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Franco Francia - Inema Senior partner

Inema Senior partner

“Gioisco per le vittorie e imparo dalle sconfitte”

La mia storia potrebbe essere quella di tanti: a Reggio Emilia un ingegnere meccanico laureatosi a Bologna non fa notizia. Però un ingegnere gestionale che gioca a pallavolo seriamente da quando ha tredici anni non si vede proprio tutti i giorni nemmeno dalle mie parti. Ho iniziato nel 1975 e all’apice della mia carriera sportiva sono arrivato ad allenarmi con una squadra di serie A1, anche se non ho mai messo piede in campo. Abbiamo iniziato allora in quattro amici, e da allora non abbiamo mai smesso. Ancora oggi ci alleniamo almeno due volte alla settimana. In questi anni la disciplina è molto cambiata. Sono cambiate le regole, in particolare il modello di punteggio, che oggi lascia spazio a un gioco più fisico e meno tecnico. Ai miei tempi era richiesto che la palla venisse giocata in maniera perfetta. Oggi si privilegia la spettacolarità del gioco e meno la tecnica. Io sono della vecchia scuola, resto convinto che negli sport senza contatto fisico, la tecnica debba prevalere. In termini di traumi, siamo quasi a livelli da rugbisti: ho chiodi in entrambe le spalle e ho rotto il tendine del quadricipite. Per due volte i medici mi hanno imposto di smettere, e per due volte non li ho ascoltati. Perché, mi dico, una persona deve smettere di fare le cose che l’appassionano? Nella pallavolo ho un obiettivo: cerco di migliorarmi sempre. Ho la possibilità di esercitare una sana filosofia dello sport e della competizione, gioendo per le vittorie e imparando dalle sconfitte. Una sconfitta non è un dramma, è un materiale sui cui lavorare. Al momento ci capita di arrabbiarsi, addirittura ci scappa anche qualche litigio in campo. Ma poi ci rendiamo conto che anche da questo episodio abbiamo qualcosa da imparare. Che cosa? Per esempio come gestire l’invecchiamento, evitando alcuni livelli della competizione a cui non possiamo più arrivare in termini di prestazione fisica.

Per capirci, quando sei giovane hai la massa muscolare. Io portavo la 42 di camicia e la 52 di pantaloni, oggi sono sceso a 39 di camicia e 48 di pantaloni. Ma i giocatori anziani suppliscono all’indebolimento fisiologico facendo leva sull’esperienza e ricorrendo a giochi psicologici più o meno sottili. La cosa più bella della pallavolo è riuscire a praticarla con uno spirito di squadra. E come squadra, posso assicurare che su diversi aspetti possiamo dare del filo da torcere ai giovani: e questo, perché ci siamo lasciati alle spalle

“Questo ci consente di dire che la vittoria non è mai merito del singolo giocatore, così come la sconfitta non è mai colpa di uno solo”

ogni tipo di sconfitta. Bisogna sapersi evolvere e adattare alle nuove condizioni in cui ci si trova ad agire. A ragion veduta, posso affermare che nello sport vince chi si adatta. L’ultima cosa da fare, è essere convinti di essersi già adattati. È un processo senza fine.

La pallavolo è una presenza costante nella mia vita. Per i casi della vita, il mio mentore nel mondo del lavoro è stato un ex giocatore di pallavolo, l’ingegner Roberto Casadio di Imola. L’avevo incontrato sui campi da gioco quando entrambi si giocava in serie C. In azienda era già partner. Mi ha insegnato a gestire le persone e i loro percorsi di crescita, e gli inevitabili conflitti che affiorano all’interno del team e nelle relazioni con i clienti. Con lui, complice lo sport, c’è stato subito un feeling naturale. Penso di poter dire che avessimo lo stesso dna sportivo.

Nella nostra società di consulenza abbiamo portato alcuni elementi della competizione sportiva, utilizzandoli per così dire come basi filosofiche. Per esempio, incoraggiamo lo spirito di squadra a tutti i livelli. Questo ci consente di dire che la vittoria non è mai merito di uno solo, e la sconfitta non è mai solo colpa di uno solo. O per fare un altro esempio, teniamo molto al concetto di "allenamento", quindi siamo impegnati in un percorso di formazione interna strutturata praticamente permanente, che tiene conto anche della giovane età delle persone.

