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AlimentiPiù, l’agroalimentare guarda al futuro
L’agroalimentare guarda al futuro
Grande successo di pubblico per la prima edizione del convegno digitale di scienza e tecnologia alimentare
L’agroalimentare deve trovare un nuovo modello di fare impresa
Diletta Gaggia
Con i saluti istituzionali di Lorenzo Maria Aspesi, Presidente Consiglio Nazionale Ordine Tecnologi Alimentari, e la moderazione affidata a Massimo Artorige Giubilesi, Presidente Ordine dei Tecnologi Alimentari Lombaria e Liguria,si sono aperte le tre giornate di lavori di AlimentiPiù, il primo convegno digitale di scienza e tecnologia alimentare. Un appuntamento rivolto a tutto il mondo degli addetti ai lavori, professionisti, docenti universitari, esperti, ma anche studenti e stakeholder interessati a sviluppare conoscenze e competenze in un confronto digitale. Il primo convegno nazionale, tenutosi dal 20 al 22 settembre, con rilevanza internazionale, anche grazie ai prestigiosi relatori, più di 50 divisi in 12 sessioni, ha riscosso un grande successo di pubblico. Un dibattito sulle criticità ma anche sulle opportunità che le filiere agroalimentari possono dare nello sviluppo dell’industria alimentare dal campo alla tavola. Sicurezza, qualità, innovazione, digitalizzazione, tecnologie sono le parole chiave.
Operare in un contesto difficile
Le sfide che il settore agroalimentare si trova ad affrontare sono molteplici. “Uno scenario socio-economico in rapida evoluzione, un consumatore che acquisisce consapevolezza, gli obiettivi ONU al 2023 sono alcune delle responsabilità che i sistemi produttivi e le imprese devono tenere in considerazione”, le riassume Nicola Colonna, Ricercatore Divisione BIOAG-ENEA. Alessandro Banterle, Direttore Dipartimento di Scienze e politiche ambientali Università degli Studi di Milano, ha proposto un’analisi degli shock che negli ultimi hanno colpito il sistema agroalimentare: crisi finanziaria 2008, eventi climatici avversi, pandemia, difficoltà logistica internazionale e guerra Russia-Ucraina. Nel 2008 è emersa la forte caratteristica che ha l’industria alimentare di essere anticiclica. Nel manifatturiero la crisi ha inciso in maniera molto consistente, viceversa nell’agroalimentare questa crisi si è avvertita, ma in maniera minore. Questo perché l’agroalimentare si occupa di un bene di prima necessità. Uno degli shock rilevanti che stiamo vivendo adesso è il climate change. Dal punto di vista del debito pubblico ci sono due tipologie di politiche: della mitigazione, basate sulla riduzione delle emissioni che impattano sui cambiamenti climatici, e di adattamento, basate su misure mirate alla limitazione dell’impatto del cambiamento climatico. Dal punto di vista dei produttori il cambiamento climatico incide soprattutto sull’agricoltura e influenza in particolar modo la produttività dei paesi più poveri. L’agricoltura è anche un settore che produce una quota abbastanza rilevante di gas serra (35%). “Allo stesso tempo, se allarghiamo lo sguardo a tutto il settore alimentare, notiamo che l’agrifood ha un grande potenziale di mitigazione (deforestazione, gestione del suolo attraverso la carbon sequestration, la crescita della produttività e il cambiamento nelle diete alimentari). Pertanto l’agrifood ha due risvolti: certamente produce emissioni di gas serra però è anche parte della soluzione. Con il cambiamento climatico, soprattutto nell’area equatoriale, potrebbero ampliare le zone di coltivazione di specifiche coltivazioni: spostamenti delle colture. Il consumatore è preoccupato, ma non abbastanza da preferire i prodotti che permettono una minor emissione di gas serra”, spiega il professor Banterle. Come sappiamo la pandemia ha comportato una forte riduzione dei consumi extra domestici, la riscoperta del piccolo dettaglio tradizionale, perché veniva concepito come meno pericoloso e ha causato una fortissima domanda per l’acquisto online. “La pandemia ha spinto l’Italia verso il digitale con un’accelerazione di circa 10 anni. L’e-commerce prosegue il suo trend positivo: i dati 2022 mostrano che gli acquisti online degli italiani aumentano del 14% rispetto al 2021 e raggiungeranno quota 45,9 miliardi di euro,” aggiunge Antonio Iaderosa, Direttore Ufficio Territoriale Emilia Romagna e Marche MIPAAF ICQRF. Storicamente più recente, la guerra Russia-Ucraina ha determinato i ben noti aumenti nel costo delle materie prime e dell’energia, tuttavia l’aumento dei prezzi era in atto già prima dell’evento bellico.
