GLI ASSASSINI SONO FRA NOI

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Gli assassini sono • tra noi

I' SIMON WIESENTHAL
4 5 ILLUSTRAZIONI
FUORI TESTO GARZANTI

Traduzione dall'inglese di Giorgio Brunacci

Prima edizione: febbraio 1967

Seconda edizione : maggio t 967

Titolo originale dell'opera: e The murderers among us > © 1967 by Opera Mundi

Ogni riproduzione, traduzione e adattamento sotto qualsiasi forma anche parziale vietati in tutti i Paesi

Proprietà letteraria riservata Printed in Italy

di Joseph Wechsberg

Ero da poco tempo a Vienna, dove ho vissuto per alcuni anni, quando sentii parlare di Simon Wiesenthal. Nel I 960, sulle prime pagine dei giornali di Vienna, e di tutto il mondo, Wiesenthal venne definito der Eichmann-Jiiger - « il cacciatore di Eichmann »per l'aiuto che aveva dato al governo di Israele nella cattura di Adolf Eichmann, il maggior esperto logistico di Hitler per la « Soluzione finale del problema ebraico ». Nel I 963, Wiesenthal tornò agli onori della cronaca quando comunicò agli imbarazzati funzionari della polizia viennese che l'ex agente della Gestapo che aveva arrestato Anna Frank ad Amsterdam nel 1944 occupava in quel momento una buona posizione nella polizia di Vienna. Sapevo che altri famigerati nazisti erano stati arrestati, in Germania e in Austria, grazie alle tenaci ricerche di Wiesenthal. Mi venne 1a curiosità di conoscere meglio quell'uomo e il suo strano ufficio investigativo. Appresi che i nazisti avevano fatto passare Wiesenthal per più di una decina di campi di concentramento, nella natia Polonia e in Austria, e che egli era sopravvissuto grazie a una serie di circostanze quasi miracolose. Sua madre e la maggior parte dei suoi parenti erano stati sterminati. Nel 1945, tornato libero, si era ·Offerto di collaborare con l'esercito degli Stati Uniti nella caccia ai criminali di guerra in Austria; successivamente aveva lavorato per l'Office of Strategie Services e per il Counter-lntelligence Corps statunitensi.1 Nel 1947, con pochi volontari, aveva creato a Linz, in Austria, un piccolo Centro di Documentazione, dove aiutava i suoi correligionari a rintracciare i parenti scomparsi e dove cominciò le prime indagini su alcuni dei mille e mille nazisti che circolavano ancora liberamente. Nel 1954 sembrò che la denazificazione in Germania e in Austria fosre giunta momentaneamente a un punto morto; Wiesenthal chiuse il Centro di Documentazione e si occupò dei profughi. Nel 1961, dopo la cattura e il ,processo di Eichmann, l'opinione pubblica r Servizi di informazione

PROF ILO DI SIMON WIESENTHAL

nei paesi che avevano conosciuto l'occupazione nazista cambiò di nuovo, quasi miracolosamente, e Wiesenthal decise di riaprire il suo Centro di Documentazione, questa volta a Vienna, e di dedicarsi definitivamen t e alla cattura di coloro che di lì a poco, ed egli lo sapeva bene, avrebbero potuto eludere la giustizia grazie alla scadenza dei termini di prescrizione.1

Avendo ricevuto l'incarico di collaborare con Wiesenthal in questo libro, un giorno, nell'estate del 1965, gli telefonai chiedendogli un appuntamento nel suo ufficio perchè intendevo raccogliere alcune delle più inter~ti fra le sue innumerevoli storie. La voce che udii al telefono era dolce, calda, amichevole. Wiesenthal rise un paio di volte. Nel suo tedesco, notai anche l'accento di quelle estreme regioni del vecchio Impero austre>-ungarico dove anch'io, come Wiesenthal, avevo passato la fanciullezza. Non vedevo l'ora di conoscere questo « vendicatore » fuori del comune.

La Rudolfsplatz, dove Wiesenthal ha il suo ufficio, è una piazza appartata, circondata da edifici anonimi, che si trova nel Primo Distretto di Vienna. La casa contr~ata dal n. 7 era più nuova di quelle vicine. Doveva ~re stata costruita dopo l'ultima guerra, forse piuttosto in fretta, perchè mostrava i segni di una fabbricazione abbastanza recente e al tempo stesso di un decadimento recente, e c'era odore di calcina umida per le scale. Al quarto piano, su una porta bianca, c'era una targhetta sulla quale si leggeva: OOKUMENTATIONSZENTRUM, e sotto le lettere BJVN, che, come scoprii in seguito, significavano Bund Judischer V erfolgter des N azir egimes: Federazione isr:aelita dei perseguitati del regime nazista. Suonai il campanello e sentii dei passi pesanti. Ci fu il rumore di una catena all'interno e la porta fu socchiusa. Un uomo bruno, fermo sulla soglia, mi diede un'attenta e rapida occhiata scrutatrice, come il sorvegliante di un impianto segretissimo. L'atmosfera mi ricordò il tempo di guerra, quando ero agente dell'OSS. Dissi il mio nome. L'u<>mo, senza dubbio un aiutante di Wiesenthal, fece un lieve cenno di assenso e mi invitò ad entrare. Vidi due stanze con pochi mobili, nudi pavimenti di cemento, niente tappeti e solo l'attrezzatura indispensabile per un uffi cio: schedari, scrivanie, alcune sedie. Dalle finestre si scorgevano i muri posteriori di altri edifici. Era un posto buio e triste. Uno stretto corridoio bianco portava in un piccolo ufficio sul retro, e là conobbi Simon Wiesenthal.

Il suo aspetto era perfettamente intonato alla voce che avevo sen1 V. Appendice: I stituto della prescrizione.

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tito per. .teÌefono; amichevole cordiale; non sembrava certo il tipo di uomo ' la cui occupazione normale· è quella <li acchiappare gli assassini, sebbene sia di corporatu~ robusta e alto circa un metro e ott anta•. Disse che quando era uscito dal campo di concentramento alla fine della guerra pesava quarantatrè chili e sembrava« uno scheletro con un po' di pelle sulle ossa ». Ora pesa due volte tanto. Ha U!}a testa grande, tendente alla calvizie, e il viso lungo con la fronte alta. Ha occhi pensosi che possono diventare penetranti. Con i suoi baffetti e la sua tendenza alla pinguedine, potrebbe essere un agiato commerciante, come era suo padre, .o un architetto ben quotato, proprio quello che era lui prima della seconda guerra mondiale.

Wiesenthal dà l'impressione di essere un uomo calmissimo, fino ·a che non si scopre che quella calma nasconde una tensione controllata e una sensibilità repressa. C'è in lui una irrequietezza interiore che contagia chiunque lo veda. Cammina con passo oscillante, come un marinaio su una nave. Sembra che porti un grosso peso sulle spalle. È un ascoltatore attento e silenzioso, ma quando comincia a parlare e si appassiona all'argomento - cosa che capita quasi sempre - sottolinea le frasi con ampi movimenti delle lunghe braccia e sembra di veder balenare nei suoi occhi una forza ipnotica. Criminali di guerra e procuratori distrettuali, ministri e studiosi hanno imparato che non è facile discutere con Wiesenthal. Egli ha una grande forza di persuasione, un profondo senso della logica, e lo spirito talmudico dei suoi antenati: un insieme di doti che molti hanno trovato irresistibile. Una volta, mi ha detto Wiesenthal, un eminente magistrato tedesco gli disse: « Lei. mi ha portato in giro per molto tempo, Wiesenthal, con quella sua aria innocua. >> Wiesenthal rise, spiegando che il suo aspetto innocuo gli era stato molto utile nelle sue indagini su tanti pericolosi delinquenti.

L'atm06fera spartana che avevo già notato entrando, la ritrovai nell'ufficio di Wiesenthal: u111a gr.ainde scrivania con molte cartè, un paio di sedie, un vecchio divano senza pretese. La parete di fondo della stanza era tappezzata da scaffali di libri. WiesenthaA -possiede una delle migliori biblioteche sulla storia, l'organizzazione e le attività delle SS di Heinrich Himmler. Create in origine come reparti speciali per la protezione di Adolf Hitler, di Himmler e degli altri capi nazisti (SS signifioa Schutz-Staffel o Guardia di sicurezza), le SS in ~niforme e stivali neri divennero il corpo sc elto nazista, dopo la sanguinosa purga, ordinata da Hitler nel 1934, delle SA o SturmAbteilungen (Truppe d'assalto) in camicia bruna, di Ernst Roehm. 1

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1 V. Appendice: SS e SA.

Le SS furono un simbolo di terrore, uno Stato entro lo Stato nazista, una élite dotata clii tremendi poteri. Le SS crearono la Gestapo (Geheime Staatspolizei, o Polizia segreta di Stato), e in seguito controllarono i campi di concentramento. Alle SS spettava il compito di eseguire le ,condanne a morte. Tutte le guardie dei campi di co~tramento erano SS; l'aimministrazione di ciascun campo dipendeva dalla Sezione Economica delle SS; in ogni parte dell'Europa di Hitler c'era un generale delle SS che aveva la responsabilità dci campi di concentramento. Raramente Wiesenthal s'inter~ di crimini commessi da uomini dell'esercito regolare o da membri del partito. Quasi tutti i suoi «clienti», come egli chiama i criminali nazisti, sono SS. Questa diabolica organizzazione è responsabile della morte di almeno undici milioni di persone, per la maggior parte innocenti, fra civili, donne e bambini: sei milioni di ebrei, e cinque milioni di jugoslavi, rus.5i, , polacchi, cechi, olandesi, francesi e altri.

Wiesenthal ci tiene a distinguere fra « crimini di guerra» e « crimini nazisti (o dclle SS) ». In tempo di guerra gli uomini fanno cose che in tempi normali non farebbero mai. Ma la guerra non può giustificare la deliberata uccisione di milioni di civili innocenti. Wiesenthal non si int eressa dei crimini di guerra « comuni». Egli fa rilevare che molti crimini nazisti furono commessi fra il 1933 e il 1939, cioè prima che iniziasse la seconda guerra mondiale.

La maggior parte dei documenti sui quali Wiesenthal lavora oggi e quasi tutti quelli dei suoi schedari e delle sue pratiche riguardano tragedie che molta gente sarebbe lieta di dimenticare. Il diuturno contatto con questi orrori non ha tolto a W iesen thal nè la fiducia nè la sensibilità. .È questa la sua forza, e forse anche la sua debolezza: n elle sue pratiche egli non vede solo dci « casi » ma deg li esseri umani. Non è diventato un burocrate. Spesso soffre con le sue vittime. Una lettera o una testimonianza pos.5ono improvvisamente richiamargli alla memoria qual cuno che non esiste più o qualche sua esperienza personale, e possono farlo piangere. In questi momenti, egli rivive la sua tiragedia. Uno dci più angosciosi problemi di Wiesenthal è che molte sue esperienze personali e molte circostanze dei casi di cui si occupa sembrano una sfida alla credulità della gente. Egli deve rendere credibile l'incredibile per i funzionari, i procuratori di Stato e i giudici fornendo pazientemente fatti e dati.

Mi trovavo da pochi minuti nell'ufficio di Wiesenthal, quando suonò il telefono. Alzò il ricevitore, ascoltò e mi disse: « New York>, e immediatamente dimenticò la mia presenza. La voce all'altro capo del filo sembrava profondamente turbata. Due volte Wiesenthal aspi-

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rò profondamente, come se stesse per interrompere il suo interlocutore, ma poi scosse la testa e continuò ad ascoltare.

« No, no, no! » disse alla fine. « Anche se trovassimo l'uomo, avremmo bisognò di documenti o almeno della testimonianza di due persone, in grado di ricordare esattamente ciò che accadde più di wnt'anni fa ... Si, date e nomi e descrizioni esatte. Prove.» Ascoltò un momento e sospirò. « Voi non avete fatto assolutamente niente per venti anni, e adesso volete che io faccia miracoli. » Dopo qualche minuto Wiesenthal dep<l6C il ricevitore; era esausto. Rimase per un momento immobile, coprendosi il viso con le mani.

« Quest'uomo e suo fratello videro ' uccidere il loro padre ad Auschwitz, nel 1943. E-.ssi sopravvissero; emigrarono negli Stati Uniti, cercarono di non pensare al passato. Hanno lavorato sodo e hanno avuto fortuna. Ora, dopo tanti anni, i ricordi tornano a tormentarlo. Vede il padre nei suoi incubi, e si sveglia di soprassalto nel cuore della notte. :t perseguitato da un senso di colpa. Ha fatto veramente tutto ciò che poteva? O forse ha pensato troppo a se stesso e troppo poco al vecchio? Col passare del tempo, i ricordi sono diventati più forti, più dolorosi. Ha consultato un medico, che non ha potuto farci niente. Poi ha letto della mia attività, e adesso mi telefona da New York per chiedermi di trovare l'uomo che ha ucciso suo padre. Tutto quello che sa è il nome di battesimo della SS - Hans -e il suo aspetto. Solo lui e il fratello videro commettere il delitto. Da allora sono p~ti ventitrè anni. Gli ho spiegato eh.e ad Auschwitz hanno lavorato almeno seimila SS fra guardie, personale tecnico addetto alle camere a gas e ai crematori, medici e impiegati. Solo di novecento di costoro si conosce il nome. Naturalmente, le guardie non avevano la cortese abitudine di presentarsi alle loro vittime. Un terzo dei novecento individui conosciuti sono stati consegnati alle autorità polacche. Per i restanti seicento, di ciroa la metà conosciamo il nome e l'indirizzo. I nomi e gli indirizzi sono nei miei archivi. Ma anche supponendo che riuscissimo a trovare l'uomo, ci vor,rebbe molto più che la testimonianza dei due fratelli per imbastire una solida accusa. Molti criminali nazisti sono stati assolti, e i procuratori di Stato, in Germania e in Austria, sono restii a chiedere. un rinvio a giudizio, a meno che non capiscano di avere prove sufficienti a convincere una giuria che non è improbabile simpatizzi con l'imputato nazista.»

Chiesi a Wiesenthal che cosa lo avesse indotto a dare la caccia ai criminali nazisti.

Sospirò, si alzò dalla scrivania e si mise a camminare su e giù,

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fissando il pavimento. « Molta gente mi ha fatto questa domanda, » disse. « I miei amici dicono: < Perchè ti torturi con queste c05C? > Quelli che non mi sono amici dicono senza tante ambagi : <Che bisogno ha di frugare nel passato, di accumulare nuov9 odio su quello vecchio?> Porchè non torno a costruire case come facevo prima della guerra? Avrei potuto andare in America, condurre una vita normale e far quattrini. » Scrollò le spalle. « t inutile. Lo faccio perchè devo farlo. Non sono spinto da un sentimento di vendetta. Forse lo fui por breve tempo, proprio all'inizio. Alla fine della guerra, quando venni liberato dopo aver passato quattro anni in più di dodici campi di concentramento, mi era rimasta ben poca forza fisica, ma avevo un gran desiderio di vendetta. Avevo perso tutta la famiglia. Mia madre era stata portata via sotto i miei occhi. Credevo che mia moglie fosse morta. Non avevo nessuno per cui vivere.

« Molte persone liberate dai campi di concentramento reagirono in maniera diversa. Avevano bisogno di dimenticare per poter tornare a vivere. Perciò si chiusero in una corazza protettiva, cercando con tutte le loro forze di non pensare a ciò che era sucresoo.

« Prima ancora che avessi il tempo di riflettere a fondo, mi resi con to che non dobbiamo dimenticare. Se tutti dimentichiamo, la stessa cosa potrà ripetersi fra venti, cinquanta o cento anni. Mi dicono che in Germania e in Austria la gente non vuol sentire parlare di <queste cose>. Giusto. Ma le inchieste sull'opinione pubblica dimostrano che fra la condanna dei crimini nazisti e i fenomeni di neonazismo esiste un rapporto inversamente proporzionale. Quanti più processi si celebrano, tanto più trascurabile è la rinascita del nazismo. Il processo di Adolf Eichmann a Gerusalemme, nel 1961, segnò una grave battuta d'arresto per il movimento neonazista in Germania e in Austria. Milioni di persone che non conoscevano, o non volevano conoscere, la verità, per la prima volta dovettero ascoltare i fatti. Oggi, qui nessuno può più dire che non conosceva <queste cose>. E se ancora simpatizza con i criminali, si mette inequivocabilmente dalla parte del male. E non sono molti quelli che desiderano farlo. »

Alla fine della guerra, il mondo appariva a Wiesenthal popolato sol o da due spe cie di personé : le candide vittime e i neri assassini. Ma la fase del bianco e del nero fu di breve durata. Wiesenthal fu avvicinato da diversi gruppi che volevano creare delle bande per catturare e uccidere gli ex aguzzini. Wicsenthal si opp05C energicamente a una simile idea. Disse a quella gente che gli ebrei non dovevano combattere i nazisti con i metodi criminali dei nazisti. I na-

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zisti avevano avuto in passato i lor'? tribunali segreti dediti à.IIa violenza e alla vehdetta: Gli' ebrei, ammonì, non dovevano scendere tanto in basso.

Egli sapeva che ~rebbe stato impossibile « vendicare >> i crimini nazisti. Non sarebbero bastati mille anni per questo. Anche se tutti i criminali nazisti impuniti fossero stati assicurati alla giustizia, il che era improbabile, ciò non avrebbe nemmeno in minima parte compensato l'enormità dei loro crimini. Undici milioni di morti... fra i quali un milione di bambini. Come potrà mai riuscire la giustizia terrena a far scontare l'assassinio di un milione di bambini?

Qualcosa, però, si poteva fare: e questo pensiero si fece strada a poco a poco nelle notti insonni di Wiesenthal. Egli poteva almeno cercare di erigere un monumento simbolico ai morti e forse dare un esempio ammonitore contro eventuali eccessi futuri. Naturalmente, era impossibile punire i delitti in base a una responsabilità rigorosamente controllata. Che importanza aveva se un nazista che aveva ucciso migliaia di persone andava in galera per due anni ... venti minuti per ogni assassinio? La cosa importante era impedire che in futuro ci fossero altri eccidi.

Nei primi mesi dopo la fine della guerra, Wiesenthal sperò ancora che molte persone fossero scampate all'inferno. Forse erano fuggite, si nascondevano nelle foreste, avevano cambiato nome, erano scomparse in Russia. Ma a poco a poco si sentì schiacciato. dalla enormità di quella apocalisse. Divenne spaventosamente chiaro che quella che i nazisti avevano chiamato « la soluzione finale del problema ebraico » si era conclusa con lo sterminio non di decine di migliaia, o di centinaia di migliaia, ma di milioni <li creature innocenti. Ma quando conobbe tutta la verità, l'odio era già scomparso dal suo cuore. AU'inizio del 1946, un SS-Obersturmfilhrer di nome Beck (Wiesenthal non sa il suo nome di battesimo) era trattenuto dagli americani a Dachau. Wiesenthal venne a sapere che Beck era stato la rara avis, una SS umana che si era rifiutata di torturare e di uccidere i suoi prigionieri. Per questo i suoi superiori delle SS lo avevano punito chiudendolo in cella di rigore. Wiesenthal raccolse tre testimoni ebrei e andò con loro a Dachau, dove i tre testimoniarono che la SS non aveva mai commesso atti delittuosi, e Beck fu rilasciato. Più tardi, Wiesenthal scoprì che un altro ex nazista, un certo Werner Schmidt di I-falle, aveva perso il postò quando si era scoperto che era stato iscritto al Partito. Schmi<lt aveva aiutato Wiesenthal nel ghetto di Lvov, in Polonia, dove Wiesenthal viveva al momento dell'occupazione tedesca nel 1 942. Schmidt gli portava da mangiare e lo avver-

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tiva quando c'era in vista un rastrellamento ddla Gestapo. Wiesenthal telefonò a Halle, discolpò Schmidt, e lo aiutò a riavere il posto.

« Gli uomini come Beck e Schmidt furono per me delle prove viventi che era possibile torna.Te dalla guerra con la coscienza pulita, se si voleva, » disse. « Disgraziatamente, per ogni uomo con la coscienza pulita ce n'erano molti che non furono costretti a commettere dei crimini, ma che si offrirono volontariamente di uccidere e torturare. Lentamente, imparai che fra il bianco e il nero c'erano molte sfumat ure di grigio: grigio acciaio, grigio perla, grigio tortora. E c'erano molte sfumature di bianco. Nemmeno le vittime erano sempre innocenti. Una volta parlai con un ebreo che era stato Kapò in un campo di concentramento, dove si era salvato la vita uccidendo un compagno ebreo. Una dannata SS gli disse che sarebbe toccata a lui o all'altro. Il Kapò adduceva a sua difesa che, se non lo avesse fatto lui, qualcun altro avrebbe sparato all'ebreo; e anche lui sarebbe morto. Non accetto questa tesi: un omicidio è sempre un omicidio, chiunque lo commetta. Ogni nazione ha i suoi collaboraz;onisti. Anche npi ebrei li abbiamo avuti, forse meno di altri popoli, ma non siamo tutti angeli. Era stata una trovata diabolica tipica delle SS costringere gli ebrei ad uccidere gente della loro stes-53. razza. »

Wiesenthal ricorda spesso la prima volta che uscì, ormai uomo Libero, nel mondo esterno, dopo essere vissuto per quattro anni dietro le siepi di filo spinato. Fu circa dieci giorni dopo la sua liberazione dal campo di concentramento di Mauthausen, nell'Austria Superiore, in una calda giornata primaverile del maggio 1 945 . Ancora debole e un po' stordito dall'esercizio fisico, cui non era più abituato, si diresse verso il vicino villaggio. I contadini lavoravano nei campi, i bambini giocavano, gli uccelli cantavano. A poco più di un chilometro dagli orrori delle camere a gas, la campagna aveva un aspetto padfico, bucolico. La gente che mcontrava dava una rapida occhiata al suo volto emaciato, al vestito cascante. Nessuno mostrava traccia di curiosità o di comprensione. D'un tratto Wiesenthal si sentì terribilmente stanco. Si fermò in una cascina e chiese un bicchier d'acqua. Una contadina austriaca robusta e beai pasciuta gli portò un bicchiere di succo d'uva.

« È stata dura laggiù? » chiese accennando in direzione degli edifici bassi e grigi al di là dei campi.

« Per sua fortuna non ha visto il campo dal di dentro, » disse Wiesenthal.

« Perchè avrei dovuto vederlo io? » fece la donna. « Io non sono ebrea.»

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Wiescnthal pensò a questo colloquio per molto tempo. Anni cli addottrinamento avevano convinto la donna che sulla terra esistevano due specie di persone: quelle come lei, che stavano al mondo per vivere, e le razze « inferiori », che ci stavano per morire. Wiesenthal scoprì presto che molta gente che non aveva fatto niente di male era infettata dalle teorie naziste. Andava molto in collera quando qualcuno gli diceva, senza es.seme richiesto, che « non sapeva niente di queste cose », o quando qualcun altro lo informava spontaneamente di aver _ « salvato qualche ebreo ».

« Se fosrero stati salvati tutti gli ebrei di cui mi fu parlato in quei mesi, ci sarebbero stati più ebrei vivi alla fine della guerra di quanti ce n'erano prima che cominciasse. Dopo un po' non credetti più a quelli che cercavano di convincermi che loro non avevano saputo assolutamente nulla. Forse non avevano conosciuto tutta la verità su ciò che accadeva nei campi di sterminio. Ma quasi tutti avevano notato qualcosa dopo che Hitler aveva invaso l' Austria, l' 11 marzo 1938. Non potevano fare a meno di vedere i vicini ebrei che venivano portati via dagli uomini wn le uniformi nere delle SS. I loro figli, quando tornavano a casa da scuola, raccontavano che i loro compagn i ebrei erano stati cacciati via. Vedevano le svastiche sulle vetrine infrante dei negozi ebrei saccheggiati. Non potevano ignorare le macerie delle sinagoghe incendiate nella notte del 9 novembre 1938. 1 La gente sapeva quello che stava succedendo, sebbene molti avessero paura e pref~ guardare altrove per non vedere troppo. Soldati e ufficiali in licenza dal fronte orientale parlavano spesso dei massacri degli ebrei che avvenivano colà. La gente sapeva molto più di quanto volesse ammettere, ed è per questo che oggi molti provano un acuto senso di colpa. »

La carriera di Wiesenthal come cacciatore di nazisti cominciò poco dopo la sua liberazione, nel 1945, quando la sezione Crimini di Guerra dell'esercito statunitense in Austria gli affidò il compito di collaborare alla cattura delle SS che avevano seviziato lui e migliaia di altre persone. Man mano che gli tornavano le forze, Wiesenthal si rendeva conto che gli riusciva possibile ascoltare i racconti delle atrocità naziste senza provare sentimenti di odio.

« La ferita nell'animo di Wiesenthal n on si cicatrizzerà mai completamente, ma almeno non sanguinerà più, » ha detto recentemente un suo amico, un noto psicologo viennese. Ciò sembra trovare conferma nell'atteggiamento di Wiesenthal di fronte al problema della responsabilità collettiva, che oggi è molto discusro in Germania.

1 V. Appendice: Kristallnacht.

« Un ebreo che crede in Dio e nel suo popolo non crede nel principio della responsabilità collettiva, » egli dice. « Noi ebrei non abbiamo forse sofferto per migliaia di anni perchè si diceva che eravamo collettivamente colpevoli - tutti noi, compresi i bambini non ancora nati - della crocifissione di Cristo, delle epidemie del Medioevo, del comunismo, del capitalismo, delle guerre disgraziate, dei disgraziati trattati di pace? Tutti i mali del genere umano, dalla peste alla bomba atomica, sono <colpa degli ebrni >. Noi siamo l'eterno capro espiatorio. Noi sappiamo di non essere colpevoli collettivamente; perciò, come possiamo accusare un'altra nazione, qualsiasi cosa abbia fatto una parte dei suoi membri, di essere collettivamente responsabile? »

Poichè in quel primo periodo postbellico si era assuefatto all'idea di cominciare una ricerca che non aveva alcuna speranza di portare a compimento, Wiesenthal si servì delle sue esperienze di architetto e cominciò a costruire delle fondamenta. P er prima cosa raccolse una documontazione storica quando i ricordi dei testimoni oculari erano ancora freschi. Alla fine della guerra, c'erano più di centomila sopravvissuti ai campi di concentramento, alloggiati provvisoriamente nei duecento centri profughi allestiti, in Germania e in Austria, dagli alleati occidentali. Con l'aiuto di alcuni amici, Wiesenthal creò una rete di corrispondenti nei vari campi. Il compito di questi corrispondenti era quello di interrogare tutti gli ex detenuti e di farsi rilasciare da loro dichiarazioni riguardanti le brutalità delle SS, le uccisioni e le torture di cui essi erano stati testimoni oculari, nonchè i resoconti di qualsiasi ·altra esperienza personale. Wiesenthal sottolineò la necessità di avere nomi e date esatti; scartò tutto quello che veniva riferito per sentito dire. Le dichiarazioni firmate vennero protocollate e archiviate nel piccolo Centro Ebraico di Documentazione Storica che Wiesenthal creò nel 1 947 a Linz, una volta finito il suo lavoro con gli americani.

Ancor prima di creare il Centro di Documentazione, Wiesenthal aveva raccolto dichiarazioni concernenti i crimini nazisti in un migliaio di posti diversi. Si era procurato le fotografie di molte SS, che aveva fatto riprodurre e distribuire in tutti i centri profughi. Il più delle volte i superstiti non conoocevano i nomi degli aguzzini; grazie alle fotografie, invece, erano in grado di identificarli. Wiesenthal organizzò uno schedario alfabetico di tutte le località in cui i nazisti avevano commesso dei crimini. Un secondo schedario conteneva i nomi di tutti i criminali. Un terzo schedario conteneva i nomi di tutti i testimoni. La document~z io ne di Wiesenthal fu usata per la

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prima volta a Norimberga durante l'istruzione del processo contro i criminali di guerra nazisti; le autorità alleate di Norimberga ricambiarono il favore mandandogli i loro elenchi dei criminali di guerra. In seguito, la sua documentazione fu usata a Dachau, nel 1947, durante il processo, celebrato davanti a un tribunale militare americano, contro certe SS che avevano prestato servizio come guardie nei campi di concentramento. Il sistema del triplice schedario è molte;> funzionale. Quando Wiesenthal viene a conoscenza di un delitto commesso in un certo posto, gli ci vogliono solo pochi minuti per trovare i nomi e gli indirizzi d ei t estimoni e i nomi delle SS incriminate. Alcuni testimoni hanno ll$istito a delitti perpetrati in luoghi diversi. I norni di taluni criminali ricorrono in località diverse.

Lo schedario dei criminali nazisti creato da Wiesenthal contiene oggi circa 22.500 nomi. La maggior parte delle SS che vi figurano sono accusate di omicidio; alcune, si ritiene siano colpevoli di genocidio. (Il suo elenco è piccolo in confronto a quello di 1 60.000 nomi esistente presoo l'Ufficio Centrale delle Amministrazioni Statali della Giustizia per la Punizione dei Crimini Nazionalsocialisti, che venne creato da vari Stati della Germania Occidentale nel 1958 a Lu dwigsburg, nel Palatinato, in seguito al tardivo riconoscimento da parte dei tedeschi occidentali delle mostruose atrocità naziste. Il Centro ha contribuito a dare l 'avvio a più di mille processi.)

Nello schedario dei criminali di Wiesenthal ci sono molte lacune. In alcune schede figura solo un nome di battesimo, o il soprannome con il quale certe SS erano conosciute dai prigionieri. Nel campo di concenwamento di Lvov una delle SS più malvagie era chiamata « Tom Mix», dal nome del celebre cowboy del cinema americano. Il passatempo preferito di « Tom Mix~ era quello di scorrazzare a cavallo per il campo sparando a casaccio addosso ai prigionieri. Ci sono molti testimoni oculari dei delitti di « Tom Mix», ma Wiesenthal non ha ancora trovato il suo uomo perchè non ne conosce il vero nome. Nel campo di concentramento di Cracovia il capo dei Kapò veniva chiamato W aisenkind ( « l'orfano ») perchè era un delinquente comune condannato a morte per avere ucciso i genitori. I nazisti lo fecero uscire dalla galera e lo misero come Kapò nel campo di concentramento, dove «l'orfano» ebbe modo di dare sfogo a tutti i suoi istinti bestiali. « Nessuno sapeva il suo vero nome, » ricorda Wiesenthal. « Forse alcuni vecchi detenuti lo avevano saputo, ma erano tutti morti. Ricordo un altro Kapò nel campo di Gr<:>S&osen, vicino a Wroclaw, l'antica Breslavia. Quando entrava in una camerata, i prigionieri sapevano già come sarebbe andata a

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finire. Lo chiamavano <l'angelo della morte>. Purtroppo è impossibile rintracciare un uomo sulla base di un soprannome come questo. »

Di solito, la polizia che dà la caccia agli ~ini, ai ladri e agli altri delinquenti comuni, conosce i veri nomi dei ricercati. Molte SS invece nascosero accuratamente la loro vera identità perchè, via via che la guerra si faceva sempre più disperata per la Germania, si rendevano conto che forse un giorno avrebbero dovuto render ragione dei loro delitti. Dopo la guerra molti appartenenti alle SS e alla Gestapo scomparvero servendosi di documenti falsi e continuarono a vivere sotto falso nome. Anche quando Wiesenthal riesce a scoprire il vero nome di un oriminale, rimane il problema di sapere dove si trova l'uomo in questione. Su molte schede figura un punto interrogativo o la nota « domicilio sconosciuto»: una frase che ricorda il tempo in cui la corrispondenza indirizzata agli ebrei in Germania veniva spesso respinta al mittente con la medesima annotazione. ·

Il Centro di Documentazione di Linz fu presto conosciuto in tutta Europa. Da molti paesi arrivarono rapporti e testimonianze, lettere e quesiti, fatti e dati. Gli israeliani diedero a Wiesenthal i loro elenchi dei criminali nazisti ricercati. Ma fino a questo momento l'elenco più prezioso glielo hanno fornito le stesse SS. Un giorno, nel 1961, un ex « cliente » offrì a Wiesenthal una Dienstal,terliste (ruolo di servizio) delle SS che conteneva i nomi di I 5.000 SS coo l'indicazione, per ogrù nominativo, del grado, delle decorazioni, de1le note caraitteristiche, delle sodi. Erano state stampate solo quaranta copie di questo elenco: una per ognuno dei quaranta Gauleiter mes& da Hitler a capo delle quaranta regioni dell'Europa governate dai nazisti. I Gauleiter ave\'ano l'ordine tas.sa.tivo di distruggere gli elenchi alla fine della guerra. Il « cliente » di Wiesenthal aveva fatto in modo di procurarsene uno approfittando della confusione che .seguì alla vittoria degli alleati. Disse a Wiesenthal che aveva bisogno di denaro e gli chiese cinquemila dollari. Wiesenthal comperò l'elenco e non se ne pentì. In seguito, molti di quelli che egli fece arrestare protestarono di non essere mai stati nelle SS. Ma non poterono più negarlo quando videro i loro nomi nell'elenco di Wiesenthal.

Il finanziamento di quella che i giornali amano chiamare « la rete di Wiesenthal » è fonte di interminabili congetture per i « clienti » di Wiesenthal e per coloro che criticano la sua attività. Costoro insinuano che egli sia appoggiato da vari governi e dal sinistro potere del « capitalismo internazionale ebraico ». La verità è meno suggestiva. A differenza di corti agenti segreti dei romanzi, Wiesenthal non vive

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di caviale e di champagne Dom Pérignon. Quando' aprì il Centro di Documentazione, nel 1947, poteva contare sull'aiuto di alcuni entusiasti non retribuiti, e riceveva cinquanta dohlari al mese a titolo di contributo volontario dal dottor A. Silberschein, un ex deputato polacco che viveva a Ginevra. Wiesenthal int egrava il suo magro bilancio scrivendo articoli e facendo altri lavori. Sebbene, dopo il 1950, la Gennania Occidentale acconsentisse a risarcire agli ebrei i danni subiti, per anni Wiesenthail si rifiutò di chiedere l'indennizzo che gli spettava, avendo egli perso la casa, il lavoro e ogni suo avere durante il regime nazista. Non riusciva ad abituarsi all'idea di prendere del denaro dai tedeschi. Alla fine Wiesenthal acconsentì a farlo, ma disse che avrebbe speso metà di quello che avrebbe ,ricevuto per finanziare il Centro di Documentazione. In real tà, ha speso più della metà di quanto ha ricevuto dal 1958, epoca 1n oui gli fu corrisposto il primo acconto. Ha pagato personalmente tutte le spese da lui sostenute durante i sedici anni circa in cui ha lavorato al caso Eichmann.

Nel 1961, dopo il processo di Eichmann a Gerusalemme, il Consiglio delle Comunità Ebraiche in Austria decise di finanziare un Centro di Documentazione a Vienna, e chiese a Wiesenthal di occuparsene. Al Centro vennero assegnati 400 dollari al mese. Wiesenthal si tratteneva un monsile di 1 50 dollari e spendeva il resto per l'affitto, il personale, il telefono e la posta. Il finanziamento venne sospeso l'anno dopo quando Wiesenthal, che non ha peli sulla lingua, criticò aspramente i sistemi del Consiglio. Egli tornò così a lavorare per conto suo. Fondò la Federazione delle Vittime Ebree del Regime Nazista, sovvenzionata dal modesto contributo mensile dei suoi milleduecento membri. Quando l'attività di Wiesenthal fu meglio conosciuta, cominciarono ad arrivare contributi volontari con un ritmo, però, molto irregolare. Un tale gli spedì dall'Australia un modesto as.5egno « perchè lei mi ha commosso». Una vecchia di New York mandò due dollari.(« Non andrò al cinema per due settimane, caro signor Wiesenthal, ma lei farà un uso migliore del mio denaro. ») In una piccola città americana un rabbino raccolse 1 8 dollari da ognuno dei diciotto membri della comunità. (Nella lingua ebraica, che esprime i numeri con le lettere, « 18 » equivale a chai,, la parola che significa «vita».) Il contributo più sostanzioso, un assegno di 1000 dollari, giunse da un anonimo sostenitore indiano di Calcutta. Diverse comunità ebraiche della Germania Occidentale inviano offerte saltuarie. Gli olandesi hanno istituito uno speciale Fondo Wiesenthal nei Paesi Bassi, dove è molto vivo l'interesse per la sua attività. Ci sono poi Amici del Centro di Documentazione

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a Bruxelles, a Francoforte, a Johannesburg, a Milano, a Monaco, a Torino. Tutte le elargizioni vengono depositate su un apposito Gonto bancario. Il pagamento delle spese deve essere autorizzato da quattro membri di un comitato che sovraintende ai lavori del Centro di Documentazione.

Negli ultimi anni, le attività del Centro si sono notevolmente estese. Il bilancio mensile si aggira oggi sui 1 500 dollari. Wiesenthal svolge personalmente il lavoro più importante. È aiutato da due segretari e da un collaboratore che parla e scrive in dodici lingue, tiene in ordine le pratiche in continuo aumento e adopera la Xerox che il CentTo ha preso in affitto. La voce che incide di più sul bilancio è il telefono. Wiesenthal non sopporta di stare in un posto do:ve non possa essere raggiunto con una telefonata. Spende circa 1 50 dollari al mese per telefonate interurbane, perchè ritiene sia della massima importanza poter informare le autorità circa il luogo in cui si trova un nazista prima che qualche amico avverta il ricercato che Wiesenthal è sulle sue tracce.

Wiesenthal ha imparato che raramente le ,informazioni ottenute pagando sono attendibi li. Talvolta gli vengono offerte informazioni circa il luogo in cui si tiene nascosto qualche nazista importante. Queste offerte gliele fanno loschi individui - ex nazisti che affermano di avere notizie di prima mano -o rispettabili avvocati e uomini d'affari. Di solito, Wiesenthal è molto scettico circa il valore di tali informazioni; inoltre, dice, le cifre richieste sono troppo elevate per il suo bilancio. Egli ha ancora un certo numero di aiutanti non retribuiti ai quali risa.rcisce le spese per le missioni importanti.

« Ci sono quattro fatti fondamentali in merito alla nostra amministrazione, » dice Wiese nthal. « Primo, il Centro di Documentazione non ha entrate regolari; io cerco di avere sempre in banca una riserva sufficiente a farci tirare avanti sei mesi, e quando vedo che il conto scende chiedo ai miei runici di racimolare un po' di fondi. Secondo, nessun governo o ente governativo ci h a mai dato un soldo. Terzo, non riceviamo denaro dagli israeliani, che spendono ingenti somme per · le loro indagini sui crimini nazisti, ma abbiamo amichevoli e utili rapporti con le loro organizzazioni. Quarto, non riceviamo d e naro da quello che i miei < clienti> chiamano < il capitalismo internazionale ebraico >. »

Le esigenze personali di Wiesenthal sono mod este. Vive con la moglie in un piccolo appartamento, vede poche persone oltre a quelle con cui ha rapporti di lavoro, e passa la maggior parte delle serate in casa a sbrigare la corrispondenza personale e a studiare libri e .,

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çarte sul suo aTgomento preferito. Talvolta va a trovare la sua unica figlia, che è sposata e abita in Olanda. Ha una piccola Ford inglese, non beve, e fuma solo quando è nervoso. Alcuni anni fa cominciò a far collezione di francobolli a scopo distensivo, ma trovò il modo di sfruttare per il lavoro anche il suo hobby, perchè le buste affrancate del periodo nazistà gli fornirono indizi prezfosi. Una volta prese in trappola una SS che negava di essere stata in Polonia in una certa epoca. Wiesenthal esibì una busta affrancata, diretta alla famiglia di quell'individuo, sulla quale era ben visibile la data. L'uomo fu arrestato.

Sebbene Wiesenthal senta di aver fatto molto per risvegliare la coscienza pubblica in Germania e in Austria, c'è una categoria di persone con le quali - salvo qualche rara eccezione - capisce di poter fare ben poco in questo senso. Sono i suoi « clienti », le ex SS e gli ex nazisti fanatici. Dopo molte conversazioni con queste persone, e dopo anni di ·studi e di osservazioni, Wiesenthal è giunto alla conclusione che nella grande maggioranza « o non avevano affatto coscienza, o erano capaci di soffocarla completamente. Un uomo di questo genere si è sbarazzato della coscienza come altri si sbarazzano dell'appendice. < Befehl ist Befehl > : <gli ordini sono ordini >. Il Fiihrer comandava e lui obbediva. I tedeschi hanno un'espressione per questo genere di obbedienza: Kadauergehorsam, ubbidiente come un cadavere ». Il concetto del Befehlnotstand - « gli ordini sono ordini » - è spesso accettato come circostanza attenuante daJ.le giurie tedesche e austriache. Ma queste giurie non esigono mai la prova che, se un imputato si fosse rifiutato di eseguire un ordine, avrebbe davvero rischiato la vita. Tale prova non esiste. Ci furono degli uomini che rifiutarono di eseguire degli ordini criminali e furono mandati in prigione o al fronte. Quelli che sopravvissero, oggi hanno la coscienza pulita.

Qualche anno fa Wiesenthal cohobbe Alfons Gorbach, ex cancelliC<re federale dell'Austria, un cattolico che passò ·molti mesi nel campo di concentramento di Dachau. Gorbach rimproverò a Wiesenthal di « riaprire delle vecchie ferite ». « Non sono affatto sicuro che sia una cosa ben fatta, » disse l'ex cancelliere. Wiesenthal ammise che nemmeno lui ne era sicuro. « Forse la storia deciderà se è stata una cosa ben fatta o no, » disse. « Ma cTedo che sia necessario. Vuole che i suoi figli e i figli dei suoi figli siano un giorno nuovamente contaminati dalJe teorie sulle razze inferiori che vanno sterminate come parassiti? Non vuole che siano immunizzati m ediante la conoscenza della verità? Io credo che i giovani della Germania e dell'Austria

mentmo che si dia loro l'opportunità di vivere senza un senso di colpa. I giovani sanno che i più anziani hanno mancato nei loro confronti. Gli insegnanti non parlano degli eventi storici incresciosi. I genitori preferiscono passarli sotto silenzio perchè sperano che col tempo < tutta la faccenda sia dimenticata>. Ma lei sa, H err Kanzler, che la verità ha un curioso modo di venire a galla nei momenti più inopportuni. Io parlo spesso con i giovani, e so che stanno diventando curiosi. Hanno udito e letto troppo su <queste cose>. Mi pare che abbiano diritto di sapere. »

Wiesenthal riuscì a penetrare per la prima volta nei misteri della mentalità delle SS poco dopo la guerra, quando entrò in possesso di ' alcune lettere che delle SS in servizio nei campi di concentramento avevano scritto alle mogli. Ramm en ta la lettera di un SS-Fiihrer il quale raccontava che il suo reparto aveva ricevuto l'ordine di riparare una pista di atterraggio a Uman, presso Kiev, in Ucraina, danneggiata da una bomba russa. I matematici delle SS calcolarono che i corpi di millecinquecento persone sarebbero stati sufficienti a riempire il cratere aperto dalla bomba; perciò si erano messi metodicamente al lavoro per procurare il materiale necessario uccidendo millecinquecento ebrei, uomini, donne e bambini, e gettandone i cadaveri nella buca. I corpi furono ri coperti di terra, sulla quale venne steso un traliccio di acciaio, e la pista di atterraggio tornò come nuova. Tutto ciò era descritto senza alcuna emozione, con profusione di particolari tecnici. Nella stessa lettera, la SS chiedeva notizie delle rose del suo giardino, e prometteva alla moglie di cercarle una serva russa « per cucinare e badare ai bambini » .

« Egli scriveva di queste cose come se raccontasse che gli avevano ripulito l'appartamento durante le vacanze estive della moglie, » dice Wiesenthal. « Ho letto un'altra lettera in cui una SS descrive come facevano ad uccidere i bambini ebrei sbattendoli contro i muri, e poi prosegue chiedendo notizie del figlio ammalato di morbillo. t difficile comprendere queste cose. Ricordo l'estate del 1941, quando le SS arrivarono a Lvov. Dapprima ~ecintarono una parte della città vecchia per adibirla a ghetto. Poi tolsero il selc~o in modo che le strade diventassero un pantano. Ciò faceva parte del loro sistema per ore are condizioni di vita subumane. Nei giorni piovosi, era impossibile attraversare una strada senza affondare nella mota fino alle caviglie. Era impossibile tenersi puliti. Dovevamo sembrare animali, o fantasmi di un altro mondo. E nei giorni peggiori arrivavano, su grosse automobili, gli SS-Fiihrer e gli ufficiali dell'esercito in compagnia di d onn e, e ci guardavano e ridevano e prendevano

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fotografie di quella strana specie di Untermenschen. Poi mandavano fotografie a casa, e tutti dicevano: <Guarda quegli ebrei! Il Fiihrer ha ragione : non sono nemm eno es.seri umani. > »

Come il chirurgo ved e il paziente per la prima volta quando glielo portano in lettiga nella sala operatoria, così spesso Wiesenthal vede gli uomini che ha rintracciato e assicurato alla giustizia solo durante la fase finale della sua operazione: nell'aula del tribunale, come testimone o come spettatore. Lavorò al caso di Adolf Eichmann per circa sedici anni, e alla fine sapeva più cose su Eichmann di quante Eichmann volesse ricordarne. Ma vide Ei chmann per la prima volta il giorno in cui ebbe inizio il processo a Gerusalemme.

Sedici anni prima, nel 1945, quando comin ciò a raccogliere il materiale contro l'uomo cui era stato affidato il compito di condurre a termine la « soluzione finale del ,problema ebraico », Wiesenthal abitava in una camera d'affitto al n. 40 della. Landstrasse a Linz, in Austria, città natale di Adolf Eichm ann. Ad appena quattro isolati di distanza, al n. 32 della Landstras.5e, c'era la casa in cui Eichmann aveva trascorso la giovinezza. Parecchie volte al giorno, Wiesenthal dovev a pa<.;Sare davanti al portone dal quale Eichmann era entrato e uscito tanto spesso, e se mpre si sentiva la bocca arida e un nodo alla gola. Un giorno, il capitano americano per il quale Wiesenthal lavorava a qu el tempo gli disse che avrebbero perquisito la casa di Eichmann e gli chiese di accompagnarlo. Wiesenthal rifiutò. « Non avrei potuto toccare nemmeno la man iglia della porta, » dice. Ancor oggi, il contatto fi sico con i suoi « clienti » desta in lui una profonda ripugnanza. Egli teme che dopo la guerra, quando andava a caccia di criminali delle SS nell e prigioni e nei campi di int ernamento, gli sia capitato di dare la mano, senza saperlo, a qualche assassino, e questo solo pensiero lo sconvolge.

Subito dopo la guerra, quando lavorava per varie organizzazioni statunitensi, Wies enthal accompagnava spesso gli ufficiali americani nelle loro missioni. In molte occasioni, <lovette arrest are personalmente delle SS accusate di qualche delitto. Nei loro occhi, egli vide la stessa espressione che un tempo aveva visto negli occhi degli ebrei arrestati dalle SS. Ma Wiesenthal osservò anche una notevole differenza : in alcuni casi le ex SS e i superuomini della Gestapo si buttavano in ginocchio e invocavano pietà... cosa che gli ebrei non avevano fatto. Wiesenthal aveva vi sto parecchie persone andare verso la morte. Molte erano spaventate; al cune erano così terrorizzate che bisognava sostenerle. Alcune pregavano ed altre piangevano. Ma non avevano mai supplicato per aver salva la vita.

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Non deve sorprendere che Wiesenthal sia oggetto della profonda antipatia delle ex SS, e i suoi amici sono spesso preoccupati per la sua incolumità. Egli è stato minacciato a più riprese, e in qualche occasione è stato anche aggredito. Una volta un individuo irruppe nel suo ufficio brandendo un coltello; Wiesenthal afferrò una bottiglia d'inchiostro e gliela scagliò contro con violenza: i suoi collaboratori, richiamati dal chiasso, corsero in suo aiuto. La maggior parte dei cosiddetti aggressori usano sistemi tortuosi, come lettere anonime indirizzate allo « Sporco ebreo Wiesenthal, Vienna». Altri sono specia:lizzati in telefonate anonime. Per un certo periodo ricevette tante telefonate minatorie, per lo più di notte, che dovette chiedere alle autorità di mettere sotto controllo il suo telefono. Un uomo che aveva l'abitudine di chiamarlo spesso da un telefono pubblico fu arrestato e condannato a due mesi di prigione.

Wiesenthal considera le minacce anonime come gli inconvenienti di una professione rischiosa e assume un atteggiamento filosofico verso quegli antagonisti che sono troppo codardi per spingersi oltre. « I miei amici dicono: <Stai attento>! » dice Wiesenthal. « È lo stesso che dire a un uomo di stare a,ttento quando sale su un aeroplano. Che altro potete fare per la vostra incolumità, quando vi siete allacciati la cintura di sicurezza? Coloro che hanno paura degli aerei non dovrebbero volare. Se mi dovessi preoccupare troppo di queste cose, non potrei più lavorare. »

Nel settembre 1965, Wiesenthal lesse i resoconti giornalistici di un convegno dell'Unione Mondiale dei Nazionalsocialisti (WUNS) che aveva avuto luogo a Southend, in Inghilterra, e nel corso del quale un tedesco di nome Friedrich Lang aveva posto una taglia di 1 20.000 dollari sulla sua testa. La polizia austriaca svolse delle indagini e chiese informazioni all'ambascata britannica a Vienna. In precedenza, un agente della polizia di Stato che era riuscito a partecipare a una riunione segreta di vari gruppi neonazisti a Salisburgo, aveva riferito ai suoi superiori che diversi Kameraden anziani avevano suggerito ai camerati più giovani di « fare qualcosa per Wiesenthal ». Per un certo tempo, la casa e l'ufficio di Wiesenthal furono sorvegli ati dalle auto della polizia, e lui stesso era sempre accompagnato da un poliziotto. Dietro suggerimento di Wiesenthal, i neonazisti vennero informati per vie tira.verse che i loro piani erano noti, e la faccenda finì B.

Nel 1962 si verificò un incidente più serio. Una mattina Wiesenthal arrivò, proveniente dall'estero, all'aeroporto di Vienna dove trovò un messaggio che lo invitava a telefonare subito a casa. Formò

2.2. . ,

il numero. Gli ri~pose un amico che gli disse di aspettarlo all'aeroporto: sarebbe andato subito a prenderlo. « No, va tutto bene, Simon, » gli disse l'amico. « Ma ti prego, non venire a casa. »

Quando l'amico arrivò all'aeroporto, disse a Wiesenthal che quella mattina alle tre sua moglie aveva ricevuto una telefonata anonima. Una voce femminile le aveva detto: « Signora Wiesenthal, se suo marito non la smette di frugare nel passato, i miei amici prenderanno sua figlia e lei non la rivedrà più viva. » Poi la comunicazione era stata interrotta. La. signora vViesenthal aveva fatto in tempo ad avvertire l'amico, prima di cadere svenuta. Erano stati chiamati la polizia e un medico. La signora Wiesenthal era a letto con un lieve attacco cardiaco, ma si sarebbe rimessa; l'amico aveva voluto far sapere a Wiesenthal che erano state prese le misure necessarie, per evitare che anch'egli subisse una scossa rientrando a casa.

« Quando arrivammo con la macchina davanti a casa, notai un poliziotto in borghese dal!' altra parte della strada, » dice Wiesenthal. « Mia moglie dormiva. II dottore le aveva dato un sedativo, Nostra figlia era a casa, me la presi fra le braccia e la tenni stretta a lungo; poi andai in camera mia e mi sedetti, col viso fra le mani. Mi sentivo infelice. Per la prima volta in vita mia, mi domandavo se avessi dowto continuare... se avessi avuto il diritto di continuare. Non m'importa di correre dei rischi, ma non pos.50 esporre aJ pericolo la mia famiglia. Eppoi, non avevo già fatto abbastanza in tutti quegli anni? Valev,a la pena che continuassi le ricerche? Per quanti nazisti av~i catturato, ne sarebbero sempre rimasti molti di più impuniti. Riflettei a lungo, ma alla fine capii come sarebbero andati a finire i miei ragionamenti. Era inutile, dovevo andare avanti. Ricordo che mi presi la testa fra lé mani dicendo a me st~: < Non posso fermarmi, non posso fermarmi. > »

Simon Wiesenthal dice spesso che il problema peggiore nel suo lavoro è trovare testimoni attendibili in grado di deporre con accuratezza su date e luoghi. Nella sua vita, si trovò di fronte a questo problema molto tempo prima di sentir parlare di campi di concentramento e di nazisti. Wiesenthal è nato il 31 dicembre I 908, « circa mezz'ora prima della fine dell'anno», secondo quello che in seguito gli disse la madre. La levatrice fece la debita denuncia di nascita all'ufficio di stato civile della città di Buczacz, in quella che era allora la regione più orientale dell'Impero austro-ungarico. A tempo debito, egli ric evette il certificato di nascita, il passaporto e tutti gli altri documenti che la gente, in quella parte di mondo, deve avere per provare che esiste. Quando, nel 1926, raggiunse l'età per il ser-

VlZlO mil.itare, diciotto anni, la Galizia faceva ormai parte della Polonia, e Wiesenthal fu iscritto nelle liste di leva dell'esercito polacco. A quel tempo era studente universitario, e come tale aveva dirit• to ad consueto rinvio del servizio.

L'anno dopo, due poliziotti andarono ad arrestarlo sotto l'accusa di aver tentato di sottrarsi al servizio militare. Wiesenthal disse che doveva esserci uno sbaglio, perchè lui era già iscritto nelle liste e aveva avuto un rinvio. I poliziotti dissero che non c'erano sbagli, perchè loro avevano le prove che egli era nato il 1° gennaio 1909. Non si era presentato con la leva del 1927, come avrebbe dovuto, e pertanto era passibile di arruolamento immediato senza possibilità di rinvii. Wiesenthal scoprì che anche iJ padre d i sua madre era andato a registrare la sua nascita, ma non in data 31 dicembre 1908. Egli aveva invece indicato 1a data del 1° gennaio 1909. Il nonno aveva pensato che mezz'ora non avesse alcuna importanza, e voleva che il nome del nipote f0&5 e il primo sul registro del 1909, perchè si pensava che ciò portasse fortuna. Aecadde invece che ciò creasse molte difficoltà a Wiesenthal, ail quale le autorità polacche dissero che tutti i suoi documenti personali potevano essere invalidati. .. che, in effetti, egli non esisteva, a meno che non fosse in grado di provare che era nato, come affermava, il 3 1 dicembre 1908. Un magistrato polacco disse a Wiesenthal di produrre due testimoni che rilasciassero una dichiarazione giurata circa la sua data di nascita.

« Per la prima volta nella mia vita dovetti trovare due testimoni che ricordassero esattamente una cosa che era accaduta circa venti anni prima. Cominciai a cercare, e trovai due persone che avevano abitato neU'appartamento attiguo al nostro a Buczacz. Fortunatamente, ricordavano ' bene quella sera, pe:rchè era la vigilia di Capodanno e c'era stato Ìnolto entusiasmo quando la levatrice aveva riferito che ai vicini Wiesenthal era nato un bambino. Un testimone ricordò perfino che la levatrice era entrata prima che si spegnessero le luci a mezzanotte e che i presenti si scambiassero gli auguri di <Buon anno>. L'altro testimone ricordò che aveva sturato un'altra bottiglia di vodka per brindare alla mia salute. Ciò convinse il magistrato e mise a posto le cose; così la mia nascita fu riconosciuta . legalmente. Ma se non fosse stata la sera dell'ultimo dell'anno ma una sera qualsiasi, e se non ci fosse stata una festa?»

A Buczacz, una città di novemila abitanti, vivevano seimila ebrei e tremila polacchi. I 3.500.000 abitanti d ella Galizia comprendevano 1. 700.000 ucraini (chiamati anche ruteni), 1 .000.000 di polacchi e 800.000 ebrei. I polacchi e gli ebrei vivevano nei centri urbani, gli

ucraini nelle campagne. Non correva buon sangue fra i vari gruppi. Il padre di Wiesenthal, un abile commerciante all'ingrosso, trattava, fra l'altro, anche Io zucchero. Da bambino, Simon si divertiva ad andare nel magazzino e a costruire case e castelli con quadratini di zucchero. Il giovane Simon aveva ereditato anche dalla nonna materna, una donna profondamente religiooa, una tendenza al misticismo, ancora evidente nei suoi pensieri e nei suoi discorsi. La nonna portava con sè il piccolo Simon quando andava a trovare dei rabbini famosi, ai quali chiedeva di benedire il bambino. Wiesenthal ricorda ancora la gita dal famoso rabbino Czortkov, che viveva in una grande masseria cadente, in mezzo alle case dei suoi discepoli. Wiesenthal non ricorda il pio uomo, ma non dimenticherà mai una finestrella nella soffitta della casa, dietro la quale vide il volto di un uomo. La nonna disse a Simon che quell'individuo si chiavama « il silenzioso ». Pare che un giorno quell'uomo, dopo un · litigio con la moglie, gridasse : « Che tu possa bruciare! » Quella notte stessa la sua casa si era incendiata e la moglie era morta fra le fiamme. L'uomo, oppresso da un senso di colpa, andò dal rabbino, il quale gli ordinò di non pronunciare più una parola per il resto della sua vita e di pregare per ottenere il perdono. Due volte al giorno, qualcuno portava un po' di cibo al « silenzioso » nella sua stanzetta in soffitta. Per anni Simon sentì un brivido percorrergli la schiena ogni volta che pensava al peccatore silenzioso apparso dietro quella finestrella.

Quando Simon aveva sei anni, scoppiò la prima guerra mondiale. Suo padre, ufficiale della riserva nell'esercito austriaco, raggiunse la sua unità e, come molti altri padri, non tornò dalla guerra. Fu ucciso in combattimento nel 1915. Jèu quello l'anno in cui i cosacchi dello Zar, arrivarono a Buczacz sui loro piccoli e veloci cavalli. Gli impauriti ebrei sapevano che cosa dovevano aspettarsi. Molti venivano dalla Russia, dove i pogrom scoppiavano ogni qualvolta le cose andavano male e per evitare che i sudditi ci pens~o troppo si permetteva loro di dare addos.5o agli . ebrei e di saccheggiarne i negozi. Così molti ebrei erano scappati verso occidente, prima in Galizia, poi in Germania, e infine nell'Europa occidentale e in America.

Sul finire del 1915, la madre di Wiesenthal portò Simon e il fratello minore a Vienna, che era ancora la capitale della monarchia asburgica, e qui Simon frequentò le scuole pubbliche. Nel 19 1 7 i russi si ritirarono dalla Galizia, e molti ebrei tornarono a casa; fra questi anche i Wiesenthal. Dopo l'armistizio, per tre mesi

la Galizia Orientale dive nne la Repubblica Ucraina O ccidentale indipendente. Poi l'esercito polacco la occupò e gli abitanti di Buczacz diventarono cittadini polacchi. L'amministrazione polacca durò due anni, fino all'inizio della guerra polacco-bolscevica nel ·1920. Per gli abitanti di Buczacz, quelle g uerre intemùnabili significavano un continuo andirivieni di sol dataglia e un terrore senza fine.

« Ci svegliavamo la mattina senza sapere chi fosse al potere, » ricorda Wiese nthal. « Io frequ entavo il Gymnasium locale. Quando ci chiedevano chi c'era al governo, dovevamo guardare il ritratto appeso alla parete dietro la cattedra dell'insegnante. Una settimana c'era un capo bolscevico, la successiva c'era un ucraino, e poi fu la volta del maresciallo polacco Pilsudski. I bolscevichi rastrellarono tutti i borghesi e li costrinsero a pagare un riscatto. Mia madre e altre donne ebree furono adibite alla pulizia della palestra di ginnastica, che i russi avevano trasformato in stalla. »

Le truppe bolsceviche erano cattive, ma le bande di cavalleria ucraina erano anche peggio. Scorrazzavano per la città sui loro cavallini come i cosacchi, saccheggiando, violentando e uccidendo. Una volta diedero agli ebrei di Buczacz un ultimatum di tre ore. Volevano trecento litri di Schnaps per le cinque del pomeriggio, altrimenti avrebbero bruciato le loro case. Wiesenthal ricorda molto bene la gente c he correva di qua e di là per cercare di raccogliere il quantitativo richiesto. Quella notte gli ucraini vagabondarono per le strade, ubriachi fradici. La gen te di Buczacz spran gò le porte e pregò. Dopo un giorno o due, alcuni r estarono a corto di cibo, ma le donne non osavano avventurarsi fuori di casa. La madre mandò Simon, allora dodicenne, da un vicino che abitava nella casa di fronte a farsi prestare un po' di lievito per fare il pane. Mentre il ragazzo stava per attraversare la strada di corsa, un ucraino a cavallo lo raggiun se e tanto per divertirsi gli squarciò la coscia con la sciabola. Il ragazzo svenne e dovette esse re trasportato a braccia dalla madre. Mandarono a chiamare un m edico che riusci a raggiungere la casa passando per le cantine e p er i cortili interni, e diede dei punti alla ferita. Wiesenthal ha ancora una profonda cicatric e che g li attraversa la parte superiore della coscia.

Al Gymnasium, Wiesenthal s'innamorò di una graziosa compagna di classe dai capelli biondo-scuro, che si chiamava Cyla Muller_. Erano ancora adolescenti, ma in paese si diede pres to per scontato che Simon e Cyla un giorno si sarebbero sposati. Nel I 925 la madre di Wiesenthal passò a nuove nozze e la famiglia si trasferì a Dolina, un paese d ei Carpazi, dove il secondo marito della signora Wiesenthal

aveva una fabbrica di tegole. Simon andava sempre a passare le vacanze a Dolina. Amava la campagna e gli p iaceva andare a cavallo e fare passeggiate nei boschi. Aveva deciso di diventare architetto. Presa la licenza al Gymnasium, cercò di iscriversi al Politecnico di Lvov, in Polonia, ma la sua domanda fu respinta perchè i posti a disposizione degli studenti ebrei erano molto limitati.

Wiesenthal passò i successivi quattro anni a Praga, dove studiò al Politecnico Ceco e dove trascorse i più bei giorni della sua vita. Era molto popolare fra i suoi compagni per le interessanti discussioni che sapeva suscitare nelle riunioni studentesche e perchè era un piacevole animatore delle feste goliardiche. Sapeva un sacco di barzellette, e aveva una particolare inclinazione per la mimica e la satira. Il suo genere di umorismo era particolarmente apprezzato dagli amici non ebrei, ai quali piacevano significato profondo e la celata ironia dei suoi aneddoti. Quando tornava a casa per le va. canze di Natale e di Pasqua, rimaneva sveglio tutta la notte, in treno, per raccontare delle storie ai suoi amici, e quando arrivava a casa era tanto rauco che non poteva più parlare.

