e in un ambito) internazionale. Poi fu anche un momento di svolta per i birrai italiani che erano sempre stati

considerati più per il folclore che per le birre. I colleghi che fino al giorno prima mi chiedevano, con un sorrisetto sotto i baffi, come stessero andando le cose dal punto di vista brassicolo da lì in avanti cominciarono invece a pormi la domanda in maniera seria; iniziarono ad esserci curiosità e un reale interesse nel capire quali fossero le novità nella nostra penisola.

Anche in Italia fu un momento importante perché l’eco di quel successo travalicò la piccola nicchia della birra artigianale: se ne scrisse sui giornali locali ma anche sui quotidiani nazionali, fino a parlarne in servizi alla televisione di stato, la Rai. In un certo senso se “birra artigianale” iniziò ad essere un modo di ordinare o quanto meno di chiedere una birra in molti locali fu anche merito della Triplexxx.

Fu anche il momento di svolta del birrificio Croce di Malto, aperto da appena un anno, con un mercato da creare e mille problemi da risolvere. Quella medaglia di platino colse di sorpresa Alessio Selvaggio e Federico Casari, i due soci allora impegnati nel birrificio. Alessio era davvero emozionato e non so nemmeno se si godette davvero la premiazione, ma una volta tornato a casa iniziò a realizzare che probabilmente non era diventato un birraio per caso. Il progetto del birrificio aveva un senso e bisognava soltanto dargli un percorso più stabile. Fino a quel momento, un altro lavoro sosteneva entrambi i soci nello sforzo economico del birri-

16 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 BIRRE E BIRRIFICI
di Andrea Camaschella

ficio e fu quello il momento esatto in cui Alessio decise di dedicarsi a tempo pieno al progetto e iniziò a organizzarsi in quel senso. Stesso pensiero di Federico, sempre più presente in birrificio. Oggi sono impegnati in modo esclusivo nell’azienda Croce di Malto e hanno anche parecchi dipendenti, almeno per le dimensioni limitate della sede produttiva; stanno progettando di aprire una taproom a pochi passi dal birrificio e il controllo di qualità è cresciuto grazie all’acquisto di macchinari e strumenti che Alessio, tecnologo alimentare, sa utilizzare magistralmente. La produzione è cresciuta in quantità e anche il numero di referenze è aumentato, così come il radicamento nel territorio con l’utilizzo di riso di coltivazione locale in un paio di referenze. Il birrificio, che ancora nel 2009 sembrava spazioso e - se non sovradimensionato - giusto per una crescita serena, in pochi anni ha ri empito tutto lo spazio dispo nibile con fermentatori, aggiungendone anche alcuni orizzontali per maturare e rendere ancora più limpide le birre, tanto che ora ci si muove a fatica e al momento non si vede come possa entrarci una imbottigliatrice semiautomatica. Quello che viene da pensare è che senza la Triplexxx e la medaglia di

platino, tutto questo non sarebbe successo o quanto meno, oggi, scriveremmo una storia molto diversa.

L’origine della Triplexxx

Questa birra è in realtà nata parecchi anni prima del birrificio, opera di Erica Ferrazzi, tecnologa alimentare come Alessio e sua compagna nella vita. Sin dai primi anni di convivenza i due si dedicavano, con grande passione e ottimi risultati, a produrre birre sul terrazzo di casa. I meriti della Triplexxx vanno giustamente spartiti, soprattutto se si considera che la ricetta è sempre quella, mai cambiata; magari si è affinato il lavoro in cantina ma l’ossatura della birra non è mai stata modificata. Riprodurla a casa non è dunque impossibile, anzi, si rivela parecchio divertente proprio per giocare sull’equilibrio tra lievito e spezie e per decidere se dare il proprio carattere speziato o cercare il clone dell’originale. Chissà poi che, facendola bere ad amici e parenti, non vi dia parecchie soddisfazioni!

La Triplexxx ha anche creato l’immagine di Alessio come ottimo interprete del grande Belgio. Cosa anche vera ed è soprattutto vero che, sin dagli ultimi anni di liceo, Alessio scoprì le birre belghe e il Belgio e ne divenne un grande appassionato grazie a viaggi e assaggi ripetuti. A guardare meglio la storia personale di Alessio si scopre però che scelse di andare a bottega in un birrificio in Germania per affinare le proprie doti, prima di aprire il birrificio, consumando così le proprie ferie. Scorrendo la storia del birrificio, e si sa che nel mondo artigianale questa è strettamente legata a quelle personali dei soci, si evince che le prime etichette furono ispirate da birre di scuola tedesca (Hauria e poi Triticum, la Weizen) e inglese (Acerbus) e che la Magnus (ispi-

rata alle Dubbel) fu l’altra purosangue belga della scuderia fino al dicembre 2009 quando vennero affiancate dalla birra natalizia che fu chiamata, guarda caso, Platinum. In seguito, ma fu una meteora, la Umbrà, una Blanche da 3.7% Vol. Alc. e soprattutto la Temporis, la Saison secondo Alessio, confermarono la vena belga, consolidata poi con la 19’’72, una Saison con aggiunta di albicocche, nata in collaborazione con il birrificio pugliese Birranova, e una Belgian IPA, la Acrux, in collaborazione con il laziale Eastside Brewing. Alessio in realtà è un birraio poliedrico, dal gusto personale molto sviluppato, abile in cucina tanto quanto in birrificio, con una capacità più unica che rara di selezionare le spezie e soprattutto usarle nelle giuste dosi e questo, tra le varie tradizioni brassicole, lo accomuna alla scuola belga; solo che lui lo sa riportare anche su birre anglosassoni pur se di stampo nordamericano, dove tratta i luppoli con la sua mano delicata. La summa delle sue capacità tecniche e della sua indole si ritrova nella Piedi Neri che, in fondo, esiste grazie alla Triplexxx: nel 2013 il Mondial de la Bière organizzò un concorso specia-

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 17 giugno 2023 BIRRE E BIRRIFICI
Medaglia di platino al Mondial de la Bière Alessio Selvaggio, birraio del Croce di Malto

ABBINAMENTI ICONICI

Triplexxx è una birra che si presenta di colore giallo dorato carico, velata, con una bella schiuma, bianca, di grana fine e persistente. L’olfatto è complesso, le spezie sono decisamente in evidenza ma senza mai entrare in ambiti balsamici e anzi amalgamandosi con i sentori dei malti (miele, panificato, caramello) e gli esteri fruttati - con note di frutta matura come mela, albicocca, banana - del lievito, creando un piacevole bouquet, che racconta del mondo brassicolo belga.

All’assaggio rivela un lieve sbilanciamento verso il sapore dolce, dapprima sottolineato a fine bevuta quando fa capolino un sentore caldo e avvolgente che è quasi subito smorzato da una appena percepibile astringenza citrica

(probabilmente dovuta al coriandolo) che accelera il sorso. L’amaro ovviamente c’è ma è trascurabile (pur ricollegandosi ai sentori erbacei nel retrogusto). Il retrolfattivo riprende quanto percepito prima al naso, con dominio delle spezie. La frizzantezza, ben presente, è fondamentale per esaltare i sentori delle spezie. Quanto descritto è applicabile a una birra versata dalla bottiglia; in fusto è molto simile ma più contenuta nei profumi e risulta più fresca e ancora più facile (e pericolosa…) da bere. Dal punto di vista produttivo, in bottiglia la birra è rifermentata, in fusto no. Ragionando sugli abbinamenti, sembra nata apposta per essere accostata al gorgonzola dolce: in qualunque piatto sia utilizzato, la Triplexxx lo esal-

ta e si esalta, boccone dopo sorso, sorso dopo boccone. La birra è da provare anche con altri formaggi e piatti più complessi, speziati, orientali oppure risotti mantecati. Il birrificio la consiglia anche su dolci senza cioccolato.

18 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 BIRRE E BIRRIFICI

le, aperto solo ai birrifici che avevano vinto altre edizioni del concorso e che dovevano presentare una nuova birra. Croce di Malto presentò a Montreal una birra ispirata alle Russian Imperial Stout con riso nero, a richiamare il territorio novarese, e farina di castagne, che strizza l’occhio alle birre italiane alle castagne e soprattutto agli amici del birrificio toscano Amiata del compianto Claudio Cerullo e di suo fratello Gennaro, con cui Alessio strinse amicizia proprio a Strasburgo nel 2009. La Piedi Neri arrivò seconda per mezzo punto perché, pare, il concorso non prevedeva un ex aequo . La Triplexxx, nel frattempo, ha ottenuto qualche altro riconoscimento al concorso nostrano Birra dell’Anno e fatto conoscere Croce di Malto anche in Oceania, andando a vincere un premio agli Australian International Beer Awards nel 2012.

Caratteristiche

A discapito del nome, che vuole strizzare l’occhio alle Tripel belghe, la Triplexxx è in realtà una Belgian Strong Ale. E su questo punto potrebbe avere creato un po’ di confusione in molti clienti ma anche in alcuni birrai italiani: oggi molte Tripel nostrane non sono realmente tali, restano “aperte” sul finale, mancano di quella secchezza che caratterizzano la bevuta di questo particolare stile belga. Che sia stata la Triplexxx a creare il cortocircuito è un punto che andrebbe indagato, cercando di capire da dove nasce l’ispirazione. Il nome è il tributo di Alessio e Federico alle birre del Belgio, ma vuole anche richiamare i tre cereali utilizzati (orzo, frumento e avena) e le tre spezie e, a voler ben vedere, anche i tre luppoli utilizzati. Il 3, numero affascinante e perfetto.

Ecco, sulla ricetta, Alessio si sbilancia fino a un certo punto, ammettendo di utilizzare il coriandolo e del pepe aromatico. Forse i pepi aromatici sono due, ma in ogni caso si lascia libera la

personalizzazione con un pepe bianco o altri ancora più aromatici; nell’originale la spezia principale resta il coriandolo ma nella versione casalinga ognuno può seguire il proprio gusto. Resta

un po’ il segreto del birraio, da svelare con prove e assaggi.

La Triplexxx, anche se è spesso dimenticata o ignorata dagli appassionati di birra artigianale e dagli esperti, è una

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 19 giugno 2023 BIRRE E BIRRIFICI

birra che corre sul mercato e che ancora oggi, tra le referenze di Croce di Malto, è prima in quantitativi prodotti davanti a Helles e Hauria (la birra ispirata alle Kölsch). Questo,

Produrre la Triplexxx a casa propria

prima ancora di premi e riconoscimenti, la definisce per quello che è: una birra di successo, che soddisfa il cliente e pure tutta la filiera. Ci fa anche pensare come il mercato sia spesso distaccato dal gotha della nicchia artigianale e da quei bevitori che cercano di continuo la novità, meglio se con sensazioni gusto-olfattive estreme. Ma non di solo luppolo e stranezze varie vive il bevitore di birre! ★

Lievito: T58 (più attenuata e secca, meno profumata) oppure S33 (meno attenuata, dolce molto più profumata)

: 1 giorno a 19°C, dal terzo giorno 23°C. Una volta terminata la fermentazione primaria, raffreddare a +2°C ed attendere almeno 15 giorni, spurgando il lievito e/o travasando la birra.

IBU= 27,5.

Colore: 11 EBC

OG: 18,9 PLATO

FG: 3,5/4,6 PLATO (a seconda del lievito usato)

Grado alcolico: 7.8% - 8.2%

Vol.

Bicchiere consigliato: coppa (coppa trappista)

Temperatura di servizio

consigliata: 12°C – 14°C

20 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 BIRRE E BIRRIFICI Ricetta per 23 litri Pilsener Malt kg 6 Candy Sugar kg 0.83 Wheat Malt kg 0.42 Flaked Barley kg 0.19 Flaked Oats kg 0.09
Mash in 52°C 10 min 62°C 30 min 67°C 20 min 72°C 20 min Mash out 75°C Sparge Luppoli e spezie - Bollitura totale: 90 min Styrian Goldings 19,2 IBU 84 min Styrian Goldings 8,3 IBU 45 min Saaz 13 g 0 min Coriandolo 7 g 20 min Pepe aromatico 4 g 5 min
7 g 5 min
pH a fine bollitura a circa pH 5,1
Rapporto acqua/malto 3:1 - adeguare pH a 5,3/5,4
Coriandolo
correggere
Fermentazione
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Finale campionato Homebrewing 2022 NOTE E RIFLESSIONI

Homebrewing. Dell’utilizzo indiscriminato dei termini inglesi, di solito, mi infastidiscono la sensazione di snobismo top manageriale fuori tempo massimo e di pigrizia mentale mimetizzata da modernità, come se un vocabolario straordinario come il nostro

non potesse tranquillamente descrivere al meglio qualsiasi definizione anglosassone, per quanto specifica. In questo caso però, dato che ci riferiamo ad un concetto davvero poco nostrano, sia in generale (la produzione della birra) sia nel dettaglio (la pratica di farla

in casa), non percepisco alcuna volontà fraudolenta nel ripiego all’inglese e riterrei pertanto lecito ricorrervi. È però la parola stessa a non sembrarmi all’altezza: un lungo nome composto, brutto e asettico, che non rende merito al concetto che sottende.

22 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 HOMEBREWING
di Norberto Capriata

Chi fa birra in casa sa bene, invece, quanto questo hobby meriterebbe una definizione ben più adeguata ed importante: gloriosa, direi. Non vorrei esagerare, ma questa gente prende dei chicchi di orzo, qualche pianta rampicante, una bustina di lievito (talvolta nemmeno quella) e usa i fornelli di casa per tramutare l’acqua in birra. E che birra! Quasi sempre migliore, MOLTO migliore, di quella che la gente compra e beve quotidianamente, con diletto.

Non sarà forse la stessa roba che fece quel Signore a Cana, alle nozze di un tale che non si è ancora capito chi fosse, niente di così miracoloso, però una certa “magia”, chi fa birra in casa, vi giuro, la avverte. Il giorno della cotta, l’avvio della fermentazione, la lieve fatica dell’imbottigliamento, l’attesa della maturazione, ed infine, il fatidico momento dell’assaggio: è un lungo rito magico che funziona davvero (quasi sempre).

Oppure, se preferiamo adottare un’ottica più razionale ma altrettanto romantica, è la realizzazione di un’opera artistica della quale, una volta ultimata, possono godere tutti, e non soltanto con gli occhi ma con tutti i sensi. Ecco, è forse questo il motivo per il quale, dopo tanti anni, l’homebrewing, nome a parte, mi pare ancora l’ambito più genuino ed apprezzabile del mondo della birra artigianale. In questa atmosfera magica (o artistica), così distante dagli aspetti più commerciali tipici di un settore ormai professionalmente “maturo”, scorgo ancora le caratteristiche primigenie di quell’ambiente che era riuscito ad affascinarmi e che, nel corso degli anni, non sempre ha saputo mantenere le grandi aspettative che in molti vi avevano riposto.

MoBi ieri e oggi

Diciamocelo: chi c’era non potrà negare come il fascino dei primi tempi, quando appassionati e nuovi professionisti condividevano un tutt’uno fatto di competenza, passione e divertimento abbia ormai lasciato spazio ad un ambiente meno avvincente, persino tristanzuolo

da certi punti di vista. Molti tra gli addetti ai lavori, che tanto avrebbero ancora da fare e insegnare, si sono un po’ demoralizzati, o peggio, incattiviti, e perdono troppo tempo a rimuginare su quote di mercato, mancati riconoscimenti, concorrenza sleale. Tra gli esperti e grandi appassionati della prima ora, che potrebbero ancora rappresentare un vero e proprio patrimonio occulto al quale potenzialmente attingere tutti, alcuni hanno fatto il “grande” salto verso l’ambito professionale, altri, lasciati sempre più ai margini, hanno perso interesse, i più sfortunati, infine, sono rimasti incastrati in qualche ruolo più o meno ufficioso e vivacchiano mantenendo un basso profilo per evitare rogne e scazzi. Questa parabola l’ha vissuta un po’ anche MoBI.

Come tutti i partiti che si rispettino anche la nostra associazione nacque “col sangue”, dopo il primo scisma di Unionbirrai, di cui avevano fatto inizialmente parte, direttamente o meno, quasi tutti gli ideatori della nuova entità: Davide Bertinotti, Max Faraggi (di gran lunga i più concreti e disinteressati) e parecchi altri personaggi, noti e meno noti.

