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La Resistenza militare
elementi della Resistenza, in particolare con il marchese de Medici, capo di una banda partigiana del grossetano, che gli consegnò un messaggio da portare agli Alleati. Il 2 dicembre, con due renitenti alla leva, partì in treno per Roma, ma la corsa terminò a Chiusi. Qui Makaus incontrò il capitano di corvetta Luigi Vivaldi che, sorpreso all’armistizio a Bologna, aveva cercato di andare al Sud partendo da Cattolica, con mezzi marittimi, ma non vi era riuscito e ora cercava di raggiungere anch’egli Roma. I due si dettero appuntamento a Roma e si separarono. Vivaldi raggiunse rapidamente la meta; Makaus e i suoi compagni finirono nella zona di Avezzano e, successivamente, dopo numerose peripezie, raggiunsero una frazione di Littoria, Pisterzo; constatata l’impossibilità di proseguire verso il Sud via mare, si recarono a Roma, dove giunsero il 22 dicembre. Dopo aver incontrato Vivaldi, i tre tornarono a Pisterzo, il 23, dove furono raggiunti dal comandante Vivaldi il 26. Il giorno dopo effettuarono una ricognizione del Circeo e stabilirono di tentare la traversata fino a Ponza, distante circa 18 miglia; acquistarono una barca da un pescatore che, poi, ci ripensò. Con l’aiuto della banda di patrioti del Circeo, comandata dal capitano Queirolo, i quattro tentarono di raggiungere Terracina, camminando lungo la costa. Mentre pernottavano in albergo furono arrestati da una ronda della Gestapo e portati a Littoria, in camera di sicurezza; si fecero passare per borsari neri e furono rilasciati il mattino dell’11 gennaio con fogli di via obbligatori per Bologna e Fiume. Appena liberi tornarono nella zona del Circeo e furono forniti dai patrioti di una guida di fiducia, che non solo li tradì, rivelando la loro identità e le loro intenzioni, ma tradì anche Queirolo. Makaus e Vivaldi furono trasportati con un camion tedesco a Roma e internati a via Tasso e, subito dopo, nel III braccio del carcere di Regina Coeli, sorvegliato da personale tedesco, ove rimasero 104 giorni, sopravvivendo, fortunosamente, alle vicende legate alla scelta delle vittime delle Fosse Ardeatine. Il 26 aprile 1944 furono rilasciati. Si misero in contatto con il Fronte Clandestino Militare per il quale operarono raggiungendo il Distaccamento Marina il 5 giugno.
La Resistenza militare
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Nella prima parte della campagna d’Italia, particolare importanza aveva la situazione nel Lazio e a Roma. Fin dai primi di ottobre 1943, la presenza a Roma e nell’Italia occupata dai tedeschi di moltissimi militari in grado di condurre operazioni di guerriglia fece venire l’idea, al colonnello del Genio Militare, in servizio di stato maggiore, Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, in stretto collegamento, con il Comando Supremo italiano, di costituire
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Il capitano di fregata Jerzy SAS Kulczycki, capo del VAI, fucilato a Fossoli il 14 luglio 1944.
un Fronte Clandestino Militare, che agisse secondo scopi militari e non politici come quelli indicati dai neo costituiti partiti politici. La stessa cosa fece il capitano di fregata conte Jerzy (Giorgio) SAS Kulczycki, Ammiraglio Orione, Sassi Ducceschi. Questi era stato imbarcato sulla corazzata Littorio e, quindi, destinato a Trieste, al riallestimento della corazzata Cavour. Nel mese di agosto fu trasferito alla Difesa di Venezia, dove si trovava all’armistizio. Sfuggito alla cattura, con alcuni compagni d’arme si allontanò dalla città raggiungendo Sacile e poi le montagne, cominciando a organizzare reparti di militari sbandati in Veneto; i rastrellamenti tedeschi lo costrinsero a spostarsi a Treviso e poi, in ottobre, a Montebelluna. In ottobre si tenne a Bavaria, nel Trivignano, un convegno, cui presero parte politici di tutte le tendenze, volontari civili, ufficiali; la discussione si sviluppò attorno al tema della costituzione di un vero e proprio esercito clandestino, con gerarchia riconosciuta e rispettata, e l’idea comunista (appoggiata anche da altri) della istituzione di piccole cellule armate, dipendenti dai partiti politici, ciò che avrebbe escluso dalla lotta i così detti “apolitici”, che intendevano combattere non per un partito, ma per la libertà e la democrazia. Il Convegno nominò Comandante generale delle Forze Armate della Patria (FADP) il comandante Kulczycki. Ad esse aderirono numerosi ufficiali, specie degli alpini e di cavalleria. Dopo la nomina, Kulczycki sviluppò un progetto di organizzazione e di regolamento e prese contatto con numerosi ufficiali, fra cui il tenente di vascello Arrivabene Valenti Gonzaga. Il 20 novembre Kulczycki si trasferì a