Nel 1936 sposò Cyla Muller e aprì uno studio di architetto, speci alizzato in el eganti case residenziali. Questa parentesi piacevole durò fino all'agosto del 1939, quando la Germania e la Russia firmarono il patto di « non aggressione» e si misero d'accordo per spartirsi la Polonia. Il 1° settembre i tedeschi cominciarono la loro Blitzkrieg invadendo la Polonia da occidente, e due settimane dopo l'Armata Rossa la invase da oriente. A metà settembre, l'Armata Rossa era a Lvov, e Wiesenthal fu nuovamente « libetrato », come lo era stato in precedenza dai russi, dagli ucraini e dai polacchi. Questi ultimi liberatori si portarono dietro gli agenti della NKVD, la polizia <li Stato, ché andarono attorno ad arrestare i commercianti

« borghesi » ebrei e i proprietari di fabbriche, nonchè gli esponenti dell' « intellighenzia » : medici, avvocati e insegnanti. Il patrigno di Wiesenthal fu portato in una prigione sovietica, dove morì poco dopo. La madre di Wiesenthal andò a vivere con il figlio e la nuora. Il fratellastro, un commerciante di Stanislav, fu arrestato e più tardi fucilato dai russi, che uccisero tutti i prigionieri politici quando si ritirarono sotto la pressione dell'esercito tedesco in avanzata. Molti « borghesi » ebrei ricevettero i passaporti del cosiddetto « Paragrafo 11 », che faceva di loro dei cittadini di seconda classe, privi di molti diritti, ai quali non era permesso vivere nelle grandi città o a meno di cento chilometri dalle frontiere. Perd e ttero il loro lavoro e si videro confiscare i conti in banca. Wi esenthal, rivelandosi un uomo

pieno di risorse in -caso di necessità, corruppe un commissario della NKVD e ottenne dei pa.s.5aporti regolari per sè, per la moglie e per la madre. Pochi mesi dopo, tutti gli ebrei con i pas.5aporti del « Paragrafo I I » furono deportati in Siberia, dove molti morirono. I Wicsenthal riuscirono a rimanere a Lvov, ma i giorni di Wiesenthal come architetto libero professionista erano finiti. Egli si contentò di trovare una occupazione mal retribuita come operaio in una fabbrica di molle per letti.

Ventidue mesi dopo il patto rUS'lO-ted esco cli « non aggresc;ione », il 22 giugno 1941, Hitler invase l 'Unione Sovietica. Otto giorni dopo, le ultime unità dell'Annata Rossa l asciarono L vov, e per le strade della città si cominciarono a vedere le prime uniformi tedesche. Coloro che indossavano queste uniformi erano ausiliari ucraini, fuggiti dall'Unione Sovietica in Germania, dove erano stati addestrat i. Festeggiarono il loro ritorno a Lvov dando inizio a un pogrom che durò tre giorni e tre notti. Alla fine del mas;acro, seimila ebrei erano stati uccisi.

Nel pomeriggio di domenica 6 luglio 1941, Wiesenthal era nascosto nella cantina cli casa sua e giocava a scacchi con un amico ebreo di nome Gross. Alle quattro, un poliziotto ausiliario ucraino che parlava lo yiddish andò ad arrestarli e li portò all a prigione di Brigidki. N el cortile c'erano circa quaranta ebrei: avvocati, medici, insegnanti e ingegneri. Al centro del cortile, un grande tavolo carico cli bottiglie di vodka, salsicce, zakusky (antipasti polacchi ), fucili e mumz1om.

Venne ordinato agli ebrei di mettersi in fila, con la faccia al muro e le mani sulla nuca. Accanto ad ogni uomo c'era una cassa da imballaggio vuota. Un ucraino c ominciò a sparare. Cominciò dall'estremità sinistra della lunga fila, colpendo le vittime alla nuca. Ogni due colpi tornava al tavolo per prendersi un sorso cli vodka e qualche zakusky, mentre un compagno gli passava un altro fucile. Due ucraini ficcavano i corpi nelle casse di legno e le portavano via. Gli spari e le grida degli uomini che morivano si avvicinavano sempre più a Wiesenthal. Egli ricorda che stava là a fissare il muro grigio senza nemmen o vederlo. D ' un tratto, suonarono le campane della chiesa e una voce gridò in ucraino: « Basta! f: la messa vespertina! »

Gli spari cessarono. I sopravvissuti si guardarono tremanti e increduli. Erano rimasti in una ventina. Vennero portati in due grandi celle dove un ucraino tolse loro le cinte e i lacci delle scarpe. Gli ebrei si draiarono sulle cuccette e per terra. Wiesenthal pensò ai morti nelle casse da imballaggio e quasi li invidiò.

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Finalmente si assopì. Poi, ricorda di aver spalancato gli occhi sotto una luce intensa e di aver sentito una voce che diceva in polacco: « Signor Wiesenthal, che cosa fa lei qui?» Wiesenthal riconobbe un suo ex capomastro, un certo Bodnar. Indossava un abito borghese e aveva al braccio la fascia dei poliziotti ausiliari ucraini. « Farò in modo di portarla fuori di qui questa notte,» disse Bodnar all'orecchio di Wiesenthal. « Lei sa che cosa faranno domani mattina. »

Wiesenthal gli chiese di aiutare anche il suo amico Gross, che doveva prendersi cura della vecchia madre. Bodnar ebbe un'idea . Avrebbe detto agli ucraini c he aveva sco perto « due spie » fra gli ebrei. Li avrebbero pic ch iati, loro avrebbero confessato tutto e firmato ·una dichiarazione, e poi Bodnar avrebbe detto che li portava dal commissario ucraino in via dell'Accademia. Wiesenthal e Gross furono picchiati selvaggiamente - quolla notte Wiesenthal perdette due denti davanti-, ma, dopo essersela cavata più volte per il rotto della cuffia, la mattina arrivarono ·a casa.

Quel periodo di relativa libertà non durò molto per Wiesenthal. Alcune settimane dopo, i tedeschi decretarono che tutti gli ebrei dovevano lasciare i loro appartamenti e trasferirsi negli alloggi del ghetto creato per loro nella città vecchia. Un giorno una SS andò nell'appartamento di Wiesenthal con una prostituta polacca, alla quale chiese se qu el posto le piaceva. Lei disse: « Sì... può andare. »

U n'ora dopo, i Wiesenthal vennero buttati fuori di casa e dovettero lasci are tutte le loro cose. Trascorsi alcuni mesi nel ghetto, Wiese nthal e la moglie vennero portati nel vicino campo di concentramento di Janowska, mentre la vecchia madre fu lasciata nel ghetto.

Sul finire del 1941, Wiesenthal e la moglie vennero mandati dal campo di concentramento in uno speciale campo di lavoro coatto ch e serviva l'OAW (Officina Riparazioni della Ferrovia Orientale).

L'offensiva tedesca contro l'Unione Sovietica era in pieno svolgime nto, e quella vitale linea di approvvigionam enti che attraversava la Polonia doveva essere mantenuta in efficienza. La signora Wiesenthal fu assegnata al reparto locomotive, dove divenne maestra nella lucidatura dei pezzi di ottone e di nichel. A Wiesenthal fu ordina to di dipingere gli stemmi con la svastica e l'aquila sulle ex locomotive russe. In seguito fu promosso a pittore di insegne, mestiere rispettabile durante il regime di ,un ex pittore d'insegne.

In una giornata molto fredda, Wiesenthal stava dipingendo all' aperto quando gli pasw vicino il suo superiore Heinrich Guenthert. Wiesenthal non aveva guanti, e il freddo gli aveva fatto diventare

le mani violacee. Guenthert si fermò a chiacchierare e gli chiese che scuole avesse frequentato. Wiesenthal, sapendo che gli intellettuali ebrei avevano la precedenza n elle liste di sterminio, disse a Guenthert che aveva frequent ato una scuola commerciale. Un polacco che era lì vicino disse che non era vero, e che Wiesenthal era architetto. Guenthert chiese a Wiesenthal perchè avesse mentito; non sapeva che i bugiardi finivano nelle mani della Gestapo? Wiesenthal confessò la verità. Guenthert, che sembrava un brav' aomo, ne rimase colpito. Da quel momento in poi, disse, Wiesenthal avrebbe lavorato al coperto, come tecnico e disegnatore.

Fino all'inizio del 1942, le condizioni di vita a Lvov furono sopportabili, ma dopo le decisioni prese a W annsee 1 da Hitler circa la « soluzione finale del problema ebraico», e dopo l'assassinio del capo della Gestapo Reinhard H eydrich a Lidice, in Cecoslovacchia, il 28 maggio 1942, un'ondata di terrore pasw nell'Europa occupata dai nazisti. Nell'agosto, migliaia di ebrei vennero mandati dalla stazione ferroviaria di Lvov ai ,campi di sterminio che erano stati creati in Polonia. Un giorno Wiesenthal guardava impotente le SS che stipavano delle vecchie ebree sui vagoni merci, cento donne per ogni vagon e. Lasciarono i vagoni per tre giorni sotto l'infuocato sole d'agosto mentre le donne chiedevano un po' d'acqua. Una di quelle donne era sua madre, che aveva sessantatrè anni. \Viesenthal non la rivide più. In seguito, seppe che era morta a Belsec. Poco tempo dopo, la madre di sua moglie fu uccisa da un poliziotto ucraino che le sparò sulle scale di casa sua.

Nel settembre 1942, la maggior parte dei parenti dei Wiesenthal erano morti. Wiesenthal non sapeva nulla dei piani di Hitler per la « soluzione finale », ma non dubitava che prima o poi sarebbero morti anche loro. Per sè, non aveva alcuna speranza, ma voleva salvare la moglie che, pensava, essendo bi onda poteva passare per polacca. Wiesenthal aveva degli amici fra i membri della cellula del movimento clandestino polacco che agiva all'interno della Officina Riparazioni. Costoro progettavano di sabotare il nodo ferroviario di Lvov, per danneggiare la macchina di guerra tedesca, e Wi ese nthal pensava di rendersi utile nella esecuzione del piano. Nella sua qualità di tecnico, aveva una relativa libertà di movimenti e gli era perm esso di uscire dallo scalo ferroviario. Egli si era sistemato l'ufficio in una baracca di legno, e qui cominciò a disegnare segretamente le piante dello scalo ferroviario, mettendone in evidenza tutti i punti vulnerabili. Wiesenthal parlò d ella moglie a quelli del movimento , V. Appendice.

clandestino polacco. Una notte, un tale di nome Zielinski la fece uscire di soppiatto dall'Officina Riparazioni e la condusse nel suo appartamento. Poi un architetto di Lublino, un certo Szczepanski, la cui impresa di costruzioni aveva fatto diversi lavori all'interno degli scali, acconsentì a nascondere la mogli e di Wiesenthal prendendola in casa sua, a L ublino, come governante per i bambini. Ma la signora Wiesenthal si trovava da pochi mesi in quell a casa quando qualcuno la denunciò ai tedeschi. Un giorno la avvertirono che gli uomini della Gestapo stavano andando a prenderla. Lei riuscì a sfuggire in tempo, e tornò a Lvov. Una sera, un amico del movimento clandestino polacco disse a \Viesenthal che sua moglie lo stava aspettando vicino al reticolato di filo spinato. Wiesenthal andò di corsa nel punto dove la moglie lo attendeva e le prese le mani attraverso il reticolato. Lei gli disse in fretta che si sarebbe fermata per due notti con la vecchia che puliva i gabinetti della stazione ferroviaria, ma che poi avrebbe dovuto andarsene. Wiesenthal le disse di tornare la notte seguente: nel frattempo avrebbe pensato a una soluzione.

La mattina dopo, Wiesenthal avvicinò i suoi amici del movimento olandestino e propose un affare. Avrebbe dato lOTo tutte le carte che aveva disegnato in segreto se, in cambio, essi avessero procurato alla moglie dei documenti falsi, un lavoro e un posto in cui vivere. L'affare fu concluso. Quella sera Wiesenthal incontrò di nuovo la moglie al reticolato di filo spinato, e le disse di prendere i,l primo treno del mattino per Varsavia, dove avrebbe trova~o quaJcuno ad aspettarla. Avrebbe assunto il nome di « Irene Kowalska » e avrebb e avuto un lavoro e un posto dove vivere. (La signora Wi esenthal abitò in un appartamento di Varsavia con la moglie del poeta polacco Jerzy Lec, senza che nessuna delle due sapesse mai che l'altra era ebrea.) Wiese:nthal disse alla moglie che si sarebbero tenuti in contatto tramite un tale di Lvov che si chiamava Szatkowski. Le baciò le mani attraverso il reticolato di filo spinato, e rimase lì fino a che non udì il suono dei suoi passi.

Wiesenthal ricorda l'Officina Riparazioni della Ferrovia Orientale come una isola di buonsenso in un mare di follia. I cinquanta funzionari tedeschi che dipendevano da Heinrich Guenthert si comportavano in man iera corretta sia con i polacchi che con gli ebrei. L'immediato superiore di Wiesenthal, I'Oberinspektor Adolf Kohlrautz, era, come Gucnthert, una persona straordinariamente perbene . Wiesenthal scoprì ch e entrambi erano antinazisti. Kohlrautz arrivò perfino a permettergli di nascondere nella sua scrivania (di

. .
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Kohlr.autz) due pistole che Wiesenthal si era procurato per vie traverse. Fra i polacchi, molti che si dimostravano zelanti collaborazionisti erano membri attivi del movimento clandestino.

Il 20 aprile 1943, il giorno del cinquantaquattresimo compleanno di Hitler, il sole splendeva e nell'aria si sentiva già la primavera. Wiesenthal era stato in piedi fino all'alba a dipingere cartelli e svastiche per la grande festa delle SS all'Officina Riparazioni. Lui e due aiutanti ebrei stavano finendo un gros.50 cartello su cui era scritto WIR LIEBEN UNSEREN FUHRER (Noi amiamo il nostro -Fiihrer), quando allo SS-Unterscharfuhrer Dyga, che era della Slesia e aveva un nome polacco, venne in mente di dimostrare, dando un saggio della sua malvagità, che lui era più tedesco di un tedesco. ai tre uomini di andare con lui. Essi misero giù i pennelli e uscirono alla luce del sole. L'Oberinspektor Kohlrautz guardò Wiesenthal desolato, alzando le spalle con un gesto d'impotenza. Evidentemente, aveva cercato di fermare la SS ma non ci era riuscito. Dyga li scortò al campo di concentramento, distante tre chilometri. La gente, per la strada, non li guardava nemmeno. Wiesenthal si chiese se quella f06SC la sua ultima passeggiata attraverso la città.

Al campo di concentramento, molte SS erano ubriache. Era stato distribtl-lto Schnaps in abbondanza, e loro volevano dimenticare le cattive notizie che arrivavano dal fronte. Erano passati pochi mesi da Stalingrado e le SS avevano paura di essere mandate presto all'Est. Dyga raccolse ahri prigionieri ebrei nei capannoni e nei laboratori, li portò in un posto chiamato der Schlauch (il tubo) e disse loro di aspettare. Ora Wiesentha:l sapeva cosa sarebbe accaduto.

Il « tubo » era un corridoio largo circa due metri fra due siepi di filo spinato che separavano il campo vero e proprio dalle altre installazioni. Alla fine del « tubo» c'era la cava di sabbia dove avevano luogo le esecuzioni. Il «tubo» era sinonimo di morte; nessun prigioniero che fosse passato per il « tubo » era mai tornato indietro. Una ventina di uomini e alcune donne si trovavano già all'interno del «tubo». Wiesenthal vide che per la maggior parte erano professori, avvocati, insegnanti, medici : gli ultimi intellettuali del campo. Aspettavano in silenzio. Nessuno parlava. Nessuno chiedeva « perchè? » . Non c'erano « perchè? », ma solo « perchè » . Le SS avrebbero ammazzato un po' di ebrei per festeggiare il compleanno del Fiihrer. Apparvero una mezza dozzina di SS, capeggiate da un certo Unterscharfuhrer Kauzer, che portava un ,mitra. Venne ordinat o ai prigionieri di avanzare nel «tubo», affiancati per due . Wiesenthal ricorda come camminavano. « Ognuno camminava per p .

suo conto. Ognuno era solo con se stesso, con i suoi pensieri. Ognuno era un'isola di solitudine. Era il nostro privilegio e la nostra forza.»

Venne giù un violento acquazzone primaveTile quando raggiunsero la cava di sabbia, che era profonda, circa un metro e ottanta e lunga circa quarantacinque metri. Vi si vedevano i corpi nudi di alcune vittime precedenti. Quando un settore della fossa era pieno, le SS buttavano della sabbia sui cadaveri e passavano a un altro settore. Vicino alla fossa c'era un grosso camion con il motore ac. ceso. l)i$ero agli ebrei di levarsi tutti i vestiti, di fame degli involti ordinati e di metterli sul camion. Più tardi, i vestiti e le scarpe degli ebrei sarebbero stati distribuiti ai poveri della Germania dalle caritatevoli signore della NS Volbwohlfahrt, l'organizzazione assistenziale nazionalsocialista. I poveri, indossando quei vestiti e quelle scarpe, avrebbero osannato il Fiihrer.

Il camion si allontanò. Wiesenthal contò trentotto uomini e sei donne. Venne detto loro di mettersi in fila per uno e di salire sull'orlo della cava. Con la coda dell'occhio, Wiesenthal vide la SS Kauzer che alzava il f,ucile. L'acquazzone era diventato più forte, ma non era abbastanza forte da coprire le grida dei morenti. Meccanicamente, Wiesenthal contò i colpi: Uno, due, tre, quattro, cinque. Ci fu una pausa. Un uomo ern caduto a terra invece che nella fossa. Una SS salì e diede una pedata al corpo che rotolò nella f os.sa. Sei, sette, otto, nove.

Wiesenthal non contò più. Da qualche parte giunse il suono lacerante di un fischietto, e una voce che sembrava fuori del tempo e dello spazio.

« Wie-sen-thal! »

E ancora, più vicino, « Wiesenthal ! » Questa volta, automaticamente scattò sull'attenti, e sentì la propria voce che diceva: « Presente! » Gli ordinarono di voltarsi. Quasi accecato dalla pioggia, Wicsenthal vide la faccia di ·un'aJtra SS, il Rottenfi.i.hrer Koller, che gli disse di seguirlo. Kauzer, il boia, li fÌs.5Ò perplesso: era venuto per ammazzare quarantaquattro persone, non quarantatrè. Koller disse che doveva portare indietro Wiesenthal, e che Kauzer poteva continuare.

« Barcollavo come un ubriaco, » ricorda Wiesenthal. « Koller mi diede un paio di ceffoni, e questo mi riportò sulla terra. Stavo tornando indietro nel <tubo>, nudo. Dietro di me, le grida ripresero, ma cessarono molto prima che ave$i raggiunto il campo. »

Il camion con 1 quarantaquattro involti di vestiti era fermo da-

B

vanti al capannone del vest1ano. Dissero a Wiesenthal di riprendersi gli abiti e le scarpe « se nza toccare gli altri involti » . Poi fu scortato attraverso la città, fino all'Officina Riparazioni , dove Koller lo consegnò all'Oberinspektor Kohlrautz. « Eccole il suo uomo,» disse Koller, guardando sospettosamente Kohlrautz.

« Bene, » disse Kohlrautz . « Abbiamo bisogno di Wiesenthal. I cartelli devono essere finiti per la festa di oggi pomeriggio. Ci serve un altro cartellone, con una svastica, e la scritta in lettere bian che su fondo r osso WIR DANKEN UNSEREM FUHRER. » (Ringraziamo il nostro Fiihrer.)

Koller se ne andò, e Wiesenthal rimase solo con Kohlrautz. Per un po' fu in capace di parlare. Kohlrautz gli disse che aveva telefonato al comandante del campo per chiedergli ch e Wiesenthal fosse riportato indietro d'urgenza.

« Sono contento di non essere arrivato troppo tardi, Wiesenthal. » Sorrise. « Ci pensi un po' : oggi non è solo il natalizio del Fiihrer. f: anche il suo. »

Wiesenthal cita spesso gli ese mpi di Guenthert e Kohlrautz a sostegno della sua tesi contro la colpa collettiva dei tedeschi. Guenthert era iscritto al partito nazista, ma era anche un uomo sensato che aveva continui fastidi con le SS perchè si rifiutava di trattare i lavoratori coatti come essere inferiori. Una volta Guenthert licenziò due dipendenti perchè maltrattavano i polacchi e gli ebrei. Guenthert è oggi funzio nario delle F errovie d ella Germania O cc iden tale, a Karlsruhe; lui e Wiesenthal s'incontrano spesso e parlano dei brutti tempi passati. Nel d icembre del 1965, Wiesenthal invitò il suo amico al matrimonio della sua unica figlia. « Quando un uomo come Simon Wiesenthal, dopo tutto quello che è suoces.so, invita un tedesco in famiglia, mi sento onorato, » ha detto Guenthert.

Guenthert ricorda di aver notato Wiesenthal fra gli altri prigionieri « perchè camminava se mpre a testa alta e mi guardava dritto negli occhi. Le SS dicevano che Wiesenthal era impertinente. Non mi misi a discutere con loro, ma confesso ch e ero impressionato dal portamento eretto di quell'uomo. Aveva n egli occhi un'espressione pensosa, come se sapesse che noi tedeschi un giorno avremmo dovuto r ende r conto di tutto ».

Anche K ohlrautz era nazista, ma co ndivid eva il dispr ezzo del suo direttore per le SS. Fra Kohlrautz e Wiesenthal c'era un muto legame. Sembrava che Kohlrautz rispettasse non solo la tranquilla dignità, ma an che l'abilità tecnica di Wiesenthal, perchè spesso faceva passare sotto il suo nome i disegni esegu iti da Wiesenthal. Gli

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dimostrò la sua gratitudine fingendo di non sapere che Wiesenthal aveva nascosto le pistole nel cassetto della sua scrivania. Kohlrautz riferiva spesso a Wiesenthal le notizie apprese dalle trasmissioni della BBC, che era proibito ascoltare, e mandava di nascosto del cibo nel ghetto per la vecchia madre di Wi esenthal. I due uomini parlavano spesso di politica nell'ufficio di Kohlrautz quando erano soli. Una volta Kohlrautz disse : « Sono al corre nte dei delitti che vengono commC$i nei campi di concentramento. Un giorno o l'altro noi tedeschi dovremo renderne conto. »

Dopo la guerra, Wiesenthal venne a sapere che all'inizio del 1944 Kohlrautz era stato trasferito al fronte. Fu ucciso durante la battaglia di Berlino.

« Troppi buoni tedeschi sono morti perchè venne loro ordinato di combattere le battaglie di Hitler e non vollero sottrarsi a quello che consideravano il loro dovere, » dice Wiesenthal. « E troppi uomini delle SS e del partito se la sono cavata perchè erano dei vigliacchi. Le SS combattevano una comoda guerra nei campi di concentram ento contro uomini, donne e b ambin i inermi. »

Verso la fine di settembre del 1943, venne l'ordine che i lavoratori ebrei, alloggiati all'Officina Riparazioni, fossero rimandati ogni sera sotto scorta al campo di concentramento; Wiesenthal capì che non avrebbe avuto altre occasioni. Era tempo che ten tasse la fuga. Kohlrautz gli permetteva spesso di andare in città per com perare il materiale da disegno. Quando faceva qu este commissioni, Wiesenthal era aocompagnato da un poliziotto ucraino. Se f~ riuscito a liberarsi del poliziotto, il resto sarebbe stato facile. Un amico del movimento clandestino polacco, Roman Uscienski, gli aveva promesso di ospitarlo nel suo appartamento per qualche giorno. E una ragazza polacca che lavorava all'Offi cina Riparazioni gli avev a detto che poteva nascondersi in casa dei suoi genitori, n el vicino villaggio di Kulparkow.

Quella mattina - Wiesenthal ricorda bene la data: 2 ottobre 1943 - chiese a Kohlr autz un permesso per andare a fare spese in città. « Kohl rautz mi guardò; sapeva .che cosa stavo per fare. Era un tipo in gamba. Alcune settimane prima mi aveva chiesto: < Wiesenthal, che cosa sta aspettando?> Compilò il lasciapassare per mc e per il mio amico Arthur Scheiman, un ex direttore di circo. Poi Kohlrautz uscì dall'ufficio, dicendo che andava a cercare un poliziotto. Presi rapidamente le due pistole <lal cassetto della sua scrivania. Kohlrautz tornò con un ucraino dall'aria tonta, che era arrivato .da poco a Lvov e non conosceva la dttà. Giunto sulla porta

mi voltai, e Kohlrautz mi fece un cenn o con la mano destra come per dirmi addio. »

Wiesenthal e &heiman andarono in una cartoleria che aveva una porta sul davanti e una sul retro, e là si liberarono del poliziotto. Poi, andarono nell'appartamento di Uscienski, dove festeggiarono la fuga. Scheiman raggiunse la moglie, un a ucraina, e Wiesenthal andò a K ulparkow, dove passò un mese nella soffitta della casa della ragazza. Ogni tanto costei andava a trovarlo. Gli disse che la moglie di Scheiman lavorava da sarta e che il pover'uomo doveva stare nascooto tutto il giorno nell'armad io dei vestiti ad ascol tare il chiacchiericcio delle donne. Wiesenthal stava bene, invece, nella soffitta tranquilla; ma una sera la madre della ragazza andò su molto agitata. Le SS avevano liquidato il campo di concentramento e ucciso la maggior parte dei prigionieri; alcuni, però, erano scappati, ed ora i tedeschi stavano perlustrando la campagna. Disse a Wiesenthal che doveva andarsene. Egli lasciò la casa e decise che avrebbe cercato di raggiungere &heiman.

« Gli otto giorni che seguirono furono brutti quanto quelli al campo di concentramento, » ricorda Wiesenthal. « Schciman ed io passavamo le giornate accovacciati su due sgabellini nella metà vuota di un grande armadio in casa sua. L'altra metà, piena di vestiti, restava aperta. Quelli della polizia entrarono due volte nella camera, m a quando videro l'armadio aperto se ne andarono. L'aria era sgradevole là dentro e avevamo paura di t ossire, con le clienti della signora &heiman che facevano le prove a tre metri da noi. »

Dopo una settimana, si trasferirono nell'appartamento di certi ami ci che abi tav ano a l piantorreno di una vecchia casa. Il pavimento era di sabbia ricoperta con tavole di legno. Tolsero le tavole e scavarono la sabbia, fino ad avere abbastanza spazio per due persone coricate, con le loro armi e le loro carte . Q ueste ultime erano rappresentate dal diario di Wiesenthal e da un elenco di SS e dei loro crimini, che egli aveva compil ato pensando che un giorno avrebbe potuto essere utile. La casa fu perquisita spesso, ma Wiesenthal e Scheiman venivano sempre avvertiti in tempo e scomparivano n elle loro « tombe». Un amico polacco rimetteva a posto le assi, s ull e quali collocava una pesante tavola.

La sera del 13 gi ugn o 1944, venne da to l'allarme in strada. Avevano sparato a un soldato tedesco. SS e poliziotti polacchi in borghese stavano perquisendo le case per cercare le armi nascoote. Wiesenthal era nella su a ·« tomba », abbastanza calmo, quando sentì dei passi pesanti nella stanza. D'un tratto i passi cessarono, e un

momento dopo le tavole che lo coprivano venn ero tolte. Due agenti polacchi gli piombarono addosso, lo tirarono fuori e lo spinsero contro il muro, mentre una SS s'impadroniva del diario e dell'elenco di SS. Fu portato al posto di polizia di piazza Smolki. Quando vi arrivò, aveva ancora la sua pistola ma, fortunatamente per lui, la trovò uno degli agenti polacchi che gliela rubò, probabilmente per venderla al mercato nero. Se un tedesco avesse trovato l'arma, avrebbe sparato a Wiese nthal immediatamente.

Da piazza Smolki, \Viesenthal fu riportato al campo di concentramento. C'erano rimasti solo pochi e brei: sarti, calzolai, idraulici... artigiani dei quali le SS avevano ancora bisogno. Wiesenthal sapeva che, dopo aver letto il suo diario e il particolareggiato elenco di torturatori delle SS, la Gestapo avrebbe avuto prove sufficienti per impiccarlo dieci volte.

La sera del 1 5 giugno, dalla prigione d ella Gestapo mandarono due uomini a prenderlo. Uno era l'Oberscharfi.ihrer O skar Waltke, l'uomo forse più temuto di Lvov. Era un tipo massiccio, con freddi occhi grigi e capelli biondo-rossicci. Si rivolgeva ai prigionieri chiamandoli « Kindchen » - «piccini» - con un sorriso canzonatorio. Waltke, un automa sadico e freddo, dirigeva la Sezione Affari Ebraici della Gestapo a Lvov. La sua specialità era quella di smascherare gli ebrei che avevano un falso passaporto polacco. Torturava le vittime fino a sirappar loro la confessione, poi le faceva fucilare. Torturava anche molti cristiani fino a che confessavano di essere ebrei, solo perchè la smettesse. Il suo nome era nell'elenco compilato da Wiesenthal, che \Valtke doveva aver studiato con grande interes.5e. Wiesenthal sa~va che Waltke non si sarebbe contentato di farlo fucilare. Innanzi tutto, lo avrebbe sottoposto al suo trattamento speciale. Quando Wiesenthal fu condotto nel buio cortile dove era in attesa il camion della prigione della Gestapo, tirò fuori una lametta da rasoio che aveva tenuto nascosta nel polsino della camicia per una eventualità del genere.

« Avanti, Kindchen, presto! >> disse Waltke.

Con due movimenti rapidi, Wiesenthal si tagliò entrambi i polsi. Salì sul camion e perse conoscenza. Quando rinvenne, era in una cella dell'infermeria nella prigione della G estapo. Con lui c'erano due disertori, una SS e un ucraino. Un medico delle SS disse a Wiesenthal che egli aveva il privilegio di esse re il primo ebreo che f os.se stato curato nell'infermeria della prigione. Lo Herr SS-Oberscharfi.ihrer Waltke aveva espressamente ordinato di accelerare Ia guarigione di Wiesenthal con una dieta speciale di minestre nutrienti, di

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fegato e di verdure, perchè gli fosre possibile interrogarlo presto. Alcuni giorni dopo, W altke andò a trovare il suo protetto.

« Non era necessario, Kindchen, » gli disse. « Noi non siamo dei mostri. Adesso rimettiti presto, così tu ed io potremo avere un'amichevole conversazione. »

La notte dopo, quando i suoi compagni di cella si furono addormentati, Wiesenthal tentò nuovamente di suicidarsi; questa volta fissò la cinta dei calzoni a una sbarra deÌl'alta finestra della cella per impiccarsi. Ma i polsi fasciati erano intorpiditi, e quando salì su lla tazza del gabinetto per passarsi la cinta intorno al collo ebbe una vertigine e caèlde. I suoi compagni di cella si svegliarono e chiamarono le guardie. Wiesenthal fu legato alla branda. Rinunciò ai tentativi di suicidio. Il 16 luglio gli dissero che l'indomani mattina alle nove lo avrebbero portato da Waltke.

Quella notte non riuscì a chiudere occhio. Si sentiva il rumore delle cannonate e degli aerei. I suoi compagni di cella dissero che i rus.si si stavano avvicinando. All'alba ·venne aperta la porta della cella e i prigionieri ricevettero l'ordine di andare nel cortile. C'erano molti altri detenuti in fila. Al centro del cortile c'era una lunga tavola con sopra pacchi di cartelle. Dietro il tavolo, insieme con Waltke, Wiesenthal vide una SS cli nome Engels, che sedeva con le gambe accavallate e si batteva la gamba destra con un frustino da cavallerizzo. Engels prendeva una cartella, veniva chiamato un nome, un prigioniero andava a mettersi davanti al tavolo; Engels dava una rapida occhiata alla pratica, quasi mai al prigioniero. Poi diceva qual cosa a Waltke. Sempre battendosi la gamba col frustino, Engels indicava col pollice a destra. Il gruppo di destra s'ingrossava sempre più : erano rus.5i, ucraini, polacchi e calmucchi condannati a morte.

Quando venne chiamato Wiesenthal, W altke disse a Engels: « È lui. » Engels gettò a Wiesenthal uno sguardo in c uriosi to e disse: « Ah! » prima di spedirlo col pollice nel gruppo di destra.

« Forse ci avrebbero seppellito in una grande fossa comune , » ricorda Wiesenthal. « Guardai gli altri, come certi, in aereo, guardano i loro compagni di viaggio. Se dovessimo precipitare, pensano, costoro sarebbero i miei compagni n ella morte. Dall'altra parte del cortile vidi un gruppo di ebrei. Desideravo essere seppellito con loro, non con i pola cchi e gli ucraini, ma come fare? Improvvisamen te ci fu un boato nel cielo sopra di noi, e un'esplosione fece tremare il cortile. Dalla via Sapieha si levò in aria una nuvola di fuoco e di fumo. Le pratiche che erano sul tavolo volarono dappertutto, e ci fu

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una confusione spaventosa. In un batter d'occhio attraversai il cortile e mi misi nel gruppo degli ebrei. Un minuto dopo due SS ci carica.rono su un camion e ci riportarono al campo di concentramento di Janowska.»

Vennero rinchiusi in una casamatta di calcestruzzo. Dopo alcune ore, gli ebrei vennero portati davanti allo SS-Hauptsturmfuhrer Friedrich W arzok, comandante del campo, un tipo robusto con !e guance rosse e gli occhi gelidi. Passò ip rassegna i prigionieri e si fermò di fronte a Wiesenthal, che accolse chiamandolo « un mio vecchio ospite». Volle sapere da Wiesenthal come avesse fatto a scappare. Wiesenthal diede a Warzok una versione un po' riveduta della verità, per non compromettere il suo amico Kohlrautz. Warzok diventò straoz,çlinariamente gentile. Disse a Wiesenthal di andare con lui, e diede ordine che fossero uccisi gli altri ebrei. Quando furono nella Kommandantur, Warzok presentò Wiesenthal alle altre SS come « il figlio perduto che è tornato a casa».

« Pensavi che ti avrei fatto fucilare come gli altri, vero? » chiese a Wiesenthal. « Qui la gente muore quando io voglio che muoia. Torna alla tua vecchia baracca. Niente lavoro, e doppia razione di rancio .per te. »

Wiesenthal attraversò il campo, senza riuscire a raccapezzarsi. Warzok, che era responsabile della morte di almeno settantamila persone, lo lasciava vivere, e in più gli dava doppia razione di rancio. Era una cosa senza senso. Nella baracca erano rimasti trentaquattro prigionieri, fra uomini e donne ... trentaquattro, sui 1 49.000 ebrei di Lvov. Dopo averli minaociati di morte, Warzok aveva inaspettatamente detto ai prigionieri che lo SS-Brigadefiihrer Katzmann aveva deciso di risparmiarli. Stavano per lasciare Lvov insieme, prigionieri e guardie.

Li fecero passare attraverso la città, sotto un intenso fuoco di artiglieria. Alla stazione ferroviaria, furono spinti in un carro merci già stipato di polacchi. Alcuni dissero che le SS li avrebbero uccisi col gas dentro al vagone, ma quando la porta venne riaperta e una SS, che si chiamava Blum, mise dentro un cagnolino nero e una gabbia con un canarino e minacciò di sparare a tutti se fosse successo qualcosa alle due bestiole, Wiesenthal capì che non li avrebbero uccisi col gas. Le SS amavano i loro animali.

La mattina dopo arrivarono n ella città di Przemysl, e W aazok li informò che aveva venduto i suoi prigionieri coane « lavoratori coatti non tedeschi » all'Organizzazione Todt, l'ente statale che costruiva fortificazioni e simili. Warzok disse loro di dimenticare che erano

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stati nel campo di concentramento e di dimenticare che erano ebrei. Chiunque avesre parlato di ciò che era accaduto in passato sarebbe stato fucilato, disse. L'evacuazione sarebbe continuata verso occidente. Gli ebrei avrebbero avuto le stesse razioni di cibo, di Schnaps e di sigarette che ricevevano le guardie SS.

« Finalmente capimmo perchè Warzok ci aveva risparmiati,» dice Wiesenthal. « Fino a che le SS avessero avuto qualcuno da sorvegliare, avrebbero eluso l'obbligo di andare al fronte. Noialtri trentaquattro ebrei diventammo l'~curazione sulla vita di quasi duecento SS. Avremmo formato tutti insieme una bella famiglia. Warzok disre che avremmo cercato di raggiungere le foreste della Slovacchia, dove ci saremmo nascosti fino a che la guerra f finita. »

A Dobromil la ferrovia terminava, e dovemmo proseguire a piedi. La strada formicolava di civili che fuggivano dai russi, mentre dalla d irezione opposta venivano colonne di sold a ti tedeschi, che andavano stancamente verso il fronte. A un certo punto un convoglio di Volksdeutsche (tedeschi della Polonia) cercò di sorpassarli; W arzok fermò il convoglio di carri a cavalli e ne requisì trenta. Ai disgraziati V olksdeutsche lasciò solo dieci carri. Così, su ogni carro c'erano un « lavoratore » ebreo e una mezza dozzina di SS che lo « sorvegliavano». Quando giunsero all'ultimo ponte, ancora intatto, sul fiume San, in Polonia, l a confusione aumentò. Correva voce che i russi fossero vicini, ma davanti al convoglio di Warzok c'era una colonna della Wehrmacht che bloccava il traffico. Se la èolonna passava il ponte per prima, le SS potevano rimanere intrappolate. Warzok sapeva ciò che gli sarebbe successo se fosse caduto nelle mani dei sovietici. Raggiunse la testa della colonna della Wehrmacht, puntò l a pistola contro il maggiore che la comandava, mentre una SS teneva a bada gli altri ufficiali con un mitra. Warzok ordinò alle sue SS di superare la colonna della Wehrmacht. Mentre passavano, Wiesenthal vide il maggiore tedesco, pallido e furibondo, e Warzok che gli puntava la pistola addosso. Quan<lo furono sulla sponda occidentale, Warzok ordinò ad alcuni genieri dell'esercito tedesco di far saltare il ponte già abbondantemente minato. Le SS si salvaro n o, ma la colonna della Wehrmacht fu catturata dai sovietici. (Wiesenthal raccontò in seguito questo episodio a parecchi ex ufficiali della Wehrmacht, che a tutta prima si erano rifiutati di aiutarlo nelle sue indagini sulle SS perchè, dicevano, sarebbe stato « contrario allo spirito di cameratismo » , il Kameradschaftsgeist. « Di solito, però, dopo aver sentito il mio racconto, mi aiutavano, » concludeva asciutto Wiesenthal. )

A Grybow, una città polacca, Warzok ordinò a Wiesenthal di dipingere un grande cartello con la scritta ss BAUSTAB VENUS. Il cartello fu posto in mezzo a un campo, circondato dai veicoli e dai cavalli. Questo era il comando dell'inesistente « Gruppo Costruzioni SS Venus ». Lunghe colonne di soldati tedeschi dall'aria sfiduciata passavano lì accanto, guardavano il cartello e logicamente si domandavano che cosa mai avrebbero costruito quelli della Baustab Venus. La stessa domanda, del resto, se la ponevano anche quelli della Baustab Venus. Dopo un po', si misero di nuovo in cammino verso occidente. C'era poco da mangiare, e ogni tanto dei gruppetti di ebrei e di SS venivano spediti in giro per la campagna a rubare un po' di cibo. Nel villaggio di Chelmiec, gli uomini di Warzok circondarono la chiesa durante la messa, arrestarono tutti gli uomini, le donne e i bambini e se li portarono via. Wiesenthal capì : Warzok voleva che il rapporto numerico fra guardie e prigionieri fosse più convincente. Nella città di Neu-Sandec, Warzok portò Wiesenthal in campagna e gli disse di studiare il terreno: dovevano costruire degli ostacoli anticarro.

« Pensai che Warzok fosse diventato matto. C'era una strada ripida, stretta e polverosa che portava in cima alla collina, e finiva lassù. L'ingegnere che era in me si risvegliò. Dissi a Warzok che la strada non portava in alcun luogo. A che serviva costruire delle difese anticarro? Egli diede una manata sulla fondina della pistola e gridò : <Ti ho forse chiesto il tuo parere? > e allora capii. Per un certo tempo costruimmo difese contro carri che non sarebbero mai venuti. Poi i russi si avvicinarono, e ci trasferimmo di nuovo, questa volta al campo di concentramento di Plaszow, presso Cracovia, e qui due SS di Warzok, Dyga· e Wurz, portarono la maggior parte degli ebrei nei boschi vicini, e li uccisero: un altro gesto di amore fraterno di W arzok. Costui è ancora in giro, da qualche parte, ma spero di riuscire a trovarlo. >>

Il 15 ottobre 1944, diverse migliaia di internati nel campo di Plaszow furono trasferiti al campo di concentramento di Grossrosen, vicino a Breslavia (oggi Wroclaw, Polonia), dove c'erano circa seimila polacchi ed ebrei. Wiesenthal sentì delle voci sulla battaglia di Varsavia. Aveva cercato inutilmente di mandare notizie alla moglie. Però non sapeva che, nell'agosto del 1944, la moglie aveva ricevuto questo messaggio da Lvov: « Wiesenthal arrestato da W altke della Gestapo, si è tagliato i polsi, è morto. »

Un giorno, un gruppo di polacchi di Varsavia venne portato al campo di Grossrosen. Fu subito dopo l'insurrezione della , città. Si

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diceva che uno di quegli uomini venisse dalla via Topici. La moglie di Wiesenthal abitava al n. 5 di via Topiel. Wiesenthal parlò con quell'uomo e gli chiese cautamente notizie degli abitanti di via Topiel. Per caso, il polacco aveva conosciuto una certa « Iren e Kowalska », che stava al numero 5? Wiesenthal aveva imparato a non fidarsi di nessuno, nemmeno dei suoi compagni di prigionia. Non disse al polacco che quella « Kowalska » era sua moglie.

Il polacco dis.<;e che la ricordava bene; lui abitava al numero 7, il portone accanto. « Amico mio, nessuno si è salvato a via Topiel, » gli disse. « I tedeschi hanno circondato una casa dopo l'altra con i lanciafiamme, e poi hanno fatto saltare ciò che ancora rimaneva in piedi. Non c'è speranza, credi a me. Via Topiel è una grande fossa comun e.»

Ai primi di gennaio del 1 945 l'Armata Rossa era vicino a Grossrosen. I prigionieri fecero tutta la strada a piedi fino a Chemnitz (ora Karl Marx Stadt nella Germania Orientale) e di là, attraverso campi e boschi, fino a Weimar e al vicino campo di concentramento di Buchenw2!d. Il freddo era intenso e c'era molta neve. Migliaia di prigionieri morirono, e quelli che cadevano esausti venivano finiti dalle SS. Wiesenthal non rimase a lungo a Buchenwald. Il 3 febbraio 1945, tremila prigionieri furono caricati sui camion, centoquaranta per ogni camion scoperto. Ri masero sui camion per ore e per giorni : molti morirono di fame e di sete.

« I morti stavano con i vivi, » ricorda Wiesenthal. « Volevamo buttarli fuori dai camion, ma la popolazione civile protestò, e le SS ci avvertirono che ci avrebbero sparato se avessimo buttato i cadaveri sulla strada. Mettemmo i corpi rigidi sul fondo del camion, come fossero tavole di legno, e ci sedemmo sui cadaveri dei nostri compagni. »

Il 7 febbraio, il convoglio proveniente da Buchenwald arrivò alla stazione ferroviaria di Mauthausen, nell'Austria Superiore. Fu fatto l'appello. Delle tremila persone che avevano lasciato Buchenwald tre settimane prima, ne erano rimaste vive milleduecento. Centootto di esse morirono durante il tragitto dalla stazione al campo di concentrame nto di Mauthauseil, che distava appena sei chilometri.

Wiesenthal ricorda bene la notte limpida, spaventosamente fredda, lo scricchiolio della neve gelata sotto i piedi. Ogni passo era uno sforzo immane. Egli si trovò a camminare accanto a un certo principe Radziwill, un parente del quale sposò in seguito la sorella della mogli e di John F. K ennedy. Erano legati l'uno all'altro per un braccio e cercavano di sostenersi a vicenda, ma alla fine non ce la fecero a

proseguire e caddero nella neve. Wiesenthal udì una voce che gridava: « Siete vivi?» e poi una detonazione, ma le mani della SS dovevano essere intirizzite, perchè la pallottola colp ì la n eve fra lui e R adziwill. La colonna prooegul n ell 'oscurità , e Wi ese nth al e Radziwill rimasero lì a te rra. Do po un po' la neve gli diede un senso di benessere, quasi di piacevole calore. Wicsenth al ricorda di aver dormi to un poco, ma poi venne sollevato e gettato su un camion, in cima ad alcuni cadaveri. In seguito gli dissero che il comando del campo a veva mandato dei camion a raccogliere i cadaveri perchè gli abitanti di Mauthausen, andando al lavoro la mattina, non fossero turbati dalla vista di tanti morti. Evidentemente, lui e RadziwiU erano qu asi irrigiditi dal freddo, e li avevano credu ti morti. Ma quando il camion arrivò nel cortile dei forni c rematori e i corpi vennero scaricati, i prigionieri add etti a quel lavoro si accorsero che quei due non erano affa tto morti. F o rtun atamente, non c'er ano SS in giro, e il cortile era immerso nell'oscuri tà . I prigionieri portarono Wiesenthal e Rad ziwill nelle docce, li spogliarono e li misero sotto l'acqua fredda. I due ripresero conoscenza. D alle docce, uno stretto corridoio portava alle baracche del campo, così li fecero entrare di nascosto in una camerata, deboli e storditi, ma vi vi.

W iesenth al non sarebbe vissuto a lungo, però, perchè il comando del campo lo assegnò al IV isolato, l' « isolato della morte », insieme con altri prigionieri che non erano in grado di lavorare e che dovevano morire. Il suo peso era sceso a circa quarantacinque c hili. La dieta giornaliera era di duecento calorie: una scodella di brodaglia puzzolente. La maggior parte dei prigionieri se ne rimanevano sdraiati sulle brande, incapaci di mettersi a sedere o di camminare. Wiesent hal attribuisce la sua salvezza alla fo rza di volontà e all'aiuto di un Kapò pol acco, Eduard Staniszewski, un negoziante di caffè che Wiesenthal aveva conosciuto a P oznan. Staniszewski gli portava di quando in quan do un pezzetto di pane. Si sedeva sulla brand a di W iesenthal, e parlavano di ciò che avrebbero fatto a guerra finita. Sapevano che n on sarebbe durata a lungo perc hè sentivano in cielo il rombo degli a erei americani. Stan iszewsk i diceva che gli sarebbe pi aciuto tornare in P olonia e apri r e un bel caffè, e volJe che Wiesenthal gli buttasse giù il progetto per il suo locale.

« Mi portò car ta e m atite e cominciai a d isegnare, » dice Wiesenthal. « Ciò mi aiutò a dimenticare dove mi trovavo e te neva lontano i miei pensieri dalla gente che era m orta e che moriva intorno a me. Feci dei progetti particolareggiati per il caffè. Disegn ai perfino la livrea per i camerie ri. Sdraiato sulla branda, disegnai t anti progetti

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da fame un volume. Staniszewski era molto contento e continuava a portarmi del pane. Parlavamo per ore del colore dei tappeti e della forma dei tavoli. Si portò via i progetti. L'ho incontrato diversi anni fa, e mi ha detto che li conserva ancora. Disgraziatamente, le cose non gli sono andate bene, e il suo caffè non è mai stato costruito. »

Wiesenthal giaceva nella camerata A, conosciuta come il posto « migliore » . Quando un uomo diventava tanto debole che si prevedeva morisse nel giro di pochi giorni, lo portavano nella camerata B. Ma la percentuale di morti era alta anche nella camerata A. C'erano due o tre uomini per ogni branda, e talvolta Wiesenthal, svegliandosi al mattino, si accorgeva che un suo compagno di branda era morto. Perfino le incallite SS non entravano nella camerata, tanto puzzava di malattia, di pus e di morte. Ogni mattina u na SS si fermava sulla porta e gridava: « Wie viele sind heute Nacht krepiert? » ( « Quanti ne sono crepati questa notte? » )

« A volte, » dice Wiesenthal, « noi della camerata A pensavamo di essere gli .ultimi uomini sulla terra. Avevamo perso il senso della realtà. Non sapevamo se c'erano altri ancora vivi. In effetti non eravamo molto lontani dal vero. Quasi tremila prigioni.cri sono morti a Mauthausen dopo che gl~ americani ci liberarono il 5 maggio

1 945· »

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Alle dieci di mattina del 5 maggio 1945, vidi un grosso carro armato grigio con una stella bianca sulla fiancata e la bandiera americana che sventolava dalla torretta. lo stavo sullo spiazzo battuto dal vento che fino a un'ora prima era stato il piazzale del campo di concentramentro di Mauthausen. Era una giornata di sole, con un profumo di primavera nell'aria. L'odore dolciastro della carne bruciata, che di solito ristagnava sul piazzale, era sparito.

La notte precedente, Je ultime SS erano fuggite. La macchina della morte si era fermata. Nella mia camerata, alcuni morti giacevano sulle cuccette. Quella mattina non erano stati portati via. Il forno crematorio non funzionava più.

Non ricordo come avessi fatto a trascinarmi dalla baracca fino al piazzale. Quasi non ce la facevo a camminare. Indossavo una stinta uniforme a strisce con una « J » gialla in mezzo a una stella di Giuda color arancione. Attorno a me c'erano altri uomini con le uniformi a strisce. Alcuni agitavano delle bandierine in segno di saluto. Dove avevano preso quelle bandierine? Gliele avevano portate gli americani? Non l'ho mai saputo.

Il carro armato con la stclla bianca si era fermato a meno di cento metri da me. Avrei voluto toccare la stella, ma ero troppo debole. Ero riuscito a sopravvivere per vedere quel giorno, · ma non riuscivo a fare gli ultimi cento metri. Ricordo che feci qualche passo, poi le ginocchia mi si piegarono e caddi con la faccia per terra.

Qualcuno mi rialzò. Sentii il tessuto ruvido di una uniforme kaki americana che mi strusciava contro le braccia nude. Non potevo parlare; non potevo nemmeno aprire bocca. Tesi la mano verso la stella bianca, toccai la piastra di metallo fredda e polverosa, poi svenni.

Quando riaprii gli occhi, e mi parve che fosse passato molto tempo, ero di nuovo steso sulla mia .cuccetta. La camerata se~brava diversa. C'era un solo uomo in ciascun castello, non più tre o quat-

CAPITOLO I IL RACCONTO DI SIMON \VIESENTHAL
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tro, e i morti erano stati portati via. Nell'aria c'era un odore insolito. Era onT. Portarono delle grosse marmitte piene di minestra. Era una ve ra minestra e aveva un sapore delizioso. Io ne presi troppa; il mio stomaco non era più abituato a ricevere tanto cibo e mi sentii molto male.

I giorni successivi trascorsero in una sorta di piacevole apatia. Per la maggior parte del tempo sonnecchiavo sulla cuccetta. Dei med ici americani con i camici bianchi vennero a visitarci. Ci diedero delle pillole e altro cibo : minestra, legumi~ carne. Io ero ancora così debole che quando volevo muovermi dovevo farmi aiutare da un amico. Ero riuscito a sopravvivere, non avevo più bisogno di costringermi ad esse re forte; ero arrivato al giorno per il quale avevo pregato in tutti quegli anni, ma ora mi sentivo più d ebole che mai. « Una reazione naturale, » dissero i medici.

Raccolsi le forze per alzarmi e uscire da so lo. Mentre passavo barcollando in un corridoio oscuro, qualcuno mi saltò addosso e mi buttò a terra. Caddi e persi conoscenza. Quando rinvenni, ero disteso sulla mia cuccetta e un dottore americano mi diede qualcosa da inghiottire. Due amici eran o seduti vicino a me. Mi avevano raccolto nel corridoio e mi avevano trasportato fino alla c u ccetta. Dissero che era stato un Kapò polacco a colpirmi. Forse ce l'aveva con me perchè ero ancora vivo.

I compagni della camerata A mi dissero che dovevo denunciare il Kapò alle autorità americane. Ora eravamo uomini liberi, non eravamo più Untermenschen. Il giorno dopo i miei amici mi accompagnarono in un ufficio che si trovava nel fabbricato dove un tempo aveva avuto sede il comando del campo. Sulla porta c'era un cartello scritto a mano che diceva CRIMINI DI GUERRA. Ci fecero aspettare in una piccola anticamera. Mi portarono una sedia e io mi sedetti.

Attraverso le porte aperte, vedevo gli ufficiali americani, sedut i dietro le scrivanie, che interrogavano le SS impalate sull'attenti davanti a loro. C'erano diversi ex prigionieri èhe lavoravano come dattilografi. A un certo punto venne portata nella stanza una SS e io istintivamente voltai la testa da una parte perchè non mi vedesse. Quello era sta to un brutale aguzzino: quando passava per il corridoio, se incontrava un prigioniero che non si faceva subito da parte e non scattava sull'attenti, lo colpiva sulla faccia con il fr u stino che si portava sempre appresso. La vista di quell'uomo mi aveva sempre fatto venire il sudore freddo.

Ora, lo guardavo imbambolato e quasi non potevo crederci. La

.. ,

SS tremava, proprio come io avevo tremato un tempo davanti a lui. Teneva le spalle curve e notai che si asciugava spesso le palme delle mani. Non era più un superuomo; sembrava un animale in trappola. Era scortato da un prigioniero ebreo... un ex prigioniero.

Io continuavo a guardare affascinato. Non riuscivo a sentire quello che dicevano mentre J.a SS stava davanti all'ufficiale americano che lo interrogava. Quasi non ce la faceva a stare sull'attenti e aveva l a fronte imperlata di sudore. L'ufficiale americano fece un gesto con la mano, e un soldato portò via la SS. I miei amici mi dissero che tutte le SS erano state rinchiuse in un grosso bunker di cemento, dove sarebbero rimaste in attesa di essere prOCC$ate. Feci la mia denuncia co ntro il Kapò polacco. I miei amici dichiararono di avermi trovato steso a terra, privo di sensi, nel corridoio. Testimoniò anche uno dei medici americani. Poi tornammo nella nostra camerata. Quella sera il Kapò si scusò con me davanti ai nostri compagni e mi porse la mano. Accettai le sue scuse, ma non gli diedi la mano.

Il Kapò non contava più; ormai faceva parte del passato. Continuai a pensare alla scena che avevo visto nell'ufficio. Disteso sulla cuccetta con gli occhi spalancati, vedevo ancora la SS tremante, uno spregevole vigliacco pie no di paura nella sua uniforme nera. Per anni quell'uniforme era stata il simbolo del terrore. Durante la guerra avevo visto dei soldati tedeschi spaventati - anche i soldati avevano paura delle SS - ma non avevo mai visto una SS spaventata. Li avevo sempre considerati come gli uomini forti, la élite di un regime perverso. Mi ci volle parecchio per comprendere quello che avevo visto: i supe ruomini erano diventati vigliacchi quando non si erano più sentiti protetti dalle armi. Erano finiti.

Mi alzai dal la cuccetta e uscii dalla camerata. Dietro il forno crematorio, le SS stavano scavando delle fosse per i nostri tremila compagni che erano morti di inedia e di sfinimento dopo l'arrivo degli americani. Mi sedetti a guardare le SS. Due settimane prima mi avrebbero pi cchiato a morte se avessi osato starmene li a guardarle. Ora, sembrava che avessero paura perfino di passarmi vicino. Una SS chiese una sigaretta a un soldato americano. Il soldato buttò a terra la sigaretta che stava fumando. La SS si chinò per prenderla, ma un suo camerata fu più svelto e si impadronì del mozzicone; le due SS cominciarono a litigare, fino a che il soldato non ordinò loro di smetterla.

Erano passate solo due settimane, e l'élite del Reich Millenario si accapigliava per un mozzicone di sigaretta. E noi, da quanti anni

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non fumavamo una sigaretta? Tornai in camerata e mi guard ai intorno. La maggior parte dei miei compagni se ne stava sdraiata sulle cuccette. Dopo il primo momento di euforia, molti erano stati presi dall'avvilimento. Ora che sapevano che avrebbero vissuto, si rendevano conto della inutilità delle loro esistenze. Erano stati risparmiati... ma non avevano nessuno per cui vivere, nessun posto dove tornare, non avevano nemmeno dei frammenti di esistenza da rimett ere insieme.

Dovevo fare qualcosa per non soccombere nell'apatia. Avevo bisogno di qualcosa che mi impedisse di avere degli inoubi di notte e di sognare ad occhi aperti di giorno. Sapevo benissimo quello che potevo fare e quello che dovevo fare.

Mi recai nel fabbricato degli uffici a offrire i miei servizi.

Speravo che non avrebbero fatto caso al mio aspetto. Il tenente americano mi ascoltò e scosse la t esta. Che cosa avrebbero potuto farmi fare? Mi disse che non av evo nè preparazione nè esperienza.

« A proposito, quanto pesi? » mi chi ese.

« Cinquantasei chili, » gl i mentii.

II tenente ·scoppiò a ridere. « Wi csent hal, pensa alla salute e torna qui quando peserai davvero cinquantasei chili. »

Dieci giorni più tardi ero un po' aumentato di peso. Pensai allora di mettermi anche un po' di trucco. Avevo trovato un pezzo di carta rossa e lo usai per nascondere il pallore delle guance. Un amico mi chiese se per caso andassi a cercarmi una sposa

« Sì, ma una sposa c he a qualcuno non piacerà, » risposi.

Il tenente dovette capire quello che poteva significare per me quel lavoro, perchè mi disse di cominciare subito e mi assegnò al capitano Tarra.cusio, un nobile russo della Georgia emigrato negli Stati Uniti nel 1918. Tarracusio era professore di diritto internazionale all'Università di Harvard.

Io accompagnavo il capita.no Tarracusio nelle sue spedizioni alla ricerca delle SS di Mau thause n che si nascondevano nei dintorni del campo. A volte Tarracusio voleva che fossi io stesso ad effettuare gli arresti.

Non dimenticherò mai la nostra prima missione. Ci r ecam mo in macchina ad un casolare dove viveva una SS di nome Schmidt, che era stato uno dei nostri carcerieri : era un ometto insignificante, dal!'aspetto anonimo come il suo nome. Salii al secondo piano del caso. lare, Io scovai e lo arrestai. Non cercò nemm eno di opporre resistenza. Tremava come una foglia, e anch'io tremavo, seppure per un motivo differente. La tensione nervosa e le scale che avevo dovu-

to salire mi avevano sfinito. Dovetti sedermi a riprendere fiato. Schmidt mi aiutò a scendere. Avrebbe potuto benissimo fuggire. Se mi avesse dato una spinta, io sarei caduto giù dalle scale e lui sarebbe ,potuto svignarsela dal retro della casa.

Ma Schmidt non pensava affatto a scappare. Al contrario, mi diede il braccio e mi aiutò a scendere le scale. Era una situazione assurda: era come una lepre che portasse un cane da caccia. Schmidt si sedette nella jeep dietro al capitano Tarracusio e a me e cominciò a chiedere pietà. Piangeva e protestava di essere solo un pesce piccolo. Aveva solo obbedito agli ordini. Giurò di avere aiutato più di un prigioniero.

Allora dissi a Schmidt : « .t vero, hai aiutaito i prigionieri. Ti ho visto s~. Li hai aiutati ad andare al forno crematorio. »

Non disse più una parola. Se ne rimase buono buono, con le spalle curve, torcendosi le mani tremanti fino a che arrivammo al campo e lo consegnammo a quelli dei Crimini di Guerra.

Schmidt fu il mio primo « diente », e nelle settimane che seguirono ce ne furono molti altri. Non c'era bisogno di andarli a cercare lontano; si può dire che ce li trovavamo fra i piedi. Durante i mesi che seguirono, contribuii a raccogliere parte delle testimonianze che vennero presentate più tardi durante i processi per i crimini di guerra che si tennero a Dachau davanti a un tribunale militare statunitense.

Dopo la creazione delle quattro zone militari in Austria nel I 945, Mauthausen risultò inclusa nella zona sovietica, e perciò il nostro ufficio per i Crimini di Guerra si trasferi a Linz, nella zona americana. Molti degli ex internati di Mauthausen vennero raccolti, in un campo profughi allestito nella scuola elementare di Leonding, una cittadina presso Linz.

Un ragazzino di nome Adolf Hitler aveva fatto i primi studi in quella scuola. Dormivamo su delle brande in un'aula dalle cui finestre si vedeva una casetta: la vecchia casa dei genitori di Hitler, che erano sepolti nel cimitero in fondo alla strada. Quella vista non era fatta per , entusiasmarmi, e ·perciò dopo pochi giorni lasciai la scuola e affittai una modesta camera mobiliata nella Landstrasse, a Linz. Come alloggio non era un gran che, questo è vero, ma dalla finestra vedevo un giardinetto.

Passavo le mattinate nell'ufficio per i Crimini di Guerra, mentre dedicayo i pomeriggi al nuovo Comitato Ebraico di Linz, in seguito divenuto il Comitato Centrale Ebraico della zona americana in Au-

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stria, del quale fui vicepresidente. Il comitato allestì un ufficio di fortuna in due stanzette.

I locali erano sempre affollati. Nei mesi subito dopo la guerra, i nostri visitatori erano relitti umani, dalle guance smunte e dalle labbra esangui, che sembrava indossassero gli abiti di un altro. Molti dicevano di essere stati a Mauthausen. I nomi delle SS che tutti conoscevamo, il ricordo degli amici che erano morti, servivano a farci riconoscere l'un l'altro. Alcuni si comportavano come delle persone che siano scampate a un terremoto o a un uragano e che non sappiano capacitarsi di essere state risparmiate mentre tutti gli altri sono morti nel disastro. Si chiedevano « Chi altro è vivo? » Essere sopravvissuti era incomprensibile, ma era anche ,difficile da capire che altry f05.5ero ancora vivi. Se ne stavano seduti a chiacchierare sui gradini davanti all'ufficio. « È possibile .che mia moglie, mia madre, mio figlio siano vivi? È possibile che viva ancora qualche mio amico, qualche mio compaesano?»

Le poste non funzionavano. Le poche linee telefoniche disponibili erano requisite dai militari. L'unico modo di sapere se una persona era viva, era di andare a cercarla. L'Europa era percorsa da colonne disordinate di sopravvissuti che si spostavano affannosamente con tutti i mezzi. La gente faceva l'autostop, si faceva dare brevi passag:gi sulle jeep, o viaggiava aggrappata alle sgangherate carrozze ferroviarie senza sportelli e senza finestrini. Altri si ammucchiavano sui carri agricoli . ed altri ancora si rassegnavano ad atidare a pi edi. Qualunque mezzo era buono, pur di avvicinarsi anche di poche miglia alla meta. Per andare da Li:nz a Monaco ci volevano cinque giorni, mentre a cose normali bastavano tre ore di ferrovia. Molti non sapevano nemmeno loro dove andare. Nel posto dove avevano vissuto con la loro famiglia prima della guerr.a? Nel campo di concentramento dove la famiglia eiia s tata veduta per l'ultima volta? Le famiglie erano state smembrate troppo repentinamente perchè fosse stato possibile pre nd ere accordi per i:l giorno in cui tutto fosse finito.

