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Adriatico
Recco che, agli ordini dell’ammiraglio Da Zara, dirigevano per Malta. La corazzata King George V e alcuni caccia uscirono di formazione e seguirono a distanza le navi italiane. Alle 18:56 le navi italiane furono attaccate da quattro velivoli tedeschi senza conseguenze. Alle 18 del 10 le navi italiane gettarono l’ancora nelle acque maltesi e l’ammiraglio Da Zara, in assenza dell’ammiraglio Bergamini, assunse il comando delle navi italiane presenti. Intanto le mine seminate in Mar Grande iniziarono a mietere le loro vittime: il posamine britannico Abdiel, alle 22:30 del 9 settembre, fu scosso da una violenta esplosione che ne provocò l’affondamento in circa due minuti. Nonostante molti uomini a bordo fossero in coperta per cercare refrigerio al caldo opprimente, perirono 48 dei 230 membri dell’equipaggio e circa 120 dei 435 militari della 1a Divisione Airborne trasportata, che perse anche alcuni dei suoi pezzi di artiglieria. Intervennero numerosi mezzi navali italiani, fra cui la nave ambulanza Marechiaro, subito salpata dal Mar Piccolo, e molti feriti, anche gravi, furono ricoverati negli ospedali militari e civili della città. Il 22 settembre fu la volta del rimorchiatore Sperone, con a bordo 150 fra marinai e camicie nere che si recavano a terra dall’isolotto di San Pietro e che perirono tutti. Nei successivi quindici giorni di operazioni di dragaggio (durante le quali, il 24 settembre, affondò anche il motodragamine britannico MMS 70, con altre vittime fra i suoi venti membri dell’equipaggio) furono rimosse 21 fra bombe e mine.
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Le azioni in Adriatico furono caratterizzate dal movimento delle navi – che, dai porti del nord, diressero verso quelli del centro, e poi verso Bari e Brindisi – e dai tentativi delle navi e degli uomini di base sulla sponda orientale di raggiungere quella italiana, diretti, dapprima verso Venezia e Ancona e, successivamente, verso i porti pugliesi. Data la situazione che vi era in Istria con la presenza di reparti partigiani iugoslavi, era in corso il trasferimento da Pola dell’importante centro addestrativo e scolastico della Marina presente, verso il Veneto. Alcuni reparti avevano già raggiunto Venezia. Le basi di Trieste, Pola, Fiume, Venezia e Ancona rimasero libere fino a quando la preponderanza delle forze tedesche non consigliò di raggiungere accordi di cessazione del fuoco. La resistenza fu sporadica e non organizzata.
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L’8 settembre lasciarono Trieste per Pola le navi scuola a vela Vespucci, Colombo, con a bordo gli allievi della 2a classe dell’Accademia Navale, e Palinuro, che proseguirono il mattino successivo verso sud, dirette a Cattaro. La sera del 9 il Palinuro (capitano di fregata Ugo Giudice) fece avaria e, dopo riparata, decise di entrare a Ortona per rifornirsi. Le altre due navi, avendo avuto notizia della caduta di Cattaro, diressero, dapprima, verso Venezia, poi, in relazione alle informazioni che giungevano, per Brindisi, dove giunsero la sera del 13. Il Palinuro giunse a Ortona la sera del 9. La città stava per essere occupata dai tedeschi e la nave fu sabotata e l’equipaggio si allontanò; alcuni uomini dell’equipaggio raggiunsero il Sud su imbarcazioni da pesca. La nave, successivamente, fu fatta saltare dai tedeschi.
