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Marco Molesti - Asso Werke Plant manager Chiara Raucci - Talkwalker

Asso Werke Plant manager

“Il futuro è fatto di Persone 4.0”

Ho sempre avuto la passione per i motori, fin da piccolo. Ho studiato ingegneria meccanica e nel 2004 ho avuto la fortuna di fare uno stage in Ferrari, a Maranello. Ho lavorato nella gestione sportiva di Formula 1 per sei mesi: il sogno di chiunque sia appassionato di motori. In Ferrari, nonostante sia una delle aziende più prestigiose al mondo, conobbi persone estremamente disponibili e umili, alle quali devo tanto per quello che mi hanno insegnato.

Grazie a quell’esperienza, sperimentando il top a livello mondiale, capii cos'era l'eccellenza e cosa volevo fare nella vita. Mi aiutò molto a trovare la mia dimensione, anche nel posto di lavoro dove Una volta finiti gli studi in ingegneria meccanica tutti vogliono fare i progettisti e costruire “l'astronave che va su Marte”. Il problema è che solo uno su un milione inventa l'astronave: gli altri fanno un'altra serie di lavori. E in alcuni casi si vive male questo tipo di disillusione.

Nel 2006 feci un colloquio in un'azienda dove cercavo di propormi

sono oggi. Inoltre, imparai che stando fuori casa si riscoprono i valori di dove si è nati. come progettista e il responsabile del personale, molto onestamente, mi disse: “Un responsabile di produzione è una figura molto più rivendibile e con un maggior potere contrattuale rispetto ad un progettista, in quanto trasversale a diversi tipi di produzioni”. Questa riflessione fu per me rivelatoria e oggi sono grato alla persona che quel giorno mi permise di acquisire questa consapevolezza. Quel colloquio cambiò profondamente il mio modo di pensare ed approcciarmi al lavoro.

Dopo pochi giorni fui chiamato dall'azienda per la quale lavoro tutt’oggi, dove accettai il ruolo come responsabile di pianificazione di due reparti, cosa che probabilmente non avrei fatto senza la presa di coscienza del colloquio precedente.

Feci la gavetta fino ad essere promosso dirigente: non mi sarei mai immaginato che potesse succedere. Mio padre per trent'anni ha lavorato nell'ufficio del personale di una grande azienda dove si occupava delle buste paga dei dirigenti. Così, quando diedi la buona notizia a casa, la gioia era ai massimi livelli.

Fu la mia passione per le auto che mi spinse a intraprendere questo percorso, e la Ferrari ovviamente ricoprì un ruolo fondamentale in tutto ciò. Non c'era pausa caffè nella quale non uscissi fuori dallo stabilimento per ammirare le monoposto correre nel circuito men-

“Stando lontani da casa si riscoprono i valori di dove si è nati”

tre i miei colleghi, abituati da anni a quello spettacolo, non lo facevano quasi mai. Tranne una volta: ricordo che una mattina del 2004 arrivai in azienda e notai che nessuno (su ben quaranta dipendenti del mio reparto) era alla scrivania. Uscii all’esterno e vidi che tutti erano attaccati alla rete del circuito, come dei bambini, ad osservare una macchina correre sulla pista. Ero molto sorpreso e pensai: “Ma come, non se lo fila mai nessuno il circuito, che succede oggi?”. Così chiedo informazioni a uno di loro che mi risponde: "Hai visto chi è il pilota dentro all'auto?". Era Valentino Rossi.

Oggi parliamo di “Industria 4.0”, mentre secondo me si dovrebbe parlare di “Persone 4.0”. Sono appena uscito da una conferenza dove dicevano che l’era del 4.0 è quasi finita e si andrà verso la 5.0, incentrata sulle persone. Sono d’accordo: se viene fatto un miglioramento in azienda, è la persona che lo suggerisce, non la macchina.Per questo è fondamentale lavorare per tirare fuori il meglio dalle risorse umane motivandole continuamente.

