10 minute read

Cesare Landi Opening speaker

On-line Speaker Cesare Landi

MMolta acqua è fluita sotto i ponti alle spalle di Cesare Landi, oggi Logistics director in casa Fendi. Durante le sessioni del forum dedicato alla logistica del magazzino, ha raccontato un territorio, quello della logistica nel settore del lusso, estremamente particolare rispetto ad altri settori consumer. Ragionare su come le aziende affrontano sfide anche molto diverse dalle nostre e conoscere le loro best practice aiuta a mettere a fuoco potenzialità e criticità di un settore in costante evoluzione.

Fendi distribuisce prodotti di lusso in tutto il mondo. Il mercato del lusso è una realtà molto specifica, i suoi canali distributivi sono difficilmente comparabili a quelli di altri settori. I prodotti sono ad alto valore, i volumi sono bassi, c’è poca profondità negli ordini e alta

Alla logistica si chiede di essere agile, flessibile e garantire la business continuity.

variabilità per differenti categorie di prodotto. È un sistema molto autoreferenziale. Nel mercato coesistono alcuni colossi nati nei primi anni 2000 con un tessuto di medie e piccole aziende padronali. Fendi fa parte del gruppo LVHM (Loro Piana, Louis Vuitton, Christian Dior, Givenchy, Kenzo…), che compete con il gruppo Kering (Gucci, Saint Laurent, Balenciaga, Bottega Veneta…) e con grandi maison storiche come Ferragamo, Cucinelli, Hermès e Chanel.

Da vent’anni il settore registra una crescita senza sosta. In questa cre-

Logistica e lusso, un binomio interessante

Il caso Fendi: presenza globale e fattore umano

scita, hanno acquisito peso temi come l’omnistock e l’e-commerce. Quest’ultimo ha conosciuto una forte accelerazione nel periodo della pandemia. Le sfide principali sono l’automazione e la sostenibilità. Alla logistica si chiede di essere agile, flessibile e garantire la business continuity. I grandi centri logistici integrati dei colossi sono fortemente automatizzati. Nel polo logistico Kering di Trecate, in provincia di Novara, ci sono centinaia di migliaia di metri quadrati di magazzino, con automazione molto spinta e 900 addetti. Nei piccoli gruppi l’automazione è più soft. Eppure, sostiene Landi, il fattore sostanziale dell’efficienza della supply chain del lusso rimane quello umano. Per dare qualità, occorre poter contare sulla crescita delle persone, e questo vuol dire fidelizzarle all’azienda.

Da un paio d’anni a questa parte si ricorre sempre più all’intelligenza artificiale per fare simulazione di lancio di prodotti prima di andare in produzione. Quando si fà molta pubblicità al ‘fare sostenibile’, questo non significa automaticamente che ci sia maggiore sostenibilità.

Nell’ultimo decennio il lusso si è confrontato con una serie di sfide strategiche, fra le quali lo spostamento dell’asse del mercato da Ovest a Est, con un crescente trasferimento di fatturato verso la Cina. Oggi, grazie all’e-commerce e soprattutto all’esplosione del mercato interno cinese nell’ultimo anno, il 30-40% del fatturato del lusso è generato dalla Cina. E questo, nonostante il protezionismo sull’import molto forte. In parallelo, anche gli Stati Uniti sono ritornati a essere vitali e a crescere, da lì partono molti ordini on-line, dato che gli americani hanno potuto viaggiare meno con la pandemia.

In generale, l’e-commerce è il grande fattore di novità nel settore del lusso. Volatilità della domanda, imprevedibilità, difficoltà di pianificazione rendono difficile applicare i metodi del passato ai flussi logistici, in particolare per i prodotti che vengono comprati sei mesi prima del lancio negli store. Bisogna considerare che molti brand hanno una distribuzione diretta. Da un paio d’anni a questa parte si ricorre sempre più all’intelligenza artificiale per fare simulazione di lancio di prodotti prima di andare in produzione. In questo scenario di grande cambiamento, le figure della logistica stanno assumendo un ruolo sempre più importante all’interno delle aziende. La logistica sta passando da un ruolo di servizio a funzione strategica. E poter gestire direttamente la logistica è riconosciuto oggi dalle maison come un asset strategico: la tendenza è oggi invertita rispetto al passato, e si tende a passare dall’outsourcing all’insourcing. La logistica, se allarghiamo il campo visivo anche oltre il settore moda, è sotto i riflettori. L’emergenza pandemia su scala globale ha evidenziato la fragilità del sistema, in particolare la carenza di spazi per il trasporto e le difficoltà di coprire l’ultimo miglio. L’attuazione degli schemi progettati può essere più difficile del previsto, soprattutto quando si innescano reazioni a catena, come quelle per l’incidente navale del canale di Suez nell’estate del 2021, che ha fatto quadruplicare i costi per il trasporto dei container. Durante la pandemia, parte dei flussi via nave si è trasferita sul volo aereo, con un forte impatto sulla capacità di assorbire la domanda di trasporto.

