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di Flavio Boero
IL LIEVITO,
QUESTO CONOSCIUTO
Il birraio affronta l’argomento lievito sempre in modo pragmatico, per cui prende in considerazione principalmente le caratteristiche tecniche e spesso si disinteressa degli aspetti storici e scientifici. In fondo è giusto così, per lui è sufficiente sapere quanto basta per ottenere un’ottima birra, perfetta nel suo stile e il resto è di pertinenza di quei topi di laboratorio o di biblioteca che studiano come ottenere nuovi ceppi, più vigorosi e performanti. Non spetta al birraio approfondire le caratteristiche peculiari di ogni ceppo. Saranno gli scienziati a studiarne la genetica, mentre i divulgatori si occuperanno delle origini e della storia e i tecnologi dell’eventuale applicabilità alla produzione. Per il birraio, oggi come un tempo, sono sufficienti le istruzioni per l’uso. Ma la piccola cellula del lievito rappresenta un mondo tutto suo, veramente interessante e sbalorditivo, che travalica la produzione delle bevande fermentate e forse vale la pena di conoscere più intimamente.
Un antico amico dell’uomo
I lieviti erano già presenti sul nostro pianeta un miliardo di anni prima che
i nostri antenati calpestassero la crosta terrestre e saranno ancora presenti dopo che ci saremo estinti. Senza farsi notare troppo ci hanno accompagnato in tutta la nostra storia, in modo così discreto che ci siamo accorti della loro presenza come esseri viventi solo nel 1857, quando Louis Pasteur dimostrò la loro esistenza e vitalità accertando che il lievito è l’agente della fermentazione alcolica. È incredibile che per innumerevoli generazioni sia stato possibile produrre birra, vino, idromele, sidro, pane ecc. senza sapere nulla del lievito. Semplicemente, il lievito non ha bisogno di noi per colonizzare qualsiasi alimento che contiene zuccheri, lo fa da sé senza nessun aiuto, ma nei secoli l’uomo lo ha manipolato senza neanche sapere che cosa stesse facendo. Per prima cosa si è scoperto che alla fine di ogni fermentazione la feccia che si depositava sul fondo del recipiente poteva essere usata per accelerare la fermentazione successiva. Si è dovuti arrivare al 1680 perché l’inventore del microscopio Antonie Van Leeuwenhoek lo osservasse per la prima volta anche se, a quei tempi, non si riteneva possibile l’esistenza di forme di vita così piccole. Quasi cento anni dopo Antoine Lavoisier enunciò la legge di conservazione della massa, che stabiliva come la materia presente nei reagenti conservasse la sua massa nei prodotti delle reazioni chimiche. Lavoisier però era un chimico, anche se si occupava di biologia, e riteneva che le reazioni che avvenivano nelle fermentazioni fossero fenomeni chimici; ancora resisteva l’idea che i depositi che si formavano alla fine della fermentazione non fossero di origine biologica, ma chimica. Oggi ci meravigliamo di come fosse possibile che i birrai riuscissero a manipolare il lievito senza nemmeno conoscerne l’esistenza; in realtà le fermentazioni erano trattate come una scatola nera di cui si conoscevano gli elementi in ingresso, vale a dire mosto e un po’ di deposito ottenuto da una fermentazione precedente, e l’elemento in uscita, la birra. Cosa fosse accaduto nel mezzo era un mistero. Per aprire quella scatola nera abbiamo dovuto attendere Pasteur che, alla metà del XIX secolo, dimostrò che gli organismi anche microscopici non sorgono spontaneamente dalla materia inanimata, ma sono generati da altri organismi simili; inoltre il lievito, anche quando viene lisato, è in grado di fermentare. Nel lievito, infatti, come ha dimostrato E. Buchner, sono contenute le sostanze responsabili della fermentazione: gli enzimi, parola derivante dal greco “enzymé” il cui significato è dentro al lievito. Da quel momento in poi è stata una cavalcata iperbolica in cui in poco più di un secolo si è venuti a conoscenza anche dei particolari più intimi di questo organismo vivente, passando dalle scoperte di Emil Hansen e N.H. Claussen fino ai nostri giorni, con la conoscenza della sua mappa genetica completa.