“Il coach argentino aveva formulato la sua ricetta: impegno quotidiano, sacrificio e non porsi limiti rispetto a dove si può arrivare”

Della pallavolo mi hanno ispirato non solo le caratteristiche del gioco ma anche i suoi protagonisti. In particolare due, Karch Kiraly e Velasco. Karch Kiraly è per me il più grande giocatore di pallavolo della storia. Nel 2001 la Federazione mondiale lo ha eletto miglior giocatore di pallavolo del XX secolo, insieme all’italiano Lorenzo Bernardi. Ha vinto le Olimpiadi in due discipline, pallavolo e beach volley, e vi ha preso parte anche come allenatore della nazionale americana femminile. Era il migliore in ricezione e difesa, non faceva letteralmente mai cadere la palla. Un giorno un giornalista gli chiese: “Ma come fa a trovarsi sempre dove va la palla?” Kiraly rispose: “E perché dovrei andare dove non va?”. Da lui ho imparato a stare in campo e a gestire il team. L’insegnamento che ho tratto – e che ho cercato di applicare anche fuori dallo sport – è che devi farti trovare al posto giusto nel momento giusto con la competenza giusta, e sempre in modo armonico con i tuoi compagni di squadra. Nel 1995 ho avuto la possibilità di incontrarlo. Era il mito di tutti i pallavolisti che conoscevo.

L’altra figura è un allenatore di origine argentina, Julio Velasco. A lui mi sono ispirato per capire come allenare gli altri. Velasco ha fatto la storia della pallavolo in Italia, che prima di lui non aveva mai vinto una competizione. Ai Giochi di Atlanta 1996, la nazionale maschile italiana di pallavolo più forte di tutti i tempi perse per un punto contro l’Olanda, mancando l’oro per un soffio, ma questo succedeva dopo i titoli europei, mondiali e in World League. Il coach argentino aveva formulato la sua ricetta: impegno quotidiano, sacrificio e non porsi limiti rispetto a dove si può arrivare. Ha avuto la fortuna di aver potuto lavorare con una generazione di fenomeni, ma non è solo questo: Velasco, oltre al fisico, allenava la mente. Era riuscito a dimostrare che si possono superare barriere erette da altri. Ho la fortuna di conoscerlo di persona, e lo considero un maestro di vita. È apprezzato anche in ambito aziendale, grazie a seminari e conferenze sempre molto efficaci su come motivare il proprio team partendo dalla dimensione del singolo.

“Prima di voi ci avevano già provato cinque società, fra cui alcune molto grandi. Voi siete stati gli unici a riuscirci”

La pallavolo ha una forte tradizione in Emilia. Modena, Parma, Bologna e Ravenna sono squadre che hanno vinto tanti scudetti. Un aspetto affascinante è la componente del fair play verso l’avversario. Probabilmente è più sfumato che nel rugby, ma esiste. Intanto, la toccata della palla dentro/fuori non è sempre facilissima da individuare, quindi ci si abitua a una certa relatività del risultato.

Non essendo sport di contatto, devi mantenere un atteggiamento di concentrazione e di rispetto nei confronti dell’avversario. Il comportamento degli atleti non è mai sopra le righe, l’ambiente è familiare. A quindici anni, alzarsi alle sette del mattino di domenica per andare a giocare a dieci chilometri da casa, è una bella scuola di vita.

Che cosa ti insegna la pallavolo? Che senza squadra non puoi fare un passo. È lo sport di squadra per antonomasia, non può esistere gioco senza squadra, anche perché ogni azione deve necessariamente comprendere tre passaggi di palla. Non c’è spazio per azioni individuali come quelle di Michael Jordan o Messi.

Lo sport è un aspetto fondamentale della mia vita. Ieri alle 20.30 ero a un torneo di beach volley riservato a giocatori dai diciotto ai sessant'anni. Tutto questo background è diventato un patrimonio che ho cercato di portare nel business. Verso i nostri clienti ci rapportiamo come se fossimo dalla stessa parte del campo: facciamo squadra. Diciamo sempre che per un progetto ben fatto servono un cliente e un consulente. Mi ricordo un episodio che risale al 1999. Per una multinazionale avevamo lavorato intensamente per cinque mesi per industrializzare un modello di retail innovativo per quei tempi, con strumenti evoluti come la simulazione. Dopo esser entrato in sintonia con il cliente, gli ho chiesto: “Ma perché avete scelto noi che siamo una società piccola, con trenta persone?” Lui mi rispose: “Credi di essere il primo? Prima di voi ci avevano già provato cinque società, fra cui alcune molto grandi. Voi siete stati gli unici a riuscirci.” Sì, ma per riuscirci occorre muoversi su un terreno di grande sintonia, per non dire di simbiosi. A noi interessano rapporti continuativi, e per costruire sintonia ci vuole tempo. Quando un cliente ti conferma la fiducia, al di là del mero contratto, per noi è festa grande. Si diventa partner.

