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3.2.3 Solo il Re può concedere dilazioni e moratorie
privilegio del contado”, sono state costrette a rinunciare84 al foro privilegiato e ad eleggere non già quello della Gran Corte del contado, come versimilmente si potrebbe ipotizzare, ma direttamente quello del Procuratore Generale di Sua Maestà Cattolica, come una supposta corte superiore, che in lui risiede, a somiglianza di quelle elezzioni che nei Regni, ed in Sicilia, si danno dell'alto foro del Prencipe che governa per via della Gran Corte.
Gli autori, con tono di stupore, affermano come una tale operazione risulta essere contraria in primis al buon senso, ed alle sacre leggi del Regno, così per come esposte in apertura della trattazione, ma soprattuto contarie alle prassi che si sono osser vate nello stesso Contado. A sostegno di quanto detto non mancano di allegare la fede giurata dell'archivista di Modica Don Ippolito d'Amico data al Barone di Lorenzo85, spedito nel contado “per provare l'usurpamento di tante altre supreme Regaglie”. Tale archivista, infatti, afferma di non aver trovato alcuna declinatoria di giurisdizione a favore del foro modicano nel periodo intercorrente tra il 1700 ed il 1713, anni del breve Regno di Filippo V in Sicilia. Dunque tal pretesa non appare altro che un mero pretesto di lite, come tante altre che abbiamo visto essere sostenute dal Narbona. I nostri Autori con toni pacati concludono ricordando che, se il Procuratore Generale più e più volte ha scritto di doversi osservare i privilegy del contado, ed i trattati d'Utrecht, circa il mantenimento delle cose nello stato in cui trovavasi nel tempo della pace stabbilita,
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allora chiunque potrà ben vedere che le novità non sono per venute dal nuovo governo. La pretesa appare dunque infondata e pretestuosa, e si da per terminato questo punto.
3.2.3 Solo il Re può concedere dilazioni e moratorie
Il terzo argomento che viene affrontato è rappresentato dalla potestà di concedere la dilazione o la moratoria di una obbligazione, a cui corrisponde la sospensione de “l'esercizio delle azzioni esecutive che da quei gli nascono”. Anche questa potestà è inquadrata tra i privilegi spettanti al solo sovrano, posto
84 Il testo riporta le parole dell'atto di rinuncia, che sono: “Vegine privilegiata decliando ogn'altero foro ed eligendo quello di detto illustre Amministrador Generale e sua Corte
Superiore”. 85 Cfr. Supra, p. 37.
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che solo tale autorità, opportunamente “supplicata” da un qualsiasi vassallo, potrà ingersi in suo favore nel rapporto privatistico debitore-creditore accordargli questi benefici.
Comunemente agli altri punti, il primo argomento che viene posto a sostegno di questa tesi sta nella ragion comune; infatti è nel buon senso di chiunque - si evince dal testo – ritenere che nessuno possa intromettersi in un rapporto obbligatorio tra due o più soggetti, salvo una superiore autorità che altro non può inquadrarsi se non nella figura del Principe, che lex animata in terris est. Fatta questa breve precisazione, ci si avvia nella ricerca di un fondamento normativo di questa prassi, che ben pare essere fondata su le antichissime leg gi 86 di Costantino, le quali prevedono che un magistrato (nel caso originario rappresentato da un Prefetto del Pretorio) possa accordare dilazioni o moratorie solo ed esclusivamente in presenza di un rescritto dell'Imperatore che sia la risposta ad una “preghiera” spedita da un suddito supplicante.
Tale Regia competenza non varia in relazione alla diversa condizione dei ricorrenti, siano essi diretto vassallo del supremo Prencipe, o immediatamente suddito de i lui feudatary, ma [si considera] solamente la sovrana autorità di chi ha il potere di concedere simili rescritti.
Ciò trova espressa previsione in un provvedimento87 degli Imperatori Teodosio ed Onorio, che addirittura estendono la possibilità di supplicare il sovrano non solo a qualsiasi suddito, sia esso vassallo diretto o feudatario, ma senza alcuna distinzione di “uomo libero o ser vo di chi porge le preghiere”, dovendosi solo guardare che “venghi dall'Imperadore accordato il rescritto”.
Per quanto antico sia il fondamento di questa regalia - gli autori ci ricordano – mai è stata messa in dubbio da alcuno, ed anzi godendo della communis opinio88 l'idea
86 Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 147. 87 “Oggi compilato come una delle leggi sotto al titolo sopra riferito”, Cfr. Nota 86. 88 Troviamo un numero molto alto di riferimenti a giuristi italiani, tra cui G. F. SANFELICE,
Supremorum tribunalium Regni Neapolitani decisionis et praxis judiciaria, Lione 1675, dec. 305; G. B.
FENZONIO, Annotationes in statuta siue ius muncipale romanae Urbis, Roma 1568, Cap. 262 n. 21;
F. ARIAS DE MESA, Variarum Resolutionum e interpretationum Iuris, Genova 1663, lib.3, Cap. 41, n. 26; G. B. ANTONELLO, De. Temp. Legal. Lib., Cap 62 n.21 – 25; O. LEOTARDO, De
Usuris et contractibus usurariis, Venezia 1655, Quaest. 88; W. A. FRAUDEMBERG (DE),
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che spetti “al solo Prencipe l'autorità di concederle”. Tra questi, una voce particolarmente autorevole è quella di Antonio Tesauro, che nelle sue decisioni89 in relazione alle
materie reputate come indubbie de' debitori morosi, lascia un positivo insegnamento che simile potestà di concederle, non sia competente a i vassalli, che in Sicilia sentiamo per i Baroni, e Feudatari, ma che tocchi alla sola autorità suprema del Prencipe.