Parole chiave: sicurezza, qualità,innovazione, digitalizzazione, tecnologie
L’IMBALLAGGIO, UN ATTORE IMPORTANTE NEL SETTORE ALIMENTARE
Il connubio tra imballaggio e settore alimentare è un connubio molto forte, che ha radici storiche importanti, ed è fortemente legato all’aspetto etico, di sostenibilità e di economia circolare. Ma soprattutto è un’arma contro lo spreco alimentare. “In un biennio 2020-2021 indubbiamente difficile, il settore del packaging ha dimostrato di essere un settore in buona salute, chiudendo con un +0,6%,” riporta Barbara Iascone, Ufficio Studi Istituto Italiano Imballaggio. “Nel 2021 si è confermata una ripresa, che non solo è andata a recuperare l’arresto di crescita tendenziale del settore, ma la produzione cresce del 7%, quindi sono più di 18 milioni le tonnellate di imballaggio prodotte, di cui il 77% è destinata al settore alimentare”, conclude Iascone. “Analizzando cinque mercati europei (Spagna, Inghilterra, Francia, Germania e Italia) è emerso che, nel settore alimentare, circa il 50% del packaging è composto da imballaggi flessibili, escludendo il settore delle bevande,” aggiunge Italo Vailati, Segretario Generale GIFLEX, l’associazione italiana che rappresenta i produttori di imballaggi flessibili. Per imballaggio flessibile si intende un imballo sottile, generalmente stampato, formato da film (polimeri, carta, cellulosa rigenerate, foglia d’alluminio) usati da soli o in combinazione per imballaggi primari e/o secondari destinati a contenere prodotti alimentari, etc. A conferma che il trend degli ultimi anni è proprio quello di sostituire la plastica. Ma “la composizione di un materiale per imballaggio va studiata con l’obiettivo di assicurare le sue performance in termini di resistenza meccanica, effetto barriera alla luce e ai gas, stabilità a contatto con le diverse tipologie di alimenti e assenza di migrazioni di additivi e/o contaminanti,” ricorda Antonella Cavazza, Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale Università di Parma. Garantire la protezione del prodotto, mantenendo un’elevata efficienza in macchina, in un imballo che sia riciclabile e quindi più sostenibile rispetto alle soluzioni tradizionali, è l’obiettivo di realtà come Taghleef Industries. “Ridurre il più possibile l’utilizzo di materia vergine, tutto questo nell’ottica di offrire un’elevata protezione del prodotto, una barriera che eviti la contaminazione e permetta, se possibile, di estendere la shelf life del prodotto e ridurre il food waste, ma nel contempo mantenere elevate performance lungo tutta la catena del valore,” approfondisce Daniele Borin, Product Manager.
