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Società - Immigrazione
provato in tutti modi a farlo a casa mia ma credetemi era davvero impossibile. Sono andato via senza dire niente ai miei genitori. Non me lo avrebbero permesso. Sapevano che il viaggio è pericoloso e che molti muoiono prima di arrivare in Europa. Dalla Sierra Leone sono andato in Mali, dove ho conosciuto il mio amico Ismael, senza di lui non ce l’avrei mai fatta. Mi ha aiutato in tutto. Con lui siamo arrivati in Niger. In Niger i trafficanti ci hanno portato in una casa in cui eravamo oltre 200 ragazzi. Non ci davano né cibo, né acqua. Stavi lì e aspettavi di partire per la tappa successiva del viaggio. In quel periodo c’era stata la visita del Presidente Macron in Niger per fermare i migranti e non farli arrivare in Europa. Questo aveva complicato le cose. La polizia era molto più attenta. Ci hanno fatto scappare di notte, in fretta, picchiandoci e prendendoci a calci. Con Ismael facciamo due tentativi prima di riuscire a entrare in Libia. In Libia siamo finiti in un campo con altre centinaia di uomini e donne. In una situazione di schiavitù. Sono stati mesi molto duri. Eravamo trattati come rifiuti umani. Un giorno io, Ismael e altri 5 ragazzi eravamo affamati e non avevamo nulla da mangiare. Decido di andare a cercare qualcosa fuori dal campo. Ma la polizia mi ferma e mi arresta. Vengo messo in carcere per due settimane, mi tolgono il cellulare e i soldi e mi torturano in ogni modo. Quando riesco a uscire torno al campo e lì scopro che Ismael era stato fatto salire su una barca. Altri ragazzi mi hanno detto che ha provato a cercarmi in tutti i modi. Ero sicuro che ci saremo ritrovati in Italia. La barca di Ismael è affondata e con lui tutte le persone a bordo. Ho perso così il mio amico. È arrivata la notizia al campo ed è stato terribile. A me la traversata è toccata il giorno dopo. In gommone. Eravamo 170. Sono arrivato a Lampedusa vivo solo perché ci ha soccorso una nave di una ong spagnola. Quando mi chiedono “rifaresti il viaggio sapendo com’è andata?”, rispondo che oggi studio ingegneria meccanica all’università che è quello che ho sempre voluto fare. Se fossi rimasto in Sierra Leone non avrei mai potuto. Ma non lo rifarei perché, se sai prima quello che ti aspetta, non puoi farcela a sopportare tutto quel male. Soprattutto in Libia. Oggi vivo in un co-housing del Centro Astalli con studenti universitari italiani e rifugiati. Per arrivare all’università, ho fatto gli esami di terza media e la maturità in Italia, lavorando di notte in un albergo e di sera in un ristorante, per poter studiare di giorno. Non è facile. Ma non mollo. Lo devo a me stesso, alla mia famiglia e lo devo soprattutto a Ismael che oggi non è qui con me, anche se avrebbe voluto.
Testimonianza di Hamed: una vita spezzata
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Buongiorno mi chiamo Hamed e ho 24 anni. Sono arrivato in Italia dall’Afghanistan nell’agosto 2021. Gli americani sono andati via e i talebani il giorno dopo sono venuti a cercarci. Mio padre lavorava al Ministero per l’Agricoltura e aveva molti rapporti con il Governo italiano. Sapevamo di essere in pericolo e che non c’era tempo da perdere. Ci siamo nascosti in una casa di campagna. Poche ore dopo ci hanno distrutto la casa di Kabul. La nostra casa. La mia camera. Le mie cose. Non ho più il computer con tutte le foto. Non ho più l’impianto per ascoltare la musica che avevo progettato e costruito da solo. Non ho più la mia tesi universitaria. Mancavano soltanto 30 pagine e mi sarei laureato in Economia. Non ho più i documenti, il mio diploma. Nulla. Un giorno sei un ragazzo con una vita normale. Il giorno dopo tutto perduto. Tutto distrutto. Hanno chiamato mio padre e gli hanno detto che entro 3 ore dovevamo essere all’aeroporto per partire. Siamo saliti su un aereo e siamo arrivati in Italia. Ora siamo a Roma, siamo tutti al sicuro. I miei genitori e uno dei miei fratelli vivono in un centro di accoglienza. Io e mio fratello più piccolo in un altro centro, dall’altra parte della città. Ci vogliono due ore di viaggio con l’autobus e il trenino per riunirci. Mio padre dice che siamo fortunati perché siamo insieme e siamo vivi. Per me è tutto difficile. Roma è troppo grande. Imparare l’italiano senza sapere cosa sarà di me tra un mese o tra un anno non è facile. Ero praticamente laureato e con un lavoro che mi piaceva. Avevo tanti amici. Oggi tutto quello che ho costruito non esiste più. È distrutto. Oggi con il Centro Astalli racconto la mia storia ai ragazzi delle scuole superiori. Dico loro che nulla nella vita è scontato. Più di tutto è importante difendere la pace e la democrazia. Chi dice il contrario o è bugiardo o è matto. Vi chiedo di non dimenticare il popolo afgano che soffre molto. Togliendo i diritti alle donne, non facendole studiare, insegnare, lavorare ci stanno togliendo il futuro. www.centroastalli.it