Come abbiamo imparato ad addomesticare il lievito
Andiamo per ordine cercando di capire come abbiamo potuto addomesticare un organismo senza sapere nulla di lui, neanche della sua esistenza. I birrai avevano imparato dalle loro esperienze che i depositi ottenuti dalla fermentazione potevano essere utilizzati come acceleranti nelle produzioni successive. La temperatura aveva un’influenza importante: se ne accorsero i tedeschi e i cechi che, abbassando sempre
ANTONIE VAN LEEUWENHOEK IL PADRE DELLA MICROBIOLOGIA
Lo scienziato olandese Antonie Van Leeuwenhoek, inventore del microscopio.
di più le temperature di fermentazione e introducendo la lagerizzazione, andavano sempre più spesso a raccogliere il lievito sul fondo. Se ne accorsero anche gli inglesi che, mantenendo più alte le temperature di fermentazione, capirono che il lievito migliore si poteva raccogliere quando ancora galleggiava in superficie. Senza saperlo queste abitudini portarono alla separazione dei ceppi che chiamiamo di alta fermentazione da quelli di che oggi definiamo di bassa fermentazione. Le conoscenze odierne ci permettono di sapere che cosa è accaduto. In Germania l’introduzione delle basse temperature e la raccolta operata dal fondo delle vasche di fermentazione hanno permesso di selezionare geneticamente solo i ceppi che potevano resistere a temperature più basse, limitando lo sviluppo di quelli che amavano un clima più tiepido. Viceversa nel Regno Unito e in Belgio si raccoglieva il lievito scremandolo dalla superficie prima che si depositasse. Oggi sappiamo che tutto ciò è legato a proprietà specifiche dei ceppi di lievito di alta fermentazione che sono stati classificati dagli scienziati come Saccharomyces Cerevisiae. Osservando questi lieviti al microscopio durante la propagazione per gemmazione, possiamo vedere che la cellula figlia rimane legata alla cellula madre e a sua volta verrà legata anche la successiva cellula figlia e così via, dando luogo a lunghe catene di cellule ramificate. Cosa che non avviene con le cellule dei lieviti di bassa fermentazione, dove la cellula figlia si stacca quasi subito dalla cellula madre. Durante la fermentazione lo sviluppo di anidride carbonica provoca un effetto kite-surf, che trasporta quegli ammassi di cellule in superficie. Quando si esau- Il professor Emil Hansel in un francobollo risce la spinta dell’anidride carbonica il lievito si deposita, ma se la raccolta commemorativo realizzato per il centenario della fondazione della birreria Carlsberg. avviene in superficie, prima che i lieviti scendano sul fondo, si ottiene una discreta separazione tra le due tipologie. È curioso apprendere che forse questo processo di domesticazione sia avve- nuto senza che il birraio neanche si rendesse conto della manipolazione che stava operando.
Propagazione per gemmazione delle cellule di lievito.
Lievito ad alta e a bassa fermentazione
Con il tempo è stato necessario classificare con termini appropriati le due tipologie di lievito. Con Saccharomyces Cerevisiae si identificava infatti il lievito di alta fermentazione, mentre per quello di bassa fermentazione bisogna aspettare il 1882, quando Emil Hansen, il microbiologo dei Laboratori Carlsberg, mise a punto un metodo per isolare un ceppo di lievito partendo da una sola cellula. Il metodo prevedeva di operare per diluizioni successive. Il ceppo che Hansen aveva ottenuto era un ceppo puro di bassa fermentazione. Fino a quel momento i birrai, non essendo in grado di separare i vari ceppi, fermentavano le loro birre con miscele di ceppi diversi, spesso contaminate da lieviti selvatici. Hansen chiamò il primo ceppo isolato Unterhefe No. 1,
in seguito denominato Saccharomyces Carlsbergensis. Il nuovo ceppo era in grado di fornire birre lager più stabili migliorando notevolmente la qualità di un prodotto che, dopo appena quaranta anni dalla produzione delle prime Helles e dalle prime Pils, stava perdendo le sue migliori caratteristiche a causa delle contaminazioni microbiologiche e delle mutazioni genetiche. Jakob Jakobsen, il proprietario di Carlsberg, non impose alcun brevetto a questa ricerca, ritenendo che il miglioramento della qualità della birra fosse un bene che doveva appartenere a tutto il mondo birrario. Forse, come dicono i maligni, voleva ripagare i colleghi tedeschi e in particolare l’amico Gabriel Sedlmayr, a cui aveva sottratto, come la leggenda narra, il primo lievito di bassa fermentazione, nascondendolo nel suo cappello a cilindro. Visto il buon rapporto di amicizia molto probabilmente il lievito gli era stato regalato dallo stesso Sedlmayr, però la narrazione della fuga con il lievito nascosto sotto il cappello risulta più romantica.
