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2.1.1 Vittorio Amedeo, Re di Sicilia (1713 – 1718

tutte le dignità, le rendite, signorie e sostanze di ogni genere che si trovassero confiscate in Sicilia all'Almirante di Castiglia, al Duca di Monteleone, al Contestabile Colonna, al Principe di Bisignano ed altri personaggi incorsi nel delitto di fellonia, avendo seguito la causa dell'Arciduca Carlo, dovessero rimanere a libito di Sua Maestà Cattolica, in mano agli stessi ufficiali che l'amministravano attualmente e per farsene l'uso che più alla Sua Maestà Cattolica sembrasse opportuno.

Filippo V mantiene così il controllo di un ingente quantitativo di feudi siciliani per un estensione pari ad 1/10 dell'intero territorio dell'Isola. Tra questi, appunto, la Contea di Modica: Feudo controverso37, privilegiato e che da sempre aveva contribuito a determinare le sorti del piccolo Regno, ora in mano ad uno dei sovrani più influenti d'Europa. Per il Duca di Savoia non si prospettava una un facile futuro. Questo colpo di mano avrebbe potuto far ricominciare da capo le trattative ma Vittorio Amedeo per la fretta di terminare la negoziazione, accetta il trattato mosso dall'esigenza di entrare subito nella disponibilità del Regno e dalla speranza di potersi impossessare successivamente dei territori e diritti che Filippo V si era ritenuto.

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Chiaramente, una clausola così vaga da adito ad una controversia interpretativa su quale fosse la consistenza dei diritti e privilegi in Sicilia di Filippo V; nondimeno si cerca anche di sviare l'ipotesi di una nuova concessione di questi territori al Marchese d'Alcagnizes, nipote dell'ultimo Conte di Modica e suddito spagnolo (ed in quanto tale potenzialmente legittimato a pretendere la contea nella misura in cui era stata concessa al suo avo Bernardo Caprera con privilegio del 1392, e successive conferme). Nell'archivio di stato di Torino si trovano notevoli documenti a sostegno delle tesi contrapposte (e relative confutazioni) e che ci illustrano la storia di tali vicende, molte delle quali sono ancora og gi in buona parte oscure.

2.1.1 Vittorio Amedeo, Re di Sicilia (1713 – 1718)

Il 10 ottobre del 1713 Vittorio Amedeo giunge a Palermo insieme alla moglie; i vascelli che lo trasportano si fermano a poche miglia dalla costa, dove sono salutati da 5 colpi a salve sparati da Castellammare. Il sovrano fa dunque

37 Vedi Supra, Cap. I.

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comunicare alla terraferma la sua intenzione di sbarcare il giorno seguente, in cui sarà accolto con grande allegrezza dal popolo e dalla nobiltà, rimanendone sinceramente stupito38. Il solenne ingresso è fissato per il 21 di dicembre ed a seguire l'incoronazione nella Cattedrale il 24 dello stesso mese. Terminate le formalità ed insediatosi sull'Isola, il nuovo sovrano non perde tempo e già nei primi di gennaio del 1714 convoca il parlamento che delibera un donativo a suo favore di 400.000 scudi; in cambio di ciò si impegna ad accogliere una serie di suppliche39, che il breve periodo di regno non gli permetterà di realizzare.

I Savoia sono di certo dei signori del tutto estranei alla Sicilia; per questo dispongono il compimento di apposite e specifiche indagini volte a scandagliarne ogni aspetto: da un'analisi dei principali signori (con una valutazione della loro indole, capacità e ricchezza) a quella del suo territorio (da ricordare è la minuziosa descrizione dello stato dei porti e delle fortificazioni costiere delle principali città); così ancora cercano di capirne le potenzialità economiche (analisi delle produzioni, tecniche utilizzate, popolazione attiva etc) non mancando di fare ipotesi di investimenti al fine di modernizzare le tecniche produttive ed incentivare il commercio, punto forte dell'isola vista la fortunata ubicazione. Viene dunque redatto un vero e proprio inventario40 della Sicilia, riflesso del grande interesse mostrato sin da subito per il nuovo possedimento, per volontà del nuovo sovrano di averne una profonda conoscenza al fine di portare avanti il suo disegno di riforma ed accentramento.

Per portare avanti i suoi obbiettivi, Vittorio Amedeo, dopo aver convocato il parlamento ed ottenuto il donativo, per determinarne una giusta suddivisione tra i sudditi avvia un programma di censimento (che non veniva fatto dal 1681): questo è già un segnale dell’obiettivo di dar luogo ad una amministrazione moderna ed efficiente.

38 Per una minuziosa descrizione dell'ingresso di V.A. In Sicilia, Cfr. S. CANDELA, Op. Cit., pp. 20 e ss. 39 Il parlamento richiede al Sovrano il divieto di introdurre nel Regno merci di cui la Sicilia era produttrice; l'eliminazioni debli abusi del porto franco di Messina; l'incentivazione al trasferimanto in Sicilia di Mastri setaiuoli; l'istituzione a Torino di un ministero per provvedere ai bisogni del Rengo; l'istituzione di reggimenti in di fanteria o cavalleria formati da siciliani etc etc. Cfr. S.CANDELA, Op. Cit, p 27. 40 ARCHIVIO DI STATO DI TORINO (d'ora in poi ASTo), Sezioni Riunite, Paesi, Sicilia

Inventario I e II.