Come si sa, il mondo della consulenza è dominato dalle Big Four (o Big Seven, se si è di manica larga). Coprono tutti i settori, hanno competenze di advisor finanziario molto spinte, sono forti nei sistemi informativi e offrono soluzioni end-to-end in tutti i settori. Questo tipo di modello porta a sviluppare rapporti non continuativi con le aziende. Per noi è l’opposto. La nostra distintività è che siamo piccoli e lavoriamo per clienti molto più grandi di noi, sviluppando rapporti duraturi e lavorando fianco a fianco nella realizzazione. È sicuramente un mondo più faticoso.

“Dopo le crisi del 2007 e del 2010 me ne sono andato dall’affermata società di consulenza in cui mi ero formato e cresciuto perché ritenevo che servisse un approccio diverso post-crisi”

Entrare nelle aziende non è semplice. Al loro interno incontriamo una cultura conflittuale. Più sono grandi e più c’è conflitto, ed è abbastanza naturale. Noi cerchiamo di interagire in modo poroso a tutti i livelli, portando metodi e tempo (“Method and time”) e cercando di interagire a tutti i livelli, non solo con i vertici. Il mio capo storico diceva che è l’amministratore delegato ad aprirci le porte dell’azienda, ma sono il capo reparto e l’operaio a farci restare. Nel nostro mestiere, l’importante è far “toccare con mano” il risultato, allora tutte le tensioni tendono a sfumare. Se sono stato realmente d’aiuto nel conseguimento di un risultato, anche chi all’inizio mi aveva visto come un nemico, mi chiamerà per farsi aiutare. L’importante è rimanere consulenti e non cedere alla tentazione di pensare come dipendenti.

Il business di Inema è aiutare le aziende a migliorare le proprie performance. Non ci limitiamo alla fase di sviluppo, ma seguiamo le imprese in tutte le fasi di implementazione e take-off di questi sistemi/progetti. Oggi in Inema lavorano trentacinque persone, tutte assai più giovani di me. Questa caratteristica rispecchia la discontinuità che abbiamo voluto imprimere all’azienda. Dopo le crisi del 2007 e del 2010 me ne sono andato dall’affermata società di consulenza in cui mi ero formato e cresciuto perché ritenevo che servisse un approccio diverso post-crisi. A distanza di dieci anni, mi dico che avevo visto giusto. In Inema siamo organizzati in tre macro ambiti organizzativi. Il primo è Operations, in cui lavoriamo per esempio con i metodi di Lean Six Sigma. Questa concezione gestionale, che combina la filosofia Lean con il sistema della qualità, è per noi come un ambiente operativo, all’interno del quale sviluppiamo progetti e soluzioni tailor made. Il secondo è Project Management, che garantisce il controllo dei tempi e dei costi delle attività di trasformazione delle aziende. Il terzo è il Data Management. Per una società di piccole dimensioni come la nostra è un fatto distintivo l’aver sviluppato al proprio interno pratiche diverse nella gestione dei dati e della trasformazione digitale.

Alcuni dei partner di Inema sono stati fra i promotori del capitolo italiano dell’associazione Data Management International, di cui dal 2018 sono Vice Presidente. A questa associazione fanno capo sessantamila persone nel mondo e oltre mille aziende. Ogni mese mettiamo a disposizione dei membri la condivisione delle best practice. Il capitolo italiano è una realtà singolare, perché è l’unica fondata da professionisti non di estrazione IT. In Italia abbiamo sviluppato una buona attività, andiamo per esempio a raccontare il Data Management nelle scuole secondarie e favoriamo in tutti i modi l’adesione di giovani studenti, non facendo pagare l’iscrizione. Proprio di recente, abbiamo avuto la possibilità di illustrare le attività della nostra Associazione al World Summit of the Information Society di Ginevra.

