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Calcio, Covid e giovani
di Bruno Pizzul*
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Egidio Barbiero del gruppo di Gradisca ha chiesto a Bruno Pizzul delle riflessioni sul mondo del calcio dopo il Covid. Pubblichiamo volentieri ciò che ha inviato Bruno Pizzul e le sue riflessioni ampie sulla società e sui giovani di oggi.
Non il solo calcio ha dovuto e deve tuttora fare i conti con il flagello del fattore C, vale a dire con la contemporanea terribile incidenza di Covid, Conflitti, Clima sulla realtà sociale tutta e quindi anche sul calcio. Lo stato di degrado, anche etico, nel quale si dibatte il calcio di vertice è fin troppo evidente, ed è ovvio che a tale stato di cose abbia contribuito anche il Covid, che tuttavia ha solo accelerato il processo di disgregazione di un fenomeno che in passato si era ritagliato una precisa identità e credibilità, non ancora contaminato all’eccesso dalla crescente prepotenza del dio denaro. Le tribolazioni da cui è afflitto l’un tempo florido, di risultati sportivi e brillantezza gestionale, calcio di vertice è crollato e una spintarella al precipizio è arrivata anche dal Covid. Mi preme tuttavia sottolineare soprattutto la disastrosa efficacia negativa con la quale la pandemia è intervenuta nell’attività giovanile. Le statistiche dicono che, alla ripresa dell’attività dopo lo stop imposto dalla necessità di evitare contatti plurimi pericolosi, si è verificato un crollo di partecipazione da parte dei giovani e giovanissimi, tanto che molte realtà hanno dovuto cessare l’attività per mancanza di aspiranti calciatori. Il dato è stato recepito con grande preoccupazione, perché è il chiaro indice di come il periodo di lock down abbia generato un infiacchimento generale e una completa schiavizzazione dei giovani e financo dei bambini alle false lusinghe della computerizzazione e dei social. Impressionante osservare il comportamento in ogni momento della giornata da parte di stuoli di persone che si estraniano dalla vita di relazione e si rifugiano sui telefonini che diventano la scansione continua e unica della loro giornata. Ovvio che la disaffezione verso la pratica del calcio a tenera età deriva anche dal modo in cui la faccenda viene gestita, con i ragazzi che non si divertono più perché non li si fa giocare, ma li si affligge con attività di natura fisico atletica, ora necessarie proprio perché i ragazzi da soli non si muovono più come un tempo, quando era tutto un rincorrersi, un saltar fossi, un rubar ciliegie per cui la motricità arrivava in modo continuo e naturale. Chiaro che per arginare il rischio di abbandono servirebbe una vera e coordinata azione di potenziamento della pratica sportiva giovanile in ambito scolastico, tuttora limitata alle due orette settimanali di svogliata educazione fisica. Esempi di illuminata gestione della faccenda arrivano da molti squarci di esperienza che possiamo verificare anche in posti a noi vicini. Basti pensare al quotidiano tempo pieno della Slovenia, con mattinata dedicata all’ insegnamento tradizionale e poi quattro ore in cui ci si dedica a tutte le discipline sportive, secondo scelte personali o indicazioni dei preparatori. Ma succede qualcosa di analogo in molti altri paesi, mentre da noi, tranne qualche rara eccezione, non esiste nulla di paragonabile. Colpa del Covid, senz’altro ma anche dell’incapacità di gestire in maniera efficace la pratica sportiva a livello giovanile, non tanto e non solo per creare nuovi campioni, ma per utilizzare in modo efficace il percorso di crescita morale ed educativa che può derivare dall’abitudine a concepire lo sport nella giusta maniera. Molto altro ci sarebbe da dire, mentre resta consolante la constatazione che resistono ancora come luoghi di aggregazione ludica positiva gli oratori, ancora ben frequentati, sia pure con diffusione a macchia di leopardo sul territorio nazionale.
* Bruno Pizzul è nato a Udine nel 1938, la sua carriera di calciatore fu interrotta per un infortunio; si è laureato in giurisprudenza e prima di entrare in RAI nel 1959 ha insegnato materie letterarie alle scuole superiori. Tutti noi conosciamo Bruno Pizzul e la sua caratteristica voce per come sapeva raccontare le telecronache delle partite di calcio tanto da essere ormai entrato nella storia del giornalismo sportivo italiano. Tra le sue attività non disdegna di prestarsi ad eventi per beneficienza soprattutto nella sua Cormons (GO) la propria terra natale.
“Non è solo un gioco” è un’analisi socio-antropologica delle tante sfaccettature che caratterizzano il gioco del calcio e del suo rapporto in continua evoluzione con l’individuo e con le comunità. Nel testo, i concetti base dell’antropologia – i riti di passaggio, il fatto sociale totale, la corporeità, il social drama, la communitas, il capitale sociale – vengono spiegati attraverso il calcio in maniera rigorosa ma con un approccio accessibile a tutti.