Nelle immortali Avventure del buon soldato Svejk, di Jaroslav

· Hasek, il protagonista si dà appuntamento con un runico in una certa birreria di Praga per « il primo mercoledì dopo la fine della guerra». Ma la prima guerra mondiale era stata una faccenda · tranquilla, in paragone con l'apocalisse alla quale eravamo scampati. E t u ttavia i sopravv~uti continuavano il loro disperato pellegrinaggio, dormendo sulle strade e nelle stazioni ferroviarie, attendendo un treno dopo l'altro, aspettando che un carro li pre ndesse su, sempre animati dalla speranza. « Forse qualcuno è ancora vivo... » Qualcu-

no poteva dir loro dove fos.sero la moglie, la madre, ·i figli, il fratello... o se fossero morti. Meglio sapere la verità che non sapere nulla. Il desiderio di ritrovare i propri cari era più forte della fame, della sete, della fatica. Persino più forte della paura che ispiravano le pattuglie di confine o gli uomini del CIC o della NKVD, che chiedevano : « Vediamo i documenti »

La prima cosa che facemmo al Comitato di Linz fu di preparare degli elenchi delle persone che oi risultavano sopravvissute. A coloro ché venivano a cercare notizie di qualcuno, chiedevamo da dove venissero. Erano nomadi, vagabondi, mendicanti. Ma una volta avev,ano avuto una casa, un lavoro, dei risparmi. Il loro nome veniva incluso nell'elenco della città o del villaggio di origine. A poco a poco i nostri elenchi si allungarono. Dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia o dalla Germania ci portarono altre liste, e noi ·demmo in cambio copie delle nostre. Lavoravamo fino a notte inoltrata per copiare gli elenchi, e di buon mattino cominciava ad arrivare gente ad esaminar,li. Alcuni aspettavano tutta la notte per poter entrare. Si mettevano in fila e aspettavano di poter dare un'occhiata ai nostri elenchi, un'occhiata che poteva significare speranza o . disperazione. Alc~ni erano impazienti e provocavano disordini. Una volta due si accapigliarono per impossessarsi di un elenco, con il risultato di ridurre in pezzi il prezioso foglio di carta. Un'altra volta due uomini cominciarono a litigare, senza staccare lo sguardo dall'elenco che un terzo teneva in mano. Ciascuno dèi due voleva essere il primo a consultarlo. D'un tratto si guardarono in viso e rimasero senza fiato; e un attimo dopo erano l'uno nelle braccia dell'altro. Erano due fratelli che si cercavano da settimane.

E poi c'erano momenti di silenziosa disperazione quando uno scopriva che la persona cercata era stata lì proprio pochi giorni prima a cercare di lui. Si erano mancati per poco. E adesso, come avrebbero fatto a ritrovarsi? Altri scorrevano le liste dei sopravvissuti sperando, contro ogni speranza, di trovare i nomi di persone che essi avevano visto uccidere sotto i loro occhi. Tutti avevano sentito raccontare di qualche caso miracoloso.

Io non guardavo mai gli elenchi : non credevo ai miracoli. Sapevo che tutti i miei erano morti. Da quando alcuni polacchi di V arsavia nù avevano detto quello che era accaduto in via Topiel, non nutrivo più speranze che mia moglie fosse viva. Quando pensavo a lei, vedevo il suo corpo disteso sotto un ammasso di macerie e mi domandavo se !',avessero tirato fuori e gli avessero dato sepoltura. In un impeto di assurda speranza, scrissi al Comitato Internazionale della

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Croce Rossa a Ginevra. Mi risposero subito che mia moglie era morta. Sapevo che mia madre non aveva una tomba; era morta nel campo di sterminio di Belsec. Speravo che per lo meno mia moglie potesse avere una sepoltura.

Una sera, non avendo niente altro da fare, died i un'occhiata all'elenco dei sopravvissuti della città polacca di Cracovia, e scoprii il nome di un mio vecchio amico di Buczacz, un certo dottor Biener. Gli scriSfil una lettera dicendogli che forse hl corpo di mia moglie era ancora sepolto sotto le macerie della casa di via Topiel. Gli chiesi di andare a Varsavia e di vedere che cosa era rimasta della casa. Non c'erano comunicazioni postali con .la Polonia, peziciò affidai la lettera a un tale che si era specializzato nel portare roba in Polonia passando attraverso la Cecoslovacchia.

Non sapevo ancora che era accaduto veramente un miracolo. Mia moglie mi raccontò tutto in seguito. Quando le squadre di lanciafiamme tedesche arrivano in via Topiel, nel buio e nella confusione, mia moglie e qualcun altro riuscirono a fuggire. Per un po' rimasero nascosti. Dopo la fine dei combattimenti a V arsavia, i pochi superstiti furono rastrellati dai tedeschi e mandati a lavorare in Germania. Mia moglie venne mandatà in uno stabilimen,to di Heiligenhaus, presso Gelsenkirchen nella Renania, dove si fabbricavano mitragiliatrici per la Wehrmacht. Gli operai polacchi er.ano alloggiati e nutriti abbastanza bene e la Gestapo li lasciò in pace. I tedeschi sapevano di aver perso la guerra.

Mia moglie fu liberata dagli inglesi, che entrarono a Gelsenkirchen l'r r aprile 1945. (Quel giorno io gi,acevo sulla mia cuccetta nel campo di sterminio di Mauthausen). Mia moglie si presentò alle autorità britanniche e dichiarò di essere Cyla Wiesenthal, ebrea polacca Nel gruppo di mia mog,lie c'erano altre sei ebree, e una di queste le disse che aveva intenzione di tornare a casa.

« A oa:sa? » chiese mia moglie. « Quale casa?»

« In Polonia, naturalmente. Petchè non vieni con me? »

« A che fare? Mio marito è stato ucciso l'anno scorso dalla Gestapo a Lvov. La Polonia non è più che un cimitero per me. »

« Hai delle prove che sia morto?»

<< No, » disse mia moglie, « ma... »

« E aillora non crederci. Supponi che sia vivo: dove potrebbe tro·;,v:ars1. »

Cyla ci pensò. « A Lvov, credo. Abitavamo lì prima della guerra. »

« Lvov si trova ora nell'Unione Sovietica, » le disse l'amica. « Andiamoci.»

Le due donne lasciarono Geilsenkirchen nel giugno 1945. (Più tardi d rendemmo conto che, a un certo punto del viaggio, mia moglie si era trovata a meno di cinquanta chilometri da Linz.) Dopo un viaggiq avventuroso, raggiunsero il confine ceco-polacco a Bohumin. Seppero che quella sera sarebbe partito un treno per Lvov. Salirono ne1le vetture sovraffollate e arrivarono a Cracovia la mattina seguente. Venne annunciato che ci sarebbero ,state quattro ore di fermata.

Alla stazione ferroviaria di Cracovia -rubarono a mia moglie la valigia che conteneva tutti i suoi effetti. Questo fu il suo ritorno in patria. Per distrarla, la sua amica le propose di andare a fare quattro passi in città. Forse avrebbero incontrato qualcuno che conoscevano. La bella vecchia città de i re polacchi sembrava deserta e spettrale quella mattina. A un tratto mia mogli e sentì gridare il suo nome e riconobbe un tale, un certo Landek, che era stato dentista a Lvov. (Landek vive ora in America.) Per un po' si sc ambiarono domande affannose e foasi mozze, come succedeva sempre quando due sopravvissuti si incontravano. Landek aveva sentito dire che Simon

Wiesenthal era morto, ma Ie consigliò di parlare con il dottor Biener, che forse avrebbe avuto notizie più sicure.

« Il dottor Biener di Buczacz? » chiese mia moglie. « È a Cracovia?»

« Abita a cinque minuti da qui. » Landek le diede l'indirizzo e se ne andò.

Quando arrivarono a casa del dottor Biener, mia moglie chiese all'amica di aspettarla dabbasso. Salì le scale col cuore gonfio. Al terzo piano vide una targhetta col nome BIENER e suonò il campanello. La porta si aprì e per un attimo ella vide la faccia del dottor Biener e poi udì un grido soffocato. Ma subito la porta venne chiusa di nuovo.

« Dottor Biener ! » gridò mia moglie picchiando i pugni sulla porta. « Apra! Sono Cyla. Cyla Wiesenthal di Buczacz! »

La porta si riaprì. Il dottor Biener era pallido, come se av~ visto uno spett ro.

« Ma... lei è morta, » disse. « Ho appena ricevuto una lettera .... »

« Sono perfettamente viva, » disse mia moglie risentita. « Certo che dopo aver passato una notte in treno sembro mezzo morta. »

« Entri, » disse in fretta il dottor Biener, e chiuse la ,porta. « Lei non capisce. Ieri ho ricevuto una lettera da suo marito. Simon mi scrive che lei è morta sotto le rovine di una casa a V arsavia. »

..
B

Ora toccò a mia moglie impallidire. « Simon? Ma è morto. È morto da oltre un anno. »

Il dottor Biener scosse la testa. « No, no, Cyla. Simon è vivo, si trova a Linz, in Austria. Ecco, legga la lettera. »

Fecero salire l'arn1ca di mia moglie, che non rimase per nuHa sorpresa. Non aveva forse detto a Cyla che suo marito poteva anche essere vivo? Si misero a chiacchierare, e quando si ricordarono del treno era tardi. Se il dottor Biener non avesse ricevuto ,la mia lettera il giorno prima, se mia moglie non avesse incontrato Landek, se il dottor Biener non fosse stato in casa, le due donne sarebbero tornate alla stazione e avrebbero continuato il V!iaggio verso l'Unione Sovietica. Mia moglie avrebbe potuto essere mandata nell'interno dell'URSS e ci sarebbero voluti anni p er ritrovarla.

Mia moglie rimase a Cracovia e cercò di mettersi in contatto con me. Il dottor Biener conosceva diversi corrieri clandestini che si facevano pagare per portare la corrispondenza senza però garantirne la consegna. Cyla scrisse tre lettere e Je affidò a tre corrieri che lavoravano su percorsi diversi. Io ne ricevetti una, recapitatami da un tale che arrivò a Linz via Budapest, facendo cioè una bella deviazione.

Non dimenticherò mai il momento in cui vidi la calligrafia di Cyla sulla busta. Lessi la ilettera tante volte che la imparai a memoria. Andai dal capitano dell'OSS per il quale lavoravo allora e gli chiesi di darmi un foglio di viaggio per Cracovia. Non rimase entusiasta dell'idea che io andassi in Polonia perchè, disse, avrei potuto non tornare più. Mi propose di pensarci sopra fino all'indomani mattina.

Quel pomeriggio non andai al Comitato Ebraico. Non stavo in me dalla gioia e forse provavo un po' di rimorso per essere felice in mezzo a tanti infelici. Volevo restare solo. Conoscevo un contadino che abitava n ei pressi di casa mia e che aveva dei cavaHi. Ricordai che durante l e vacanze estive, a Dolina, mi piaceva molto cavalcare. Chiesi al contad ino di prestarmi un cavallo per un'ora. Non pensai che ero un po' più vecchio e non ancora in buone condizioni fisiche. Salii a cavallo ma qualcosa andò di traverso. Forse il cavallo senti subito che ero ancora debole, fatto sta che mi disarcionò e mi ritrovai in un campo di patate con una caviglia fratturata.

Dovett i rimanere immobiJ.izzato ~a letto, e questo mandò a monte il progetto di andare in Polonia. Chiesi a un amico ebreo, il dottor Felix Weisberg, di andare ,}ui a Cracovia e gli diedi una Jettera per mia moglie. Mi promise che l'avrebbe riportata a Linz. I miei amici

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dell'OSS prepararono dei documenti di viaggio per mia moglie, in modo che non avesse difficoltà ad entrare nelila zona americana del!'Austria.

Erano degli ottimi docwnenti di viaggio, ma disgraziatamente mia moglie non li ricevette mai. Mentre attraversava la Cecoslovacchia diretto in Polonia, il dottor Weisberg fu avvertito che più avanti avrebbe trovato un posto di blocco della NKVD dove « i controlli erano molto severi». Weisberg perse la calma; se la polizia segreta sovietica gli trovava addosso dei documenti americani, avrebbe potuto arrestarlo come spia, perciò distrusre ogni cosa. Troppo tardi si rese conto di aver distrutto anche l 'indirizzo di mia moglie a Cracovia. La NKVD non pensò nemmeno a perquisirlo. A Cracovia Weisberg si recò dal Comitàto Ebraico Jocale e mise un annuncio sul qu adro delle affissioni. Alla signora Cyla Wiesenthal, moglie di Simon WiesenthaJ, veniva chiesto di mettersi in contatto con il dottor Felix Weisberg, che l'avrebbe riportata da suo marito a Linz.

Mia moglie vide l'ann uncio la mattina dopo e andò a trovare il dottor Weisberg. Ma non era la prima visitatrice. C'erano già ailtre due donne che affermavano di essere la vera Cy.Ja Wiesenthal. Molta gente in Polonia cercava di r aggiungere l'Austria con la speranza di potere in seguito emigrare in America. Il povero Felix Weisberg si trovò a dover risolvere un problema più imbarazzante di quello di Paride. Weisberg non conosceva mia moglie e, nell'agitazione che aveva preceduto la sua improvvisa partenza, avevo scioccamente dimenticato di fornirgliene una esatta descrizione. Ora egli si trovava di fronte alla sgradevole eventualità di tornare a Linz con una falsa signora Wiesenthal. Weisberg mi disse in seguito di aver chiesto a ciascuna delle tre donne cli descrivergli come ero fatto. Due furono piuttosto vaghe, ma una, ovviamente, gli fornì una quantità di particolari. Weisbcrg mi confessò che costei era quella . che gli era riuscita più simpatica. Decise di correre il rischio e comprò al mercato nero dei falsi documenti di viaggio per la donna.

Una sera, verso la fine del 1 945 (la caviglia fratturata mi dava ancora fastidio), mi ero coricato presto come al solito quando udii bussare alla porta. Entrò Felix Weisberg confuso e imbarazzato. Gli ci volle un bel po' per raccontarmi la sciocchezza che aveva fatto di buttar via i documenti americani e per raccontarmi delle sue perplessità circa le tre donne che affermavano di essere Cyla Wiesenthal.

« Ne ho portata con me una . Aspetta dabbasoo. Ora stai calmo, Simon. Se non è tua moglie me la sposerò io. »

« T u?»

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« Si, parola d'onore. Tu non hai nessun ~bbligo. A dirti la verità, ho pensato bene di portare quella che mi piaceva di più. Così, se risulterà che non è tua moglie, io... »

In quel mom ento la donna entrò nella stanza e Felix Weisberg, che Dio lo benedica, capì subito che non l'avrebbe sposata.

Ci trasferimmo in una casa più grande e l'anno dopo nacque a Llnz nostra figlia Paulinka. Io continuai a lavorare per vari organismi americani, la Commissione per i Crimini di Guerra e più tardi l'OSS e il CIC. I nostri sforzi furono spesso frustrati dalla mancanza di cooperazione fra le potenze alleate.

L'atteggiamento più intransigente fu ·assunto dai sovietici, che arrestarono, senza andare tanto per il sotti,le, sia i veri nazisti, sia coloro che venivano denunciati ·come nazisti, spedendoli poi nell'Unione Sovietica. Inoltre, nelle zone sovietiche della Germania e dell'Austria, i « Tribunali del Popolo » pronunciavano sbrigative, severe condanne contro presunti criminali nazisti. Le autorità sovietiche ricevettero un aiuto efficace dai comunisti locali che si erano infiltrati nella polizia. Ma la maggior parte dei nazisti arrestati erano « pesci piccoli». I Bonzen (pezzi grossi) del partito nazista, i capi delle SS e i criminali della Gestapo erano fuggiti verso ovest prima della fine della guerra, perchè speravano di essere trattati con più indulgenza dagli alleati occidentali. Le loro speranze non andarono deluse.

Fra gli alleati occidentali i francesi furono i più duri : ciò non deve fare meraviglia, da to che essi avevano sofferto sotto l'occupazione nazista. Tuttavia la politica intransigente dei francesi andò attenuandosi a 'mano a mano che gli ex uomini di Vichy venivano ad ingros.sare le file delle forze di occupazione francesi in Germania e in Austria e cercavano di gettare sabbia fra gli ingranaggi deBa giustizia.

L'atteggiamento britan nico verso i criminali nazisti non fu nè chiaro nè coordinato, non fu lo stesso in Germania e in Austria e sovente condusse a situazioni paradossali. Molto spesso gli inglesi non si curavano dei pezzi grossi nazisti che si nascondevano n elle loro zone, mentre invece consegnavano i nazisti macchiatisi di qualche delitto ai sovi etici o, per esempio, agli jugoslavi, a!llorchè era provato che quei nazisti ave vano commesso dei crimini nell'Unione Sovietica o in Jugoslavia. Gli ingl esi, che disponevano di pochi investigatori esperti, attuarono la denazificazione in modo del tutto inefficace. Il fatto è che gli inglesi avevano i loro gratta capi in Palestina

e nelle colonie ed erano meno interC$3.ti degli americani a liquidare il nazismo.

Gli americani, come era nel loro temperamento, andarono da un estremo all'altro. Dapprima instaurarono il siste ma dell' « arresto automatico». Tutte le SS, i membri della Gestapo, i gerarchi del partito nazista, i simpatizzanti e i collaborazionisti vennero rastrellati e chiusi in campi -di concentramento, dove ebbero cibo a volontà, assistenza medica e sigarette mentre aspettavano che gli investigatori li interrogassero e separ~ro le pecore dai montoni e i criminali dai gregari innocui. Nei campi di concentramento vennero istituiti settori separati per le SS, per i nazisti meno compromessi, per gli alti ufficiali della Wehrmacht, per i collaborazionisti non tedeschi (ungh eresi, slovacchi, croati). Io p~ parecchio tempo in questi campi in qualità d'investigatore della Commissione per i Crimini di Guerra, dell'OSS e della CIC, e conosco l'ottimo trattamento che ricevevano gli internati. Per parecchio tempo essi furono nutriti meglio della popolazione civile.

Ebbi modo di accorgermi anche del modo subdolo con cui gli internati cominciarono a lavorarsi gli americani. Sedicenti « esperti di cose sovietiche», venuti fuori dalle schiere di coloro che erano stati nell'Unione Sovietica, cominciarono a intavolare discussoni politiche con gli investigatori americani. Ad alcuni venne chiesto di redigere dei rapporti confidenziali per questo o qu ello dei vari servizi d'informazioni americani in concorrenza fra loro. So di ufficiali americani che prepararono lunghi rapporti sulla base di tali informazioni, senza preoccuparsi di controllare le fonti. Nel 1946 e nel 1947 gli americani liberarono molt i criminali nazisti, che più tardi vennero arrestati dalla polizia tedesca e da quella au st riaca. Molti funzionari di polizia ted esc hi e austriaci erano stati vittime del regime nazista, Alcuni erano st ati mandati nei campi di concentramento, e perciò conoscevano i nazisti meglio degli americani; invec e fra questi e gli internati nazisti si frapponeva l'insormontabile barriera della lingua e della mentalità.

Fino a quando rimasero in Europa quegli stessi americani che avevano vinto la guerra, la denazificazione fu condotta con giustizia ed efficacia. Ma alla fine quegli uomini andarono a casa e vennero sostituiti da altri che avevano prestato servizio negli Stati Uniti o in / Estremo Oriente. Costoro non capivano il problema nazista, che appariva ai loro occhi come un capitolo chiuso della storia. Molti di loro non si preoc c uparono di imparare il tedesco e si affidarono alle interpreti tedesche e austriache, così che spesso divennero vitti-

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me della migliore arnia segreta nazista... le Fraulein. Era logxco che un giovane americano s'interes.5asse di P4Ù a una ragazza graziosa e compiacente che a una di « quelle SS » che tutti volevano dimenticare come un brutto sogno. Questi americani consideravano noi, che volevamo veder fare giustizia, come della gente animata da spirito di vendetta, degli allarmisti incapaci di vedere il mondo se non attraverso una siepe di filo spinato. Un capitano . americano, che aveva un compito importante nella rieducazione dei tedeschi, mi disse una volta: « Le opinioni della gente saranno sempre diverse. Da noi ai sono i democratici e i repubblicani, » disse. « Qui voi avete i nazisti e gli antinazisti. È questo che fa andare il mondo. Non è il caso di prendersda troppo. >>

Era difficile non prendersela troppo. Vedevo benissimo dove avrebbe finito per condurci un simile atteggiamento. Mentre venivano alla luce sempre maggiori particolari sui crimini nazisti e appariva chiaro tutto l'orrore del genocidio, mi rendevo conto con un senso d'impotenza che la punizione dei criminali stava diventando un'impresa sempre più difficile.

Il lavoro mi teneva occupato fino a tarda sera. Quando andavo a letto e cercavo di addormentarmi, le cose che avevo letto e sentito durante il giorno si fondevano con i miei ricordi del p~to. Spesso mi svegliavo dopo un incubo ed ero incapace di discernere il sogno dalla realtà. Avevo ricevuto molte lettere da altri sopravvissuti ai campi di concentramento che erano torturati dagli stessi incubi. Un tale che aveva veduto uccidere la propria madre ad Auschwitz e che si trovava in una clinica neurologica presso Brema, una volta mi scrisse: « La prego di aiutarmi. Ci deve essere un farmaco contro gli incubi. Non ci sono medicine per ogni cosa ormai? Sono sicuro che se potessi non sognare più guarirei ... » Una notte, nel settembre 1947, dopo uno di questi incubi, udii dei colpi alla porta. Balzai a sedere sul letto con il cuore che mi saltava in gola. Non dimenticherò mai quei colpi battuti alla porta.

Accesi la luce e l'incubo sparì. Ero un uomo libero, vivevo a Linz con mia moglie e mia figlia. Mi alzai e andai alla porta. Attraverso il buco della serratura vidi Misha Lewin, il capo dell'associazione degli ex partigiani ebrei nell'Unione Sovietica. Misha aveva l'aria di un duro, portava sempre stivali e parlava ad alta voce. In realtà era un uomo buonissimo, con un senso dell'humour che non lo abbandonava mai. Con lui c'erano altri due uomini. « Apri, Simon ! » mi gridò. « Abbiamo notizie per te! »

Entrarono e Misha mi presentò Mair Blitz e Moses Kussowitzki che erano stati con l\ll durante la guerra, quando gruppi di partigiani ebrei combattevano contro i tedeschi a fianco dell ' Armata Ros-

I l CAPITOLO II IL CQ.LTELLO
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sa. A•lJa fine deHa guerra erano tornati in Polonia ma, non avendo trovato le famiglie che erano state massacrate dai nazisti, erano venuti in Austria.

« Questi ragazzi hanno agganciato il pesce grosso, » disse Misha. « Eichmann! » Mi gu_ardò con aria trionfante. « Avanti, :raocontateglielo. »

Blitz e Kusso.witzki vivevano nel campo di Admont, il più grande centro profughi della zona d,i occupazione britannica in Austria. Admont si trova nella Stiria nord-occidentarle, in una graziosa vallata alpina circondata da montagne. Circa duemila persone, per la maggior parte ebrei originari della Polonia e degli Stati baltici, erano temporaneamente sistemate in quella bella locafaà alpina, vestite e nutrite dagli inglesi; ma non sembrava che si godessero molto quella vacanza gratuita. Alouni avevano trovato lavoro nei dintorni e altri rimediavano qualche sceHino con la borsa nera. La maggior parte aspettavano con impazienza di potere andare iin Palestina con qualche gruppo clandestino che veniva avviato attraverso l'Austria meridionale e l'Italia.

Mancava una settimana allo Yom Kippur, il Giorno dell'Espiazione. Gli ebrei praticanti d el campo di Admont si preparavano per la grande festa. Secondo il rituale ortodosso, uomini e donne avrebbero recitato le preghiere, poi ciascun uomo avrebbe sacrificato un gallo e ciascuna donna una gallina : rappresentazione simbolica del sacrificio di Abramo raccontato nel Vecchio Testamento.

Purtroppo il pollame era scarso in Austria. Blitz e Kussowitzki, che erano due giovanotti pie ni di risorse, decisero di fare un giro fra i contadini dei dintorni per cercare di barattare le scatolette e la cioccolata che passavano gU inglesi con un paio di poHi.

Blitz e Kussowitzki parlavano solo yiddish, il che rendeva alquanto complicate le trattative con i contadini della Stiria. Una volta che chiesero un Huhn (un pollo), un contadino non li capì e portò loro un Hund: un bassotto chiuso in un sacco. Un altro contadino scosse la testa e disse che non poteva aiuta11li. Tutti i polli erano numerati e controllati dalle autorità perchè le uova erano severamente razionate, e lui non voleva rischiare una multa.

« Provate con quel tale che sta sulla collina lassù,» disse il contadino servizievole. « Ha una grossa fattoria e per lo meno duemila polli. Però c'è caso che vi sbatta fuori. Non può vedere gli ebrei. Dicono che sia stato un pezzo grosso nazista. »

I due giovani si guardarono e istintivamente ebbero lo stesso pensiero.

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« Deve essere lui, » disse Blitz. Kussowitzki annuì. Quol giorno non andarono più in cerca di polli. Corsero invece alla locale sezione del Field Sccurity Service (FSS) inglese a Admon t e, adducendo il pretesto di una « visita alla famiglia », si fecero dare un lasciapassare n ecessario per entrare nell'attigua zona americana. Presero un treno c he li portò a Linz, distante circa cent05e$a.Ilta chilometri, e informarono della loro scoperta Misha Lewin, il quale decise che bisognava parlare con me.

« Ed eccoci qua,» disse Lewin. « Non c'è un minuto da perdere. Dobbiamo agguantare Eichmann. » Tu tti noi eravamo ossessionati da Eichmann, già allora noto come il peggiore criminale nazista ch e fosse ancora alla macchia, forse nascosto ncll a zona inglese dcl1'Austria. lo avevo appena aperto il mio Centro di Documentazione a Linz e quasi ogni giorno ricevevo visite di persone c he credevano CM aver visto Bichmann da qualche parte. Le traicce partivano da un campo di concentramento in Baviera e arrivavano fino alla zona britannica in Austria, dove sembravano dissolversi nel nulla.

« Che cosa vi fa pensare che sia Eichmann? » chiesi.

« Quell'uomo p ~ede duemila polli, detesta gli ebrei ed era un pezzo gro&so nazista. Perchè non dovrebbe essere Eichmann? » mi chiese Blitz con logica talmudica. Non mi convinse, ma decisi lo stesso di andare con loro. Ero sicuro che non si trattasse di Eichmann, ma poteva essere un altro gerarca nazista.

La mattina dopo mi feci rilasciare due fogli di viaggio per la zona britannica, intestati a Lewin e a me. Partimmo in macchina con i due ex partigiani. La grossa fattoria era situata nel villaggio di Gaishorn, a circa venti chilometri dal campo di Admont. Io non avevo alcuna veste ufficiale, perciò decisi di chiedere l'intervento della polizia austriaca. Ci fermanuno davanti al posto della gendarmeria CM Gaishorn, che era sistemata in un vecchio chalet.

Nell'anticamera c'erano due vecchi contadini con calzoncini di ouoio, che ammazzavano il tempo chiacchierando. L'ambiente era molto gemutlich. Il comandante del posto era un uomo anziano, con un paio di baffi bianchi spioventi, probabilmente un avanzo dei buoni vecchi tempi asburgici. Chiedemmo notizie della gr~ fattoria sulla collina. Lui si alzò e andò a studiare una mappa della zona appesa al muro.

« Deve essere Gaishom 66 . Appartiene a Murer. :E: stato in Polonia e in Russia durante la guerra. .t molto benvol ut.o in paese. »

Ero sbalordito. « Murer? Franz Murer? »

« Proprio lui,» disse il vecchio. « Lo conosce ? »

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Non so come, riuscii a far cenno cli no col capo, dopo di che uscimmo. Per un po' nes.suno di noi aprì bocca. Tutti avevamo sentito parlare di Murer. Negli ultinù due a.,ni avevo raccolto molte testimonianze di rifugiati contro Franz Murer, vice commissario del distretto di Vilna, in Lituania, dove prima <leBa guerra vivevano ot tantamila ebrei. Quando i nazisti ebbero finito con loro, ne erano rimasti vivi esattamente duec entocinquanta. Prima della guerra, Vilna era stata soprannominata « la Gerusalemme della Lituania », a causa del contributo dato dalla sua comunità ebraica alla letteratura, alla scienza, alla filosofia e all'arte. A Vilna erano nati famosi musicisti ebrei, fra i qu a!li Jascha Heifetz.

Murer era il principale responsabile dello sterminio degli ebrei di Vilna. Tra i rifugiati era conosciuto come « ,iJ macellaio di Vilna ». Anche molti anni dopo, ho visto della gente impallidire ogni volta che si faceva il nome di Murer.

Ci recammo al campo cli Admont. Sapevo che fra i rifugiati c'erano parecchi superstiti di Vilna. Dissi alla direzione del campo qual era lo scopo della mia visita e immediatamente gli altoparlanti annunciarono che tutti coloro i quali erano a conoscenza di fatti riguaTdanti Franz MureT di Vilna dovevano presentarsi immediatamente da me.. Sette persone arrivarono nel piocolo ufficio dove mi trovavo. Quando dicemmo loro che Franz Murer abitava in una fattoria distante pochi chilometri, alcuni furono colti da una crisi isterica. Una donna svenne: Murer aveva u cciso due persone davanti ai suoi occhi. Un uomo 1a cui madre era stata, assassinata da Murer fu colto da una tale crisi che dovette essere trascinato via. Poichè tutti gridavano insieme, dissi loro di calmarsi. Ognuno avrebbe awto modo cli parlare.

Alcune delle storie erano troppo vaghe per poter essere usate in tribunale, ma altre erano estremamente precise. .. e terribili. Un testimone ricordava il giorno in cui Murer aveva personalmente ordinato che gli abitanti di una strada ,del ghetto di Vilna foose.To caricati su camion, condotti nel vicino bosco cli Ponary e fucilati daHa polizia ausiliaria lituana. Un altro raccontò che Murer aveva ordinato di far saltare con la dinamite due case in una strada del ghetto. Quando gli fu detto che dentro c'erano ancora delle donne, egli rispose: « Non importa », e •le case furono fatte saltare in aria.

Altri testimoni dichiararono che Murer, perfetto sadico, aveva l'abitudine di denudare e picchiare .Ja gente. Il solo modo di evitare le sue torture era di corromperlo. Più cli una volta gli ebrei del

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ghetto avevano dato a Murer gioielli, argenteria e quadri che avevano raccolto. Quando i regali erano di suo gusto, Murer ordinava ai donatori di imballarli in casse di legno che venivano poi spedite a casa sua in Austria.

Nd gennaio del 1942, Murer confiscò un convento cattolico a Vilna e una fattoria modello condotta da monache. Le monache e al c uni frati vennero poi « liquidati » a Ponary. Nel 1945 i foro corpi furono riportati alla luce da squadre di lavoratori ebrei che avevano ri ce vuto ordine di bruciare i resti e di cancellare ogrù traccia.

Fra le aJtre testimonianze c'era il racconto di un episodio che non dimenticherò mai. Chi è padre capirà. All'uscita del ghetto erano stati arrunassati due gruppi di uomini. Uno doveva essere inviato al lavoro, l'altro era destinato alla fucilazione nei boschi di Ponary. In quest'ultimo gruppo c'era Daniel Brodi, un ragazw di diciassette anni. Il padre, disperato, era stato messo nell'altro gruppo. A un certo punto Daniel, pensando che nesmno Io vedesse, scivolò fuori dal gruppo dei condannati e si mischiò all'altro gruppo dove stava suo padre. Ma Murer lo vid e. Prese il ragazzo per il collo e Io pereo6.Se gettandolo a terra. Poi estrasse la pistola e uccise Daniel sotto gli occhi del padre.

Stesi quattro atti notori , feci leg~e le firme e tornai al posto della gendarmeria di Gaishorn. Consegnai al vecchio capoposto le deposizioni senza aggiungere una parola. Quando cominciò a leggere, rimase di stucco. Una volta alzò gli occhi con espressione disperata verso una immagine in legno della Madonna che era attaccata al muro. Ordinò a due gendarmi di andare ad arrestare Murer. Poi notificò la notizia al posto del Field Security Service inglese. In base a un'ordinanza del govern o militare, tutti criminali di guerra dovevano essere consegnati alle autorità d'occupazione.

Lewin, gli ex par tigiani ed io accompagnammo i gendarmi alla fattoria suTia collina. Ci dissero di aspettare fuori. Era un bel posto, ben tenuto, con alberi e fiori, dove tutto sembrava prospero e pacifi co. I gendarmi dissero che Murer viveva là con la moglie e due figli grandi. Aveva alle sue dipendenze parecchi braccianti.

I gendarmi entrarono in casa. Giusto in tempo, come ci dissero dopo. Murer era sul punto di svignarsela: vicino alla porta c'erano due valigie pronte e su una sedia c' erano il soprabito e il cappello. Sembra che Mure r fosse stato avvertito... forse dai due vecchi contadini che avevamo in contrato nel posto di polizia. Murer fu altezzoso con i gendarmi e dis.se loro che stavano commettendo un abuso. Tutto ciò avveniva verso la fine del 19 4 7. Gli effetti della disfatta,

che subito dopo la guerra avevano paralizzato i gerarchi nazisti, cominciavano a passare.

Murer ·era un tipo di montanaro tarchiato, con un viso Lungo e duro, naso affilato, mento sporgente e capelli rossicci. Al momento dell'arresto aveva trentacinque anni. Nove anni prima e:ra entrato nel partito nazista, era stato scelto per frequentare la Ordensschule, dove veniva addestrata l'élite delle SS, e poi era stato mandato a Vilna. Qui era diventato il despota della città, padrone della vita e della morte, ma soprattutto della morte. Però nessuno a Gaishorn ci avrebbe creduto. Franz Murer era un uomo simpatico e un buon vicino. Il veochio comandante del posto di polizia mi disre che Murer era nato nel vicino. paese di St. Georgen. Aveva comperato la fattoria prima della guerra. Era simpatico a tutti. E, una volta tornato da:Ua guerra, ne$Uno si sognò mai di infastidire un cittadino così rispettabile con domande indiscrete.

Mi è stato chiesto come osasse vivere così vicino a un campo che ospitava persone le cui famiglie erano state da lui massacrate. Il fatto è che il centro profughi ancora non esisteva quando Murer tornò a casa. Vilna era lontana 2500 chilometri, e Murer dovette ritenere molto improbabile l'eventualità di incontrare qualche superstite. Quando venne creato il centro profughi, Murer capì che se rimaneva sarebbe stato in pericolo. D'altra parte, una improvvisa partenza avrebbe sollevato dei sospetti: perciò decise di rimanere. Così la gente si sarebbe convinta che la sua coscienza era pulita.

I gendarmi austriaci consegnarono Murer agli inglesi del FSS, che lo trasferirono in jeep alla prigione centrale di Graz, la capitale della Stiria. Io tornai al campo di Admont e passai la notte a reidigere un rapporto completo del caso, accludendo le deposizioni dei testimoni. Tra i profughi del campo e' era molto fermento. Quella gente non riusciva a capire come Murer avesse potuto vivere per tutto quel tempo H a due p~ senza che gli inglesi lo scovassero. La cosa invece non mi sorprendeva affatto. Negli ultimi mesi avevo chiesto più vòlte a:lle autorità britanniche di collaborare alla ricerca dei criminali di guerra che ritenevo si nascondessero nella loro zona, ma non avevo mai ricevuto alcun aiuto. Per questo mi ero rivolto ai gendarmi austriaci, perchè temevo che il FSS potes.sè combinare quakhe pasticcio.

A quell'epoca gli inglesi stavano facendo tutto il po8$ibile per impedire l'afflusso di profughi in Palestina. Gli ebrei palestinesi stavano combattendo una guerriglia spietata contro le forze della Gran Bretagna che era la potenza mandataria. Lo spargimento di sangue

era notevole nell 'uno e nell 'al tro campo e questo non faceva che aumentare il risentimento. Qualche tempo prima avevo testim oniato d avant i a una commissi one mis ta angl~americana sullo spinoso pr~ blema dell'immigrazione ebraica in Pal estina. Gli americ ani mi avevano ascoltato con evidente simpatia, mentre le facce degli inglesi erano rimaste chiuse e impen etrabili. Erano i mesi inquieti che p recedettero l'indipendenza della nazione israeliana. Le autorità inglesi in Aust ria si pre occupav ano dell'emigrazione clandesti na in P alestina iù che dei criminali di guerra nazisti n ascosti n ella loro rona.

La mattina dopo mi recai alla sezione del FSS di Admont, che aveva sede in un a vecchia casa a du e piani con bal coni di ferro battuto. Un affab ile serge n te inglese mi chi ese che cosa volessi. Gli consegn ai il memorandum sul caso Murer e di colpo il su o atteggiame nto mutò. Mise da parte il documento senza leggerlo e mi chiese perchè mi f~ i rivolto alla ge ndarmeri a <l!UStriaca invece di informare imm ediatamente il FSS. Non avevo seguito le vie regolamentari. Ero m ai stato in precedenza nella zona britannica? Avevo mai provocato l'arresto di altre persone? Doveva essere stato informato del mio arrivo, perchè v,idi che aveva davanti a sè un questi onario già preparato. Si informò su l lavoro che svolgevo a Lin z, su l Ce n tro di D ocumentazione. Poi mi rivolse la sola domanda che veramente contava.

« :t. al corrente d elle immigrazioni clandestine in Palestina via I talia? »

« Sergente, sono venuto qui per parlare del caso Mu rer. »

« Qui, » mi rispose, « sono io che f accio le domande ed è lei che rispond e Chi è a capo dell'Irgun Zwai Leuni in Austria?»

Membri dell' Irgun - una organizzazione est remista ebrai ca che credeva nel metodo d ell a violenza - avevano fatto deragliare pochi giorni prima un treno militare britannico pres.so Mallnitz, a sud di Badgastoin, provocando la morte di un soldato inglese.

Mi rifiutai di rispondere e mi alzai. Il serge n te si mise davan ti alla porta impedendomi di uscire.

« Sono in stato di arresto, sergente?»

« No, ma deve rispondere alle mie domande. »

lo continuai a tacere.

« Benissimo. Lei rima rrà qui fino al pomeriggio, quando tornerà il maggiore da Graz. »

Cosi dunque mi trovavo in stato di arresto per avere aiutato gli inglesi a catturare un importante criminale di guerra che avrebbero dovuto prendere già da un pezro Ma non sembrava che gliene

...,

importasse molto, tanto erano ossessionati dal problema dell'emigrazione clandestina in Palestina. Tutti sapevano di questa emigrazione, che era ignorata <lai francesi, tollerata dai sovietici, incoraggiata dagli americani e osservata dagli inglesi con un crescente senso d'impotenza. Era sciocco farmi quelle domande: sull'emigrazione, loro ne sapevano più di me.

A mezzogiorno tornò il sergente e mi chiese se volevo qualche cosa da mangiare. Non gli risposi nemmeno. A un tratto si sentì del chiasso fuori; dapprima un vociare confuso, poi un grido scanditoJ « Vogliamo Wiesenthal! Vogliamo Wiesenthal! »

Mi avvicinai alla finestra. La strada era piena di gente. Saranno state diverse centinaia di persone, che sembravano animate da intenzioni tutt'altro che pacifiche. Gli uomini del FSS sban:arono l'ingresso e piazzarono due mitragliatrici sulla balconata, e questo non contribuì a placare gli animi.

I manifestanti diventarono furibondi. Tra loro c'erano partigiani come Blitz e Kussowitzki, che non si lasciavano certo intimidire dalle mitragliatrici. Più tardi mi dissero che un 'Profugo del campo di Admont si era trovato nei locali della sezione d el FSS quando ero arrivato io e aveva sentito il sergente che m'interrogava. Così era tornato di corsa al campo, aveva dato l'allarme agli altri profughi i quali avevano deciso di venire a «liberarmi».

Un giovane tenente entrò nella stanza in cui mi trovavo e disse che quella storia era piuttosto seccante, che la situazione avrebbe potuto sfuggirgli di mano, e mi chiese di uscire sul ba,lcone e di dire a quella gente che di lì a poco sarei ritornato al campo.

Mi rifiutai di farlo.' « Non ho .chiesto io a quella gente di venire qui. Perchè non va lei a parlare alla folla? »

Il tenente stava diventando nervoso. Se la notizia dell'incidente fosse giunta alle alte sfere, avrebbe potuto avere dei fastidi con i suoi superiori.

Il tenente chiamò il maggiore a Graz, poi mi disse di andare al telefono. Il maggiore parlava tedesco.

« Che cosa succede, Herr W•iesenthal? Perchè è scortese con i miei uomini? »

« Signore, sono venuto qui per parlare di Murer, ma essi vogliono da me altre informazioni che mi rifiuto di dare. Sono 'Ore che mi trattengono qui. »

« Siamo informati delle sue attività, Herr Wiesenthal. »

« Se lei pensa che abbia commesso qualche colpa, perchè non mi fa arrestare? »

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Ci fu una pa;usa, poi il maggiore mi chiese di passare il ~icrofono al tenente. Fui condotto in un'altra stanza, e un nùnuto più tardi venni raggiunto dal tenente che mi disse che ero libe.ro di andarmene.

Quando uscii dalla casa, un grido di trionfo salì dalla folla. Alcuni nù sollevarono sulle spalle e mi riportarono al campo. Gli austriaci guardavano la scena a bocca aperta e alcuni si accodarono addiri.ttura alla folla. Quello, pensarono, era un H etz.. un vero spasso. Forse credettero che si trattasse di una dimostrazione contro gli occupanti, e ci fu qualcuno che agitò le mani verso di me con grande entusiasmo. Al campo di Admont, Blitz e Kussowitzki si erano procurati dello Schnaps per festeggiare l'arresto di Murei:. Quella notte fui quasi felice.

Passarono diverse settimane. Murer, nella prigione di Graz; protestava la propria innocenza. Sost eneva trattarsi di un errore di persona. Voci tutt'altro che tranquillizzanti mj. giu ngevano da Graz: gli inglesi stavano pensando di rilasciare Murer. Io avevo degli amici fra il personale del Tribunale MiJitare Internazionale di Norimberga, e così feci subito alcune telefonate urgenti in seguito alle quali venne ufficialmente chiesto agli inglesi di trattenere Murer come probabile testimonio. Nel frattempo spedii lettere circolari a tutti i campi profughi in Austria e in Germania allo scopo di cercare testimoni disposti a venire a d eporre contro Murer. A quel tempo non era difficile trovare dei testimoni. Tramite i corrispondenti che avevo in molti campi, ricevetti numerose deposizioni. Molte persone vennero direttamente nel mio ufficio di Linz, fecero la loro deposizione e la firmarono. Tutto questo materiale fu trasmesso alle autorità britanniche di Graz. Pensai che le prove contro Murer fossero schiaccianti: così almeno avrebbe dovuto essere. Nel dicembre 1948, gli inglesi consegnarono Murer ai russi. I crimini di cui lo si accusava erano stati commessi in una zona che faceva ormai parte della Repubblica Sovietica Socialist a Lituana. Il processo contro Murer si svolse a Vilna nella primavera del 1949. Le d eposizioni rilasciate dai testimoni in Austria vennero spedite alle autorità sovietiche che, dal canto loro, raocolsero altre testimonianze. Murer fu riconosciuto colpevole di aver « ucciso cittadini sovietici » e venne condannato a venticinque anni di lavori forzati.

Pensai che con qu esto il caso fosse da consid erare concluso. Cinque anni più tardi, nel 1954, chiusi il Centro di Documentazione a Linz. Le conseguenze della gu erra fredda mi costrinsero a sospendere il lavoro. Le sentenze emanate contro i nazis ti v enivano commutate e i procedimenti in corso venivano sospesi. Sembrava che f~ del

tutto inutile continuare a lavorare. Spedii tutto il materiale raccolto, mezza tonnellata di documenti, agli arc hivi d ello Yad Vashem a Gerusalemme.

In seguito al trattato del 1955, i sovietici acconsentirono a restituire ali' Austria tutti i prigionieri di guerra austriaci, ivi compresi i criminali di guerra già condannati. Tuttavia non si trattava di un'amnistia gen erale. In base ai termini del trattato, l'Austria si impegnava a portare dinanzi ai giudici austriaci questi criminali; io vidi l'elenco dei prigionieri rimpatriati dall'Austria. Il nome di Murer non c'era. O non era stato rilasciato dai rtl$Ì perchè i suoi delitti erano considerati troppo gravi, o era morto.

Dopo la cattura di Eichmann, ncl maggio 1 960, ebbi bisogno di alcuni dati su Murer per completare la mia documentazione. Telefonai al posto di polizia di Gaishorn per avere alcuni partièolari riguardanti l'arresto di Murer avvenuto nel 1947. Il comandante del posto mi disse di non sapere nulla della faccenda e mi consigliò di richiamarlo di lì a poco. Mi disse che avrebbe chiesto a Mure r le informazioni che volevo.

« Cosa? Murer non è morto?»

« Niente affatto. È tornato quattro anni fa, e da allora è sempre rimasto nella sua fattoria. »

Lo ringraziai e rimisi giù il telefono. Dovevo riprender fiato. Murer era ancora vivo. Telefonai a diversi funzionari del Ministero della Giustizia per sa,pere come mai il nome di Franz Murer non era stato incluso nell'elenco dei criminali di gue rra rimpatriati. Rimasero tutti molto imbarazzati, e alcuni pretesero di non avere avuto nulla a che vedere con quella faccenda. Alla fine, mi dissero che il nome di Murer era stato saltato « inavvertitamente » ... un errore burocratico.

Cominciai a fare indagini sulla sorte degli altri criminali di guerra che erano stati rimpatria:ti dopo la firma del trattato. Di duecento persone incluse nell'elenco, solo tre - tutti al ti ufficiali delle SSerano stati processati dagli austriaci. Di questi tre, Hennann Gabriel e Leopold Mi tas furono condannati all'ergastolo, Johann Poll a venti anni. Mitas era stato libera to dopo due anni di carcere, P oli dopo diciotto mesi. Solo Gabriel - uno su duecento - era ancora in prigione. Tutti gli altri processi erano stati annullati da un decreto presidenziale.

E Murer? Era tornato alla sua fattoria ed era diventato un membro influente del Partito Cattolico del Popolo. Era stato eletto pre-

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sidente della Camera Distrettuale dell'Agricoltura. Aveva tenuto discorsi in pubblico e una volta aveva decorato alcuni agricoltori alla presenza di un membro del governo.

Scris& al Ministero della Giustizia austriaco per chiedergli che cosa intendesse fare a proposito di Murer. Venni invitato ad inoltrare « il materiale relativo » alla Sezione XI del Ministèro della Giustizia. Mi feci rispedire la pratica Murer da Gerusalemme, f cci fare delle fotocopie e presentai trenta.due deposizioni giurate. Vedendo che le settimane passavano e non succedeva nulla, telefonai alla Sezione XI. Un alto funzionario, che con05Ceva il caso, mi comunicò che quel materiale non poteva essere usato contro Murer, dal momento che aveva già determinato ,la sua condanna a Vilna.

Gli risposi che Murer aveva scontato solo una parte della condanna in Russia.

« Sì, lo so, » fu la risposta, « ma Murer ha passato sette anni in un carcere sovietico. Noi consideriamo le prigioni russe tre volte più dure delle nostre. Ciò significa che Murer ha scontato ventun anni, non è così? An che se un tribunale aust r iaco lo cond annasse all'ergastolo, in base alle n ostre leggi egli verrebbe rilasciato per buona condotta dopo venti anni. Poichè ha già scontato ventun anni, secondo il nostro calcolo, che scopo c'è a proc~lo di nuovo?»

, Il funzionario sembrava molto soddisfatto di questa sua dimostrazione basata sull'aritmetica della giustizi a austriaca. ·

« Vuol dire,» gli chiesi, « che in questo paese Murer non è consid erato un criminale? »

« No... non in Austria. »

« Perciò, in teoria, potrebbe anche ~re eletto presidente fedérale. »

L'alto funzionario era evidentemente seccato. « Perchè insiste a perseguitare un uomo che ha già scontato la pena?»

« Mi sembra che n oi non ci capiamo. Una intera vita sarebbe troppo breve per espiare i crimini commessi da Murer a Vilna. Io non cerco vendetta... ma solo gius tizia. Murer fu condannato a venticinque anni. In base ai termini del trattato, egli avrebbe dovuto <:$ere processato davanti a un tribunale austriaco. »

Il funzionario r imase per un po' in silenzio, poi disse : « Va bene. Se lei è in grado di esibire nuove prove, signor Wiesen t hal , prenderemo i provvedimenti del caso. »

In seguito i tribunali austriaci rifiutarono di prendere in considerazione le prove raccolte nel 194 7, sostenendo che quelle prove avevano già u na volta portato alla condanna di Murer, in Russia.

Quando feci presente che Murer aveva scontato solo in parte la sua con.danna, al Ministero della Giustizia si chiusero in un gelido silenzio. Mi venne chiesto di presentare nuove prove. Ciò significava ricominciare tutto daccapo. Avrei dovuto trovare nuovi testimoni ... a distanza di diciotto anni da quando Murer era stato a Vilna. Non sarebbe stato 'facile. Se c'erano ancora dei superstiti, non avrebbero voluto testimoniare dopo tanti anni. Avrebbero preferito dimenticàre ed essere lasciati in pace.

Mi misi in contatto con le associazioni degli ex abitanti di Vilna, che era.no state costituite in Israel e, in Canada, negli Stati Uniti, nel Sud-Africa e in Nuova Zelanda. Gli archivi del nostro Centro di Documentazione a Vienna, ben ten uti e abbastanza aggiornati, ci permisero di trovare altri testimoni. Scrissi a questa gente chiedendo informazioni circa delitti ben precisi nei quali Murer fosse stato personalmente implicato. Dissi ai probabili testimoni che delle accuse vaghe, anche se commoventi, non sarebbero servite a nulla.

Il risultato fu sorprendente. Ricevetti oltre una ventina di nuove, dettagliate deposizioni. Wolf Fainberg , che ora abita a Vineland, New Jersey, mi scrisse r accontandomi di quando, un giorno del dicembre 1941, egli fu fermato all'entrata del ghetto in via Rudnicka da Murer e dal suo aiutante Herin g. I due chiesero a Fainberg il lasciapassare, e mentre H ering stava esaminando il documento una ragazzina ebrea di dieci anni, gobba, passò ll accanto. Murer disse a Hering: « Guarda che gente tieni n el ghetto», estrasse la pistola e sparò alla bambina. Fainberg se ne andò. Ma a sera della gente che abitava in quella strada gli disse che la bambina era morta sul colpo. « Vedo ancora la scena, e credo che non la dimenticherò mai , » dichiarò Fainberg. « Murer indos.sava una uniforme bruna e H eri ng portava una giacca di p elle. »

lsak Kulkin, che attualmente abi ta a Frane!, California, scrisse a proposito dell'esecuzione di sei ebrei avvenuta n el ghetto alla fine del 1942:

I sei uomini vennero impiccati nel vecchio mercato d e l bestiam e. Assistei al1'esecuzione da una finestra prospiciente. Una delle vittim e cadde a terra perchè la fune si era sp ezzata. Si gettò ai piedi di Murer chiedendo pietà. Murer diede ordine d 'im piccarlo una seconda volta.

Szymon Bastocki, che un t empo viveva a Vilna e ora abita a New York, raccontò che nel marzo 1943 Murer radunò donn e e bambini nello spiazzo del campo di lavoro e ordinò alla polizia di allontanare i bambini dalle m adri e di caricarli su dei camion.

I bambini venivano gettati in aria come fagotti. Ci furono scene strazianti, ma Murer rimase inflessibile. Una donna si strinse il bambino al seno e lottò disperatamente con le SS, che scaraventarono madre e figlio sul cam ion. Era una dottoressa in farmacia che aveva studiato a Berlino. Gridò: « 1st das die · deutsche Kultur?» («t questa la civiltà tedesca?»} Mur er ordinò che fosse fatta scend ere dal camion e disse al suo aiutante Martin Weiss di ucciderla immediatamente. Il corpo della donna fu lasciato appeso al reticolato.

La nuov.a docum entazione venne presentata al Ministero della Giustizia austriaco. Passarono diverse settimane senza che accadesse nulla. Murer se ne stava nella sua fattoria di Gaishom, godendosi la vita, la libertà e gli strani vantaggi del sistema politico austriaco. Di · lì a poco ci sarebbero state le elezioni, e i due maggiori partiti non vedevano di buon occhio l'id ea di un altro clamoroso processo contro un nazista che avrebbe potuto irritare oltre mezzo milione di ex nazisti austriaci, i quali, dopo tutto, rappresentavano mezzo milione di voti.

Era quella una situazione in cui un appello diretto alla coscienza del mondo sembrava l'unico sistema per smuovere le cose. Il 2 febbraio 1961 la Congregazione Ebraica di Vienna annunciò una conferenza stampa sul te ma « Gli ~ini sono fra noi ». Io fornii ai rappresentanti della stampa mondiale informazioni particolareggiate sul caso di Franz Murer.

Qual che settimana più tardi, si parlò del ghetto di Vilna a Gerusalemme in occasione del processo Eichmann, allorchè il dottor Mark Dvorzecki, un noto scrittore di Vilna .che ora insegna all'Università Bar-Ilan di T el Aviv, raccontò quello che era successo nella sua città natale. La storia apparve nei giornali di tutto il mondo.

P oichè gli articoli su l caso Murer si andavano moltiplicando e la pressione dell 'opinione pubblica andava crescendo, le autorità dovettero agire. Murer venne arrestato e accusato di diciassette omicidi. L'arresto provocò disordini a Gaishorn, dove un certo numero di contadini, simpatizza n ti di Murer, inscenarono manifestazioni di protesta. Costoro marciarono sul vicino paese di Liezen e minacciarono di devastare la sede del governo provinciale. Vennero pronunciati discorsi incen diari in difesa del concittadino Murer. Una delegazione si recò a protestare al Ministero della Giustizia a Vienna.

Il processo .contro Murer cominciò a Graz il 1o giugno 1963. Murer era accusato di aver commesso quindici « omicidi con le p roprie mani »; in seguito il pubblico ministero gli addebitò altri due omicidi. Oltre una dozzina di testimoni arrivarono dalla Germania, da I sraele, dagli Stati Uniti. Uno dei più importanti testimoni d'ac-

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cusa era J acob Brodi, che si era visto uccidere da Murer, sotto i stioi occhi, il figlio Daniel all'uscita del ghetto di Vilna. Brodi aveva allora sessantotto anni. Dopo la guerra era emigrato in America e viveva da solo in una piccola fattoria isolata del New Jersey. Era diventato un misantropo : non voleva veder gente, conduceva una vita estremamente semplice e aveva rifiutato il risarcimento del governo tedesco, al quale aveva diritto. Erano passati venti anni dal giorno in cui aveva veduto Murer uccidere il suo ragazze,, ma nonostante tutto Brodi non aveva dimenticato. O gni giorno e quasi ogni notte rivedeva la scena che si era svolta all'ingresso del ghetto di Vilna.

La prima volta che gli scrissi c hied endogli di venire a Graz per test imoniare, rifiutò seccamente. Mi spiegò c he non poteva sopportare l'idea di trovarsi di fronte all'assassino. Gli scrissi parecchie lettere dicendogli che io avevo il dovere verso i nostri morti di far sapere ai vivi ciò che era accaduto. Die Zeit , il noto settimanale tedesco, aveva appena pubblicato degli articoli « contro la nuova ondata di sfiducia » e aveva difeso la nuova generazione, « che conosce i crimini nazisti solo dai libri di storia». Gli apologeti si davano da fare senza posa. Dissi a Brodi che la sua testimonianza non sarebbe servita a restituirgli il suo ragazzo, ma avrebbe contribuito a salvare altri ragazzi d ell'età di Daniel Brodi, i quali conoscevano quei crimini solo dai libri di storia. In un'aula di tribunale, con una giuria, un giudice e un pubbli co ministero, l'accusato sarebbe apparso quello che era, e non come un personaggio uscito dalle pagine di un libro di storia, certamente non come un eroe. Non ottenni risposta. Mi ero ormai rassegnato a non contare più su Brodi. Invece, il giorno prima del processo mi mandò un telegramma nel quale mi diceva che avrebbe preso l'aereo e sarebbe arrivato in tempo.

Quattro giorni più tar<li incontrai Jacob Brodi in una stanza dell'Hotel Sonne a Graz, dove erano alloggiati tutti i testimoni. Era un uomo stanco, con i capelli bianchi e gli occhi profondamente cerchiati. Il suo vi.so, bruciato dal sole e solcato di rughe, f aceva pensare non tanto a un profugo del ghetto di Vilna quanto a un agricoltore americano del Middle West. Gli dissi che ero contento che fos.5e venuto perchè sarebbe stato un testimone di capitale importanza al processo. La sua testimonianza avre bbe senz'altro fatto colpo sulla giuria. Il processo non stava andando bene, dal punto di vista dell'accusa. Dopo quattro giorni di udienze, Murer negava ancora cinicamente ogni addebito. Uno dopo l'altro, i testimoni lo

avevano identificato, ma Murer continuava a dire c he si sbagliavano. Lo confondevano con qualcun altro. Non aveva mai toccato un. ebreo; non aveva mai visto un e breo morto; era innocente, era vittima di un errore sp aventoso.

U n giorno Brodi m i disse: « Ho sap uto ch e i due figli di Murer assistono alle udienze, in prima fila con la madre, e sbeffeggiano i testimoni. »

Annuii. I due sciocchi ragazzi credevano che quella f055e una farsa. Ridevano e face vano boccacce. Due giornalisti stranieri che seguivano il processo rimasero così colpiti che c hiesero al president e del tribunal e come mai non avesse ric hiam ato all'ordine i ragazzi. Questi rispose ai due corrispondenti di non essersi accorto dei ragazzi.

Bnxii mi disse con calma : « Smetteranno di sogghignare quando io sarò chiamato al banco dei testimoni. » Mi lanciò uno sguardo penetrante e aggiunse: « Non sono venuto q ui per deporre. Sono venuto per agire. » Si sbottonò il gilè ed estras5e un lungo coltello. Brodi parlava senza eccitazione, come un uomo che abbia preso una decisione. « Mi sono fatto dare una pianta dell'aula. So che il banco dei testimoni è vi ci no alla sedia di Murer. Murer ha ucciso mio figlio sotto i miei occhi. Io ucciderò lui con questo coltello sotto gli occhi di sua moglie e dei suoi figli. »

Mi resi conto che diceva sul serio. Mi disse c he ci stava pensando da vent'anni, e aggiunse che non cred e va più nella giustizia umana. Aveva perduto anche ogni fede nella giustizia di Dio. Si sarebbe fatto giustizia co n le sue man.i. Non aveva paura delle conseguenze, dato che la sua vita era onnai fini ta. Era finita n el ghetto, in queJ lontano giorno di venti anni prima.

« Se cerca di uccidere Murer, » gli dissi, « verrà consi derat o an<:he lei un assassino. »

« Sì, ma mi farò difendere dai migliori avvocati. »

« Questo non c'entra. Non importa q uale si a il suo movente, rimane il fatto che il mondo la considererà un assassino. I nazisti non aspettano che questo. Diranno: < Guardate questi ebrei, che cianciano tanto di gi ustizia. Accusano M urer di assassinio e loro stessi sono degl i assas.sini. Murer ha ucciso degli ebrei e un ebreo ha ucciso lui. Che differenza c'è?> Ecco quello che diranno.»

Brodi scrollò le spalle tutt'altro c he persuaso.

« Pensi ad Eichmann, » gli dissi. « Avrebbe potuto essere ucciso se nza il minimo scalpore in Argentina. Ma gli israeliani ritennero necessario fargli varcare l'oceano e rischiare d i vedere insorgere contro

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di loro l'opinione pubblica mondiale e di essere accusati di violazione delle leggi internazionali. Per chè? Perch è Eichmann doveva essere processalo. Il processo era più importante dell'accusato. Quando entrò nell'aula del tribunale, Eichmann era già un uomo morto, ma il processo sarebbe servito a convincere milioni di persone... tutti quelli che non sapevano niente o che non volevano sapere, tutti qu elli che sapevano nell'intimo del proprio cuore, ma che non volevano ammetterlo nemmen o con se stessi. Tutti videro ne lla cabina di vetro quell'ometto calvo, insignificante, che aveva organizzato la <soluzione finale> ... l'uccisione di sei milioni di persone. Ascoltarono le testimonianze, lessero i giornali, videro le fotografie. E alla fine seppero non solo ch e era tutto vero, ma anche che era molto peggio di quanto ci si potesse immaginare. »

Brodi scosse la testa. « Non sono qui per lo Stato d'Israele. Non sono qui per il popolo ebraico. Sono venuto qui come un padre cui hanno assassinato il figlio. » E mi fissò con uno sguardo duro e spietato. In quel momento avrei dato non so che per vederlo piangere. Ma forse non ne era più capace.

Gli dissi : « Se cercherà di colpire Murer, tutto il nostro lavoro sarà stato inutile. Non potremo raggiungere i nostri scopi usando i loro metodi. Lei ha letto la Bi bbia, Jacob Brodi, lei con05Ce il quin to comandamento : < Non uccidere>. Io voglio che dall'aula del tribunale sia Murer, e non lei, a uscire con una condanna per assassinio. »

Brodi scosse di nuovo la testa.

« Parole, signor Wiesenthal, nient'altro che parole. t facile per lei; lei non ha avuto un figlio assassinato. Ma io sì. Io le scrissi che non volevo venire. Lei mi dis,c;e che era necessario. Bene, ora sono qui, e lei sa perchè sono venuto. »

Mi volta i dall'altra parte, perchè non potevo sopportare l'espressione de i suoi occhi. Parlai a lungo, ma non ricordo più esattamente che cosa gli dissi. Gli parlai di me: delle ragioni per cui avevo deciso di fare quello ch e avevo fatto negli ultimi venti anni ... perchè qualcuno doveva farlo, per i nostri figli, per i loro figli ... non per odio.

Gli dissi: « A volte mi viene ancora da pian geTe, signor Brodi, q uando sento quello che è accaduto ai bambini nei campi di concentramento. H o pianto quando ho sentito la storia del suo ragazzo, perchè avrebbe potuto es.c;ere il mio ragazzo. Suo figlio era anche mio figlio. Crede davvero che potrei continuare a fare questo lavoro se non la pensassi in questo modo? »

Lo afferrai per le spalle. D'un tratto J acob Brodi mi affondò la

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testa nella spalla, sentii come un brivido che gli percorreva il corpo e scoppiò a piangere. Rimanemmo così per un pezzo senza dire una parola. Quando uscii dalla stanza, qualche minuto più tardi, avevo in tasca il suo coltello.

Jacob Brodi fu chiamato a deporre il giorno seguente. Mai, nemmeno una volta, guardò Murer. Raccontò la sua storia con voce atona, come se si trattasse di una co.sa accaduta ad un altro. L'aula del tribunale era silenziosissima; anche i figli di Murer si accorsero che per quell'uomo affranto la testimonianza era una dura prova, e non o.sarono sbeffeggiarlo. La difesa rinunciò ad interrogare Brodi, che venne li cenziato. Quando egli fu uscito dall'aula, Murer si alzò e ancora una volta disse che il testimone doveva essersi sbagliato. Murer non aveva sparato al ragazzo. Doveva averlo fatto qualcun altro.

Il processo durò una settimana. I giornalisti stranieri si accorsero c he il clima del tribunale era decisamente favorevole all'accusato. Alcuni giurati, vestiti con i tradizionali costumi di loden verde, non nascondevano le loro simpatie per Murer. Altri cercarono di seguire il dibattito con imparzialità, ma sembrava che costoro fossero in minoranza. I principali giornali di Graz sostenevano gli argomenti dei difensori di Murer. Si diceva che egli avesse ricevuto molte lettere con esprC$ioni di solidarietà da parte di amici politici.

Il pubblico rimase soddisfatto quando la difesa riuscì a confondere un testimone che, trasportato dall'emozione m entre deponeva davanti alla corte, s'impappinò su un particolare. Un altro testimone fu incerto a proposito di una data. Parlò di uno dei delitti di Murer, ma poi Murer provò inconfutabilmente di non essere stato a Vilna nel periodo indicato. Naturalmen~e, la testimonianza di queste persone risultò screditata.

