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Paolo Barbatelli - Rold Chief sales & Innovation officer

Rold Chief Sales & Innovation Officer

“La vita come un tappeto elastico: è quando sei a terra che devi spingere di più per andare verso l'alto”

Sono un manager industriale e lavoro in ambito tecnologico. Vivo di grandi passioni: per la tecnologia, la musica, lo sport ed il motociclismo. Nella vita ho dovuto affrontare un’esperienza particolarmente sfidante perché, circa quindici anni fa, mi fu diagnosticata una di quelle malattie che speri di non avere mai. E invece affrontai quel percorso di discesa agli inferi e ritorno, forse sottovalutandolo anche un pochino e uscendone per miracolo. Da quel momento cambiai totalmente visione e approccio alla vita. Oggi, a quasi cinquantasette anni, ragiono spesso sul concetto di restituzione: dopo aver accumulato tante competenze, relazioni ed abilità comincio a pensare di essermi salvato per un motivo. Un motivo che non sia solo la famiglia e l’azienda, alle quali mi dedico costantemente, ma anche quello di migliorarmi ogni giorno di più per restituire tutto il possibile al mondo che mi circonda.

“Per me guarire era semplicemente un progetto da portare a termine”

All’età di quarant’anni anni ero un marito, un padre ed un manager con un percorso professionale ben avviato: vivevo una sorta di “sindrome da Superman”. Quandomi venne diagnosticata la malattia fu come scoprire, nel modo più brutale e scioccante, l’esistenza della Kryptonite. In quel momento scelsi di affrontarla in modo sfacciato, prendendomene gioco: per me guarire era semplicemente un progetto da portare a termine, proprio come se fossi sul lavoro. Non erano ammessi altri termini: guarire e tornare a vivere meglio di prima, sempre a “gas aperto”, come amiamo dire tra appassionati motociclisti.

A volte, gli oncologi che mi seguivano mi consideravano un folle. Loro erano glaciali, come giusto essere nella loro posizione, e mi prospettavano spesso una situazione addirittura peggiore di quella che era, allenandomi ad accettare il classico worst case scenario. Io, invece, partivo dal presupposto che sarei dovuto uscire da quella esperienza più forte di prima, siafisicamentechementalmente. In un certo senso fu così: da allora ci fu un’escalation nella mia carriera. Feci un salto nel buio, passando dal settore informatico a quello manifatturiero e mi rimisi in gioco. Il coraggio di fare certi passaggi lo trovai grazie a quel pizzico di follia che mi diede la sin-

drome del sopravvissuto. Mi sentivo come un Highlander, che dopo avercela fatta si chiedeva perché avesse perso molti dei suoi compagni di avventura e se ci fosse uno scopo in tutto questo. E qui entra in gioco la restituzione: se sei al mondo è perché hai qualcosa da raccontare e da regalare. Personalmente ho cercato di migliorare quello che mi stava intorno. Ho iniziato a lavorare e vivere con uno stile diverso, pragmatico, più performante e diretto.

“Il coraggio di fare certe scelte lo trovai grazie a quel pizzico di follia che mi diede la sindrome del sopravvissuto”

Io non ci avevo mai creduto, ma è documentato in un sacco di libri: dopo che una persona passa quattro mesi della propria vita in una camera stagna, ne esce cambiato. Questo si riflette nella capacità di coinvolgere gli altri e generare performance e seguito, diventando catalizzatore di una serie di cose belle, che poi si riflettono anche nelle proprie passioni. Ho avuto l’immensa fortuna di conoscere personalmente gli idoli che rappresentano per me le passioni più grandi: Bill Gates per l’informatica e la tecnologia, Giacomo Agostini per il motociclismo e Patrick Djivas della PFM per la musica, come molti altri in ambito sportivo. Ma la fortuna va aiutata, avendo il fegato di uscire dalla propria comfort zone e di buttarsi a capofitto in nuovi contesti e avventure. Per questo credo che la vita sia un continuum, in cui le passioni, gli affetti e le attività professionali convivono assieme, senza una netta distinzione.

“La voglia di rivalsa nasce lì, quando sei a terra, non quando sei un figo e tutto funziona”

Lo stesso vale per il settore in cui lavoro, la technology for humans, ossia la tecnologia per le human appliances, o come amo definirle io, gli elettrodomestici usati dalle persone. I prodotti della nostra azienda si trovano all'interno di dispositivi usati da tutti nelle proprie case. La tecnologia, anche la più avanzata digitalmente, ha sempre un volto umano e diretto e non è avulsa dal mondo analogico. Anche nel lavoro c'è questa deontologia di fondo: spesso si guarda al proprio ecosistema di business solo da un punto di vista contabile o finanziario; mentre, costruendo rapporti empatici, si possono scoprire passioni comuni e ci si possono scambiare idee e visioni. In questo modo ci si può migliorare non solo come lavoratori, ma anche e soprattutto come persone. Per questo abbiamo recentemente deciso di fondare una Academy in azienda: un'iniziativa formativa a tempo pieno, affinché "non si giochino solo le partite", ma ci si continui ad allenare per migliorarsi sempre di più.

Sebbene la mia sia una vita frenetica e complessa, mi regala grandi soddisfazioni grazie a questo equilibrio. Passando attraverso delle porte strette, come è capitato a me, si impara a sfruttare ancora di più il proprio talento per il meglio. La voglia di rivalsa nasce lì, quando sei a terra, non quando ti senti un gran figo e tutto funziona. La vita è un tappeto elastico, che ti manda a volare in aria solo quando si comprime sotto al tuo peso. La chiave è avere sempre fame di emozioni e dedicare loro tempo ed esperienza, il resto viene da sé.

*Il commento dei B.Liver*

Questa storia è d'ispirazione per ognuno di noi, perché ci insegna a trovare la luce anche nei momenti bui della nostra vita, e che talvolta seguire il proprio cuore è la scelta migliore che si possa fare. Elisa Tomassoli

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