Fin dallo Statuto, MoBI, pur con occhio di riguardo per la figura del cliente ultimo del prodotto, non si poneva limitazioni di alcun genere, ponendosi come soggetto super partes, potenzialmente attivo in tutti gli ambiti legati all’allora giovane fenomeno della Birra Artigianale. Come scopo principale ci si proponeva la promozione a tutto tondo della cosiddetta cultura birraria, da portare avanti tramite: corsi di degustazione e di homebrewing, pubblicazioni proprie e internazionali, promozione del prodotto e dei produttori più meritevoli, organizzazione di corsi, concorsi, eventi ed attività varie, etc. L’idea di fondo, perlomeno sulla carta, era molto interessante: radunare i primi discepoli di questa nuova religione pagana, gente motivata da interesse genuino e disinteressata passione, e dar loro le chiavi del giardino affinché potessero

contribuire a conservarlo sano e pulito e a farlo crescere rigoglioso perché tutti potessero condividerne i frutti. Un approccio romantico, quasi commovente nella sua spropositata ingenuità, che dovette ben presto scontrarsi con uno dei più evidenti ed insanabili limiti del nostro, per molti altri aspetti encomiabile, popolo: l’individualismo. Non entro ulteriormente nel merito, perché l’articolo riguarda altro e mi sono

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 23 giugno 2023 HOMEBREWING

dilungato fin troppo, ma si sarebbe potuto fare molto di più. Chi, con sommo sprezzo del pericolo, è rimasto in MoBI, consiglieri e collaboratori stretti, ci ha a lungo provato, invano. Sarebbe servita, esternamente, una mentalità diversa e più interesse a collaborare per un bene comune, sia da parte delle altre entità di settore, sempre più chiuse su sé stesse, sia da parte della base di volontari originale che, di fronte ad impegni concreti e non remunerativi, ha ben presto perso interesse per il tema ed è passata ad altro.

La finale

Tutto da buttare quindi? Niente affatto. Preso atto che le ambizioni andavano, per forza di cose, ridimensionate, si è li-

mitato il raggio di azione concentrandosi, in particolare, su quello che è parso l’ambito più “puro” e meritevole di attenzioni: l’homebrewing. La partecipazione alla giuria della finale del Campionato 2022/2023 mi ha ricordato, ancora una volta, quanto questa scelta fosse quella giusta.

Ma parliamone di questa finale.

Già da qualche anno MoBI ha provato a rendere l’evento sempre più avvincente, perlomeno per quanto riguarda la conclusione della stagione. Siamo passati da una formula simile a quella del campionato di calcio, dove i punti accumulati durante l’arco della stagione decretano automaticamente la classifica definitiva e il vincitore, ad una sorta di

“play-off” dove i migliori homebrewer del campionato, qualificati alla finale grazie ad un buon rendimento durante tutto l’arco della stagione, devono confrontarsi nuovamente tra loro nella giornata conclusiva, per decretare finalmente il vincitore. È chiaro che entrambe le soluzioni hanno dei pro e dei contro. La prima premia il concorrente più assiduo e costante, quindi probabilmente il più meritevole, ma rischia al contempo di scontare un po’ di noia, man mano che le tappe si susseguono, soprattutto se qualche partecipante particolarmente in forma prende il largo, tipo il Napoli Calcio di quest’anno.

La seconda invece rimette tutto in discussione, e il risultato finale potreb-

24 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 HOMEBREWING
La finale si è svolta al “Drunken Duck” di Quinto Vicentino

be rivelarsi molto diverso da quanto evidenziato durante l’annata. In finale può succedere di tutto, il grande favorito può steccare e l’outsider estrarre il cosiddetto “asso dalla manica”, sovvertendo i pronostici. Malgrado qualche accorgimento regolamentare abbia reso le dinamiche ancora più corrette, con dei bonus destinati ai migliori della prima fase, è chiaro che, se si opta per questa strada, bisogna comunque stare tutti al gioco (ricordandosi sempre che, appunto, è un gioco) e prepararsi a stemperare magari qualche piccola polemica, ma l’adrenalina e il divertimento che questa formula porta con sé la rendono una scelta, a mio parere, assolutamente azzeccata. E sia il colpo d’occhio della tavolata dei finalisti - intenti a godersi la giornata condividendo consigli, assaggi e risate - sia i festeggiamenti finali, all’insegna dell’allegria e del fair play, hanno pienamente confermato la mia opinione.

Partecipare alla Giuria, mai come in questo caso, è stato davvero interessante, oltre che piacevole. Ai concorrenti era stato chiesto di mostrare la propria competenza tecnica e

poliedricità preparando una prima birra di uno stile ben preciso, quest’anno della tipologia “Wee Heavy”, ed una seconda a propria discrezione. I giudici, suddivisi in coppie, a estrazione, hanno dovuto adoperarsi per la scrematura iniziale delle due categorie di birre e, successivamente, per le tornate finali che hanno decretato la classifica. Nel

mio caso ho avuto la fortuna di partecipare alla finale delle “Wee Heavy”, assaggiando e cercando di disporre in ordine di merito le migliori birre di questa tipologia, precedentemente scelte da un’altra coppia di giudici. Non posso che complimentarmi con i concorrenti: malgrado lo stile in questione non sia sicuramente tra i più noti

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 25 giugno 2023 HOMEBREWING

né tra i più diffusi, ho trovato il livello sorprendentemente alto, sia dal punto di vista dell’attinenza stilistica sia per la qualità delle bevute.

E non era impresa facile: le Wee Heavy (o Scotch Ale), infatti, sono birre concettualmente molto semplici ma di difficilissima realizzazione. Lievito neutro, poco luppolo, alto tenore alcolico e malti caramello sugli scudi: servono grande tecnica e mano finissima per calibrarle al meglio, bilanciare la dolcezza con il giusto grado di amaro, tenere sotto controllo l’etilico e mantenere una buona bevibilità.

Tutte le finaliste presentavano queste caratteristiche e le migliori andavano anche oltre, a dimostrazione dell’eccellenza dei nostri homebrewer. E basandomi sui mugolii di piacere che giungevano dal tavolo della finale delle birre a stile libero, sono pronto a scommettere che anche lì se ne sono viste delle belle.

Insomma, una finale bellissima e perfettamente riuscita, da tutti i punti di vista, che, personalmente, mi ha fatto scordare le piccole magagne dell’ambito craft italiano alle quali ho accennato nella prima parte dell’articolo.

Qualche meritato

complimento

Innanzitutto, al grande vincitore della stagione 2022: Jacopo Deola. Un inchino.

Ai giudici, ruolo ambito ma talvolta ingrato, affrontato comunque sempre con enorme entusiasmo, divertimento e serietà professionale a dir poco encomiabile. Al personale del sempre magnifico Drunken Duck di Quinto Vicentino, che ha ospitato la giornata, e in particolare a Vanni, padrone di casa sui generis ma, a modo suo, amabilissimo: tra i più attivi e preparati ambasciatori della birra artigianale italiana e straniera che conosca.

Ed infine a MoBI, consiglieri e collaboratori tutti, che da anni promuovono il prodotto “birra artigianale” senza alcun interesse personale, per pura passione: una discreta fetta del settore professionistico attuale probabilmente non vi merita, ma personalmente, e credo di non parlare solo per me, sono contento che ci siate. ★

26 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 HOMEBREWING
Jacopo Deola, vincitore del campionato 2022

PRIMING, IL SERVIZIO GRATUITO DI TROVABIRRE

Una garanzia di qualità in più e tanti vantaggi per birrifici e locali

La rivoluzione nella distribuzione di birre artigianali italiane avanza. Trovabirre.it adotta un nuovo approccio, libero e indipendente, e offre anche un servizio per la gestione diretta e controllata dell’ordine, che agevola i birrifici e coinvolge esperti del settore. La nuova piattaforma online di distribuzione di birre artigianali italiane guida il settore verso un cambiamento senza precedenti. Non solo offre uno spazio gratuito di promozione su tutto il territorio nazionale ai birrifici italiani, ma dà anche totale libertà a pub e locali di ristorazione nell’acquisto della propria fornitura. Trovabirre ha attirato l’attenzione di diverse attività del settore e, ad oggi, conta più di 1000 adesioni da parte di locali, rivenditori e pub e oltre 1200 prodotti registrati sulla piattaforma. Zero vincoli o contratti di esclusiva è la promessa, guidata da un virtuoso obiettivo: portare l’eccellenza della birra artigianale italiana dappertutto in Italia. E i servizi lo confermano. Pensato ascoltando le esigenze di attività HoReCa e dei numerosi birrifici italiani, Priming è il servizio di Trovabirre che riserva diversi vantaggi.

Il servizio Priming di Trovabirre.it

Il primo aspetto interessante è che si tratta di un servizio gratuito, il secondo sono le agevolazioni sia per birrifici che per il mondo HoReCa. Ciò che la piattaforma offre è la gestione diretta e controllata dell’ordine, ovvero, la possibilità di affidare e acquistare i prodotti direttamente da Trovabirre.

Un supporto per i birrifici

I birrifici che accedono al servizio Priming possono contare su un supporto completo nella gestione degli ordini e con la logistica. Possono affidare i propri prodotti a Trovabirre e monitorare acquisti e movimentazioni dall’area privata, beneficiando anche di una visibilità maggiore grazie al bollino identificativo, una garanzia di qualità certificata da esperti.

Per accedere al Priming, di fatto, i prodotti artigianali affidati a Trovabirre se-

guono un iter di validazione, che coinvolge figure esperte e sommelier per certificarne l’elevata qualità.

Una garanzia in più per i locali

La sicurezza di acquistare birra artigianale, validata da un giudizio tecnico già risolve una delle esigenze delle attività HoReCa. Inoltre, scegliendo la fornitura di prodotti in Priming si può beneficiare della spedizione gratuita, ricevendo l’ordine in un’unica consegna, pallettizzato con il minimo rischio di rottura. Il tutto, rispettando la promessa precedentemente accennata: il servizio è gratuito e non prevede alcun vincolo o contratto di esclusiva. La rivoluzione della distribuzione avanza e non aspettiamo che seguirne le evoluzioni.

trovabirre.it

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 27 giugno 2023 INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

L’ESTATE DI UN RICERCATORE Cinetica di maturazione del luppolo Columbus

Il luppolo è uno degli ingredienti per la produzione di birra e spesso è anche uno dei più caratterizzanti. Infatti, ne bastano pochi grammi all’interno di una cotta e/o alla fine del processo per donare alla birra amaro, ma anche note aromatiche tra le più disparate: dal fruttato, al pepato, al floreale, al tropicale… L’apporto aromatico e la complessità del bouquet aromatico dipende dalla scelta della varietà di luppolo e dal blend di tipi diversi di luppolo. Sul mercato esistono più di 300 tipi di luppoli ottenuti da altrettante cultivar provenienti da tutto il mondo. Ogni varietà di luppolo è peculiare e l’intensità aromatica dipende dalle tecniche di coltivazione e dalla latitudine in cui il luppolo cresce. Infatti, il processo di scelta di un luppolo non si esaurisce con la varietà; esistono infatti numerosi avvenimenti e pratiche che possono modificare in modo positivo o negativo le caratteri-

stiche qualitative del luppolo. A partire dalla coltivazione in campo: l’uso di buone pratiche di coltivazione può modificare e migliorare la qualità del prodotto. Altri aspetti importanti sono la raccolta (epoca e modalità), l’essiccazione e la successiva conservazione. Ognuno di questi passaggi è cruciale per l’ottenimento di un prodotto di qualità e di pregio. Se queste pratiche non vengono effettuate nel modo corretto o vengono effettuate con approssimazione, la risposta della pianta potrebbe essere molto negativa e potremmo ottenere un prodotto non idoneo all’utilizzo nella filiera brassicola. In questi casi, nella migliore delle ipotesi, in ottica di una perfetta economia circolare e per ironizzare un po’, il luppolo ottenuto potrebbe essere utilizzato come riempimento per cuscini o, ancora, come un irresistibile aromatizzante per ambiente al profumo di cavolo bollito.

La finestra di maturazione: fissa o mobile

Perché è così importante trovare il momento giusto per la raccolta del luppolo? Innanzitutto, bisogna evidenziare che ogni varietà di luppolo possiede una cinetica di maturazione ben precisa e che ogni cultivar ha una “finestra di maturazione” e “raccolta” ideale, che può modificarsi di anno in anno a seconda delle condizioni climatiche. La finestra di maturazione corrisponde a quel periodo di tempo in cui il cono di luppolo esprime tutte le sue caratteristiche di pregio. Questa finestra ottimale è poi allargata di qualche giorno (prima e dopo rispetto all’ottimo). Il periodo di tempo al di fuori dell’optimum è molto variabile e a seconda della varietà può durare tre o quattro giorni, ma anche un giorno solo. Questo cosa significa? In cosa si traduce per l’agricoltore? Alcune varietà ci consentono di “distrarci” e allungare

28 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 MATERIE PRIME di Margherita Rodolfi

un po’ il tempo di raccolta, mentre altre sono più volubili. Un giorno i coni hanno tutto quello che possiamo desiderare: sono belli, profumati, verdi brillanti e freschi… mentre il giorno dopo, si trasformano nel nostro peggiore incubo! Si trasformano in mostri che emanano aroma di formaggio, cavolo cotto e aglio! Per la sua fisiologia, il luppolo necessita di notevole attenzione e, se possibile, metodi oggettivi per capire quando è il momento di dare inizio alla raccolta. A complicare le cose c’è l’andamento stagionale: ogni anno è caratterizzato da un andamento climatico esclusivo e peculiare. Ogni cultivar risponde in maniera diversa ai diversi andamenti climatici di ogni anno. Da letteratura, sappiamo che ci sono cultivar come Fuggle, Perle o Teamaker che sono quasi irremovibili, granitiche, anche in stagioni e annate profondamente diverse. Queste cultivar mantengono il loro passo nella maturazione e non si fanno distrarre. Poi ci sono cultivar come Chinook o Willamette che sono profondamente instabili, mutevoli, che risentono di ogni minimo sbalzo climatico e possono essere raccolti, a seconda dell’annata, con anticipi o ritardi importanti (fino a 30 giorni di differenza da un anno all’altro). Una finestra di raccolta molto “mobile”, insomma.

Il caso studio: Columbus

Alla luce di quanto descritto precedentemente e partendo dal presupposto che la coltivazione del luppolo in Italia è relativamente recente e non vanta secoli di esperienza come in altri stati, il gruppo di ricerca CRO.P.S. (Crop and Plant Science - Università di Parma – Prof. Tommaso Ganino), ha iniziato uno studio per comprendere le variazioni compositive del cono durante il processo di maturazione. La cultivar oggetto dell’indagine è Columbus, che nel campo in cui effettuiamo molti dei nostri studi sul luppolo (Az. Agricola Ludovico Lucchi – Campogalliano – MO), risulta essere “volubile” e sensibile alla condizione ambientale e all’attività antropica (Figura 1).

Columbus è un luppolo di origine americana da amaro e aroma, caratterizzato da un contenuto in alfa acidi compreso tra il 14 e il 18%, beta acidi tra il 4,5 e 6% e contenuto in olio variabile dal 1,5 al 4%. Il suo aroma è caratterizzato da note agrumate, pungenti e speziate e i suoi coni vengono utilizzati specialmente per la preparazione di birre in stile American Pale Ale, Indian Pale Ale (IPA), Imperial IPA, Imperial Red Ale, Stout, tra gli altri. Insomma, è un luppolo che può avere molteplici impieghi.

Lo studio ha riguardato la cinetica di accumulo dei principali metaboliti di interesse per la birrificazione, quindi alfa e beta acidi (la parte amaricante), oli essenziali e loro profilo (la parte aromatica).

Lo studio ha previsto prelievi in campo settimanali dei coni (strobili): dalla for-

mazione del cono fino alla senescenza (sovra maturazione). All’incirca, nell’anno di analisi, i campionamenti hanno avuto inizio nella prima settimana di agosto (dandoci la possibilità di passare le ferie nell’assolata e “fresca” campagna Modenese, con 40 gradi all’ombra e la tipica afa della pianura che tanto ci invidiano le altre regioni Italiane) fino all’ultima di settembre.

