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Chiesa, indigeni e dottrina della scoperta
di Pier Giuseppe Accornero
La Chiesa difende gli indigeni e la «Dottrina della scoperta» non è mai stata una dottrina cattolica, anche se nei secoli l’atteggiamento della Chiesa non è stato troppo cristallino nella condanna della schiavitù e «molti cristiani hanno commesso atti malvagi contro gli indigeni». Le bolle papali del 1400 spartivano l’America tra i colonizzatori spagnoli e quelli portoghesi e concedevano ai loro sovrani i beni dei popoli indigeni. Ebbene queste sono «documenti politici che sono stati strumentalizzati per atti immorali». Papa Paolo III nel 1537 proibisce di «rendere schiavi gli indiani delle Americhe» e non vanno «schiavizzati né derubati delle loro proprietà». Grazie all’aiuto degli indigeni, «la Chiesa ha acquisito una maggiore consapevolezza delle loro sofferenze, passate e presenti, dovute all’espropriazione delle terre e alle politiche di assimilazione forzata, promosse dalle autorità, volte a eliminare le loro culture».
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Tutto questo si legge nella «Nota congiunta sulla Dottrina della scoperta»: «La “Doctrine of Discovery” è servita per giustificare l’espropriazione degli indigeni da parte dei sovrani colonizzatori; essa non fa parte dell’insegnamento della Chiesa». Le bolle papali, che facevano concessioni ai sovrani colonizzatori «non sono mai diventate magistero» ma erano e sono documenti politici.
È un testo molto importante quello pubblicato dal Vaticano il 30 marzo scorso. Ribadisce il netto rifiuto della Chiesa della mentalità colonizzatrice: «I Papi hanno condannato gli atti di violenza, oppressione, ingiustizia sociale e schiavitù, compresi quelli commessi contro le popolazioni indigene. E ci sono stati numerosi esempi di vescovi, preti, religiose e laici che hanno dato la vita in difesa della dignità di quei popoli». Ammette «molti cristiani hanno commesso atti malvagi contro le popolazioni indigene per i quali i Papi recenti hanno chiesto perdono in numerose occasioni».
E la «Dottrina della scoperta»? «Il concetto giuridico di “scoperta” è stato dibattuto dalle potenze coloniali dal XVI secolo e ha trovato particolare espressione nella giurisprudenza ottocentesca dei tribunali di diversi Paesi, secondo cui la scoperta di terre da parte dei coloni concedeva il diritto esclusivo di estinguere, mediante acquisto o conquista, il titolo o il possesso di quelle terre da parte delle popolazioni indigene». Secondo alcuni studiosi questa «dottrina» trova le basi in diversi documenti, in particolare le bolle di Nicolò V «Dum Diversas» (1452) e «Romanus Pontifex» (1455), e di Alessandro VI «Inter caetera» (1493). Con esse i due Pontefici autorizzavano i sovrani portoghese e spagnolo a impadronirsi delle proprietà nelle terre colonizzate soggiogando le popolazioni.
«La ricerca storica dimostra chiaramente - afferma la nota - che i documenti, scritti in un periodo specifico, e legati a questioni politiche, non sono mai stati considerati espressioni della fede cattolica». Al contempo la Chiesa «riconosce che le bolle non riflettevano adeguatamente la pari dignità e i diritti dei popoli indigeni. Il contenuto di questi documenti è stato manipolato a fini politici dalle potenze coloniali in competizione tra loro, per giustificare atti immorali contro le popolazioni indigene, compiuti talvolta senza l’opposizione delle autorità ecclesiastiche». È giusto - affermano i due dicasteri - «riconoscere questi errori, riconoscere i terribili effetti delle politiche di assimilazione e il dolore provato dalle popolazioni indigene, e chiedere perdono».
Papa Francesco è perentorio: «Mai più la comunità cristiana potrà lasciarsi contagiare dall’idea che una cultura sia superiore alle altre, o che sia legittimo ricorrere a modi di coercizione degli altri». Oggi - «senza mezzi termini» - il magistero sostiene il rispetto dovuto a ogni essere umano e la Chiesa «ripudia i concetti che non riconoscono i diritti umani intrinseci dei popoli indigeni», compresa la «Dottrina della scoperta».
L’atteggiamento della Chiesa è radicalmente cambiato dalla bolla «Sublimis Deus» di Paolo III (1537): dichiarò che gli indigeni non devono «in alcun modo essere privati della libertà e del possesso dei loro beni, anche se non sono di fede cristiana; possono e devono, liberamente e legittimamente, godere della loro libertà e del possesso dei loro beni; né devono essere in alcun modo ridotti in schiavitù. Se dovesse accadere il contrario, sarà nullo e non avrà alcun effetto». Più recentemente, la solidarietà della Chiesa si è manifestata nel «forte sostegno della Santa Sede ai principi contenuti nella “Dichiarazione delle Nazioni unite sui Diritti dei popoli indigeni” (13 settembre 2007). La loro attuazione migliorerebbe le condizioni di vita e aiuterebbe a proteggere i diritti di questi popoli».
La Chiesa latino-americana ribadisce il solenne impegno nella difesa della vita, della dignità e della cultura dei popoli indigeni; appoggia incondizionatamente la «nota» vaticana sulla «Dottrina della scoperta»; fa proprie le lotte per la giustizia e l’equità, ispirandosi ai quattro «sogni» di Papa Francesco nell’esortazione apostolica post-sinodale «Querida Amazonia» (2 febbraio 2020). Aggiunge: «La “Dottrina della scoperta” non fa parte dell’insegnamento della Chiesa che sostiene, in termini inequivocabili, il rispetto dovuto a ogni essere umano».