Fra i testimoni della difesa c'era Martin Weiss, ex aiutante di Murer nel ghetto di Vilna. Weiss era stato trasferito a Graz dalla prigione di Straubing in Baviera, dove stava scontando una condanna a vita per genocidio. Quando Weiss precisò che « alcuni ufficiali lituani indossavano uniformi simili a quella di Murer », ci fu un mormorio di soddisfazio n e fra il p ubbli co.

Le deposizioni dei testimoni di accusa venivano accolte inv ece con un gelido silenzio. (L'avvocato di Murer mi definì un « cacciatore di uomini». ) Israel Sebulski, c he ora vive a Monaco, raccontò al tribunale che il suo fi gliolo quindicenne era stato barbaramente picchiato da Murer e<l in conseguenza di ciò aveva perduto la ragione e l'uso delle gambe ed era ricoverato i n un ospizi o. La signora Tova

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Rajzman di Tel Aviv giurò che Murer aveva ucciso sua sorella perchè aveva preso un pezzo di pane da una donna , polacca. In un acces.50 di furore, disse la signora Rajz man, Murer aveva poi ucciso tre altre donne e un uomo che si trovavano per caso lì vicino. Mentre riferiva l'episodio, la signora Rajzman fu sopraffatta d ai ricordi e cominciò a gridare.

« Non gridi in aula! » le ordinò il presidente, Hofrat dottor Peyer.

« Mi perdoni, Vostro Onore,» disse la signora Rajzman. « Ma fu terribile. Il sangue di mia sorella mi schizzò sui piedi. »

« Non avrebbe potuto essere qualcun altro a farlo? »

« No, Vostro Onore. t stato Murer. Lo ricordo fin dalJa prima volta che venne nel ghetto. Lo incontrai in strada e mi picchiò. Quando camminava per le vie del ghetto, tutti dovevano scendere dal marciapiede e gli uomini dovevano togliersi il cappello e inchinarsi. »

Il dottor Schumann, il pubblico ministero, si era preparato scrupolosamente per assolvere il suo compito. Aveva studiato le pratiche di Murer esistenti a Francoforte e a Monaco. Nell'arringa conclusiva mise in evidenza il fatto che i testimoni avevano identificato Murer al di là di ogni du bbio e chiese ai giurati di giudicare l'accusato come se fosse stato l'assas.5ino dei loro figli.

« Per quanto riguarda almeno sei casi, non vi è alcun dubb io che l' accusato sia colpevole,» disse il pubbli co ministero. « Desidero sappiate che questo processo ha già profondamente scosso l'illusione nutrita da noi austriaci di essere UJn Kulturvolk. »

Dopo quattro ore, la giuria emanò un verdetto d i « non colpevolezza ». In Austria, si usa pre cisare in aula i risultati delle singole votazioni della giuria. Il capo dei giurati disse che per due delle diciassette imputazioni si era avuta la parità di quattro voti contro e quattro a favore. Lui aveva dato il suo voto a favore di Murer.

Io non ero a Graz quel giorno . Alcuni giornalisti mi dissero in seguito che quando venne annunciata l'assoluzione di Murer il pubblico in aula gridò ed applaudì. Alcuni erano addiri ttura venuti portando mazzi di fiori mentre la giuria stava ancora deliberando. Dopo la sentenza si pr eci pitarono ad offrire i fiori a Murer.

II giorno dopo, un diplomatico americano che si trovava in visita da amici a Graz e che voleva mandare dei fiori alla sua ospite si sentì rispondere da tre fiorai diversi che non avevano più fiori. Erano stati tutti venduti per il processo. Murer lasciò il tribunale da trionfatore. Venne portato via su una Mercedes da un certo Rudolf Hochreiner, un nazista che era stato accusato dell'assassinio di nove ebrei ed era stato assolto.

In tutta l'Austria si sollevò una tempesta d'indignazione. Tranne pochissime eccezioni, la stampa austriaca è antinazista e democratica. Giornali appartenenti a quasi tutti i gruppi politici stigmatizzarono il verdetto definendolo un Justizskandal, uno scandalo giudiziario. A Vienna gl i studenti cattolici si appuntarono sul petto delle stelle gialle e sfilarono per le strade in segno di protesta gridando: « Murer è un assassino! Murer deve essere punito! » E in seguito si recarono in massa ad assistere a una funzione che venne celebrata nella Michaeler Kirche in espiazione dei delitti commessi dai cristiani contro gli ebrei.

Il pubblico ministero si appellò contro la se ntenza. La Corte Suprema dell ' Au stria ha accolto l'appello riguardo ad un solo capo di accusa: si tratta di un caso scoperto da me, in cui Murer era stato visto commettere un omjcidio da due diversi testimoni. I testimoni non si conoscevano ed attualmente vivono in due parti diverse del mondo , ma indipendentemente l'uno dall'altro hanno descritto la stessa scen a. Murer verrà processato ancora una volta. La giustizia può ancora vincere.

Qualche giorno dopo l'assoluzione di Murer, incontrai Jacob Brodi nell 'atrio di un albergo di Vienna. Mi guardò come se non mi vedesse. Capii. Forse io avevo salvato la vita di Murer. Non era un pensi ero piacevole, ma non avrei potuto fare diversamente.

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CAPITOLO III

I SEGRETJ DEL LA ODESSA

Verso la fine del 1947, cominciai a individuare gli itinerari seguiti dai gerarchi nazisti che erano fuggiti e che si trova van o sulla lista - dei ricercati di par ecc hi paesi. Sapevo che tutti i principali capi delle SS e i membri della Gestapo avevano ricevuto dalla RSHA,1 verso la fine della guerra, dei documenti di identità con nomi falsi. Ma non mi interessavano tanto i nomi, quanto gli itinerari seguiti da costoro. Era essenziale scoprire dove fossero andati, come ci fossero arrivati, chi li avesse aiutati e chi avesse pagato pe r rendere possibili qu este fughe.

Erano pochi i gerarchi nazisti che avessero cercato di fuggire nell'Unione Sovietica, dove, con tutta probabilità, non avrebbero ricevuto un'accoglienza amichevole. Una eccezione fu Heinrich Muller, che era stato un pezzo grosso del RSlfA e che oggi è forse il più ric e rcato di tutti i gerarchi nazisti e il cui caso costituisce uno dei più grossi misteri non risolti. P rob ab ilmente si rifugiò in Russia, ma dubito che sia ancora vivo. I criminali nazisti sapevano che non avrebbero trovato aiuti in Inghilterra e in Scandinavia. Se volevano fuggire, dovevano andare verso sud.

Presi un planisfero e disegnai con una matita gli itinerari che, a quanto mi risuùava, e rano stati seguiti dai maggiori gerarchi nazisti in fuga. Ne vennero fuori tre principali direttrici. La prima conduc eva dalla Germania all'Austria e all'Italia e di qui alla Spagna. La seconda puntava verso i paesi arabi del Vicino Orient e, d ove i tecnici nazisti sono oggi molto apprezzati . (li interessante notare che l'edizione araba del Mein Kampf di Hitler non contiene le espr essioni tutt'altro che lusinghiere riguardanti i « semiti», fra i quali Hitler comprendeva anche .gli arabi.) La terza direttrice univa la Germania con alcuni paesi del Sud-America. Fino alla caduta del regime Per6n nel 1955, l'Argentina era la terra promessa dei gerarchi nazisti. Oggi il rifugio di moda per l'élit e delle SS è il Paraguay.

1 V. App endice: RSHA, Reichssicherheitshauptamt.

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Dopo questa prima operazione, tracciai gli itinerari a me noti su carte geografiche in scala ridotta dell'Europa centrale e meridionale. Molte fughe erano cominciate in determinate città tedesche _Brema, Franc oforte, Augusta, Stoccarda, Monaco - e la meta era stata l'Allgiiu, una isolata regione boscosa nella Baviera meridionale, abbastan za vicina ai confini sia dell'Austria che della Svizzera.

Mi parve che molti percorsi convergessero verso Memmingen, una città medioevale nel cuore dell' Allgau. Di qui le str:ade andavano verso due direzioni. Una continuava in direzione di Lindau, sul Lago di Costanza, dove a sua volta si divideva in due strade: una che andava verso Bregenz in Austria, e l'altra che si dirigeva verso la vicina Svizzera. Il percorso principale andava da 1\1 emmingen a lnnsbruck e, attraverso il Brennero, in Italia. Più tardi venni a sapere che i nazisti chiamavano il percorso nord-sud l' « asse B-B », un nome convenzionale per Brema-Bari. Tutto ciò evidentemente non era una semplice coincidenza. Queste fughe erano state evidentemente preparate da individui isolati o addirittura da una intera organizzazione. Come venni a sapere più tardi, si trattava di una organizzazione clandestina, molto efficiente, che disponeva di tutto il denaro necessario ... e di denaro ce ne voleva molto.

Al procesoo di Norimberga conobbi un tedesco che era stato citato come testimonio. Lo chiamerò semplicemente Hans Egli era, ed è, un convinto antinazista che vive oggi in Germania e che ha bisogno di essere protetto. Hans mi venne raccomandato da alcuni amici americani. Aveva appartenuto all' Abwehr. 1 Come molti membri dell'Abwehr, Hans era uno di quegli alti ufficiali dell'esercito con notevoli tradizioni familiari che considerarono gli elementi criminali del Sicherheitsdienst 2 (S D) del partito nazista dapprima con disp rezw e poi con paura. La rivalità fra i servizi del controspionaggio della Wehrmacht e il partito si concluse, come era pre vedibile, con la completa sconfitta dell' Abwehr. L'ammiraglio Canaris, capo dell' Abwehr, morì in un campo di concentramento; molt i m embri ddl'Abwehr vennero giustiziati. I sopravvissuti non dimenticarono mai l'umiliazione e alcuni di essi' sono stati fra i miei migliori collaboratori.

Afoune settimane dopo il nostro incontro a Norimberga, vidi di nuovo Hans, che nel corse> del p6mo colloquio era stato alquanto r eticente, all'Hotel Goldener Hirsch a Salisburgo. Q uesta volta parlò francamente; penso che nel frattempo avesse fatto qualche inda-

1 V. Appendice: Abwehr.

11 V. Appendice: Sicherheitsdìenst.

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80 r I •

gine sul mio conto. Parlammo della situazione politica e Hans si dimostrò pessimista e molto critico nei confronti degli alleati.

« So già che cosa succederà. Ora che alcuni dei capi nazisti sono stati giustiziati, la ma,ggior parte dei criminali minori verranno rimessi in libertà dagli alleati dopo aver subito delle condanne per burla. Nessuno vuole sprocare tempo e fati.ca con la marmaglia nazista. Di qui a poco occuperanno di nuovo posti importanti e non sarà più possibile toccarli perchè non si può condannare due volte un uomo per lo stesso delitto. » ·

La previsione di Hans si dimostrò purtroppo vera.

« Gli alleati hanno fatto uno sbaglio quando hanno deciso di ripulire la Germania, » disse Hans. « .È stata una iniziativa lodevole, ma senza speranza di successo, perchè essi non capiranno mai la mentalità nazista; e del resto come potrebbero? Avrebbero dovuto invece affidare il compito a dei tedeschi onesti. E ce ne sono... anche se dopo la guerra tutti i tedeschi erano considerati dei cattivi tedeschi. Tribunali tedeschi avrebbero dovuto giudicare i criminali delle SS. I giudici tedeschi sarebbero stati capaci di capire la mentalità contorta degli accusati e avrebbero condannato quelli che fossero risultati -colpevoli. Ormai è troppo tardi. I nazisti hanno imparato bene a trattare con qu egli ingenui. L'arma segreta dei nazisti sono le belle ragazze tedesche e austriache. La crisi è passata e i nazisti stanno rialzando la cresta. Rimarrebbe stupito se sapesse che nei circoli nazisti si parla già di un futuro Quarto Reich. I pezzi grossi sono all'estero e hanno ricominciato a complottare. Vivono al sicuro in alcuni paesi che non hanno aoèordi di estradizione con la Germarua. »

Evidentemente Hans sapeva più di quanto non dicesse. Cercai di tirargli fuori il più possibile perchè ero sicuro che avrebbe potuto danni quelle risposte di cui avevo bisogno.

« Come hanno fatto a fuggire i pezzi grossi nazisti? »

« Ha mai sentito parlare della Odessa?» mi chiese Hans.

Gli risposi (piuttosto ingenuamente, me ne rendo conto adesso):

« In Ucraina? Sì, ci sono st ato prima della guerra. Una bella città.»

« No, no.>> Hans ebbe un moto d'impazienza. « ODESSA, scritto in maiuscole: l'organizzazione segreta che si occupa delle fughe delle SS. »

D'un tratto molte cose che avevo sentito dire cominciarono a:d acquistare un significato. Ricordo che i nazisti solevano dire di qualcuno che era « andato a Odessa» e mi ero sempre domandato che cosa volesse dire.

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« L'ODESSA, » d~ Hans, « ha al suo attivo numerosi espatri di criminali delle SS e di membri della Gestapo. t riuscita addirittura a farli evadere dal carcere. »

Quella sera Hans mi raccontò la storia completa di questa sorprendente organizzazione. Era stata creata nel 194 7 e il suo nome, ODESSA, era la sigla di Organisation der SS-Angehorigen, Organizzazione dei membri delle SS.

« Alla fine della guerra, organizzazioni segrete di questo genere non esistevano, sebbene molti esperti alleati ritenessero il contrario, » disse Hans. « I pezzi grossi nazisti vivevano nascosti, oppure avevano assunto falsi nomi. Poi vennero creati i primi comitati, forse per stabilire i contatti fra i nazisti in carcere e i loro parenti. Questi comitati ebbero la benedizione delle varie Chiese e degli alleati. Si diceva che fossero esclusivamente organizzazioni benefiche, e in realtà molte persone che non avevano mai avuto niente a che fare con il nazismo collaborarono volontariamente a tali iniziative. »

Hans scoppiò a ridere. « A pensarci oggi, fu davvero un bello scherzo. P roprio sotto gli occhi degli alleati e degli onesti tedeschi, venne stabilita una efficiente rete di contatti fra i nazisti che si trovavano in carcere e i nuovi gruppi clandestini. Il comitato s'incaricava di far pervenire ai parenti le lettere dei prigionieri. Purtroppo, sebbene ci fos.se ancora la censura, nessun esperto si preoccupò di legge.re attentamente quelle lettere. Sembrava che la cosa non interessasse a nessuno. Ma non bisogna mai sottovalutare i nazisti. Avevano avuto tutto il tempo per prepararsi alla sconfitta. Già molto tempo prima del crollo del Terzo Reich, avevano stabilito dei codici segreti. Quando uscivano dal carcere, dopo qualche mese o dopo qualche anno di detenzione, venivano subito arruolati nei nuovi gruppi clandestini. La principale rete clandestina si chiamava Spinne: <ragno>. Questo per quanto riguarda i nazisti che erano finiti in carcere. Ma ce n'erano molti altri che erano stati rilasciati dai campi di concentramento alleati senza processo, o che non erano mai stati arrestati perchè, nella confusione che c'era allora, l a loro vera identità non era stata appurata. Per lo meno p er un certo tempo. In seguito costoro cominciarono a preoccuparsi. Non volevano restare ad aspettare fino a che si f o.55e risaputa la spave ntosa verità sui loro delitti e fosse quindi troppo tardi per fare qualcosa. Dovevano fuggire. I nazisti decisero che era arrivato il momento di creare una rete clandestina mondiale per facilitare queste evasioni. »

L'ODESSA fu il risultato di tutto ciò. In luogo del vecchio asse B-B (Brema-Bari), l 'ODESSA creò due principali vie di fuga, da Brema a

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Roma e da Brema a Genova. Hans non sapeva dove si trovasse il Verteilerkopf (centro di smistamento); forse ad Augusta o a Stoccarda, o forse addirittura in Argentina. Fra i principali clienti dell'oDESSA ci furono Martin Bormann, il vice di Hitler, e Adolf Eichmann.

In brevissimo tempo, !'ODESSA creò una efficiente organizzazione di corrieri, reclutati nei luoghi più inverosimili. Fra gli altri c'erano gli autisti tedeschi che guidavano, sull'autostrada fra Monaco e Salisburgo, i camion militari americani adibiti al trasporto dei pacchi di The Stars and Stripes, il giornale dell'esercito statunitense. I corrieri avevano fatto domanda di assunzione sotto falsi nomi, e a Monaco gli americani avevano trascurato di controllare la loro identità. Era stata un'idea brillante. La polizia militare non si sarebbe mai curata di perquisire quei camion. Il conducente offriva qualche copia del giornale alle guardie di confine e attraversava la frontiera austro-tedesca presw Salisburgo con un paio di nazisti nascosti dietro i pacchi di T he Stars and Stripes. A volte i camion trasportavano anche materiale di propaganda neonazista, volantini ciclostilati, resoconti su « incidenti di rilievo » fra americani e russi.

Io feci un rapporto al CIC di Salisburgo e due camionisti vennero arrestati. Ma ormai il male peggiore era stato fatto, e dozzine di criminali nazisti erano spariti dalla Germania.

La rete organizzativa dell'ODESSA era completa ed efficiente. Ogni sessanta-settanta chilometri c'era una Anlaufstelle (uno scalo), formata da un minimo di tre e da un massimo di cinque persone, che conoscevano solo l'ubicazione dei due scali più vicini: quello dal quale provenivano i fuggitivi e il successivo verso il quale dovevano essere avviati. Le Anlaufstellen vennero costituite lungo tutto il confine austro-tedesco e soprattutto a Ostermiething, nell'Austria Superiore, a Zell arn See nel distretto di Salisl;>urgo e a lgls, presso lnnsbruck nel Tirolo. A Lindau, che è vicino sia all'Austria che alla Svizzera, !'ODESSA aveva costituito una società di « esportazioniimportazioni » con corrispondenti al Cairo e a Damasco.

L'informazione di Hans mi venne confermata l'anno successivo da un funzionario di polizia aiustriaco a Bregenz, il quale mi raccontò un sacco di cose circa gli espatri clandestini che venivano effettuati dalla vicina Lindau. Bregenz e Lindau, sul Lago di Costanza, punto d'incontro deli'e frontiere tedesca, austriaca e svizzera, erano luoghi id eali per gente che voleva espatriare in fretta. Il funzionario austriaco mi disse che gli espatri clandestini non erano ignorati dai funzionari delle polizie tedesca, austriaca e svizzera, e nemmeno dalle au-

torità di occupazione francesi, che sembravano chiudere un occhio!

« Ha mai sentilo parlare di Haddad Said? » mi chiese il poliziotto.

«No.»

« È un tedesco che viaggia con un passaporto siriano e che organizza gli espatri da Lindau via Bregenz. »

« Dov'è la sua base di operazioni?»

« A Monaco e Lindau, da dove Haddad Said in canala i gruppi verso Bregenz. Non possiamo fermarli perchè hanno dei passaporti validi. Da Bregenz attraversano il confine svizzero che dista appena pochi chilometri. Una volta in Svizzera, i fu ggi tivi prendono il primo treno per Zurigo o per Ginevra, e quindi in aereo raggiungono il Vicino Oriente o il Sud-America. Tutti sono muniti di passaporti, visti, e di abbondante denaro. »

Gli chiesi : « E non potete far niente per bloccare queste fugh e? »

« Che cosa pos.5iamo fare ? Si tratta di stranieri in transito, e noi siamo felici che escano dal nostro territorio. I documenti sono in ordine e i viaggi in Svizzera sono spesso oamuffati come visite a familiari. I fuggitivi sono accompagnati da donne e bambini reclutati fra la popolazione di Lindau, che fingono di esrere loro parenti. Le donne hanno un po' di denaro e vanno a fare compere in Svizzera. Qualche giorno più tardi le donne e i bambini ritornano, ma senza gli uomini. Nessuno fa domande. Questo Haddad Said deve avere degli amici altolocati che lo aiutano. »

Gli chiesi: « E le autorità francesi di occupazione?»

Scosse le spalle. « Questo è appunto quello che preoccupa noi antinazisti. Forse Haddad Said ha degli appoggi anche lì. Ho sentito dire che fughe del gen ere vengono tollerat e anche dagli americani e dagli inglesi nelle loro zone... Chi avrebbe mai immaginato che meno di quattro anni dopo la fine della second a guerra mondiale potessero accadere cose simili? » .

Più tardi - troppo tardi - scoprii che « Haddad Said » era lo SS-Hauptsturmfii.hrer Franz R ostel, uno dei principali organizzatori dell'ooESSA. Ora egli fa la spola fra la colonia tedesca in Uruguay e la Co.sta Brava in Spagna, dove molti ex capi delle SS e gerarchi del partito possiedono delle magnifiche residenze estive. Il posto è bello, il clima eccellente, il rischio minimo.

Scoprii anche ·che l'onE SSA aveva una c05iddetta « via dei conventi » fra l'Austria e l'Italia. I preti cattolici e soprattutto i frati francescani aiutavano i fuggiaschi per mezzo di una catena di case religiose « sicure ». Senza dubbio i preti erano mossi da un senso di

-pietà cristiana; molti avevano fatto lo stesso per gli ebrei durante il regime nazista. Degli ottonùla ebrei di Roma, durante l'occupazione nazista, metà rimasero nascosti nei conventi e nelle case degli ordini religiosi e poterono sopravvivere. Parecchie decine furono ospitati in Vaticano. Molti altri t~ovarono rifugio nelle case degli amici e dei vicini italiani che non avevano mai compreso il significato dell'antisemitismo. (Circa un migliaio di ebrei romani, per due terzi donne e bambini, morirono ad Auschwitz.)

A mano a mano che scoprivo nuovi fatti circa le attività dell'oDESSA, mi rendevo conto del perchè i servizi d'informazioni alleati non ne sapessero niente. Gli uomini che dirigevano l'oDESSA non avevano trascurato alcun particolare. Le Anlaufstel!en erano ben mimetizzate... un'anonima locanda, un capanno di caccia abbandonato nei boschi, una fattoria isolata vicino al confine. In questi rifugi i viaggiatori rimanevano per qualche ora, per qualche giorno o per qualche settimana, fino a che non avessero ricevuto il segnale di via libera per la tappa successiva. Sebbene ai cittadini tedeschi e austriaci non fosse consentito di spostarsi nelle zone di occupazione militare senza speciali permessi, gli esperti dell'oDESSA erano sempre in grado di procurarsi i lasciapassare necessari per tutte le zone di ocoupazione.

È curioso notare che Io stesso sistema veniva anche adottato nelle emigrazioni clandestine della Bricha (parola ebraica che significa « fuga»), che in quel medesimo periodo di tempo curava l'emigrazione dei profughi ebrei verso la Palestina via Austria e Italia. Capitò talora che le due organizzazioni si servissero contemporaneamente dei medesimi punti di appoggio. ·Conosco una piccola locanda presso Merano, nell'Alto Adige, e un altro posto presso il Reschenpass, fra l'Austria e l'Italia, dove capitò che clandestini nazisti ed ebrei passassero in sieme la notte senza sapere gli uni degli altri. Gli ebrei veniv,ano nascooti al piano superiore e veniva detto loro di non muoversi, mentre ai nazisti, sistemati al pianterreno, veniva raccomandato di non uscire di camera.

Un corriere della Bricha una volta mi spiegò come fosse pos.sibile una sit'llazione tanto paradossale. « Ci nascondevamo t utti come ladri nella notte. Ci veniva detto di non dare nell'occhio, e così quando vedevamo un estraneo ci nascondevamo. Immagino che tutto ciò dovesse divertire molto i nostri complici, contrabbandieri di professione che erano in ottimi rapporti con la polizia e le guardie di frontiera. Purchè fos.sero pagati, a loro non interessava chi varcava la frontiera. »

I . .

L'ODESSA manteneva contatti con i contrabbandieri di professione in tutte le zone di frontiera e nell e varie capitali europee aveva buoni agganci con le ambasciate di Spagna, d'Egitto, di Siria e di alcuni paesi sudamericani. Inoltre si manteneva in stretto rapporto con la speciale sezione tedesca della organizzazione di « As.ilitenza Sociale» della Falange spagnola, che curava in Spagna l'inoltro dei « passeggeri » verso il Sud-America. Altri fu ggiaschi venivano condotti a Genova, dove s'imbarcavano su navi dirette in SùdAmerica.

Ma tutto questo costava denaro e qualcuno doveva pur pagare. E infatti qualcuno pagava. La storia del finanziamento dell'ooESSA comincia molto prima della nascita d ell'organizzazione stessa. Nella primavera del 1946 (quando lavoravo ancora per l'OSS ) un ufficiale americano portò n el nostro ufficio di Linz un sacco da montagna e ne tirò fuori un grosso raccoglitore blu scuro. Disse di aver preso quei documenti a un certo Oberst Keitel al campo di concentramento delle SS di Ebensee, presso Bad lschl.

Nè io nè gli americani ci re ndemmo conto che quelli erano fra i documenti più sorprendenti che fossero mai caduti in mani alleate sin dalla fine della guerra. I documenti riguardavano i capitali nazisti, e non i crimini nazisti, ed io mi interessavo solo a questi ultimi. Gettai solo un'occhiata ai documenti pensando che sarebbero stati trasmessi per compete nza all'ufficio americano sul Controllo delle Proprietà. E questo fu un altro dei miei errori da principiante. In seguito ho imparato che spesso il denaro lascia una traccia che conduce al covo dell'assassino.

Il dossier conteneiva i verbali cli un incontro segretissimo fra i capi dell'industria tedesca avvenuto il I o agosto 1944 all'Hotel Maison Rouge di Strasburgo. Hitler e la Gestapo non avevano saputo niente della riunione che si era svolta appena venti giorni dopo la fallita congiura contro Hitler del 20 luglio. Coloro che si recarono a Strasburgo sapevano che, se avessero voluto salvare la loro vita, avrebbero dovuto mantenere il massimo segreto su tali progetti.

Gli industriali della Renania e della Ruhr, che erano stati i primi a seguire il carrozzone di Hitler nel 1933 - fra gli altri ci furono Emil Kirdorf, il re del carbone; Kurt von Schroeder, il ban chiere di Colonia; Fritz Thyssen, il magnate dell'acciaio; Georg von Schnitzler, d ella IG Farben; e Krupp von Bohlen - furono anche fra i primi a disertare. Quando cominciò l'invasione alleata dell'Europa, i capitalisti della Renania e della Ruhr scommettevano sulla sconfitta di Hitler. Apparve chiaro che era necessario prepararsi per

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tempo per salvaguardare gli impianti nazisti dalle confische alleate e per proteggere il potenziale bellico tedesco in vista di futiuri eventi. La seconda guerra mondiale era ormai perduta, ma con un po' di lungimiranza e di fortuna la Germania avrebbe potuto vincere la terza guerra mondiale.

Il primo passo da compiere era quello di impedire che i fondi, i depositi, i brevetti e i disegni delle nuove armi cadessero in mani alleate. All'inizio del 1944, i capi nazisti cominciarono a trasferire cospicu i fondi, derivanti anche dal bottino di guerra, nei paesi neutrali e non belligeranti. Mentre il cittadino qualunque veniva condannato a morte se cercava di contrabbandare una banconota da un doll aro, i pezzi grossi delle industrie tedesche crearono imprese all'estero sotto la copertura di transazioni commerciali perfettamente legittime. All'estero, uomini di paglia cominciarono a investire il denaro a proprio nome. Nessuna traccia doveva ricondurre in Germarua.

Un rapporto pubblicato dal Di partimento del Tesoro americano nel I 946 parla di 750 società create in tutto il mondo dai tedeschi con denaro tedesco: 1 1 2 in Spagna, 58 in Portogallo, 35 in Turchia, 98 in Argentina, 214 in Svizzera, 233 in vari altri paesi. E il rapporto non è completo. Oggi so per esperienza che è più difficile scoprire i trasferimenti di fondi avvenuti fra tre o quattro gr06SC banche, anzichè scoprire un segreto atomico. A causa della tradizionale dL~ezione dei banchieri, è quasi impossibile scoprire dove sia andato a finire il denaro spedito, ad esempio, dalla Germania a una banca svizzera, e da questa in Sud-America, in Spagna o in Portogallo, o addirittura ritrasferito in Li ech tenstein o in Svizzera.

Molti anni dopo - nel gennaio 1966 - ebbi, nel mio ufficio, una conversazione dalla quale trassi il convincimento che i miei primi sospetti erano fondati. V enne a trovarmi a Vienna la vedova di un ex Obersturmbannfuhrer (tenente colonnello) delle SS, la quale mi disse che alcuni neonazisti l'avevano minacciata perchè si era rifiutata di avere a che fare con loro; dopo di che mi raccontò una storia interessante. Nell'autunno del 1944, sei mesi prima della fine della guerra, suo marito era stato chiamato dai suoi superiori delle SS. Costoro sapevano che egli aveva un piccolo conto presso la Dresdener Bank; gli chiesero il numero del conto e gli ordinarono di firmare due fogli in bianco. L'ufficiale ubbidì.

Alla fine della guerra, butte le banche tedesche vennero poste sotto il controllo degli alleati, che nominarono un Haupt-Treuhander

(fiduciario) per l'amministrazione dei beni degli ex nazisti. Un giorno il fiduciario notificò all'ex Obersturmbannfuhrer che risultavano a suo nome dei conti bancari : uno per 1 2 .ooo marchi e uno per 2.600.000 marchi.

« Naturalmente mio marito saipeva dei 12.000 marchi,» mi disse la donna. « Ma non aveva la minima idea circa la provenienza del denaro del conto più grosso. Disse ai funzionari americani che gli .era stato chiesto di firmare un documento in bianco, e non sapeva proprio chi potesse avere in quel momento la sua firma. Se versavano tanto denaro sul conto di un qualsiasi tenente colonnello, quanto ne avranno versato per i Bonzen nazisti? »

Dissi alla donna che la domanda era logica, ma che sarebbe stato molto difficile trovare la risposta. I segreti bancari sono ancora fra i segreti meglio custoditi del mondo. Per me ciò dimostra che, prima ancora che la guerra finisse, i nazisti avevano costituito sostanziosi fondi segre.ti per la edificazione di un Quarto Reich.

Stando al dossier che l'uffioiale americano aveva ricuperato nel 1 946, questi argomenti erano stati discussi nel m001orabile incontro dell'Hotel Maison Rouge avvenuto nell'agosto 1944. Gli industriali tedeschi sapevano che la guerra era perduta. Gli alleati occidentali si stavano avvicinando a Parigi. Gli industriaJ.i tedeschi non condividevano le illusioni romantiche dei pezzi grossi nazisti, i quali parlavano di armi segrete che non erano ancora perfettamente a punto ed erano convinti di poter vincere la corsa alla bomba atomica. Essi sapevano quali fossero le probabilità ed agirono di conseguenza. Era necessario creare immediatamente una « organizzazione tecnica » in tutto il mondo, capace di coordinare gli sforzi fut,uri.

Fra coloro che intervennero a quella riunione c'erano i rappresentanti del gruppo Rochling, di Krupp, di Messerschmitt, d elle Goering Werke di Linz, alti funzionari del Ministero della Guerra e del Ministero degli Armamenti. Il presidente, il dottor Scheid delle Hermannsdorfwerke, fece una esplicita dichiarazione:

« La Germania ha sempre perduto la battaglia di Francia. A partire da questo momento, l'industria tedesca si deve preparare per la lotta economica che si scatenerà nel dopoguerra. Ogni industriale deve cercare di stabilire contatti con ditte all'estero, ma ciascuno deve farlo per conto proprio senza dare nell'occhio. E questo non è tutto. Dobbiamo tenerci pronti a finanziare il partito nazista che sarà costretto a vivere nella clandestinità per qualche tempo.»

Allo scopo di mandare ad effetto le decisioni prese n ella riunione

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di Strasburgo, gli industriali tedeschi, con il pretesto di legittime transazioni commerciali, si diedero a trasferire somme di denaro nei conti bancari segreti e nelle imprese costituite in Spagna, Turchia e Sud-America. Sylvano Santander, che oggi è ambasciatore argentino in Spagna, fece parte della comnùs.sione governativa incaricata di indagare sulle attività naziste in Argentina dopo la cacciata di P eron. Una volta egli mi mostrò un elenco di imprese argentine finanziate dai nazisti. Di ogni transazione veniva tenuta scrupolosamente nota. Gli industriali tedeschi che parteciparono alla riunione volevano essere ben sicuri che nessun uomo di paglia all'estero potesse in seguito gabbarli negando di aver mai ricevuto dei fondi tedeschi. Venne deciso che copie di tutti i documenti venissero nasco5te « in diversi laghi alpini », da dove avrebbero potuto essere recuperate in seguito durante le cosiddette spedizioni di « ricerca subacquea ».

Nei verbali della riunione si legge: « La Direzione del partito teme che alcuni membri saranno condannati come criminali di guerra. I capi meno in vista dovranno perciò es.sere sistemati in qualità di <esperti tecnici> nelle diverse industrie chiave tedesche. Il partito è disposto a fornire grosse somme di denaro a quegli industriali che contribuiranno all'organizzazione postbellica all'estero. In cambio il partito chiede tutte le scorte di denaro che siano già state trasferite all'estero o che possano essere trasferite in seguito, in modo da poter costruire dopo la sconfitta un nuovo forte Reich. »

I documenti non dicono chi si nascondesse sotto la dizione « il partito ». Non poteva trattarsi di Hitler o di Himmler, perchè essi erano all'oscuro della riunione. Una interessante dichiarazione fu fatta dal dottor B06.S del Ministero degli Armamenti di Speer, il principale responsabile della produzione di materiale bellico che si era trovato in conflitto segreto, con il partito sin dal I 942. Il dottor Boss disse: « Le industrie tedesche devono creare degli istituti di ricerca e degli uffici tecnici che siano apparentemente indipendenti. Tali uffici devono essere costituiti o in grandi città, dove possono dare meno nell'occhio, o in piccoli villaggi presso laghi o centrali idroelettriche, dove possano essere mascherati come <istituti di ricerca>. »

In seguito alla riunione di Strasburgo, gr06.Se somme di denaro vennero trasferite all'estero. L'organizzazione ODESSA venne finanziata con tali mezzi. Altri introiti provenivano dai traffici illegali delle imprese dell'oDESSA che spedivano rottami metallici a Tangeri e in Siria, o che smerciavano armi già appartenenti ai depositi americani in Germania; tali armi venivano «trasferite» attraverso i cor-

rieri dell'ooESSA nel Vicino Oriente. Ma l'ooESSA si preoccupava di molte altre cose. I suoi uomini si procuravano licenze d'importazione e contrabbandavano materiali strategici attraverso la Cortina di Ferro. (Uno dei centri di smistamento éra Vienna, da dove i materiali venivano inviati nella vicina Cecoslovacchia.) L'ooESSA era un'organizzazione formata da gente piena di risorse.

Nefluglio 1965 presi parte alla conferenza della Union Internationale des Résistants et Déportés, che venne tenuta - non per un puro ,caso - nella stessa stanza dell'Hotel Maison Rouge di Strasburgo dove nel 1944 gli industriali nazisti avevano preparato i loro piani. Lo scopo della nostra riunione era quello di creare una organizzazione capace di rintracciare i fondi nazisti, invisibili ma molto considerevoli.

Durante quella riunione, io formulai sei domande di capitale importanza che fino ad oggi sono rimaste senza risposta.

Prima domanda: Chi decideva sulle precedenze, vale a dire sulle persone che dovevano . essere trasferite oltremare con l'aiuto della ODESSA? La lista di attesa doveva essere molto lunga e l'affollamento notevole.

Seconda domanda: Chi sceglieva i nomi delle donne e dei figli dei nazisti che erano morti, erano fuggiti o si trovavano in prigione? Le famiglie di costoro erano sovvenzionate con fondi segreti. In che misura era effettuata questa sovvenzione?

Terza domanda: Chi paga i famosi avvocati che spesso difendono coloro che sono accusati di aver commesso crimini sotto il nazismo?

La maggior parte degli imputati non hanno apparentemente i mezzi per pagarsi un collegio di difesa.

Quarta domanda: Chi organizzò l'imponente assistenza legale per i criminali di guerra tedeschi che erano stati condannati nell'Unione Sovietica e che vennero riconsegnati alla Germania dopo che Konrad A<lenauer intervenne nel 1955 a Mosca in favore dei prigionieri tedeschi? Abbiamo la prova che alcuni di costoro, dopo essere giunti dall'Unione Sovietica nel campo di Friedland,- presso Gottinga, ricevettero gli indirizzi di avvocati della Germania Occidentale e l'ordine di mettersi in contatto con loro.

Quinta domanda: Chi finanzia certi editori tedeschi che si sono specializzati nella letteratura di propaganda neonazista?

Sesta domanda: Chi finanzia le riunioni degli ex nazisti che si tengono in varie città d'Europa? Una di tali riunioni ha avuto luogo recentemente a Milano. I partecipanti giungono da tutta Europa ed hanno le spese di viaggio e di soggiorno pagate.

E per concludere chiesi: Chi finanzia le attività sovversive condotte dai gruppi neonazisti in vari paesi?

Esistono vari indizi, ma sono difficili da seguire. So di un tale che non possedeva beni di fortuna ma che « elargì » 60.000 marchi a una casa editrice neonazista; ovviamente, non si trattava di denaro suo. Abbiamo il nome e l'indirizzo di un ex industriale tedesco che vive in Svizzera e gestisce una piocola banca che era molto popolare fra i pezzi grossi del partito nazista prima della seconda guerra mondiale. La banca ha cambiato nome, ma l'industriale non ha cambiato le sue convinzioni politiche. Sappiamo di grossi trasferimenti di capitali dal Sud-America e dalla Svizzera in Irlanda, dove alcune ditte tedesche hanno creato delle succursali e dove alcuni ex nazisti hanno acquistato case e terreni.

E sappiamo anche qualcosa ciroa il cosiddetto « tesoro » nazista che era (e forse è tuttora) nascosto nella ex « Fortezza Alpina»: l'ultimo ridotto creato dai nazisti nella bella regione dell' Aussee in Austria.

Le prime voci -circa un « tesoro » nazista nella regione dell'Aussee giunsero alle orecchie delle autorità americane nel 1946. A quell'epoca io lavoravo ancora per l'OSS. Era .difficile discernere i fatti reali dalle invenzioni che venivano pubblicate dai rotocalchi. Tuttavia certi fatti erano noti. A Salisburgo venne arrestato un certo dottor von Hummel, ex aiutante di Martin Bormann, mentre cercava di fuggire con cinque milioni di dollari in oro. Presso il castello di Fuschl a Salisburgo (che apparteneva a Ribbentrop ed è ora una elegante pensione) un contadino trovò in una buca parecchie sterline in monete d'oro.

Dopo l'apertura del Centro di Documentazione a Linz nel 1947, voci e informazioni sul tesoro nazista mi arrivarono quasi ogni settimana. Quattro anni più tardi vagliai accuratamente tutto il materiale disponibile e scrissi una serie di articoli documentati sull'argomento. Ero giunto alla conclusione che milioni di sterline false giacessero in fondo al Toplitz.see, uno déi tanti laghi della regione. Ma gli americani non avevano alcun interesse d'intraprendere costose operazioni dj recupero, e gli austriaci non intendevano farlo fìnchè ci fossero gli americani.

Otto anni dopo, nell'estate del 1959, la rivista ambur:ghese Stern ottenne il permesso dalle autorità austriache di organizzare una spedizione subacquea. Una squadra di sommozzatori e di operatori subacquei della televisione perlustrò il fondo del Toplitzsee per due mesi. Vennero recuperate quindici casse, ma ne furono scoperte per

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lo meno altre dodici, che tuttavia non poterono ~re portate a galla perchè erano troppo sprqfondate nel fango. Tutte le casse, tranne .una, contenevano biglietti falsi della Banca d'Inghilterra.

La regione dell' Aussee, che è situata nell'angolo nord-occidentale della Stiria e che la gente del posto chiama « Ausseepland », faceva parte del cosiddetto « ridotto » nazista, all'interno del quale si era pensato che i tedeschi avrebbero dovuto opporre un'ultima eroica resistenza. Goebbels lo aveva battezzato Alpenfestung (« Fortezza Alpina » ). Questa parte della fortezza cadde, piuttosto ingloriosam ente, il 9 maggio I 945, quando il maggiore Ralph Pi erson e cinque soldati americani arrivarono nel villaggio di Altaussee con un carro armato e una jeep. Non venne sparato un colpo. Una settimana prima era caduta Berlino. V entiquattro ore pr~ma era stato proclamato il V-E Day.

Agli inizi del I 944, circa 1 8.000 persone abitavano nella regione. Alla fine della guerra, ce n'erano quasi 80.000. Anche calcolando alcune migliaia di soldati tedeschi, vien fatto di chiedersi chi fosrero i 60.000 civili arrivati nella zona durante l'anno precede nte il collasso del Terzo Reich . Per le autorità americane non si trattava di una. domanda oziosa, perchè si sapeva c he molti gerarchi nazisti si erano trasferiti colà, spesso sotto nomi falsi. Fin dal Natale del 1944, gli alti papaveri del partito nazista avevano cominciato a far trasferire nella regione le famiglie insieme con il loro bottino di guerra e con i documenti che volevano nascondere. Arrivarono anche collaborazionisti romeni, ungheresi, bulgari e slovacchi. Il capo della Gestapo Emst Kaltenbrunner si trasferì in una casa nella cittadina di Altaussee. La RSHA, la SD e l' Abwehr vi trasferirono i loro dooumenti segreti e i loro beni : oro, denaro e narootici.

Per non suscitare sospetti fra la gente del posto, vennero costruiti . ospedali per le SS. Molti carichi di oro e di narcotici arrivarono chiusi in ambulanze contrassegnate con la Croce Rossa. Adolf Eichmann arrivò con lo stato maggiore d ella sua sezione IV B 4 e con ventidue casse di ferro che probabi,l mente contenevano documenti e oro. Questo trasferimento ebbe in seguito una parte importante nelle indagini dirette a ricostruire i movimenti di Eichmann.

Dopo il marzo 1945, le SS, oon la loro solita metodicità, comirtciarono a fare un inventario dei beni trasportati nella regione. Una sola lista particolareggiata cadde nelle mani degli americani. La lista, di cui io ebbi modo di vedere una copia, riguarda i beni della RSHA, che Ernst Kaltenbrunner spedì da Berlino ad Altaussee:

.. , :• ,,tf I •

50 chilogranuni di lingotti d'oro, 50 casse contenenti monete e oggetti d'oro, ciascu na cassa del peso di circa 50 chili,

2 .000.000 di dollari americani,

2.000.000 di franchi svizzeri,

5 c~ piene di diamanti e pietre preziose,

1 collezione di francobolli stimata almeno 5.000.000 di marchi.

In seguito trovammo le prove che durante i primi giorni del maggio 1945 l'ufficio speciale della R eichsbank che si occupava del bottino proveniente dai campi di concentramento aveva spedito nel1'Aussee diverse casse contenenti « oro odontoiatrico». ( Gli stock di denti d'oro venivano inviati dai comandi di ciascun campo in un deposito centrale stabilito nel campo di concentramento di Oranienburg, e di qui andavano nelle officine di Degussa, dove l'oro veniva fuso in lingotti. ) Una parte dell'oro di Degussa venne in seguito trovato nel Tirolo, camuffato sotto forma di tegole sistemate nei tetti delle case; e ciò avvenne dopo che il tetto di una casa crollò per eccesso di carico. L'oro fu requisito dalle autorità d'occupazione francesi.

La parte più preziosa del bottino era anche quella più conosciuta: si trattava dei tesori d'arte presi dai musei di Francia, Italia, Belgio, Danimarca e Olanda, che erano stati ammassati in una vecchia miniera di sale presso AltaUS5ee. Il Gauleiter locale, lo SS-Fuhrer Eigruber, escogitò un sistema per «proteggere» il bottino. I tedeschi avevano trovato sette bombe inesplose lanciate da aeroplani americani. Gli artificieri tedeschi smontarono le bombe, le ricaricarono, le armarono con nuove spolette e le nascosero dentro buche scavate vicino ai dipin ti immagazzinati e sulle quali posero dei cartelli così con cepiti: ATTENZIONE! STATUE DI MARMO! NON SPICCONARE! Il piano di Eigruber era di fare esplodere le bombe prima dell'arrivo degli americani. In seguito, accanto ai tesori d'arte andati in pezzi si sarebbe~ ro trovati dei frammenti di bombe americane, e ciò avrebbe dimostrato che gli americani avevano barbaramente distrutto le opere d'arte. Fortuna tamente, alcuni membri della resistenza austriaca arrivarono sul posto prima che fosse troppo tardi e sorvegliarono i dipinti fino all'arrivo degli americani. Gli artificieri americani tolsero le spolette e i dipinti vennero in seguito restituiti ai legittimi proprietari. Il loro valore è stato stimato ad oltre due miliardi e mezzo di dollari.

Mi recai spesso ad Altaussee dopo l'agosto 1945, perchè avevo scoperto che la moglie di Eichmann viveva colà. Nella zo n a circo-

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lavano strane voci. I camerieri, i conducenti di taxi, i facchini di albergo, sembrava che lavorassero per una invisibile rete di spionaggio. Un mio runico di Altaussec era sempre informato della mia venuta un'ora prima che io arrivassi. Andai anche a vedere la casa isolata che era stata abitata dal capo della Gestapo Ernst Kaltenbrunner, arrestato dagli alleati e in seguito condannato a morte a Norimberga. La casa apparteneva a un'anziana signora viennese, Frau ehristl Kerry. che vi tornò nell'invern o del 1945. Nei due anni successivi, intorno a quella casa accaddero strane cose. Nel cuore della notte apparivano delle ombre, e Frau Kerry sentiva dei rumori come di qualcuno che stesse scavando di fuori. La mattina dopo trovava nel terreno circostante delle grosse buch e quadrate che sembrava avessero contenuto delle casse o dei bauli.

Un contadino di nome Josef Pucherl trovò nascoste in un ammasso di rifiuti due casse di ferro. Le consegnò alle autorità, che le aprirono e vi trovarono dentro 10.167 monete d'oro. Un giorno del 1946, due uomini sconosciuti arrivarono sulle sponde del Toplitzsee e pescarono una cassa di legno. In seguito la polizia austriaca confenmò che la cassa aveva contenuto delle lastre per l'incisione di dollari falsi. Nel giugno 1950, diverse automobili si fermarono sulle rive del lago di Altaussee. Alcuni uomini, che avevano in precedenza esibito alle autorità di polizia delle carte d'identità francesi, indossarono delle tute subacquee e si tuffarono nel lago. Qualche ora più tardi se ne partirono con dodici casse di ferro. Gli americani scoprirono poi che i sommozzatori non erano fran cesi ma tedeschi. Il ere non riuscl mai a sapere che cosa fosse stato trovato nel lago. Questi sono fatti, fatti rimasti senza spiegazione, e non dicerie. Ma e.eco altri fatti sconcertanti: per lo meno sette persone morirono in circostanze misteriose nella regione d ei laghi. In un crepaccio delle vicine Montagne Morte vennero trovati i corpi di due ted eschi: in passato costoro aveva lavorato presso un centro nazista di ricerche navali sul Topli tzsee. Nel 1955 un altro tedesco, che aveva lavorato nello stesso centro, venne trovato morto in seguito ad una caduta da una roccia. Durante la notte del 5 ottobre 1963, un giovanotto di Monaco, di nome Alfred Egner, si tuffò a circa 60 metri di profondità nel Toplitzsee. Era stato ingaggiato da due tedeschi che aspettavano in un battello presso la riva. Vedendo che Egner non tornava a galla, i due tedeschi si spaventarono, fecero ritorno a Monaco e andarono a denunciare al padre del ragazzo la morte del fi glio. Uno dei tedeschi era un ex ufficiale delle SS, di nome Freiberger, che durante la gu erra aveva lavorato per la rete spionistica tedesca in

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Svizzera. L'altro era un certo dottor Schmidt, che nel 1962 era stato condannato nella Germania Occidentale per aver commerciato illegalmen te monete d'oro. La polizia austriaca trovò il portafoglio che Egner aveva lasciato sulla riva insieme con gli abiti prima di tuffarsi nel lago. Il portafoglio conteneva tre monete d'oro austriache coniate nel 1905. Il padre di Egner rivelò che suo figlio già in precedenza si era tuffato nel Toplitz.see.

Fino ad allora le autorità austriache avevano considerato i fatti misteriosi che accadevano nei laghi della regione come « incidenti » o « voci senza fon damento». Dopo la morte di Egner, quando i giornali avanzarono l'ipotesi di una connes.5ione fra quest'ul timo « incidente » e il « tesoro » n azista, la zona intorno al lago venne isolata · e le autorità austriache iniziarono delle indagini ufficiali. Dopo d iverse settimane di ricerche subacquee, trovarono il corpo di Egner, numerooe oas.5e contenenti altre banconote inglesi contraffatte, lastre pe r stampare banconote da cinqu e ste rline, e armi smontate.

Secondo i calcoli degli esperti, i beni che i nazisti cercarono di nascondere in varie parti del mondo ammontavano a 750 milioni di dollari e forse anche ad un miliardo. L'elenco delle persone autorizzate a disporre di qu esti fondi è stato definito il più importante segreto non svelato del Terzo Rei ch. Si dice che esistano sei copie di tale elenco, due delle quali sarebbero custodite nelle casrette di sicurezza di altrettante banche. Altre due copie probabilmente erano in possesso di coloro che organizzarono l'ooESSA nel 1947.

In base alle informazioni disponibili, sono pienamente d'accordo con gli esperti americani che studiarono l'intero problema dopo la guerra ·e ritengo che uno dei sei elenchi si trovi ancora in fondo al Toplitzsee. Il 2 3 ottobre 1 963 parlai di ciò con Franz Olah, allora ministro degli Interni austri aco. Gli chiesi che, se mai nella regione fossero stati recuperati dei beni nazisti, questi venissero usati per risarcire le vittime superstiti del nazismo e non per « fina nziare istituzioni antidemocratiche ».

Nel settembre 1964 venni invitato a Praga dall'agenzia governativa d'informazioni CTK per studiare il contenuto di quattro casse foderate di ·ferro che alcuni sommozzatori avevano recuperato sul fondo del Gemé Jezero ( « Lago Nero ») presso Budejovice (Budweis) nella Boemia m eridionale. Le autorità cecoslovacche erano in possesso d'informazioni precise circa la provenienza delle casse. Alcuni prigionieri che avevano lavorato per la RSHA a Berlino le avevano caricate su dei camion la mattina del 13 aprile 1945. Uno di quegli ex prigionieri vive oggi in Cecoslovacchia. Egli ricordava c he il ca-

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po della RSHA Heinrich Miiller aveva assistito personalmente aÌ carico. Il convoglio di camion aveva lasciato Berlino e si era diretto, attraverso Dresda e Praga, a Budejovice. Alcune casse vennero gettate nel Lago Nero, le altre vennero portate nella tenuta che il dottor Rudolf Schmidt, medico ,personale di R udolf Hess, possedeva sul Chiemsee. È probabile che in seguito siano state gettate nel Chiemsee... non lontano dal posto in ,cui l'esercito americano ha istituito oggi un centro di ricreazione. Il Chiem.see non ha rivelato alcuno dei suoi segreti. Le casse di P raga contenevano:

un particolareggiato rapporto segreto circa l'assassinio del cancelliere Dollfuss;

un elenco degli agenti della Gestapo nei diversi paesi europei;

lo scabroso diario della figlia del principe Hohenloh~Langenberg, che fu ospite, nel I 938, di Lord Runciman, il mediatore inglese al tempo della crisi cecoslovacca; diversi documenti relativi alla lotta contro i comunisti; un rapporto sulle attività spionistiche tedesche in Italia; documenti relativi all'attività dell'ambasciatore tedesco in Francia Otto Abetz.

Il documento più importante era l'elenco degli agenti della Gestapo nei paesi europei. A Praga mi fu detto da un funzionario, che aveva veduto la lista, che molti di quegli uomini occupano oggi posizioni di primo piano nei rispettivi paesi. Molti vivono nella GeI11nania Occidentale e Orientale. In seguito il governo cecoslovacco ,consegnò al governo jugoslavo una lista di oltre I 800 agenti jugoslavi della Gestapo. La stessa persona mi disse anche che una copia dell'elenco venne consegnata ai russi.

Forse il documento più interessante che vidi a Praga fu il Kriegstagebuch (giornale di guerra) della divisione SS « Das Reich ». Il diario era stato trovato in precedenza nel castello Zasrnuky presso Praga. In esso sono chiaramente registrate le esecuzioni in massa degli ebrei avvenute in Austria e negli altri paesi occupati dai nazisti. ,., Il diario costitul una prova al processo contro l'aiutante di Himmler, il generale delle SS Karl Wolff, il quale sosteneva in tribunale di avere avuto notizie delle esecuzioni solo « molto tempo dopo che erane avvenute ». Ma una -copia di tutte .le annotazioni riportate nel Kriegstagebuch veniva inviata regolarmente a Himmler fin dal 1941. Tutto questo materiale era passato per le mani di Karl Wolff, che venne condannato a quindici anni di prigione.

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Vidi per la prima volta Adolf Eichmann in un'aula del tribunale di Gerusalemme nel giorno in cui cominciò il suo· processo. Per -circa sedici anni non avevo fatto che pensare a lui giorno e notte. Nella mia mente mi ero costruito l'immagine di un diabolico superuomo. E invece, nella gabbia di vetro, fra due poliziotti israeliani, vidi solo un ometto anonimo, squallido. In paragone, i due poliziotti sembravano persone molto più colorite e interessanti. Tutto in Eichmann sembrava appena abbozzato: il volto grigiastro, la testa dalla calvizie incipiente, gli abiti. Non c'era nulla di diabolico in lui; sembrava piuttosto un contabile che abbia paura di chiedere un aumento di stipendio. Mi parve che ci fosse qualcosa di sbagliato, e continuai a pensarci mentre veniva letto l'incredibile atto di accusa ( « l'assassinio di sei milioni di uomini, donne e bambini»). D'un tratto capii che cosa fosse. Nella mia mente avevo sempre veduto lo SSObersturmbannfi.ihrer Eichmann come un arbitro supremo della uita e della morte. Ma l'Eichmann che vedevo in quel momento non indossava l'uniforme delle SS, simbolo di terrore e di morte. Vestito con un abito scuro di poco prezzo, sembrava una siluetta di cartone, senza consistenza, a due dimensioni. Dissi in seguito al primo procuratore H ausner che Eichmann avrebbe dovuto indossare una uniforme. Ciò avrebbe ricreato la vera identità e la vera immagine dell'Eichmann che i testimoni ricordavano. Anch'essi sembravano un po' perplessi davanti a quello squallido borghesuccio chiuso nella ,gabbia di vetro. Hausner mi disse che da un punto di vista emotivo avevo ragione, ma che l'idea non era realizzabile. Avrebbe dato al processo il tono di uno spettacolo, di un~ mascherata. Gli israeliani sapevano che gli occhi di tutto il mondo erano fissi su di loro fin da quando avevano catturato Eichmann e lo avevano trascinato al di qua dell'oceano, e perciò volevano evitare critiche inutili. Avevo anche un'altra proposta da fare, ma anch'essa poco pratica. Per quindici volte, dopo la lettura di ciascuno dei capi d'accusa, ad Eichmann

CAPITOLO
L'INA F FERRABILE
IV
EICHMANN
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era stato chiesto se si ritenesse colpevole. Ed ogni volta egli aveva risposto: « Non colpevole». Anche questa procedura mi sembrava inadeguata. Pensavo che quella domanda avrebbe dovuto essere rivolta ad Eichmann sei milioni di volte e che lo si avrebbe dovuto costringere a rispondere sei milioni di volte.

Commettendo un crimine assolutamente incredibile, i nazisti avevano sperato di cavarsela davanti al tribunale della storia. Le generazioni future non avrebbero creduto che una cosa simile fosse realmente accaduta. Quindi, ne deducevano i nazisti, un giorno la storia sarebbe arrivata alla conclusione che ciò non era accaduto. Il crimine era di tale portata da essere inconcepibile.

Dopo settimane passate nell'aula del tribunale, mi sentivo oppresso da un senso crescente d'irrealtà. L'aula era una cupa isola fortificata in mezzo a Gerusalemme bagnata di sole e piena di vita. L'isola era guardata da soldati armati di mitra. Gli spettatori venivano perquisiti per tema che portassero indosso armi. Quando lasciavo questa cittadella del castigo e uscivo fuori sotto il sole d'Israele, i bambini giocavano nelle strade, la gente tornava a casa ·ìial lavoro, le giovani coppie facevano all'amore e le massaie portavano le borse della spesa. Tutti sembravano assolutamente ignari della tragedia che veniva ricostruita nell'aula del tribunale. Ricordo che m'infastidiva l'apparente indifferenza di costoro, ma so che era assurdo biasimarli: quasi tutti avevano perduto un parente o un amico per colpa dell'ometto che sedeva nella gabbia di vetro. La vita continuava; la vita era più forte dell'imputato che sedeva nell'aula del tribunale, con una foresta di sei milioni di uomini morti dietro di sè.

La cattura di Eichmann arrivò nel momento psicologico giusto. Se fosse stato preso alla fine della guerra e processato a Norimberga, i suoi crimini forse oggi sarebbero dimenticati. Egli sarebbe stato solo un'altra faccia sul banco degli imputati. A quel tempo tutti erano felici che l'incubo fosse passato Fino al processo di Eichmann, c'erano milioni di persone in Germania e in Austria che dicevano di non sapere o che non volevano sapere nulla sugli enormi crimini compiuti dalle SS. Il processo pose fine a questa finzione. Dopo nessuno potè invocare l'ignoranza; Eichmann, l'uomo Eichmann, non contava. Egli era morto nel momento in cui era entrato nel!' aula del tribunale. Ma milioni di persone lessero di lui, sentirono alla radio la storia della « soluzione finale », videro il dramma del tribunale sugli schermi televisivi. Sentirono la voce incolore di Eichmann, videro il suo volto impassibile. Solo una volta Eichmann sem-

brò vicino a commuoversi, e ciò accadde nel novantacinquesimo giorno del processo, quando disse: « D evo ammett e re che ora considero l' annientamento degli ebrei uno dei peggiori crimini nella storia del genere umano. Ma è accaduto, e noi dobbiamo fare tutto quello che possiamo per impedire che accada di nuovo. »

In seguito ebbi occasione di parlare del processo con molti tedeschi e austriaci. Quasi tutti erano rimasti colpiti dalla procedura giudiziaria. Si resero conto che il crimine inimmaginabile era stato veramente commesso, e dovettero sottoporsi a un nuovo esame di coscienza. Forse alcuni di loro giunsero alla stessa conclusione di Eichmann... che una cosa simile non avrebbe dovuto mai più accadere.

Il processo Eichmann dimostrò l'inadeguatezza delle leggi umane. I codici penali di t utte le nazioni civili conoscono la definizione di assassinio. I legislatori hanno previsto l'assassinio di una persona, di due, di cinquanta o forse anche di mille persone; ma lo sterminio sistematico di sei milioni di person e non rientra negli schemi di nessun a legge. È come la forza esplosiva di una bomba H è qualcosa cui la gente non vuole pensare. Eichmann lo capì molto bene. A Budapest, nel 1944, disse ad alcuni amici: « Cento morti sono una catastrofe. Cinque milioni di morti sono una statistica. »

Come architetto, ho imparato a costruire case secondo certe norme. Sapevo che le mie case non avrebbero resistito a un terremoto supe riore a una data intensità. La « soluzione finale della questione eb raica » era come un terremoto dinanzi al quale non valevano più le comuni norme.

Di Eichmann quasi tutto rimane incomprensibile. Passai diversi anni ad indagare sui suoi precedenti personali per tro vare qualcosa che potesse spiegare come mai era diventato l'uomo che era stato. Non ho trovato nulla. Eichmann veniva da una famiglia tranquilla, religiosa. Suo padre, membro della Chiesa presbiteriana, parlò una volta quale ospite d'onore nella sinagoga di Linz, quando venne consegnata un'alta onorificenza austriaca al capo della comunità eb raica defla città, Benedikt Schwager.

A differenza di Hitler, Eichmann non ave va a vuto spiacevoli esperienze con gli ebr ei. Non era stato piantato da una ragazza ebrea o ingannato da un mercante ebreo . Era probabilmente in buona fede quando disse al processo che si era limitato a fare il suo lavoro. Disse che, se gli fosse stato ordinato, non avrebbe esitato a mandare anche suo padre nella camera a gas. La grande forza di Eichmann era che egli trattava il problema ebraico freddamente. Era il tipo d'uomo più pericoloso... l'uomo che non ha sentimenti umani. Una

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volta · disse di non essere antisemita; non v'è dubbio per9 che fosse antiumano.

Alla fine dell'aprile 1945, Eichmann si trovava con i membri del Consiglio Ebraico nel campo di concentramento di Theresienstadt quando vide passare il rabbino Leo Baeck, uno dei capi dell'ebraismo moderno. Eichmann si dimostrò sorpreso che il rabbino Baeck fosse ancora vivo. Nessuno dei presenti disse una parola. Tutti temettero che Eichmann desse l'ordine di mandare a morte il rabbino Baeck. Ma quel giorno Eichmann era di umore magnanimo e non fece nulla contro il rabbino Baeck. Tuttavia, quando se ne andò, disse con fare amichevole agli ebrei che lo circondavano: « Lasciate che vi dica una cosa. Le liste dei morti ebrei sono la mia lettura favorita prima di addormentarmi. »

Prese alcune di quelle liste dal tavolo e uscì.

La ricerca di Eichmann non fu una « caccia » come è stata chiamata, ma un lungo, faticoso gioco di pazienza, un gigantesco indovinello. La sua cattura avvenne grazie alla collaborazione di molte persone, la maggior parte delle quali non si conoscevano nemmeno. Ciascuno portò il suo contributo alla soluzione dell'indovinello; e io fui in grado di fornire alcuni indizi importanti.

Circa quattro settimane dopo· Ja mia liberazione; mentre lavoravo per la Commissione dei Crimini di Guerra a Linz, incontrai un certo capitano Choter-Ischai, della Brigata Ebraica, che aveva il compito di organizzare l'ingresso clandestino in Palestina degli ex internati nei campi di concentramento. Mi chiese se avessi mai sentito parlare di Adolf Eichmann. Gli dissi che avevo sentito fare quel nome da alcuni ebrei ungheresi del campo di concentramento di Mauthausen. Per me non voleva dire nulla. Ero interessato solo a quelli che avevano commesso delitti di cui ero stato testimone.

« Sarà meglio che controlli quel nome, » disse il capitano. « Purtroppo, viene dal nostro paese. È nato in Palestina. »

All'ufficio dei Crimini di Guerra controUai gli elen chi e trovai il nome « Eichmann ». Sembrava che avesse agito in Austria, Cecoslovacchia, Francia, Grecia e Ungheria. Non c'era il nome di bat tesimo ma solo il grado: SS-Obersturmbannfiihrer.