I risultati dello studio

Il primo prelievo è stato dunque effettuato il 9 agosto, mentre l’ultimo campionamento, è arrivato al 30 settembre. Nello studio sono stati presi in considerazione 7 punti di maturazione, nominati con numerazione crescente MAT 1 per il tempo di maturazione 1, fino a MAT 7, per il tempo di maturazione 7. Partendo

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 29 giugno 2023 MATERIE PRIME
Figura 1 - Cultivar Columbus in piena maturazione

dal contenuto in acidi amari, è stato osservato un andamento crescente dal primo prelievo (Figura 2).

La prima importante informazione è quella relativa al fatto che già negli stadi precoci della formazione del cono il contenuto di alfa acidi risulta essere piuttosto alto: circa 8% (cono neoformato).

Questo ci fa intuire che la sintesi e il successivo accumulo di alfa acidi nel cono di luppolo di questa varietà inizi proprio nel momento di trasformazione da fiore a strobilo (cono). Dai risultati, abbiamo osservato che il momento di massimo accumulo corrispondeva al 9 settembre

(MAT 5), circa un mese dopo la formazione del cono, quando si è raggiunto un contenuto di circa il 13% di alfa acidi. Lo stesso trend lo abbiamo osservato anche per quanto riguarda la formazione del cohumulone. Il cohumulone è conosciuto per essere il più amaricante tra gli alfa acidi, ed è utilizzato spesso come indice qualitativo nel luppolo. In secondo luogo, abbiamo quantificato il contenuto in oli essenziali (Figura 3). Questo dato serve perché, a seconda della quantità, il luppolo sarà più o meno “concentrato” di tutte le sue componenti aromatiche. Tenendo con-

to che il contenuto di olio essenziale nella cv Columbus varia da 1,5 a 4%, abbiamo raggiunto nel nostro caso un contenuto leggermente maggiore del 3% nella stessa data di maggior accumulo della componente amaricante. Un altro dato interessante è il contenuto in olio del primo campionamento, all’incirca pari a 0,5%, piuttosto basso rispetto al contenuto finale. In questo caso, contrariamente agli acidi amari, la sintesi di oli essenziali è graduale durante tutta l’epoca di maturazione del cono. Legato agli oli essenziali, vi è anche una parte più complessa: la componente aromatica.

È risaputo che l’aroma del luppolo è uno dei più complessi in natura, con più di 400 molecole riconosciute e più di 1000 rilevate. Questo comporta che l’analisi e la comprensione della cinetica di formazione di queste molecole siano piuttosto complesse. Analizzando però le categorie dei composti, sappiamo che i primi a formarsi sono i sesquiterpeni; no, non è una parolaccia, ma sono molecole aromatiche che a seconda della struttura, possono portare aromi speziati, legnosi o agrumati e luppolati. Gli ultimi a formarsi sono i monoterpeni, di cui fanno parte molecole come il mircene e il limonene. Nel nostro studio, abbiamo proprio osservato che la sintesi delle diverse molecole aromatiche avviene per cinetica diversa. Sono state individuate infatti molecole la cui sintesi risulta essere maggiore col passare del tempo di maturazione e molecole che durante il processo di maturazione tendono a scomparire, perdendo tutta la loro influenza sull’aroma finale del luppolo. Le sostanze aromatiche che crescono nel tempo sono: il mircene (dall’aroma agrumato, erbaceo e resinoso), il pinene (dai sentori resinosi, di pino), il limonene (caratteristico del limone) ed il butanol2-metil propionato (dall’aroma fruttato). Questo vuol dire che, proseguendo con la maturazione, i coni del luppolo Columbus sono maggiormente caratterizzati, tra gli altri, da questi sentori.

30 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 MATERIE PRIME
Figura 3 - Contenuto percentuale di oli essenziali nei coni nelle varie epoche di raccolta Figura 2 - Contenuto percentuale in alfa e beta acidi in cultivar Columbus

I composti che invece decrescono con il tempo sono quelle molecole sintetizzate per prime, le quali sono soggette a degradazione. Tra queste troviamo cariofillene, umulene e linalolo. I primi due composti sono caratterizzati da note legnose e speziate, mentre il linalolo è una delle sostanze aromatizzanti maggiormente utilizzata anche in cosmesi, dotato di un valore soglia piuttosto basso e un gradevole sentore floreale e note di fruttato. Il linalolo ad esempio è una delle molecole che ritroviamo spesso, ed in quantità considerevoli, anche nella birra.

E matura, matura…

Alla luce di questo, cosa possiamo dire? Sicuramente, nella gestione della qualità del luppolo, sapere quando effettuare la raccolta ha una considerevole importanza. Sono tantissime le reazioni che avvengono durante la maturazione e tantissime le variabili che giocano a favore o sfavore di una buona maturazione, alcune controllabili (come l’irrigazione al momento giusto o la fertilizzazione), altre invece non sono sotto il nostro controllo (per esempio, l’andamento climatico o la distribuzione delle piogge). Il periodo di raccolta migliore per quanto riguarda alfa acidi e contenuto in oli essenziali, è più lineare e semplice da decifrare, mentre è molto più complesso determinare il momento giusto per avere i sentori desiderati. Dai risultati ottenuti si può concludere che per quanto riguarda la composizione aromatica, ritardando o anticipando la raccolta, sarà possibile ottenere la perfetta concentrazione di alcuni sentori a discapito di altri, portando a un prodotto che può essere di qualità.

Ma… c’è un “ma” molto importante!

Se la fase di maturazione prosegue per troppo tempo, in quasi tutte le varietà di luppolo, e in Columbus in particolare, si sviluppano composti solforati, dai piacevoli e fortissimi sentori di aglio, cipolla e cavolo. È altresì importante sottolineare che i composti solforati hanno un “valore soglia” molto basso.

Questo cosa significa? Se si tarda troppo a raccogliere e si arriva alla sovra maturazione, i sentori solforati con spiccate caratteristiche agliacee saranno predominanti. Questi composti solforati, una volta che iniziano a manifestarsi, anche

in concentrazioni bassissime, prenderanno il sopravvento, dal punto di vista sensoriale, su tutti gli altri, rendendo il luppolo più idoneo a condire una ribollita o per un ottimo ragoût! Se dobbiamo essere intellettualmente onesti, questo

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 31 giugno 2023 MATERIE PRIME

luppolo non sarebbe idoneo nemmeno all’arte culinaria per la sua importante componente amara. Dopo quanto tempo si manifestano questi off flavour nel luppolo? Non vi è una risposta universale, ma possiamo certamente affermare che la cultivar Columbus è una di quelle varietà che dopo pochissimi giorni dall’ottimo di maturazione passa dall’essere il luppolo “affascinante e aromatico”, all’essere

un luppolo “solforoso” e non idoneo alla birrificazione. Coltivare luppolo è quindi un’arte che richiede forte attenzione ai dettagli, conoscenza (o, per essere internazionali, know-how), costanza e passione in modo da riuscire annualmente a raccogliere e trasformare un luppolo che possa dare alla birra quel gusto in più, delicato, pulito e elegantemente bilanciato.

La ricerca continua ad essere un elemento importante per poter aiutare i luppolicoltori a costruire il proprio know-how, soprattutto quando devono prendere delle decisioni sui processi produttivi e organizzativi. Ogni cultivar possiede caratteristiche e cinetiche differenti. Il gruppo di ricerca CroP.S. dell’Università di Parma si sta impegnando per definire indici di maturazione da applicare alle diverse cultivar di luppolo coltivate in Italia. È certamente un obiettivo a lungo termine, ma permetterà di fornire validi strumenti per guidare le scelte consapevoli del luppolicoltore. Questi indici potranno essere integrati a sistemi di supporto decisionale per guidare l’agricoltore e migliorare l’attività agraria verso un prodotto sostenibile e qualitativamente superiore. Quindi, stay hoppy, e la ricerca continua. ★

Iniziativa realizzata nell’ambito del Programma Regionale di Sviluppo Rurale 2014-2020, Tipo di operazione 16.1.01 Gruppi Operativi del Partenariato Europeo per l’Innovazione: “produttività e sostenibilità dell’agricoltura”, Focus Area 3A – Progetto “Filiera Professionale Italiana della coltura del Luppolo” –prohopsmartchain.org

32 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 MATERIE PRIME

RASTAL… VIVA LA BIRRA!

Il mondo della birra è parte integrante della storia di Rastal che sin dagli albori, nel lontano 1919, ha collaborato con i più importanti birrifici per aiutarli ad identificare e talvolta a “creare” il bicchiere in grado di valorizzare gli aromi delle diverse birre.

Questo approccio a una bevanda “unica“ ha influenzato il lavoro di Rastal e tutt’oggi continua ad ispirare la creazione di modelli che possano valorizzare al meglio le birre e i loro marchi. Come ogni birra, anche ogni bicchiere ha la sua storia da raccontare. Quella più recente riguarda TEKU, il calice esclusivo Rastal diventato punto di riferimento per la birra artigianale nel mondo.

TEKU nasce dall’osservazione fatta da Teo Musso (geniale mastro-birraio dell’affermato birrificio Le Baladin) che nel mercato non ci fosse alcun calice idoneo alla degustazione della birra: i sommelier hanno a disposizione i canonici calici da degustazione denominati

ISO (International Organization of Standardization) pensati per analizzare i vini, ma inadatti e limitativi per il più ampio spettro olfattivo e gustativo delle birre. Per sopperire a questa mancanza, Teo Musso e Kuaska (degustatore e giudice internazionale) hanno cercato una forma che potesse valorizzare la degustazione delle birre artigianali; dalla loro stretta collaborazione e grazie al contributo tecnico di Rastal è nato TEKU, il calice universale per la degustazione delle birre: realizzato in cristallino e interamente Made in Italy! Un calice che associa alla robustezza un’innata eleganza e soprattutto con la scritta “TEKU” scolpita sul vetro del piattello per rendere subito riconoscibile il prodotto originale. Ma cosa succede al classico boccale? In vetro, in ceramica, ne abbiamo per tutte le birre e per tutte le occasioni con una menzione speciale per la versione in ceramica che regala bevute di grande fascino.

È il caso di dirlo, pensate alla birra e trovate Rastal.

Rastal Italia

L’azienda nasce nel 1997 per volontà di Rastal Germania, una delle aziende leader nel settore del vetro e della decorazione. Attualmente Rastal è presente in tutti i mercati del beverage, annoverando tra la propria clientela le più grandi aziende del settore. Oltre a numerosi articoli realizzati appositamente per importanti marchi, Rastal ha voluto creare prodotti adatti al mercato italiano per gusto, design e prezzo. Uno dei punti forti è da sempre la decorazione, grazie a tutte le più importanti lavorazioni: serigrafia tradizionale o UV, incisioni laser, satinatura, decal, spruzzatura, mantenendo elevata flessibilità nei lotti produttivi. Oltre alla qualità del prodotto, Rastal vanta un servizio veloce, puntuale ed efficiente che rappresenta da sempre uno dei suoi punti di forza e permette ai clienti di minimizzare lo stock giacente presso i loro magazzini.

www.rastal.it

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 33 giugno 2023 INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

COME INVECCHIA IL LUPPOLO? Il caso studio dell’Università di Parma

Il luppolo, o meglio, gli strobili (o coni) del luppolo, vengono utilizzati per la produzione di birra con innumerevoli stili, e impartiscono alla bevanda quell’amaro, quell’aroma caratteristico delle varietà impiegate.

Nella filiera brassicola il passaggio delicato e cruciale, ma anche energivoro ed economicamente dispendioso è lo stoccaggio in birrificio dei pellet di luppolo. La conservazione del luppolo è una fase molto importante per mantenerne la qualità, e dipende da diversi fattori. Per preservare al meglio le caratteristiche

del luppolo, bisognerebbe mantenere le temperature più basse possibile ed evitare il contatto con luce e ossigeno, onde evitare ossidazioni sgradite e perdita della componente aromatica e amaricante. Senza contare che, cambiando varietà, o addirittura epoca di maturazione, possiamo andare incontro a cambiamenti anche nella stabilità delle sostanze di interesse durante la conservazione. Considerando le variabili che possiamo gestire una volta comprato il luppolo, per mantenerlo al buio potrebbe bastare la scelta di packaging con al-

luminio, atmosfera in assenza di ossigeno (prodotto sottovuoto o in atmosfera modificata) e basse temperature.

Quali sostanze bisogna preservare?

Come abbiamo accennato, durante la conservazione possono esserci cambiamenti nel contenuto in acidi amari (alfa acidi, cohumulone in particolare, e beta acidi), in oli essenziali, e nel profilo aromatico. Quest’ultimo aspetto è molto complesso in quanto l’olio essenziale di luppolo è composto da numerosissime classi di composti che possono essere più o meno sensibili ai fattori esogeni a cui sono sottoposti i luppoli durante la conservazione. Per monitorare la qualità del luppolo, esistono degli indicatori e uno tra i più utilizzati è l’indice HSI (Hop Storage Index). Questo è un indice il cui valore è legato all’assorbanza di sostanze ossidate nel campione. Il valore dell’HSI varia tra 0 e 1: tanto più il valore è vicino ad 1 tanto più il luppolo è ossidato, quindi “vecchio” o mal conservato. Solitamente i valori ottimali sono compresi tra 0 e 0.3, mentre valori compresi tra 0.6 e 1 indicano chiaramente luppoli ossidati. I valori tra 0.3 e 0.6 indicano luppoli accettabili. Un’altra tecnica utilizzata dai laboratori di analisi, è l’osservazione al microscopio delle ghiandole luppoliniche (Figura 1), cioè quelle “sacche” che contengono resine e oli essenziali del luppolo; a seconda del loro stato più o meno rovinato (raggrinzimento), pos-

34 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 MATERIE PRIME di Tommaso Ganino

siamo determinare se la conservazione è stata effettuata in modo idoneo. Ancora a livello analitico è altresì possibile controllare l’andamento della qualità del luppolo (cinetica) nel tempo: un metodo utilizzato è il monitoraggio del quantitativo di alfa acidi (Figura 2). Gli alfa acidi, presenti insieme ai beta acidi nelle resine del luppolo, costituiscono la componente che maggiormente contribuisce all’amaro, e per questa ragione a volte li sentiamo anche nominare “acidi amari”. Quando gli alfa e beta acidi diminuiscono del 10% rispetto al “tempo zero”, il luppolo è considerato ”leggermente vecchio”, quando il calo è tra 20 e 30%, abbiamo un luppolo vecchio, e riduzioni superiori al 30% identificano luppolo molto vecchio (non è più idoneo all’utilizzo, se non per produzioni di birre molto particolari… ma in questo caso l’ossidazione deve essere controllata e voluta).

Alfa e beta acidi: fattori deterioranti

Tra i nemici della conservazione possiamo annoverare l’ossigeno, portatore di ossidazioni, sia a livello di molecole aromatiche sia a livello delle molecole responsabili dell’amaricatura. In uno studio di colleghi croati, è stato infatti osservato che quando il luppolo viene conservato a 4 °C e ad atmosfera modificata, a distanza di 400 giorni (poco più di un anno), la quantità di alfa acidi restava invariata, mentre con pacchetti lasciati aperti all’aria, a parità di temperatura, la qualità di alfa acidi diminuiva drasticamente e si arrivava ad avere un calo fino al 50% circa.

Quindi, l’aria (e di conseguenza l’ossigeno), è uno dei fattori più impattanti per la qualità del luppolo durante la sua conservazione. Il luppolo raccolto e stoccato all’aria comporta un deperimento a livello qualitativo rilevante, sia a livello di alfa e beta acidi, sia di polifenoli contenuti. Inoltre, il contatto del luppolo con l’aria è il fattore che porta a modifiche sostanziali a livello di tutte le

componenti di interesse all’interno del prodotto.