La tassonomia
La tassonomia non è una legge della natura, ma un sistema inventato dagli scienziati per ordinare e comprendere meglio l’oggetto dei loro studi. Così ogni nuova scoperta sconvolge completamente gli schemi creati in precedenza. L’ordine naturale degli esseri viventi segue l’evoluzione della specie e si apre contemporaneamente a innumerevoli vie che la mente umana non è in grado di seguire contemporaneamente; da qui l’esigenza di creare schemi che consentano di catalogare le nuove scoperte come appunto fa la tassonomia. Quando andavamo a scuola ci spiegavano la separazione del regno animale dal regno vegetale: i lieviti erano considerati dei funghi, ma erano assegnati al regno vegetale. Solo di recente per i funghi è stato creato un regno a parte. La parete cellulare dei funghi, lieviti compresi, è formata da chitina, una sostanza presente anche negli insetti, per esempio nell’esoscheletro dei coleotteri; per distinguerla dalla chitina del regno animale, quella dei funghi è chiamata micosina. I lieviti respirano e fermentano. Ma non hanno clorofilla e non possono sintetizzare gli zuccheri come fanno le piante
La cellula del lievito
Per capire meglio il funzionamento di una cellula di lievito dobbiamo entrarci dentro per sapere come e di che cosa è fatta. Prendiamo un uovo. Non c’entra nulla con il lievito, ma per forma e struttura è la rappresentazione macroscopica degli elementi principali di una cellula. All’esterno abbiamo un guscio fragile di materiale calcareo; se scendiamo alle dimensioni della cellula di lievito dobbiamo rimpicciolire il nostro uovo 100 000 volte per passare dalle dimensioni dei centimetri a quelle dei micron. Nel
Lievito in una capsula di Petri.
lievito troviamo una parete dura come quella del guscio d’uovo, ma molto più resistente ed elastica perché formata da chitina. Proseguendo verso l’interno dell’uovo troviamo la cuticola, una membrana molto più elastica del guscio; nella cellula di lievito questa membrana diventa particolarmente elastica in fase di gemmazione. Nella cellula di lievito parete e membrana hanno la funzione di filtrare tutto ciò che può entrare o uscire dalla cellula, esercitando anche una funzione protettiva. All’interno della cuticola dell’uovo troviamo l’albume, che noi paragoneremo al citoplasma della cellula di lievito. Entrambi, albume e citoplasma, sono composti in gran parte da acqua, ma dobbiamo considerare le dimensioni. Infatti, le dimensioni microscopiche della cellula di lievito non permettono alle molecole di acqua di muoversi liberamente come accade alle nostre grandezze. Le molecole d’acqua rimangono imprigionate come nei cristalli solidi (le dinamiche che accadono lì dentro sono state svelate solo in piccola parte, c’è ancora molto da scoprire…). In questo piccolo mare immobile navigano i mitocondri, che si pensa siano i residui di batteri fagocitati dai lieviti in tempi remotissimi. I mitocondri conservano un patrimonio genetico fondamentale per la creazione di proteine e per il risparmio energetico; inoltre, nei mitocondri avviene la respirazione, una funzione esclusiva ad appannaggio dei soli organismi superiori. Le cellule che posseggono questa facoltà sono chiamate eucariote. Il termine eucariote è una parola che deriva dal greco e significa provviste di vero nucleo. Il nucleo è situato al centro della cellula, esattamente come il tuorlo lo è nell’uovo. Gli organismi superiori, come i lieviti, le piante e gli animali uomo compreso, hanno organizzato la cellula in modo che tutti i cromosomi, eccetto quelli mitocondriali, siano presenti in un unico sito, il nucleo appunto. Nel viaggio che abbiamo intrapreso dalla parete cellulare al citoplasma incontriamo tanti organelli con funzioni importanti e interessanti come l’apparato del Golgi, i lisosomi, il reticolo endoplasmatico, i vacuoli dove si svolgono tutte le operazioni per rendere disponibili le proteine sintetizzate dal lievito stesso. Nel nucleo delle cellule il DNA è organizzato in sedici coppie di cromosomi e questo è il caso delle cellule diploidi; in