“Sono le persone normali a rendere l'azienda un leader di settore”

“La costanza e la motivazione: elementi fondamentali per crescere” “Veronica, che è medico, mi aiuta a riportare l'attenzione sulle priorità della vita”

Con il tempo, poi, si impara a stare in azienda nel modo migliore per sé stessi. Io trassi insegnamento da una piccola “caduta” che affrontai a lavoro qualche tempo fa. Era un periodo particolare per l'impresa e i nervi erano tesi. Un giorno litigai con il direttore generale, che mi disse: "Non mi piace il modo in cui lavori". Io risposi che se avesse trovato una risorsa miA volte, tuttavia, è importante fermarsi e riflettere su quelle che sono le priorità della vita. Ho la fortuna di conoscere da vent'anni Veronica, che mi aiuta a concentrarmi nel lavoro ma anche a fare

gliore di me mi sarei messo da parte, e così feci. Passai a ricoprire un ruolo minore, ma ripartii con lo stesso entusiasmo di prima. Fu come se avessi cambiato lavoro, eppure ero sempre nella stessa azienda. Mi rimisi a lavorare a testa bassa e mi appassionai a quel ruolo, ripartendo da zero con ancor più tenacia. I miei superiori percepirono questa nuova energia, il che mi fece salire di grado fino a diventare dirigente.Grazie al mio passato, posso osservare l'azienda a 360° e capirne tutte le dinamiche e sfumature, non potrei desiderare di meglio. questo passaggio. Quando torno a casa e le racconto i problemi che abbiamo in azienda lei, che è ginecologa, mi dice: "Ma che problemi sono questi?". Lei, che ha la vita tra le mani, mi aiuta a riportare l'attenzione su ciò che ha davvero valore. Il lavoro ci stressa, ci preoccupa e ci inghiottisce, questo capita a tutti. Si arriva a casa e ci si sfoga, ma se il tuo partner fa il medico e quel giorno ha salvato una vita, ti fa ritornare con i piedi per terra e ti aiuta a dare il giusto peso alle cose.

*Il commento dei B.Liver*

Fiducia in sé stessi, capacità di ascolto e motivazione sono i segreti del successo nella vita e nel lavoro. Marco ne è consapevole, come dimostra la sua storia ricca di sfide stimolanti e progetti grandiosi. Chiara Malinverno

Talkwalker Business developer

“A piccoli passi dall’estero all’Italia”

Il mio racconto parte da un viaggio. Dopo gli studi in economia in Italia decisi di terminare il mio percorso all’estero e partire per un master a San Francisco in International Business che mi aprì le porte per lavorare in numerose aziende americane. Sono stata benissimo e lo rifarei altre centomila volte, ma ero pur sempre dall’altra parte del mondo e sentivo forte la necessità di riavvicinarmi a casa per non perdere pezzi importanti della mia vita privata. Dopo una serie di curricula inviati sono approdata a Talkwalker e mi sono trasferita in Lussemburgo. Prima di diventare Account Executive ero Analyst e questo comportava passare intere giornate in solitudine con il mio laptop, lo stress era altissimo e non facevo altro che controllare l’orologio per vedere quanto mancava alla fine. Ho impiegato un po’ di tempo per comprendere che ero insoddisfatta in quel ruolo e quale fosse la direzione giusta da prendere. Ho scelto di ascoltarmi e seguire la strada che più rispecchiasse la mia personalità. Mi piace il contatto con le persone e poter creare relazioni anche al di là del business sia all’interno dell’azienda coi colleghi che all’esterno verso i clienti. Ed è quello che faccio ora con i nostri clienti, cerco di migliorare le loro attività e così facendo porto un valore aggiunto all’azienda. Una delle scelte possibili per il master era tutta italiana, ma sono stata scartata per due soli punti. Mi sono fermata e mi sono detta che non potevo accettare questo risultato senza provare altro. Così ho aperto lo sguardo verso fuori e sono partita, con la consapevolezza che avrei potuto fare meglio. Questa primissima sconfitta, mi ha spinto ad andare oltre e mi ha dato il coraggio di immaginare di poter ambire a qualcosa di più grande e diverso, rispetto a quello che avevo progettato inizialmente. Sono una persona molto diretta, ho ben a fuoco ciò che voglio, ho degli obiettivi chiari sia a livello professionale che personale e in un modo o nell’altro li devo raggiungere. Il mio percorso è iniziato lontano dalla mia città Santa Maria Capua Vetere, ma con determinazione sono passata da San Francisco al Lussemburgo e ora intravedo all’orizzonte la possibilità di spostarmi sulla sede di Milano rientrando in patria e avvicinandomi alla mia famiglia.

“Se in Italia ti dicono NO, non arrenderti, prova altrove” “Il mio obiettivo personale è riavvicinarmi alla mia famiglia”

Paesi come il nostro non ce ne sono! Io, poi, sono molta legata ai miei affetti e ho sempre saputo che avrei voluto costruire la mia futura famiglia accanto a quella di origine, per questo l’esperienza americana è avvenuta quando ero molto giovane in prossimità dei miei studi universitari. Ho sempre ammirato mio padre e la passione che lui mette nel suo lavoro. E` architetto ma lavora nel mondo del commerciale con un retailer di arredamento che ha costruito completamente da zero. Questo mi ha sempre spinto ad andare oltre e a sfidare me stessa, perché anche io volevo cavarmela da sola. E` stata la mia grande motivazione ed il mio punto fermo.