Un altro fattore molto importante, che porta a differente stabilità alla conservazione è il grado di maturazione del luppolo alla raccolta. Infatti, da letteratura scientifica, si è osservato che stoccando a 20 °C pellet di luppolo appartenenti a

4 cultivar diverse, con 4 gradi di maturazione differenti (4 periodi di raccolta per ogni cultivar), dopo 6 mesi la qualità del prodotto era completamente modificata. Innanzitutto, tra un luppolo raccolto precocemente e tardivamente, il calo di alfa acidi non è stato costante in tutte le varietà, ma c’è un trend di aumento di

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 35 giugno 2023 MATERIE PRIME
Figura 1 - Ghiandole luppoliniche sul cono di luppolo Figura 2 - Estratto di acidi amari

degradazione tra raccolta precoce e raccolta tardiva, con differenze varietali notevoli. Ad esempio, la cultivar Magnum mostrava un decremento nel contenuto di alfa acidi maggiore andando avanti con la maturazione, mentre la varietà Magnat presentava un calo di alfa acidi più abbondante in tempi di raccolta più precoci. Questo punto è molto importante, e ci mostra quante variabili siano da studiare e da conoscere quando ci approcciamo alla coltivazione del luppolo e quanto sia importante gestire la coltivazione e tutte le sue fasi di processo, a seconda di ciò che abbiamo in campo. L’importanza del periodo di raccolta, precoce o tardivo, sulla conservazione è stato osservato anche a diverse temperature di stoccaggio, su una cultivar da aroma e una da amaro, a 5 °C e 20 °C per un anno. Anche in questo caso, la varia-

bilità data dal grado di maturazione sulla perdita di alfa acidi era molto diversificata: i tempi di raccolta precoci hanno mostrato attitudine di degradazione più pronunciata, con pellet di luppolo meno stabili nel tempo. Allo stesso tempo la risposta era legata anche alla cultivar: la cultivar da amaro ha mostrato una perdita percentuale maggiore di alfa acidi rispetto alla varietà da aroma. Inoltre, la perdita di alfa acidi è stata ridotta nella tesi a 5 °C, rispetto alla conservazione a 20 °C.

Non tutto ciò che si ossida è negativo…

…ma non sempre invecchiando si migliora. Durante l’aging (invecchiamento del luppolo) avvengono numerose modifiche e le ossidazioni sono tra le più note reazioni di invecchiamento.

Anche la parte volatile, i composti aromatici del luppolo, tendono a subire la stessa sorte. L’olio essenziale di luppolo, nonostante la sua complessità nella componente volatile, contiene per un 80% terpeni e sesquiterpeni, una classe di molecole particolarmente volatile e odorosa. Tra i principali composti di interesse, troviamo il Mircene, caratterizzato da aromi resinosi, speziati e agrumati, il Cariofillene, dotato di sentori speziati e legnosi e l’Umulene, con sentore più terroso speziato, il Linalolo, dall’aroma fruttato e floreale, più idrosolubile dei precedenti e conservato nelle birre. Tutti questi composti, insieme agli altri presenti nell’olio essenziale, durante l’invecchiamento si modificano, si trasformano e si ossidano. Ma non tutte le modifiche a livello della parte aromatica sono negative, anzi... Il Mircene ad

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MATERIE PRIME

esempio è uno dei composti più presenti all’interno dell’olio essenziale di luppolo (ne costituisce anche più del 50% del totale dell’olio) e in caso di contatto con l’ossigeno potrebbe arrivare a formare altre tre molecole: Linalolo (floreale e aranciato), Nerolo (floreale, citrico e dolce) e Geraniolo (floreale). Queste tre molecole sono tutte molto profumate, più persistenti e stabili della molecola di partenza, e quindi ne potremmo trovare in quantità più elevate rispetto al Mircene anche nella birra. Il Mircene infatti, essendo molto volatile, nonostante sia presente in grandissima quantità nell’olio essenziale di luppolo di tantissime varietà, risulta spesso essere presente in quantità quasi irrilevabili nella birra, con l’eccezione di stili di birra che utilizzano il dry hopping come tecnica di aromatizzazione. In questo caso la molecola si conserva maggiormente. Tornando alle ossidazioni, se queste continuano, Nerolo e Geraniolo potrebbero portare alla comparsa del Citrale, che come già il nome ci fa intuire, è dotato di aroma citrico molto spiccato. Non di meno, un’altra molecola che invecchiando, o meglio, ossidando migliora, è il Cariofillene, molecola che di partenza si contraddistingue per un aroma speziato e legnoso, ma una volta ossidata a Cariofillene ossido, resta speziato e legnoso con note citriche. Però, non

tutte le molecole sono così fortunate da “migliorare invecchiando”, infatti alcune ossidandosi trasformano le molecole aromatiche in molecole inodori, altre in molecole dall’odore sgradevole, che può passare dal rancido al cavolo bollito (figura 3).

Diamo una mano alla sostenibilità

Per cercare di ridurre le temperature di stoccaggio, abbiamo pensato a un esperimento (in collaborazione con Az. Agricola Bellavista – Cooperativa Luppoli

Italiani, Grattacoppa (RA)), su una varietà di luppolo, con due tecniche di conservazione (sottovuoto e in atmosfera modificata con arricchimento in azoto), e a due temperature di conservazione (4 °C e 10 °C). Questo esperimento aveva l’obiettivo di determinare la possibilità di conservare la qualità del luppolo con maggiore risparmio energetico (per es. a 10 °C) per un lungo tempo di conservazione (fino a 24 mesi).

La varietà esaminata è stata Chinook, un luppolo amaricante, contraddistinto da un alto contenuto in alfa acidi (dal 12

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Figura 3 - Molecole aromatiche da ossidazione

al 14%) e basso contenuto in beta acidi (dal 3 al 4%), con un interessante aroma speziato, resinoso a volte con note di ananas, che si presta bene per essere utilizzato come luppolo a duplice attitudine. Il monitoraggio della variazione nella qualità è stato effettuato ogni 6 mesi per 24 mesi (arriveremo a 36 mesi al termine delle analisi).

Gli acidi amari

Dai risultati abbiamo visto una buona stabilità degli alfa acidi nel tempo, con una leggera diminuzione dei beta acidi e del contenuto in olio. Questo perché la principale causa di ossidazione, cioè l’ossigeno, è stata esclusa dal nostro esperimento.

Per quanto riguarda la parte aromatica invece si è osservata:

❱ una diminuzione della componente balsamica nel tempo, data dal Pinene, che ha visto ridurre il suo contributo aromatico soprattutto nella conservazione in azoto a 10 °C.

❱ Diminuzione della percentuale di Mircene, fruttato e balsamico, che ha visto una maggiore riduzione a 24 mesi a 10 °C, sia sotto vuoto, sia sotto azoto.

❱ Riduzione del contributo della componente fruttata, durante i primi 24 mesi: si sono osservati cambiamenti di alcune molecole, che in percentuale hanno diminuito la loro presenza all’interno del profilo aromatico, privandolo, o comunque rendendole meno presenti.

❱ Calo della componente fruttato-floreale, con una riduzione percentuale di Linalolo, Geraniolo e Perillene, molecole dalle spiccate capacità aromatizzanti. E ricordiamoci che alcune di queste molecole sono coinvolte in reazioni di invecchiamento che le portano a trasformarsi in altre molecole aromatiche e non.

❱ Diminuzione della componente speziato-terrosa, grazie al contributo delle molecole Umulene e Cariofillene in particolare. La diminuzione maggiore è avvenuta nei sacchetti

con atmosfera modificata (arricchimento in azoto) e conservati a 10 °C.

❱ Aumento della componente degli ossidi, che nel tempo sono invece aumentati, soprattutto in atmosfera modificata (arricchita in azoto) a 10 °C.

E quindi?

Ecco, giunti alla fine, possiamo dire che ogni tecnica di conservazione si è mostrata piuttosto valida, con alcune differenze nella conservazione di composti aromatici. Abbiamo visto che la temperatura maggiore, 10 °C, porta a maggiori cali rispetto alla conservazione a 4 °C, ma mantiene comunque un buon profilo sia in acidi amari, sia in composti aromatici. A nostro parere, e nel nostro esperimento, i sacchetti sottovuoto sono risultati più conservati rispetto ai sacchetti in atmosfera modificata (arricchita in azoto). Tenendo conto che questo studio è stato condotto per capire se una conservazione a 10°C (temperatura meno energivora e più utilizzata nelle celle refrigerate nei microbirrifici italiani) può sostituire quella a 4 °C, possiamo dire che abbiamo raggiunto l’obiettivo, e che effettivamente la conser-

vazione a 10 °C permette un buon controllo delle degradazioni a carico del luppolo, a patto che questo venga mantenuto in sacchetti privi di ossigeno, quindi in confezioni integre. Una volta aperte le confezioni, le ossidazioni procedono molto più velocemente e si consiglia un utilizzo in breve tempo a qualsiasi temperatura. In questo caso la temperatura di conservazione consigliata è quella più bassa. Ricordandoci che le piccole ossidazioni avvenute potrebbero portare a molecole con sentori molto negativi, o, in alcuni casi, piuttosto positivi. Per concludere, se manteniamo il luppolo in condizioni di sottovuoto o in atmosfera modificata con arricchimento in azoto, il bouquet floreale cambia, non per forza in positivo o in negativo… al vostro naso l’ardua sentenza! ★

Iniziativa realizzata nell’ambito del Programma Regionale di Sviluppo Rurale 2014-2020, Tipo di operazione 16.1.01 Gruppi Operativi del Partenariato Europeo per l’Innovazione: “produttività e sostenibilità dell’agricoltura”, Focus Area 3A – Progetto “Filiera Professionale Italiana della coltura del Luppolo” – prohopsmartchain.org/

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 39 giugno 2023 MATERIE PRIME

AD OGNUNA IL SUO L’importanza del bicchiere adatto

Un locale specializzato non può sottovalutare l’importanza di utilizzare un “vetro” dalla geometria e dalla composizione adeguata a valorizzare al massimo l’aromaticità, la carbonazione e l’equilibrio gustativo della birra che vi viene servita. Complice invece il successo inarrestabile delle American IPA in tutte le loro declinazioni, sta accadendo che molti locali, anche ambiziosi e premiati dai beer geek, optino per la cosiddetta pinta americana, da 0,4 l o addirittura da 0,3 l, come bicchiere universale senza curarsi di quanto ciò porti detrimento a una Pils, che vede il suo delicato bouquet disperso dall’imboccatura troppo larga e la carbonazione mal gestita dalla ridotta altezza del contenitore o a una Tripel, che rischia al contrario di essere troppo

“rotta” e, soprattutto, non può usufruire di una svasatura che concentri gli aromi di malto e gli esteri fruttati. Il fastidioso corollario di questa scelta, che semplifica, è vero, il servizio e la pulizia, è che i clienti vengano spinti a privilegiare e ordinare solo gli stili valorizzati da quel genere di bicchiere, quindi ancora una volta le birre iper luppolate già di moda, portando a un impoverimento dell’offerta e un appiattimento del gusto che è ciò da cui il consumatore che non si accontenta della birra industriale solitamente fugge. Come docente del modulo su “Birra e cultura del bicchiere” nel corso italiano per Biersommelier Doemens, compio sempre degli esperimenti sensoriali ideati con il mio maestro e amico Stefan Grauvogl, responsabile per l’Italia

dell’accademia tedesca e uno di essi è stato particolarmente significativo. Abbiamo infatti utilizzato due bicchieri diversi, un flûte da champagne e un calice da vino bianco, più ampio e bombato, e due Pils tedesche: Bitburger, più commerciale e mainstream, con un tenore d’amaro abbastanza ridotto, e Ayinger, decisamente più tradizionale e carica di luppolo. Senza ovviamente dare ai corsisti alcuna indicazione circa il contenuto dei bicchieri (non conoscevano nemmeno lo stile delle birre scelte), abbiamo dapprima servito entrambe le Pils nel flûte e chiesto ai partecipanti quale fosse la più amara delle due: tutti e quindici hanno indicato la stessa birra, naturalmente la Ayinger. Pochi minuti dopo, abbiamo offerto la Bitburger nel flûte e la Ayin-

CULTURA BIRRARIA
di Simonmattia Riva

ger nel calice da vino bianco e ripetuto la stessa domanda: nove persone hanno indicato la Bitburger come più amara, apparentemente ribaltando la propria percezione ma in realtà veicolati dall’influsso del bicchiere, dal momento che il calice più ampio ha maggiormente valorizzato gli aromi del malto a discapito di quelli dei luppoli.

Passando in rassegna i “vetri” comunemente usati per i più classici stili, è lecito domandarsi: la tradizione vince sempre o a volte si può fare di meglio scompaginando un po’ le carte?

Le Pils vengono di solito servite in goblet cilindrici, calici a chiudere, flûte o colonne simili a quelle usate in Vestfalia per Kölsch e Altbier ma di maggiore

altezza: un bicchiere abbastanza alto e snello permette di scaricare parzialmente la vivace carbonazione che caratterizza lo stile senza però “distruggerla” e creando il caratteristico alto cappello di schiuma che protegge dall’ossidazione, mentre l’imboccatura stretta consente di non disperdere troppo i delicati aromi erbacei di luppolo. Inoltre, il movimento che si effettua bevendo da questi bicchieri, che vengono afferrati tramite il piedino alla loro base, indirizza rapidamente il flusso del liquido verso la gola, con il triplice vantaggio di non essere indotti a lasciare per troppo tempo la birra nel bicchiere (dopo venti minuti a temperatura ambiente una Pils è “morta”), ridurre la superficie di

contatto con l’ossigeno e valorizzare maggiormente le note amaricanti percepibili all’uscita dalla bocca.

Germania

Altre lager leggere di stampo teutonico (Helles, Dunkel, Märzen, Schwarzbier) vengono invece offerte più frequentemente in tumbler e boccali comunque slanciati ma un po’ più larghi: il flusso del liquido in bocca è in questo modo meno rapido e permette di valorizzare maggiormente i sapori maltati che dominano questi stili; si deve però avere l’accortezza di scegliere un modello dall’imboccatura non troppo larga per non disperdere eccessivamente gli effluvi comunque delicati di queste tipologie.

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 41 giugno 2023 CULTURA BIRRARIA
Boccale adatto a lager leggere di stampo teutonico

Il Krug di ceramica, oltre ad essere l’antenato dei moderni contenitori di vetro, è oggi spesso utilizzato per le Keller e altre specialità bavaresi e franconi non filtrate (Landesbier, Ungespundet, Zoigl) la cui velatura, che in alcuni casi può essere rilevante, potrebbe disturbare il consumatore medio abituato ormai a birre filtratissime. Uno dei suoi vantaggi è inoltre la maggiore tenuta termica rispetto al vetro e ciò lo rende particolarmente adatto al consumo estivo nei Biergarten, ove spesso si trova la simpatica variante dotata di cappello di peltro per evitare la caduta di infiorescenze o insetti nell’amato liquido durante la bevuta all’aria aperta: il cappello potrebbe anche servire a preservare dall’ossidazione ma chi conosce i ritmi di bevuta dei bavaresi e franconi sa che

questo è l’ultimo problema a quelle latitudini, la birra rimane sempre pochissimi minuti nel bicchiere.

Il Maß, leggendario boccale da un litro emblema dell’Oktoberfest, non ha sicuramente caratteristiche che lo rendano consigliabile per la degustazione di birre a bassa fermentazione e dagli aromi piuttosto leggeri, quali sono quelle servite annualmente sul Theresienwiese: ampia imboccatura che disperde gli aromi e causa un rilevante contatto con l’ossigeno, elevata quantità che implica una maggiore permanenza del liquido nel bicchiere, vetro spesso che falsa la percezione del colore (buona norma è servire birre chiare e delicate in bicchieri di cristallo o di vetro sottile). Il suo significato risiede nel clima di festa che la sua vista immediatamente crea e nella robustezza che gli permette di sopravvivere anche ai brindisi più vigorosi e ripetuti.

Il classico Weizenbecher, alto, slanciato e con un’apertura leggermente più ampia rispetto ai bicchieri da Pils è invece funzionale al suo scopo: fornisce infatti molto spazio verticale per gestire al meglio l’elevata carbonazione caratteristica di questa famiglia di stili e formare la classica e abbondante corona di schiuma. Alcuni bicchieri da Weizen sono anche serigrafati interamente in rilievo al fine di creare sempre nuova schiuma ad ogni sorso, proteggendo maggiormente la birra e dando un’immagine di duratura fragranza. L’apertura di media larghezza e la leggera svasatura sul fondo ben supportano gli esteri e i fenoli fermentativi che contraddistinguono le birre di frumento bavaresi mentre il punto di presa, solitamente abbastanza alto, genera un flusso di liquido piuttosto lento e porta a trattenere la birra per qualche secondo nella parte anteriore della bocca, valorizzando i sapori dolci dati dal grist e dagli esteri e permettendo alla sottile e fitta carbonazione di avvolgere la lingua e scaricarsi d’intensità prima della deglutizione.

