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Microbiota e obesità

Da un po’ di tempo la parola microbiota è uscita dai laboratori di microbiologia per iniziare a circolare tra i non addetti ai lavori. Semplificando, si potrebbe dire che, oggi, per microbiota si intende ciò che un tempo si chiamava “microflora intestinale”, un cambio di nome che sottende un approfondimento delle conoscenze. Da un lato, infatti, il riferimento ai vegetali (“flora”) non era più adatto visto che i batteri – grandissimi protagonisti del microbiota – non sono più classificati nel regno vegetale ma fanno regno a sé stante. Ma oltre alla questione sistematica, ci sono le straordinarie scoperte che in questi anni hanno posto il microbiota intestinale al centro di una serie impressionante di relazioni con moltissimi aspetti della salute umana.

Ma il microbiota, ospitato dal tratto gastrointestinale umano, è dunque così importante?

“È il più complesso ecosistema microbico conosciuto”, ci riferisce il professor Lorenzo Morelli, Ordinario di Microbiologia e direttore del Dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari per una filiera agroalimentare sostenibile (Distas) dell’Università Cattolica. “Complessivamente il genoma di queste popolazioni microbiche, quello che noi chiamiamo microbioma intestinale, possiede un potenziale genetico che viene considerato molto più grande rispetto allo stesso genoma umano. Negli ultimi anni sono moltissime le correlazioni trovate tra cambiamenti nella composizione e attività del microbiota intestinale e comuni disordini gastrointestinali, metabolici, autoimmuni, neurologici, oncologici, aumentando l’interesse della comunità scientifica – e non solo – in questo ambito di ricerca”.

Per microbiota si intende ciò che un tempo si chiamava “microflora intestinale”

Microbiota e obesità

Sono dunque davvero molti i problemi di salute legati in qualche forma anche al microbiota intestinale. Al Distas dell’Università Cattolica hanno diverse linee di ricerca su questi aspetti, e tra queste spicca il nesso sempre più evidente che esiste tra microbioma e uno dei principali problemi delle nostre ricche società: l’obesità. “L’obesità è una patologia multifattoriale che porta a un eccessivo accumulo di tessuto adiposo”, ci spiega la dottoressa Vania Patrone, ricercatrice presso il Distas. “Nell’ultimo decennio, molte evidenze scientifiche hanno identificato nel microbiota intestinale un potenziale fattore nella fisiopatologia dell’obesità e dei disordini metabolici correlati”. Come ci spiegano i ricercatori del Distas, il microbiota intestinale protegge la permeabilità della mucosa gastrointestinale e regola la fermentazione e l’assorbimento degli zuccheri presenti negli alimenti, il che spiega forse la sua importanza nella regolazione dell’accumulo di grasso e la conseguente obesità. Da questo punto di vista, i meccanismi che sono stati proposti per spiegare il contributo del microbiota intestinale alla patogenesi dell’obesità e dei disordini metabolici sono molti e comprendono: un incremento di batteri che fermentano i carboidrati, con conseguente aumento della produzione di acidi grassi a corta catena, che forniscono una fonte extra di energia per l’organismo, che viene infine immagazzinata sotto forma di grassi o glucosio; un aumento della permeabilità intestinale al lipopolisac-

di Stefano Boccoli

Giornalista e divulagatore scientifico

caride batterico (LPS), una sostanza che aggrava il basso grado di infiammazione e l’insulino-resistenza; una aumentata attività del sistema endocannabinoide intestinale, che risulta coinvolto nei meccanismi che modulano l’appetito.

La lotta all’obesità passaanche dal microbiota

Studi sul trapianto fecale in topi germfree hanno fornito informazioni chiave per comprendere il potenziale ruolo causale svolto dal microbiota intestinale in questo contesto, ci riferiscono Vania Patrone e la collega Maria Luisa Callegari. Sulla base di queste informazioni, è stato ipotizzato che la modulazione del microbiota intestinale potrebbe fornire un nuovo target per il trattamento dell’obesità. La dieta gioca un ruolo importante nella genesi di questa patologia, e la riduzione delle calorie come l’adozione di abitudini alimentari più salutari sono vitali per sconfiggere l’obesità. In questo ambito, in un primo studio abbiamo valutato gli effetti di una dieta arricchita in grassi, nello specifico olio di soia, sulla comunità microbica intestinale di topi, seguendo la progressione dell’obesità. La dieta, somministrata per due settimane, non era sfociata in un aumento di peso corporeo né infiammazione intestinale, dato il breve periodo di trattamento, però era stata sufficiente per aumentare il colesterolo totale nel sangue e indurre le prime modifiche del microbiota cecale, in particolare diminuzione di batteri con-

Lorenzo Morelli

Ordinario di Microbiologia e direttore del Dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari per una filiera agro-alimentare sostenibile (Distas) dell’Università Cattolica

siderati positivi per la salute intestinale quale Lactobacillus gasseri. L’abbondanza relativa di questo batterio intestinale è risultata negativamente correlata ai valori di colesterolo totale nel sangue, dato questo molto interessante alla luce di altre evidenze scientifiche che attribuiscono a questo batterio la capacità di ridurre l’assorbimento dei lipidi nell’intestino. Ma la ricerca non si è fermata e lo sviluppo e la disponibilità di moderne tecnologie, in primis il sequenziamento di nuova generazione (next generation sequencing, NGS), ha consentito di espandere enormemente l’analisi sui geni e i genomi contenuti in comunità microbiche complesse. “Impiegando quindi questo approccio in un lavoro successivo – ci illustra Patrone – abbiamo usato sempre il modello murino per confrontare gli effetti di due diverse diete ipercaloriche, a base rispettivamente di olio di

Vania Patrone

Ricercatrice presso il Distas

soia (HFS), ricco di grassi polinsaturi, e olio di cocco (HFC), ricco di grassi saturi. Nelle nostre condizioni sperimentali la dieta HFC ha indotto lo stesso aumento di peso e accumulo di grasso della dieta HFS, ma ha influenzato il metabolismo lipidico molto di più dell’olio di soia aumentando significativamente il colesterolo totale e i trigliceridi. Un maggiore impatto è stato osservato anche sul microbiota cecale, ed è stato possibile evidenziare dei cambiamenti delle popolazioni batteriche specificatamente associati a una dieta piuttosto che all’altra. La dieta HFC era ad esempio associata, rispetto alla dieta HFS, a livelli più bassi di Akkermansia muciniphila, un batterio che colonizza lo strato di muco del tratto gastrointestinale e che sembra possa avere un ruolo chiave nello sviluppo delle patologie metaboliche e gastrointestinali”.

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