Perché è importante acquisire consapevolezza sull’acquisizione, sulla gestione, e in definitiva, sull’etica dei dati? Perché i dati hanno una potenza incredibile, i dati condizionano la nostra vita. Da quando ci alziamo a quando andiamo a letto, tutta la giornata è guidata dai dati. Qualcuno misura il consumo dell’acqua della doccia. Qualcuno analizza i dati quando accendi il gas per il caffè. Qualcuno registra i tuoi spostamenti per andare al lavoro, e così via. La mole di dati che si raccolgono è impressionante, e siamo solo agli inizi. Ci aspettano molte sfide nei prossimi anni. L’infodemia nel periodo del Covid ci ha per la prima volta fatto riflettere sui rischi di una circolazione dei dati senza governance. Comincia anche a farsi timidamente strada la consapevolezza di quanto sia importante una gestione etica dei dati, nella società, nelle aziende, nel privato. Con una gestione non corretta si possono causare grandi danni all’ambiente fisico e umano in cui viviamo.

*Il commento dei B.Liver*

È veramente interessante scoprire come il mondo dello sport possa ispirare nuove strategie aziendali e addirittura rafforzare i rapporti tra colleghi, come in una vera e propria squadra. Fabio Valle

Park Hotel ai Cappuccini di Gubbio: storia e natura vibrano all’unisono

UN EX MONASTERO TRASFORMATO IN UN LUOGO DI ACCOGLIENZA UNICO, IN CUI COMFORT E FUNZIONALITÀ SI INTRECCIANO ARMONIOSAMENTE CON LE ISTANZE DEL RACCOGLIMENTO, DELLA RIFLESSIONE, DEL BENESSERE E DELLA RIGENERAZIONE.

Nel 1631 Ulderico da Carpegna, vescovo di Gubbio, pone la prima pietra della chiesa dedicata a San Nicola di Bari. Tre anni dopo vengono acquistati i terreni per edificare il chiostro. Il 16 febbraio 1640 ventidue frati Cappuccini si insediano nel monastero. Nel 1866, il governo unitario proclama la soppressione degli ordini religiosi, sfrattando i frati dal convento e trasferendo la proprietà al Municipio di Gubbio, che nel 1878 vi apre una scuola agraria. Alla fine del 1800 la proprietà cade via via in abbandono, fino a diventare una cava di pietra per ristrutturare le case di Gubbio.

Negli anni ’60 del secolo scorso iniziano i lavori di ristrutturazione su progetto degli architetti Monaco e Luccichenti. E nel 1996 apre i battenti un albergo di prima categoria, con le linee della struttura architettonica perfettamente conservata. Nel 1987 la struttura viene rilevata dal Gruppo Financo, che ne avvia una seconda ristrutturazione in vista dei mondiali di calcio Italia ’90. Oggi l’albergo dà lustro alla città ed è un volano per lo sviluppo turistico del territorio.

Il Park Hotel ai Cappuccini dispone di 92 camere fra quelle ricavate nella parte antica del monastero e quelle in stile contemporaneo nella parte del nuovo ampliamento. Ulteriori 10 camere sono disponibili nella settecentesca Villa Benveduti. Le lobby e gli ambienti comuni sono declinate con una straordinaria

IL PAESAGGIO UMBRO È UNA GEMMA CHE INCASTONA L’OPERA DELL’UOMO NEL CORSO DELLA NATURA, LASCIANDO LIBERA LA MENTE DI CERCARE NUOVE VIE DELLO SPIRITO, DELLA BELLEZZA E DELL’IMMAGINAZIONE.

tessitura fra arte antica e arte contemporanea. Ai grandi camini in marmo, agli affreschi del ’400, alle tele rinascimentali e ai grandi arazzi fiamminghi fanno da contraltare gli affreschi dei saloni su cartoni di Giuseppe Capogrossi, le opere di Giulio Aristide Sartorio e la sculture di Arnaldo Pomodoro. Nel parco fanno mostra si sé la Fontana della Pace di E. Abbozzo e la Colonna del Viaggiatore di Arnaldo Pomodoro. dall’architetto Simone Micheli, si compone di due spazi: uno di libero accesso di 350 metri quadrati, con piscina, vasca baby, nuoto controcorrente e area idromassaggio, e un secondo più riservato, con vasca idromassaggi circolare, vasca idromassaggi a forma di arca che utilizza acqua addizionata con magnesio e potassio, e vasca per la talassoterapia.

Intorno al borgo conventuale si sviluppa un grande parco con alberi secolari, un arometo e un magnifico oliveto. Monasticum, la farmacia del convento, si ricollega all’antica tradizione monastica dell’hortus sanitatis: gli ospiti possono trovare prodotti creati dai monasteri dell’Umbria, dalla collezione di infusi ai rimedi e spiriti elaborati con antiche ricette come il nocino e il laurus.

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