Regno Unito e USA

Il mondo anglosassone ci richiama inevitabilmente alla pinta, sia alla classica inglese, leggermente svasata in alto, che a quella americana oggi di gran moda. Bicchieri molto meno alti e più larghi rispetto a quelli tedeschi e che quindi ben si sposano a birre meno carbonate e con una ridotta testa di schiuma, l’imboccatura è piuttosto ampia e non penalizza birre con un’aromaticità decisamente intensa, in cui convivono sentori maltati, luppolati e le classiche note di mela cotta e prugna dei più tradizionali lieviti britannici, bouquet che, se si pensa alle IPA più spinte nel dry hopping e alle ormai immancabili New England/Juicy IPA possono essere addirittura aggressivi. Un altro punto di forza della pinta inglese classica è la prensione che favorisce il consumo in piedi, tipico dei pub britannici ove si beve magari mentre si gioca a freccette o si assiste a una partita di calcio o rugby proiettata in TV.

42 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 CULTURA BIRRARIA
Il Krug, tipico dei Biergarten La pinta “imperiale” inglese

Bitter tradizionali o moderniste, American Pale Ale, Amber e Brown Ale, IPA di ogni genere nonché Irish Red Ale, Porter ordinarie e Dry Stout possono trovare nella full-pint un’ottima dimora, mentre per le versioni più alcoliche e robuste di questi ultimi due stili preferisco allontanarmi dal classico “vetro” anglo-americano e a breve ne spiegherò i motivi.

Per IPA, APA e birre contraddistinte da aromi e sapori dei luppoli americani e pacifici esiste peraltro da qualche anno un apposito bicchiere, elaborato originariamente da Spiegelau e poi ripreso dagli altri principali produttori, con un gambo cilindrico sormontato da una parte superiore ampia e svasata che va poi a restingersi nuovamente nella sommità: paragonato alla classica pinta permette in effetti di cogliere maggiori sfumature olfattive grazie alla parte allargata che permette l’esplosione degli aromi e alla successiva chiusura che li proietta in direzione delle narici.

Belgio

Lo sfaccettato universo birrario belga trova solitamente la sua celebrazione nei calici a tulipano o nelle coppe ampie di cui i bicchieri “griffati” di Westmalle, Westvleteren e Rochefort sono un ottimo esempio. Si tratta di bicchieri più sviluppati in larghezza che in altezza, in tal modo, se la spillatura, sia essa da fusto o bottiglia, è svolta accuratamente, la carbonazione non viene “rotta” e mantiene la sua vivacità e persistenza, che è un necessario contrappunto alla ricca aromaticità di questi nettari e, nel caso degli esemplari più alcolici, un fondamentale supporto alla bevibilità. Per le Saison, le Belgian Blond, le Wit/ Blanche, le Bruin e le rare Special Belge, note anche come Belgian Pale Ale, i cui aromi fenolici e speziati sono più delicati e, soprattutto, meno veicolati dall’alcol rispetto alle più inebrianti Dubbel, Tripel e Quadrupel, va privilegiato un calice a tulipano con imboccatura a chiudere, al fine di far aprire gli aromi nella parte panciuta del bicchiere e facilitarne poi

la concentrazione nei pressi del nostro naso; la chiusura più stretta minimizza inoltre l’ossidazione ed è il motivo per cui personalmente prediligo questo tipo di calice rispetto alla coppa larga anche per le Oud Bruin e, soprattutto, le Flemish Sour Red Ale di cui si possono così esaltare i profumi di frutti rossi a bacca accanto alle note ossidative già presenti per via dell’invecchiamento in botte. La coppa larga o i ballon da vino rosso, infatti, offrono un’ampia superficie di contatto tra liquido e ossigeno e, di conseguenza, valorizzano particolarmente le birre che guadagnano dall’acquisizione di note di Xeres, Porto e Madera catalizzata da una lunga permanenza

in questo tipo di bicchiere, che è magari susseguente ad un invecchiamento in bottiglia. Le cosiddette Quadrupel sono indubbiamente la tipologia che più si avvantaggia da queste circostanze, mentre le Tripel, a mio gusto, sono assai più danneggiate che esaltate dagli aromi ossidativi; quindi, per esse si può scegliere ancora una volta il calice a tulipano a chiudere o, se le si serve nella coppa, magari con il logo del birrificio, è consigliabile consumarle più rapidamente rispetto a una Quadrupel.

Contro la tradizione

Sembrerebbe quindi che non vada mai lasciata la via vecchia per la nuova... In-

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 43 giugno 2023 CULTURA BIRRARIA
Il bicchiere Spielgau per IPA

vece le eccezioni esistono eccome: per esempio nel mio lavoro da publican ho scelto di non servire Robust o Imperial Porter, Imperial Stout, Old Ale e Barley Wine (sia English che American) nella pinta perché trovo che la sua geometria, tanto nella versione britannica che in quella americana, penalizzi i sentori maltati, i secondari fermentativi e i terziari ossidativi che sono elementi importanti del bouquet di questi stili. A questi forti birre di tradizione anglosassone faccio infatti indossare una maschera belga e le servo nel calice a tulipano a chiudere (Robust e Imperial Porter nonché Imperial Stout) o nelle coppe (Old Ale, Barley Wine, edizioni vintage di Imperial Porter o Stout), per i Barley Wine e le Imperial Stout più invecchiate si può anche optare per un ballon o un ampio bicchiere da cognac.

Il calice a tulipano è consigliato anche per le Scotch Ale... non scozzesi, ovvero per le birre ambrate forti, maltate e spesso con uso di malto torbato che i birrifici craft di tutto il mondo ci hanno fatto conoscere con questo nome, le Scotch Ale tradizionali scozzesi, che sono dominate dai sentori maltati ma sono di grado alcolico molto basso e senza alcuna nota torbata possono essere benissimo servite nella classica pinta.

La stessa eccezione alla regola la applico anche per le birre ad alta gradazione di tradizione tedesca: se per le più delicate e fresche Heller Bock o Maibock si può usare il classico tumbler o il boccale usato per le lager ordinarie, Bock ambrate o scure, Doppelbock ed Eisbock guadagnano sicuramente in complessità e ricchezza olfattiva se ser-

vite in un calice a tulipano o addirittura, in caso di birre invecchiate o di Eisbock particolarmente etiliche (la mia amata Aventinus Eisbock ad esempio...), nel ballon o nel bicchiere da cognac.

Le fermentazioni spontanee sono tradizionalmente servite in piccoli bicchieri cilindrici zigrinati e di vetro molto spesso, ma per Gueuze, Kriek e Framboise, che grazie alla loro acidità e frizzantezza sono un eccellente aperitivo, trovo particolarmente accattivante e gradevole un servizio in flûte da champagne che ne valorizza colore e carbonazione: visto il costo da capogiro che hanno raggiunto queste tipologie, un tempo bevande popolari, il flûte è diventato anche indicato per ragioni di prestigio sociale (sic!).

E ora un bel brindisi, ma con il bicchiere giusto! ★

44 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 CULTURA BIRRARIA
Coppa tipica delle dubbel e tripel trappiste

SCOZIA, IRLANDA e le musiche tradizionali nei pub

In questo numero di Birra Nostra Magazine Francesco Donato ci porta a conoscere i migliori locali birrari romani, mentre Massimo Faraggi quelli di Genova. Se, forse, la birra non è prettamente nella tradizione popolare italiana, lo stesso non si può certo dire quando varchiamo la Manica e ci inoltriamo

nelle due principali isole britanniche. In quelle terre, bere birra non è solo una prassi ma quasi una religione e l’atmosfera che si respira nei pub invita a socializzare ed è a dir poco contagiosa. Musicalmente parlando possiamo affermare che, dalla notte dei tempi, le ballate, i reel e le gighe si sono formate

e diffuse di pub in pub, quasi fossero dei veri e propri tabloid sui quali era possibile cantare in coro e danzare, anche se i testi trattavano spesso notizie a dir poco drammatiche. Non si contano quante possano essere state le formazioni musicali che hanno portato avanti questa tradizione, tipicamente britan-

BIRRA E MUSICA 46 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 di Antonio Boschi

nica, del fare musica nelle storiche birrerie, dalla più grande alla più piccola e sperduta tra lontani fiordi, ma tutte sempre fornite di birra di qualità. In Italia non c’è mai stato un grosso fermento per la musica tradizionale angloscoto-irlandese che, tra l’altro, è quella che ha fortemente influenzato i suoni “antichi” della giovane America bianca. Una delle cose più belle che accadevano nelle fumose ed alcoliche serate britanniche era il fatto che le persone si riunivano a suonare assieme senza preconcetti, solo con il fuoco sacro verso la musica che sapeva abbattere barriere e dogane, perché è questo che la musica sa e deve fare: unire le persone in pace.

Consigli per gli ascolti

In questa rubrica abbiamo deciso di farvi scoprire nuova musica sorseggiando birre di qualità e in questo articolo voglio concentrarmi su due album che indubbiamente meritano un approfondito ascolto, entrambi legati alle tradizioni e che vedono al loro interno artisti con una capacità di trasmettere suoni ed emozioni con grande classe e sentimento.

Per iniziare, ecco un meraviglioso esempio alla base della storia di una delle formazioni che personalmente ritengo più interessanti del panorama tradizionale britannico: mi riferisco ai Boys Of The Lough, quartetto che all’inizio degli anni ’70 ha avuto la capacità di proporci suoni per la maggior parte di noi totalmente sconosciuti.

Poteva non partire tutto da un tipico pub di Edimburgo? Ebbene, è così che ebbe inizio l’avventura dei Boys Of The Lough, storica formazione di musica popolare scoto-irlandese che iniziò la propria carriera presso il Forrest Hill Bar della capitale scozzese. Al Sandy Bell’s (così veniva soprannominato il locale) erano abituali frequentatori, tra i tanti musicisti, il violinista delle isole Shetland Aly Bain e il chitarrista e cantante Dick Gaughan che, tra una pinta di birra e l’altra e un’altra e un’altra

ancora, solevano dilettare il pubblico con reels e gighe varie.

Al Falkirk Folk Festival i due, divenuti amici, incontrano il flautista irlandese Cathal McConnell, celebre figura a Fermanagh County, nell’Irlanda del Nord che si esibiva con Tommy Gunn e Robin Morton. Proprio quest’ultimo, cantante e suonatore di bodhran, decise di seguire il flautista ed unirsi ai due amici scozzesi formando, così, la prima formazione ufficiale dei Boys Of The Lough che, a differenza della maggior parte delle band di musica tradizionale britannica, rappresentava una sorta di entità multietnica.

Il quartetto arrivò ad incidere il primo omonimo album, che uscirà per l’etichetta Trailer (successivamente ristampato dalla Shanachie), registrando le 12 tracce presso i Cecil Sharp House di Londra nel luglio del 1972 sotto la produzione di Bill Leader, nome che in quegli anni veniva associato ad importanti figure del british

folk come Davey Graham, Bert Jansch e John Renbourn.

Questo è l’unico album che vede la presenza di Gaughan che opterà per una successiva carriera solista di tutto rispetto, con alcuni album di grande spessore, come “Gaughan” del 1978 e “Handful Of Earth” del 1981, luminoso esempio per tutto il folk scozzese. Ma i Boys Of The Lough sono una band di elevate qualità tecniche e l’idea di unire sonorità irlandesi, scozzesi e delle isole Shetland risultò essere particolarmente astuta ed intrigante.

The Boys Of The Lough

Questo loro album di debutto si apre con il reels “The Boys Of The Lough: Slanty Gart” che è, come si può intuire, quello che ha dato il nome al gruppo.

Il brano, strumentale, era nei repertori sia di McConnell sia di Bain ed è interessante come i loro differenti modi di interpretarlo si fondano così bene. Questa è una di quelle canzoni - con ori-

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 47 giugno 2023 BIRRA E MUSICA
Il Sandy Bell’s di Edimburgo (foto di Richard Webb)

gine probabilmente alle Shetland - che ha varcato l’oceano diventando uno dei brani favoriti dai fiddler statunitensi e canadesi, conosciuto anche col nome irlandese “Lord McDonald’s Reel”. McConnell e Morton interpretano vocalmente “In Praise Of John Magee” che ci racconta della pratica, abbastanza comune nei ceti più poveri, della vendita delle mogli ai propri amanti.

Il violino di Bain ci introduce nel trittico “Wedding March From Unst; The Bride’s A Bonny Thing; Sleep Soond

I’ Da Moarnin’”, tipiche marce nuziali delle isole Shetland che avevano delle forti attinenze con ballate delle vicine Norvegia e penisola scandinava. Queste marce servivano al violinista per accompagnare gli invitati dalla chiesa alla casa per la festa e per dare il ben-

venuto alla sposa stessa nella stanza principale. È ancora usanza nell’isola utilizzare questi reels nei matrimoni. Tocca a Gaughan regalarci una toccante versione di “Farewell To Whisky”, imparata da Christine Hendry, brano storico come risulta dagli scritti del 1901 di Robert Ford. Bodhran e flauto ci introducono in “Old Joe’s Jig; Last Night’s Joy; The Grammy In The Corner” che Cathal ha conosciuto grazie a Matt Molloy e Liam o’Flynn e rappresenta la tipica giga del Donegal che ci accompagna nella bellissima e struggente “The Old Oak Tree” cantata da Morton. Una ballata popolare su un omicidio che riunisce due melodie di due differenti zone dell’Irlanda (Belfast e Galway) e che ha varcato l’oceano arrivando anche negli USA, come riscontrabile dalla versione

che incise Sara Cleveland, folksinger newyorkese.

Questo brano chiude la prima facciata lasciando un alone di malinconia che non viene certamente stemperata dal lamento di “Caoineadh Eoghain Rua; The Nine Points Of Roguery” che apre il lato B di questo album. Il brano, un trittico che si ripete, potrebbe essere dedicato a Owen Roe O’Neill, nipote del grande O’Neill e comandante dell’esercito irlandese nella metà del XVII Secolo oppure al poeta gaelico Owen Roe O’Sullivan del secolo seguente.

Ancora uno strumentale, come la precedente, per “Docherty’s Reel, Flowing Tide” che ci accompagna alla meravigliosa voce di Dick Gaughan che interpreta “Andrew Lammie”, una ballata molto comune e facilmente trovabile con differenti titoli. È la volta di “Sheebeg And Sheemore; The Boy In The Gap; McMahon’s Reel” brano che pare provenga dal repertorio dell’arpista cieco irlandese Carolan e che possiamo trovare in una bellissima interpretazione sul disco di David Bromberg “My Own House”.

Tocca ancora a Robin Morton interpretare la bella “Jackson And Jane”, la storia del cavallo da corsa Jane che Jackson avrebbe comprato da un peschereccio di Dundalk. Chiude l’album un altro trittico: “The Shaalds Of Foulla; Garster’s Dream; The Brig” a volte erroneamente chiamato “Foulla Reel”. Si tratta di un jig time che narra dei bassi fondali all’estremità Nord dell’isola Foulla nelle Shetland e che causò l’affondamento della nave Oceanic. Questa melodia si porta via un disco particolarmente interessante per una band dalla carriera più che longeva anche se, a tutt’oggi, l’unico dei membri fondatori rimasto è Cathal McConnell.

Van Morrison & The Chieftains

Restando, invece, interamente in territorio irlandese ecco un’altra accoppiata

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Copertina del disco “The Boys Of The Lough”, del gruppo omonimo (1973)

d’eccezione che da una parte vede una delle principali formazioni di traditional music, i Chieftains, e dall’altra una vera e propria icona del rock, Van Morrison Unendo le forze e superando quel confine interno che ha causato sangue e dolore ecco un vero e proprio omaggio alle sonorità irlandesi, di quelli che non possono passare inosservati. È come prendere due piccioni come una fava. Ecco cosa accade quando sul nostro giradischi mettiamo il bellissimo “Irish Heartbeat”, album del 1988 a nome Van Morrison & The Chieftains. Se dello scontroso irlandese conosciamo tutti le immense doti come cantante e compositore, la band di Dublino la possiamo considerare una delle principali interpreti folk dell’isola di smeraldo. Personalmente ritengo un tantino superiori a loro i Boys Of The Lough, se visti in una chiave di testimoni della pura tradizione, ma è innegabile che il ruolo della formazione capitanata dall’istrionico Paddy Moloney (1938-2021) abbia dalla sua la capacità e l’intelligenza di portare oltre confine un suono che, nel passato, fu capace di contaminare molta della musica popolare statunitense oltre che quella britannica.