Filiera carne e strategie One Health
Negli ultimi decenni la zootecnia italiana ha fatto enormi progressi per migliorare la propria sostenibilità complessiva, non solo quella ambientale. “Questi progressi sono legati a moderne tecniche di alimentazione animale, all’applicazione di tecnologie innovative per garantire il benessere animale”, esordisce Bruno Ronchi del Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali, Università degli Studi della Tuscia. Le emissioni complessive di tutta la zootecnia nazionale sono poco più del 5% delle emissioni totali equivalenti di CO. Rispetto al 1990, il sistema zootecnico italiano ha ridotto le emissioni del 12%. “Dati estremamente confortanti che ci permettono di guardare con ottimismo al futuro e agli impegni presi al 2050 con l’Europa,” commenta il professor Ronchi. “Un contributo importante potrebbe essere dato dall’approccio One Health: strategie di implementazione, coalizione di attori, mobilizzazione della comunità scientifica, trasferimento tecnologico. Le filiere dovranno prendersi l’impegno di passare da un’economia lineare ai modelli di economia circolare, perché sono quelli che oggi rispondono meglio alle diverse esigenze. Questo permette di utilizzare al meglio i sottoprodotti dell’agricoltura di cereali, pomodori, uva e patate, per esempio, che sono impiegati con successo dall’industria mangimistica o dagli allevamenti stessi.” Concorda Andrea Casson, PHD Student dell’Università degli Studi di Milano, sul fatto che dobbiamo pensare in maniera circolare. Ma il food waste rimane una delle più grosse problematiche a livello mondiale. Per questo motivo “il packaging dovrà diventare ecocompatibile: eliminare gli eccessi, utilizzare un prodotto riutilizzare o garantire un ricircolo dei materiali”. Per essere un’azienda sostenibile, tuttavia, è necessario trovare un nuovo modello di fare impresa. L’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani si impegna a fornire questi strumenti. “Dobbiamo essere protagonisti del nostro futuro e chiederci se così come siamo potremmo esistere ancora, da qui a dieci anni, all’interno di
Il 77% della produzione di imballaggi è destinata al settore alimentare
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un sistema che sta cambiando,” conclude Francesco Pizzagalli, Presidente IVSI.
Valorizzare la filiera ittica
Abbiamo assistito a un aumento del consumo di pesce annuo pro capite, ma è anche uno dei primi cibi dei quali una famiglia si prima se c’è una crisi economica in atto. Valentina Tepedino, Direttrice Eurofishmarket, conferma che i banchi pescheria, come prevedibile, stanno soffrendo per la crisi in atto. Consumo che è aumentato anche grazie a realtà come Littlefish, una società nata nel 2014 con l’intento di valorizzare il pesce del mare Adriatico. “Nel 2015 abbiamo portato il pesce fresco nelle scuole locali, principalmente dell’Emilia-Romagna e delle Marche. Questo per educare i bambini a mangiare e assaggiare il pesce, perché è sempre stato un alimento poco gradito. I bambini hanno dimostrato un consumo dell’80%, mentre con il congelato non raggiungeva il 20%,” racconta Giamaica Falcioni, CEO LittleFish. “L’azienda si è sempre proposta di dare un prodotto pronto all’uso, il pesce che viene lavorato è infatti un pesce fresco filettato o tronchettato a seconda delle esigenze. Il consumatore finale può usufruire di un prodotto senza scarto, perché quest’ultimo è gestito internamente. A tal proposito in azienda abbiamo creato un sistema di raccolta scarti di categoria 3, quindi tutto il prodotto non destinato al consumo umano viene poi raccolto da un sistema meccanico e trasportato in aziende che lo riutilizzano.” L’Associazione Piscicoltori Italiani, che riunisce le imprese di allevamento di pesce in acqua dolce salmastra e salata, ha lavorato con il MIPAAF per creare la certificazione di Acquacoltura sostenibile. “Una certificazione che prevede degli standard comuni di qualità e di salubrità del prodotto,” spiega Andrea Fabris, Direttore dell’Associazione. “È uno dei primi sistemi di certificazioni che introduce l’impronta del prodotto a livello ambientale, ovvero l’emissione di anidride carbonica nel ciclo di produzione di una determinata specie lungo tutta la filiera.” Ma la filiera chiede una maggior trasparenza verso il consumatore nel comunicare l’origine del pesce e aiuti per valorizzare il prodotto italiano, non essendo autosufficienti per soddisfare la domanda nazionale.
Appuntamento alla II edizione, 26-27-28 settembre 2023!
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