Il 20 luglio 1945 conobbi a Vienna un ometto smilzo e attivo di nome Arthur Pier. Portava una uniforme di fantasia interalleata che assomigliava (e voleva assomigliare) a una strana insalata di uniformi americane, inglesi e francesi. Arthur, che oggi è noto come Asher Ben Nathan, ed è il primo ambasciatore di Israele presso la Repub-

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blica. Federale Tedesca, si occupava allora della Bricha. Mi diede una copia dell'elenco dei criminali di guerra compilato dall'Ufficio Politico dell'Agenzia Ebraica. In questo documento, datato 8 giugno 1945, venivano forniti di Eichmann (anche qui mancava il nome di battesimo) i seguenti particolari: « Sposato, un figlio, soprannome: Eichie... alto funzionario del comando della Gestapo, Ufficio per gli Affari Ebraici, membro della NSDAP. » Sotto « luogo di nascita » si diceva: « probabilmente Sarona, colonia cli templari tedeschi in Palestina». Sotto « lingue», il documento precisava « tedesco, ebraico e yiddish ». Ciò mi fu confermato da parecchi ospiti di Mauthausen, i quali mi dissero di aver sentito Eichmann parlare « correntemente » ebraico e yiddish.

Un'altra informazione la ebbi dal capitano O'Meara, allora mio superiore all'Office of Strategie Services, alle cui dipendenze ero passato dopo che l'ufficio per i Crimini di Guerra aveva lasciato Linz. Il capitano era molto interessato ad Eichmann, che definiva « capo della sezione ebraica della Gestapo», e mi chiese di lavorare su quel caso. Scrissi il nome « Eichmann » sµ un piccolo quaderno nero nel quale tenevo un elenco personale di « ricercati ». Durante i miei viaggi avevo preso l'abitudine di chiedere notizie in giro circa i nomi contenuti nel mio elenco.

L'ufficio dell'OSS si trovava al n. 36 della Landstrasse a Linz. Io abitavo due case più in là, al n. 40. Una sera di luglio, mentre me ne stavo in . camera a studiare gli elenchi, entrò la mia padrona di casa. Frau Sturm s'interessava sempre ai nomi della mia lista. Forse era solo curiosità o forse voleva vedere se le era possibile di mettere sull'avviso qualcuno. Mentre faceva finta di rassettarmi il letto, sbirciava al di sopra della mia spalla.

« Eichmann ! » disse. « Deve essere il generale delle SS Eichmann che comandava [kommandierte] gli ebrei. Lo sa che i suoi genitori abitano in questa strada, al numero 32, proprio due case più in là?»

Mi parve assurdo che Frau Sturm ne sapesse di più degli investigatori dell'Ufficio Politico dell' Agenz..ia Ebraica. Ma Frau Sturm aveva ragione, così come aveva ragione quando aveva detto che Eichmann aveva « comandato » gli ebrei.

La mattina dopo parlai con uno dei miei collaboratori volontari, un tale di Linz che chiamerò «Max». Disse che questo Eichmann doveva essere uno degli Eichmann di Linz, conosciuto come « Elektro » Eichmann, perchè il padre era stato direttore dell'azienda tramviaria ed ora possedeva un negozio di apparecchi elettrici. Max disse che uno dei ragazzi Eichmann aveva fatto parte delle SS.

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« Secondo le mie informazioni, » dissi, « Eichmann è un ebreo della Palestina, appartenente alla setta dei templari. »

« Sciocc hezze, » rispose Max. « Ricordo benissimo qu ello S pitzbube [mascalzone). Darò un'occhiatina all'ufficio di polizia. »

All'ufficio di polizia d i Linz non c'e ra nulla su Adoli Eichmann. Era appena finita la gu erra e la burocrazia austriaca n on si era ancora riorganizzata.

Il giorno dopo - credo che fosse il 24 luglio - due agenti dell' O SS perq uisirono la casa, contrassegnata con il n. 32, che apparten eva alla famiglia Eichmann. Io non andai con loro. La perquisizione non died e alcun risultato. Il padre di E ichm ann ammise che suo figlio Adoli aveva fatto parte d ell e SS, ma disse di non sapere al tro. Adolf andava raramente ,a casa in li cenza e non parlava mai del suo lavoro con la famiglia. Non era tornato dalla g uerra. Le sue ultim e notizie erano giunte da Praga e risalivano a « parecchi mesi prima». Adolf, disse il padre, era nato a Solingen, Germania, ed era venuto a Linz da bambino. Aveva tre figli. C'era una sua fotografia? H err Eic hmann scosse il ca,po. Disse agli uomini dell'OSS che a suo figlio non era mai piaciuto di farsi fo tografare_. Naturalmente essi non ci credettero, ma in seguito risultò ch e la cosa era perfe ttamente vera.

Feci le opportune correzioni alla lista dei «ricercati » dell'Agenzia Ebraica e la rimandai ad Arthur Pier a Vienna.

Il 1° agosto Max venne a trovarmi. Era molto eccitato perchè aveva sentito dire c he Eichmann si nascondeva a F ischerdorf, una frazione del grazioso villaggio di Altaussee. L'indirizzo era Fischerdorf numero 8. Telefonammo al CIC della vicina Bad Aussee per chiede r e di perquisire l a casa. H CIC incari cò l a polizia austriaca. Qualcuno commise un errore - involontario o volontario, questo non si saprà mai - e i ge ndarmi andarono al n. 38 invece che al n. 8. Al numero 38 di Fischerdorf non trovarono Eichmann, sebbene trovassero un SS-H auptsturmfiihrer di n ome Anton Burger che si n ascondeva colà e ch e possedeva una bella r accolta di armi e munizioni. Gli austriaci lo arrestarono.

Chiamammo di nuovo il CIC. Ques ta volt a fu un am ericano che andò al num ero 8 di F isch erdorf, dove trovò una certa Frau Veronika Li ebl, l a qu ale ammise di ~re la « ex » moglie di Adolf Eichmann. Costei disse di aver di vorziato a P raga, nel marzo 1945, e di aver ripreso il suo nome da ragazza. D a allora non avev a pi tt visto il marito e non aveva una sua fotografia. Era arrivata ad Altaussee il 25 aprile e aveva abitato dapprima al Seehotel, poi al Parkh otel, e infine aveva affittato la casa al numero 8 che apparte-

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neva a un certo Herr \Vimmer. I suoi tre figli - Klaus, Dieter, Horst - vivevano con lei. A Linz, scoprimmo che Eichmann era stato colà nel settembre 1 944 e si era incontrato .con Amin el Husseini, il muftì di Gerusalemme, responsabile dell'assassinio di molti ebrei. Eichmann si era anche incontrato con il capo della Gestapo Ernst K:altenbrunner, nativo di Linz e grande amico della famiglia Eicb,mann.

Mi recai ad Altaussee e parlai con Frau Maria Pucher, proprietaria del Parkhotel, la quale ammise che Adolf Eichmann aveva soggiornato nel suo albergo « intorno al 1° maggio». Una notte era penetrato nel guardaroba del marito defunto di Frau· Pucher e si era preso un a:bito civile. Frau Pucher aggiunse risentita che Eichmann non si era nemmeno preso il disturbo di darle un po' di denaro. In seguito, quando venne interrogata dal CIC, sembrò avesse pam1a _.di dire troppo. Ad Altaussee un'altra persona (di cui non posso rivelare il nome) mi confermò di aver visto Eichmann il 2 o 3 maggio, e aggiunse che Kaltenbrunner ·« si arrabbiò moltissimo» quando seppe che Eichmann si trovava ad Altaussee e gli disse « di andare all'inferno». Fu questa la prima volta in cui venni a sapere che perfino gli amici di Eichmann dopo la guerra non volevano aver nulla a che fare con lui. I suoi ex colleghi pensavano, a ragione, che Eichmann scottasse troppo.

Altre due o tre persone affermarono di aver vistò Eichmann ai primi di maggio. Gli uomini del CIC tornarono da Frau EichmannLiebl per metterla a confronto con queste testimonianze, ma la donna non mutò la sua precedente versione. Non aveva visto Eichmann dal tempo del loro divorzio a Praga. Rifiutò di dire al CIC perchè avesse divorziaito dal marito. Evidentemente qualcuno mentiva.

A quel tempo io non ero un gran che come investigatore, ma pensai che la chiave del mistero di Eichmann dovesse trovarsi dalle parti di Altaussee. Ci tornai parecchie volte e parlai con molte persone. Il problema era quello di separare i fatti dalle dicerie. Alla fine sembrò chiaro che Eichmann e diverse altre SS erano arrivati nella zona con un convoglio di camion cingolati agli inizi di maggio. Il convoglio era passato per Altaussee e si era diretto a Bla Alm, un rifugio di montagna distante pa·recchi chilometri. L'oste ricordava benissimo i1 convoglio. Disse ai funzionari del CIC che le SS avevano scaricato ventidue casse nel suo granaio. Lui non era stato presente all'operazione, ma in seguito aveva sentito dire che le casse contenevano «documenti». Altra gente disse che contenevano anche gioielli e oro. L'albergatore non ricordava altri particolari e si rifiutò di

firma.re la deposizione. Anche lui, come gli altri con i quali parlavamo, sembrava avesse paura di essere interrogato.

Qualche giorno dopo incontrai un certo Mr. Stevens, un ameri cano che lavorava non lontano di lì, a Bad Ischi. (Non sono sicuro che quello fosse il suo vero nome, perchè molti americani lavoravano nella zona sotto nomi falsi. ) Mr. Ste.vens aveva parlato con parecchie persone che avevano visto Eichmann ad Altaussee ai primi di maggio. Sapeva del convoglio e delle casse. Mi disse che contenevano l'oro che era « appartenuto» a:lla RSHA: si trattava di lingotti fatti con l'oro delle fedi nuziali e dei doo.ti tolti ai morti dei campi di concentramento. Mr. Stevens mi disse che il convoglio proveniva da Praga. A parer nostro, Eichmann probabilmente sapeva dove fosse stato nascosto l'oro. ·

Agli inizi del 1 946, il nome di Adolf Eichmann comparve sulla lista austriaca dei « ricercati » : n. 1 654/ 46. Nella stes.sa lista c'erano anche i nomi dei suoi aiutanti: Guenther, Krumey, Abromeit, Burger, Novak e altri. Uno degli ex aiutanti di Eichmann, un certo Josef Weisel, venne individuato dalla polizia come criminale di guerra quando si trovava in carcere a Vienna già da un anno. Weisel aveva lavorato per Eichmann a Praga e in seguito a Vienna, dove Eichmann aveva l'ufficio n ell'e x palazzo Rothschild. Weisel ammise di aver visto Eichmann per l'ultima volta « probabilmente nel febbraio 1 945 », a Praga, dove a Weisel erano stati dati dei documenti falsi. Tutti i membri del gruppo di Eichmanh ebbero ordine di ritrovarsi dalle parti di Ebensee « alla fine della guerra». A Ebensee, presso Baµ Ischi, c'era stato un campo di concentramento tedesco (che venne in seguito usato dagli alleati quale campo d'internamento speciale per le SS).

A poco a poco riuscimmo a ricostruire il percorso esatto compiuto dagli uomini di Eichmann da Praga a Budweis (Budejovice in Boemia) e di là in Austria dove arrivarono alla fine di aprile. A Vienna ,correva la voce che Eichmann avesse cercato di farsi passa.re per ebreo e si fosse nascosto in un campo profughi. Le voci cominciarono dopo che un membro della Gestapo venne arrestato in un campo di profughi ebrei presso Brema e in un altro campo venne scoperta una SS che conviveva con una donna ebrea. Diverse persone che erano tornate dal campo di concentramento di Theresienstadt riferi rono che Eichmann aveva studiato l'ebraico con un rabbino. Costoro erano certi che fin 'da allora egli stesse preparando la fuga. I duecento campi profughi d ell'Austria e della Germania ospita-

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vano circa centomila persone, e non sarebbe stato facile setacciarli per cercare Eichmann. Non avevamo una sua fotografia, e quanto al nome era chiaro che doveva averne assunto uno falso. Tuttavia cominciammo a frugare nei campi e, sebbene Eichmann non saltasse fuori, scoprimmo parecchie SS che si erano nascoste in diversi campi profughi facendosi passare per ebrei. Nel 1943 un mio amico del movimento clandestino polacco, un certo Biezenski, che mi aveva aiutato a nascondere mia moglie facendola passare per polacca, mi aveva detto: « Un giorno i nazisti cercheranno di salvarsi la pelle fac endosi passare per ebrei.» La profezia si ·era avverata.

Nel dicembre 1 946, in occasione del primo Congresso Sionista del dopoguerra, in contrai il dottor R ezszo Kastner, un ex membro di quel Comitato Ebraico di Budapest che nel I 944 aveva condotto delle tra,ttative con le SS per salvare dalla d eportazione gli ebrei ungheresi. Himmler pensava che trattando con moderazione gli ebrei ungheresi avrebbe potuto costituirsi un alibi che gli sarebbe tornato utile dopo il crollo del Terzo Reich. Ordinò ad Eichmann di condurre in porto le trattative, ma Eichmann (il quale sapeva che niente avrebbe potuto salvarlo) sabotò gli ordini di Himmler. Il dottor Kastner mi descrisse Eichmann. A Budapest, Eichmann aveva dato ordini severissimi di non fotografarlo. Una volta venne a sapere che un membro delle SS, suo ammiratore, lo aveva fotografato. Eichmann rintracciò questo tale e gli fece distruggere la negativa e tutte le copie. Kastner disse che non era vero che Eichmann parlasse ebraico e yiddish. « Sa:peva solo poche parole di yidd ish e le usava come fanno i gentili quando racx:ontano qualche barzelletta sugli ebrei. Una volta si infuriò tremendamente dopo aver ricevuto una lettera in ebraico da un rabbino ungherese. Fece la lettera in pezzi e gridò che avrebbe punito il rabbino per aver voluto controllare se egli conosceva l'ebraico. Aveva crea to la leggenda della sua origine palestinese per -dimostrare agli ebrei che li conosceva bene e che era un osso troppo duro per loro. »

Nel febbraio I 947 riuscii a m ettere insieme la lista quasi completa degli aiutanti di Eichmann. Avevo interrogato Anton Burger, la SS che i gendanmi austriaci avevano arrestato a Fischerdorf mentre cercavano Eichmann. Burger mi confermò che Eichmann era stato visto ad Ausree in maggio.

Dur~te i p rocessi di Norimberga, ebbi modo di studiare migliaia di documenti, fra i quali trovai una dichiarazione dell'SS-Obersturmbannfilhrer dottor Wilhelm Hottl, appart enente al VI Ufficio della RSHA, che aveva conosciuto molto ben e Eichmann. Nella primave-

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ra del I 945, a Budapest, Eichmann aveva detto a Hottl : « Il numero degli ebrei uccisi è di quasi sei milioni, ma si tratta di un dato segretiS&mo. » .

I fascicoli di Norimberga contenevano molti ordini impartiti da Eichmann ai suoi aiutanti in Francia, Olanda, Grecia, Croazia e in altri paesi. In molti paesi occupati dai t edeschi, gli ordini di Eichmann erano stati impartiti direttamente ad alti funzionari del Ministero degli Esteri tedesco. V idi una lettera scritta daII'ambasciatore tedesco in Croazia, Herr Kasche, che stava trattando con il governo croato « l'acquisto di ebrei». I tedeschi offrivano trenta marchi a persona franco stazione ferroviaria. Anche le ambasciate tedesche a Bucarest, Sofia e Budapest intrattenevano una fitta corrispondenza con Eichmann a proposito deII'annientamento degli ebrei.

Passai una settimana a Norimberga, l eggendo giorno e notte, e aIIa fine Eichmann mi apparve come la mente direttiva dell'intero apparato di sterminio. Eg,H chiedeva continuamente fondi, che gli venivano accordati, per costruire altre camere a gas ed altri forni crematori, e inoltre finanziava speciali istituti di ricerca che studiavano gas letali e nuovi metodi di esecuzione. Parlai con diversi prigionieri delle SS che avevano conosciuto Eichmann. Molti di loro erano convinti che Eichmann avesse anche ucciso con le proprie mani, ma la cosa non mi convinceva. A parer mio, Eichmann era il tipo di uomo capace di u cci dere centomila creature con un colpo di penna, ma era troppo vigliacco per ammazzare di persona.

Nell'autunno del 1947 tornai a Norimberga, dove un funzionario del tribunale, Mr. Ponger, mi mostrò il verbale dell'interrogatorio di un certo Rudolf Scheide, un tedesco che aveva lavorat o in diversi campi d'internamento americani. In un capoverso c'era la spiegazione del perchè subi to dopo la guerra non avessimo trovato Eichmann neIIa regione di Aussee. Era andato in un luogo più sicuro: un campo d'internamento americano. Rudolf Soheide il 6 novembre I 947 aveva dichiarato che « fra il 20 e il 30 maggio » egli era stato nel campo di Berndorf, presso Rosenheim, in Baviera, di dove tutte le SS furono poi trasferite in un campo speciale a Kemanten, e quindi, il 1 5 giugno 1945, al campo di Cham, una veochia città nella Foresta Nera. Scheide era stato addetto a questo campo che aveva ospitato circa trernila SS. Scheide aveva dichiarato agli americani :

A quel tempo (verso la metà del giugno 1945) un alto ufficiale deHe SS, che diceva di essere l'Obersturmfilhrer Eckmann, mi chiese di essere riportato nelle nostre liste con questo nome. Ammise di essere in realtà l'Obers turmbannfilhrer · Eivhmann. A quel tempo il nome « Eichmann » non significava ni ente p er me.

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Gli risposi che quello che egli faceva con il suo n ome era una faccenda che riguardava lui.

Al campo, Eiclunann faceva parte di una squadra di muratori che lavorava nella città vicina. Ogni mattina la squadra si recava in città, scortata dagli americani, e ogni sera faceva ritorno al campo. Il 30 giugno Scheide scoprì che cosa Eichmann a veva fatto durante la guerra e informò l'agente del CIC assegnato al campo. Quando la squadra tornò al campo quella sera, Eichm ann non c'era più. Secondo Scheide, « la fuga era possibile solo con l'aiuto dei compagni ». La testimon ianza di Scheide provocò molto fermento fra gli americani a Norimberga. In realtà, tali fughe furono tutt'altro che infrequenti nei primi mesi del dop oguerra. Molti internati che facev ano parte di squadre di lavora t ori riuscirono a fuggire. Gli alleati non avevano abbastanza uomini per sorvegliare centinaia di migliaia di SS. Il caposquadra tedesco di Eichmann fu interrogato, ma dichiarò di non conoscere la vera identità di Eichmann. Comunque sia, avevamo ormai delle prove che Eichmann era vivo il 30 giugno 1 945 : un fatto che ebbe in seguito una grande importanza.

A Linz la gente venne a sapere delle mie indagini su Eichmann. Per tutti io diventai l' << Eichmann-Wiesenthal » che cercava il figlio dell' « El ektro-Eichmann ». Molta gente venne a trovarmi e mi fornì degli indizi che un qualsiasi giovane poliziotto avrebbe scartato e che io invece seguii puntualmente uno dopo l'altro. Il fatto è che non avevo esperienza. Inoltre, speravo sempre che le ind agini su Eichmann conducessero all'arresto casuale di altri nazisti. Una volta un medico di Monaco mi telegrafò chiedendomi di recarmi subito da lui perch è av ev a « importan ti informazioni su Eichmann ». Ci andai ,senza perdere un minuto. Quel medico era un tipo sparuto, n ervoso, che era sopravvissuto alla guerra ma aveva perduto i genitori nei campi di co ncentramento e non si era ancora ripreso dallo shock. Mi disse che una sua paziente, una donna di cui non volle famu il nome, viveva con un tale che si faceva chiamare « Friedrich ». La cliente aveva detto al medico che Friedrich era terrorizzato ogni volta che sentiva s uonare il campanello di casa, che pas.5ava le giornate a ·ca mminare avanti e indietro per la sua stanza e che diceva spesro: « Troppi ebrei sono ancora vivi. » Costui aveva detto alla donna : « La Germania ha perso la guerra per colpa degli ebrei. Dovrebbero essere u ccisi tutti. » Usciva solo di sera e aveva ammonito la donna a non parlare di lui con nessuno, perchè egli aveva amici « potenti ». La ri ce rca di questo Fr iedrich non ebbe successo; quando riuscimmo alla fine a scoprire il suo indirizzo, egl i era spari to.

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Moltò tempo dopo venni a sapere che era stato solo un gerarca minore delle SS. ,

Il caso Friedrich era stato una perdita di tempo, ma mi diede l'idea di sperimentare nel caso Eichmann il vecchio adagio « cherchez la /emme». Poteva darsi benissimo che Eichmann, come molti altri capi delle SS, avesse avuto delle amanti, e in tal caso sarebbe stato possibile scoprire qualcosa di lui attraverso una di queste donne. Uno degli aiutanti di Eichmann, l'SS-Fuhrer Dieter Wisliceny, che era stato condannato a morte a Bratislava, capitale della Slovacchia, stava cercando di salvarsi la testa fornendo. informazioni sul suo ex capo. Wisliceny affermava di saperne sul conto di Eichmann più di chiunque altro e ci diede gli indirizzi di parecchie donne con le quali Eichmann aveva avuto rapporti. Le conquiste di Eichmann appartenevano ai più disparati ambienti sociali, propr~o come le donne di Don Giovanni nell'opera di Mozart. Le amiche di Eichmann andavano da una baronessa ungherese a delle contadine. Probabilmente egli si nascondeva presso una di queste donne. Così cercammo di rintracciarne qualcuna. Nel frattempo chiesi ad Arthur Pier di tenere d'occhio la moglie di Eichmann ad Altalls.5ee. Ero convinto che prima o poi Eichmann avrebbe cercato di mettersi in contatto con la famiglia.

Pensai che una d elle ex amiche di Eichmann avrebbe potuto darci qualcosa di cui avevamo molto bisogno: una sua fotografia. Arthur fu d'accordo con me e mi disse di avere l'uomo adatto per questo lavoro. Manus Diamant era sopravvissuto ai campi di concentramento, ma aveva perduto tutti i suoi familiari. Non solo era dispooto ad aiutarci, ma si clava il caso che fosse anche un bel giovanotto. Arthur decise che Manus diventasse « Herr von Diamant », un collaborazionista oland ese a'Pparte nente alla divisione SS olandese « Nederland » che non osava far ritorno in patria. Speravamo che potesse avere successo con le solitarie vedovelle delle SS imprigionate o alla macchia. Disse che avrebbe cercato di fare amicizia con la moglie di Eichmann e anche con qualcuna delle donne che lo avevano conosciuto.

« Van Diamant » recitò bene la sua parte. Fece conoscenza con diverse signore delle SS, ma non con Frau Eichmann che si rifiutava di parlare a chicchessia. Divenne invece molto amico dei .tre ragazzi Eichmann, con i quali andava spesso in barca sul lago di Altaussee.

Quando Diamant mi parlò delle sue gite in barca con i figli di Eichmann, mi resi conto del suo tremendo dilemma morale. Nei

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campi di concentramento aveva visto migliaia di ragazzi grandi come i figli di Eichmann morire di farne o nelle camere a gas o davanti al plotone di esecuzione. Ora egli si trovava solo, in barca, con i figli dell'uomo che aveva organizzato la morte di tutti quei ragazzi.

Un pomeriggio, mentre passeggiavamo lungo il lago, mi disse che il giorno dopo avrebbe portato in barca i figli di Eichmann. La sua voce aveva un timbro innaturale. Pensai che avrei fatto meglio a parlargli prima che f os.se troppo tardi. Gli dissi che ca,pivo quello , che stava pensando. Aveva perduto i suoi familiari, fra i quali c'erano stati anche dei bambini.

« Due ragazzi e una ragazza, » mi disse senza guardarmi.

« Capisco, Manus. Ma ricordati che noi ebrei non siamo dei nazisti. Noi non facciamo la guerra a dei ragazzi innocenti. E se pensi di poter davvero colpire Eichmann provocando... un incidente sul lago, ti sbagli. Tempo fa due dei nostri vennero da me con un pia,. no. Volevano rapire i figli di Eichmann - la cosa sarebbe stata facile -e poi annunciare che i ragazzi sarebbero stati uccisi se il padre non si fosse consegnato alle autorità. Sollevai molte obiezioni contro il loro piano, ma essi ne accettarono una sola. Li convinsi che un uomo che aveva freddamente ordinato la morte di un milione di bambini non si sarebbe lasciato commuovere dalla sorte dei suoi figli. Anche se il loro piano lo avrebbe ferito profondamente, non si sarebbe consegnato per salvare i figli. Non è uomo da farlo. »

Diamant non rispose. Sperai di essere riuscito a convincerlo. Ne parlai con Arthur e rimanemmo d'accordo di non far proseguire a Diamant la sua missione ad Altaussee. Gli chiedemmo invece di investigare sulle numerose ex amiche di Eichmann e di cercare di procurarsi una fotografia del loro inafferrabile amante. La baronessa ungherese si era trasferita nel Sud-America; un'altra donna era rimasta uccisa durante i bombardamenti di Dresda. Alla fine del 1 947, finalmente trovammo una ragazza, che aveva conosciuto bene Eichmann, a Urfahr, un sobborgo settentrionale di Linz, al di là del Danubio.

Manus riuscì a fare amicizia con la ragazza, si fece invitare a casa sua, trovò un « album di famiglia » e scoprì una fotografia di Adolf Eichmann scattata nel 1934, tredici anni prima. La ragazza non voleva dare a Manus la fotografia, ma poi cedette al fascino del nostro collaboratore. Così Manus mi portò tutto trionfante l a foto. La sua missione fu conclusa ed egli tornò ad una vita più normale. Facemmo fare delle copie del ritratto, che venne allegato anche all'elenco dei «ricercati» sotto il nome di Ei chmann.

Un giorno, verso la fine del 1947, ricevetti una telefonata da Bad Ischl. Il mio amico americano, Stevens, mi chiedeva di andare su· bito da lui. Si trattava di cosa urgente, ma non volle dirmi altro per telefono.

Quando arrivai a Bad Ischl, Stevens mi disse che Frau Veroni· ka Li ebl, nell'interesse dei figli, aveva chiesto al tribunale distret· tuale una Todeserklarung (dichiarazione di morte presunta) dell'ex marito Eiclunann. A quel tempo tutti i tribunali dell'Austria e della Germania erano sommersi da simili richieste. Una donna, fino a che non dimostrava che il marito era morto o non riusciva ad ottenere una dichiarazione di morte presunta, non poteva riscuotere la pen· sione e non poteva risposarsi. I tribunali rilasciavano tali dichiara· zioni con una certa facilità, senza andare troppo per il sottile. E così poteva capitare che un bel giorno il marito « morto » tornasse a casa vivo e vegeto dopo aver passato qualche anno in un campo di prigionia sovietico o alla maochia.

Quando Stevens mi comunicò la notizia, rimasi a bocca aperta. Ci guardammo l'un l'altro in silenzio, ben consapevoli dell'enorme importanza di questa informazione. Se A<lolf Eichmann fosse stato dichiarato ufficialmente morto, il suo nome sarebbe sfato automatioaunente cancellato da tutti gli elenchi dei «ricercati». Per le au· torità egli non sarebbe esistito più e il suo caso sarebbe stato chiuso. Le indagini su di lui sarebbero state sospese, perchè non si dà la caccia a un uomo che si presume sia morto. Era una mossa intelligente, e mi convinsi che doveva averla concepita lo stesso Eichmann ricorrendo all'aiuto della moglie.

Nella mia voluminosa pratica su Eiclunann c'era la testimonianza giurata dell' SS-Sturmbannfuhrer Hottl, il quale a Norimberga aveva dichiarato di avere visto Eichmann ad Aussee i:l 2 maggio 1945. A}tri testimoni lo avevano visto il giorno prima nel campo di Ebensee, presso Bad Ischi. Decidemmo che Stevens avrebbe parlato con il giudice e avrebbe cercato di sapere qualcosa di più sulla domanda di Frau Eichmann. Il giudice disse a Stevens che un certo Karl Lukas, residente nella Molitscherstrasse 22, Praga 18 , aveva ma:ndato un atto notorio con il quale dichiarava di essere stato presente alla morte di Eichmann avvenuta il 30 aprile 1945 durante i combatti· menti che avevano avuto luogo a Praga. Stevens disse al giudice che Eichmann era un criminale nazista ricercato e che era st ato visto in Austria, vivo e vegeto, in una data posteriore a quella in oui sarebbe stato ucciso a PPaga. Il giudice rimase sbalordito e promise subito a Stevens che avrebbe esteso a quattro settimane il termine di due

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settimane solitamente richiesto per l'espletamento di tali pr,atiche. Stevens avrebbe avuto così il tempo di presentare le prove di quello che affermava.

Mandai uno dei miei uomini a Praga e nove giorni dopo ricevetti la notizia che K arl Lukas era sposato con una certa Maria Lukas il cui nome da ragazza era Liebl. S i dava il caso che costei fosse la sorella della moglie di Eichmann. Lukas, che allora lavorava presso il Min istero dell'Agricoltura cecoslovacco, era dunque il cognato di Eichmann. Venimmo anche a sapere che Lukas si teneva in contatto con una certa Frau Kals, abitante ad Altaussee, che risultò essere un'altra sorella della moglie di Eichmann. La polizia scopri le loro lettere. Sembra che l'intera famiglia fos.se d'accordo per dimostrare che Adolf Eichmann e ra morto. (Dopo la cattura di Eichmann nel 1960, trasmisi alle autorità cecoslovacche l' atto not orio di Lukas che venne licenziato dal Ministero dell' Agricoltura.)

Tornai a Bad Ischi e diedi la notizia a Stevens, che si recò subito a trovare il giudice, il quale lo assicurò che avrebbe respinto l'istanza. Infatti, convocò Frau Ei chmann e le disse chiaro e tondo che, se avesse cercato ancora d'ingannare la giustizia, l'avrebbe d enunciata al procuratore distrettuale. Frau Eichmann lasciò l'ufficio del giudice· costernata.

Oggi penso che il più importante contributo da me dato alle indagini su Eichmann sia stato quello di distruggere la leggenda della sua pretesa morte. Molti criminali delle SS non saranno mai presi perchè sono riusciti a farsi dichiarare morti e da allora vivono felici e tranquilli sotto altri nomi. Probabilmente alcuni hanno addirittura sposato le proprie «vedove». Uno di questi fu il principale esperto di eutanasia di Hitler, il professor dottor Wemer Heyde, che dopo essere stato dichiarato ufficialmente morto sposò l a sua ex moglie. In seguito venne preso e si suicidò in carcere.

All'inizio dell'estate del I 948 mi trovavo di nuovo a Norimberga. Gli americani mi dissero che erano riusciti a scovare una fotocopia del foglio matricolare di Eichmann, accluse al quale c'erano due fotografie. In una Eichmann appariva in abiti borghesi, nell'altra in unifonne. La più recente era stata fatta nel 1 936. I superi ori di Eichmann gli avevano fatto delle eccellenti note caratteristiche. Egli aveva dato prova, dicevano, di « grosse Fachkenntnisse auf seinem Sachgebiet » ( « considerevole esperienza nel suo campo»), ma non si diceva che il suo « campo » era il genocidio. Le tre fotografie di Eichmann - le due allegate al foglio personale e quella avuta dalla

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sua amichetta - erano le uniche che gli israeliani avessero nel r 960 quando presero Eichmann in Argentina.

Il documento più import ante che trovai nella pratica personale di Eichmann era un breve curriculum vitae scritto dallo stesso interessato. Datato « Berlino, 19 luglio r 93 7 », diceva:

Sono nato a Solingen, Renania, il 19 marzo 1906. Da ragazzo mi trasferii a Linz dove mio padre era direttore dell'azienda elettrica e tramviaria. Frequentai le scuole pubbliche, feci quattro classi di Realschule [scuola secondaria] e studiai per due anni alla scuola federale di elettrotecnica. Dal 1925 al 1927 fui agente di vendita della Società di Costruzioni Elettriche dell'Alta Austria. Diedi poi le dimissioni e diventai rappresentante per l'Alta Aust r ia della Vacuum Oil Company di Vienna. Fui licenziato nel giugno 1933 perchè si venne a sapere che mi ero iscritto segretamente al NSDAP. Il console t edesco a Linz, Dirk von Langen, confermò questo fatto con una lettera che venne allegata alla mia cartella personale presso il SD Hauptamt.

Per cinque anni feci parte della Frontkiimpferuereinigung austro-tedesca [una organizzazione politica ami-marxista]. Mi iscrissi al NSDAP austriaco il 1• aprile 1932 _,ed entrai anche a far parte delle SS. Prestai giur amento di f edeltà in occasione di un ' ispezione compiuta alle SS dell'Alta Austria dal ReichsfilhrerSS [Himmler]

Il 1° agosto 1933 il Gauleiter dell'Alta Austria, camerata Bolleck, mi ordinò di ini ziare l'addestramento militare al campo di Lechfeld. Il 29 settembre 1933 venni assegnato all'ufficio di collegamento delle SS a Passau. Il 29 gennaio 1934 venni aggregato alle SS austriache nel campo di Dachau. Il 1° ottobre 1934 fui trasfe r ito all'SD Hauptamt a Berlino, dove presto attualmente servizio.

È questo il notevole curriculum di un carrierista della quinta colonna. Durante il periodo cui si riferisce il curriculum di Eichmann, tutte le organizzazioni naziste erano illegali in Austria. Ciò non impedì ai nazisti di creare una organizzazione militare, con campi e centri di addestramento che venivano regolarmente ispezionati da Himmler.

Tutti sapevano che cosa Eichmann aveva fatto. lo volevo sapere che cosa lo aveva indotto a farlo. A Linz parlai con della gente che era stata a scuola con lui. Tutti mi raccontavano volentieri i soliti aneddoti divertenti sugli scherzi che avevano l'abitudine di fare agli insegnanti, ma quando li interrogavo sul loro compagno di classe Eichmann diventavano muti. Sapevano che stavo « dando la caccia » ad Eichmann e non volevano nemmeno amm~ttere di averlo conosciuto. Sembrava avessero paura di parlare. Un tale mi disse che la punizione dei crimini di guerra doveva essere lasciata alle « autorità

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competenti ». Che diritto avevo io, privato cittadino, di dare la caccia ad Eichmann? Non mi presi nemmeno la briga di rispondere. Quell'uomo era uno di quegli austriaci che si consolavano, prima della fine della guerra, dicendosi : « Se vinciamo, saremo tedeschi. Se non vinciamo, saremo austriaci. Comunque vada, non ~amo perdere.»

Cercai di trovare della gente che avesse conosciuto Eichman~ negli anni subito dopo il 1930, quando aveva appartenuto alle formazioni illegali delle SS. Nessuno volle dirmi nulla. Ci fu un tale (non un iscritto al partito) che aveva frequentato spesso casa Eiclunann e conosceva bene la famiglia. Aveva letto sui giornali dei crimini di Eichmann, ma si rifiutava di crederci. Non poteva trattarsi dello stesso Adolf che a lui era sempre sembrato un individuo tranquillo, incolore, e che spesso appariva quasi fissato su un'idea. L'uomo non si rendeva conto di aver caratterizzato perfettamente Eichmann ... non sapeva quanto avesse ragione e al tempo stesso quanto avesse torto.

Avevo studiato dei libri sulla psicologia del delitto, sui motivi e sull'infanzia dei criminali, ma avevo commesso un errore : avevo pensato ad Eichmann come ad un comune delinquente ed egli non lo era. Nel suo caso l'infanzia, l'ambiente, i problemi che di solito conducono al ~elitto, non c'entravano per nulla. Quando era stato rappresentante della Vacuum Oil Company, aveva avuto rapporti d'affari con degli ebrei, ma nessuna spiacevole esperienza. C'erano solo millecento ebrei nell'Austria Superiore quando Eich.mann e il suo amico Emst Kaltenbrunner, che in seguito divenne il capo della Gestapo di Hitler, appartenevano alle SS clandestine di Linz. Eichmann non aveva mai mostrato sentimenti aggressivi contro gli ebrei. Era solo un disciplinato, incolore H auptscharfuhrer (serge nte). Anche all'SD Hauptamt di Berlino, non sapevano esattamente come impiegarlo.

Venne incaricato di raccogliere materiale sulla « congiura mcm~ diale dei massoni». Eichmann cominciò a documentarsi sui massoni e divenne quasi un esperto sull'argomento. Scrisse lunghi studi su quello che avrebbe dovuto essere fatto per sventare la «congiura». Il movimento massonico stimolò il suo interesse per il problema ebraico. Si convinse che i massoni f~ ro una specie di setta ebraica ch e voleva dominare il mondo.

Eichmann cominciò a tenere uno schedario dei principali massoni ebrei. I superiori lodarono la sua . Grundlichkeit (diligenza) e Eichmann si applicò con sempre maggiore zelo alle sue « ricerche».

Dopo qualche tempo, si aippas.sionò a tal punto al problema ebraico che abbandonò completamente ,i massoni e si dedicò interamente a studiare gli ebrei. Lesse una quantità innumerevole di libri e sorprese i suoi superiori con le sue conoscenze enciclopediche sul giudaismo e il sionismo. Assistette come oo.servatore della Gestapo aHe conferenze ebraiche e venne mandato a studiare i quartieri ebrei di diverse città. Ho parlato con ebrei che ricordano i'Eichmann di quel tempo. Tutti sono concordi nel dire che era diverso dai soliti teppisti delle SS. Il suo atteggiamento era inflessibile, ma gelidamente cortese. Fra i documenti che ho trovato a N orimberga, c'è una domanda di Eichmann intesa ad ott enere uno « stanziamento speciale » per consentirgli di studiaire l'ebraico con un rabbino. Sebbene egli facesse presente che le lezioni sarebbero c06tate solo tre marchi, un vero affare, i suoi superiori respinsero la domanda. Ma ormai Eichmann era conosciuto all'SD Hauptamt come « il principale esperto dei problemi ebnùci ».

A quel tempo, verso il r 935, i nazisti non avevano ancora formulato una soluzione ufficiale del « problema ebraico». I capi nazisti erano d'accordo sul fatto che gli ebrei avrebbero dovuto lasciare la Germania, ma si riteneva che i campi di concentramento non costituissero una soluzione. Hitler e la sua oricca erano convinti dell'enorme strapotere del Weltjudentum (ebraismo mondiale), e perciò venne deciso che il modo migliore ·per combattere gli ebrei fosre quello di sapere · tutto su di loro, in modo da poterli colpire con le loro stesse armi. Gli ebrei non erano forse le 05cene potenze che si nascondevano dietro i troni e che dominavano i governi? Eichmann decise di con06Cere gli ebrei nel loro stesso ambiente. Nel 1937 andò in Palestina accompagnato da un certo Obersturmfuhrer Hagen. Ho trovato molti docwnenti riguardanti questo viaggio. Eichmann entrò in Palestina grazie ad una falsa tessera di giornalista che lo qualificava redattore del Berliner Tageblatt.

Prima che egli partisse, molti ebrei vennero arrestati in Germania e tenuti come ostaggi per Eichmann, un uomo di c ui non avevano mai sentito parlare. Eichmann passò esattamente due giorni in Palestina. Visitò la colonia dei templari tedeschi a Sarona, presso Tel Aviv, e la colonia ebraica. Di là andò al Cairo per incontrarsi con Amin el Husseini, il muftl di Gerusalemme, famigerato nemico degli ebrei e simpatizzante nazista. Dopo di ciò Eichmann voleva tornare in Palestina, ma la Gran Bretagna, che era la potenza mandataria, lo respinse ed egli tornò a Berlino. Uno dei fratelli di Eichmann, a Linz, disse a un mio amico che per qualche tempo in farni-

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glia credettero che Adolf fosse un «sionista», perchè parlava spesso della possibilità di una emigrazione ebraica su larga scala dalla Germania in Palestina. Quel soggiorno di quarantotto ore in Palestina diede più tardi ad Eichmann l'idea di fabbricare la leggenda che egli fosse originario della Palestina e perciò con06Cesse tutto sugli ebrei. Riuscì così bene a creare questo mito, che alcuni ebrei di Budapest nel 1944 ritennero che egli fos.se uno studioso di fil060fia rabbinica.

Ho cercato di scoprire esattamente quando Eichmann cessò di essere un teorico della questione ~braica per diventare un esecutore. Forse lo sviluppo fu graduale. Quando venne a Vienna nell'autunno del 1938, parlava ancora con una certa moderazione di « emigrazione forzata». Il mutamento decisivo ebbe luogo nel novembre del 1938, allorchè i nazisti ordinarono la distruzione delle botteghe e delle sinagoghe ebraiche per vendicare l'assassinio di un diplomatico nazista compiuto a Parigi da un ebreo. 1 Negli ordini inviati a Vienna da Reinhard Heydrich, capo della Gestapo, era detto esplicitamente che Eichmann doveva essere informato. Eichmann aveva scoperto la sua «vocazione». Testimoni oculari riferirono in seguito di averlo visto andare da una sinagoga all'altra per controllare personalmente che la distruzione fosse totale. Si dice che egli « partecipasse personalmente» a:lle distruzioni e che sembrasse «euforico».

Alcuni giorni più tardi, i capi della comunità ebraica di Vienna, convocati da Eichmann, notarono che egli non li invitava più a sedere davanti alla sua scrivania. Anzi, venne detto loro di rimanere in piedi, a tre passi di distanza, sull'attenti. Nel 1939 Eichmann andò a Praga, convocò il presidente della comunità ebraica locale e gli disse: « Gli ebrei se ne devono andare... e alla svelta! » Quando gli fu detto che gli ebrei vivevano a Praga da millecento anni, ed erano in tutto e p er tutto autoctoni, rispose gridando: « Autoctoni? Ve lo farò vedere io! » Il giorno dopo, il primo carico di ebrei partì per un campo di concentramento.

Nel 1941, nel mondo di Hitler non c'era più posto per gli ebrei. Dopo la Conferenza di Wannsee, che si tenne agli inizi del 1942 e nel corso della quale i gerarchi nazisti progettarono la loro « soluzione finale» -e cioè l'assassinio in massa - Eichmann ricevette

l'ordine di eseguire le direttive di Hitler e di Himm.ler. Nella primavera del 1945, Eichmann disse ad uno dei suoi assistenti a Budapest: « Morirò felice, con la certezza di avere ucciso almeno sei milioni di ebrei. »

Avevo avuto torto a cercare un motivo nella sua vita. Non c'era-

1 V. Appendice, Kristallnacht.

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no nè motivi nè odi. Egli non era altro che il prodotto del sistema. Quando i suoi sottoposti non riuscivano ad assolvere interamente i loro compiti di sterminatori, Eichmann diceva loro: « Voi tradite la fiducia del Fiihrer. » Eichmann si sarebbe comportato nello stes.50 modo se gli fos.se stato ordinato di uccidere tutti gli uomini i cui nomi cominciavano con le lett ere P o B, o tutti quelli che avevano i capelli rossi. Il Fiihrer aveva sempre ragione, e il dovere di Eichmann era quello di fare in modo che gli ordini del Fiihrer fossero eseguiti.

Nella primavera del 1948, riuscii a ricostruire esattamepte il viaggio compiuto da Eichmann alla fine della guerra. Era arrivato al campo di concentramento di Theresienstadt il 20 aprile e vi era rimasto fino al 27. Il giorno seguente era a Praga, il 29 a Budweis, il 1° maggio al campo di Ebensee presso Bad Ischl, e il 2 si trovava ad Altaussee, dove rimase fino al 9 maggio. In seguito si consegnò . volontariamente agli americani, nelle cui mani rimase fino alla fine di giugno, quando fuggì dal campo di conc entramento di Cham. Per qualche tempo rimase nascosto nella Germania settentrionale, e ciò fu confermato in seguito da due esponenti delle SS. Uno cli costoro era Hoess, ex comandante di Auschwitz, che rimase in contatto con Eichmann quando questi si trovava nella Germania del nord. Di qui Eichmann andò a stare con uno zio che abitava a Solingen. Una volta le autorità inglesi andarono ad interrogare Io zio di Eichmann mentre Eichmann si trovava nascosto in casa. Lo zio non disse nulla agli inglesi, ma tanto bastò perchè Eichmann decidesse di tornare nella regione dell' Aussee, dove si sentiva più a:l sicuro che altrove.

A quel tempo uno dei miei più stretti collaboratori era un ex maggiore della Wehrmacht. Dapprincipio era stato restio ad aiutarmi, perchè diceva: « Non devo insozzare l'uniforme » e invocava il suo senso della Kameradschaft, del cameratismo. Gli risposi che il cameratismo finiva dove cominciava il delitto. Aggiunsi che non avrei fatto nulla per salvare dei compagni che avessero commesso qualche delitto in un ca mpo di concentramento. Il maggiore andò a trovare parecchi suoi amici in Germania e parlò con molte SS. Quando tornò a Linz mi disse che Eichmann era « odiato dalle SS che lo accusavano di aver dato loro una pessima fama ». Il parere di tutte le SS e degli ex colleghi di Eichmann era che egli si nascondesse nella regione dell' Aussee. Nella vicina Gmunden c'era la centrale dell'organizzazione nazista clandestina Spinne.

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Ero siouro che la moglie e il padre di Eichmann sapessero sempre dove egli si trovava, sebbene non ricevessero mai sue lettere. Dopo la guerra. venne instaurata una severa censura postale e il CIC intercettava la corrispondenza di Frau Eichmann ad Altaussee e del padre di Eichmann a Linz. Ma non si trovò mai nessun messaggio sospetto, nessu n a lettera scritta in un codice convenzionale. Quando nel 1947 venne ordinato a tutti gli ex nazisti di dichiarare la loro appartenenza al partito, tre membri della famiglia Eichmann ammisero di essere stati iscritti al partito nazista. Eichmann padre si era iscritto nel maggio, 1·938, due mesi dopo l'Anschluss. II fratello Otto era entrato nel partito e nelle SA nello stesso anno. Il fratello Friedrich si era iscritto al partito ed era entrato nelle SA nel 1939. Gli americani fecero delle indagini sul loro conto, ma non risultò nulla che potesse dar luogo a una denuncia. Essi erano solo dei Mitlii.ufer, dei gregari senza importanza.

La famiglia di Frau Eichmann app·arteneva a una categoria diversa. I suoi parenti in Cecoslovacchia si erano arricchiti durante ìl regime nazista. Ogni mese Frau Eichmann riceveva un vaglia postale di mille scellini (quaranta dollari) dal suocero, ma a parer nostro ella doveva ricevere d e naro anche da altre fonti, forse dalla sua famiglia.

Il 20 dicembre 1949 un alto funzionario della polizia austriaca venne a trovarmi al Centro di Documentazione di Linz e mi propose di confrontare le nostre 'informazioni su Eichmann. Gli austriaci pensavano che Eichmann si nascondesse dalle parti del villaggio di Grundlsee, a circa tre chilometri da Altaussee. A Grundlsee, che si trova sulle sponde del laghetto omonimo lungo circa sei chilometri, ci sono diverse case isolate. Dissi al funzionario di polizia che parecchi mesi prima uno dei miei uomini che si trovava ad Altaussee aveva notato una Mercedes nera, con una tàrga dell'Alta Austria e proveniente dalla direzione di Grundlsee; la macchina si era fermata per qualche minuto davanti al numero 8 di Fischerdorf dove abitava Frau Eichmann. Un uomo con un impermeabile, « che sembrava un ebreo », come mi riferì il mio uomo, si era trattenuto pochi minuti in casa ed era poi ripartito sulla Mercedes nera. Avrebbe potuto essere Eichmann.

L'ufficiale di polizia ne convenne. E gli austriaci erano sicuri che Eichmann si tenesse in stretto contatto con una cellula clandestina nazista nella Stiria. Il suo ex aiutante Anton Burger, che era stato scoperto quando la polizia aveva perquisito la casa sbagliata mentre si cercava Eichmann, era scappato dal campo di Glasenbach nel

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1947 e fungeva da corriere fra Eichmann e il movimento dandestind: Ogni cellula consisteva di cinque persone; ciascuna di queste èonosceva solo altri cinque membri del movimento. Esistevano contatti con un'altra organizzazione neonazista chiamata Sechsgestirn (Sei stelle). La polizia austriaca sperava che l'arresto di Eichmann potesse scompaginare l'intera organizzazione. .

H funzionario tornò il giorno dopo. La polizia aveva scoperto che Eichmann avrebbe passato l'ultimo dell'anno con la famiglia ad Altaussee. Avevano progettato un'irruzione nella casa mentre Eichmann vi si trovava, e mi chiesero di accompagnarli. Il piano doveva rimanere assolutamente segreto. Il 31 dicembre è il mio compleanno e non avrei potuto desiderare un regalo migliore dell'arresto di Eichmann.

A qu el tempo il nostro Centro di Documentazione veniva visitato spesso da un giovane israeliano che era emigrato dalla Germania in Palestina con i genitori quando era piccolo, aveva combattuto nell'esercito israeliano durante la guerra d'indipendenza, e stava ora compiendo un viaggio di istruzione in Europa. Era pieno di entusiasmo, come tutti i cittadini di una nazione giovanissima, ed era affascinato dal lavoro del Centro di Documentazione, specialmente dal caso Eichmann. Gli dissi - piuttosto scioccamente, ora me ne rendo conto - che forse di lì a poco Eichmann sarebbe stato arrestato. Quando sentì che dovevo andare ad Altaussee, dove abitava Frau Eichmann, mi chiese di portarlo con sè. « Due braccia robuste vi possono sempre servire, » disse. Partimmo il 28 dicembre e scendemmo all'Hotel Erzherzog Johann di Bad Aussee, a tre chilometri da Altaussee. La polizia austriaca aveva piazzato sei investigatori nell~ varie locande. Ammonii il giovane israeliano di non andarsene a zonzo e soprattutto di non parlare con la gente. Ma quella sera, senza che io lo sapessi, se ne andò in un night-club dove si divertì e raccontò alle ragazze di essere israeliano. La cosa fece una certa impressione, perchè nessuno a Bad Aussee aveva mai visto un cittadino del nuovo Stato d'Israele.

La mattina del 3 1 dicembre m'incontrai con il funzionario di polizia incaricato dell'operazione. Alle nove di sera i suoi uomini si sarebbero trovati nei posti loro assegnati. Alcuni stavano gjà sorvegliando la strada da Grundlsee ad Altaussee e la casa di Frau Eichmann. Tornato in albergo, dissi al giovane israeliano di non uscire di camera prima di mezzanotte. Lo avrei avvertito io se ci fossero state buone notizie. Alle nove mi incontrai con il funzionario di polizia e con un altro uomo. Dalle locande, dagli alberghi, e da u8

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molte ·case dove si festeggiava l'ultimo dell'anno provenivano voci, musiche e risate. Anche noi eravamo in attesa di festeggiare. Un poli:motto cercò un telefono, chiamò Fi.scherdorf n. 8 e chiese di Frau Lie-bl. Dopo un po' una voce di donna disse : « Sei tu? V errai questa sera? » ll poliziotto riabbassò il ricevitore senza rispondere. Ci guardammo in faocia: così Frau Eichmann aspettava davvero qualcuno ·e noi lo avremmo accolto come si conveniva.

Alle dieci accompagnai il funzionario di polizia nel suo giro di controllo. Ispezionammo i posti in cui erano sistemati i poliziotti e strada facendo gettammo un'occhiata nelle locande. Il freddo intenso ci faceva rabbrividire. Tornammo all'Hotel Erzherzog Johann per bere una tazza di tè bollente. Quando aprii la porta della taverna, restai di sasso. Il giovane israeliano se ne stava seduto a un tavolo, intento a bere con un gruppo di gente del posto, tutto preso dal racconto delle gesta eroiche dell'esercito israeliano.

H funzionario di polizia rimase seccato.

« Non mi piace. Se in paese si sparge la voce che c'è un giovane israeliano, è probabile... »

« Sono le dieci passate, » dissi. « Oronai è troppo tardi perchè qualcosa vada storto. »

<< Lo spero,» mi rispose bruscamente.

Alle dieci e mezzo uscimmo di nuovo. Nella prima locanda che ispezionammo, il poliziotto di servizio ci riferì che tutti parlavano dell'israeliano che era arrivato a Bad Aussee. Anche in un altro locale si parlava dell'arrivo di un gruppo di israeliani. Il funzionario di polizia mi fissò ma non disse niente. In cuor mio mi maledissi.

Le undici. Se Eichmann voleva essere in famiglia a mezzanotte, sarebbe dovuto partire di lì a poco da Grundlsee. Aspettammo altri venti minuti, che sembrarono lunghi come venti anni. Nesruno' parlava. Alle undici e mezzo un poliziotto arrivò di corsa da Grundlsee e disse qualcosa al suo superiore.

Il funzionario mi lanciò un'occhiata come per dirmi: « Glielo avevo detto? » « Ho paura che sia tutto finito. Sembra che Eichmann sia stato avvertito. »

Lo fis.5ai, incapace di spiccicare parola. Lui ordinò al poliziotto di ripetere il suo rapporto.

« Alle undici e mezzo due uomini vennero avanti sulla strada di Grundlsee. t molto scuro laggiù, ma potevo distinguerli sullo sfondo bianco della neve. Erano a circa centocinquanta metri da me, che stavo nascosto fra gli alberi lungo la strada. D'un tratto un terzo

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uomo arrivò correndo da Grundlsee e gridò qualche cosa. I due si fermarono e quello li raggiunse, e dopo qualche secondo tutti e tre tornarono indietro di corsa. »

Il funzionario di polizia si accorse di quanto fossi disperato. « Non se la prenda così. Ora sappiamo da quale gruppo di case venivano. Non abbiamo mandati e io non posso perquisire le case senza ordini superiori, però abbiamo localizzato Eichmann. Lascerò qui due uomini e tornerò a Linz per chiedere ulteriori istruzioni. » Scosse le spalle e aggiunse: « Forse fu un errore portare qui quel giovane israeliano. O forse Eichmann è stato avvisato per qualche altra ragione. Chi lo sa?»

A mezzanotte meno dieci tornammo a Bad Aussee. Le strade erano piene di chiasso, di gente resa euforica dal vino che gridava « Buon anno! » Dappertutto si sentiva musica e rumore di bicchieri infranti. Io non avevo voglia di vedere nessuno. Me ne andai in camera e mi buttai sul letto senza nemmeno spogliarmi. Ero completamente a terra. Avevo avuto a centocinquanta metri di distanza il regalo del mio compleanno, e lo avevamo perduto. E forse non lo avremmo più riacciuffato.

Una settimana più tardi il funzionario della polizia austriaca mi comunicò di aver sospeso le ricerche. Erano stati informati che Adolf Eichmann era scomparso dalla regione dell' Aussee.

Il 1950 fu un anno cattivo per la « caccia » ad Eichmann. La guerra fredda aveva raggiunto il culmine e gli ex alleati si guardavano in cagnesco dalle due parti della Cortina di Ferro. Gli americani erano impegnati fino alla cima dei ,capelli con la , guerra in Corea e nessuno si curava di Eichmann e dei nazisti. Se due nazisti si incontravano ·durante quei mesi era facile che si dicessero: « Il vento è cambiato! » dandosi grandi pacche sulle spalle. Nei giornali scandalistici apparvero dei servizi sensazionali su Eichrnann. Era stato visto al Cairo, a Damasco, si diceva che stesse costituendo una legione tedesca a favore degli arabi, e così via. Io sapevo che tutte queste storie erano pura fantasia. Un uomo che aveva sempre evitato di farsi fotografare, non avrebbe certo voluto apparire alla ribalta della cronaca.

·n grosso fascicolo di Eichmann era sempre sulla mia scrivania, e quasi non sopportavo più di vederlo. Ero convinto che Eichmann non fosse più in Europa. La sfortunata operazione dell'ultimo del1'a.nno doveva averlo convinto che per lui ·era troppo pericoloso rimanere. Probabilmente i'ODESSA si era presa cura di lui. Forse si

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nascondeva nel Vicino Oriente, dove aveva amici e ammiratori fra gli arabi. Non c'era nulla che io potessi f are per il momento. La maggior parte dei miei collaboratori non pagati mi avevano lasciato per comi nciare una nuova vita. Gli americani che venivano mandati in Europa in quel tempo non si interC$a.vano ad Eichmann. Quando mi mettevo a parlare di lui, as.5\lmevano un 'espressione annoiata o mi guardavano perplC$i. Uno arrivò a dire che forse soffrivo di mania di persecuzione.

« Non può continuare a correre dietro a un fantasma, Wiesenthal. Perchè non dimentica tutta questa faccenda?» Ec co qu ello che mi sentivo dire .

Nel gennaio I 95 1 conobbi un ex agente dell' Abwehr, c he chiamerò « Albert » e che aveva delJe conoscenze fra gli uomini dell'onESSA. « Albert » mi disse che Eichmann era stato visto a Roma, verso la fine dell'estate del 1950, pochi mesi dopo che aveva lasciato la regione dell' Aussee. Probabilmente Eichmann era arrivato fin là attraverso la catena dei conventi. « Albert » sare bbe dovuto andare a Roma e avrebbe cercato di scoprire che cosa era successo. Rimasi ad aspettare il suo ri torno con estrema impazienza. Finalmente in febbraio venne a trovarmi.

« Ci sono diverse versioni sulla fuga di Eichmann, ma tutte concordano su un punto: che ·egli giunse a Roma con l'aiuto di un comi tato forma to da ex seguaci di Ante Pavel ic, il capo del governo croato coll aborazionista. Naturalmente , a Roma Ei chmann non prese alloggio in un albergo: crediamo ,che si sia nascosto in un convento. A Roma si procurò una carta d ' identità della Città del Vaticano, che gli era indispensabile se voleva ottenere il vi sto per un paese sudamericano. »

« t sicuro, » gli dissi, « che si tratti del Sud-America? Non può essere andato nel Vicino Oriente? »

« Albert » scosse il capo. « La maggior parte dei nazisti che trovarono asilo temporan eo a Roma vennero poi inviati nel Sud-America. Crediamo che Eichmann si sia unito a un gruppo di parecchie persone, viaggiando probabilmente con un nome falso. In genere questi gruppi vanno in Brasile e in Argentina. »

Io non avevo la possibilità di cercare in Brasile o in Argentina un uomo di cui non conoscevo il nome che aveva assunto e che non potevo neppure descrivere esattamente, perchè la su a più recente fotografia era s tata presa qua ttordici anni prima. Tutte le mie speranze erano riposte nella famiglia di Eichmann. Un giorno o l'altro egli avrebbe ce rcat o di mettersi in contatto con la moglie, che era

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rimasta ad Altaussee, dove i ragazzi frequentavano le scuole. Un giorno o l'altro avrebbe cercato di fare andare anche i f.anùliari in Sud-America.

Nell'autunno del 1951, dopo che avevo pubblicato in diverse riviste una serie di articoli sull'oro di Eichmann e sui cercatori di tesori dell'Altaussee, ricevetti la visita di un tale. La mia segretaria mi portò un biglietto sul quale c'era scritto: Heinri ch von Klimrod. Mi si _presentò un uomo snello, ben vestito, dal portamento ~litare, che s'inchinò correttamente e mi chiese se poteva parlami « apertamente ». Lo invitai a sedersi. ·

« Abbiamo letto i suoi articoli e siamo rimasti colpiti dalla sua conoscenza di questo delicato · argomento. Vorremmo proporle un affare.»

Gli chiesi chi mi volesse proporre questo affare.

« Lei mi ha consentito di essere franco, e io le dirò che rappresento un gruppo viennese di ex SS. Si dà il caso che i nostri interessi convergano su un punto. Sappiamo che Iei è un fanatico idealista. Lei vuole trovare Eichmann per portarlo davanti alla giustizia. Anche noi lo vogliamo, ma per un'altra ragione. Vogliamo l'oro di · Eichmann. Io credo che fra noi si possa stabilire una utile collaboraz1one. »

Rimasi senza parole. Mi stava proponendo di aiutarlo a mettere le mani sull'oro che Eichmann e i suoi avevano strappato dalle dita e dalle bocche di milioni di ebrei finiti nelle camere a gas. Forse l'altro fraintese il mio silenzio perchè ,continuò: « Non vediamo la ragione per cui tanti loschi individui da queste parti debban.o arricchirsi, mentre molti nostri camerati delle SS vivono n ell'indigenza. Abbiamo intenzione di essere degli alleati leali. Conosciamo molte cose sulla fuga di Eichmann. Sappiamo àe due preti, padre Weber e padre Benedetti, lo hanno aiutato quando stava a Roma. Conosciamo il convento dei Cappuccini in cui si nascondeva. Non conosciamo il nome attuale di Eichmann, ma al;>biamo molti -camerati nel Sud-America che ci aiuteranno. E allora, n on le sembra un buon affare?»

Io cercai di guadagnare tempo e chiesi a Klimrod quale fosse la sua oocupazione. .

« Sono socio di una ditta di importazioni e esportazioni. Intratteniamo ottimi rapporti coi russi. Siamo riusciti a spedire nei paesi comunist i materiale strategico nonostante l'embargo americano. Probabilmente lei ha sentito parlare della Nationale Liga, un gruppo di ex nazionalsocialisti che collaborano con i comunisti. Noi non ap-

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parteniamo alla· Liga, ma abbiamo i piedi in molte staffe. Penso che lei farebbe bene ad accettare la nostra proposta. Voi non avete bisogno dell'oro di Eichmann, perchè voialtri ebrei avete molto denaro. Così, voi avrete Eichmann e noi avremo il su o oro. »

Rifiutai quell'offerta allettante, ma non fu facile fargli ene capire la ragione. Il fatto è che non parlavamo la stessa lingua. Gli dissi che non potevo entrare in società con un gruppo di ex SS che coll aboravano con i comunisti. Non potevo dispo rre di quell'oro che non apparteneva a me come non apparteneva ad Eichmann. Per quanto ne sapevo, parte di quell'oro poteva anche venire dai miei ottantanove parenti che erano stati uccisi dagli uomini di Eiclun.ann.

Poco dopo la Pasqua del 1952, un amico mi telefonò da Altaussee. Frau Eichmann e i figli erano scomparsi. I tre ragazzi non erano tornati a scuola dopo le vacanze.

Informai subito gli americani e la polizia austriaca. Tutti si do- · mandavano perchè Frau Eichmann avesse portato via i ragazzi a metà dell'anno scolastico. Senza il benestare della scuola, non sar ebbe ro stati accettati negli altri istituti dell'Austria o della Germarua.

La polizia austriaca scoprì ch e qualcuno aveva scavato una bu ca nel terreno circostante la casa al numero 8 di Fischerdorf. Fino ad oggi non si è mai saputo se in quella buca ci fossero dei documenti, dell'oro o qualche altra cosa. Cercai di scoprire chi avesse rilasciato a Frau Eichmann un passaporto. Ad Altaussee era registrata come « Veronika Li ebl, cittadina tedesca». Grazi e all'intervento della Deutsche Fursorgestelle (un'organizzazione assistenziale tedesca) di Graz, il consolato di G ermania aveva rilasciato un passaporto tedesco a Veronika Liebl e ai suoi tre figli.

L'affitto della casa di Altaussee continuava ad essere pagato regolarmen te ogni mese e i mobili erano ancora tutti al loro posto, ma ciò non trasse in inganno i vicini. Alcuni mi dissero che gli Eichmann erano andati in Brasile. Altri affennavano di sapere che Frau Eichmann era andata « a stare con sua madre » a Sindolfheim, in Baviera. Come al solito, le voci che circolarono ad Altaussee non trovarono mai conferma. Nessuno vide Frau Eichmann in Brasile, risultò che non era mai adata a Sindolfheim, e le cose r estarono a questo punto.

Nel 1948, quando ero andato a farmi visitare da un dottore perc hè soffrivo d 'insonnia, il medico mi aveva consigliato di fare qual-

cosa di notte per distrarmiJ ed è così che cominciai. a raccogliere francobolli. Questo hobby mi ha procurato parecchie ore piacevoli e mi ha consentito di conoscere molte persone di altri paesi. E quando avevo ormai esaurito ogni altra risorsa, mi fornì un nuovo indizio nel caso Eichmann.

