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La Resistenza dei prigionieri. Prigionieri in mano tedesca

sergente Renato Mazzagalli, la compagnia partecipò all’attacco contro l’isola di Brazza. Successivamente, a fine giugno, fu costituito il battaglione Antonio Gramsci, con una forza di circa 600 uomini. Nelle operazioni condotte il reparto ebbe circa 350 caduti. Anche nella fanteria di Marina (Mornaricka Pjedadije) furono arruolati marinai italiani. Fra il 3 e il 4 aprile 1945, la 9ª divisione e tre battaglioni di fanteria di Marina sbarcarono sull’isola di Pago, che conquistarono il 5. Tra i friulani e gli istriani della fanteria di Marina si ebbero 34 caduti e 73 feriti. Per le operazioni finali in Istria venne costituito, il 7 aprile 1945, il Kvarnerski Odred, su quattro battaglioni di fanteria di Marina, con molti marinai italiani; esso partecipò, sempre in appoggio alla suddetta 9ª divisione, alla presa delle isole di Veglia (17 aprile), di Cherso e Lussino (19-20 aprile), Bersezio e Moschiena (24-25 aprile), Dignano (1° maggio), conquistando Pola il 6 maggio. Il 13 maggio 1945, il reparto venne disciolto. In operazioni di assalto e di sbarco caddero i marinai Ferdinando Bader, Emeran Cernic, Luigi Leghissa, Francesco Marin, Luigi Postagna. Dall’Italia, durante la campagna di liberazione, furono trasportate in Iugoslavia 45 450 t di armi e rifornimenti; in Italia furono evacuati e curati circa 16 000 feriti partigiani e 70 000 civili. La Marina partigiana, divenuta il 1° marzo 1945 Marina Iugoslava (Jugoslavenska Mornarica) terminò le ostilità con una forza di circa 16 000 combattenti e 550 imbarcazioni con molti marinai italiani.

La Resistenza dei prigionieri Prigionieri in mano tedesca

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Stando allo studio di Gerhard Schreiber, 1 007 000 militari italiani furono catturati dai tedeschi,(152) e furono da questi disarmati. L’ingente massa di personale

(152) Dalla Germania rientrarono dall’internamento 613 191 militari (14 033 ufficiali e 599 158 sottufficiali e soldati), di cui circa un terzo affetti da tubercolosi. In tale cifra vi furono però, sicuramente i “mimetizzati” (lavoratori civili, sbandati, ausiliari, partigiani e prigionieri dei partigiani all’estero). Calcoli più accurati danno la seguente cifra per gli IMI effettivi: IMI/K.G.F. prigionieri di guerra: 44 000; ex-IMI lavoratori civilizzati in seguito all’accordo Hitler-Mussolini: 495 000; K.G.F./IMI (rientrati via Russia): 11 000. In totale gli IMI rientrati furono circa 550 000. Molti prigionieri italiani in mano tedesca rimasero nei luoghi di cattura, in Francia, in Balcania e in Grecia dove, per la maggior parte, furono impiegati come lavoratori coatti. Alcuni di questi, quando liberati, continuarono a essere impiegati come lavoratori coatti dagli eserciti liberatori. I reduci dall’internamento in Francia furono 30 581 (cifra che comprende anche militari internati dai tedeschi e liberati

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alle armi fu sorpresa in un vasto scacchiere di guerra che andava, in Europa, dalla Francia fino al Mar Nero, una parte minima fu catturata dai giapponesi in Estremo Oriente. Successivamente, in diversa forma, 196 000 militari sfuggirono alla cattura e, effettivamente, 810 000 furono fatti prigionieri. La maggior parte dei marinai catturati dai tedeschi provenne dalle basi adriatiche (Pola e Venezia) e fu trasferita immediatamente nei campi di concentramento tedeschi in Germania e Polonia. All’atto della cattura i tedeschi posero al personale italiano tre alternative: - arruolarsi nelle Forze Armate tedesche (Wehrmacht, Luftwaffe, Marine, SS,); - collaborare come lavoratori-obbligati (in genere, alle dipendenze dell’organizzazione Todt, nelle fabbriche); - finire in prigionia. Secondo dati del comando generale tedesco, quartier generale delle truppe di terra, circa 42 000(153) furono gli italiani che accettarono di combattere con le truppe tedesche, 52 000 quelli che accettarono di lavorare. Rimasero circa 716 000 prigionieri, che furono trasportati nei lager tedeschi situati in Polonia (Governatorato generale), nel Protettorato di Boemia e Moravia, della Slovacchia, dell’Austria e della Germania.(154) Una piccola minoranza, in Estremo Oriente, cadde in mano giapponese. Circa 29 000 uomini furono internati in Svizzera, Spagna, Romania, Ungheria e Cecoslovacchia. I pochi militari che si trovavano in Bulgaria furono consegnati ai tedeschi. Molti dei catturati in Italia transitarono dai campi di raccolta allestiti nella zona di Mantova. La Resistenza dei prigionieri si è andata identificando con la stragrande maggioranza di essi, quella finita nei lager tedeschi, ma non bisogna dimenticare gli altri, anche se molto inferiori di numero, in mano ad altri Paesi.

dagli Alleati, ma messi, successivamente, in campi di concentramento dai francesi); dalla Balcania 63 999; dalla Grecia e dalle isole greche 35 620. Dalla Russia rientrarono 12 513 uomini dei circa 80 000 caduti prigionieri. (153) Si trattò, in genere, dei fascisti convinti che aderirono al momento della cattura. Quelli che accettarono di collaborare con le Forze Armate tedesche furono spostati al seguito di esse e ne seguirono la sorte, morendo durante la campagna o finendo in campi di concentramento francesi, iugoslavi, russi. Notevole è il numero degli internati militari italiani arruolati nell’artiglieria contraerea. Circa altri 20 000 prigionieri si arruolarono come combattenti nelle Forze Armate della RSI. (154) Almeno 13 000 furono i morti e dispersi durante il trasporto verso l’internamento, per la maggior parte in mare durante il viaggio dalle isole greche al continente.

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