Su questa difficoltà, si inserisce la crescente sensibilità ai temi della sostenibilità. Landi ha espresso un certo scetticismo sui proclami delle aziende. Quando si fà molta pubblicità al ‘fare sostenibile’, questo non significa automaticamente che ci sia maggiore sostenibilità. In molti casi fra il dire e il fare non c’è corrispondenza. E poi non è sempre facile capire come e dove si ge-

neri la sostenibilità. Per esempio, non è detto che spedire via nave un mese prima con rischio dell’invenduto sia più sostenibile che spedire all’ultimo minuto via aerea senza rischio di giacenze, dato che per distruggere le giacenze di magazzino si genera CO2. Secondo Landi, la Sostenibilità ha due, tre, quattro facce.

La pandemia ha influito sui modelli distributivi del lusso, che ora tendono a mutualizzare lo stock. In sostanza, si passa da uno stock centralizzato a uno stock decentralizzato, e si fanno crescere i local warehouse. Si è visto che per garantire business continuity bisogna delocalizzare la logistica. Regionalizzazione vs. centralizzazione! Si fanno avanti modelli ibridi: alcuni prodotti vengono mandati direttamente ai negozi, in particolare quelli seasonal, mentre i prodotti permanent vanno ai local warehouse. Sapendo comunque che, se il business dovesse esplodere, occorrerà spedire direttamente ai negozi. Bisogna considerare che nella moda i tempi di produzione

Come si può pensare di avere prodotti per i quali occorrono quattro mesi di produzione, che restano in vendita solo due o tre mesi?

Durante la pandemia, Armani ha lanciato il tema del prodotto usae-getta e di un eccesso di offerta con novità ogni mese. Come si può pensare di avere prodotti per i quali occorrono quattro mesi di produzione, che restano in vendita solo due o tre mesi? La moda si muove con largo anticipo: tutti andiamo a comprare l’invernale ai primi di luglio. Bisognerebbe invece allungare le vendite durante la stagione di utilizzo del prodotto.

In Fendi, fino a poco tempo fa l’80% dei prodotti era di tipo permanent con leap time di consegna molto allungato (il bauletto Louis Vuitton è un tipico esempio permanent, salvo qualche miglioria da settant’anni viene fatto nello stesso modo). Negli anni 2014 e 2015, siamo passati ad avere solo il 10% di prodotti permanent. Un cambiamento enorme. In quanto tempo le case italiane consegnano nei negozi? Mediamente in dieci giorni, siamo i peggiori sul mercato. Ci sono produttori in Asia, Medio Oriente e Stati Uniti che arrivano direttamente al negozio cinese in cinque o sei giorni. Dispongono di sistemi forti, che necessitano di grandi investimenti, inarrivabili per molte aziende italiane. Il modello ibrido è una buona soluzione intermedia, perché consente di gestire una giacenza nei local warehousing di cinque pezzi per ordini settimanali, più una copertura per eventuali picchi di vendita (safety stock). Fendi non si può permettere un mese e mezzo di transito sugli ordini seasonal, perché tutti i giorni di questo periodo sono considerati giorni persi per la vendita.

Un tema che appassiona la comunità professionale della logistica è la discussione su magazzino automatico vs. magazzino manuale. Bisogna considerare che il costo di picking può raggiungere fino al 55% delle spese di funzionamento totale del magazzino. Un magazzino completamente automatico può assorbire moltissime attività umane, come per esempio il controllo qualità. In termini di ritorno dell’investimento, c’è sicuramente vantaggio dal punto di vista dell’ottimizzazione dello spazio, però bisogna considerare le elevate spese di manutenzione. Nel lusso esistono prodotti che non possono essere gestiti da un magazzino automatico o con gli shuttle, per esempio i capi appesi.

Nel lusso ci si muove considerando gli ordini del giorno prima. Un piccolo ritardo delle produzioni può compromettere la pianificazione.