Irish Heartbeat

Sul finire degli anni ’80 nacque, pare negli studi della BBC inglese, questo progetto che può essere visto da parte di Morrison come un vero e proprio richiamo alle proprie origini dopo il perdurare dei soggiorni in terra straniera della rock star nordirlandese. Fu proprio a Belfast, grazie soprattutto al padre collezionista di album di jazz e blues, che il giovane George Ivan “Van” Morrison si avvicinò alla musica nera formando prima i Them per poi passare alla fortunata carriera solista, ma le sonorità tradizionali erano, comunque, parte del suo background culturale che emergono, magari nascoste, anche tra le pieghe più nere delle sue celebri composizioni. Si dice che sia impossibile dimenticare l’Irlanda e

con questo album possiamo affermare che si tratti di una grande verità:

“Irish Heartbeat” è stato capace di influenzare giovani musicisti di diverse estrazioni musicali avvicinandoli alla musica tradizionale e roots . Un disco che ti entra dentro pian piano, capace di regalare piccoli gioielli incastonati tra le ballads , i reels e le gighe che hanno reso celebre la musica di questa piccola, meravigliosa isola. L’iniziale “Star Of The Country Down” è un tradizionale dove la voce di Van “The Man” viene raddoppiata da quella di Kevin Conneff mentre tiene il tempo col suo Bodhrán , il tradizionale tamburo utilizzato nella musica irlandese. Il secondo brano, che da il titolo all’album, viene dal repertorio di Morrison, già apparso su “Inarticulate Speech

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 49 giugno 2023 BIRRA E MUSICA
Paddy Moloney, cofondatore dei The Chieftains Copertina di “Irish Heartbeat” - Van Morrison & The Chieftains (1988)

Of The Heart” del 1983 e che in questa versione vede alla seconda voce June Boyce. Splendida “Tá Mo Chleamhnas Déanta”, danza gaelica col testo che si divide tra l’antica lingua irlandese (Conneff) e l’inglese (Morrison) ai quali si aggiunge la folk singer Mary Black ad impreziosire il canto, mentre Derek Bell (1935-2002) e soci ricamano una sognante melodia. “Raglan Road” – altro traditional – è uno dei massimi punti di questo disco, con Morrison che regala vere e proprie lezioni di canto.

La band gira che è una meraviglia coi violini di Seán Keane e di Martin Fay che guidano il flauto di Matt Molloy, la Uileann Pipes di Moloney e l’arpa di Bell. “She Moved Through The Fair” che chiude il lato A è un altro piccolo gioiello, tanto che la band

lo riproporrà nel loro “The Long Black Veil” aiutati, in quell’occasione, da Sineád O’Connor (altro disco consigliatissimo). Girato il vinile la puntina va immediatamente a cercare le prime note dell’allegra “I’ll Tell Me Ma” che più irlandese di così non si può. L’arpa di Bell ci introduce nella struggente “Carrickfergus” e anche qui Van si supera e, ancora dal suo repertorio – questa volta dall’album “Beautiful Vision” (1982) – ecco “Celtic Ray”, che oserei definire meglio dell’originale. Inesorabile la puntina cerca di raggiungere il centro ma ci permette di ascoltare ancora i due traditional rimanenti, cioè “My Lagan Love” in tutta la sua magnifica tristezza resa magica dal suono dei Chieftains, perfetti per permettere a Morrison di regalarci una maestosa interpretazione.

Con la conclusiva “Marie’s Wedding” andiamo a nozze e l’allegra ballata coinvolge un po’ tutti invitandoci a cantare assieme alle brave Black, Boyce e Maura O’Connell. Il disco, registrato presso i Windmill Lane Studios di Dublino sotto la produzione di Moloney e Morrison tra il settembre del 1987 e i primi giorni dell’anno seguente, è stato messo in commercio per l’etichetta Mercury (834496-1) e rimane, nonostante gli anni, una gran bella testimonianza di questa felice unione tra due fondamentali rappresentanti delle due Irlande.

Eccoci, quindi, giunti alla fine di questa seconda pinta di birra, con in bocca l’ambrato sapore delle birre tradizionali che piacciono a noi, io vi attendo al prossimo pub con nuove proposte per una serata tra amici. ★

50 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 BIRRA E MUSICA
Uno scorcio della città di Belfast

Tra luoghi, birre e fantasia QUARTA TAPPA: ROMA

Nelle puntate precedenti:

Metà giugno. Fabio e Roberto sono amici d’infanzia. Durante un corso di degustazione di birre che Fabio tiene a Milano al quale partecipa Roberto, conosce Elisa, la ragazza di quest’ultimo. Elisa, insieme all’amica Claudia, è intenzionata ad aprire un locale a forte connotazione birraria. Il padre di Elisa avrebbe altri piani per lei, affidarle l’attività di famiglia, ma la ragazza preferisce cambiare vita e alimentare la sua passione per la birra artigianale. Un cambio ra-

dicale che travolge anche il rapporto con Roberto. Le due ragazze intraprendono un lungo viaggio alla scoperta dei luoghi birrari partendo dalla Puglia, seguite a distanza da Roberto e Fabio, che decide di far da guida all’amico. Ad accompagnare telefonicamente l’avventura di Roberto, c’è Simona, figura che a distanza darà delle dritte sugli spostamenti dei due. Dopo Taranto, Lecce e Napoli l’azione si sposta sulla ricca scena birraria romana.

Il primo boccale di Mönchsambacher Export mi si presenta davanti baldanzosa e prorompente nei suoi cinquanta centilitri. Finalmente seduti al bancone di quello che probabilmente è considerato il più iconico pub d’Italia in merito alla birra artigianale, quello che sicuramente come recita lo slogan sul suo sito “dal 2001 rivoluzionerà il panorama delle birre artigianali in Italia”. Siamo al “Ma Che Siete Venuti a Fà?” e gli ultimi giorni di giugno si affacciano dal caratteristico ingresso portandoci dentro i colori, gli odori e il vociare che Trastevere regala in questo affascinante periodo dell’anno. Sono le quattro

TURISMO BIRRARIO 52 BIRRA NOSTRA MAGAZINE di Francesco Donato

del pomeriggio, il caldo scuote la sete. La mattinata è trascorsa tra il viaggio da Napoli e una puntata velocissima al Cerevisia Vetus di Ceccano, provincia di Frosinone, e dai ragazzi di East Side Brewing e Birrificio Pontino a Latina. Il primo è un brewpub (ma anche birrificio) nato nel 2013 per mano dei suoi fondatori, i fratelli Marco e Paolo Stirpe, Trentino Domenico Iorfida e Diego Fiacco. Il secondo è un vero e proprio birrificio in quel di Latina. Nato nel 2013, East Side prende vita grazie alla passione di Luciano e Alessio, ai quali si aggiungeranno in breve tempo Tommaso, Fabio e Cristiano. Da loro assaggiamo per rifocillarci la Sunny Side, probabilmente la loro birra più iconica, una American IPA che non mostra timidezza nel presentarsi al nostro palato assetato.

Sempre a Latina, facciamo in tempo a fare una puntatina al Birrificio Pontino, situato in Via Monti Lepini. Qui ci accolgono Egidio e Matteo che, insieme a Stefano e Gianni fondano il birrificio nel 2010. Alla loro tap room, apertaci per l’occasione, abbiamo modo di scambiare quattro chiacchiere con Egidio e di assaggiare la loro storica American Pale Ale, la Runner Ale, e la Purple Ale, una robusta double IPA che colpisce Roberto per l’etichetta raffigurante il suo idolo Jimi Hendrix.

Birra e parole

Al Macchè, come viene chiamato confidenzialmente il Ma Che Siete Venuti a Fa?, la situazione è piuttosto rilassata, vuoi perché l’orario rende il locale particolarmente vivibile, lontano dalla mole di appassionati che si riversano a sera lungo il bancone, vuoi perché non notiamo la presenza di Claudia ed Elisa. Mentre ordiniamo due Seta Special, la blanche del Birrificio Rurale prodotta con scorza di bergamotto in sostituzione della tradizionale scorza d’arancia, vediamo entrare Manuele Colonna, lo storico publican del locale. Manuele, in realtà non è solo il fondatore del Macchè, ma è quello che probabilmente viene considerato il publican più rappresentativo del movimento birrario nazionale. Senza dubbio quello con la visione più pionieristica. Tra un sorso e l’altro iniziamo a scambiare qualche parola. Mi colpisce la sua pacatezza e la sua capacità di infondere la sua passione senza quasi nemmeno parlare di birra. Lo stesso Roberto, già mio allievo al corso di degustazione al quale partecipò con Elisa, di norma poco interessato alle parole ma molto di più dal bere, si introduce nella conversazione con grande spirito partecipativo. Stiamo talmente bene che di chiedere ad Manuele se le due ragazze fossero passate da lì, non ci passa nemmeno per la testa. Almeno per quanto mi riguarda. Beviamo l’ultima birra, la Mango Split, Imperial IPA del birrificio Ritual Lab di Formello e ci spostiamo per mettere qualcosa nello stomaco proprio nel locale di fronte, quello che fino a qualche anno fa era il Bir&Fud, uno dei primi riferimenti per la scena romana del connubio cibo e birra artigianale di qualità, oggi sostituito dal locale Elementare.

Pork n’ Roll

L’aria si adagia sul fresco calare della sera, l’estate capitolina bussa alle porte e io e Roberto vaghiamo in una Piazza San Pietro sempre vivace e affollata di turisti. “Ma non sarebbe il caso di farmi

sapere dove hai intenzione di passare la serata?” mi chiede Roberto, visibilmente già provato dal non avere più notizie di Simona. Dopo l’episodio di Napoli, nel quale un energumeno si contrappose tra lui e Simona, Roberto aveva quasi allentato la consueta ansia e smania di ricerca che aveva accompagnato il nostro viaggio finora. Tant’è che anche tutte le supposizioni del caso, su quanto accaduto e su chi potesse mai essere quell’uomo, o da chi fosse guidato, erano scemate velocemente lungo il viaggio di ritorno. “Ho già un itinerario che rispetteremo, stai tranquillo”. Rispondo e aggiungo ironicamente “Se poi preferisci visitare per l’ennesima volta Colosseo, Pantheon e compagnia bella mangiamo e beviamo al fast food”. Prendiamo un taxi e ci immergiamo letteralmente nel traffico della Capitale. Il tempo sembra infinito ma ci ritroviamo a breve in zona Tiburtina, dove finalmente ci facciamo lasciare. La piccola folla all’esterno del locale ci anima nello spirito, siamo al Pork’n’Roll. Il

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locale è costituito da un lungo bancone sovrastato dallo spillatore e circondato da sgabelloni in legno e da tavoli sempre in legno con sedie in paglia. Ci fiondiamo subito sul menù food, dominato dalla carne di maiale come il nome del locale ovviamente suggerisce. Anche qui delle due ragazze nes-

suna traccia. Ordiniamo un tagliere di salumi e due Follower, la West Coast IPA di Vento Forte, altro birrificio appartenente alla rigogliosa scena birraria romana. Chiacchierando con il publican Valentino Roccia, scopriamo che il locale, ma anche la bottega adiacente, sono le attività di famiglia dei

fratelli Roccia (Valentino, Gerardo e Antonio). Qui loro utilizzano le carni provenienti dai maiali allevati nell’azienda di famiglia, in provincia di Foggia. Valentino ci mette a nostro agio e ci consiglia di assaggiare inoltre le costolette grigliate laccate al whisky torbato e i medaglioni al pulled pork. Cerco di dare sempre un’occhiata al cellulare per vedere se arriva una chiamata da parte di Simona, ma tutto tace. Inizio a preoccuparmi su come procedere nei nostri spostamenti e Roberto pare notare il mio nervosismo. “Mi sa che la tua amica sta impegnata e non ti cerca oggi”, esordisce sorseggiando la seconda birra che ci viene servita, la Cal, double IPA sempre del birrificio Vento Forte.

A stomaco pieno siamo in attesa del taxi appena chiamato. Roberto fuma una sigaretta e smanetta sui social, io fisso lo schermo del cellulare per qualche secondo. Guardo l’orario, sono le ventuno e quaranta. Chiamare Simona? Preoccuparsi? Decido di continuare a goderci la serata come da programma. “Ma tu sei sicuro che oggi Elisa e Claudia stanno a Roma?” Roberto sembra aver capito qualcosa e continua. “Insomma, Fabio, che tu abbia un informatore mi sembra abbastanza chiaro. E questa cosa mi sta anche bene. Che sia la stessa Elisa a dirti dove si sposta? Non lo voglio sapere. Ma mi sa che a ‘sto giro qualcosa è andato storto”. Cerco di tranquillizzarlo ma inizia ad innervosirsi manifestando molti dubbi sulle mie motivazioni. Lo trattengo a stento dal voler andar via da solo, arriva il taxi.

Finale con giallo

La chiusura della nostra prima serata romana è programmata al Luppolo Station. Ritorniamo quindi in zona Trastevere, in modo da non dover riprendere il taxi per andare a dormire al nostro bed & breakfast. Roberto è ancora nervoso, per tutto il tragitto è rimasto in silenzio fissando la città dal finestrino.

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Il bancone del Pork n’Roll

Il locale è in pieno fermento al momento del nostro ingresso, sono le ventidue passate da qualche minuto. Gli ambienti sono caldi e accoglienti, pareti in pietra e numerosi richiami ferroviari ad esaltare il nome del locale. Mentre ci avviciniamo al banco riconosco Diego Vitucci, publican del locale con il quale inizio una piacevole chiacchierata. Mi spiega che, nel 2012, lui e Gabriele Lizio Bruno aprirono Luppolo 12 nel quartiere San Lorenzo. Roberto intanto mi fa cenno di andare a comprare le sigarette al distributore e si allontana. Diego continua dicendomi che nel 2015 l’idea di un nuovo locale si concretizza appunto nel Luppolo Station, locale votato oltre che alla birra di qualità, anche al cibo. Mi invita al banco e ci facciamo insieme

due Jungle Fever, Black IPA di un altro birrificio romano, Jungle Juice. Riesco a dare un paio di sorsi, prima che Roberto rientri al locale facendosi velocemente largo tra la piccola folla all’ingresso. Il suo viso appare molto preoccupato. Mi guarda e si avvicina. Lo seguo con lo sguardo mentre Diego, che dà le spalle all’ingresso, non si accorge di nulla e continua a parlarmi. “Scusatemi. Fabio dovresti uscire un attimo fuori a vedere una cosa”. Diego chiede se è tutto a posto. Lo tranquillizzo, mi scuso e gli dico che a breve saremmo rientrati, di aspettarci giusto qualche minuto. “Cosa è successo Roberto? Hai visto Elisa e Claudia?” “Vieni al distributore” mi risponde. “La faccia è proprio la sua o mi sbaglio?” Roberto

non si sbaglia. “Omicidio in Zona Eur”, recita la locandina di un quotidiano locale attaccata al lato del distributore dell’edicola tabacchi. L’uomo che la sera prima bloccò Roberto davanti ad Elisa, sembrava quasi guardarci dritti negli occhi dalla foto nella locandina. ★

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PUB CRAWL A GENOVA

Forse non sono molti quelli che indicherebbero Genova ai primi posti fra le mete birrarie nazionali o europee. In realtà la presenza di un pub, ormai riconosciuto di assoluto rilievo a livello nazionale, ha acceso i riflettori anche su questa città, proverbialmente restia a mettersi in luce e svelare al primo venuto le sue bellezze nascoste. A Genova possiamo trovare nel Centro Storico almeno sei locali dediti alla birra artigianale – tutti interessanti, alcuni eccellenti – entro un raggio di 500 metri dalla Cattedrale! Chi soggiornasse in pieno centro storico potrebbe raggiungere ciascuno di essi in meno di 10 minuti.

Un tempo la scena birraria genovese pendeva decisamente a levante, grazie al “triangolo d’oro” costituito da Irish Pub, O’ Connor e Pub del Duca. Il primo, un vero pioniere della birra di

qualità (soprattutto belga) a Genova e non solo; gli altri due, ottimi nell’abbinare una scelta birraria di tutto rispetto ad una validissima proposta culinaria.

L’Irish ha chiuso da tempo i battenti (dopo l’addio della proprietaria Minou Risso e un breve periodo con una successiva gestione), l’O’ Connor dopo l’abbandono di Maurizio Viganego ha avuto momenti di difficoltà nonostante l’impegno di Roberto Parodi, e il Duca si è maggiormente orientato sull’offerta gastronomica. Anche se a est troviamo un ottimo pub come l’Old Troll, nato grazie all’iniziativa di Shari, ex-O’ Connor, il baricentro birrario si è spostato decisamente al centro.

Vista la vicinanza dei sei locali selezionati per questo articolo, non è impossibile visitarli tutti nello stesso giorno, anche se l’impresa è resa più difficile dal fatto che la maggior parte dei locali apre a

partire dalle 18 e tenendo conto che ciascuno meriti una sosta non frettolosa. Il giro proposto propone comunque la visita di tutti e sei i pub, ma naturalmente lo scopo di questo articolo è soprattutto quello di illustrare ciascuno di essi;

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Mappa del percorso

quindi, l’itinerario può essere facilmente modificato come ordine delle tappe oppure dividendo il giro in due serate. Da notare che nel corso di un evento birrario organizzato ogni anno a fine maggio, la Birralonga, vengono visitati ben 12 pub, tra i quali i sei qui proposti, ma questo è reso possibile dall’apertura straordinaria degli stessi durante un orario più esteso.

Pub crawl

Durante questa attività, in genere le mete sono più importanti del percorso per raggiungerle. Ciò non toglie che in certi casi anche il tragitto fra un locale e l’altro, oltre a permettere un doveroso break tra una bevuta e l’altra, può contribuire alla piacevolezza del giro: una passeggiata tra i parchi londinesi o i canali di Amsterdam può impreziosire il giro birrario. Questo è particolarmente vero per il pub crawl genovese: il centro storico, anche se non è fra i più conosciuti, è uno dei più estesi e interessanti d’Europa. È impossibile, infatti, elencare tutti gli edifici e monumenti storici che incontrerete. Faccio notare che il tragitto proposto da locale a locale spesso non è l’unico né il più breve, ma è stato scelto in certi casi per semplicità: facile per chi non è del posto e a volte anche per chi lo è, perdere l’orientamento nell’intrico dei caruggi del centro storico! Non ho riportato l’orario e i giorni di chiusura dei locali perché possono essere mutevoli e stagionali: conviene verificarli al momento. Al momento in cui scrivo, dal mercoledì al sabato tutti i locali sono aperti rendendo possibile l’eventuale crawl integrale.

Partenza: Zona Piazza Caricamento –Acquario. Per chi è in auto sono presenti posteggi a pagamento. Per chi usa il trasporto pubblico, la zona è capolinea di diverse linee di autobus, ed è presente una delle (rare) stazioni della Metropolitana, utilizzabile per il ritorno a tarda sera entro mezzanotte.

Attraversiamo parte del Porto Antico, l’area rinnovata nel corso delle celebrazioni del 1992, dirigendoci verso Via del Molo,

l’antica via che conduce a Porta Siberia, il cui nome non si rifà alle fredde terre della Russia nordorientale ma deriva da Porta Cibaria, un tempo magazzino di derrate alimentari.

Toulì Craft Beer

Via del Molo, 17r, 16128 Genova GE Ultima, benvenuta new entry nel panorama genovese della birra artigianale, il Toulì nasce dalla passione di Andrea Marchini: già publican di un altro locale, homebrewer e appassionato e competente di BBQ. L’inizio non è stato dei più fortunati: l’inaugurazione del locale ha infatti coinciso con l’insorgere della pandemia e i relativi lockdown. Il fatto che il Toulì sia non solo sopravvissuto ma non stia deludendo le attese del fondatore è un chiaro indice della validità della proposta di questo locale. Scesi alcuni gradini, ci si ritrova nel suggestivo “fondo” con mattoni a vista e colonne, un ambiente caratteristico e accogliente, fra i più suggestivi che si possano trovare negli antichi locali genovesi. L’offerta birraria comprende 8 spine ben assortite, con la giusta quota di IPA e affini ma

senza trascurare altri stili. I birrifici proposti sono prevalentemente italiani con frequenti excursus europei e non è raro trovare nuovi birrifici locali, anche di piccole dimensioni. Il menù è stringato ma valido, in particolare per i piatti da BBQ (ribs e pulled pork) dove si fa luce la competenza di Andrea. Anche se in questo giro lo proponiamo come primo aperitivo, il Toulì è quindi una valida alternativa anche per una cena. L’orario di apertura alle 17, almeno nel momento in cui scrivo, ne fa un buon punto di partenza per un crawl integrale.

Torniamo sui nostri passi lungo Via del Molo, attraversiamo Piazza Cavour, la percorriamo per pochi metri fino a imboccare un poco invitante Vico dei Mattoni Rossi che dopo 30 metri ci porta in Via San Bernardo, il vicolo dove troveremo la prossima sosta. L’intero tratto richie -

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de solo 5 minuti, e se ci manca il tempo per visitare l’antico complesso di Santa Maria di Castello, possiamo ben fare una piccola e rapida deviazione per ammirare la piccola chiesetta medievale dei SS Cosma e Damiano (50 metri sulla destra prima di imboccare Via San Bernardo). Tornati sui nostri passi, pochi metri prima di giungere al Kamun Lab, sulla sinistra troviamo la Drogheria Torielli, uno dei più antichi e tipici negozi genovesi: vale la pena di dare un’occhiata prima di concederci il secondo aperitivo birrario…

Kamun Lab

Via di S. Bernardo, 53r, 16123 Genova GE Il Kamun è un microbirrificio situato “oltregiogo”, cioè in quel basso Piemonte che ha forti legami al territorio ligure. Possiamo considerarlo genovese di adozione, vista la presenza di ben due locali a Genova, e considerate le origini genovesi di Giampaolo “Gippo” Camurri, titolare e birraio del birrificio, orgoglioso di aver trovato nei caruggi del centro storico il locale adatto a offrire le sue birre. Il posto è davvero tipico e raccolto - simile un po’ al Toulì nell’evidenziare la sua originale antica struttura - e come ambiente risulta fra i locali più accoglienti nei quali trascorrere una serata. Alle spine (12-14) troviamo tutte le creazioni di Kamun, birrificio capace di spaziare su una vasta gamma di stili: birre tradizionali e beverine come Pils e Kolsh, diverse specialità speziate o con frutta, birre luppolate con un tocco di originalità, birre acide e barricate, e scure come le premiatissime Nucis e Nocturna. Inoltre, sidro, perry e, per finire, i distillati prodotti sulla base di alcune delle birre! Il locale non ha invece solitamente un’offerta culinaria di rilievo: in certi periodi, e in alcuni giorni della settimana, sono stati anche proposti alcuni piatti ben riusciti ma l’offerta non è stata proposta con continuità.

Torniamo indietro di pochi passi, imbocchiamo Via Chiabrera e in due minuti siamo già arrivati al prossimo locale: Ai Troeggi. Altri due minuti in linea retta e

potremmo arrivare a Scurreria! In effetti i tre locali (Kamun, Troeggi e Scurreria) sono così vicini da rappresentare un classico “trittico”. Per il momento ci fermiamo ai Troeggi, rimandando la visita a Scurreria all’itinerario di ritorno…

Ai Troeggi

Via Chiabrera, 61r, 16123 Genova GE Un merito indiscusso dei Troeggi è quello di essere stato il primo locale in centro a Genova a dedicarsi senza esitazione alla birra artigianale di qualità, prima di tutti gli altri pub descritti in questo articolo. Il suo successo ha fatto da sprone a tutti quelli che sono seguiti, e già questo basterebbe a farne una meta imprescindibile del turismo birrario genovese. I meriti naturalmente non finiscono qui: il locale è piccolo, accogliente e come il Toulì ha lasciato quasi inalterata l’antica ambientazione originale. L’offerta birraria, inizialmente orientata su un gran numero di bottiglie e spine più limitate, col tempo si è allineata al trend di buona parte dei locali dediti alla birra artigianale:

poche bottiglie ma molto selezionate, offerta alla spina ampliata nei limiti di una adeguata rotazione di fusti e dedicata interamente a birrifici italiani più validi, sempre con un occhio a quelli emergenti e alle proposte che possono soddisfare il birrofilo più navigato. La proposta gastronomica non prevede un vero e proprio menù completo e verte soprattutto sulle bruschette: vera e propria specialità del locale, ottime per varietà e qualità. Attenzione, il successo dei Troeggi fa sì che il locale sia sempre affollato, lo spazio al banco è molto limitato ed è quindi sempre consigliabile prenotare.

Usciti dal locale, dirigetevi sulla destra e svoltate subito ancora a destra per Via di Canneto il Lungo e Via di Porta Soprana (Deviazione: se è ancora presto, fate attenzione al piccolo cartello che invita a imboccare un vicoletto sulla destra per raggiungere Viganotti, laboratorio di cioccolatai antico e tradizionale e di altissima qualità). Proseguite fino a Porta Soprana, uno dei monumenti più iconici della città. Prima di svoltare a

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Kamun Lab Interno del locale Ai Troeggi

destra per proseguire l’itinerario, possiamo attraversare la Porta per ammirare il Chiostro e le torri di S. Andrea e la ricostruzione della Casa di Colombo, poi riattraversiamo la Porta imboccando a sinistra Via Ravecca. Un piccolo cartello sulla sinistra ci indicherà la svolta per raggiungere in pochi metri La Coccagna.

La Coccagna

Vico di Coccagna, 21/r, 16128 Genova GE Maltus Faber è senza dubbio il fiore all’occhiello della produzione birraria genovese ed è di assoluto livello nazionale. Un birrificio che è poco sotto i riflettori su social, concorsi e via dicendo, ma stimatissimo dagli appassionati che lo conoscono. La visita al birrificio (con relativi assaggi e acquisti e soprattutto la calorosa accoglienza di Massimo Versaci e Fausto Marenco) è sempre stata un must del turismo birrario genovese, e l’apertura di un proprio locale nel centro genovese è stata quindi una graditissima novità. Le 12 spine e due pompe della Coccagna riescono a offrire la gran parte della vasta gam-

ma del birrificio, completata dalle birre disponibili in bottiglia. La vicinanza del produttore, il suo standard qualitativo e una buona rotazione dei fusti garantiscono la qualità delle birre, e anche sulla varietà non ci si può lamentare: in ogni stagione possiamo scegliere fra le specialità più leggere e dissetanti, come la classica Blonde, o la Coccagna prodotta in esclusiva per il locale, alle scure forti Brune, Extra Brune o Imperial… con tutto quello che c’è in mezzo! Il birrificio si dedica esclusivamente alle alte fermentazioni, senza aggiunte di spezie, frutta o ingredienti extra. Ma l’attrattiva della Coccagna non si limita alla birra: la proposta gastronomica è fra le più valide, e non per nulla suggeriamo di fermarsi qui per la cena o per lo meno per qualche assaggio più sostanzioso. Oltre a tipiche panisse, cuculli e acciughe e ottimi panini e taglieri viene proposto un menù con primi e secondi di ottima fattura.

Il locale è nuovo, meno tipico rispetto a Toulì, Kamun e Troeggi ma di ambientazione molto accogliente; nella bella stagione, ma anche in autunno o prima-

vera, un jolly apprezzatissimo è il dehors nella tranquilla piazzetta omonima prospiciente il locale.

Torniamo sui nostri passi verso Porta Soprana per scendere sulla sinistra per Via San Lorenzo, svoltando sulla destra all’altezza della facciata dell’omonima Cattedrale, proseguendo per breve tratto lungo via di Scurreria. La Cattedrale di San Lorenzo meriterebbe una visita approfondita: se per l’ora tarda fosse chiusa, potete ammirarla dall’esterno. Osservando le sculture della facciata, se siete bravi potete notare la piccola scultura di un cagnetto: secondo la leggenda, uno degli scultori impegnati nella decorazione della facciata avrebbe smarrito il proprio cane durante la costruzione della Chiesa e lo avrebbe scolpito in sua memoria.

Scurreria Beer & Bagel

Via di Scurreria, 22r, 16123 Genova GE Fra i locali birrari da visitare a Genova, Scurreria è quello che ha meno bisogno di presentazioni: fra i top in Europa, ha vinto il premio di Slowfood come miglior pub italiano (dopo analogo rico-

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Il dehors de La Coccagna nella piazzetta

noscimento da parte dei collaboratori della rivista di MoBI). L’offerta birraria eccelle in tutti e tre gli aspetti che fanno felice l’appassionato: la presenza di birre e birrifici di assoluto rilievo (comprese alcune “chicche” e rarità, che comunque non monopolizzano le spine); la qualità delle stesse, garantita dalla perizia nel servizio e da una adeguata rotazione di fusti; infine un assortimento ampio il giusto (12 spine e due pompe) e molto ben bilanciato, che oltre alla quota di ordinanza di IPA e variazioni sul tema, non tralascia “basse”, stili inglesi e belgi (altrove spesso trascurati), dalle “session” alle Imperial stout più impegnative. Un occhio di riguardo è dato alla Franconia per la quale, insieme a Manuele Colonna del romano “Macche”, Alessandro e Giorgio sono all’avanguardia nella scoperta di piccoli birrifici artigianali scovati e coltivati personalmente. Il frigo propone bottiglie più impegnative, incluse rarità acide e non. Non si tratta di un ristorante, ma pur puntando soprattutto sull’offerta birraria, Scurreria è in grado di accompagnare degnamente le specialità birrarie, soprattutto con gli ottimi bagel.

Raggiungiamo Piazza Campetto, in fondo alla quale imbocchiamo sulla destra Via di Soziglia, poi a sinistra per Via dietro il Coro delle Vigne, che sfocia in Via della Maddalena, da percorrere per breve distanza verso sinistra verso l’ultimo locale. Se non è tardi – ad esempio se avete cominciato il pub crawl proprio da questo locale – proprio accanto al Jalapeño c’è una delle mete birrarie più interessanti della città: un verdurierebeershop! Da anni Luca Giangaspero ha approfittato della sua passione birraria

per affiancare alla frutta e verdura del suo negozio un’offerta birraria via via crescente e selezionata, tanto da fare del “Beershop della Maddalena” uno dei migliori negozi di birra a livello regionale e non solo!

Jalapeño

Via della Maddalena, 52R, 16123 Genova GE Non si tratta del classico pub, da cui si distingue per ambiente e atmosfera: non ha il design di Scurreria né la tipicità di altri locali di struttura antica ma è comunque caratteristico nel suo arredamento minimale. Nato principalmente come tapas bar, ha leggermente modificato la sua offerta mantenendo la sua valida offerta culinaria di ispirazione spagnola, tanto da poter essere scelto anche per una cena di soddisfazione (attualmente il locale non è solitamente aperto in orario diurno). Un’e-

voluzione decisamente positiva degli ultimi anni riguarda l’offerta birraria: le spine sono salite a otto: accanto alla Estrella (mantenuta per affezione rispetto all’ispirazione del locale) le altre birre sono tutte artigianali sia italiane che straniere, ben assortite con una selezione che tende a distinguersi da quella del momento degli altri locali genovesi, con giusta rotazione. e con alcuni birrifici che per affidabilità e gusto del proprietario sono spesso presenti e più difficili da trovare altrove (ad es. Argo e l’irlandese Blacks of Kinsale). Il Jalapeño è l’ultimo dei locali del nostro giro. Cercando di recuperare lucidità e senso della direzione, proseguiamo per Via della Maddalena sfociando in Via San Luca, da percorrere per poca distanza sulla sinistra per svoltare a destra nel breve Vico della Vena che attraverso Piazzetta Jacopo da Varagine vi permet-

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Lo staff del Jalapeño

terà di raggiungere piazza Caricamento e il punto di partenza. Riprendere la guida a questo punto non è forse la soluzione più prudente… se siete “foresti”, decisamente meglio aver prenotato un posto per dormire in una qualsiasi zona del centro! Fino a mezzanotte la metropolitana è ancora attiva, e alcune linee di autobus sono utilizzabili fino a poco dopo l’una.

Altri locali

Oltre ai pub proposti in questo giro, esistono anche altri locali meritevoli di una visita. Diversi sono in Centro Storico, con un’offerta a volte interessante, spesso mutevole e nuove aperture ancora da verificare. Al di fuori del Centro Storico, partendo da levante, il già citato O’Connor (Via S. Schiaffino, 34), riaperto di recente con nuova gestione, dedica le sue spine a prodotti artigianali, con attenzione particolare a micro irlandesi, affiancati da una sostanziosa proposta gastronomica. L’Old Troll (Via delle Casette, 21) è guidato con entusiasmo e simpatia da Shari, già del team dell’O’ Connor prima gestione. La selezione birraria è valida e frequentemente aggiornata, con spine dedicate a micro locali (spesso presente ad es. Busalla) e non solo, e una cucina che propone pietanze semplici ma soddisfacenti. Il birrificio Kamun, dopo Kamun Lab (tappa del nostro pubcrawl), ha aperto in zona centrale un secondo locale, il Kamun Live (Piazza Paolo da Novi, 47 R), che offre la stessa ampia selezione di birre del birrificio, in uno spazio più ampio (con dehors estivo). Al contrario del “gemello” è presente un menu completo per cenare e, periodicamente, ospita eventi musicali e non. L’HB (Via Gerolamo Boccardo, 5r) in posizione centralissima a pochi metri da Piazza De Ferrari non offre birra artigianali, ma l’ industriale HB è sempre in ottima forma (è l’unica birreria Hofbräuhaus ufficialmente riconosciuta in Italia) e la cucina offre ampia scelta di piatti tradizionali bavaresi. Spo-

standosi a ponente, lo storico Molly Malone (Via dei Reggio, 14r) è da anni noto per la sua Guinness oltre che per la sua atmosfera.

BeerLAB Genova (Via Cialli, 21r) non è un locale ma un’associazione rivolta sia alla degustazione, con organizzazione di eventi birrari anche multidisciplinari, sia all’homebrewing, con eventi, sperimentazioni e cotte dimostrative. Cercate la loro pagina Facebook per informazioni. Lo Zena Pub Crawlers, fondato e tuttora animato da Matteo Polverini, è nato come gruppo Face-

book, dedicato alla scoperta dei locali birrai genovesi. La pagina FB degli ZPC, costantemente aggiornata con eventi birrari e accurate e aggiornate tap list di ogni locale, è uno strumento indispensabile per chi voglia esplorare la scena birraria ligure. Di recente, grazie a Matteo e altri appassionati crawlers, gli ZPC, andando oltre l’attività informativa, sono passati all’organizzazione diretta di incontri ed eventi birrari (grazie anche alla collaborazione di alcuni dei locali citati) che stanno incontrando un crescente successo.★

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 61 giugno 2023 TURISMO BIRRARIO

IL BIRRIFICIO BIRRADAMARE IN CHIUSURA?

Esattamente un anno fa, in questa rubrica di BNM appariva un articolo titolato “La ritirata dell’industria dal settore craft”, in cui raccontavamo di come le acquisizioni delle multinazionali birrarie effettuate in Italia nel 2016 e 2017 non sembravano avere avuto lieto fine. ABInBev ha infatti dismesso nel 2022 il sito produttivo “storico” di Birra del Borgo a Collerosso (RI), dedicato alle fermentazioni alternative e alle maturazioni in botte, poi acquistato da uno degli storici birrai del marchio laziale. Duvel-Mortgaat ha messo in vendita l’impianto originario dell’emiliano Birrificio del Ducato (come per Collerosso dedicato alle birre “acide”) e il birrificio lombardo Hibu è stato riacquistato integralmente dai soci fondatori originari.

Da tali “ristrutturazioni” societarie sembrava immune il laziale Birradamare, acquisito nel 2017 da Molson Coors: fondato nel 2004 a Ostia Lido come brewpub a marchio Birrificio Ostiense Artigianale (BOA) il birrificio cresce e sposta nel 2010 la produzione a Fiumicino. A differenza di altri birrifici artigianali, Birradamare sceglie una immagine più scanzonata (‘na Biretta è il marchio di punta) e ha come obiettivo la distribuzione attraverso Horeca e GDO. L’acquisizione sembrava tesa a spingere l’azienda verso incrementi produttivi e maggiore capillarità distributiva ma nei giorni scorsi il blog Cronache di Birra ha annunciato che la multinazionale avrebbe licenziato improvvisamente tutti i dipendenti dell’azienda laziale, presumibilmente

con l’intenzione di chiudere definitivamente il birrificio e dismettere il marchio. Decisione inaspettata nei modi e nei tempi, anche in considerazione di recenti investimenti per implementazioni tecnologiche effettuati nel complesso produttivo di Fiumicino.

FINALE CAMPIONATO MOBI HOMEBREWER 2022

In Italia i concorsi per i birrificatori casalinghi esistono da tempo: il primo fu organizzato nel lontano dicembre 2000, presso il Birrificio Italiano, e da allora molti eventi di questo tipo sono stati creati lungo l’intero stivale per testare le qualità brassicole degli homebrewer italiani. Nel 2016 fu addirittura organizzato a Roma un contest europeo, in cui trionfò l’italiano Giuseppe Galati. Solo dal 2013, tuttavia, una serie di concorsi, organizzati da MoBI, furono collegati in riferimento a un unico campionato da svolgersi annualmente e - pur con un regolamento in costante evoluzione - ogni anno il campionato ha espresso una classifica finale con un vincitore, anche nei difficili anni di pandemia. Nel 2022 si è svolta la decima edizione: in sei tappe tenutesi nel corso dell’anno in varie

località della penisola, gli homebrewer si sono dati battaglia presentando 570 produzioni per arrivare, tuttavia, a una appendice in modalità “play off”. Lo scorso 26 febbraio 2023, il pub Drunken Duck di Quinto Vicentino ha ospitato i venti finalisti che avevano ottenuto il pass per l’ultimo atto: la sfida per il titolo. Vincitore del campionato 2022 è stato Jacopo Deola, già trionfatore nel 2020, mentre il secondo posto è stato assegnato a Michele Mongardi. Medaglia di bronzo conquistata invece da Francesca Gasparini.

Nella stessa sede è stato presentato anche il campionato 2023, il quale prevede sei tappe intermedie: si parte a fine aprile a Tolentino, nelle Marche, e dopo gli eventi di Vicenza, Piozzo (CN), Siena e Cosenza, la regular season si concluderà

in autunno a Forlì, in Romagna. La finalissima, in sede da definire, assegnerà il nuovo titolo.

Il regolamento del concorso può essere consultato sul sito MoBI www.movimentobirra.it.

NOVITÀ DAL MONDO BIRRARIO 62 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023 a cura della redazione

POLVERE DI BIRRA

Il birrificio tedesco Klosterbrauerei Neuzelle avrebbe creato una birra disidratata. No, non è uno scherzo: dopo due anni di ricerca, il birrificio ha messo a punto una polvere di birra, che sarà messa sul mercato a partire dalla metà del 2023, a cui basterà aggiungere sufficiente acqua per ottenere una birra come le altre. I dettagli sono coperti da segreto industriale, ma si tratterebbe di una trasformazione da una birra brassata con metodi tradizionali. L’idea vuole rivoluzionare il trasporto della birra: “I tempi sono maturi per mettere alla prova la produzione e la logistica della birra classica in considerazione del modo in cui trattiamo il nostro ambiente - ha commentato il titolare del birrificio, Helmut Fritsche, riguardo al rivoluzionario progetto - Miliardi di litri d’acqua ven-

gono trasportati ai consumatori di tutto il mondo, perché in effetti la birra è composta fino al 90% da acqua. Dal punto di vista ambientale stiamo già risparmiando sui trasporti, ma non ancora sull’utilizzo delle risorse e sui costi di produzione”. Al momento la tecnologia non consente di includere nel prodotto finito alcol e CO2, ma i produttori stanno cercando di sviluppare ulteriormente il processo per giungere a quel risultato.

“Sappiamo che i classici bevitori di pilsner e tutti gli appassionati di birra artigianale, soprattutto in Germania, saranno inizialmente scettici nei confronti del nostro prodotto”, aggiunge l’amministratore delegato del birrificio, Stefan Fritsche. “Non si tratta solo di portare un nuovo prodotto sul mercato, ma di

stravolgere il modello di business della birra. Il nostro target principale non è il classico consumatore finale tedesco, ma i rivenditori globali: geograficamente, ci rivolgiamo con la nostra polvere di birra analcolica ai mercati di esportazione ad alta intensità di trasporto, come i paesi dell’Asia e dell’Africa”.

C’È FERMENTO, 13 a EDIZIONE A SALUZZO

Un totale di venti birrifici, una beer firm, per un totale di 130 birre alla spina, che per quattro giorni animano il cortile principale del Quartiere della ex caserma Musso, portando il meglio della produzione di birra artigianale e di street food di qualità da tutta Italia a Saluzzo (CN). È la 13a edizione di C’è Fermento, il salone della birra artigianale di qualità, che quest’anno dà appuntamento da giovedì 22 a domenica 25 giugno 2023 a Saluzzo, ai piedi del Monviso, nei cortili de “Il Quartiere”, che cura l’organizzazione del festival in collaborazione con la Città di Saluzzo e con il Comitato per la Condotta Slow Food del Marchesato di Saluzzo. Il Comitato ha anche selezionato le 11 cucine di strada e food truck, con proposte che arrivano, oltre che dal Piemonte, da Emilia Romagna,

Abruzzo, Puglia e quest’anno anche dal Lazio. Uno degli appuntamenti più attesi e importanti del settore a livello nazionale, un punto di riferimento per birrai, intenditori e amanti della birra. Soprattutto per una rappresentanza che copre a tappeto tutto il Nord e il Centro Italia, dal Piemonte al Trentino Alto Adige, dalla Lombardia alle Marche, in una proposta attentamente selezionata dalla Guida alle Birre d’Italia Slow Food e dal comitato scientifico formata da Luca Giaccone e Francesco Nota. Presente al salone anche una Birroteca, dove poter trovare le proposte in bottiglia e in lattina. La vera novità 2023 è l’ospitalità in seno a Terres Monviso: 4 Mastri Birrai d’oltralpe e le loro migliori Birre da gustare e conoscere in birroteca. Invariato l’ingresso gratuito al Salone, così come la formula di acqui-

sto delle birre, esclusivamente tramite gettoni del valore di 2,50 euro l’uno. Per poter degustare è necessario acquistare il nuovo bicchiere in vetro realizzato per l’edizione 2023, direttamente al salone dal costo di 6 euro.

Web: cefermento.fondazionebertoni.it

NOVITÀ DAL MONDO BIRRARIO BIRRA NOSTRA MAGAZINE 63 giugno 2023

HANNO SCRITTO PER NOI

Davide Bertinotti

Dal… secolo scorso viaggio, bevo, produco (per autoconsumo) e racconto birre. Sono autore di libri sulla produzione, servizio della birra e sul mondo dei microbirrifici italiani. Docente di produzione presso ITS Mastro Birrario Torino.

Antonio Boschi

Grafico di professione e grande appassionato di musica e di arte. Titolare dell’agenzia WIT Grafica & Comunicazione, ho all’attivo l’ideazione e l’organizzazione di alcuni festival, tra cui il Rootsway premiato nel 2009 come migliore a livello europeo. Redattore della rivista Il Blues, da anni collaboro con Visit USA Italy oltre ad essere uno dei soci fondatori della società A-Z Blues. Autore del libro Blues Pills e altre storie

Andrea Camaschella

Appassionato di birra da svariati anni, sono coautore dell’Atlante dei Birrifici Italiani, docente ITS Agroalimentare per il Piemonte e in svariati altri corsi.

Norberto Capriata

Scienziato, filosofo, artista, pornografo, viaggiatore del tempo, mi divido tra la florida attività di arrotino-ombrellaio e la passione per la birra artigianale. Ho collaborato con le principali riviste del settore, a loro insaputa, e insegnato in vari corsi di cultura birraria, che nessuno ricorda. Conosco perfettamente la differenza tra Porter e Stout, ma non la rivelerò mai.

Francesco Donato

Pioniere della divulgazione della cultura birraria nel Sud Italia, mi occupo da oltre vent’anni di ristorazione, maturando esperienze come publican sia da dipendente, sia da titolare. Ex Consigliere MoBI, giudice a Birra dell’Anno, sono formatore e docente per svariate associazioni.

Massimo Faraggi

Pioniere dell’homebrewing in Italia e docente di birra fatta in casa, sono stato co-fondatore di MoBI e curatore della rivista dell’associazione. Sono autore di articoli e libri di tecnica e cultura birraria.

Tommaso Ganino

Professore Associato presso l’Università di Parma. Ho sempre lavorato su temi legati alla biodiversità, alla selezione e valorizzazione di piante agrarie e dal 2011 lavoro sulla filiera del luppolo. Responsabile del Centro di certificazione del luppolo per incarico del MiPAAF dal 2015; insieme al mio staff ho selezionato tre genotipi di luppolo a genetica italiana; mi occupo inoltre di agricoltura 4.0 applicata al luppolo.

Luca Grandi

Ho fondato il brand Birra Nostra nel 2007 e il web magazine Birra Nostra Magazine nel 2013; nel frattempo ho ideato ed organizzato TEDx e fiere per i più importanti enti Fiera italiani e dal 2016 sono consulente per Fiere Parma e CIBUS. Scrivo per Slow Food, CiBi Magazine, Foodyes e Mark You; coautore de La via della birra - un Grand Tour attraverso l’Italia dei birrifici artigianali ed autore di Guide per viaggiatori.

Matteo Malacaria

Giudice qualificato BJCP e beer sommelier, autore del blog Birramoriamoci.it e del libro Viaggio al centro della birra. Mi occupo di comunicazione e marketing applicati al settore birrogastronomico e sono docente presso la NAD di Verona.

Simonmattia Riva

Nel 2015 ho vinto il campionato mondiale dei Biersommelier Doemens. Giudice nei principali concorsi internazionali, sono docente in numerosi corsi di degustazione, membro di Unionbirrai Beer Taster e collaboratore delle principali riviste e guide di settore. Sono titolare del pub Beer Garage di Bergamo.

Margherita Rodolfi

Dottore di Ricerca dal 2016 in Scienze e Tecnologie Alimentari. Ho partecipato attivamente, come responsabile di laboratorio e ricerca e sviluppo, a progetti di ricerca sul luppolo e sulla filiera brassicola. Negli ultimi anni mi sono concentrata su studi di valutazione del terroir di diverse varietà di luppolo.

64 BIRRA NOSTRA MAGAZINE giugno 2023
Davide Bertinotti Antonio Boschi Andrea Camaschella Norberto Capriata Francesco Donato Massimo Faraggi Tommaso Ganino Luca Grandi Matteo Malacaria Simonmattia Riva Margherita Rodolfi

Qualità

la progettiamo, la costruiamo, la imbottigliamo

E la coltiviamo dal 1946, con la stessa passione e l’instancabile spirito d’innovazione con cui costruiamo ogni singolo pezzo. È la stessa qualità che inizia nella scelta delle materie prime e viene mantenuta fino al riempimento delle lattine e delle bottiglie. Perché Gai nasce a fianco dei più importanti e ambiziosi birrifici artigianali, garantendo un supporto costante grazie agli oltre 100 rivenditori e centri assistenza nel mondo. Da oltre 75 anni condividiamo con voi la ricerca della qualità.

MACCHINE IMBOTTIGLIATRICI 1.000-20.000 B/H Ceresole d’Alba (Cn) Italia - www.gai1946.com Scriba Studio / ph Paolo Marchisio

T i p o d i c a m p i o n e : M o s t o

M o s t o i n f e r m e n t a z i o n e B i r r a f i n i t a

P a r a m e t r i :

A l c o l , S G , d e n s i t à , p H , R D F , e s t r a t t i ( g r a d o P ° ) e c a l o r i e

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BeerFoss™ FT Go fornisce i dati chiave per il controllo dell’intero processo di birrificazione, dal mosto alla birra finita. Utilizzando BeerFoss™ FT Go puoi sapere esattamente cosa sta succedendo nel fermentatore senza necessità di filtraggio o degasaggio

D A T I E S S E N Z I A L I S U L P R O C E S S O D I B I R R I F I C A Z I O N E C O N U N S E M P L I C E C L I C K
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