Trieste cadde subito. La mattina del 9, tentando di lasciare la città, la corvetta Berenice (tenente di vascello Antonio Bonelli) fu affondata all’imboccatura del porto dal fuoco delle artiglierie tedesche poste sui moli e sulle navi mercantili in porto. Morirono il comandante e alcuni membri dell’equipaggio.(39) Le torpediniere Audace e Insidioso, provenienti da Pola, furono fatte segno a colpi di cannone; l’Audace diresse per Venezia, mentre l’Insidioso rientrò a Pola. Tutte le navi presenti in grado di navigare lasciarono Pola prima dell’arrivo dei tedeschi. La corazzata Giulio Cesare (capitano di fregata Vittore Carminati) partì con la scorta della torpediniera Sagittario e della corvetta Urania. Da questa base partì la corvetta Baionetta, (40) che a mezzanotte del 9 imbarcò, a Ortona, parte del governo e la famiglia reale, dirigendo verso un porto pugliese; avuta notizia dei combattimenti in corso a Bari fu deciso di proseguire per Brindisi. A mezzanotte del 9 partì il piroscafo passeggeri Eridania, con a bordo 1200 persone, in gran parte personale delle Scuole Sommergibili e Motoristi Navali e loro familiari; la nave diresse per Sebenico, da dove ripartì il mattino del 10 diretta a Bari, a mezzogiorno fu dirottata da tre Stukas a Zara, dove giunse alle 15, dopo che la città era stata già occupata dai tedeschi. Ripartì per Fiume la mattina del 14, dopo aver imbarcato 200 profughi civili, e giunse nella città la sera alle 17:30 trovando la città non ancora occupata dai tedeschi. Fu di nuovo catturata il 16, e il 18 partì per Pola, dove imbarcò circa 500 soldati
(39) Secondo una testimonianza, su 85 presenti a bordo, furono recuperati 45 naufraghi, di cui alcuni in gravi condizioni. Alle operazioni di salvataggio prese parte anche una diesel-barca della corazzata Cavour, che portò in salvo 18 sopravvissuti.
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sbandati. Il 19 la nave diresse alla volta di Venezia, dove giunse il pomeriggio stesso con a bordo circa 2000 persone che, una volta sbarcate, furono fatte proseguire in treno per i campi di concentramento tedeschi. La sera dell’11 partì da Pola la nave sussidiaria Verbano, con a bordo le famiglie degli ufficiali e dei sottufficiali della base; la nave giunse a Venezia la mattina del 12 alle 06:30, per ripartire, successivamente, per Pola, città che venne occupata dai tedeschi alle 15 del 12 settembre. Alle 06:30 del 10 settembre il comando della 2ª Armata lasciò Fiume sul panfilo Daino e, alle 12:30, raggiunse Lussinpiccolo. Fiume fu occupata, dapprima, da forze partigiane iugoslave e, il 16 settembre, dai tedeschi. Le navi in grado di farlo si allontanarono; partirono, così, l’incrociatore ausiliario Mocenigo, i sommergibili Otaria, Ruggero Settimo e Ametista e la nave appoggio Quarnerolo, con tutto il personale della Scuola Sommergibili, che raggiunse Brindisi. Partirono anche otto piroscafi (tre con personale della 2ª Armata; lo Iadera con il tesoro della Banca d’Italia, che sbarcò ad Ancona; altri con il personale e il materiale delle unità che non potevano prendere il mare). Nella base vi erano altre unità ai lavori (cacciatorpediniere Pigafetta, torpediniere Dezza e T 3), che erano approntabili in meno di tre mesi e che furono sabotate. Si procedette anche a danneggiare le unità in costruzione (Spica, Fionda, Balestra e Stella Polare).
Venezia rimase libera fino al 12 settembre. Qui giunse da Trieste, poco prima della mezzanotte del 9 settembre, la motonave Saturnia, che imbarcò i 635 allievi della terza classe dell’Accademia Navale, sgombrati da Livorno, e i concorrenti alla prima classe, assieme a tutto il corpo insegnante, agli istruttori e inquadratori e agli inservienti. La nave partì alle 12:30 del 10, giungendo davanti a Brindisi nel pomeriggio del 14; avvicinata dal sommergibile polacco Sokol (capitano di corvetta G.C. Koriolkowski), le fu consigliato di proseguire per Taranto. Ripresa la navigazione, la nave iniziò a zigzagare lungo la costa, per sfuggire a eventuali sommergibili, e andò a urtare uno scoglio, incagliandosi. Tutto il personale dell’Accademia Navale fu trasferito su rimorchiatori prontamente inviati da Brindisi e, dopo una navigazione di qualche ora, sbarcò in tale porto e fu trasferito nei locali del locale Collegio Navale. Le lezioni dell’Accademia ripresero regolarmente fin dal giorno successivo. Il Saturnia fu disincagliato il 19 settembre.
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Trieste, 8 settembre, ore 16:10. Partenza del Saturnia da Trieste per Venezia, assieme alla gemella Vulcania. La nave ha i segni distintivi per la missione umanitaria speciale di trasporto degli italiani dall’Africa Orientale. Giungeranno a Venezia verso le 22.