Avrei potuto appoggiarmi a lui, dopo gli studi, lavorare nell’impresa di famiglia, ma ho scelto di camminare con le mie gambe e affrontare tutte le sfide, soprattutto all’estero dove è più forte questa consapevolezza. Tornare a casa ora non è tornare indietro, ma arricchire di nuove esperienze e consapevolezze il mio paese, magari provando a ridurre il gap che al sud è davvero elevato. Spero di riuscire a superare tutti i blocchi e le difficoltà che incontrerò e a realizzare quest’ulteriore obiettivo. Io non mi arrendo, vado avanti. La passione per quello che fai, fa si che il lavoro e gli sforzi ti pesino meno e raggiungere gli obiettivi vedendo che i miei clienti sono soddisfatti perché il mio aiuto porta valore alla loro attività e la migliora, ecco tutto questo mi torna indietro e mi da grande carica e motivazione.

“Amicizia e collaborazione: un rapporto aperto e produttivo”

Tutto parte dalla famiglia per me, ma se penso al luogo dove lavoro vorrei poter creare dei legami anche lì. Nel luogo di lavoro ideale i colleghi sono anche amici e questa complicità aiuta anche l’azienda a produrre di più, rendendo il clima è più rilassato. Da piccola ero una bimba molto introversa, ma col tempo, e sicuramente l’esperienza all’estero è stata determinante, ho imparato ad aprirmi e a intessere relazioni anche sul luogo di lavoro, uscendo dalla mia comfort zone. Appena posso vado a trovare gli amici del master sparsi per il mondo, l’ambiente internazionale di quell’esperienza mi ha aiutato a creare un network incredibile e questo è importantissimo.

*Il commento dei B.Liver*

Penso che nella vita sia importante essere ambiziosi e battersi per realizzare i propri sogni. Chi crede in sé stesso è in grado di realizzare qualcosa di grande nonostante le circostanze. Debora Marchesi

Toyota Logistics solutions academy manager

“Lavoro e famiglia, alla ricerca di un nuovo equilibrio”

Come spesso accade, intrapresi il mio percorso in Toyota per puro caso. Dopo la laurea in ingegneria elettronica, infatti, avevo iniziato a lavorare in un ambito che non era inerente ai miei studi, e dopo qualche tempo decisi di candidarmi in Toyota nel settore di ricerca e sviluppo per dare finalmente valore alla mia laurea. Feci il colloquio e mi assunsero, ma scoprii ben presto che mi avrebbero assegnato ad un compartimento diverso, il service. Sarà stato il destino... continuai a lavorare in un ruolo che non era quello per cui avevo studiato, ma imparai ad applicarvi il mio approccio ingegneristico.

Fu un cambiamento importante: mi ritrovai in un settore che non conoscevo, turbato dal fatto che in realtà volevo fare il tecnico. Pian piano però, entrando in contatto con il mondo del service e iniziando ad occuparmi dell'approccio Toyota nei vari progetti, mi sentii sempre più ingaggiato. Per imparare a fare il mio lavoro iniziai a partecipare a diversi convegni e dare vita ai primi progetti senza dirlo subito all'amministratore delegato, poiché i tempi non erano ancora maturi in azienda. Toyota, un monolite da un milione di dipendenti, riconobbe la consulenza come un business vero e proprio solo nel 2014. Per cui noi dal 2009 al 2013 siamo stati i primi al mondo ad offrire questi servizi. Non era mai stato fatto prima: questa per me fu una sfida importante, perché in quegli anni costruimmo i binari sui quali sarebbe passato il treno della nostra progettualità. In questi tredici anni di vita e carriera ho capito che a me piacciono di più le sfide nelle quali devo costruire qualcosa piuttosto che governarla.

Feci la stessa cosa con la formazione. Nel 2006, quando Toyota non vendeva ancora progetti formativi, i nostri clienti nel dipartimento service iniziavano a richiederli, così organizzai i primi corsi di formazione all’insaputa dei miei superiori. Il primo anno feci circa quarantamila euro di fatturato, che arrivò presto a raggiungere il milione. Sono grato di lavorare in Toyota perché mi sento sempre in un contesto da start up, che mi dà tantissima libertà per sperimentare. Nel 2007 però ci fu un aneddoto che mi segnò molto: io e un mio collega non ricevemmo il premio di fine anno. Nella lettera che ci inviarono c'era scritto: "Sarete pagati se diventerete inutili per l'organizzazione". Non capii subito cosa volesse dire, tant’è che iniziai a inviare il curriculum in altre realtà. In seguito, compresi che dovevo imparare a delegare, perché ero troppo accentratore: pensavo di far prima a fare tutto io, piuttosto che spiegarlo a qualcun’altro. Ma così facendo rappresentavo un vincolo alla crescita di chi lavorava con me. Da quel momento non tornai più indietro e imparai a riporre più fiducia nei miei colleghi.