Per cui qualunque sia il titolo che un feudatario porti, sia esso “Duca, Conte o Marchese e simili, cui dal sovrano sono state concedute terre castelli e feudi in investitura, anche coll'uso della giurdizione”90, è indubbio – affermano i saggi Autori – che le “leg gi comuni” pongano questa potestà esclusivamente in capo al Sovrano, unico detentore del supremo imperio e sog getto soltanto a Dio.
Se questo punto è chiaro ed incontestabile, così come affermano gli autori sorreg gendo la loro tesi con un ricco patrimonio dottrinale, con tono di sfida invitano a contraddire tale assunto producendo un privilegio feudale che disponga in senso contrario; ma “finattanto che non sarà prodotto un privilegio di tal tenore, sarà forza ch'ognuno lo confessi e […] reputi [chi lo sostiene] da usurpatore” delle regie potestà. Ma anche se fosse - concludono consci di ripetere quanto già affermato nei precedenti punti le concessioni de' feudi e de' meri misti ancorché generalissime non sono bastevoli a far trasferire né concessionari quelle Regalie e prerogative che sono dell'alto impero del Prencipe, che concede oltre a quanti ne abbian riferito nel precedente articolo, potran rivedersi al proposito.
Conclusa la trattazione teorica, si cerca di applicare quanto elaborato al feudo di Modica. Anche in questo caso ancora una volta viene ripresa la stessa argomentazione utilizzata nei punti precedenti, per cui nel privilegio del 1392 non solo manca potesi leggere una positiva ed espressa concessione di tal suprema Regaglia, ma ne pure trovasi una clausola cui possa darsi senzo anche storto per poterla sentir compresa
Tractatus de Rescript. Morat., Concl. 11, n.5, ed altri. 89 A.TESAURO, Novae decisiones Sacri Senatus Pedemontani, Decis. 182. 90 Gli autori citano: L.M. APICELLA, Tractatus Absolutissimus de Dilatione quinquennali, Napoli 1621, Tit. 2 n°2, dixit quod qui recognoscunt supreriorem ut sun duces marchiones et aly hanc dilationem gratiosam concedere non possunt, solum enim qui non recognoscunt superiorem potestatem hanc habent, illi enim omites qui de facto non regonoscunt superiorem sed regonoscunt semetipsos absque vicariatu iperatoris, sed proprio quia abtinere principatum supremum in corum territorio et loco principis habentur, possunt sicunt princeps han dilationem concedere.
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accompagnata dalla ridondante osser vazione che nessun giurista mai ha affermando che questa grazia possa essere concessa da un sog getto diverso dal Principe regnante91
Ma i nostri Giuristi non si fermano qui, perché così facendo l'impianto argomentativo risulterebbe troppo scarno e poco originale rispetto a quanto detto in precedenza; infatti ricordano che a distanza di qualche anno dal privilegio del Caprera (1392), si svolse a Catania un parlamento (1395) per volere del Re Martino I in cui “stabbilì una leg ge92 og gi compilata nelli capitoli del Regno al capo 34 in cui comanda che le Regaglie toccanti alla corona dovessero esattamente osser varsi ne da ciascuno offendersi, che vuol dire usurparsi.” A questa previsione di portata generale, se ne ag giunge un'altra deliberata nel parlamento riunito in Palermo nel 1433 dal Re Alfonso il Magnanimo, le cui parole post[e] al capo settanta uno delle prime leggi del Re Alfonzo [affermano]:
Hac nostra generali lege, per omnia Regni loca valitura statumus et ordinamus comites, barones et feudatarios delicto aliquo, vel debito fatigatos affidare seu assecurare non posse,
[dovendosi intendere] questi affidamenti per i debbiti civili [...] le moratorie di cui parliamo.
Dunque per previsione generale del 1395, e particolare del 1433, nessun feudatario del Regno potrà mai potrà esercitare tale regalia, posto che le delibere dell'assemblea trovano la di
lei forza [….] [non] solamente dall'Alta podestà del Re legislatore, ma dal consenzo di tutti i feudatari convocati ed intervenuti nel parlamento fra i quali intervenne il Conte di Modica.
Nessuno dunque potrà dubitare della validità di questa previsione, essendo stata recepita da un dettato normativo deliberato da un'assemblea a cui anche il Conte di Modica presenziò e “tacque senza farne alcun reclamo”.
91 Dilationes isteque conceduntur ex sola gratia, solus princeps concedit non inferiores, Cfr. Appendice B, Doc.
III, p. 150. 92 Così sancisce la legge: Quapropter regales preeminentiaset prerogativas antiquas ut sane memorie pro ut sunt nemora, saline, maris, et alia regalia ad culmen nostrum de jure spectantia illesa ab ominbus iubemus observari.. Cfr. Appendice B, Doc. III, p.150.
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