Verso la fine del 1953, conobbi nel Tirolo un vecchio barone austriaco che m'invitò nella sua villa presso Innsbruck. Eravamo entrambi filatelici appassionati e il barone voleva mostrarmi la sua collezione. Passai una piacevole serata ad ammirare i suoi francobolli, poi ci mettemmo a · chiacchierare davanti a una bottiglia di vino. Il barone era un vecchio simpatico, di provata fede monarchica e cattolica. Ascoltò con molto interesse quello che gli dissi del mio lavoro. Sapeva che nel Tirolo alcuni pezzi grossi nazisti occupavano di nuovo posti di rilievo << come se niente fosse cambiato». Era sconcertante, disse. ·

Il barone si alzò e aprì un cassetto pieno di buste che aveva messo da parte per via dei francobolli. Mentre cercava nel mucchio, cominciò a parlarmi di un suo amico in Argentina, un ex tenente colonnello tedesco che non aveva fatto carriera nella Wehrmacht perchè era conosciuto come antinazista. L'anno precedente era andato in Argentina, dove lavorava come istruttore n ell'esercito di Per6n. ·

« Ho appena ricevuto una sua lettera, » disse il barone, e mi porse la busta. « Bei francobolli, vero? Gli ho chiesto se aveva incontrato nessuno dei nostri vecchi camerati laggiù. Ecco quello che mi scrive:

Ci sono qui delle nostre comuni conoscenze. Forse ricorderai il tenente Hoffmann del mio reggimento, e il capitano Berger della 188• divisione. C'è poi altra gente che tu non conosci. Immagina chi ho veduto anzi, gli ho persino parlato due volte: dieses elende Schwein Eichmann, der die Juden kommandierte [quello spaventoso porco di Eichmann che comandava gli ebrei]. Abita vicino a Buenos Aires e lavora per l'azienda dell'acqua.

« Che gliene pare? » disse il barone. « Alcuni dei peggiori criminali sono riusciti a fuggire. »

Non dissi nulla temendo che il barone potesse accorgersi della mia eccitazione. Questa non era una delle solite voci di Altaussee: questo era un fatto. Senza parere, chiesi di dare un'occhiata alla lettera facendo finta di essere interessato ai nuovi francobolli argentini. Rilessi il brano che riguardava Eichmann e lo mandai a memoria parola per parola. Pit1 tardi, nella mia stanza d'albergo, riscrissi quel-

le parole cosi come le ricordavo. Ma la mia euforia fu di breve durata. Se anche, per quanto fos.se improbabile, avessimo trovato un uomo che aswmigliava ad Eichmann e che viveva vicino a Buenos Aires e lavorava per l'azienda dell'acqua, come avrenuno potuto catturarlo? Che cosa potevo fare io, che ero un privato cittadino, in un altro continente? I tedeschi rappresentavano una forza politica considerevole in Argentina,1 dove l'esercito di Per6n veniva addestrato dai tedeschi, . le industrie argentine erano dirette da esperti tedeschi e le banche argentine erano sostenute dal denaro illecitamente esportato dalla Germania.

Eichmann doveva sentirsi al sicuro in A~entina, altrimenti non avrebbe mandato a chiamare la famiglia. Forse disponeva di amici potenti, o non avrebbe osato vivere in una città che conta oltre 200.000 ebrei e quindi con il pericolo di poter C$Cre riconosciuto.

Mi resi conto che il mio lavoro d'investigatore privato era giunto al termine. A questo punto, altri più potenti di me avrebbero dovuto darmi il cambio. Arie Eschel, il console israeliano a Vienna, mi aveva chiesto di preparare per il Congresso Mondiale Ebraico un ra1r porto completo sul ca.so Eichmann. Scrissi una relazione che cominciava con il primo accenno che avevo sentito fare del nome di Eichmann e terminava con il brano della lettera ricevuta dal barone austriaco. Aggiunsi le fotografie di Eichmann, copie di lettere e campioni della sua scrittura. Inviai una copia di tutto questo materiale al Congresso Mondiale Ebraico di New York e un'altra copia al consolato israeliano di Vienna.

Da Israele non ricevetti alcuna risposta; invece, due mesi dopo che avevo spedito il materiale, ricevetti una lettera da New York. Un certo rabbino Kalmanowitz (che non conoscevo) mi scrisse di aver ricevuto il materiale e che gli « avrebbe fatto piacere avere l'indirizzo esatto di Eichmann a Buenos Aires». Risposi che sarei stato disposto a mandare qualcuno in Sud-America se avessero pagato a questa persona le spese di viaggio e gli avessero dato un compenso di 500 dollari. Il rabbino Kalmanowitz mi rispose che non poteva disporre di tanto denaro,

Era venuto il momento di abbandonare ogni cosa. Evidentemente, Eichmann non intere$ava più a nessuno. Gli israeliani erano molto più preoccupati per Na$Cr. Nel marzo 1954 chiusi il Centro di Documentazione, feci imballare tutte le pratiche, che riempirono diverse casse per un peso totale di 532 chili, e spedii ogni cosa all'Ar-

t V. Appendi ce.

chivio Storico Yad Vashem di -Gerusalemme. Trattenni solo una grossa cartella, la pratica Eichmann.

Cinque anni più tardi, la mattina del 22 aprile 1959, mentre scorrevo il giornale di Linz, l'Oberosterreichische Nachrichten, nell'ultima pagina vidi l'annuncio della morte di Frau Maria Eichmann, matrigna di Adolf Eichmann. Sotto c'erano i nomi dei parenti. Adolf Eichmann non compariva, ma l'ultimo nome era « Vera Eichmann ». Di solito la gente non mentisce quando scrive un avviso funebre, e li c'era proprio scritto « Vera Eichmann ». Evidentemente, Fr.au Eichmann non aveva divorziàto e non si era risposata.

Ritagliai l'avviso mortuario e lo misi in cima alla pratica Eichmann. Verso la fine di agosto del 1959, mi trovavo con la famiglia in vacanza a Murten, in Svizzera, quando ricevetti una telefonata da Linz con la quale .mi si diceva che diversa gente aveva visto Adolf Eichmann ad Altaussee. Non vi era possibilità di errore. Qualche settimana prima, il periodico tedesco Der Stern aveva fatto eseguire delle ricerche in fondo al la:go Toplitzsee, riaccendendo l'interesse del pubblico per i « tesori nazisti » affondati nei laghi della regione. Riferii la notizia che mi era stata data all'ambasciatore israeliano a Vienna, e decisi di ritornare immediatamente. Mia moglie era contrariata; mi disse, e non aveva tutti i torti, ohe non vedeva per quale ragione dovessimo partire dato che avevamo ancora dodici giorni di vacanze pagate. Le risposi che dovevamo partire. Non potevo rimanermene con le mani in mano in Svizzera. Non mi sarei goduto le vacanze.

I tempi erano di nuovo mutati. Nelle ultime settimane, i giornali israeliani avevano pubblicato dei servizi su Eichmann nei quali si narravano i suoi delitti e si avanzavano delle ipotesi sul suo nascondiglio. In quei giorni c'erano stati anche molti proces.5i di criminali nazisti in Germania e in Austria. La mia lettera all'ambasciatore israeliano arrivò al momento giusto. ll diplomatico la mandò a Gerusalemme e ne diede anche una copia alla Federazione delle Comunità Ebraiche dell'Austria a Vienna. La Federazione ne informò il ministro degli Interni austriaco, il quale ordinò alle autori.tà competenti di mettersi in contatto con me. Eichmann era ancora sulla lista austriaca dei « ricercati».

Tor.nato a Linz, parlai con i miei amici; naturalmente, non era Adolf Eichmann l'uomo che era stato visto ad Altaussee, ma uno dei suoi fratelli ... si trattava di un'altra delle solite voci. Ma ora le cose cominciavano a muoversi. Vennero a trovarmi due giovani israeliani, che chiamerò Michael e Meir, i quali mi dissero che in Israele

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c'era un grande interesse per il caso Eichm.ann e mi chiesero di continuare le indagini dal punto in cui le avevo l asciate n el I 954. A Francoforte sul M eno, il giudice incaricato di istruire il processo delle SS di Auschwitz mi disse che Eichmann era in testa all'elenco dei criminali sotto accusa e c hiese l a mia collaborazione. Prima che mi rendessi conto di quello che succedeva, mi trovai di nuovo immerso fino alla cima dei capelli nel caso Eichmann.

Riless l'intera pratica Eichmann. Il problema era quello di sapere se Eichmann viveva ancora a Buenos Aires. Tornai nel Tirolo sperando di riuscire a farmi dare dal vecchio barone il nome del suo amico di Buenos Aires che aveva scritto sei anni prima quella famosa lettera. Ma il barone era morto e la su a collezione di francobolli era stata venduta.

Mandai allora ùno dei miei uomini a parlare con la madre di Frau Eichmann. Frau Maria Liebl non fece una bu ona accoglienza al visitatore, ma si lasciò scappar detto che sua figlia in Sud-America aveva sposato un uomo di nome « Klems » o « Klemt ». Disse che non aveva l'indirizzo, che non ric-ev eva lettere e chiese di essere lasciata in pace.

Mandai in I sraele le poche informazioni c he avevo raccolto, e da Israele, il 1 o ottobre I 959, mi pervenne un mes.5aggio con il quale mi si informava che erano. state fatte delle indagini in Sud-America e si era scoperto l'indirizzo di Frau Eichmann che, a quanto pareva, viveva more uxorio con un .te-desco di n ome Ricardo Klement. Non ebbi il minimo dubbio che si trattasse invece di un matrimonio in piena regola ... che Frau Eichmann vives<>e con suo marito Adolf Eichmann. Altrimenti, la famiglia Eichmann a Linz non avrebbe messo nell'avviso m ortuario il nome di « Vera Eichmann » insieme con quello degli altri parenti. Poichè i ragazzi Eichmann vivevano a Buenos Aires con i genitori, mi venne in mente che forse dovevano ~re registrati pres.so l'ambasciata tedesca, dato che di Il a poco avrebbero raggiunto l'età di leva. Chiesi ad un amico di fare delle indagini con molta ,prudenza, ed egli m'informò che i ragazzi Eichmann erano stati effettivamente registrati all'ambasciata con il loro vero nome. (II funzionario competente dell'ambasciata confermò in seguito, non senza un certo imbarazzo, di « non aver mai saputo che quelli fossero i figli di Adolf Eichmann ».)

II 6 fe bbraio 1960, l'Oberosterreichische 'ljachrichten di Linz pubblicò l'avviso mortuario del padre di Eichmann, Adolf Eichmann, che era morto il giorno prima. Fra i nomi del.le « nuore » compariva di nuovo quello di « Vera Eichmann ». Spedii per posta aerea

il ritaglio di giornale in Israele. Adolf Eichmann era stato molto affezionato al padre, ed ero sicuro che i fratelli avrebbero comunicato ad Adolf la notizia della morte del padre. C'era anche una vaga probabilità che Eichmann venisse ad assistere al funerale. Venni a sapere che i funerali avrebbero avuto luogo di lì a cinque giorni « perchè si aspettano dei parenti che vivono all'estero». Sapevo che uno dei fratelli di Eichmann, Emi! Rudolf, viveva a Franforte sul Meno.

Michael e Meir non mi avevano detto che cosa gli israeliani contassero di fare a Buenos Aires... ma ·una cosa era certa: dovevano mettere le mani sull'uomo giusto. Perciò avevano estremo bisogno di una fotografia che ritraesse le fattezze attuali di Adolf Eichmann. Fotografie recenti non ne avevamo, ma forse c'era ancora la possibilità di mettere insieme qualcosa di utile. Due giorni prima del funerale, andai al cimitero e studiai l'ubicazione della tomba. Mi convinsi che qu ello che avevo in mente poteva essere realizzato, specialmente in una buia giornata invernale. Presi un treno per Vienna e mi recai al Presseklub per parlare con due runici, esperti fotografi. Chiesi loro di venire a Linz e di fotografare tutti i componenti della famiglia Eichmann m~tre assistevano alla inumazione. La cosa important e, dissi loro, era che non si facessero vedere.

I miei amici fecero un ottimo lavoro. Nascosti di.etro una grossa lapide a una distanza di circa centocinquanta metri, e nonostante che la luce fosse tutt'altro che ideale, riuscirono a scattare delle fotografie molto nitide di coloro che assistevano al funerale. Quella sera stessa ebbi davanti a me le fotografie ingrandite dei quattro fratelli di Adolf Eichmann: Emil Rudolf, Otto, Friedrich e Robert. I miei due amici mi indicarono quale era Emi! Rudolf, il fratello di Francoforte, che non avevo mai visto prima. Otto, Friedrich e Robert li conoscevo già. Adolf non era venuto al funerale.

I due fotografi se ne andarono e io rimasi a studiare e a confrontare le fotografie. Tirai fuori dalla mia cartella la vecchia foto di Adolf Eichmann, quella che era stata scattata nel 1936, cioè ventiquattro anni prima. Messa accanto alle fotografie dei quattro fratelli, quella di Adolf sembrava la fotografia di un fratello minore. Presi una lente d'ingrandimento e studiai i lineamenti dei cinque fratelli. Parecchia gente mi aveva detto che Adolf Eichmann somigliava molto al fratello Otto. Studiando le fotografie con la lente d'ingrandimento, capii d'un tratto come mai tante persone avessero giurato negli anni passati di aver visto Adolf Eichmann ad Altaussee, mentre invece avevano visto soltanto un suo fratello. Erano tutti

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molto somiglianti. Direi che in tutta la famiglia le somiglianze erano notevoli. Rifl ettei sul problema che avevano di fronte gli israeliani in Argentina. Le foto di Eichmann, di cui disponeva.no, erano ormai vecchi e di ventiquattro anni. Es.si non avevano nemmeno le impronte digitali. Anni prima mi erano giunte all'orecchio delle voci, probabilmente messe in circolazione dalle origanizzazioni clandestine delle SS, che Eichmann si era fatto fare una plastica facciale. Sembrava che Eichmann avesse una cicatrice sulla fronte, proprio sotto l'attaccatura dei capelli, conseguenza di un incidente motociclistico. L'ex dipendente di Eichmann, Wisliceny, aveva accennato alla cicatrice nella descrizione che aveva fatto del suo superi ore. Questo particolare era stato confermato dalla testimonianza rilasciata a Norimberga da Krumey, un altro aiutante di Eichmann. Guardando le fotografie che avevo davanti, mi sentii convinto che qualsiasi intervento di plastica facciale non avrebbe potuto alterare sostanzialmente i lineamenti di Eichmann.

Se il « Ricardo Klement » di Buenos Aires altri non era che Adolf Eichmann, i segni del tempo dovevano aver lasciato sul suo viso le stesse tracce lasciate sui volti degli altri quattro fratelli. Ritagliai le facce dei quattro fratelli c he avevano assistito al funerale e la faccia d ella vecchia fotografia d i Adolf Ei c hmann. Mescol ai le facce come carte da gioco e le gettai sulla tavola. Ne venne fuori una specie di volto composito: forse quello di Adolf Eichmann.

Quando i giovani israeliani Michael e Meir tornarono a trovarmi, feci vedere anche a loro questo giochetto. « Questo deve essere il suo aspetto oggi. Probabilmente somiglierà di più a suo fratello Otto Ma tutti e cinque i fratelli hanno la stessa espressione del viso. Guardate la bocca, gli angoli della bocca, il mento, la forma del cranio.»

Michael scosse la testa mentre guardava le fotografie. « Fantastico! » disse .

Meir afferrò le fotografie e mi chiese : « Possiamo prenderle?»

Se mbrò che d'un tratto gli fosse venu ta la fretta. D'altra parte, io non volevo trattenerli nemmeno per un secondo. Non ebbi più loro notizie, e così pensai che non avessero più bisogno del mio aiuto. Ormai non c'era niente altro che io potessi fare.

Il lunedì 23 maggio 1960, il primo ministro David Ben Gurion comunicò al Knesset (Parlamento) israeliano che Eichmann era stato catturato e si trovava in una prigione israeliana. Poche ore dopo, ricevetti un breve telegramma di congratulazioni dallo Yad Vashem di Gerusalemme.

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Qualche tempo dopo la cattura di Adolf Eichmann, incontrai uno dei miei ex « clienti » che era stato un alto ufficiale delle SS. Veniva spesso nel mio ufficio per fare quattro chiacchiere sui brutti giorni passati. Quel giorno entrò nella stanza, sbattè i tacchi, mi strinse le mani e disse: « Congratulazioni, Herr Wiesenthal. Saubere Arbeit [Bel lavoro]. »

E il bello è che era proprio sincero.

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Vidi per la prima volta dei collaborazionisti ebrei nel ghetto di Lvov, e in seguito ne vidi in vari cam pi di concentramento. C'erano alcuni casi impressionanti. Q uando, dopo la guerra, mi capitava di parlare di questo problema, molti ebrei rimanevano turbati, forse perchè si erano aspettati che i loro correligionari fossero immuni dalla corruzione. Come tutt e le razze, anche noi abbiamo santi e peccatori, vigliacchi ed eroi. Quando cominciai a lavorare come investigatore per diversi uffici americani, non mi ci volle molto per scoprire che fra i membri delle organizzazioni ebraiche ve ne erano alcuni i cui precedenti di guerra erano a dir poco dubbi. Alcuni di costoro avevano fatto parte di un Judenrat, specie di Co nsiglio Ebraico che i tedesc hi avevano costituito in ogni ghetto e in ogni campo di concentramento.

Il compito più diffi cile dei Consigli Ebraici dei ghetti era stato qu ello di d ecidere quali nomi dovessero essere inclusi nelle « liste dei deportati » destinati ai campi di sterminio. I nazisti avevano fissato alcuni criteri (condizioni di salute, età, ecc.), ma con la loro tipica ma!..vag ità spesso lasciavano la scelta finale agli stessi ebrei. Alcuni m embri dei Consigli Ebraici facevano la sola cosa possibile in quelle circostanze: seguivano alla lettera i criteri stabiliti dai nazisti. Altri si fecero corrompere, accettarono favori, e manomisero le liste sperando di poteni salvare la pelle. C'era sempre la possibilità che la successiva spedizione fosse l'ultima e se si riusciva ad evitare di essere inclusi in quella lista, ci si poteva anche sa:vare. C'erano altri ebrei che collaboravano con certi' uffici nazisti o barattavano le vite degli altri per la propria. Alcuni ebrei avevano incarichi di sorveglianza nei campi di concen tram e nto. Talvolt a aiuta vano i loro correligionari, talaltra no.

Tutti costoro dopo la fine della guerra avrebbero dovuto rimanersene in silenzio, avrebbero dovuto cercare di farsi dimenticare. In vec e, molti si unirono alle organizzaz ion i create dagli ebrei dopo

CAPITOLO V
ALEX

la guerra in Germania e in Austria, forse per un tardivo senso di pentimento o perchè in tal modo si ritenevano « al sicuro». Naturalmente, prima o poi la verità doveva venir fuori. Vennero riconosciuti, dai superstiti, che non avevano dimenticato, dovettero essere consegnati alle autorità alleate, e ci furono degli scandali.

I membri del Comitato Ebraico Centrale della zona americana dell'Austria mi nominarono vice presidente e mi misero a capo dell'ufficio legale e politico. lo ero responsabile dei miei collaboratori e perciò volli con me delle persone che avessero precedenti assolutamente limpidi . Stabilii la regola secondo cui nessun ebreo che avesse avuto funzioni di comando durante il regime nazista - indipendentemente dal fatto che vi fossero o meno delle accuse contro l'interessato - avrebbe potuto svolgere delle mansioni in una delle organizzazioni ebraiche create nel dopoguerra. Questa norma fu approvata dalle autorità americane e divenne nota, sebbene non in modo favorevole, come « Lex Wiesenthal » fra quelle persone dalla coscienza sporca che non mi avevano troppo in simpatia per questa mia iniziativa. Quando parlavo ai gruppi ebraici di questo problema, raccontavo ai miei ascoltatori la storia che avevo sentito da bambino, riguardante quel!' ebreo che aveva maledetto la moglie e che quan.do costei era morta venni! condannato a non pronunciare più una sola parola e passare il resto della vita « in silenzio » nella casa del grande rabbino di Czortkov. « Qualsiasi ebreo, » dicevo, « la cui bocca abbia trasmesso un ordine nazista inteso alla persecuzione di altri ebrei, deve essere condannato a non par!are mai più ad altri ebrei. »

Gli americani accettarono la mia proposta di creare un Comitato Ebraico, che avrebbe svolto le funzioni di commissione disciplinare, incaricato di investigare sui casi di collaborazionismo fra gli ebrei. Il Comitato dichiarò trenta ebrei colpevoli di collaborazionismo coi nazisti e cinque colpevoli di collaborazione con la NKVD sovietica. In conseguenza di quest'ultima forma di collaborazionismo molti ebrei erano stati mandati nei campi di concentramento della Siberia. Tuttavia il Comitato non aveva alcuna autorità ufficiale e le sue sentenze erano puramente simboliche. Le persone « condannate » che si opponevano al nostro giudizio avevano il diritto di ricorrere ai normali tribunal.i austriaci. Nessuno però lo fece. In Israele i collaborazionisti vennero per.seguiti dalle autorità e condannati dai tribunali.

Da allora, ho sempre nutrito dei sospetti nei confronti di quegli ebrei che affermano di aver salvato qualcuno. Chi aveva il potere di

salvare, aveva anche il potere di condannare. Le SS e la Gestapo non erano organizzazioni di beneficenza: volevano, per un dato giorno, un certo numero di persone, e non una di meno, da caricare sul treno. Non c'era modo di contrattare. I deportati dovevano essere pronti alle 12,30 del giorno fissato, e non alle 12,40. Una volta che il nostro comitato discuteva il caso di un tale, un testimone si presentò a dichiarare che l'accusato lo aveva tolto da una lista di deportazione .

« Vi prego di essere indulgenti con lui, » disse il testimone « J.1i ha salvato la vita. »

« Quale nome venne messo sulla lista al posto del suo?» gli chiesi. Il testimone non rispose. L'accusato venne giudicato colpevole. lo applico gli stessi rigidi criteri alle persone che si offrono di aiutarmi nel mio lavoro. I loro precedenti devono essere . irreprensibili. Alcuni mi hanno anche chiesto di controllare il loro passato. Alex fu uno di questi.

Era molto nervoso quando entrò nel mio ufficio in quel giorno del 1 958 . Portava occhiali neri senza alcun motivo, dato che era una giornata scu ra e nuvolosa. Evidentemente quell'uomo era oppresso da u n segreto. Doveva essere fra i trentacinque e i quarant'anni; era alto e aveva i capelli biondo-rossicci. In piedi, di fronte a me, scosse le spalle come se non sapesse da che parte cominciare. « Temo che sia ·una strana storia. »

L o invitai a sedersi, chiusi la porta e gli ç>ffrii una sigaretta. Molte persone che vengono a trovarmi pensano che le loro siano delle strane storie. L o sono sempre dal loro punto di vista, e spesso anche . dal mio. Anni fa ricevevo spesso le visite di giovani provenienti da tutte le province austriache, che venivano da me perchè pensavano che rappresentassi gli israeliani. Non erano ebrei, ma volevano arruolarsi volontari nell'esercito israeliano. Io chiedevo loro perchè volessero andare in Israele, sperando segretamente di trovarne uno che mi dicesse di volersi arruolare per un senso di colpa o perchè desiderava compiere un gesto di riparazione. Purtroppo mi sbagliavo. Non era l'idealismo che Ii spingeva. Alcuni avevano passato parecchi anni nella Wehrmacht e non riuscivano ad abituarsi al trantran della vita borghese. Desideravano l'avventura Altri mi chiedevano senza ambagi: « Quale sarà la paga?» Erano moderni soldati di ventura che avrebbero combattuto per chiunque li avesse pagati. Io d ovevo dir loro che non rappresentavo nessuno e che, a parte tutto, gli israeliani sembravano benissimo in grado di badare a se stessi.

Alcuni V1s1tatori venivano a raccontarmi delle complicate storie in cui c'era una vecchia zia Martha che aveva aiutato dei vicini ebrei « prima che fossero portati via». Quegli amici le avevano promesso di regalarle dell'argenteria o un paio di candelieri, ma poi la Gestapo si era portata via ogni cosa. Ora volevano del denaro dalle « organizzazioni ebraiche che dovevano senza dubbio disporre di fondi per coloro che avevano aiutato gli ebrei ».

Una volta un vecchio sarto con un paio di baffetti alla Hitler venne a chiedermi consiglio sul modo di ottenere un « risarcimento per gli ebrei». Così era scritto sul giornale, e per lui ciò significava « risarcimento per i danni causati dagli ebrei ». Il suo era un caso molto chiaro, mi disre. Nel 1938 aveva fatto un vestito per un vecchio cliente ebreo, Herr Kahn, che da un giorno all'altro era stato arrestato e portato in un campo di concentramento. Herr Kahn aveva dimenticato di saldare la fattura prima di farsi portare via.

« Avrebbe dovuto pagarmi il vestito, » disre il sarto. « Dopo tutto, me lo aveva ordinato, non è così? Nqn è stata colpa mia se non ha potuto metterselo. »

Dovetti spiegargli che non si portano abiti nuovi in un campo di concentramento.

Ma quello non si lasciò smuovere. « C'è una legge sul risarcimento, non è così?»

« Nessuna legge è perfetta. Evidentemente i legislatori non hanno preso in considerazione una simile eventualità, » dissi. Ma non riuscii a convincerlo. Se ne andò borbottando che avrebbe fatto ricorso alle Behorden, le autorità.

li giovane con gli occhiali scuri che sedeva di fronte alla mia scrivania non sembrava appartenere a una di queste categorie. Intuii che non doveva essere stato facile per lui venire a parlarmi. Feci finta di non osservarlo e<l egli si tolse gli occhiali.

« Nessuno sa che sono venuto a trovarla, » disse, come se ' fosse una cosa importante non essere visti nel mio ufficio. « Lo sa solo mio zio, o meglio l'uomo che io chiamo <zio>, ma non lo dirà a nessuno. Mi ha detto che facevo bene a venire da lei. È molto ammalato... Posso cominciare dal principio?

« Mio padre era ingegnere e proveniva da una famiglia che, prima della prima guerra mondiale, era stata molto rioca. Ricordo a malapena il nonno, che era un industriale. Mio padre mi parlava sovente di suo nonno, la cui fotografia era appesa nella biblioteca dentro una cornice ovale. Guardavo spesso quel ritratto che raffigurava un dignitoso signore con la barba bianca, la catena dell'orologio al panciotto

e la papalina in capo. Mio padre mi diceva che suo nonno era stato un grande studioso.» Fece una pausa. « Era un rabbino.»

Devo confessare che guardai sbalordito il mio visitatore. Qualsiasi Rassenforscher (studioso di razze) nazista con un po' di sale in zucca non avrebbe esitato a classificare quel giovane come ariano al cento per cento. Aveva « il tipico cranio oblungo dei nordici», gli occhi grigio-azzurri, il naso diritto, che i nazisti consideravano ·prerogativa degli « ariani ». A mio giudizio, sembrava più ariano di tanti ariani dichiarati che avevo avuto la sfortuna di conoscere.

« Sì, mio nonno e mio padre erano ebrei. Mia madre era cristiana, e da lei ho ·preso i capelli biondi e gli occhi azzuri. Fui battezzato, sebbene a mia madre non sarebbe importato molto se fossi stato allevato nella religione ebraica. Ma i miei genitori pensarono che la vita sarebbe stata più facile per me se non fossi stato un israelita. Sono nato nel 1922. Quando Hitler invase l'Austria, nel 1938, avevo sedici anni. »

Ora parlava con maggiore scioltezza.

« D'un tratto mi trovai ad essere un Halbjude [mezzo ebreo]. fo non mi rendevo conto di che cosa significas.5e essere un mezzo eb;·eo, ma i 1miei genitori sì. Es.si sapevano quello che era aocaduto ai mezzò ebrei e a quelli che erano ebrei anche solo per un quarto in Germania negli ultimi quattro anni. Mio padre aveva studiato attentamente le leggi di Norimberga Ero figlio unico e mi amavano molli$imo. Mio padre passava con me tutto il tempo che il lavoro gli lasciava libero. Qualunque cosa facessero, il loro primo pensiero ero io. »

Per un po' rimase lì seduto in silenzio.

« I miei genitori discussero il problema della mia Halbjudentum con il loro migliore amico, l'uomo che io chiamo <Zio>. Costui era un medico molto noto a Vienna. Lui e mio padre erano amici intimi fin da quando andavano a scuola. Mio zio non è ebreo. Quel giorno, quando venne a ,casa nostra, intuii che nella biblioteca di mio padre si discuteva qualcosa di molto grave. Alla fine mi chiamarono. Erano tutti molto tesi, e mia madre stava piangendo.

« Mio padre era pallidissimo. Mii chiese se mi rendevo conto che in base alle leggi naziste io ero un Halbjude. Accennai di sì, ma la cosa non m'interessava molto. Avevo sedici anni e mi preoccupava di più la versione di latino che mi aspettava al Gymnasium. Papà mi spiegò che, poichè ero un mezzo ebreo, avrei dovuto lasciare il Gymnasium. Questo fu per me un colpo. Mi' disse che forse avrei dovuto lavorare in una fabbrica. Risposi che nessuno poteva costringermi a farlo.

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« Mi guardò con aria triste e disre : < E invece si, loro possono. Poo.sono fare ben altro che questo... possono renderti la vita un inferno. > Naturalmente sapevo di < chi> stesse parlando mio padre. Anche nella mia classe c'erano dei nazisti.

« Mio padre disse : < Dobbiamo trovare il modo di proteggerti. Tua madre ed io non contiamo: abbiamo già vissuto la nostra vita. Ma tu hai ancora tutta un'esistenza davanti a te, e questo, credimi, vale un sacrificio. Abbiamo discusso il problema con lo zio Franz, ed ecco quello che faremo. Tua madre dichiarerà alle autorità che tu non sei... ecco, che tu non sei mio figlio. Dirà che lei e lo zio Franz... > Si fermò per un momento, quasi non fosse capace di proseguire, poi aggiunse: <Dirà che tu sei figlio loro e zio Franz lo confermerà. > »

Il mio visitatore guaroava fisso davanti a sè. « Ero completamente stordito. Mia madre smise di piangere e disse con voce calma: < Naturalmente papà è il tuo vero padre. Dirò loro una bugia. Dobbiamo farlo per te, per il tuo futuro.> »

« Io dissi: < Mamma, non capisco: che cosa devo fare?> Allora zio Franz, che aveva gli occhi pieni di lacrime, disre: < C'è solo una cosa che tu devi fare ora, ed è di dare ascolto al consiglio dei tuoi genitori. Non preoccuparti... andrà tutto bene.>»

Il mio visitatore continuava a tenere gli occhi fissi davanti a sè; forse rivedeva la scena che si era svolta nella biblioteca del padre.

« E così diventai un ariano. Non so che cosa fecero in pratica... Probabilmente mia madre fece una dichiarazione che venne firmata dallo zio Franz. Io con~rvai il mio cognome, perchè se zio Franz avesre voluto adottarmi ufficialmente avrebbe avuto bisogno del consenso della moglie, mentre tutta quella storia doveva rimanere segreta. Zio Franz era sposato e aveva dei figli, e non sarebbe stato facile per lui parlare alla moglie di questa faccenda. »

Mi domandavo ,perchè fosse venuto a raccontare proprio a me questa storia. Queste « arianizzazioni » erano state abbastanza frequenti a quel tempo. Altri ebrei disperati avevano cercato di proteggere i loro figli. Era una storia commovente, ma non insolita.

Il mio interlocutore disse con voce atona: « Nel 1940 mi arruolai come volontario... nelle W affen SS. »

Non potei fare a meno di sobbalzare. « Le SS! »

« Era stata un'idea di zio Franz e io fui d'accordo. Circolavano delle storie sulle atrocità commesse contro gli ebrei: non si sapeva nulla di certo, ma si sussurravano in giro molte cose. Pensammo che, anche se non ero più ufficialmente figlio di nùo padre, non avrebbero

fatto del mal e a un ebreo il cui figlio si era arruolato per combattere come volontario nelle Waffen SS. Bene, compii il mio addestramento in Germania con un a divisione SS. Nella primavera del 1941 venimmo mandati nell'Est. Nel giugno ci fu l'atta cco di sorpresa contro la Russia. La nostra divisione ebbe l'onore di es.5ere la prima ad attraversare il confine sovietico.

« Mi trovavo nell'interno della Russia, quando ricevetti una breve lettera con la quale mia madre mi annunciava di aver divorziato dal babbo.. Non diceva altro perchè sapeva, naturalmente, che tutta la posta veniva censurata. Pochi mesi dopo andai a casa in licenza. Mia madre mi raccontò quello che era succ~. Un giorno era stata chiamata dalla Gestapo. Co min ciarono a grida r e co ntro di lei. Non sapeva che la madre di una SS non doveva rimanere sposata a un ebreo? Quand o disse che non avrebbe mai divorziato da suo marito, il commissario della Gestapo le rispose che avrebbe fatto bene a pensarci su, al trimenti mi avrebbero reso la vita difficile. Avrebbero anche potuto considerarmi di nuovo ebreo, e lei doveva sapere qu ello che dò avrebb e significato. Mia madre lo sapeva benissimo. Era il più sporco di tutti i ricatti. »

Si alzò e cominciò a camminare su giù davanti alla mia scrivania.

« Mio padre fu subito d'accordo. Aveva già intestato tutti i suoi beni a nome di mia madre . Pian gemmo. Papà non poteva più vivere in casa. Aveva affittato nelle vicinani.e una m isera stanzetta. Il giorno dopo dovetti tornare al fronte. Qualche set timana più tardi, essi vennero a prenderlo. Nè il divorzio di mia madre, nè il fatto che io combattessi con le Waffen SS servirono a salvarlo. Fu deportato con altri ebrei. Questo è tutto quello ch e seppi. A quel tempo ci trovavamo nella zona di Leningrado. Circolava la voce ch e venissero giustiziati molti civili, soprattutto e brei. Io non ci cred e vo perchè non volevo crederci. Senza dubbio quella gente erano spie, o sabotatori, o partigiani, come ci era stato detto. Forse fra loro c'erano anche degli ebrei, ma non venivano giustiziati perchè erano ebrei. Questa era la versione ufficiale e io l'accettai. Lei sa come andavano le cose, H err Wiesenthal. Se non si voleva credere a queste cose, si trovava sempre una spiegazione plausibile. »

Si rimise a sedere. « Forse ci crederei an cora oggi, se non fossi stato ferito e non mi avessero mandato al più vicin o ospedale dell e SS. Mi sistemarono mol to bene: eravamo solo in tre in una stanza. Gli altri due degenti erano delle SS che avevano prestato servizio in un campo di concentramento. Mi dissero quello che era accaduto

agli ebrei nel loro campo. Non mi dissero tutto ... ma abbastanza da togliermi il sonno. Di là fui trasferito al gr05S0 centro ospedaliero di Riga, in Lettonia. Stavo in una stanzetta con un'altra SS che era stata colpita da un collasso nervoso. Mi disse che dopo essere andato avanti per settimane ad uccidere donne e bambini aveva avuto un collasso. Non aveva resistito più. Gli avevano detto che lo avrebbero fucilato se avesse fiatato... ma lui non poteva fare a meno di parlarne con qualcuno.

« Così ora sapevo tutta la verità. Era impossibile evitarla. Disteso nel mio letto, pensavo al babbo che avevo sempre amato. Mi tornarono alla mente tante cose, piccoli parti colari: quando la domenica matdna mi portava a fare una passeggiata e poi andavamo in una Konditorei e lui mi comprava dei dolci, ma mi diceva di non dire nulla alla mamma, perchè si sarebbe arrabbiata se fossi tornato a casa a mezzogiorno senza appetito e non avessi mangiato il pranzo che aveva preparato. Eravamo come due cospiratori. Non c'era nie~te che papà non avrebbe fatto per me. E io ero diventato un membro delle Waffen SS, le truppe scelte del Filhrer, e non potevo far nulla per aiutare mio padre. Non sapevo nemmeno dove lo avessero portato, se fosse ammalato... Non riuscivo a seguire i miei pensieri fino in fondo. Sapevo che doveva trovarsi in uno di quei campi di concentramento, ma non volevo sapere in quale. Pregavo Dio di non farmelo mai sapere. »

Si alzò, si avvicinò alla finestra e guwdò fuori. Avrebbe guardato qualsiasi cosa, pur di non dover guardare me o chiunque altro.

« Non appena mi dimisero dall'ospedale, feci domanda per tornare in prima linea. Mi dissero che ero matto. Avevo diritto a prestare un servizio più comodo nelle retrovie. Dissi di no, che volevo tornare al mio reparto. Quando fui al fronte, ,chiesi di andare volontario in servizio di pattuglia. Alla prima occasione mi feci catturare dai russi. Non potevo più combattere a fianco di quella gente. »

Si voltò e mi guardò. « Penso che qualcuno mi disprezzerebbe per questo. Forse ho sbagliato tutto. »

Aspettava che gli dicessi qualcosa. Era un ebreo che era diventato una SS. Aveva portato sul bavero deJ.la divisa il simbolo dei massacratori del suo popolo. Che cosa potevo dire? Che cosa poteva dire chiunque altro?

Annuì come se si fosse aspettato quel mio silenzio.

« Passai sei anni in vari campi di prigionia russi. Mi tenni chiuso dentro il mio segreto. Alla fine, nel 1955, tornai in Austria. Mia madre era morta. Papà era scomparso, < deportato all'Est>, insieme

·.> .. . -
...

con ·milioni di altri ebrei. A Vienna c'era rimasto solo mio <zio>.»

La voce gli si era fatta dura. « Voleva aiutarmi. Mi disse di andare a stare per un po' con la sua famiglia. Ma io non volli andarci. Non volevo nemmeno parl are con lui. Mi sentivo tutto vuoto dentro, come se ogni sentimento mi si fosse inaridito nel cuore. Lo zio Franz cercò di farmi capire che lui ed io avevamo fatto tutto per il meglio. Non eravamo riusci t i a salvare mio padre, ma non era colpa nostra. Se non altro, io mi ero salvato. Se non mi aves">ero arianizzato, sarei morto anc h 'io.

« Risposi che forse sarebbe stato meglio se fossi morto. Che senso aveva la vita? Non avevo imparato niente e non avevo nessuna speranza. .. Le dispiacerebbe darmi un'altra sigaretta, per favore? »

Si accese fa sigaretta con mani tremanti. Dissi alla mia segretaria che non volevo essere disturbato, mi alzai e lo invitai a sedere accanto a me sul sofà.

« Lei ha capi to perchè sono venuto a trovarla,» disse. « lo non appartengo a nulla. Sono una SS? Sono un ebreo? Sono uno Hal.bjude? Appartengo ai persecutori o sono uno dei perseguitati?»

« Se la sua storia è vera - e non ho alcuna ragione per dubitarne - allora lei è uno di quelli che furono perseguitati. Come molti di noi, ha perduto i genitori. Ha cercato di salvare suo padre.. . »

Scosse il capo. « Non serve a niente. Per gli ebrei, io rimarrò una dannata SS. P er gli altri, sarò sempre uno sporco ebreo. Se dico la verità, sarò l'eterno nemico, il cattivo. »

Si alzò di scatto. « L e dirò per.chè sono venuto a trovarla, Herr Wiesenthal. lo mi sento ebreo. P er me, per lei, sono un ebreo. Ma per il mondo potrei rimanere una SS e aiutarla nel suo lavoro. No... non m'interrompa. Ho discusso la questione c on lo zio Franz. Gli ho detto che avevo ,letto d el lavoro che lei sta fac endo e che sa.rei venuto ad offrirle il mio aiuto. Lui ha capito ed è stato subito d'accordo con me. Questa è la sola cosa c he sento di poter fare e in cui potrei essere di qualche utilità. »

Io non dissi nulla.

« Non si fida di me? Lo so che è difficile credere a una stori a così fantastica. Comunque le ho ,portato tutte le informazioni che mi riguardano. È tutto qui, a comin ciare dal nome del mio nonno ebreo per finire con la data della deportazione di mio padre e col mio ritorno dall'Unione Sovietica.» E così dicendo mi porse due fogli dattiloscritti.

« Lei può controllare tutti i particolari. Mandi i suoi uomini alla polizia... dove vuole. Sono disposto a pagare per le indagini. Poi,

quando sarà convinto che le ho detto la verità, mi scriva. Ecco il mio indirizzo. Io voglio lavorare per lei. Per me, sarà come pagare una minima parte dell'interesse su un debito enorme. Un pagamento simbolico, ma pur sempre un pagamento. »

Gli chiesi quale fosse la sua professione.

« Faccio il commesso viaggiatore. Il mio lavoro mi porta a girare per tutta l'Austria e la Germania e in seguito andrò anche in altre parti d'Europa. Non sono sposato. Come vede, potrei esserle utile. »

Due settimane più tardi, era di nuovo seduto davanti a me. Gli dissi che avevamo controllato tutto.

« Come del resto immaginavo, . lei mi ha detto la verità. Nessuno si sarebbe servito dei genitori morti per imbrogliar.mi. »

Con una sfumatura d'ironia, mi chiese: « Nemmeno una SS? »

« Spero di no. Ma ora devo dirle qualcosa che lei non sa. Ho fatto dell e indagini sulla deportazione di suo padre. Il convoglio al quale venne aggregato fu mandato a Riga ... Sì, è molto probabile che egli fosse là o nelle vicinanze mentre lei era ricoverato in ospedale.» ·

Questa notizia lo lasciò di sasso. Forse si rivedeva in quella stanza d'ospedale a Riga, accanto a quella SS che aveva avuto un collasso per aver ucciso troppa gente.

Inghiottì la saliva e disse: « Herr Wiesenthal, cominciamo... più presto è, meglio è. De vo fare qualcosa per lei o diventerò matto. »

Gli mostrai i nostri archivi e gli dissi come svolgevamo le nostre indagini. Quale membro di una SS I<.ameradschaft (associazione di veterani), non avrebbe avuto bisogno di fingere; avrebbe dovuto solo continuare a recitare per un altro po' la parte che aveva recitato durante la guerra. Le sue credenziali erano di prim'ordine e tutto andò bene. Venne accolto dai Kameraden che lo rispettarono per le sue idee « radicali » e divenne in breve uno di loro. Era un « buon tedesco » ... e questo per loro significava un cattivo tedesco ch e era rimasto cattivo.

Alex ed io non ci siamo mai incontrati in pubblico. Nelle sue comunicazioni mi chiama « Felix ». Ci incontriamo dove siamo sicuri di non essere visti da altri. Ha preso l'abitudine di leggere tutti i libri sulla seconda guerra mondiale e sul regime nazista che gli capitino per le mani. Spesso vede le cose con gli occhi d ell'uomo che è stato « dall'altra parte». Talvolta discutiamo un caso da entrambi i punti di vista e alla fine lo vediamo nella prospettiva giusta.

Un giorno mi disse: « Vorrei essere di nuovo un ebreo. Ufficialmente, di fronte al mondo. t quello il mio posto. >>

Io non fui sorpreso. Di~i che sì, che apparteneva a noi e che lo aveva dimostrato. Ma gli dis.si anche che avrebbe potuto fare di ·più per noi, almeno per qualche tempo ancora, se fosse rimasto « uno di loro ».

« Mi piacerebbe and are a vivere in I sraele. Là potrei davvero dimenticare il passato. »

« Hai pensato, Alex, a quelli laggiù che sono incapaci di dimenticare il passato? Un giorno potresti commettere uno sbaglio e raccontare che cosa sei stato. Essi non ti capirebbero. Io non voglio che tu sia di nuovo ferito ... sebbene per una diversa ragione. »

Restammo d'accordo di rinviare la decisione. Alex è ancor oggi un() dei miei più validi aiutanti Fino a che punto egli reciti bene la sua parte, lo scoprii qualche tempo fa. Venni informato ch e alcune SS di un capoluogo di provincia del!' Austria erano state sentite esprimere minacce di morte nei miei confronti. Passai l'informazione alla polizia di Stato austriaca, che mise subito al lavoro un paio di agenti. Dal canto mio, chiesi ad Alex di fare delle indagini.

Due settimane più tardi, il capo della poli zia di Stato mi mostrò il rapporto dei suoi uomini. Costoro si erano infiltrati nella Kameradschaft della ci ttà in questione e avevano assistito a parecchie riunioni. Il rapporto diceva che la SS più pericolosa era un certo X.Y., un uomo alto, con gli occhi grigio-azzurri e i capelli biondor ossicci, che aveva fatto parte delle Waffen SS; di mestiere faceva il commesso viaggiatore e veniva definito nel rapporto « uno di qu egli estremisti incorreggibili che è opportun o sorvegliare attentamente.»

Naturalmente, si trattava di Alex.

Alex ebbe una parte importante nel caso di Kurt Wiese. Tutto cominciò improvvisamente una sera agli inizi di l uglio del 1964. Stavo ascoltando il giornale radio, quando alla fine della trasmissione ci fu una breve pausa. Poi l'annunciatore tedesco disse, con il solito tono di voce impersonale: « Signore e signori, una importante comunicazione della polizia di Colonia: Kurt Wiese, accusato di crimini di guerra, è fuggito dall'appartamento di Colonia dove ha abitato negli ultimi due anni. Arrestato, era stato rilasciato dietro cauzione in attesa del processo. Aveva ricevuto l'ordine di presentarsi ogni tre giorni all'ufficio del pubblico ministero. Poichè da una settimana non si era fatto vivo, degli agenti investigativi andarono a cercarlo, ma vennero a sapere che Wiese non era stato più visto da diversi giorni... »

Non c'era alcuna partecipazione nel tono di voce profes.5ionalmente freddo dell'annunciatore che chiedeva agli ascoltatori « di comunicare ogni informazione utile » all'ufficio del pubblico ministe ro di Colonia o al più vicino posto di polizia.

Spensi la radio. Un altro criminale nazista era fuggito. Ma a chi interessava? Diversi erano già fuggiti negli ultimi mesi. La maggior parte degli ascoltatori dimenticavano il nome del fuggiasco non appena spegnevano i loro apparecchi radio. Nes.5uno di loro aveva mai sentito parlare di Kurt Wiese, un oscuro operaio delle locali officine automobilistiche Ford.

Mi era capitato spesso di leggere il nome di Wiese nel dossier del nootro Centro di Documentazione. Sapevo che era accusato di avere ucciso, nel 1942 e nel 1943, a Grodno e a Bialystok in Polonia, per lo meno duecento persone, fra cui ottanta bambini ebrei. Wicse era stato arrestato a Colonia nel 1963. Inesplicabilmente, era stato rilasciato qualche mese più tardi dietro versamento di una cauzione di 4000 marchi. Un giornale tedesco calcolò che oiò equivaleva a « venti marchi di cauzione per ogni delitto».

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CAPITOLO VI IL TRENO PARTE FRA TRE MINUTI
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Il I 3 luglio 1 964, scrissi una lettera alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, protestando cont ro la frequenza con la quale i criminali di guerra venivano rilasciati dietro cauzione e deplorando la facilità con cui molti di essi erano riusciti a fuggire.

Grodno e Bialystok erano state occupate, dopo che Wiese vi aveva commesso i suoi delitti, dai sovietici. ·In occasione di una conferenza stampa a Vienna, parlai con Vladimir Gawilewski, capo ufficio deli'agenzia di informazioni sovi etica Tass. Gawilewski mi promise di scrivere nell'Unione Sovietica per farsi mandare tutto il materiale disponibile su Wiese. Quando, qualche tempo dopo, mi portò tutta la documentazione, mi disse : « So che lei se ne servirà. Se la dessi ai tedeschi occidentali, si limiterebbero a seppellirla nei loro archivi. » In realtà, io passai più tardi il materiale alle autorità tedesche. Per quanto ne so, quella fu la prima volta che i sovietici cooperarono con gli occidentali in un caso del genere.

La documentazione sovietica conteneva un elen co dei crimini di Wiese con i nomi dei testimoni e le relative deposizioni. In breve, nell'estate del 1942 Wiese aveva ucciso un uomo di nome Slep che aveva cercato di uscire dal ghetto senza autorizzazione. Aveva sparato a una donna di nome Adassa Kletzel, che aveva « cercato di introdurre un pezzo di pane nel ghetto». Nel novembre del 1942, « impiccò con le proprie mani una donna di nome Prooski e due uomini di nome Schindler e Drukker ». In seguito, aggiungeva la relazione, aveva sparato a una ragazza, il cui nome era rimasto sconosciuto, che si era resa coLpevole ai suoi occhi di « aver giocato con un gatto ».

Quando nel febbraio del 1 943 il ghetto n. I di Grodno venne eliminato, Wiese e altri membri della Gestapo fucilarono tutto il personale dell'ospedale del ghetto, circa quaranta persone. Il procuratore capo della Reptù>blica Sovietica Socialista Bielorussa mi informò che i testimoni principali, certi Zhukovski e Klowski, avrebbero avuto il ,permesso di venire in Germania per deporre contro Wiese. Per quan to mi constava, era questo il primo caso in cui veniva accordato un permesso del genere.

Secondo le nostre informazioni, nel dicembre 1942, all'ingresso del ghetto n. 1 Wiese aveva ucciso altri venti ebrei a raffiche di mitra. Al fatto era st a to presente il comandante del ghetto n. 2, una SS di nome Streblow. Durante la sparatoria, Wiese aveva ferito una delle guardie ebree del ghetto, che era fuggita via ed era poi crollata a terra nel cortile di una casa vicina. Wiese inseguì il disgraziato, lo vide steso al suolo e gli sparò alla testa.

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Nel gennaio 1943, Wiese fermò un gruppo di lavoratori vicino all'ingresro del ghetto e li perquisì. Uno di costoro aveva indosso un pezzo di pane bianco e Wiese gli sparò sul posto. Tre giorni dopo perquisì un uomo di nome Kimche, nelle cui tasche trovò un pezzo di carne. Portò l'infelice nel posto di guardia e lo uccise. Nel febbraio 1943, Wiese aveva avuto molto da fare con la espulsione forzata da Grodno degli ultimi ebrei.

Ma la lista dei misfatti non è completa. Sulle attività di Wiese dopo il 1943 si sta ancora investigando.

Non so esattamente che cosa mi fece pensare che Wiese fosse scappato in Austria. Era solo un'intuizione, ma onnai ho imparato a fidarmi delle mie intuizioni, che si sono rivelate altrettanto utili quanto la ricerca paziente di indizi e di testimoni a distanza di venti anni, o quanto i più meticolosi procedimenti deduttivi. Molte unità SS stanziate nella zona di Grodno erano formate da austriaci e tedeschi. Pensai che Wiese avrebbe cercato di entrare in Austria e di mettersi in contatto con alcuni dei suoi ex camerati, che avrebbero potuto aiutar-lo, nasconderlo e in seguiito mandarlo in un paese « sicuro», nel Sud-America o nel Vicino .Oriente. ·

Telefonai ad Alex. In Germania e in Austria la Kameradschaft delle SS dispone di organizzazioni locali in tutte le grandi città e in molte delle città più piccole. I membri s'incontrano spesso in modeste locande o in squallide birrerie. (Possediamo una lista completa di questi luoghi per quello che riguarda l'Austria.) Gli incontri sono caratterizzati da un rituale segreto, come se si trattasse di un gioco da ragazzi. Spesso i membri dell'associazione si riuniscono nella Extrazimmer (saletta interna) sotto la benevola protezione dell'oste che tiene lontani i profani. Talora c'è un cameriere che monta la guardia; non so per quale motivo, moltissimi camerieri sono dei simpatizzanti nazisti. In certi luoghi un pianista intrattiene gli ignari clienti nella sala principale con un pot-pourri di valzer. Se un estraneo si avvicina alla zona riservata, il pianista dà l'allarme ai camerati suonando un motivo prestabilito.

Queste cerimonie da società segreta di solito non portano a nulla, perchè i camerati, il più delle volte, si limitano a ricordare il loro meraviglioso passato, a leggere dei volantini stampati alla macchia in Austria e in Germania, e a sperare in un glorioso futuro nazista. La maggior parte di loro sono dei tipi patetici, uomini invecchiati prima del tempo, che bevono una grande quantità di birra e parlano un gergo ormai fuori moda come il linguaggio truculento di Hitler. Ma sono bene organizzati, e i loro gruppi sono sempre pronti

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a nascondere i fuggiaschi e ad avviarli verso lidi più sicuri. Hanno aderenti dappertutto e probabilmente anche una specie di codice. Sono sicuri di essere pronti per Der T ag, « il Giorno », se e quando verrà.

In serata Alex mi telefonò da Innsbruck. Mi fece capire con molta prudenza - non c'è mai da fidarsi dei telefoni - di ave,re avuto notizie della « merce » e mi disse che si recava a Graz, la capitale della Stiria. Innsbruck, Graz e Salisburgo sono, in Austria, le tappe preferite dei nazisti in fuga. In questa città c'è un sistema di soccorso molto bene organizzato. Salisburgo è il centro ideale in quanto si trova solo a pochi chilometri dal confine tedesco. In estate lunghe colonne di automezzi transitano in entrambe le direzioni dal valico di frontiera di Walserberg e i controlli vengono effettuati solo pro forma. I cittadini tedeschi non hanno bisogno di passaporto : è sufficiente la patente di guida e un semplice documento di identità.

La sera seguente Alex mi telefonò da Graz. Era molto aigitato.

« Uno dei Kameraden mi ha detto che è appena arrivato in città un uomo che dice di essere un ,profugo della zona sovietica della Germania. <Quando uno scappa dai sovietici, dobbiamo aiutarlo,> mi ha detto il Kamerad... Ora mi domando se non possa essexe il tipo che stiamo cercando.»

« Come è arrivato a Graz? » chiesi.

« Mi hanno detto che è passato dalla Cecoslovacchia. Aspetta di essere raggiunto dalla moglie e spera di andare con lei nella Geronania Occidentale dove hanno dei parenti. »

« C'è qualcosa che mi puzza, Alex. Se fosse passato veramente dalla Cecoslovacchia, non sarebbe giunto a Graz. Sarebbe andato a Vienna, a Linz o a Salisburgo. »

« t proprio quello che pensavo. Forse farei bene a dare un'occhiata a quel tipo. »

« Può darsi che non sia l'uomo che cerchiamo, » dissi. « Ma potrebbe essere un altro ~rsonaggio interessante. »

« Uno dei camerati lo ha ospitato per la notte. Questa mattina quel tipo ha passato un'ora con Herbert Berghe von Trips. »

« Trips! » esclamai. « Allora deve es.sere l'uomo che cerchiamo. » Non potevo spiegare per telefono ad Alex che i pezzi del rompica~ stavano cominciando ad andare a posto. Durante la guerra, Trips era stato commissario della Gestapo e ultimo comandante della prigione cli Pawiak a Varsavia. i:: ricordato - non molto onorevolmente - in « Dietro le mura di Pawiak », un resoconto sulle atrocità commesse in quella prigione scritto da un polacco di nome Leon

Wanat. Nel mio Centro di Documentazione c'era una pratica intestata a Tri,ps. E una pratica esiste anche al Ministero degli Interni austriaco.

« E dove si trova ora il nostro uomo?» chiesi.

« Un certo Hubert Zinu:nermann, » disse Alex, « che zoppka vistosamente dalla gamba destra, ha lasciato Graz circa un'ora fa. Ma io so dove... »

Sentii un clic nel telefono. Alex doveva avere riattaccato. Aspettai per un po', ma non ci fu nessuna chiamata. lo non potevo telefonargli perchè non sapevo dove foo;e.

Alex mi richiamò la matti~a dopo sul presto.

« Mi dispiace di non aver potuto fuùre il rapporto ieri sera. Stavo parlando da un albergo di Graz, ma sul più bello è entrato un K~ merad. Ora sto parlando da un posto telefonico pubblico sulla strada per Semmering. »

« Che cosa stai facendo a Semmering? » Semmering è una famosa località di montagna un centinaio di chilometri a sud di Vienna, molto frequentata dai viennesi e dai turisti stranieri. Ci sono alberghi grandi e ,piccoli, belle pas.5oggiate fra i boschi, ski.lif t e vari divertimenti.

« <Hubert Zimmermann > è sceso in un grosso albergo di Sernmering, ed è as.5Ìstito da un vecchio amico, di nome Eberhard Gabriel. Ho saputo che < Zimmermann > verrà a Vienna domani... ma non so a far cosa. »

Molto interessante, pensai. L'SS-Standartenfilhrer (colonnello) H erbert Zimmermann era stato il superiore sia di Wiese che di Trips durante la guerra. In seguito seppi che aveva chiesto a Wiese di ringraziare Trips, il quale in Germania era stato chiamato a deporre sul suo ex comandante e non aveva incriminato Zimmennann attenendosi al motto delle SS « Il mio onore è la fedeltà ». L'SS-Standartenfilhrer Zimmermann, incriminato in Germania, si suicidò nel gennaio 1 966.)

ì. facile cambiare in un documento il nome di « Herbert » in quello di « Hubert ». Il mio primo pensiero fu perciò che Zimmermann avesse dato a Wiese la sua carta d'identità, ma in seguito un magistrato tedesco mi disse: « Til'lvolta i nazisti commettono degli sbagli, ma in questo oaso fu una pura coincidenza che Wiese avesse dei documenti intestati al nome di Zimmermann. Non erano i documenti di Herbert Zimmermann. Forse la spiegazione è che gli piaceva quel nome. »

Ma non fu per pura coincidenza che Wiese andò ad alloggiare

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in quell'albergo di Semmering, dove una SS di nome Eberhard Gabriel lavorava come portiere di notte. Gabriel conosce ogni sorta di persone. Ed è anche benvoluto dai clienti ebrei dell'albergo.

Alex mi telefonò di nuovo il giorno successivo da Semmering. Trips era venuto a prelevare « Zimmermann » con l'automobile ed entrambi erano partiti per Vienna. Telefonai al Ministero degli Interni e mi informai dal dottor Josef Wiesiinger se le autorità tedesche avessero chiesto agli austriaci di ricercare ·Wiese. Nessuna richiesta del genere era pervenuta al Ministero; nessun mandato di arresto a ·carico di Wiese era arrivato a Vienna. Fornii al dottor Wiesinger la descrizione di Zimmermann-Wiese che avevo ricevuto da A}ex. Wiese era alto, sulJa cinquantina, indossava un abito grigio scuro e portava occhiali. Zoppicava dalla gamba destra a causa di una ferita riportata in guerra. Avrebbe dovuto essere facile riconoscerlo.

Nei giorni seguenti, « Zimmermann » rimase a Semmering ma fece tre gite a Vienna dove riuscì sem pre a fiar perdere le sue tracce. Pensai c he s'incontrasse con dei camerati e forse che cercasse di procurarsi del denaro e un visto per emigrare in un paese sicuro.

NeHe prime ore di martedì 21 luglio, una giornata calda e umida, Alex mi chiamò da Semmering. Aveva bisogno di vedermi subito.

Quando arrivai in auto, trovai Alex che mi aspettava impaziente.

« Dobbiamo lavorare alla svelta, altrimenti Wiese ci sfuggirà per sempre. È andato per due· volte all'ambasciata egiziana di Vienna. Sembra che abbia un passaporto rubato. Ha avuto delle difficoltà con i funzionari egiziani che non volevano rilasciargli un visto a Vienna. Non vogliono nemmeno che prenda a Vienna un aereo per Il Cairo. Gli hanno consigliato invece di andare in treno a Belgrado e poi <li presentarsi all'ambasciata egiziana in quella città. Ci sono voli frequenti da Belgrado al Cairo. Così questo ·è il piano. Wiese pensa di partire oggi ·pomeriggio alle 16,05 da Semmering con l'espresso di Graz. Da Graz è facile raggiungere Belgrado.»

Erano ormai le dieci passate. Ci rimaillevano menò di sei ore per fare arrestare Wiese. Se riusciva a lasciare l'Austria, sarebbe andato a raggiungere in Egitto gli altri criminali nazisti che sono stati incriminati per genocidio, ma che non possono essere processati. L'Egitto non concede l'estradizione.

Dis& ad Alex di tornare a Semmering e di tener d'occhio Wiese. lo tornai di volata a Vienna e telefonai al dottor Josef Wiesinger, al Ministero degli Interni. Gli dissi che Kurt Wiese si trovava in un certo albergo di Semmering sotto il nome di « Hubert Zimmermann », che aveva un passaporto falso, che gli era stato promesso

un visto per l'Egitto e che avrebbe preso l'espresso del pomeriggio diretto a Graz.

Wiesinger non si volle compromet:tere. « Prima che io possa agire, dovrò avere la descrizione del ricercato dalle autorità tedesche, in modo che i miei funzionari possano confrontarla con la sua descrizione. Cerchi di farmi avere subito questa informazione.»

Feci una chiamata urgente per il Bundeskrimina/,amt (Ufficio Criminale Federale) di Wiesbaden. Chiesi di parlare con il funzionario che si occupava del caso Wiese, gli dissi quello che era successo e gli chiesi di darmi la esatta descrizione ufficiale del fuggiasco.

Il mio interlocutore di Wiesbaden esitò. Non aveva sottomano la pratica Wiese. Inoltre non era autorizzato a fornire informazioni « a priv~ti o ad organizzazioni non riconoociute ». Ancora una volta, non avendo una veste ufficiale, mi trovavo a cozzare contro ostacoli di questo genere.

« In questo momento sono le 12 ,30, » gli dissi. « Se aspettiamo altre tre ore, non prenderemo mai più Wiese. Voi avete sp iccato un mandato d'arresto, non è così? Non può leggermi i connotati del ricercato? »

« Non posso farlo, signor Wiesenthal. Cercherò di passare i connotati all'Interpol austriaca. »

«Ma ... »

« Mi dispiace, ma questa è l'unica via da seguire . »

Richiamai il Ministero degli Interni austriaco e chiesi a Wiesinger · di telefonare a Colonia, dove senza dubbio avrebbero potuto fornirgli una descrizione uffi ciale del ricercato. Un impie gato di Wiesinger telefonò a Colonia, ma dopo una lunga attesa si sentì dire che il procuratore di Stato non era in ufficio. Ch iamarono il magistrato della vicina Doctmund, ma non riuscirnno a t.rovarlo. Wiese aveva tutte le fortune. Erano quasi ie tre. C'era rimasta solo un'ora per poterlo arrestare.

Ritelefonai al dottor Wiesinger. « Se lei non manda subito i suoi uomini a Semme,ring, sarà troppo tardi. Un uomo accusato di genocidi o è sul punto di fuggire per sempre. »

« Lo so, » mi rispose, « ma non posso arrestare un tizio che ha una regolare carta d'identità tedesca intestata al nome di Zimmermann solo pcrchè lei afferma che costui non si chiama Zirn:mennann ma Wiese. La persona in questione non ha commesso alcun reato, secondo le leggi austriache. Due miei uomin i sono in stato di allarme. Non appena riceveremo un a comunicazione dalla Germania, passeremo all'azione, sem pre che le sue informazioni vengano confermate.»

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Non m1 nmaneva altro da fare che aspettare. Anche se i poliziotti fos.sero partiti in quel momento da Vienna, non ce l'avrebbero fatta a raggrungere Semmering in tempo.

Alle 1 5, 1 8 il telefono squillò nel mio ufficio. Quando sentii la voce di Wiesinger, quasi cascai dalla sedia.