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Venezia. Il suo progetto incontrò molte opposizioni e si giunse a un accordo sulla base del quale Kulczycki fu inserito nel Comitato di Liberazione Nazionale, come consulente militare. La sua opera fu però bruscamente interrotta per l’arresto, il 22 dicembre 1943, a Venezia, di alcuni suoi collaboratori e il sequestro di molto materiale relativo alle FADP. Trasferitosi a Milano, Kulczycki diede vita ai Volontari Armati Italiani (VAI), un corpo concepito e voluto come un unico blocco di tutte le forze patriottiche con caratteristiche esclusivamente militari e apolitiche; il Comando Supremo, con messaggio trasmesso dalla Stazione Radio di Bari, lo nominò capo di stato maggiore della nuova organizzazione. Nella sua azione di allargamento dell’organizzazione, Jerzy (Giorgio) SAS Kulczycki, Ammiraglio Orione, Sassi Ducceschi, prese contatto con il tenente di cavalleria Aldo Gamba, tenente K., appartenente alla rete informativa nota come Reseau Rex, per cercare di fare entrare nel VAI le Fiamme verdi, le formazioni armate degli alpini organizzate e comandate dal generale degli alpini Luigi Masini, Fiori, già molto noto negli ambienti partigiani. Masini, di tendenze repubblicane, si dichiarò contrario all’iniziativa. Poiché però il VAI poteva essere una buona fonte di informazioni, Gamba si mise in contatto con Kulczycki. Il VAI ebbe diramazioni in tutta l’Italia settentrionale. Che il VAI abbia avuto una sua notevole importanza, in seguito del tutto ignorata dalla storiografia della Resistenza, è detto dallo stesso Ferruccio Parri, Maurizio, uno dei capi del C.L.N.A.I., vice-comandante del C.V.L., che, nel suo libro Scritti, a pagina 563 dice: “… Aspetti particolarmente preoccupanti derivano per noi dai tentativi insistenti condotti da parte della monarchia, nel Nord, di seminare zizzania, di dividere, di prendere il controllo delle nostre organizzazioni. Si cercò di formare anche un esercito monarchico antagonista del nostro; fu il VAI dei volontari monarchici, che finì un po’ perché riuscimmo a neutralizzare il tentativo, un po’ perché i tedeschi arrestarono e ammazzarono il bravo comandante Kulcsyski che era alla loro testa. Ma il pericolo fu serio.” In tale frase due sono i punti che meriterebbero un ulteriore approfondimento: riuscimmo a neutralizzare (come?), e il pericolo fu serio. Il VAI, il cui regolamento fu approvato a Genova, all’inizio del 1944 previde anche l’inserimento di personale civile, e sembra raggiungesse la consistenza non trascurabile di 5000 uomini, che svolsero un ampio servizio informativo a favore delle Armate alleate e operarono con attività di guerriglia e di sabotaggio. Due altri motivi rinforzano la convinzione che si trattasse di un’organizzazione seria e importante: l’interessamento personale del sotto segretario di stato per la Marina della Repubblica Sociale, comandante Ferrini, che ritenne opportuno segnalare ai tedeschi l’attività del comandante
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Kulczycki, e la grossa taglia (inizialmente mezzo milione e, successivamente, un milione di lire) che fu messa sulla testa dello stesso comandante. Nel marzo 1944 a Genova si intensificarono gli arresti dei collaboratori di Kulczycki, ma egli continuò nella sua opera mettendo a punto il piano di sabotaggio della città e dei suoi impianti ferroviari, piano che doveva essere attuato dalle sue formazioni agli inizi di giugno. Nell’organizzazione si infiltrò una spia, un certo Secchi che, per soldi, fece arrestare dalle SS, a Genova, il 31 marzo, altri collaboratori vicini a Kulczycki. Caddero in mano tedesca, per loro imprudenza o per delazione, anche tutti i capi del VAI milanese. Lo stesso tenente Gamba fu arrestato a Milano, il 17 aprile, da una squadra della polizia italiana alle dirette dipendenze delle SS. Messo nel raggio tedesco del carcere milanese, Gamba riuscì a fuggire, il 22 maggio 1944, riprendendo la propria attività informativa. Alcuni dei dipendenti di Gamba furono a loro volta arrestati, fra questi il sottocapo di Marina Antonio Di Pietro che, con il cugino Armando e l’altro sottufficiale di Marina, Renato Mancini, furono fucilati a Fossoli nel luglio del 1944. Kulczycki fu catturato a Genova, il 15 aprile 1944, e subito trasferito nel carcere di San Vittore a Milano, da dove riuscì ancora a continuare la sua opera di fervente patriota. Fu successivamente trasferito nel famigerato campo di concentramento di Fossoli, ove resistette a tutte le torture e fu fucilato il 14 luglio 1944. Fu decorato di Medaglia d’Oro al Valore Militare alla memoria. Il Comando Supremo italiano inviò, il 10 dicembre 1943, le “Direttive per l’organizzazione e la condotta della guerriglia”,(85) che prevedevano la suddivisione del territorio italiano in mano tedesca in sette Comandi Bande Militari (Piemonte-Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna-Toscana, Umbria-Marche, Lazio-Abruzzo, Roma); le direttive si riferivano anche all’organizzazione delle bande, ai collegamenti e all’amministrazione. Sulla base di quanto in esse contenute, il Comando Supremo fornì sostegno morale e
(85) Comando Supremo, N. 333/OP, 10 dicembre 1943. Il testo completo (firmato dal capo di stato maggiore generale, maresciallo Messe, comprendente una parte generale, l’organizzazione e azione delle bande, il finanziamento, l’amministrazione, i collegamenti, il servizio informazioni militari sul nemico) è riportato in allegato n. 1 al libro L’azione dello Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione”, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito-Ufficio Storico, Roma, 1975. Tale libro era già pronto il 1° maggio 1945 e doveva costituire la “relazione” dello stato maggiore generale sulla sua attività nei confronti del Movimento di Liberazione, ma non fu pubblicato che nel 1975! L’ordine prevedeva che gli appartenenti alle bande partigiane militari, in tutta la parte d’Italia ancora occupata dai tedeschi, fossero considerati come appartenenti alle Forze Armate italiane e, quindi, combattenti regolari in servizio militare, in zona d’operazioni.
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