Su cinquanta magazzini nel lusso, personalmente visitati da Landi, solo due possono essere definiti veramente automatizzati, e comunque solo al 50%. Una casa del lusso non potrà mai avere un magazzino come quello di Amazon, i robot mobili sono adatti solo a chi è specializzato nell’e-commerce. Si è valutato che al di sotto dei cinque o sei milioni di pezzi non ha senso investire sul magazzino automatico. Nella logistica – eccetto per le aziende che hanno un monoprodotto monosize – la componente manuale è imprescindibile. Il settore ricorda un po’ il pianeta Terra, definito da qualcuno “un sistema dinamico in

costante non equilibrio”. Nel lusso ci si muove considerando gli ordini del giorno prima, e basta un piccolo ritardo delle produzioni rispetto al lancio per compromettere la pianificazione. È molto, molto difficile pianificare, come invece è richiesto nel magazzino automatico, che ha piani settimanali e mensili molto rigidi. Ecco perché la presenza di persone è insostituibile. Insostituibile sì, ma a certe condizioni. Occorrono persone con alcune caratteristiche mirate.

Se tutti migliorano, l’azienda ha dei margini di miglioramento importanti. C’è un win-win fra persone e azienda.

Nel 1987, i militari americani proposero per la prima volta la definizione di ambienti VUCA (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity). Si applicava a supply chain che sembrano non tollerare procedure e strutture fisse. La pandemia ha reso questa definizione terribilmente attuale. Che fare in un mondo WUCA? Occorre che le persone mettano in campo tutte quelle cose che solo l’essere umano può dare. Per esempio, essere resilienti e mostrare spirito di adattamento al cambiamento. Per esempio, avere agilità nei movimenti e cambiare posizione in scioltezza fino a trovare la posizione del corpo più efficiente all’interno del magazzino. Per esempio, essere flessibili negli orari di lavoro, con orari e ferie non standardizzabili (su questo in Fendi è stato fatto un grande lavoro). A fronte di accordi semplici e diretti, l’80% della forza lavoro del magazzino lavora il mese di agosto. Fendi investe sull’aggiornamento e sulla formazione delle persone, preparandole a svolgere più mansioni, in modo da poterle spostare dall’e-picking all’e-ecommerce e viceversa. Le persone ricevono istruzioni semplici e concise, e questo è un bene, soprattutto quando si proviene da altre mansioni.

Il tema dell’ingaggio individuale è fondamentale. Le persone sono come i bambini, se qualcuno non si prende cura di loro non si sentiranno mai ingaggiate. Se si chiede alle persone di lavorare anche in agosto, è chiaro che anche la relazione aziende-persona dovrà cambiare. Il panorama nel mondo moda è abbastanza discontinuo, ci sono aziende più strutturate, con una gestione avanzata delle risorse umane, e altre meno. La formazione gioca un ruolo importante. E anche la consulenza, in particolare quegli interventi che portano dentro il magazzino una visione e un modo di lavorare differenti. Formazione ed engagement mettono al centro la persona, ma bisogna capirsi bene: occorre attivare tutti, non solo i coordinatori o il team leader. Se tutti migliorano, allora l’azienda ha dei margini di miglioramento importanti su produttività e costi. C’è un win-win fra persone e azienda.

In Fendi si fanno riunioni in magazzino. Nelle aziende metalmeccaniche sono routine, ma nel mondo logistico non sono una cosa comune, e sono anche difficili da gestire. Così, la piramide è stata rovesciata. I problemi arrivano dal basso e vengono fuori in riunione. Il lavoro del magazziniere si è evoluto nel tempo. Oggi non possono stare in magazzino persone che non abbiano una formazione adeguata. Occorre diversificare profili, e occorre delegare molto. I team leader devono essere persone molto formate, meglio se ingegneri gestionali o equivalenti. L’attività fisica esiste, ma è sempre più ridotta e non presenta grandi margini di miglioramento.

La logistica è un asset. I brand associano sempre di più a questo asset attività come l’after sales, le riparazioni, la compliance dei prodotti, l’order management e il customer service. Per chi ci lavora, questo significa che il magazzino può diventare un passaggio interessante in un’ottica di carriera futura. Landi ha raccontato che diverse persone che hanno lavorato con lui oggi sono cresciute e lavorano nella supply chain, alcune sono addirittura andate nello sviluppo dei prodotti. In chiusura, Landi ha riportato due citazioni: “Tutto quello che è vivo cresce e si adatta, la macchina no” e “Le persone non fanno resistenza al cambiamento, ma all’essere cambiate”. Sono rispettivamente di due esperti di organizational learning, l’antropologa Tamsin Woolley-Barker e l’ingegnere aerospaziale Peter Senge.

This article is from: