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Le missioni speciali

materiale al movimento e, in seguito, istituì anche una speciale sezione dei Servizi Segreti per appoggiarlo. Furono inviati agenti, apparati radio e operatori per organizzare un’articolata rete informativa e di sabotatori che contribuissero a individuare i bersagli da colpire (anche nei bombardamenti aerei) e contribuissero, a loro volta, a danneggiare le vie di comunicazione (ferroviarie e stradali) tedesche. A Roma e nel Lazio, al Fronte Clandestino Militare, si collegarono i fronti clandestini della Marina, dell’Aeronautica, dei Carabinieri e delle Fiamme Gialle, da cui dipendevano numerose bande (della Pilotta, generale Filippo Caruso, le bande di Montesacro-Sant’Agnese, dei Castelli, Soratte, Gran Sasso). Lo stretto collegamento delle azioni del Fronte con quelle militari, e a esse subordinandole, fece sorgere divergenze con la conduzione politica che riteneva il comportamento dei militari attendistico, mentre i politici pensavano di poter provocare il crollo tedesco con le azioni di guerriglia anche urbana. Non fidandosi delle organizzazioni indipendenti, gli Alleati inviarono propri agenti a Roma per controllare e guidare i movimenti partigiani mentre continuavano l’opera di invio di missioni speciali in Liguria, Toscana, Emilia e Venezia Giulia allo scopo di costituirvi organizzazioni partigiane principalmente con scopi informativi (Otto, Franchi, ecc.).

Le missioni speciali

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L’impiego del personale italiano, da parte degli Alleati, avvenne attraverso le cosiddette “missioni speciali”, operazioni condotte da piccoli gruppi di poche persone che raggiunsero, nell’estate-autunno 1944, anche le cinque o sei unità, con un capo missione, in genere un altro uomo e un radiotelegrafista. I nuovi reclutati furono inviati a frequentare un breve corso di addestramento, dapprima ad Algeri, successivamente in Puglia. Il corso, come visto, prevedeva anche l’addestramento al lancio con il paracadute o alla voga. Successivamente il personale, cui veniva dato un nome di battaglia con il quale era noto agli altri frequentatori, veniva selezionato per una certa missione e veniva inviato, a volte con un trasferimento di avvicinamento, nella zona operativa. A ogni missione fu assegnata una identificazione in codice (per esempio Zucca, ORO, Plum). Le missioni inviate in territorio occupato dai tedeschi furono costituite da personale militare e da civili militarizzati; in relazione al loro compito si distinsero in: missioni operative e di collegamento, missioni informative e missioni addestrative.

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Le prime missioni furono inviate nel Veneto, nel Trentino e nella Venezia Giulia (territori che i tedeschi avevano annesso al loro Stato e dei quali avevano l’amministrazione diretta). Successivamente esse ebbero compiti ancora informativi (Veneto, Emilia e Romagna, Toscana e suo arcipelago, Lazio e Roma), ma anche organizzativi (Roma, Milano, Liguria) e di sabotaggio (Liguria, Lazio, Abruzzo). Alle missioni di sabotaggio e informative condotte nell’Adriatico centro-meridionale fu spesso accoppiato un altro compito che per gli Alleati ricopriva un notevole interesse: il recupero del maggior numero possibile degli 85 000 prigionieri (in gran parte britannici) che si trovavano in mano italiana e che erano stati lasciati liberi al momento dell’armistizio. Questi, in piccoli gruppi, con l’aiuto di partigiani locali e della popolazione civile, cercavano di raggiungere le linee alleate. Tali operazioni facevano capo alla AForce, che aveva una propria organizzazione e propri mezzi, con base a Brindisi.(86) Le missioni operative e di collegamento, all’inizio, erano orientate, essenzialmente, all’individuazione delle bande partigiane, segnalandone posizione e consistenza; prendevano contatto con i rappresentanti locali del C.L.N. e dei partiti politici; successivamente dovevano procedere a indirizzare l’attività partigiana in modo da far sì che questa fosse coordinata con quella degli Alleati e delle bande vicine; dovevano indirizzare l’attività di sabotaggio verso obiettivi utili agli Alleati; provvedevano ad avanzare, in genere per radio, le richieste di rifornimenti, organizzando i campi di ricezione degli aviolanci, ricevendo il materiale e provvedendo alla sua distribuzione. Le missioni informative erano costituite, in genere, da un capo missione e un radiotelegrafista e operarono spesso in contatto con organizzazioni partigiane. Le missioni addestrative avevano il compito di addestrare il personale all’impiego degli esplosivi e delle armi per il sabotaggio; esse erano formate da più persone che inizialmente effettuavano un sabotaggio ferroviario o stradale e, poi, si portavano verso la banda partigiana alla quale erano assegnate. Il personale italiano arruolato operava alle dipendenze del S.I.M., della N° 1 Special Force e dell’O.S.S. Il personale della Marina fu impiegato,

(86) Le formazioni partigiane diedero appoggio a circa 5000 ex-prigionieri alleati, cercando di farli arrivare al Sud. Molti ex-prigionieri, specie russi e iugoslavi, preferirono rimanere nelle formazioni partigiane, in parte costituendone di autonome e, in alcuni casi, assumendo il comando della bande italiane. Alla fine delle ostilità furono circa 10 000 i prigionieri rientrati nelle linee, oltre a quelli rimasti nelle formazioni alleate, che ebbero un elevato numero di caduti.

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principalmente, nelle missioni operative e nelle missioni di collegamento (poiché moltissimi dei radiotelegrafisti erano di Marina), e anche nelle missioni di distruzione. In questo ultimo ruolo furono impiegati, soprattutto, gli uomini già appartenenti ai reparti di Nuotatori Paracadutisti (NP) del reggimento Marina San Marco. Inizialmente per il trasporto delle missioni fu preferito il mezzo navale veloce (MAS e motosiluranti), ma volendosi effettuare missioni di trasporto anche di lunga portata e raggiungere le coste dell’Adriatico settentrionale, tali unità, per gli elevati consumi di carburante, poco si adattavano ai lunghi trasferimenti e, allo scopo, furono richiesti e assegnati alcuni sommergibili, con base a Brindisi. Già dalla fine del 1943, fu chiaro che era più facile e redditizio l’impiego, quale mezzo di trasporto, dell’aeroplano e il lancio con il paracadute, anche se questo comportò, spesso, che le missioni fossero lanciate anche a notevole distanza dal punto di previsto effettivo impiego. Nei primi tempi, per motivi contingenti, le missioni furono eseguite senza che sul posto di sbarco vi fosse una ricezione da parte del personale locale; successivamente, con il procedere dello sviluppo della organizzazione partigiana, furono organizzate zone di ricezione e campi di aviazione, utilizzati sia per il lancio degli uomini delle missioni speciali, sia, cosa più importante, per il lancio dei rifornimenti (armi, munizioni, esplosivi, vestiario) per le formazioni partigiane. Furono quindi anche organizzati punti marittimi specifici di sbarco a Voltri (Molo ILVA), Camogli (immediatamente sotto la frazione di San Rocco),(87) Cervo e Buca dei Corvi (Castiglioncello, Livorno), per la ricezione del personale e di materiali trasportati dalle basi navali della Sardegna e della Corsica, destinati alla Liguria, alla Toscana e alla costa provenzale. In Adriatico furono impiegate, come base di partenza, in successione, le basi navali di Brindisi, Manfredonia e Termoli. Nella zona adriatica operò anche l’O.S.S. con le missioni di distruzione e con le missioni in appoggio della guerriglia iugoslava e greca. Così le unità navali da guerra italiane furono anche impiegate nel supporto (con armi, munizioni, uomini e denaro) alle operazioni in Grecia e Iugoslavia, e portarono indietro uomini delle Forze Armate inglesi e americane, nonché prigionieri

(87) Il punto di sbarco a Camogli, Punta Chiappa, fu organizzato da Prospero Casteletto, Baciccia, ufficiale di Marina. Costui fornì anche informazioni, in particolare sulla presenza tedesca a Livorno e diede le notizie necessarie per condurre un attacco contro quel porto al fine di sventare un tentativo di attacco navale diretto contro il porto di Napoli.

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