« L'Interpol mi ha telefonato subito dopo la sua chiamata. La sua informazione era giusta: quell'uomo è Wiese. Ho mandato due funzionari a Semmering su un'auto della polizia con sirena e hanno buone probabilità di arrivare in tempo. »

Guardai l'orologio. « Sono le quindici e venti. »

« Ho detto ai miei uomini di salire in treno senza farsi notare. Non vogliamo che ci sia troppa confusione alla stazione di Semmeri:ng... La richiamerò quando saprò qualche cosa. »

L'ora che segui fu interminabile. Alle sedici e venticinque, Wiesinger telefonò. I suoi uomini avevano aITestato Kurt \Viese.

Alex tornò a Vienna quel pomeriggio e mi raccontò ciò che era accaduto. Si era trattenuto nell'atrio dell'albergo, e poi aveva seguì,to Wiese e Gabriel alla stazione di Semmering.

« Arrivò il treno da Vienna. Può immaginare come mi sentii quando vidi Wiese stringere la mano a Gabriel e salire sul treno. Sapevo che il treno sarebbe partito di B a tre minuti. Ero sul pµnto di salire anch'io e magari fare qualche sciocchezza, quando arrivarono i due poliziotti. Il treno si stava già muovendo, ma riuscirono a saltare sull'ultima vettura. Sentii un fischio e vidi sparire il convoglio sotto il tunnel del Semrnering. »

Il resto della storia lo seppi dai due poliziotti. Aspettarono fino a che il treno non ebbe superato la galleria; quando furono vicini alla stazione successiva, Miirzzuschlag, attraversarono il convoglio fino a che arrivarono ad uno scompartimento occupato da un uomo solo. Il viaggiatore ,teneva la gamba destra tesa. Lo osservarono con oalma. A un certo momento l'uomo si a:lzò per prendere un giornale dalla reticella, e i due poliziotti si accorsero che zoppicava dalla gamba destra.

Il treno stava rallentando in prossimità di Miirzzuschlag. Allora i due agenti entrarono nello scompartimento e si fermarono davanti al viaggiatore.

« Herr Wiese, » disse uno dei poliziotti.

Lo colsero talmente di sorpresa che Wiese annuì col capo... poi scosse la testa, e d'un tratto i suoi oochi si riempirono di paura. Cercò di dire : « Io mi chiamo... »

« Saippiamo come si chiama, Herr Wiese. Lei viaggia sotto il ner

.,. '

me di Hubert Zirnmennann. Ci mostri la sua carta d'identità, per favore. »

Wiese, pallidissimo, porse loro il dooumento. Intanto il treno si era fermato.

« Lei è in arresto, HeIT Wiese, » disse · uno dei poliziotti. « Ci segua.»

Lo portarono in automobiie a Vienna; Wiese fece una completa confesmone che combaciava esattamente con le informazioni che Alex mi aveva fornito d-a Graz, dove Wiese aveva raccontato ai Kameraden la storia della sua fuga.

Da Colonia era andato in automobile fino alla città tedesca di Lindau, presso il confine austriaco. Una donna lo aveva accompagnato fin là. Wiese, da perfetto cavaliere, non rivelò alla polizia il nome di costei. Inoltre si era premurato di preparare un alibi per la sua complice. Circa cento metri prima di arrivare al confine, Wiese era sceso dall'auto portandosi ciietro la valigia.

C'era un piccolo chi06C0 con una ragazza che vendeva giornali, sigarette e dolciumi. Alex andò poi a parlare con la ragazza, che ricordava benissimo la scena.

« Sembrava nervoso quando entrò nel chiosco, » dis.se la ragazza. « Era alto, coi capelli biondo scuro, sulla cinquantina, e zoppicava vistosamente dalla gamba destra. Portava gli occhiali e indossava un abito scuro.

« Chiese un giornale. Mi parve di notare che gli tremassero le mani quando posò a terra la valigia. Pensai che forse la valigia era pesante e che lo aveva affatica..to, oppure che era nervoso perchè stava cercando di contrabbandare un ·po' di sigarette, » disse la ragazza ad Alex. « I contrabbandieri portano scritto in faccia che hanno la coscienza sporca. »

Alex annuì. Non disse alla ragazza che quehl'uomo aveva davvero la coscienza sporca... ma non perchè stesse cercando di contrabbandare sigarette.

« Quando mi pagò il giornale, notai le sue mani grosse e forti, » continuò la ragazza del chiosco. « Mi disse che voleva andare a Bregenz, dall'altra parte della frontiera, in Austria, e mi chiese se di qui passavano molte automobili. P ensai che fosse stanco morto. Gli dissi che, se aspettava un po', senza dubbio avrebbe trovato qualcuno che gli avrebbe dato un passaggio fino a Bregenz. Gli dissi che era meglio aspettare piuttosto che arrivare a piedi al posto di frontiera con quella valigia. I doganieri gli avrebbero fatto delle domande e potev,ano anche chiedergli di aprirla. Ma se stava in automobile

Tp

non lo avrebbero infastidito. Il traffico era intenso e non avevano tempo per perquisire ogni macchina.

« Mentre parlava, vidi un'auto con una targa tedesca che si avvicinava. Gli dissi di provare con quella. Mi ringraziò, prese la valigia e fermò l'auto. Al volante c'era una donna. Scambiò con lei qualche parola - probabilmente le chiese di dargli un passaggio - e vidi che la donna annuiva. Allora girò·intorno a:lla macchina, mi fece un cenno di saluto con la mano, salì e l'auto proseguì verso il confine austriaco. »

Era un bell'alibi. La ragazza del chiosco avrebbe testimoniato che Wiese aveva fermato un'auto e si era fatto dare un passaggio da una donna che presumibilmente non aveva mai visto prima. Lo stesso Wiese aveva raccontato la storia ai Kameraden di Graz, che erano stati molto colpiti da quella coraggiosa donna tedesca che aveva corso un simile rischio.

« Ci sono ancora delle tedesche come si deve, disposte ad aiutare un camerata nel bisogno,» esclamò un ex SS Fiihrer. « Non delle puttane come tutte le altre! Vi dico, Kameraden, che possiamo ancora sperare in un futuro migliore... E adesro, ancora birra. »

Vennero portati a:ltri boccali di birra, e tutti solennemente brindarono a un futuro migliore.

Wiese non rivelò il nome della donna tedesca, ma fu meno cavalleresco nei confronti dei suoi Kameraden di Graz. Fornì alla polizia austriaca i nomi di tutti coloro che lo avevano aiutato. Oggi sono tutti in stato di accusa. Ciascuno di loro si chiese . chi avesse denunciato Wiese a me. E ognuno, come ho saputo più tardi, non potè fare a meno di sospettare i suoi Kameraden.

CAPITOLO VII

L'UOMO CHE COLLEZIONAVA OCCHI AZZURRI

In Germania, la corruzione del regime nazista si insinuò in ogni ceto professionale. Purtroppo a questa norma non fecero eccezione nemmeno i medici: uomini che avevano prestato il giuramento ippocratico che li impegnava a salvare le vite umane. Il regime hitleriano si era creato una sua propria scienza medica. I medici che esercitavano nei campi di concentramento non cercavano di curare i loro pazienti, ma si comportavano in base alla teoria secondo cui il rimedio più efficace per un mal di testa è quello di tagliare la testa del paziente. Gli invalidi e chiunque altro fosse inabile al lavoro venivano mandati nelle camere a gas; i detenuti che denunciavano sintomi di malattie contagiose venivano fucilati e così pure tutti coloro che avevano avuto contatti con essi. Spesso i medici iniettavano veleno o aria nelle vene delle loro vittime. Quando un carico di prigionieri arrivava in un campo di concentramento, c'era sempre un medico presente che separava arbitrariamente quelli che avevano l'aspetto sano da quelli che non lo avevano; quelli che avevano ur,. bell'aspetto venivano messi da una parte - e ottenevano così una breve dilazione - quelli che apparivano malandati venivano ammassati da un'altra parte, e destinati al forno crematorio. Peggiò ancora, i campi di concentramento divennero degli incredibili laboratori dove scienziati folli usavano creature umane al posto di topi e cavie. Molto è stato scritto sugli esperimenti che venivano effettuati con inconcepibile cinismo non solo da medici, ma anche da chimici ed esperti delle principali industrie farmaceutiche tedesche. Ad Auschwitz c'era un « reparto sperimentale » dove i detenuti dovevano sottomettersi a prove che di solito vengono effettuate so!o sugli animali.

Dopo la guerra, conobbi un giovane ebreo il cui braccio sinistro sembrava una scacchiera multicolore. I medici di Auschwitz gli avevano applicato una sostanza su tredici centimetri quadrati di epidermide. Dopo alcuni giorni di atroci sofferenze, la pelle diventò di un co[ore blu scuro. I medici tagliarono quel pezzo di epidermide e

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gli misero un' al,tra sostanza su un altro punto del braccio. Questa volta la reazione fu giallastra e il dolore anche più acuto. Gli esperimenti andarono avanti per mesi. Quando l'infelice si (amentò per il dolore, i medici gli risposero che doveva considerarsi fortunato. « Fino a quando lavoreremo su di te, per lo meno rimarrai in vita,» gli disse un medico ridendo.

Conobbi un altro uomo che gli scienziati di Auschwitz, dopo tutta una serie di interventi operatori, erano riusciti a trasformare in donna. Quando il fatto era accaduto, lo sventurato aveva tredici anni. Dopo la guerra, con una complicat(l operazione eseguita in una clinica della Germania Occidentale, i medici ridiedero al, paziente i suoi caratteri fisici mascolini, ma non poterono restituirgli l'equilibrio emotivo. Il poveretto cominciò a bere, a mostrare tendenze criminal,i, e al,la fine fu arrestato ... il che non sorprese nessuno di coloro che conoscevano la storia. È al,to circa un metro e novanta ed ha un aspetto sano, ma la sua psiche è distrutta. I medici dicono che non tornerà più normal,e. Sempre ad Auschwitz, un gruppo di medici e di chimièi condusse delle ricerche su un sistema nuovo e più semplice di sterilizzazione. Volevano trovare « un intervento chirurgico » così semplice da poter essere eseguito anche da praticanti e da cetiusici; il nuovo sistema sarebbe stato usato sugli slavi e su altri popoli alla cui riproduzione i nazisti non avevano alcun interesse.

Non è un segreto che alcuni di questi medici esercitano ancora la medicina: in Austria, in Germania, in Egitto, in Africa e in SudAmerica. Abbiamo un dossier con i loro nomi e in qual,che caso con i loro indirizzi. Forse il peggiore di tutti è il dottor ]osef Mengele, ex medico capo di Auschwitz, che si era special,izzato in quella che egli chiamava « la scienza dei gemelli» e che cercò di creare artificialmente dei bambini con lineamenti ariani ed occhi azzurri.

Il nome del dottor Josef Mengele era conosciuto da tutti gli ex internati del campo di concentramento ed anche da coloro che non erano mai stati aid Auschwitz. :Mengele ha sulla coscienza la morte di migliaia di bambini e di adulti. Nel 1944 fu lui che decise chi, delle migliaia di ungheresi di Auschwitz, dovesse vivere o morire. Odiava soprattutto gli zingari - forse perchè lui stesso somigliava ad uno zingaro - e li fece uccidere a migliaia. Ho la testimonianza di un uomo che vide Mengele gettare un bambino vivo fra le fiammt. Un altro testimoniò che una volrta Mengele aveva ucciso personalmente con una baionetta una ragazza di quattordici anni.

Nel 1959, chiesi al mio amico Henmann Langbein, segretario gene-

raie del Comitato lnternazionaie di Auschwitz, con il quale avevo lavorato in molti casi, se per avventura conoscesse l'indirizzo di Mengele. Langbein mi disse: « Nel 1954, Mengele intentò contro la moglie una causa di divorzio a Friburgo in Brisgovia, loro ultimo luogo di residenza comune, e scambiò una fitta corrispondenza con il suo avvocato do ttor Hans Laternser. lo ebbi - ma non mi chieda come - il suo indirizzo di allora in Argentina. »

Appresi da varie fonti che negli ultimi anni il dottor Josef Mengele aveva usato i seguenti nomi falsi : H elmuth Gregor-Gregori, Fausto Rindon, José Aspiazi, Ernst Sebastian Alvez, Friedrich Ecller von Breitenbach, Walter Hasek, Heinz Stobert, Karl Geuske, Fritz Fischer, Lars Ballstroem.

Al tempo del divorzio, M engele esercitava la medi cina Buenos Aires sotto il nome di dottor Helmuth Gregor-Gregori. In seguito si era risposato con la vedova del frat ello maggiore, Karl, che era stato ucciso in guerra. Chiesi a Langbein se le autorità della Germania Occidentale avessero cercato di catturare Mengele.

« Il 5 luglio I 959, il procuratore della repubblica di Friburgo spiccò un mandato di arresto contro Mengele. In seguito il Ministero degli Esteri di Bonn rivolse ali' Argentina una richi es ta di estradizione. Gli argentini affermarono di non essere riusciti a trovare Mengele all'indirizzo indicato. Dobbiamo cercare di avere il suo ultimo indirizzo. »

Langbein avev:a conosciuto Men gele nel campo di concentramento e mi fornì una descrizione del medico: piccolo, scuro di carnagione e di capelli, con un leggero strabismo all'occhio sinistro e una fessura triangolare fra gli incisivi superiori. Era alto poco più di un metro e sessanta. « Ora ha cin quantatrè anni e sta diventando calvo, ma è sempre molto accurato nel vestire, » disse Langbein. « Ad Ausc h witz portava uniformi impeccabilmente stirate, stiv ali lucidi e guanti bianchi. »

Langbein mi raccontò che una volta Men gele si era recato nella baracca dei bambini ad Auschwitz per misurare l'altezza dei ragazzi. « Si arrabbiò qu and o scopri che molti di loro erano troppo piccoli per la loro età. Fece avvkinare ad uno ad uno i ragazzi allo stipite di una porta sul quale erano infissi dei chiodi che indi cavano le altezze per ciascun gruppo di età. Se un ragazzo non raggiungeva i l chiodo giusto, Mengele faceva un segno col frustino e la povera creatura veniva destinata alle camere a gas. Oltre mille ragazzi vennero assassinati qu ella volta. »

.Mengele, che è laureato in filosofi a (Università di Monaco), stu-

diò la Kritik der reinen V ernunft ( « Critica della ragion pura ») di Kant, e insieme digeri il ciarpame razzista del filosofo di Hitler, Alfred Rosenberg. È anche laureato in medicina (Università di Francoforte) e come medico sperimentatore sacrificò migiliaia di gemelli, rastrellati in tutta l'Europa, usando dolorose iniezioni per cercar di cambiare il colore scuro degli occhi delle sue vittime in azzurro. (Sia l'Università di Monaco che quella di Francoforte hanno privato Mengele del titolo accademico.)

Mengele sosteneva la « teoria » che gli es.5eri umani hanno dei pedigrees, come i cani. Era convinto che la sua « missione » fosse quella di creare una super-razza di « uomini noroici » dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, e che fosse suo « dovere » uccidere « gli esemplari biologicamente inferiori » . Ad Auschwitz il suo ambulatorio era impeccabilmente pulito, così come erano sterilizzate le siringhe che egli usava per iniettare acido fenico, benzina o aria che uccidevano i suoi pazienti in pochi secondi. Mengele era una perfetta SS. Era capace di sorridere alle bambine che inviava a morte. Una volta fu sentito dire davanti al forno crematorio di Auschwitz: « Qui gli ebrei entrano dalla porta ed escono dal camino. »

Al pari delle autorità della Germania Occidentale, mi rendevo conto che la cattura di Mengele avrebbe prodotto un grosoo effetto su milioni di persone quando i particolari dei suoi delitti fossero stati resi pubblici in tribunale. Il governò della Germania Occidentale mise sulla sua testa una taglia di sessantamila marchi. Dopo il suo amico Martin Bormann (100.000 marchi), Mengele è l'ex nazista che abbia la più grossa taglia sul capo.

Dopo aver parlato con Langbein, mi misi in contatto con un amico di Buenos Aires al quale fornii gli ultimi due indirizzi noti del dottore. Il 30 dicembre 1959, il mio informatore di Buenos Aires, dietro mia richiesta, notificò all'ambasciata tedesca in Argentina che Mengele abitava, sotto il suo vero nome, a Vertiz 968, Olivos, FCNGBM. Evidentemente, non riteneva più necessario di nascondere la sua vera identità.

Fornii questa notizia a Langbein, che telefonò subito al procuratore di Stato di Friburgo. Vennero scambiati documenti e pratiche fra le ambasciate, i Ministeri degli Esteri, i Ministeri della Giustizia e l'ufficio del procuratore. Agli inizi di gennaio del 1 960, venne inviata per cablo da Bonn a Buenos Aires una richiesta ufficiale urgente, la seconda, per l'estradizione di Mengele. Alcune settimane più tardi, l'ambasciata tedesca venne informata che il procurador de la naci6n argentino avrebbe potuto sollevare l'obiezione che i reati com-

mes.,i da Mengele potevano essere considerati « politici » anzichè « comuni ». Molti paesi, soprattutto nell'America Latina, non concedono l'estradizione per reati politici. Le autorità argentine, sebbene ammettessero che le prove contro Mengele erano schiaccianti, non riuscivano a superare quell'atteggiamento psicologico che rende l'estradizione quasi impos.sibile in tutto il Sud-America.

Per tradizione in molti paesi latino-americani il concetto di asilo poli ti co è profondamente radicato. La situazione politica in questi paesi cambia spesso bruscamen te. I capi politici si vedono così costretti di solito a mettere in salvo la loro vita chiedendo asilo politico all'ambasciata di un altro paese latino-americano. Molti esponenti politici sono convinti che, accogliendo le richieste di estradizione dei criminali nazisti, finirebbero per creare un pericoloso precedent e. Raramente i paesi sudamericani concedono l'estradizione per i delinquenti, anche se si tratta di assassini. L' « ospite » è sempre protetto. In certi Stati basta aver SÒggiomato anche solo per due giorni nel paese per non essere estradati. Il caso di Mengel e non significa che nel Sud-America esista una diffusa simpatia per i nazisti, ma piuttosto che vi è una diffusa antipatia per l'estradizione.

Nel frattempo Mengele era stato informat o dai suoi parenti in Germania che un mandato d'arresto era stato spiccato contro di lui a Friburgo. Nel maggio 1959, otto settimane prima che l'atto d'accusa di Friburgo venisse pubblicato, Mengele andò in Paraguay, dove si era fatto degli amici durante una precedente visita. Uno di questi amici era il barone Alexander von Eckstein, un russo baltico che si di ceva fosse intimo del presidente del Paraguay, generale Alfredo Stroessner, di origine tedesca. Eckstein si diede da fare affinchè Mengele venisse naturalizzato cittadino del Paraguay. Eckstein e un altro testimone, un uomo d'affari tedesco di nome Werner Jun g, dichiararono - falsamente - che Mengel e aveva soggiornato in Paraguay per cinque anni, come richiedono le leggi locali sulla naturalizzazione. Questo episodio ebbe una conferma nel 1961, quando Eckstein tornò in Germania e fu interrogato sotto giuramento dal procuratore di Stato Hans Kiigler a Fmncofort e. Sulla base di questa falsa testimonianza, « José Mengele » ottenne la cittadinanza paraguayana il 27 novembre 1959, con decreto governativo n. 809.

Pochi giorni dopo la sua naturalizzazione, Mengele tornò in Ar- · gentina, dove venne a sape re che il governo della Germania Occidentale aveva inoltrato una seconda richiesta urgente di estradizione. A Buenos Aires, la faccenda era nelle mani del procurador de la naci6n, che no n prese alcuna iniziativa e nei sei mesi successivi non

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dimostrò di volerne prendere. Evidentemente r Argentina intendeva rimanere passiva, come lo era stata nel caso di Adolf Eichmann. Posso rivelare qui che, se l'Argentina avesse estradato Mengele all'inizio del 1960, non vi sarebbe stato, nel maggio di quello stesso anno, il rapimento di Eichmann.

Mengele non era troppo sicuro che il suo passaporto paraguayano, nuovo di zecca, sarebbe valso a proteggerlo. Pensò che per -lui sarebbe stato meglio lasciare Buenos Aires. Andò così a Bariloche, una bella località nella zona dei laghi andini, dove molt i ex nazisti possiedono eleganti ville e grandi tenute. Bariloche è abbastanza vicina alla frontiera del Cile, che è un altro rifugio preferito da molti ex nazisti.

A Bariloche capitò un misterioso incidente. Non posso rivelare la fonte delle mie informazioni, ma posso garantire circa la loro attendibilità. A quel tempo, fra i turisti di passaggio a Bariloche ci fu una certa signorina Nora Eldoc, proveniente da Israele, che si era recata laggiù a trovare la madre. Le due donne erano state ad Auschwitz, dove la signorina Eldoc era stata sterilizzat?, dal d ottor Mengele. Fu una pura coincidenza che la signorina arrivasse a Bariloche nello stesso periodo in cui vi si trovava Mengele. La signorina .F;ldoc aveva allora quarantotto anni, era ancora piacente e aveva molti amici a Bariloche. Una sera, nella sala da ballo di un albergo, ella si trovò improvvisamente faccia a faccia con Mengele. H riapporto della polizia locale non precisa se Mengele la riconoscesse. Mengele aveva « curato » migliaia di donne ad Auschwitz. Sicuramente, però, egli dovette notare il numero tatuato sull'avambraccio sinistro della donna. Per qualche secondo, la vittima e il torturatore si fissarono in silenzio. Non venne pronunciata una parola, come affermarono in seguito dei testimoni oculari, ma la signorina Eldoc si voltò e lasciò la sala.

Qualche giorno dopo, la si.,gnorina Eldoc non tornò da una escursione in montagna. Venne avvertita la polizia. Diverse settimane più tardi, vicino a un crepaccio, fu scoperto il cadavere sfigurato della signorina Eldoc. La polizia fece le solite indagini e attribuì la morte della signorina Eldoc a una disgrazia.

Dopo il rapimento di Eichmann, il governo argentino presentò una vibrata protesta affermando che, se fosse stato richiesto, avrebbe consegnato volontariamente Eichmann. Poichè una tale affermazione pareva, a dir poco, dubbia, informai le agenzie di stampa e i principali giornali del mondo di quello che era accaduto nel caso di Menge-

le. Queste rivelazioni dovettero convincere certa gente a Buenos Aires che bisognava fare qualcosa a proposito di Mengele. Così nel giugno 1960 le autorità argentine spiccarono contro di lui un mandato di arresto; ma era ormai troppo tardi, perchè il giorno stesso della cattura di Eichmann ii dottor Mengele aveva attraversato il confine brasiliano ed era sparito ancora una volta. Non per molto, tuttavia. Un giorno di aprile del 1961, ricevetti la visita di un uomo che chiamerò Johann T. J ohann è un anziano tedesco che a suo telmpo fece parte del partito nazista e che an cora si mantiene in contatto con gli ex Kameraden. Tuttavia Johann , che conosco dalla fine della guerra, in più di una occasione mi ha dato informazioni che si sono mostrate precise ed utili. So che Johann non mi aiuta per un senso di colpa o perchè voglia riparare in qualche modo ai delitti commessi dal regime nazista. Non ama particolarmen te gli ebrei, ma è un uomo di carattere. Sebbene sia ancora un ardente nazionalista, il suo atteggiamento nei confronti dei nazisti ha una ragione strettamente personale. Nel 1942 sua nipote Linda, una graziosa ragazza bionda con gli occhi azzurri, venne portata, contro la sua volontà, in un cosidd ett o castello Lebcnsborn - un cent ro nazista di riproduzione dove giovani ariani, maschi e femmine ,, venivano accoppiati allo scopo di produrre degli individui super-ariani - proprio la specie di posto che avrebbe potuto inventare il dottor Mengcle. Linda diede alla foce un figlio di c ui non fu in grado di identificare il padre, che avrebbe potuto essere uno qualunque della decina di giovani SS che si erano accoppiati con lei secondo il programma stabilito. Johann non digerì mai questo insulto alla dignità umana. Una volta mi disse che non avrebbe mai smesso di odiare i nazisti per le loro perverse teorie razziali. Qu a ndo venne a trovarmi nel 1961, erano anni che non ci vedevamo. I suoi capelli e r ano imbiancati, ma i suoi sentimenti erano rimasti gli stess i.

« H o buone notizie per lei, » disse. « So d ove si trova Mengele. Spero che riuscirà ad acchiapparlo. Il suo processo aprirebbe gli occhi a molta gente. » Mi guardò. « La settimana scorsa ho in contrato due tedeschi, uno dei quali è una mia vecchia conoscenza. Erano appena tornati dall ' E gitto dov e, qualche settimana fa, avevano visto Mengele. » ·

« Per quanto ne so, J ohann, » dissi, « Mengel e si trova ancora in Sud-America. »

« C'era, ma è partito il mese scorso. Sembra che cominciasse ad esse re preoccu pato. Aveva il sospetto di ess ere pedinato da agenti israeliani. » J ohann mi strizzò un occhio. « Forse era vero, o forse

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si trattava solo della coscienza sporca. Non mi meraviglierei se avesse perso la calma dopo la cattura di Eichmann. Comunque, decise che Il Cairo sarebbe stato un posto più sicuro per luL »

« E gli egiziani che cosa ne pensano? »

« Gli hanno dato una doccia fredda. Nasser vuole stare in buoni rapporti sia con gli Stati Uniti che con l'Unione Sovietica. Forse si è preoccupato della pubblicità sfavorevole che si sarebbe fatta se si fosse venuti a sapere che l'Egitto aveva ospitato un uomo come Mengele. Sta di fatto che gli egiziani consigliarono Mengele a lasciare il paese il più presto possibile. Il gruppo tedesco in Egitto, che è capeggiato ad Alessandria dall'ex Obersturmbannfuhrer Schwarz, il quale si occupa di queste delicate operazioni, affittò un battello e trasportò Mengele e sua moglie nell'isola greca di Kythnos. Si tratta di un'isoletta presso Creta, situata in posizione ideale perchè non è collegata da un regolare servizio di battelli. »

« Mengele rimarrà .li?»

« I tedeschi hanno promesso a lui e alla moglie di portarli via dall'isola non appena possibile. Non ha tempo da perdere, Wiesenthal. Se si muove alla svelta, potrà prender.lo a Kythnos. »

Ero sul punto di partire per Gerusailemme per assistere al processo Eichmann. Se avessi informato le autorità greche attraverso le normali vie diplomatiche, si· sarebbero perdute parecchie settimane. Quella volta, come avevo già fatto spesso in passato, decisi di seguire una via inconsueta. Telefonai al direttore di un grosso rotocalco tedesco con il quale avevo già collaborato in passato. Il giornale voleva la storia, io volevo l'uomo. Attraverso Langbein, telefonammo ad Atene e ci mettemmo in contatto con un certo dottor Cuenca, un famoso scienziato che era stato costretto durante la guerra a lavorare ad Auschwitz come « assistente medico » sotto Mengele. ~li spiegai che dovevamo muoverci alla svelta e in segreto. Cuenca ci disse che c'era un regolare servizio passeggeri che faceva scalo a Kythnos solo due volte la settimana. Venne deciso che un redattore della rivista tedesca sarebbe andato a Kythnos via Atene. Se av~ trovato Mengele a Kythnos, avrebbe telefonato a Cuen.ca, che sarebbe accorso nell'isola per identificare il dottore. Se si trattava dell'uomo che cercavamo, Cuenca avrebbe infomiato la polizia greca. Tutto sarebbe stato fatto in modo assolutamente legale. Le autorità greche avrebbero senza dubbio concesso l'estradizione di Mengele.

Quarantott'ore dopo che era stata presa questa decisione, il giornalista arrivò a Kythnos in battello. Sull'isola c'erano solo due edifici d'una certa consistenza: un monastero e una piocola locanda

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vicino al porto. Il giornalista entrò in quest'ultima e chiese al padrone se avesse avuto ospiti negli ultimi tempi.

« Un tedesco con la moglie. Sono partiti ieri. »

« Ma ieri non e' era il battello, » disse il giornalista.

« t arrivato uno yacht bianco. Il tedesco e sua moglie sono saliti a bordo e l'imbarcazione è ripartita verso occidente. »

Così eravamo amvati dodici ore troppo tardi.

Il giornalista chiese: « Ci sono altri tedeschi su quest'isola? »

Il locandiere scosse la testa. « Quelli erano i primi due clienti che avessimo avuto quest'anno. È troppo presto per i turisti. Di so, lito cominciano a venire a maggio. »

Il giornalista mostrò all'uomo un fa.scio di fotografie. Senza esitare, il locandiere indicò la fotografia di Mengele. Due monaci, che nel frattempo erano entrati nella locanda, confermarono che quello era l'uomo che era stato sull'isola fino al giorno prima. Avevamo perduto un'altra ripresa.

In seguito, quando incontrai di nuovo Johann, gli chiesi se ritenova che Mengele foose stato informato dell'arrivo a Kythnos del giornalista tedesco.

« Non lo credo. »

« Chi andò a prendere Mengele a Kythnos? »

« Degli amici spagnoli presero Mengele e la moglie a bordo del loro yacht. Quest'uomo ha amici dappertutto. t incredibile quello che la gente è capace di fare per un malinteso senso di solidarietà. Non so dove siano ora, ma so che lo hanno portato a Barcellona. Lo sa che una volta ha osato perfino tornare in Germania?»

« In Germania? Ma c'è un mandato d'arresto contro di lui.»

« Mengele ha ottimi amici in Germania. Mi risulta che nel I 959 andò a Giinzburg per assistere al funerale del padre e ci rimase parecchi giorni. Naturalmente non scese in un albergo e non alloggiò a casa sua. Andò a stare nella Engfuh lnstitute Convent School. »

« E nessuno andò a denunciarlo alla polizia?»

« A Giinzburg tutti dipendono, in un modo o nell'altro, dai Mengele. Sono sicuro ohe la polizia ignorava che egli si trovasse in paese.»

Quando si seppe che Mengele era stato a Giinzburg nel 1959, il pubblico ministero Rahn disse a una conferenza stampa tenuta a Francoforte che gli abitanti di Giinzburg « si erano comportati come un gruppo di cospiratori per aiutare la famiglia Mengele ». In seguito ci fu una protesta del sindaco, un certo dottor Seitz. Ma poi un giornale scoprì che il dottor Seitz era il notaio della famiglia

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Mengele. Ci furono accuse e controaccuse. Secondo la stampa, un magistrato di GiinzbÙ·rg disse che la città 05pitava « un gruppo di vecchi nazisti che mettono abilmente i bastoni fra le ruote della democrazia». Un ex sindaco di Giinzburg, Michael Zehetmeier, disse al corrispondente di un giornale svizzero: « In questa città nessuno dirà nulla, anche se sa molto. » Questa era Giipzburg, una grazi05a città medioevale di dodicimila abitanti sulle rive del Danubio in Baviera. Giinzburg va orgogliosa del suo bel castello rinascimentale, della sua chiesa rococò, della sua piazza del mercato circondata da vecchie case, e della sua maggiore industria, la fabbrica di macchine agricole di Karl Mengele e Figli. Il padre di Mengele aveva fondato la ditta agli inizi del secolo. La famiglia era diventata ricca, così che da tempo i. Mengele erano i primi cittadini di Giinzburg. Una considerevole percentuale degli abitanti deUa città dipendevano direttamente o indirettamente dall'azienda. A Buen05 Aires, dopo la guerra, Mengele e Figli acquistarono una partecipazione al cinquanta per cento nell'azienda Fadro KG, S.A., che aveva c05truito una nuova officina di montaggio per trattori tedeschi. La società argentina venne fondata con un capitale di un milione di doillari.

Josef Mengele era nato in questa graziosa vecchia città il 16 marzo r 9 1 1 ed era stato allevato come il principe ereditario della famiglia regnante. Negli anni fra il '20 e il '30 era andato a studiare fil050fia nella vicina Monaco, dove aveva conosciuto Adolf Hitiler ai tempi delle prime riunioni nelle birrerie ed era diventato un fanatico seguace del Fiihrer. Quelli a Giinzburg che ricordavano Mengele da gi9vane, mi dissero che soffriva per il suo aspetto fisico. Avrebbe voluto somigliare ad un ariano... ma nemmeno con uno sforzo di fantasia sarebbe stato possibile prende1fo per tale.

All'inizio della guerra, Mengele si arruolò . nelle Waffen SS e servì come ufficiale medico in F,rancia e in Russia. I veterani delle Waffen SS tengono a distinguersi dalle SS ordinarie in quanto affermano che le W affen SS non ebbero nulla a che fare con i campi di concentramento e con gli aspetti più crudeli del regime hitleriano. Sta il fatto, però, che nel 1943 Menge:le venne nominato medico capo di Auschwitz. Himmler e l'ispettore generale Glucks, da cui dipendeva il personale dei campi di concentramento, scdsero l'uomo giusto.

Gli esperimenti condotti da Mengele sulla purificazione della razza mi ricordavano una testimonian7Ja resa a Norimberga dall'aiutante di Hitler, SS-Obergruppenfuhrer von der Bach-Zelewski. Nell'estate del 1941, quando il muftì di Gerusalemme lasciò l'Iraq do-

po uno sfortunato P~tsch di stile fascista e si rifugiò in Germania, il maggiore esponente mussulmano anti-ebraico espresse. il desiderio cli conoscere il suo collega tedesco. Venne mostrata a Hitler una fotografia del mllf tì. Come vide la foto, Hitler si rifiutò di riceverlo dicendo di non voler incontraire un uomo « che somig,lia a un ebreo».

« Ma, mein Filhrer, » disse, secondo quanto testimoniò in seguito, von der Bach-Zelewski, « il muftì ha gli occhi azzurri. »

E così il muftì venne ricevuto da Hitler.

Sono ora in grado di ricootruire con molta esattezza i movimenti di Mengele. Alla fine della guerra tornò a Giinzburg. I suoi fauniliari e gili amici, che non sapevano nulla dei suoi precedenti ad Auschwitz, lo accolsero com.e un buon soldato che aveva fatto il suo dovere. Molta gente sapeva che egli aveva lavorato in « uno di quei campi », ma nessuno foce domande. Anche in seguito, quando cominciarono a circolare delle voci, la gente rimase zitta. Giinzburg si trovava nella zona americana della Germania, ma gli americani non mossero alcuna accusa a Mengele perchè non sapevano quello che aveva fatto. Fu un'altra prova della confusione assoluta che esisteva fra le varie autorità militari e civili in Germania nei primi anni del dopoguerra.

Per cinque anni Mengele cond11$SC una vita tranquiHa, intervallata da frequenti viaggi a Monaco e alltrove. Nessuno lo infastidiva. Solo nel 1 950 si cominciò a fare il suo nome in occasione dei vari processi contro i criminali di guerra nazisti. Alcuni suoi ex colleghi e subordinati, fra cui la SS che era stata suo autista, cominciarono a raic:contare quello che Mengele aveva fatto ad Auschwitz.

Mengd.e pensò che fosse giunto il momento di sparire. Aveva amici potenti nell'organizzazione dell'ooESSA, e nel 1951 fuggì, attraverso il passo di Resia e Merano, in Italia, di dove passò in Spagna e più tardi nell'America Latina. Nel 1952 arrivò a Buenos Aires, provvisto di documenti falsi, e cominciò a esercitare la professione di medico. Non aveva l'autorizzazione, ma non se ne preoccupava, perchè era in ottimi termini con la polizia del dittatore Juan Per6n. A quel tempo si faceva chiamare Friedrich Edler von Breitenbach e aveva molti amici fra i nazisti che si trovavano in Argentina.

U regime Per6n finì il 13 settembre 1955, quando il dittatore andò in esilio. Allora i nazisti temettero di non poter più contare sulla protezione delle autorità e cominciò un esodo generale verso il Paraguay. Mengele andò ad Asunci6n, la capitale, ma in seguito tornò

a Buenos Aires, dove la vita era più piacevole. Non si a.rrL<:chiò, però, ad esercitare illegalmente la medicina. Assunse invece la direzione della filiale dell'azienda di famiglia.

Erano passati dieci anni dal suo ritorno dalla guerra. Nessun tribunale tedesco aveva iniziato un procedimento contro di lui. Mengele pensò che non fosse più necessario nascondersi sotto un nome falso, e perciò prese residenza a Buenos Aires sotto il suo vero nome. Fu così che lo rintracciammo laggiù due anni più tardi, nel 1957, quando il suo nome apparve quale quello del principale imputato in un processo che si stava istruendo in Germania contro coloro che erano stati ad Auschwitz.

Nel 1962, pochi mesi dopo la fuga da Kythnos, venni a sapere che Mengele era tornato in Sud-America. La moglie e il figlio erano rimasti in Europa. Frau Mengele viveva a Kloten, presso Zurigo, in Svizzera. Mi misi in contatto con un avvocato svizzero, il quale scoprì che la donna aveva affittato un appartamento aJ n. 9 della Schwimmbadstrasse. Venni a sapere che la casa di Frau Mengele era vicinissima all'aeroporto. Non era un posto molto tranquillogli aeroplani non facevano che andare e venire sul tetto della casama era comodo per il marito <:he, sbarcando all'aeroporto di Zurigo, poteva essere a casa in pochi ,minuti senza rischiare di essere visto da troppa gente. Avrei voluto recarmi in Svizzera per scoprire qualcosa di più sui Megele, ma i poliziotti svizzeri non amano vedere nella loro giurisdizione stranieri troppo curiosi. Chiesi perciò a un amico svizzero di andare a trovare Frau Mengele.

Il mio amico mi disse in seguito che la casa di Frau Mengele era un'anonima villetta scura situata in un nuovo quartiere. Egli suonò il campanello e venne ad aprirgli una donne.tta sulla cinquantina, « abbastanza graziosa ». Appena vide uno sconoociuto, la donna si mise subito in sospetto. Gli chiese che cosa volesse.

Il mio amico le disse che veniva da parte della compagnia di assicurazioni. « La polizza per la casa è scaduta e bisogna pagare il premio.»

« Io sono una nuova inquilina. Non so niente di questa polizza. » Frau Mengele cercò di chiudere la porta, ma il mio amico fu pronto a mettere un piede fra lo stipite e il battente.

« Mi scusi, signora, non è lei Frau Vogelbauer? »

« No. È la signora che ha in affitto la casa di fronte. Farà meglio ad andare a parlare col padrone di casa. »

« Vorrei solo dare un'occhiata al suo appartamento per poter riferire alla mia società se c'è bisogno di qualche riparazione. »

La H ausfrau tedesca che era nella signora Mengele si risvegliò immediatamente. Disse al mio amico che c'era una perdita nel bagno e gli chiese di entrare per dare un'occhiata.

L'appartam ento era moderno, comodo, pulito e impersonalmente · svizzero. Il mio amico non vide nulla che facesse pensare alla presenza di un uomo in casa. Sembrava che la signora Mengele vives.se da sola. In seguito scoprii che suo figlio, Karl-Heinz, studiava allora a Montreux.

Quella sera incontrai un funzionario svizzero a Zurigo, gli riferii delle nostre indagini e gli chiesi <l'informare la polizia svizzera. lo non volevo fare del male alla moglie di Mengele. Chiedevo solo che la casa fos.se sorvegliata, in modo da poter e.s.5ere informato di una eventuale visita di Mengele. Probabilmente in seguito al mio intervento, le autorità federali svizzere alc une settimane più tardi, nel luglio 1962, espulsero Frau Mengele da! paese. Gli svizzeri non vog li ono avere il problem~ di dover estradare un criminale nazista e non vogliono essere coinvolti in un processo per crimini di guerra. Frau Mengele lasciò Zurigo e si trasferì nella graziosa cittadina di Merano, in Alto Adige, <love abita ancora, in una casa isolata, confortata dalla presenza di molti ex nazisti.

Nel frattempo Mengele era tornato ad Asunci6n. Avrebbe preferito vivere a Buenos Aires, ma il mandato d'arresto contro <li lui era ancora in piedi. Tuttavia, dalla filiale dell'azienda di famiglia riceveva abbastanza de~aro per poter condurre una vita comoda.

Mengde aveva buoni motivi per sentirsi all sicuro in Paraguay e in questo era confortato da:Ha storia del paese. Il Paraguay conquistò l'indipendenza nel 181 1 e fu governato da una ditta t ura dal 1815 al 1840. Fra il 1865 e il 1870 fu in guerra contro Brasile, Argentina e Uruguay, e alla fine adottò una costituzione democratica. A quel tempo la popolazione era scesa a 28.000 uomini e quasi 200.000 donn~. Il Paraguay aveva bisogno di immigrati disposti a lavorare la terra. Arrivarono così greci, polacchi, italiani, giapponesi ed anche molti tedeschi. Da allora, sono affluiti in Paraguay numerosi coloni tedeschi, soprattutto dopo la prima guerra mondiale. Oggi nel paese vi sono più <li 30.000 persone di origine tedesca. La popolazione ammonta a quasi due milioni di anime, ma fa minoranza tedesca ha un'influenza che è notevolmente superiore alla sua consistenza numerica. I tedeschi hanno i posti chiave nel commercio e nell'industria paraguayani. Il presidente, generale Alfredo Stroessner, è nipote di un ufficiale di cavalleria bavarese. Stroessner, che è nato in Paraguay, sembra molto attaccato alla sua ascendenza te-

desca. La sua guardia presidenziale è fonmata da soldati alti un metro e ottanta che marciano col passo d'oca.

Circa un migliaio di ebrei vivono attualmente in Paraguay. Uno di loro è un mio veoclùo amico che è sta!l:o con me nel campo di concentramento di Mauthausen. Prima era stato ad Auschwitz e aveva conosciuto Mengele. Lo incontrai a Milano nel 1 964 e parlammo di Mengele. Mi parve alquanto preoccupato.

« Ti prego di non prendere decisioni avventate, Simon, » mi disse. « I capi della nostra comunità ebraica ad Asunci6n hanno ricevuto molte lettere anooim.e, nelle quali è detto che se Mengele sarà rapito dn Paraguay non rimarrà più nemmeno un ebreo>. Può darsi che si tratti di uno scherzo stupido... ma akuni di noi sono preoccupati e io non li biasimo. »

« Ma non c'è la polizia?» gli chiesi.

« Chi non conosce il Paraguay non può capire quanto sia forte l'influenza tedesca nel nostro paese. L'ideologia nazista del 1933 è ancora molto viva laggiù. E così anche il vecchio principio nazista deUa Sippenhaftung [discriminazione razziale]. Gli ebrei del Paraguay verrebbero colletitivamente ritenuti responsabili di quello che potrebbe accadere a Mengele. »

« È sciocco, » dissi. « Sono anni che sappiamo ogni cosa della seconda moglie di Mengele e di suo figlio Karl-Heinz, un ragazzo simpatico e serio. So dove abita, chi vede, che cosa fa. Non penserei mai di ritenerlo responsabile dei delitti commessi da suo padre. »

« A te no, perchè noi abbiamo un'altra mentalità. Ma questo non significa che non ~o farlo. »

Ci salutammo e se ne andò con aria molto preoccupata. Per parecchio tempo continuai a pensare a lui. Venti anni dopo la fine dell'incubo, c'era ancora della gente per la quale ,l'incubo non era passato.

Nel luglio 1962, il governo di Bonn chiese alle autorità del Paraguay di fare indagini sul dottor Josef Mengele, residente ad Asunci6n, Fulgencio Morena 507. Diversi mesi più tardi, le autodtà d~l P.a.raguay comunicarono alla Germania Occidentale che Mengele era cittadino paraguayano e « non aveva precedenti penali ».

MengeJe non rimase a lungo ad Asunci6n. Gli amici gli dissero che sarebbe stato più al sicuro in una delle colonie tedesche esistenti lungo il corso superiore del Parami, nella regione dove si incontrano i confini del Paraguay, del Brasile e dell'Argentina. Il fiume, che costituisce la linea di frontiera, è poco sorvegliato ed è perciò facile attraversarlo ed entrare in Brasile. Mengele si trasferì in una te-

..

nuta presso Encarnaci6n, cli proprietà cli Alban Krnge Krug, un ricco agricoltore sulla sessantina, che è stato descritto come un uomo dal carattere violento e dalle idee politiche estremiste. Krug viaggia sempre scortato da quattro guardie del corpo, armate fino ai denti. Mengele rimase due anni nella fat toria di Krug. Dava una mano durante il raccolto e faceva il medico ad Encarnad6n con il nome di « dottor Fritz Fischer ». Verso la fine del I 963 cominciò a diventare di nuovo inquieto.

Sapevo che sarebbe stato impossibile seguire tutti i movimenti di un uomo che era protetto da tanta gente in ogni parte del mondo. Decisi perciò di sorvegliare i movimenti delle persone più vicine a lui: in questo caso Ja mogLie e il figlio. Frau Martha Mengele si può clire che non si allontanasse mai dalla sua casa di Merano. Karl-Heinz a quel tempo st udiava a Montreux, in Svizzera. Poco prima del Natale 1 963, venne spedita da Montreux una lettera con la quale si informava un mio amico in Austria che Karl-Hoinz Mengele era appena parti to per Milano dove avrebbe preso alloggio in un certo albergo. Karl-Heinz aveva detto ai suoi compagni di scuola che andava a Milano per incontrare alcuni parenti che vivevano in America. La lettera venne impostata a Montreux il 22 dicembre, ma a causa delle feste natalizie io potei prenderne visione solo la mattina del 28. Saltai sul primo aereo per Milano. All'albergo mi dissero che un uomo con un passaporto spagnolo intestato al nome di « Gregor-Gregori » aveva soggiornato là. Era partito due giorni prima.

La terza ripresa si svolse pochi mesi più tardi, una notte del marzo 1964. Mengele stava trascorrendo il week-end all'Hotel Tyrol presso Hohenau, un prosper060 centro di immigrati tedeschi nel Paraguay orientale. L'Hotel Tyrol· è il luogo di convegno preferito dalla società locale pe zichè c'è una buona cucina, buona birra, e una buona orchestra. Di tanto in tanto, vi si reca per il week-end il generale Stroessner. E anche Mengele.

Era una notte calda e buia. Una mezza dozzina di uomini avevano rintracciato il « dottor Fritz Fischer » nella stanza n. 26 dell'Hotel Tyrol. In seguito conobbi alcuni <li questi uomini, che avevano costituito un gruppo battezzato « Comitato dei Dodici » perchè erano dodici superstiti del campo di concentramento di Auschwitz. Alcuni erano diventati ricchi e avevano devoluto grosse somme di denaro allo scopo di p011tare davanti alla giustizia i loro ex torturatori. Sfortunatamente, i metodi del Comitato non erano buoni come le intenzioni.

Più tardi venni a sapere queUo che era ac caduto: erano stati

tirati a sorte i nomi di sei membri del Comitato che dovevano recarsi in Sud-America, catturare Mengele vivo e porta.Jllo a Francoforte sul Meno, dove si stava istruendo il processo di Auschwitz. Pochi minuti prima dell'una, gli uomini entrarono nell'atrio dell'Hotel Tyrol, si precipitarono su per le scale e sfondarono la porta della stanza n. 26. Ma la stanza era vuota. Il proprietario dell'albergo li infor-mò che « Herr Doktor Fischer » era partito in fretta e furia dieci minuti prima, dopo aver ricevuto una chiamata telefonica. Aveva avuto tanta fretta, che si era infilato un vestito sul pigiama, si era precipitato giù per le scale ed era sparito nella notte.

Mengele era ancora uccel di bosco.

Nell'aprile del 1964, venne a trovarmi nel mio ufficio di Vienna una donna di mezza età che chi amerò Frau Maria (questo non è il suo nome). Frau Maria era divorziata e viveva sola a Lorrach, un paesino del Baden-Wiirttemberg, vicino al Reno, che in quel punto confina con la Svizzera. Frau Maria era venuta a trovare certi amici di Vienna e, giacchè si trovava in città, desiderava cercare alcune persone che erano scomparse dur~te la guerra. Le avevano detto di venire da me. Disgraziatamente, non fui in grado di aiutare Frau Maria, ma ci mettemmo a chiaochierare. Mi disre che aveva molto tempo libero, perchè i modesti alimenti che percepiva non le consentivano grandi cose: di quando in quando, un viaggio a Basilea o a Zurigo per qualche com pera, o uno spettacolo teatrale. La vita a Lorrach non era molto movimentata, e a lei sarebbe piaciuto fare un lavoro di qualsiasi genere; ma , clisre, « nessuno vuole una donna di cinquantadue anni».

Mentre parlavamo, mi venne in mente che Frau Maria poteva es.sere proprio la persona che faceva al caso mio. Ero giunto alla conclusione che avremmo dovuto cambiare tattica nd caso Mengele. L'attacco frontale diretto era inutile. Ero venuto a sapere che la sua salute era malferma e che egli si rendeva conto di essere un criminale braccato. Si diceva che avesse bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lui : sentiva la mancanza della moglie e del figlio. Aveva successo con le donne ed era orgoglioso di ques to successo, ma ora gli serviva una massaia che gli facesse da m angi are e gli tenesse in omine la casa, una H ausfrau tedesca di cui potersi fidare. Sapevo che i suoi amici e parenti di Giinzburg avevano discusso il problema e pensavano di trovare una donna « assolutamente fidata » da mandargli nel Paraguay.

Avevo riflettuto che, se avessi potuto installare questa donna nel-

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la casa di Mengele, forse avremmo fatto un passo avanti. Frau Maria sembrava la persona adatta. Era tedesca e simpaitica, una brava massaia, completamente libera, e sembrava sveglia. Dopo il nostro colloquio, feci eseguire approfondite indagini sul suo conto. L'esito fu soddisfacente. Non aveva mai avuto a che fare con il movimento nazista, ed era conosciuta come persona assolutamente degna di fiducia. Le scrissi pregandola di incontrarsi con me a Monaco di n, a qualche settimana. Nell'atrio di un grande albergo, le esposi il mio piano. Disse che aveva sentito parlare di Mengele e aveva letto alouni articoli riguardanti Auschwitz. Le chiesi di pensarci su. Quello stesso giorno, alle quattro del pomeriggio, ci rivedemmo in un caffè e Frau Maria mi disse qi aver preso una decisione: accettava di andare in Paraguay come governante di Mengele. Ora si trattava solo di farla accettare a Mengele o ai suoi amici di Giinzburg.

Due settimane dopo, ci incontrammo a Salisburgo e preparammo il nostro piano strategico. Dissi a Frau Maria ciò che doveva fare. Accompagnata da un uomo che avrebbe presentato a tutti come « il marito di una carissima amica», sarebbe andata a Giinzburg e avrebbe preso alloggio all'Hotel Hirsch. Verso le quattro pomeridiane, lei e il suo accompagnatore sarebbero andati in una certa osteria poco distante. Alcuni dipendenti di Mengele e Figli andavano spesso in quel locale a bere un bicchiere di vino o di birra prima di tornare a casa per la cena. Se tutto fosse filato secondo i miei progetti, speravo che Frau Maria non avrebbe messo radici in quel posto.

La scena succes&va ebbe luogo un venerdì pomeriggio, nel maggio 1964, in una osteria ' di Giinzburg con le pareti foderate di panneUi di quercia: una tipica birreria bavarese, con finestre scure e lampade di ferro battuto. Seduta a un tavolo, Frau Maria, pulita e or.dinata com.e una brava massaia tedesca, chiacchierava con il suo compagno. I presenti dovettero pensare che forse aveva bevuto un po' troppo. La sua voce arrivava dappertutto.

« Questi imbroglioni di ebrei! » diceva. « Sono sempre i soliti. Streicher aveva ragione. Ti trufferanno, se non stai attento. »

, L'uomo che era con lei aveva l'aria preoccupata. « Non parlare così forte, Maria. I tempi sono cambiati. Non puoi dire queste cose in un posto dove ti possono sentire. »

« Non me ne importa niente. Lascia che sentano. È vero o no?. Ci sono rimasti ancora troppi ebrei, da' retta a me. »

Ad un tavolo vicino, un vecchio si alzò e andò dal proprietario del locale, che era dietro aJ banco. Gli domandò qualcosa; il suo interlocutore scosse il capo. No, non conosceva quei due: erano fo-

restieri. Il vecchio si diresse alla lor<;> tavola, chiese il permesso , di sedersi e si presentò. Lo chiamerò « Herr Ludwig ».

Disse che non aveva potuto fare a meno di sentire ciò che aveva detto la signora. « Ma non si preocoupi, la prego. Io non sono uno S pitzel [specchietto per le allodole J. In realtà, sono d'accordo con lei. Questa gente, » disse guardando Maria con un cenno affermativo del capo, « non imparerà mai a pensare ai fatti suoi e a lasciare in pace le persone per bene. Conosco qualcuno che ne sta passando di tutti i colori per colpa loro. E perchè, mi domando? Peochè era un buon soldato tedesco che aveva fatto c:iò che gli era stato èomandato... Posso offrirle un bicchiere di vino? »

Maria gli disse il suo nome e gli presentò il suo compagno, « il marito di una nùa carissima amica».

« Lei stava dicendo che ha delle noie, » disse Ludwig. « Se è una cosa capitata qui a Giinzburg, potrei aiutarla. Noi conosciamo tutti in città. » Quando parl ava della « ditta » Mengele e Figli, diceva sempre «noi».

Maria lo ringraziò per la sua offerta e gli raccontò una storia che avevamo architettato insieme parecchi giorni prima a Salisburgo. Stava cercando di ottenere la sua parte della proprietà di uno zio ed era stata truffata « da uno di quegli ebrei ». Herr Ludwig annuì pieno di comprensione. Ordinò dell'altro vino e parlò dell'ultima guerra, suo argomento preferito di conversazione. Maria ascoltava interessata : le av evo detto di essere una buona ascoltatrice. Chiese a Herr Ludwig se esercitasse la professione di avvocato a Giinzburg: sembrava che conoscesse tanta gente in città.

Egli scosse il capo. « Sono un dipendente della Mengele e Figli. »

« Mengele? Non è il nome del dottore che gli ebrei stanno cercando?»

Herr Ludwig le diede un ra:pido sguardo. « Sì. »

« Spero che non lo trovino mai. Non credo a tutte quelle cose che dicono sul suo conto. »

He:rr Ludwig· sembrava soddisfatto. « Il dottor Mengele conduce una vita molto infelice, senza sapere mai da quaJe parte può venirgli il pericolo. » Poi le chiese dove abitasse e che cosa facesse.

« Non faccio gran che, » disse lei. « Mi piacerebbe girare, fare un via:ggio intorno al mondo. Ma quando avrò messo da parte il denaro occorrente, . sarò troppo vecchia o malandata per viaggiare. »

Risero tutti, e Ludwig ordinò dell'altro vino. Quando Maria e il suo compagno se ne andarono, Ludwig li accompagnò all'albergo. Prima di lasciarli, invitò Maria a pranzo per il giorno dopo.

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A mezzogiorno andò a prenderla e, dopo un huon pranzo, le disse che avev.a pensato a ciò che lei aveva detto. Forse, aveva da proporle un viaggio interessante. Di li a qualche giorno, doveva passare dalle parti di Lorrach. Poteva andada a trovare?

« Naturalmente. Mi avverta in tempo, così mi faccio trovare a casa, » disre Frau Maria.

Passarono quattro settimane, durante le quali probabilmente Ludwig prese accurate informazioni sul conto di Maria. Non so che cosa trovò, in ogni modo le fece sapere che sarebbe andaito a trovarla a Lorrach. Il giorno dopo arrivò con fiori e dolci. Guardò con attenzione l'appartamento di Frau Maria, e parve soddisfatto di quello che vide. Disse a Frau Maria che lei doveva sicuramente es,sere una buona H ausfrau ... si vedeva subito. Ormai, sembrava a suo agio. Le parlò di Josef Mengele, che conosceva fin da quando Josef era bambino e al quale ora davano la caccia come a un delinquente comune. A Vienna c'era un certo Wiesenthal ... uno « di quelli».

Fra:u Maria gli chiese se avesse visto recentemente Mengele.

« Sono stato diverse volte in Sud-America dopo la fine della guerra. Abbiamo molti affari là. In occasione dei miei viaggi, ho visto Josef Mengele. » Le sorrise. « Sa dove ci incontravamo? Nel posto più inimmaginabile di tutti: la sala d',asperto dell'ambasciata tedesca di Asunci6n. Naturalmente, stavamo attenti a non farci scoprire dagli impiegati. Nella sa:la ci sono sempre molte persone che aspettano, e due uomini che, parlano in tedesco non danno nell'occhio. » Herr Ludwig sembrava molto soddisfatto di sè.

« Sono venuto a trovarla qui pereb.è voglio farle una domanda. Sarebbe disposta ad andare oltremare per un anno" e ad assumersi il governo della casa del dottor Mengele? »

Maria non rispose. Egli aggiunse pronto: « Immagino ciò che pensa. Il dottor Mengele vive in costante pericolo. Lei dovrebbe stare molto attenta. »

Maria disse che non si aspettava quella proposta. Non gliene importava molto del denaro, ma aveva sempre desiderato di vedere i paesi tropicali.

Herr Ludwig le disse: « Perchè non ci pensa su? Tornerò fra una settimana. Se la sua risposta sarà affermativa, la pregherò di venire a Gunzburg per incontrarsi con alcune persone della famiglia. Poi dovremo andare a trovare Frau Mengele, che le darà istruzioni sul modo di governare la casa del dottor Mengele. »

Maria mi informò per mezzo di cartoline illustrate contenenti frasi banali ,che rispondevano a un codice in precedenza concordato.

Impostava le cartoline lontano da Lorrach e non le indirizzava mai a me. Dopo una settimana mi comunicò che Herr Ludwig era tornato a trovarla, ed era stato molto suadente. Lei era stata molto restia ad accettare l'offerta: le avevo detto di comportarsi proprio così, ed evidentemente aveva recitato bene la sua parte.

Due settimane dopo, Herr Ludwig le chiese di andare a Giinzburg. Si ritrovarono nella vecchia osteria. Maria disse che aveva portato con sè il passaporto.

« Suppongo che ci vorranno dei visti, » dis.5e.

Herr Ludwig parve esitare. « C'è stato un piccolo rinvio. In ogni modo, lei può dire a qualche vicina di Lorrach di dare un'oochiata al suo appartamento di tanto in tanto, e può mettersi d'accordo con la banca per il versamento mensile dei suoi alimenti... » Improvvisamente cambiò argomento: « Nel frattempo, grad irei che andasse a Vienna e cercasse di mettersi in contatto con quel Wiesenthal. Sarebbe importante per noi sapere che C05a ha in mente di fare, e soprattutto se sta macchinando qualcosa contro Josef. »

Se era una trappola, Maria non ci cascò.

« Herr Lud wig, lei mi ha chiesto di andare in Paraguay come governante del dottor Mengele, » disse. « Mi ha promesso di mandarmici e mi ha detto quello che dovrò fare. Ho accettato la sua offerta. Ma non sono una spia. Non posso andare a Vienna. Inoltre, sarebbe sciocco. Perchè Wiesenthal dovrebbe dire qualcosa a me, che sono per lui una perfetta scon osci uta? »

Herr Ludwig parve d'accordo. « Ri conosco che ha ragione,» disse. « Bene, tomi a Lorrach, e mi metterò in contatto con lei quando saremo pronti. » ·

Queste furono le ultime parole ch e Maria sentì pronunciare da Herr Ludwig. Non le scris.5e nè andò più a trovarla. Forse, era più furbo di noi. O forse avevamo commesso qualche sbaglio.

Il proces.so di Auschwit z doveva cominciare a Francoforte sul Meno n el I 964. Il dottor Fritz Bauer, procuratore capo, comunicò alla stam,pa che « J è>Sé M e ngele », c he si riteneva vivesse in Paraguay, altri non era che l'ex medico del campo di concentramento. Il governo di Bonn foce un ultimo energico tentativo per ottenere l'estradizione del principale imputato. Il 16 luglio 1964, Eck h ard Briest, ambasciatore tedesco ad Asunci6n, nel corso di una udienza con il presidente Stroessner, presentò ancora una volta una formale richiesta per l' es tradizione di Mengel e.

Il presidente Stroessner andò su tut te le furie e cominciò a terr>.·

pestare di pugni la scrivania. « Se continuate con questa storia, » gridò, « romperò le relazioni diplomatiche con la Repubblica Federale Tedesca!» Briest gli spiegò di aver ricevuto da Bonn precise istruzioni a proposito di Mengele. Il presidente rispose : « Basta così, signor ambasciatore! Non tollererò più cose del genere! »

Un resoconto dell'udienza fu pubblicato qualche settimana più tardi dalla rivista tedesca Der Spiegel. Quando Stroessner lo lesse, si rese conto di essersi spinto troppo ·1ontano. Si consultò con i suoi consiglieri, e il ministro degli Esteri Raoul Pastor sollecitò il presidente a sbarazzarsi di _ Mengele. Pastor fece presente che il Paraguay aveva appena ottenuto da Bonn un prestito di tre milioni di dollari e avrebbe potuto avere altri aiuti. Sarebbe stato poco saggio mettersi in urto con il governo della Germania Oocidentale.

Per una settimana il destino di Mengele rimase in bilico. Mengele tornò ad Asunci6n e poco dopo sulle mura dell'ambasciata tedesca apparve una scritta in vernice nera: « Ambasciata ebraica! Giù le mani da Mengele ! È un ordine! »

Forse, lo era davvero. Ancora una volta, il generale Stroessner decise di tenere giù le sue mani da Mengele. Mengele fu rispedito nel Paraguay orientale. Avrebbe vissuto in una zona ben sorvegliata, dove non era permesso l'ingresso agli stranieri. Più tàrdi il caso di Mengele venne discusro nel corso di una conferenza dell'Interpol tenuta a Caracas nel Venezuela. Il dottor Federico Nicolas Fernandez, direttore dell'Interpol di Rio de Janeiro, disse di sapere che Mengele era nascosto nella giungla, in pros.simità del confine paraguayano. Ma il Paraguay non fa parte dell'Interpol e un interventg, diretto, d~, era impossibile. Il dottor Femandez aveva ragione. Mengele vive oggi in pratica come un prigioniero nella ristretta zona militare compresa fra Puerto San Vicente, sulla strada Asunc.i6nSao Paulo, e il forte di frontiera Carlos Antonio L6pez, sul fiume Parana. Occupa una casetta bianca in una parte della giungla diboscata dai coloni tedeschi. Solo due strade conducono a quella casa isolata, ed entrambe sono sorvegliate dai soldati e dai poliziotti paraguayani, che hanno ordini severissimi di fermare tutte le automobili e di sparare a vista su tutti i sospetti. Nel caso poi che qualcuno sfugga alla polizia, ci sono quattro guardie del corpo, pagate dallo stesso Mengele, che sorvegliano la zona armate fino ai denti e munite di radio portatili e di radiotelefoni.

Il governo della Germania Occidentale ricerca ancora Mengele, e sulla sua testa c'è ancora una taglia di 60.000 marchi.

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CAPITOLO vin EPILOGO DEL DIARIO DI ANNA FRANK

Il 1° agosto 1944, una ragazza di quindici anni, di nome Anna Frank, che per due anni si era sottratta alle ricerche della Gestapo, nascondendosi con la famiglia e alcuni amici in una soffitta di Am.sterdam, confidava al suo diario:

Non lo sopporto; quando si occupano di me in questo modo, divento prima impert inente, poi triste e infine rovescio un'altra volta i l mio cuore, volgendo in fuori il lato cattivo, in dentro il lato buono, e cerco un mezzo per diventare come vorrei essere e come potrei essere se.. non ci fossero altri uomini al mondo.