Oggi non riuscirei più a lavorare tutto il giorno dietro ad una scrivania: nonostante sia un manager che gestisce persone vivo fuori dall'ufficio. Preferisco fare le riunioni al ristorante o al bar, dove sono nati veri e propri progetti e dove io e i miei clienti abbiamo gestito moltissime attività. Per non parlare delle belle amicizie che si instaurano con i collaboratori in questo modo, dal momento che tutto diventa più informale. Ti arricchisci tanto come persona e alla fine offri di più anche all’azienda. Sono stati dieci anni di vita tremendamente belli, anche se li ho vissuti “in una lavatrice”, perché ho scoperto che si possono trovare grandi amici sul lavoro e insieme fare cose impensabili. In questo gioca un ruolo fondamentale avere un amministratore delegato che ti lascia la possibilità di sperimentare e talvolta anche di sbagliare, in un’ottica di crescita.

“Mi sento un costruttore di binari, piuttosto che l'autista del treno”

“Di giorno lavoravo, la sera accudivo il piccolo e due volte alla settimana ero fuori casa per il master”

Affrontai un momento complesso quando nacque mio figlio: avevo da poco iniziato un master in logistica e al contempo stavo gestendo un business molto importante in azienda, il noleggio in leasing dei carri elevatori. Dopo un anno di grandi fatiche, capii che non ero la persona adatta e ne parlai con l'amministratore delegato. Di certo ho commesso qualche errore in quel periodo: di giorno lavoravo, la sera accudivo il piccolo, e due o tre volte alla settimana ero fuori casa per il master… Ricordo che una sera d'inverno ero sotto al piumino e lavoravo con il computer sulle gambe quando mi addormentai, stremato dalla giornata. Ad un certo punto il PC iniziò a mandare strani segnali d'allarme poiché si stava surriscaldando troppo con il calore del piumino e dovetti metterlo fuori dalla finestra mezz'ora per farlo raffreddare.

“Gioco a tennis per tenere vivo il corpo e stare con mio figlio”

Quando nacque mio figlio, quindi, avevo trentanove anni e una vita estremamente stressante: piena di lavoro, progetti e clienti. Mi resi conto che volevo esserci per lui il più a lungo possibile e che per farlo dovevo iniziare a tenermi in forma. Così, una mattina di quattro anni fa, iniziò la mia avventura con il tennis. D’allora non ho mai saltato un solo allenamento e partecipo sempre a partite e tornei, coinvolgendo anche la mia famiglia. Qualche anno fa organizzai una settimana di ferie nelle Marche in un postomolto carino che proposi a mia moglie. Mentre preparavamo le valige lei mi chiese perché mi stessi portando dietro la racchetta e io le dissi una piccola bugia: "così, tanto per averla con me". In realtà il posto lo avevo scelto proprio per i suoi campi da tennis. Questo sport è diventato la chiave per staccare dal lavoro e mantenermi vivace nella vita con mio figlio: rappresenta per me una seconda giovinezza.

“Per la prima volta mi resi conto che a casa mi aspettava la cosa più preziosa di cui prendermi cura: la mia famiglia”

La nascita di mio figlio cambiò tutto: in quel momento dovetti affrontare e superare molte paure. Me ne resi conto quando, una settimana dopo la sua nascita, dovetti mettermi in macchina per andare da un cliente a 500 chilometri di distanza da casa. Per la prima volta pensai che la macchina fosse un mezzo pericoloso e che io dovevo tornare a casa da mio figlio. Ho dovuto convivere con questo timore per molti mesi: la mia priorità era tornare dalla mia famiglia a fine giornata. Fu in quel periodo difficile che capii di non essere molto presente “mentalmente” nella gestione del business e che era giunto il momento di rallentare. Oggi sono grato a mio figlio per avermi aiutato a raggiungere questa consapevolezza.

*Il commento dei B.Liver*

Emanuele predilige costruire binari piuttosto che essere l'autista del treno. Su quei binari lui ha costruito un lavoro che gli lascia libertà di sperimentare. Arianna Morelli

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