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Il bilancio dell'Isola è in negativo; e le ingenti spese da dover affrontare non permettono di poter cambiare le cose; bisogna però ricordare che la nuova amministrazione sabauda, sin dall'anno del suo insediamento, avvia un programma volto a combattere gli abusi (derivanti soprattutto da funzionari corrotti, poco efficienti, in soprannumero ed eccessivamente pagati), eliminare privilegi di origine feudale (molti dei quali abusivi ed a favore degli enti ecclesiastici) e di riottenere la gestione statale degli uffici addetti alla riscossione delle imposte (molti dei quali erano del tutto inefficienti, posto che il concessionario aveva diritto ad una piccola percentuale delle entrate, rag giunta la quale non si curava più della riscossione della restante parte).

Per quanto questi piani fossero un primo esempio di una mentalità moderna, non manca per ovvi motivi di suscitare dei malcontenti, soprattutto dopo la scelta (dovuta) del sovrano di ritornare nei suoi domini continentali, che avviene il 19 settembre 1714. Questa decisione deriva dalla necessità di curare i suoi interessi minacciati dall'Imperatore (se non addirittura anche dalla Francia); infatti un suo colpo di mano in terra ferma era ipotesi tutt'altro che inverosimile. Questo allontanamento diffonde un generale malcontento del popolo, orgoglioso e nazionalista, che finirà per interpretare negativamente il rigore amministrativo del sovrano, senza apprezzarne gli indubbi vantag gi che ciò avrebbe dato nel lungo periodo; a far precipitare la situazione sarà nel 1717 l'istituzione di un consiglio supremo per gli affari di Sicilia, che farà sentire gli isolani ancor più umiliati ed abbandonati

A fare le veci del sovrano troviamo Annibale Maffei (che si ricorda per aver svolto le funzioni di ambasciatore della corte sabauda ad Utrecht), nominato Viceré il 28 agosto del 1714. Nonostante i prestigiosi poteri di cui storicamente questa carica aveva goduto (si sostanziava nell'essere a tutti gli effetti esso stesso un sovrano), il Maffei vede le sue prerogative limitate da un sovrano accentratore, il quale gli dirige dettagliati ordini operativi accompagnati da una serie di limitazioni; il Re, muovendosi in controtendenza con la tradizione, si riser va poteri come quello di riunire il parlamento isolano o di graziare i condannati a more ed all'ergastolo, così come

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altre prerogative, ponendo notevoli problemi di governo per il nuovo Viceré (che chiaramente non poteva attendere immediatamente alle esigenze del Regno, dovendo chiedere sanzione regia ed attenersi alle istruzioni del lontano sovrano). Tra i problemi che Maffei deve affrontare vi è quello di una riorganizzazione del sistema giudiziario, ancora pesantemente gravato da retag gi feudali: quasi tutti i signori del regno avevano ricevuto il mero ed il misto imperio, a cui si andava ad ag giungere un alto numero di supreme corti regie (che erano sette!), all'interno delle quali brulicava un numero esorbitante di membri togati e laici (non contando coloro a cui i primi delegano, dietro pagamento, le loro funzioni). Il clientelismo è la chiave di volta dell'intero sistema, a cui si uniscono riti processuali obsoleti ed oscuri, che i magistrati piegano a loro vantag gio al fine di allungare i tempi e di ottenerne, di conseguenza, lucrosi compensi. Sebbene si prenda atto della situazione, e si individuino magistrati locali degni delle più alte cariche41 la giustizia prosegue il corso che sempre aveva avuto; infatti il sovrano regnando da poco su quest'isola turbolenta, ritiene più opportuno non porsi immediatamente contro le supreme magistrature (molte composte da potenti signori feudali).

A rendere ancora più complessa la situazione è la Contea di Modica, che da secoli godeva di una particolare autonomia giudiziaria42 e non solo (esperienza del tutto sconosciuta e poco comprensibile agli occhi dei nuovi dominatori), che veniva rivendicata dal suo nuovo signore, Filippo V, il quale nella clausola 10 del trattato di cessione della Sicilia rimarcava ed anzi ampliava tale giurisdizione estendendola ad ogni causa riguardante i beni confiscati ed attribuendola ad una sua apposita giunta formata da ministri da lui nominati. Tutto ciò lede fortemente la sovranità siciliana, e sarà uno dei punti di maggiore attrito tra la corona ed il sovrano spagnolo43 .

41 Tra questi troviamo l'avvocato fiscale del Tribunale del Real Patrimonio Antonino Virgilio, l'avvocato fiscale del Tribunale della Regia Gran Corte Ignazio Perlongo ed relativo presidente

Casimiro Drago, autori del parere analizzato nel terzo capitolo di questo lavoro. 42 In virtù del privilegio di Re Martino I dato Bernardo Caprera del 1392 (Cfr. Supra, p.) e confermato con nel 1451, il contado godeva del mero, misto e massimo imperio esercitato tramite una gran corte, una corte di appellazione di I e II grado ed una corte arbitrale; ciò dava luogo ad un sistema giudiziario parallelo ed indipendente da quello del Sovrano. 43 Infra p.

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