S. Cerevisiae e S. Carlsbergensis: quanto sono differenti a livello genetico?
La genetica ha svelato molti misteri, ma non ci ha ancora detto tutto. Hansen, che era il pupillo di Pasteur, era convinto di aver isolato una nuova specie. In realtà Max Rees nel 1870 aveva già dato un nome ai lieviti di bassa fermentazione e aveva definito quella che credeva una nuova specie S. Pastorianus. Solo nel secolo scorso si è arrivati alla conclusione che il S. Pastorianus o Carlsbergensis che dir si voglia non erano affatto una nuova specie, ma erano ibridi tra S. Cerevisiae e altri lieviti di specie diversa come il S. Uvarum e i suoi ibridi, per esempio il S. Bayanus. A mano a mano che la genetica permetteva di approfondire gli studi sul genoma del lievito, cresceva la confusione sulla tassonomia. Un lievito criofilo scoperto in Patagonia molto simile all’ibrido S. Bayanus, ma di pura specie, è salito agli onori delle cronache con il nome di Saccharomyces Eubayanus. Le ultime ipotesi tendono a sostenere la tesi che i lieviti di bassa fermentazione, compreso il S. Bayanus, siano ibridi di questo nuovo lievito.
Schema semplificato della struttura cellulare del lievito
alcuni casi il lievito si presenta in sedici cromosomi formati da un’unica catena di DNA e questo è il caso delle cellule aploidi. Se paragoniamo il corredo cromosomico del lievito all’uomo o ai batteri scopriamo che le cellule umane sono generalmente diploidi e che le coppie di cromosomi sono 23. I batteri, invece, presentano un unico cromosoma neanche organizzato in un nucleo. Inoltre, i batteri sono anche senza mitocondri. Così ci rendiamo conto che il lievito è molto più vicino a noi nella scala evolutiva che non a microrganismi più semplici come i batteri. Quando il genoma del lievito e quello umano sono stati completamente svelati ci siamo accorti di avere molto in comune: più del 30 per cento dei geni del lievito fa parte anche del nostro patrimonio genetico. Tanto che l’Area Science Park di Padriciano (TS) ha scelto il S. Cerevisiae tra gli esseri viventi da inviare nello spazio, per studiare gli effetti di una prolungata permanenza fuori dall’ambito terrestre sui geni che il lievito condivide con gli umani. Un altro punto che ci accomuna in parte al lievito è quanto avviene nei mitocondri con la respirazione. Sia nel lievito sia
Rappresentazione tridimensionale di una cellula di lievito. nell’uomo il metabolismo degli zuccheri porta alla formazione di acqua, anidride carbonica ed energia. Questo succede solo se nelle cellule entra ossigeno, ma nell’uomo, in assenza di ossigeno, il metabolismo si ferma ad acido lattico, mentre nel lievito produce alcol. Però i lieviti ci riservano molte sorprese, per esempio possono formare degli ibridi con tre o più catene di DNA: è il caso dei lieviti triploidi, tetraploidi o più in generale poliploidi. La capacità di formare ibridi con la poliploidia è il principio che ha dato vita alla bassa fermentazione. La prossima volta prenderemo in considerazione la riproduzione del lievito, la sua capacità di formare degli ibridi e come si sono evolute le due grandi famiglie di lieviti di bassa fermentazione, il tipo I/Saaz-type, a cui appartiene il primo ceppo di lievito S. Carlsbergensis Unterhefe No. 1, e il tipo II/Frohberg-type, come il ceppo Weihenstephan Strain WS34/70. Continuate a seguirci!★