Nell’isola di Brioni Maggiore (Pola) vi era la sede distaccata dell’Accademia Navale, che ospitava 735 allievi del IX Corso Preliminari Navali (P.N.) e il personale militare e civile, a loro addetto, con 23 ufficiali e le loro famiglie. Il comandante, capitano di vascello Enrico Simola, la mattina del 9, poiché la linea ferroviaria per Trieste era stata interrotta dai partigiani slavi, si recò in volo, con un idrovolante, a Venezia, assieme al capitano di vascello Ugo Salvadori, capo di stato maggiore del Comando Marina Pola, per prendere ordini, rispettivamente, dal comandante dell’Accademia, ammiraglio Bacci di Capaci e dall’ammiraglio Brenta, appena giunto per assumere il comando del Dipartimento. Il comandante Simola fu informato che il Vulcania sarebbe stato inviato a Pola, per imbarcarvi il personale e trasferirlo al Sud. I due ufficiali rientrarono rapidamente a Pola. Il Vulcania partì il 10 alle 01:06 giungendo alle 06:24 nel Canale di Fasana. Immediatamente iniziò, con l’aiuto degli allievi, l’imbarco del materiale, che proseguì con l’imbarco del personale. Intanto alcuni allievi e parte del personale civile iniziò ad allontanarsi. Successivamente, il comandante Simola, non fidandosi della fedeltà dell’equipaggio civile della
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nave, ed essendo questa senza scorta, decise lo sbarco del personale, e la nave, verso le 22, fu fatta incagliare, per renderla inservibile. La decisione ebbe gravi conseguenze, perché i tedeschi catturarono circa 600 allievi, che furono trasportati, in condizioni inumane, con pescherecci a Pola, e il 23 settembre stipati sulla petroliera Regina. La nave partì il 24 alle 8, giungendo alle 17 a Venezia, alla Stazione Marittima, dove erano attesi da una lunga fila di carri bestiame. Il personale fu fatto sbarcare e trasferito nei carri ferroviari. Alcuni riuscirono a fuggire. Alle 20:30 il treno partì. Passata Treviso il treno, il 25 mattina, giunse a Tarcento, e alcuni allievi, in borghese si allontanarono. Alle 11 il treno giunse a Tarvisio. Qui i vagoni con gli allievi furono staccati e proseguirono per il campo di concentramento XVIIIC di Markt Pongau (Stammlager 317), in Austria. Gli altri vagoni, lungo l’itinerario MonacoNorimberga-Wüzburg-Fulda, arrivarono a Ziegenheil. A Markt Pongau i circa 585 allievi furono sottoposti alla solita propaganda per l’arruolamento, e una trentina accettarono. Una settantina furono impiegati in vari Arbeitskommando in Austria. Gli altri furono trasferiti, in pieno inverno, a Meppen, presso il confine olandese, e a Münsingen per essere impiegati nelle fabbriche della Ruhr e di Duisburg. Alcuni degli aderenti furono inviati alla Spezia dove, dopo la presentazione al comandante Borghese, solo pochi furono effettivamente impiegati nelle Forze Armate repubblicane. Alcuni degli allievi sfuggiti alla cattura a Brioni presero parte alla lotta partigiana. I morti accertati furono 46, e 109 i dispersi. Il comandante Simola il 2 ottobre iniziò il viaggio verso Przemysl, dove giunse il 7. Il 29 fu trasferito a Tschenstochau. Il 12 agosto 1944 fu trasferito nel campo di Norimberga; il 2 febbraio 1945 nel campo di Gross Hesepe, rientrando in Italia verso ottobre. Le navi che all’atto della resa erano ancora in porto a Venezia caddero in mano tedesca senza essere danneggiate per espressa richiesta avanzata durante le trattative di resa. Ad Ancona vi era un Comando Marina retto dal capitano di vascello Umberto Menegali. Nei cantieri vi erano unità in costruzione e in allestimento e, in disarmo, il panfilo reale Savoia. La capitaneria di porto era retta dal colonnello delle C.P. Carlo Pumo. In porto si trovavano i CB 11 e 12 e dodici dragamine ausiliari della Flottiglia Dragamine su tre squadriglie. Ad Ancona giunsero da Venezia, dall’Istria e dalla sponda orientale adriatiche varie unità militari e mercantili. Alle 07:30 dell’8 giunse la nave ospedale Principessa Giovanna, che ripartì il 10 sera. Fra l’ 8 e il 14 settembre da Ancona transitarono sette unità navali: 2 sommergibili, Ametista e Serpente; 3 MAS, 432, 451, 516; 2 navi ausiliarie, S 88 e F95 San Giorgio, oltre a due rimorchiatori (Nettuno e
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