Queste furono le ultime parole che Anna Frank scrisse nel suo diario. Tre giorni dopo, risuonarono alla porta quei colpi che gli ocoupanti della soffit,ta avevano temuto per anni. La porta venne sfondata e cinque uomini con uniformi tedesche ,entrarono, guidati da un SS-Unterscharfuhrer. Una spia olandese aveva passato loro l'informazione. Gli occupanti della soffitta - Anna Frank con il padre, la madre e la sorella, un'altra coppia con il figlio e un dentista - furono arrestati e inviati nei campi di concentramento. Solo uno di loro sopravvisse : Otto Frank, padre di Anna, che oggi vive vicino a Basilea, in Svizzera, e che in seguito raccontò al ·mondo ciò che era accaduto quella mattina.

« La SS prese una borsa e mi chiese se contenesse dei gioielli. Risposi che c'erano solo dei documenti. Gettò per terra le carte e il diario di Anna, e ripose nella sua borsa la nostra argenteria e un candeliere a sette bracci. Se si fos.se preso anche il diario, nessuno avrebbe mai sentito parfare di mia figlia. »

Anna Frank morì nel campo di concentramento di Bergen-Belsen nel marzo I 945. Un anno più tardi, suo padre tornò nella soffitta della casa di Amsterdam. Il diario era ancora per terra) dove lo aveva gettato la SS.

« Il DiariQ ·di Anna Frank » turbò la coscienza del mondo civile.

Era la storia di una qualsiasi ragazza che scriveva dei suoi piccoli problemi personali ( « Mammà qualche volta mi tratta come se f~i una bambina, e io non riesco a sopportarlo ») sullo sfondo di una esistenza oppressa dalla minaccia del terrore ( « Ho proprio paura che ci scopriranno e ci uccideranno » ).

Il « Diario » fu tradotto in trentadue lingue, ne venne tratto un lavoro teatrale e in seguito un film. Commosse il cuore di milioni di persone, soprattutto dei giovani. Oggi molti giovani tedeschi si recano ogni anno a Bergen-Belsen a pregare per Anna Frank.

Una sera dell'ottobre 1958, alle nove e mezzo, un amico mi telefonò a casa, a Linz; era tutto eccitato e mi chiese se potevo correre subito al Landestheater.

Una rappresentazione del « Diario di Anna Fmnk » era stata interrotta da dimostrazioni antisemite. Gruppi di giovani, la maggior parte dei quali fra i quindici e i diciassette anni, si erano mes.5i a gridare : « TPaditori ! Lacchè! Imbroglioni! » Altri urlavano e fischiavano. Vennero accese le luci e dalla galleria i giovani dimostranti fecero piovere sulla platea dei volantini. Coloro che li raccolsero lessero queste parole :

Questo lavoro è una grossa truffa. Anna Frank non è mai esistita. Gli ebr~i hanno inventato questa storia perchè vogliono spremerci maggiori risarcimenti. Non credete una sola parola! t tutto un imbroglio!

Venne chiamata la polizia, che prese i nomi di parecchi dimostranti, tutti studenti delle scuole medie loca:li. Poi la r:appresentazione potè continuare. Quando arrivai al Landestheater, il lavoro era appena finito ma c'era ancora molto fennento. Due auto deUa polizia erano ferme davanti al teatro è c'erano dei capannelli di giovani accalorati a discutere sull'incidente. Mi misi ad ascoltare. L'opinione generale era che i dimostranti avevano ragione e che tutta quella storia di Anna Frank era un imbroglio. Per fortuna, c'era qualcuno che aveva il fegato di dire a quegli ebrei che cosa pensava di loro.

Molti di quei giovani non erano ancora nati quando Anna Frank era andata alla morte. Ed ora, lì, a Linz, dove Hitler aveva studia- ' to ed Eichmann era cresciuto, si insegnava loro a credere nelle menzogne e nell'odio, nel pregiudizio e nel nichilismo.

La mattina dopo mi recai alla polizia per vedere i nomi dei giovani arrestati. Non fu facile: avevano amici potenti, e i loro genitori volevano mettere a tacere la cosa. Dopo tutto, dicevano, non

S irn on Wi esc nth a l e s ua mog li e n e l 1936 e n e l 1946
Wiescntha l nell a prima s inagoga apprestata per g li ex inte mati ( 1945 ).
\<\Tiesenth a l parla n e l c imit ero d e i cam pi di con ce n t ram e nto di Ebe n se c ( 194j)
\Vi esc m h a l n e l u o prim o u ffi c io a Lin z ( 19 47 ) \Vi cscnch a l a ca po d e ll ' uffi ci o di r ec lutam e nto d e ll e tr u pp e irrego lari p e r la P a lest in a ( 194- 7) . La sc r ì1 La in a lt o di ce : « L a pa t ria vi c hi a ma . Arruol ate vi . >>

Le ce neri d e i camp i di concentramento aust r ia c i furono ponate da Wi cscnthnl a Israe le n e l lug lio 1949 J\ttu nlm e n tc rip osano s u l momc Sion.

Wi e en thal assiste a un procc so contro i cr iminali di guerra nazi t i, \ ' ie nn ;i 1958.

flll• lleu••r,__.JJM.ae.....l!l!W!!t!W09li.Jt!J.)..l5!lJ!19A----• h antt.ac o, toGf14•!1t.tal ilff•t.u ,~l•"I ~I( re:- '--"h 0!'gut1Mt.t oa 11fl0l!I' l•t bi.a Ol)V<: !"Tul. ;, tr: ~rt{l11n OMUp1ed lut•t.rt• ud lit Oli$• ;;:: ,._, :,, Jr. ,:•;1~1 s i:-l ~s, co11t.11.et t.h.h 9N1H, ..

, (" ,1.94'

r o Proffe, J;1;n.hr.l ttJ'CUtih S rS ;:eeUo•

Por & lcr.g Hee r.ow I ~*"' l:~·n :-ec,h1f11 tbt•1t "=-~l'lt., l,.Hera at to~ e a r.d • t Of!t<e1\J:"1r c c r:tfflt• h hl d Jr-.ot Cf'ltr.e:ttmi: •1 l b -, J :'11.).)1 1.10 .-,or:-:.

lT.. 190 I --or1.11,, b;,-' t :.i :"":, ! :i •ar : .r t i,H ~t't1c• a\ •••t. h t :u t11,1ll C.J.c; 5 t,jw! efor •~d (h t '1 hr,o'llgl\ e;o1 t t h• t Ut1e r ccr.trt b u .-d l o tbe :-eo u11-'Hr:1--.. Ulcl ur- t ~: qll ite "' l'l',lr.t •, o !' .!1 &1 t1 , ~ .;i!te · • t•JOftl'J tr.t .., ni, J\t l" 1J l•11er: t a eb h"''P! l:een ,., t f f'e• ,?11 eotineouoa Wltll tl'l t "-c?l i ~ p!'OCn t< I orcan l aod !or t. • .,..,. Crl • o J .t>.11 •• v•r•l t\~11 :".: 111 • <i ! , !\tie•iee•J rru u""' tt, ll ~ \b• \ hr_l la& h tt•I'•, - i-, ,t~c h1, t;o,- t.~ !~1 J ct r d •• ot ~li•,,.. -.. ,.11'1:: -o·ec,.n•.1 o.r c rtolna.1~.

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Jllr. wie ot-11.&l Ila• etHll up -.cli or tiu on r,... UM to t•c t Hht• tba .on. ot ~t a otgllZIIM\IPO lo .t,1oauta, Uc4 , a'lao athct•d • ..,. •

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11n0w. V. Wt.t. Qe,-a ~na,Dt bu aow e:xMmll w- ,._ ot U,m•uam te tM em ot 1969. ,.. t.la i.e. off ~. lld \li, fan a. \N.t ,um. aa4 •IIIN14 lit ao ,,.._ ot 11all&<t1~ oo mrur, &lld

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1 In ca ri co di un a miss ion e segre ta conf er ito a Wies enth a l il 20 a gosto 1945 d a ll ' OS S in A ustr ia .

2 Ce rtifi ca to rilasc ia t o a Wi esent h al il 5 fe bbra io 194,7 da l t en co l. \ V L. W r igh t, ca p o d e l r epar to c ri m ini di gu e rr a d e ll ' ese rc ito am erican o in A ust r ia .

3 Linz, 2 ma rzo 1948: v\l iese nth a l è a u to r izza t o a t e ne re un fuc il e a d ife sa d e l!: sua fa ~ ig ~i a

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« D eportazion e» e « Senza masc h era » D isegno e fot omontagg io fatti da Wicse n t hal a i\fauthaus en agl i inizi d e l 1945.
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Fotografia anteguerra di Aclo l f Eic hman n .
Cu rriculu m vi tae di :\dolf E; c hmann sc ri tto cli suo p ugno e datato Be rlino 19 lug lio 1937 ( t> - 112 )

Adolf Eichmann

Annunc io di mo r te d e l padre di Adolf Eichmann pu bblicato il 6 febbra io 1960 nell'O be rosterreichische N a chrichten a Linz ( p. 127).

Fotografia pr esa dag li uomini di Wies enth a ! ai fun er ali d e l padre di Ei chrnann i primi di fe bbraio 1960. Acca nt o a ll a ved ova si ved e il frat ello Ott o E ichn:iann, la c ui som ig lianza con Ado lf n e fa c iHtò l 'id entifi c azione a Buenos

t I• ,,._ l'tDllwidd. da\- fi.ebt# Yot. ~und ~.,...,
- S. ,..,_ f'60 - 10 Urv -"'°t* nodlo •~ ~bl.auletd-awoti1,.1,_L...,.~,o,q_, ube,,I 111111). l....,..,.. telo i,I', Goti otnbd'llol.,, it.1, ........... ~....,,~iq.....,0191l>oe~· ..., 9. '*'- 1960. ",. 1f \.alt "'on d., .&.u~•· _.,.,..s,~~-- ..tJ1ef'l•m. ,,_! .............. ---............. ...... w-.,_ ............ -------OMM. w.-.... ,.... ... ....._. ....
I , n \ ,,-.. • , ,,.. 1

HERZLICHSTE GLUECKWUENSCHE ZU !HREM GLA ENZ ENDEN ERFOLGE ARCHIV YA DWASHEM +

~IESENTHAL ARCHIV YADWASHEM +

Eichman n su lla nave in v iaggio ve rso l' Ar gentina ne l 1950 . Si era fatto crescere i baffi I d ue uornin i ai lat i sono molto probabihnenl e due aderenti alla ODESSA.

T elegramma di congratu lazion i per la cattura d i Adolf E ic hrnann inviato a

nthal da ll ' arch ivio Yad Vashem d i G erusa lemme ( fJ 130 )

') ! :... ·,..... : -2 ' --'ì 4 I L - l,,1 ... OSTERR. POST- UND TEÌ:L°GRftPHENVE RWALTUNG -..,A..bm: .t,101 t~nz/Oonai. Tele 1,ramm f,.,."'· WIESENT~AL
39 LINZAUSTRIA a
RAIMUNDSTRASSE
W iese
K u r t Wiese ( p 143 )

DIE~ES S TOCK 1ST EIN SCHWINOEL.

ANNE FRANK HAT NIEMAL S GELEBT.

DIE JUDEN HABEN DIE GANZE SACHE

ERFUNOEN UM MEHR W 11::DERGUTMACHUNG

HERAUSZUSCHLAGEN.GLAUBT NICHT

EIN WORT DAVONI ES 1ST REINE

ERFINDUNGI

La nave c he port ò Mengele all'iso la di K ytnos ( /1. 160 ). ( Foto Othmar Katz)

Volan tino lanciato dal loggione del Landestheatcr di L inz ne ll 'ottob re 1958: « Questo lavoro è una grossa truff a ... » ( p. 176).

.._ '~.
'

Pa g in a d ell'e len co telefonico d e ll'anno 1943 d ella G es tapo in O la nd a d ove Wi ese nth a l trovò il n om e d i S il berbauer ( p. 183 ).

Karl Silberbauer.

JlU .... ·-· ]T,J.p•, lle er •• 1o, 1t1 \eU.t~ioH 9' ,..,._ knM~'• Il' I , .e IY 1 , &lbert DIUIHhtela M ud JiD1rMc .,."te 1, & 1 •• }. l1' 1.1., 11' a••• J I'f. :oade ra-.caado (lt A,. t.l.6) - ll..A....w'.1 !DW..ll ...... Oloeillla«",•l NoHia ,:,,.n {elac-r ~,.i...o.et) !llifLù 91dh,ro ~1 1a .)l('7'1.U ·v i ~t •ofl '- • 'JSntl ~ t.~c..s,u~ •ee~d1 Ula h•OIVI' 1I .._ Ptobua ,ei..... i...~.,. Lh,•"1ou1. :e1nc 0Y"!1';JaU Ile ,ru,,er Chr1 odacu1•· IPtt••le'I' ll.U• .lJ.~w. i..,,• ! U<:llaalm 3etivrt t, er.~•fl,} ~t1~~=•b~er :,,,;:i ;cor \;d~lf'il&.ltl"G\,e ·~:,;,: ,, •• 1.J. ,M .,.Q, 11t.•r11• J,.9'°er &c....! ' ALl,J'lni( ;-, t v:rr. ~D<,ttUQII 1!..h..lll , ..... ,.., Cap"!Ue >:-,UJn I W-,lbero 1,,-:,~er ?:y.1'1..a .,, :t.•lto'.lW1$ t, , 9:l"llk'l •01t..,,,••1 "• "• ':i.e l'C v •.t , ,to.ek ow S.rN.1.-r r.ut.per Zhrd.a (7 ) !. tui"e ,ibial't >I i'oot~A ~~;1.,. • outt:"lf •
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Spett-. :Èm'EL TRADING- COMPANY z-. E . Birsel & !bigo- ~ml.er . P-.O- . :S .
Bus ta in testata d
. 20 1 )
Erich Rajakowit sc h (p. 197).
ella di tt a cli Rajakowitsc h in Ita lia (tJ

Il dottor K a rl Babor con un s uo cl ie nte membro d e lla famigli a irnpe ri ale di Addis Abeba ( p. 223 )

Il dottor Babor in Au stria n e l 193 7

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Oli E. I NF•OtSTE M&.)E , sr' v t E. AN..AE.5SL1 Cti RUQ:KSPRACH.€

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llGlUNE R ANZUtO Elll'!N. OA. 0 1[$ ( WNSPOftTE GE.'t11911f.l:U"ASSE •.i'

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OI EH f;A.ST 1N 3-4 WOCHEN KOMNE.N , IIRO,• A-·-:::-:.,·.~ •·

•• G<Z EI Cl'MANN ss .i ·

LA.:,. '.WPt l K-'.T .-:_s , OAL IEGEm>Ell' FS 1ST "til.JIES&. I CH ME.t ,;-Ell OoJ.?Cl'l'A.MFIT DUfl:fH ~AEHA.- OSTRAIJ AM 11:10 • .39 YCRZULEGH ~• •

Te legra m ma, in d ata 16 ottobre 1939, in v ia ~o d a E ic h ma n n a l ca p itano Gi.i nt cr , G est a p o Mahri sch-Ostra u, ri gua rdan te il t r as p orto d egl i zin ga ri n e i cam pi cli co n ce n t ram e nt o (tJ. 235 ).

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C on to pagato dal Co n sig lio Ebraico di Lvov per le se i cord e (a 8,80 zloty ) ch e furono usate per l 'esecuz ione di dodic i suo i membr i il 1 ° set t emb re 1942 ( fJ. 255 ) '2 Schonbach (JJ . 262 ) 3 Anton Schmid ( /J . 26i ),

Ete- is e fahrp l an Treb l inka

Franz Sta ngl ( p. 285 ).

2 Theresia Stangl ( p. 286 ).

3 Orario ferrovia ri o per il trasposto dei deportati a Tr eb linka ( fJ . 288 ).

3 +,¾~.!:~ >"< !l .;~:·~ ;a;.;.c: ;..-' •• Jh: ~ , -;: ' !\

Hans Fischbo ec k (tJ 303 )

Lettera co n la qual e G.A. van d e r Hall chiede al gene rale Christiansen di essere esentato dalla d e portazion e avendo perduto le gambe in guerra. Vi si legge l'annotazi o ne : « Un ebreo è sempre un ebreo con o se nza gambe » ( p. 305 ).

Il Castello di H arthcìm d e l se dic es im o seco lo ch e fu usato dall e SS co me scuol a di ge n ocid io (/J. 318)

Ricost ruzi one d e ll ' interno del Castello di Harth ei m. Nell'a la d estra eran o situati (dall'alto in basso) : la came r a oscura, l' infermer ia, la camera a gas, l'obitorio, il forno cremato rio ( /J . 320 ).

$CHL05S -H ,4 T 1<€11'< ,a l

Lettera con busta inv ia t a a \ iV iesent h a l d a Jonn y S omm e r pr opr ieta ri o d e l R ox y B a r a P ort- au- Pr in ce ( H a it i) e g ià p roprie t a r io d e l ni gh t-cl u b A lì Babà a d Asunc i6n (P a r agu ay) ( ptJ 3 32 -33 3).

L a fotografia nella quale Jonny Sommcr r iconobbe ìn Bormann ( indica to d a lla fr ecc ia) l ' uomo ch e aveva vis to n e l suo n ig ht- club ad Asu n c i6n insieme con Menge le nel 1961 ( f) 333 )

Carta d e ll a « Svizze ra Cil ena » dis eg na ta dai te d eschi n el Cil e e passata a Wies enthal da Frau Bett ina n e ll ' ottobre 1964. Nella zona ~i Va ld iv ia dov e viveva Frau Bett ina un avvoca t o comp rò un t e rreno pe r Bormann ( p. 336 }

KARTENSKtZZE CH1LENISCH E · ScHwE1z "·~...,,..
C:A,.,,-, - ~~·· ...
A,-c:.~.

era sue~ nulla di grave : era stata solo una chiassata da ragazzi. Mi fu detto che i nomi degli studenti sarebbero stati trasmessi alle rispettive scuole per i provvedimenti del caso. Ma nessuno di loro fu punito. A parer mio, quello che contava non erano i ragazzi di Linz, ma ben altro.

Alcune settimane prima, un insegnante di una scuola media di Lubecca, lo Studienrat Lothar Stielau, aveva dichiarato pubblicamente che il diario di Anna Frank era un falso. Era stato querelato dal padre della ragazza e tre esperti aveiv,ano confermato l'autenticità del diario. Secondo la Frankfurter Allgemeine Zeitung, l'accusato per « sei ore aveva oavillato sulla formulazione della coniessione...

La gioventù tedesca dovrebbe essere protetta da simili <educatori> ».

I diSOJidini di Linz mi parvero più gravi perchè erano sintomatici di uno stato di cose riprovevole. Quei giovani teppisti non erano colpevoli; ma lo erano i loro genitori e i loro insegnanti. Gli adulti cercavano di avvelenare gli animi d ella giovane generazione perchè volev,ano giustificare il loro dubbio passato. Molti erano accecati dall'ignoranza, dall'odio e dal fanatismo; non avevano imparato nulla dalla storia. Le esperienze fatte in questi ultimi venti anni mi hanno convinto che i tedeschi e gli austriaci si dividono in tre gruppi. Ci sono i colpevoli, che hanno commesso dei delitti contro l'umanità, anche se in qualche caso tali delitti non possono essere provati. Ci sono i complici: quelli che non commisero delitti, ma che ne erano al corrente e non hanno fatto nulla per impedirli. Ci sono poi gli innocenti. Io credo che sia assolutamente necessario separare gli innocenti dagli altri. La giovane generazione è innocente. Molti fra i giovani che conosco desiderano incamminarsi sulla via della tolleranza e della riconciliazione. Ma solo se ci sarà una resa di conti chiara e netta sarà possibile per i giovani tedeschi e austriaci incontrare i giovani che stanno dall'altra parte della strada: quelli che ricordano, per esperienza personale o per i racconti dei genitori, gli errori del passato. Nessuna sousa può far tacere la voce di undici milioni di morti. I giovani tedeschi che vanno a pregare sulla tomba di Anna Frank lo hanno capito da un pezw. Per giunger e a una riconciliazione, sarà necessario ch e si sappia. Essi devono sapere ciò che è realmente accaduto.

Alcuni giorni dopo le dimostrazioni di Linz, tenni una conferenza sul neo-nazismo nei locali dell'archidiocesi di Vienna. La discussione che seguì durò fino alle due di mattina. Un professore riferì un episodio che era capitato a un suo am ico, un prete che insegnava religione al G ymnasium di Wels, Aus tria Superiore, non lontano da

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Linz. Il prete stava parlando ·delle atrocità naziste a ·Mauthausen, quando uno degli studenti si alzò.

« Padre, è inutil e che ci parli di queste cose. Noi sappiamo che le camere a gas di Mauthausen se rvivano solo p e r disinfettare gli in· dumenti. » Il prete sobbalzò. « Ma avete visto i documenti, le fotografie. Avete visto i cadaveri. »

« Fatti di cartapesta, » disse il ragazzo. « È tutta abile propa· ganda per fare apparire colpevoli i nazisti. »

« Chi lo dice? »

« Lo sanno tutti. Mio padre potrebbe dirle un sacco di cose su queste faccende. »

Il prete riferì l'episodio al preside della scuola. Venne aperta un'inchiesta. Risultò che oltre il cinquanta per cento degli studenti di quella classe avevano i genitori che erano stati membri attivi del movimento nazista. I padri parlavano volentieri ai figli d el loro eroismo, del Joro glorioso passato, di come aves.sero aderito al partito nazista in Austria n egli anni dopo il '30, quando il partito era ancora fuori della legge, di come avessero partecipato a sabotaggi di treni e di ponti, di come avessero stampato e distribuito materiale cJandestino contro il governo Dollfuss. In seguito, quei padri erano diventati delle orgogliose SS. Non è facile per i giovani crescere in un simile ambiente senza rimanerne influenzati. I loro padri avevano avuto paura ed erano rimasti tranquilli nei primi anni del dopoguerra, ma dopo il 1 955 ricominciarono a parlare con nostalgia di quel glorioso passato. I ragazzi ascoltavano entusiasti. I loro insegnanti, molti dei quali erano ex nazisti, non facevano nulla per confutare le eroiche storie raccontate dai padri degli studenti.

Due giorni dopo l'incidente del Landestheater, mi trovavo con un amico in un caffè di Linz. Tutti parlavano di quell'avvenimento. Era possibile ,biasimare i ragazzi ,per le colpe dei loro padri? Non v'è dubbio che essi non fossero responsabili.

Un gruppo di studenti del Gymnasium era seduto ad un tavolino accanto a noi. Il mio amico si rivolse a un ragazzo di cui conosceva bene i genitori.

« Fritz, c'eri anche tu a teatro durant e le dimostrazioni? »

« Purtroppo no, ma c'erano alcuni miei compagni di classe. Due sono stati an che arrestati, » disse Fritz tutto orgoglioso.

« Che cosa ne pensi?» chiese il mio amico.

« Be'... è semplice. Non c'è nessuna prova che Anna Frank sia davvero vissuta. »

« E il diario? » intervenni io.

.. ..
_

« Il diario può esseré u~ abile falso. Senza dubbio, non prov'a che Anna Frank sia esistita. »

« È seppellita in una fossa comune a Bergen-Belsen. »

Fritz scosse le spalle. « Non c'è nessuna prova. »

Una prova. Bisognava presentare una prova ... una prova inconfutabile che potesse convincere quei giovani scettici. Sarebbe · bastato togliere un solo mattone all'edificio di menzogn e che era stato costruito, e tutto sarebbe crollatq. Ma bisognava trovare quel mattone

Mi venne in mente una cosa. « Giovanotto, » dissi, « se potessimo dimostrarti che An na Frank è esistita, ammetteresti l'autenticità del diario?» .

Fritz nù guardò e disse: « E come farà a dimostParlo? »

« Suo padre è ancora vivo. »

« Qu esto non dimostra nulla. »

« Aspetta un momento. Suo padre disse alle autorità che fu la Gestapo ad arrestarli. »

« Sì, » disse il ragazzo con una certa impazienza. « Lo sappiamo, lo sappiamo. »

« Supponi che si trovi l'ufficiale della Gestapo che arrestò Anna Frank. Questa la considereresti una prova valida? »

Sembrò colpito. Quell'idea non gli era mai passata per la mente.

« Sì,» disse alla fine molto a malincuore. « Se quel tale lo ammettesse spontaneamente. »

Era semplice: dovevo trovare l' uomo che aveva arrestato Anna Frank quattordici anni prima. Decine di migliaia di persone erano state rastrellate in tutta Europa da ometti senza nome, anonimi strumenti della morte. Anche al campo di concentramento, non sempre sapevamo i nomi dei nostri aguzzini. Essi si rendevano conto delle possibili conseguenze e cercavano di mascherare la loro identità.

Si ,può dire che non ci fosse alcun _ indizio. Il diario terminava bruscamente ·con l'arresto di Anna Frank. Il padre di Anna, Otto Frank, era il titolare della ditta di esportazioni Kolen & Co. Quando i nazisti confiscarono le proprietà ebree in Olanda, un impiegato olandese della Kolen & Co., di nome Paul Kraler, aveva assunto la gestione fiduciaria dell'azienda. Kraler aveva aiutato i . Frank a nascondersi nella soffitta dell'edificio in Prinzengracht dove la ditta aveva gli uffici.

In una appendice al «Diario», Kraler ricordò che dopo l'arresto d ei Frank egli aveva cercato di intePCedere per loro presso il comando della Gestapo ad Amsterdam. Aveva parlato con l'ufficiale che aveva

1 79

arrestato la famiglia, una SS viennese che, diceva K.raler, si chiamava « Silvernagl ». II suo intervento non aveva avuto successo. Il racconto di Kraler provocò ironici commenti fra i nazisti austriaci. Era noto a tutti che il nome « Silvernagl » non esisteva in Austria.. . un'altra prova che la storia di Anna Frank era un falso.

Avevo ben poco su cui basarmi. Sapevo che la SS era viennese o comunque austriaca. Molti austriaci all'estero si definiscono viennesi. Inoltre, doveva trattarsi di una SS non di grado elevato, poichè il suo compito era quello di arrestare la gente : doveva essere un SS-Schutze, un SS-Rottenfilhrer o tutt'al più un SS-Unterschar- · filhrer.

Questo restringeva il campo d'indagine. La « v » del cognome « Silvernagl » era dovuta probabilmente a un errore di Kraler: la grafia esatta poteva essere « Sil bernagel », che è un cognome abbastanza diffuso in Austria. Sull'elenco telefonico di Vienna c'erano sette Silbernagel e circa un altro centinaio erano registrati in diverse città. Il nome era anche molto difluso nelle province della Carinzia e del Burgenland. Se almeno avessi saputo iil nome di battesimo di quell'uomo!

Continuaj. le ricerche. Fra tutti i Silbernagel, doveva essercene uno che aveva ricoperto un grado non elevato nelle SS durante la guerra e che aveva prestato servizio in Olanda con la Gestapo. Feci indagini su tutti i nominativi cancellandoli ad uno ad uno. Le voci venivano setacciate, i fatti controllati. Era un lavoro lungo e tedioso e dovevo essere estremamente cauto. Se compromettevo un innocente, avrei potuto essere querelato per diffamazione.

Quando la polizia vuole trovare un automobilista che ha commes.50 una grave infrazione, ferma tutte le auto e chiede ai conducenti la patente, e nes.mno osa protestare. Ma io non potevo farlo. Scoprii otto uomini che si chiamavano Silbemagel e che erano stati membri del partito nazista o delle SS e che avevano .J'età giusta. Uno di loro, un ex Obersturmfilhrer (un grado elevato, che escludeva automaticamente questo individuo dalla mia lista) è oggi un alto funzionario della provincia del Bwgenland. Comunque sia, non era mai stato in Olanda.

Chiesi a un amico di mettersi in contatto con detective privati e con agenzie d'investigazione. Il mio amico d~ a ciascun investigatore di aver ricevuto una richiesta di credito da un tale di nome Silbemagel: naturalmente, sempre un Silbernagel diverso. Aggiunse che voleva controllare il passato dell'individuo in questione durame il regime nazista. Ottenemmo molte inform.azioni, ma nessuna tale

180

da condurci all'uomo che cercavamo. Una volta chiesi ad una banca informazioni su un uomo di nome Silbernagel. Le ban che sono molto scrupolose, ma ancora una volta il risultato fu negativo. Trovammo altri due Silbemagel che erano stati nazisti... ma non si può dire che foose una scoperta sensazionale. Stavo per abbandonare le ricerche, quando mi tornarono alla mente le f ac.ce arroganti dei ragazzi di Linz. Volevo che and~ dai loro padri e dicessero loro: « Hai mentito, Anna Frank è esistita. Quante altre menzogne mi hai raccontato?»

Nel 1963 fui invitato a parlare alla televisione olandese. Ad Amsterdam mi recai a visitare la casa di Anna Frank, oggi museo, e toc- . cai le mura che la ragazza aveva toccato. Parlai con il custode della casa, il quale mi dme che spesso aveva pensato all'uomo che si era portato via la ragazza e la sua famiglia. Nessuno aveva la minima idea di chi f~ stato. Aveva domandato in giro, ma tutti si erano stretti nelle spalle.

« Diciannove anni sono molti, » mi disse. « Mi sembra una ricerca senza speranza. »

« Nulla è mai senza speranza, » gli risposi. « Immagini che riesca a trovare la SS che la arrestò e che co.5tui confessi di aver eseguito quell'arresto. »

L'uomo mi gettò un'occhiata penetrante. « In tal caso, lei avrebbe scritto l'epilogo mancante del diario di Anna Frank. »

Per un po' pensai di andare a trovare Otto Frank, il padre di Anna. Forse ricordava l'uomo che er.a andato ad arrestarli la mattina del 4 agosto 1944. Forse sarebbe stato rapace di descrivermelo. Anche un minimo indizio sarebbe servito. In tutti quegli anni quell'uomo dov eva es.5ere cambiato ... ma era probabile che qualcosa potesse farcelo riconoscere.

Non mi misi in contatto con il signor Frank . Devo conf~e che no n fui mosso dal desiderio di non turbare qu ell'uomo che aveva già sofferto tanto, di non costringerlo a frugare di nuovo fra i suoi ricordi. C'era un'altra ragione. Se il signor Frank mi avesse chi esto di non farn e nulla? Avrei potuto accogliere la sua richiesta? Avevo già conosciuto altre persone che non volevano che cercassi coloro che avevano ucciso i loro padri, le loro madri, i loro figli. Dicevano che non avrebbero potuto sopportarlo. Mi chiedevano: « A che serve, signor Wiesenthal? Lei non può resuscitare i morti. Può solo far soffrire i superstiti. »

Stavo ancora rifle ttendo sul da farsi, quando le$i sui giornali che il signor Frank, ad una riunione in Germania, aveva parlato a fa-

181

vore del perdono e ·della ri~onciliazi9Ue. I giQrnali tédeschi lodavano 'S" la sua magnanimità e tolleranza. Rispetto il punto di vista di Otto Frank. Egli ha dimostrato di possedere i principi morali di un uomo che non si limita a predicare il perdono, ma che lo pratica. La sua coscienza gli permette di perdonare. La mia coscienza mi costringe a portare i colpevoli davanti al tribunale. , Ovviamente agiamo su livelli etici diversi, seguiamo vie differenti. Ma c'è un punto in oui le nostre strade s'incontrano e noi ci comprendiamo reciprocamente. Ricordo una discussione che ebbi dopo la guerra con un prete cattolico. Questi mi disse : « Dobbiamo perdonarli. Essi compariranno davanti al Tribunale di Dio. »

« Padre, » gli risposi, « come mai proprio i criminali che non credono in Dio cercano sempre di evitare la giustizia umana e preferiscono aspettare il giudizio di Dio? »

Il mio interlocutore non seppe cosa rispondermi. Qualche tempo dopo, degli amici olandesi mi dissero che il nome della SS che cercavo poteva essere non « Silbemagel » ma « Silbertaler ». A Vienna, cprima della guerra, c'erano stati diversi « Silbertaler », ma erano ebrei ed erano scomparsi tutti. A Vienna e in altri centri dell'Austria scovai tre Silbertaler. Risultarono tutti fuori discussione. Cominciai a rendermi conto dell'estrema difficoltà di riuscire a trovare il solo testimone di cui avessi bisogno. Cominciai addirittura a chiedermi se questo testimone fos.se ancora vivo.

Durante la mia successiva visita ad Amsterdam, mi capitò di parlare con due amici che conoscevano a fondo il caso di Anna Frank. Questi amici erano il signor Ben A. Sijes, dell'Istituto Olandese per la Documentazione di Guerra, e un certo signor Taconis, un alto funzionario della polizia olandese. Nel corso della nostra conversazione vennero fatti molti nomi: quelli degli alti ufficiali delle SS Wilhelm Harster, Alfons Wemer, Willy Zoepf, Gertrud Slottke, e di altri che avevano lavorato per Eichmann. Nel nostro lavoro, un criminale conduce ad un altro. C'erano sempre nuovi indizi, nuovi nomi che non conoscevo. Quando fui sul p-unto di andarmene, Taconis sorridendo mi disse che aveva da darmi una « lettura per il viaggio». Mi portò una copia fotostatica dell'elenco telefonico per il 1943 della Gestapo in Olanda. C'erano elencati circa trecento nomi.

« Se lo legga sull'aereo, » mi disse. « La terrà sveglia. »

« Al contrario. La lettur a di un elenco telefonico mi fa un effetto soporifero. Quando sono in viaggio, di solito la sera in albergo mi metto a ' leggere l'elenco telefonico e il sonno mi viene infallibilmente.»

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Il volo fino a Vienna durava circa due ore. Mi sistemai nella mia ·poltr~. e mi misi a scorrere l'elenco della Gestapo. Ero mezzo addormentato, quando arrivai alla pagina intestata « IV, Sonderkommando ». Sotto l'intestazione « IV B 4, ]oden [ebrei] ?>, lessi:

Mi svegliai di colpo. La Sezione IV B 4 si era occupata del rastrellamento e del trasporto degli ebrei nei campi di sterminio. Se qualcuno in Olanda avesse denunciato alla Gestapo degli ebrei che si nascondevano, la denuncia sarebbe inevitabilmente arrivata alla Sezione IV B 4 di Amsterdam. D'un tratto ,mi parve che l'aeroplano fosse lentissimo. Non vedevo l'ora di arrivare a Vienna. Sapevo che la maggior parte dei membri della Sezione IV B 4 erano stati reclutati fra le forze di polizia in Germania e in Austria, in particolar modo nella Kriminalpolizei (polizia investigativa).

Tornato a casa, prima ancora di togliermi il soprabito, aprii l'elenco di Vienna. Il cuore mi saltò in gola. C'erano circa una dozzina di Siiberbauer. Probabilmente, ce n'erano altrettanti negli elenchi delle alLre città austriache. Se volevo indagare su ciascuno di . essi come avevo fatto in precedenza per i Silbernagel e per i Silbertaler, mi ci sarebbero voluti degli anni. Avevo raggiunto una fase in cui era · necessario procedere per deduzioni. Non potevo fare indagini su ogni persona che si chiamasse Silberbauer. Decisi di cercare una persona con quel nome che avesse lavorato (o lavorasse ancora) per la polizia di Vienna. Era come risolvere un'equazione con molte incognite servendosi di un solo fattore noto. Se volevo arrivare a qualcosa, dovevo partire da un presupposto ben definito.

Telefonai al Polizeirat dottor Josef Wiesinger, capo della Sezione II C del Ministero degli Interni, che si occupa dei crimini nazisti. Wiesinger mi ha spesso aiutato nelle mie indagini. Gli dissi - fors~ con eccessiva fiducia - che avevo trovato l'agente della Gestapo che aveva arrestato Anna Frank.

« È un poliziotto viennese di nome Silberbauer, » dissi. Wiesinger non sospettò il bluff. « Qual è il nome di battesimo?»

« Non lo so. »

« Ci saranno per lo meno sei Silberbauer nella polizia di Vienna, » mi rispose. « Qual è il vostro uomo?»

• ' <
Buschmann
Kempin
Scherf Silberbauer
..,.

« Non dovrebbe essere difficile scoprirlo. Dovrete solo dare un'occhiata al loro stato di servizio. Voglio l'uomo che faceva parte della Sezione IV B 4 ad Amsterdam nell'agosto 1944. »

« Ma si tratta di diciannove anni fa, » replicò Wiesinger piuttosto scettico.

« La vostra documentazione non arriva forse a quell'epoca?»

« Va bene, » disse. « Presenti una richiesta scritta al mio ufficio. »

II 2 giugno 1 963 spedii un rapporto dettagliato. P~arono diverse settimane. In luglio, quando andai a trovare Wiesinger per altre faccende, gli chiesi di nuovo notizie di Silberbauer. Mi rispose che le pratiche di tutti i poliziotti di nome Silberbauer erano « ancora ali'esame». In settembre, quando tornai dalle vacanze, mi recai di nuovo da lui. Mi sentii dire che « fino ad ora non è emerso nulla di positivo».

II 15 ottobre, arrivarono da Amsterdam Sijes e Taconis, che dovevano discutere con me diversi casi di crimini di guerra commessi in Olanda. Andammo a trovare il dottor Wiesinger. Ancora una volta gli chiesi notizie di Silberhauer. I miei amici olandesi, gli dissi, desidererebbero sapere qualcosa.

« Mi dispiace,» rispose il dottor Wiesinger. « Non siamo ancora in grado di dir nulla.» Notai che c'era una sfumatura d'incertezza nella sua voce, ma l'attribuii a nervosismo o a stanchezza. Avevo torto.

La mattina del!' 11 novembre, la Volksstimme, l'organo ufficiale del partito comunista austriaco, uscì con una notizia sensazionale. L'ispettore Karl Silberbauer, della polizia di Vienna, era stato sospeso « in attesa di accertamenti e di una eventuale incriminazione », per il ruolo da lui sostenuto nel caso di Anna Frank. I comunisti sfruttarono al massimo quella bomba. Radio Mosca disse che l'uomo che aveva arrestato Anna Frank era stato smascherato « grazie alla solerzia dei combattenti della resistenza austriaca e degli elementi progressisti». Le lzvestia lodarono poi il lavoro svolto dai compagni austriaci.

Telefonai subito al dottor Wiesinger e lo sentii molto imbarazzato. « Naturalmente avremmo preferito che questa storia fosse stata rivelata da lei e non dai comunisti. Ma come potevamo sapere che Silberbauer avrebbe parlato? Pensavamo che avrebbe tenuto la bocca chiusa.»

Io però decisi di non tenere chiusa la mia. Telefonai al direttore di un giÒrnale olandese ad Amsterdam e gli ra~ontai tutta la storia. La notizia andò sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo.

Ricevetti più telegrammi e lettere che dopo la cattura di Eichmann. Fui anche intervistato dalla radio e dalla televisione. Paul Kraler, che ora si trova in Canada, fece sapere al mondo quale f~ stata la vita dei Frank in quella soffitta. In Svizzera, il signor Frank dichiarò cli aver sempre saputo che l'agente della Gestapo che li aveva arrestati si chiamava Silberbauer.

Tutti erano eccitati, tranne le autorità austriache, le quali dicevano di non capire « la ragione di tutto quel chiasso» (come mi dis.5e un alto funzionario). I giornalisti volevano intervistare Silberbauer, ma il ministro degli Interni si rifiutò di dare alla stampa le foto di Silberbauer e cercò di tenerlo isolato. Io non mi attenni a questa linea di condotta. Diedi l'indirizzo di Silberbauer a un giornalista olandese, perchè pensai che gl i olandesi avessero per lo meno diritto a un'intervista in esclusiva. Quando il giornalista olandese andò a parlare con Silberbauer, trovò il nostro ispettore di polizia (il penultimo grado nella gerarchia della polizia austriaca) molto di malumore. Dis.5e di essere stato silurato.

« Perchè prendersela con me dopo tanti anni? Io ho fatto solo il mio dovere. Avevamo appena comprato dei mobili nuovi a rate, e ades.so mi hanno sospeso dal servizio. Come farò a pagare i mobili? »

« Non sente dispiacere per quello che ha fatto?» gli chiese il gi?rnalista.

« Certo che sento dispiacere. A volte mi sento proprio umiliato. Ora, ogni volta che prendo il tram devo pagare il biglietto, ·come chiunque altro. N on pos.so più mostrare la mia tessera. »

« E Anna Frank ? Ha letto il suo diario?» ' Silberbauer si strinse nelle spalle. « L'ho comprato la settimana scorsa per vedere se si parla di me. Ma il mio nome non c'è. »

« Milioni di persone, » disse il giornalista, « hanno let to il diario prima di lei. E pensare che lei avrebbe potuto essere il primo a leggerlo. »

Silberbauer lo guardò sorpreso.

« f: vero. Non ci avevo mai pensato. Forse non avrei dovuto Ja. sciarlo per terra. »

Se lo aves.se fatto, nessuno avrebbe mai sentito parlare di lui... nè di Anna Frank.

Quando, il 1 5 ottobre, il dottor Wiesinger ani aveva detto : « Non siamo ancora in grado di dir nulla », sapeva già che l'ispettore Karl Silberbauer, in servizio presso il Comando del Primo Distretto di Polizia, aveva ammesso di aver comandato la squadra della Gestapo

e di avere arrestato personalmente Anna Frank e gli altri in quella soffitta di Amsterdam la mat tina del 4 agosto 1 944. Chiesi al dottor Wiesinger perchè mi avesse tenuto nascosta questa notizia. Mi disse di aver ricevuto « ordini dall'alto» di tener segreta la faccenda. Dopo la capi tolazione della Germania, Sil-ber.bauer era fuggito dall'Olanda ed era tornato a Vienna. Poichè aveva lasciato la polizia viennese nel 1943 per arruolarsi nelle SS, nel 1952 dovette sottoporsi a un procedimento di « denazificazione ». Non gli venne mosso alcun addebito e fu reintegrato n el servizio con il grado di ispettore.

Per un mese, dopo che Silberbauer aveva con fessato, i suoi superiori non fecero nulla. Il 4 ottobre fu sospeso dal servizio e gli fu ordinato di non dire una sola parola dell'intera faccenda fino a che non si fosse conclusa l'inchiesta. Un mese dopo, Silberbauer si lamentò con un collega di avere avuto « dei fastidi a causa di quella Anna Frank ». Il collega, che era iscritto al part ito comunista austriaco - ci sono diversi comunisti nella polizia di Vienna - riferì la storia all'organizzazione comunista degli ex internati nei campi di concentramento. Nel corso di una riunione, il I o novembre, un altro raccontò la storia. La mattina dopo, la V olksstimme faceva scoppiare la bomba.

Le autorità austriache non trovarono alcuna prova che Silberbauer fosse colpevole della deportazione dei Frank. Un portavoce del Ministero d egli Interni disse che l'arresto di Anna Frank « non comportava l'arresto di Silberbauer o la sua incriminazione per crimini di guerra». Silberbauer si era limitato ad obbedire agli ordini. Furono prese delle misure disciplinari perchè Silberbauer non aveva dichiarato al consiglio di denazificazione di aver lavorato con la Sezione degli Affari Ebraid della Gestapo in Olanda..

Il signor Frank, quando venne invitato a deporre, disse che colui ch e lo aveva arrestato aveva « fatto solo il suo dovere e si era comportato in modo corretto».

« La sola cosa che chiedo è che non mi si faccia rivedere quell'uomo, » disse il padre di Anna Frank.

Il consiglio di disciplina della polizia assolse Silberbauer da ogni addebito. Oggi, egli ha ripreso servizio nella polizia viennese e lavora all' Erkennungsamt (Ufficio Identificazione).

Dirò fra parentesi che, durante tutti quegli anni in cui io lo stavo cercando, Silberbauer lavorava al comando di polizia, che si trova a dieci minuti di strada dal mio ufficio. Forse c' e ravamo anche incontrati per via. Inoltre, <li fronte al nostro Centro di Documentazione c'è un grosso magazzino di tessuti con un'insegna sulla quale

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si legge SILBERBAUER. Un altro magazzino del genere, che re<:a lo stesso nome, si trova ·proprio accanto all'ingresso del nostro palazzo. Naturalmente, Silberbauer non conta nulla. In confronto degli altri nomi del mio ar,chivio, è un niente, uno zero. Ma subito prima di queìlo zero c'era Anna Frank.

A Linz, poço dopo la guerra, venni a sapere che nella cantina di un castello del XVI secolo situato nella provincia austriaca della Stiria erano stati trovati migliaia di libri religiosi ebraici. Cinque di noi si recarono nella Stiria per fare delle indagini. Il castello, che si trovava in una zona boscosa e isolata, era un edificio massiccio, grigio, cupo e malandato. Un vecchio custode ci condusse in un umido scantinato e accese una fioca lampadina elettrica. Quando i nostri occhi si furono abituati a quel debole chiarore, vedemmo pile di libri neri: Bibbie, libri di preghiera, Talmud. Ce n'erano migliaia e migliaia, ammassati come mucchi di carbone o di mattonelle di coke. Quei libri erano stati portati là dalle case e dalle sinagoghe ebree di tutta l'Europa. I padroni del Terzo Reich avevano pensato di distribuire in seguito quei libri alle biblioteche, alle università e agli istituti scientifici, dove sarebbero stati conservati come curiosità storiche; testimonianze di una razza che non esisteva più. Si pensava che un giorno avrebbero potuto diventare preziosi come i rotoli assiri o le figurine cretesi.

Restammo n a lungo, incapaci di dire una sola parola. Ognuno di noi pensava alle innumerevoli tragedie che quei libri rappresentavano ... pensava agli uomini e alle donne ai quali erano stati portati uia.

Il più giovane di noi era un ebreo della Russia carpatica che mi aveva raccontato di aver perduto tutta la famiglia. Egli si avuicinò al mucchio di libri e cominciò a raccoglierne qualcuno a caso; sfiorava il volume con le labbra e poi lo rimetteva delicatamente a posto sul mucchio. D:un tratto sentii come un rantolo: mi voltai e vidi il giovane che aveva in mano un libro di preghiere. Teneva gli occhi fissi sulla prima pagina ed era diventato pallido come un cencio. Poi barcollò e cadde a terra.

Ci precipitammo accanto a lui. Uno di noi aveva una fiaschetta con dell'acquavite, e quando il giovane aprì gli occhi gliene facemmo ingoiare una sorsata. Le sue mani erano scosse da un tremito.

CAPITOLO IX
AL DI LÀ DELLA RAGIONE

Sulla prima pagina, qualcuno, una donna mi parve, aveva scritto in preda al panico queste righe:

Sono appena arrivati in città. Tra pochi minuti saranno a casa nostra. Se qualcuno trova questo libro, avverta per favore il mio caro fratello ...

Seguiva uno sp azio bianco, e più sotto ancora poche parole, quasi un poscritto, vergato in fretta e pressochi illeggibile: Non dimenticateci! E non dimenticate i nostri assassini! Essi

Lo scritto s'interrompeva qui. Chiusi il libro e guardai il giovane. Era ancora pallido, ma ora sembrava più calmo. « Se non le dispiace, vorrei tenere il libro,» mi disse. « Apparteneva a mia sorella. È morta a Treblinka. » ·

La lettera era stata dettata in una stanza dell'ospedale di Francoforte sul Meno. L'infermiera che l'aveva battuta a macchina disse che la sua paziente, Frau Keller (così la chiamerò), si stava riprendendo abbastanza bene, ma non era ancora in grado di scrivere da sola. Frau Keller aveva tentato di suicidarsi tagliandosi le vene dei polsi e c'era quasi riuscita.

Frau Keller era ansiosa di mettersi in contatto con Herr Wiesenthal dopo aver letto il suo nome sui giornali. Aveva chiesto notizie all'infermiera, che non aveva mai sentito parlare di Herr Wiesenthal ma che aveva assicurato la sua paziente che « tutti gli ebrei si conoscono fra di loro». Aveva spedito la lettera a un ainico in Israele chiedendogli di inoltrarla a Herr Wiesenthal, che senza dubbio egli doveva conoscere. In realtà questo amico non mi conosceva, ma la lettera mi arrivò lo stesso

.Frau Keller mi supplicava, se mi fossi trovato a .passare per Francoforte, di andarla a trovare. Sembrava che le stesse molto a cuore, sebbene la lettera non dicesse di che cosa si trattava. Era acclusa una fotografia ritagliata da un settimanale illustrato tedesco. Vi si vedeva un uomo in piedi sull'orlo di una fossa e sul punto di essere giustiziato. Dietro di lui c'era un soldato tedesco in procinto di sparare.

Un pomeriggio dell'ottobre 1961, conobbi Frau Keller nel tranquillo giardine t to della sua casa in periferia. L'estate di San Martbo era n ell'aria. Da qualche parte giungevano delle risate infantili. Il quadro sarebbe stato tranquillo e piacevole, se non fosse stato per le bende che avvolgevano i polsi di Frau Keller e pe-r il suo viso estremamente pallido. Sui quarantacinque anni, coi capelli biondo

scuro, ~eva una certa: grazia semplice e alla buona. Nello sguardo s'intravedeva ancora l'effetto dello shock subito. Parlava uno strano dialetto tedesco; più tardi mi disse di essere arrivata nel 1948 dalla Germania Orientale.

« Grazie per essere venuto, » mi disse. « Dovevo parlare con qualcuno che capisse il mio problema. La gente qui mi sta a sentire ma non vuole capirmi. Invece... >>

La voce le si spense. Per un po' rimanemmo entrambi in silenzio. Spesso ci vuole del tempo prima che una persona riesca a parlare. È difficile dire certe cooe a un estraneo. Su un tavolinetto fra di noi c'era qu ella fotografia ritagliata da un settimanale illustrato.

Frau Keller era venuta a Francoforte nel 1948. Aveva trovato presto lavoro, e dopo qualche settimana lo aveva conosciuto. Sembrava un uomo tranquillo, simpatico, per bene. Aveva un buon lavoro in una fabbrica dove era stimato da tutti. « Non beveva e non andava dietro alle donne, >> disse Frau Keller. « Quando mi chiese di sposarlo, accettai subito. Per nessuno di noi si trattava d el grande amore; ma eravamo entrambi soli e non più giovani, e con un po' di pazienza e di comprensione il nostro matrimonio avrebbe potuto riuscire. Io non conoscevo nulla del suo passato, ma lei sa come andassero le cose in quei primi anni dopo la guerra. Non si facevano molte domande. Ci sposammo nel 1952 e comprammo questa casa. Versammo un acconto e a ogni anno pagavamo una rata. Fece un sacco di lavori per migliorare la casa perchè sa,peva fare un po' di tutto. Eravamo tutti e due innamorati del nostro giardino. Non vedevamo molta gente. A mio marito non piaceva di fare nuove amicizie e anche per me andava bene così. Una cosa avevo notato: che non parlava mai della guerra. Quando glielo chiedevo, mi rispondeva di averla fatta come tutti gli altri e scrollava stancamente le spalle, come se non volesse ricordare. »

Una mattina del gennaio 1961 - più di sei mesi dopo la cattura di Eichmann e subito dopo che un giornale locale aveva pubblicato un rapporto sulla « campagna di annientamento » nei territori orientali - suo marito le aveva d etto arrivederci come al solito. Aveva preso la borsa d ella colazione con un sandwich, una mela e il giornale, e se n'era andato in fabbrica. Quella sera non er,a tornato a casa.

Frau Keller non dormì tutta la notte. La mattina dopo telefonò in fabbrica. Le risposero che stavano appunto per chiamarla. Suo marito era ammalato? Il giorno prima non si era presentato al lavoro. Fece ricerch e negli ospedali e informarono la polizia. Si pensò che Keller fosse rimasto vittima di un · incidente. Ma ogni ricerca

presoo gli ospedali rimase infruttuosa. La polizia chiese a Frau Keller se suo marito avesse dei «nemici». Ella dichiarò che conoscevano pochissima gente. In fabbrica non sapevano spiegarsi la sua scomparsa. I compa,gni di lavoro dichiararono che Keller era un tipo chiuso, -che se ne stava per conto suo, ma era sempre stato così. La polizia registrò il nome nell'elenco delle persone scomparse, e per quello che riguardava le autorità il caso venne archiviato.

Naturalmente i vicini continuarono a chiacchierare. Era opinione generale che Keller « se ne fosse andato con un'altra donna». Frau Keller non ci credeva. Il suo istinto le diceva che le donne non c'entravano. Se così fosse stato, se ne sarebbe accorta. Ma dove poteva essere andato? Cominciò a cercare un indizio, ripensò ai discorsi che aveva fatto negli ultimi tempi, cercò di ricordare se le avesse detto qualco.sa il cui significato sul momento le fosse sfuggito. Ma tutto fu vano. In casa non aveva trovato lettere nascoste, nessuno era venuto a cercarlo, non era mai stato nervoso, aveva sempre dormito bene e parlava poco.

Si recò aill'uffi.cio delle persone scomparse, ma non ebbe alcuna notizia. Un poliziotto, con molto poco tatto, le disse che « una quantità di uomini abbandonano le mogli ogni settimana, e noi non possiamo farci niente». In seguito Frau Keller non tornò più alla polizia ed evitò di parlare con i vicini. Non le piaceva di es.5ere coinpatita o canzonata. Sapeva benissimo quello che gili altri pensavano. E poi non aveva tempo per le chiacchiere, doveva rimettersi a lavorare per pagare i debiti del marito. La ditta pres.50 cui il marito lavorava non volle darle nulla, e d'altra parte lei non aveva diritto alla pensione in quanto non poteva dimostrare che suo marito fosse morto. In quei mesi Frau Keller imparò che la vita nella società del benes-sere può rivelarsi molto dura.

I mesi passarono e alla fine lei cominciò a pensare al marito come a un morto. Il lavoro la stancava e si rendeva conto che non sarebbe riuscita a mantenere quella casa e quel giardino che erano troppo oari per lei. Il 1 7 aprile 1 961 - un giorno che non dimenticherà mai - andò dal parrucchiere vicino a casa. Mentre se ne sta va sotto il casco, sfogliava oziosamente un settimanale illustrato.

Voltava le pagine meccanioamente, quando vide un articolo illustrato riguardante le esecuzioni in massa degli ebrei a Vinnica, in· Ucraina. In una fotografia si vedeva una fossa nella qua:l.e erano ammassati molti corpi di uomini già morti e an-che, secondo la didascalia, di altri che erano ancor-a moribondi. Sotto c'era una fotografia che rappresentava una esecuzione. La vittima stava in piedi sull'orlo

della fossa. Dietro c'era un soldato tedesco che il fotografo aveva colto nel momento in oui facev,a fuoco. Era un uomo tarchiato, in uniforme grigioverde, con gli occhiali. Una mezza dozzina di soldati assistevano alla scena sogghignando.

Frau Keller fissò impietrita la faccia del soldato che stava sparando. Fu per lei come se fosse stata colpita da un proiettile. Non poteva esserci a!lcun dubbio.

« Sì, Herr Wiesenthal. Era... l'uomo che più tardi sposai. »

Gettò un grido e la rivista le scivolò dalle ginocchia. Accorse gente e tutti furono convinti che fos.5e svenuta sotto il casco. Lei non disse nulla: come avrebbe potuto spiegare quello che· aveva visto?

« La rivista era vecchia di qualche mese,» mi disse Frau KeHer. Veniva da una biblioteca circolante. Se non fossi andata dal parrucchiere quella settimana, non l'avrei mai vista. Non è stata una coincidenza, Herr Wiesenthal, se quel giorno vidi quella fotografia. Solo che... non so come spiegarlo. È qualcosa che sfugge alla ragione. »

Fui d'accordo con lei. « È proprio sicura di non essersi sbagliata? »

« Sicurissima. Ho guardato tante volte quella fotografia con una lente d'ingrandimento. Aveva vent'anni di meno allora, ma non era molto cambiato. Non solo riconobbi la faccia, ma anche il modo in cui teneva la testa e tendeva le braccia. » Scosse il capo assolutamente convinta. « No... Er.a proprio lui. »

Teneva le mani strette. « Quando fui a casa, svenni di nuovo. Avrei voluto morire. Come avrei potuto andare avanti sapendo che avevo passato nove anni con un assassino? Guardai di nuovo quella faccia con una lente <l'ingrandimento. Sul suo volto non si vedeva traccia di emozione mentre sparava a quell'uomo. Forse aveva ucciso centinaia, migliaia di esseri umani a sangue freddo. Oggi so che non era stato costretto a farlo. Era giovane nel 1941, troppo giovane per esservi costretto. Forse si era offerto volontario. Voltai la pagina della rivista e guardai quella fossa, e pensai che forse lui aveva ucciso anche tutti gli altri. Poi mi ricordai delle sue mani, che mi avevano toccato. Fu come se lo avessi aiutato a commettere quelle orribili cose. »

Teneva gli occhi fi.s.5i ne,l vuoto. « Io vengo da una famiglia cristiana. Per tutta la vìt,a ho cercato di non far male nè agli uomini nè agli animali. E 011a mi sembra come se tutto sia stato inutile, come se non vi sia alcun senso in ciò che ho fatto. Ho perso ogni speranza. Fino a quando non lessi i resoconti sul caso Eichmann, non sapevo molto di queste cose. Ora le so. E mio marito era uno di loro. »

Aveva telefonato a un funzionario di polizia che conosceva da anni

e gli aveva chiesto di andarla a trovare. Gli aveva mostrato la fotografia e gli aveva detto di voler informare la polizia.

L'altro l'aveva guardata freddamente. « Vuol dire che ha intenzione di denunciare suo marito? »

Lei era rimasta allibita. Non si er,a aspettata una risposta del genere. Cercò di spiegargli quello che sentiva. È vero che era suo marito, ma era anche un assasmio. Aveva lottato a lungo con la sua coscienza, ma non poteva tenersi per sè quel terribile segreto.

Il poliziotto le aveva detto: « Frau Keller, lei deve essere matta. »

« Ma non capisce?» aveva risposto lei disperata. « Il giorno in cui scomparve, i giornali pubblicarono quel servizio sulle atrocità commesse nei territori orientali. Dev'essere stato qualcosa che ha letto no:1 giornale a spaventarlo. Sapeva che avevano preso Eichmann. Voleva sparire senza che io ne sa~ nulla. Perchè deve a,ver fatto cose terribili. »

« Continuo a pensare che lei sia matta, Frau Keller. Vuole vedere suo marito in prigione? Non capisce che se tiene la bocca chiusa per un po' tutta questa storia sarà dimenticata per sempre? Di .qui a poco queste cose andranno in prescrizione, e allora nessuno potrà più torce11gli un capello. »

Ora Frau Keller continuava a fis5are il vuoto con uno sguardo strano e vacuo.

« Herr Wiesenthal, » disre senza guardarmi, « quel poliziotto si preoccupava solo di mio marito. Mi venne il sospetto che anche lui fosse stato nazista e che magari lo fosse ancora. Questi individui si aiutano gli uni con gli altri. Si alzò e mi disse: <Vuol dire che dovrò denunciare il caso in ufficio. > Ma dal modo in cui lo disse e da come mi guardava capii che non avrebbe aperto bocca. Uscì senza nemmeno salutarmi. Mi considerava una spia. Non so dirle come mi sentissi infelice. Quasi senza rendermene conto, andai nel bagno e ... Lei sa quello che feci. »

Si era salvata solo perchè pochi minutj dopo era arrivato il postino, che aveva sentito un rumore provenire dalla stanza da bagno, era entrato e l'aveva trovata distesa a terra. Con un'ambulanza era stata trasportata di urgenza ali' ospedale.

« Frau Keller, » le dissi, « neanche questa è una concidenza. »

« Sì, lo so. Dovrò vivere con questo pensiero, ma è dllIP sentirsi così completamente soli. Tornai alla polizia e si venne a sapere che tutti i suoi document i peoonali erano .stati rilasciati sotto falso nome. Non sappiamo nemmeno come si chiamasse davvero.»

194

Improvvisamente mi prese una mano. « Mi dica... ho sbagliato a fare quello che ho fatto? Avrei dovuto tenere la bocca chiusa come mi ha detto quel poliziotto?»

« Lei si è comportata benissimo, Frau KeHer. In seguito capirà che non avrebbe potuto fare diversamente. »

Per la prima volta vidi una luce nei suoi occhi. Le chiesi: « Ha cercato di scoprire quale fosse il suo vero nome? »

Scosse il capo. « Speravo che alla polizia mi aiutassero, ma non lo · fecero. Mi chiesero chi ero e se avevo fatto qualche cosa! Si comportarono come se mi fossi inventata tutta quella storia Ora capirà perchè avevo bisogno di parlare con qualcuno che mi credesse. »

« Io le credo. »

C'era ben poco che potessi fare. Informai il pubblico -ministero del caso, e gli diedi il nome del funzionario di -polizia che aveva consigliato a Frau KeUer di tenere la bocca chiusa. Ma è un'impresa impossibile riuscire a scoprire qualcuno di cui s'ignora il nome e si sa solo che a,pparteneva a un reparto militare che prese parte all'esecuzione in massa degli ebrei a Vinnica, nell'Ucraina, verso la fine del 1941. Diverse unità delle SS e della WehJ"111acht parteciparono all'operazione. Non si conoscono i nomi degli uomini che si offrirono volontari per eseguire le fucilazioni. Non conosciamo nemmeno il vero nome del marito scomparso di Frau Keller. Egli rimane cosi un ass~no fra noi.

CAPITOLO X PRIMA GLI AFFARI

Una sera del dicembre 1946, stavo aspettando con impazienza un corriere speciale che doveva arrivare da Bratislava. Avevo già cominciato a raccogliere materiale contro Adolf Eichmann e i membri del suo ufficio, e proprio a Bratislava, capitale della Slovacchia, qualche tempo prima Dieter Wisliceny, uno dei più stretti collaboratori di Eichmann, era stato condannato a morte. Nella cella della morte, Wisliceny aveva dettato un elenco degli aiutanti di Eichmann e aveva rivelato altri particolari riguardanti il suo ex capo. Wisliceny affermava di sapere dove Eichmann si nascondesse. Finalmente arrivò il corriere con l'elenco dei nomi. In ognuna delle principali città dei paesi occupati dai tedeschi era stato distaccato un aiutante di Eichmann. Su una carta d'Europa scrissi, accanto al nome di ciascuna città, i nomi degli uomini di Eichmann. C'erano Rolf e Hans Guenther a Praga; Dannecker a Parigi; Alois Brunner a Atene; Seidl e Burger a Theresienstadt; Hunsche a Budapest; Anton Brunner a Vienna; Erich Rajakowitsch a L'Aja; Wisliceny a Bratislava.

Tracciai delle linee che univano le diverse città e ne venne un disegno che sembrava raffigurare un grosso ragno. Eichrnann era la testa del ragno. La tela del ragno era stata distrutta, ma molti di quelli che erano stati le zampe del ragno erano fuggiti e rimanevano uccelli di ~o.

Il vice di Eichmann, Roll Guenther, probabilmente era morto; suo fratello, Hans Guenther, era scomparso. Seidl, Dannecker e Anton Brunner erano morti. Alois Brunner viveva a Damasco. Anton Burger era nascosto da qualche parte in Germania. Su quella lista c'era un nome che non mi diceva nulla: dottor Erich Rajakowitsch. Non gli prestai alcuna attenzione, perchè c'erano criminali molto più importanti che dovevano ancora essere presi. Ma il nome di Rajakowitsch tornò a comparire in vari documenti che mi capitò di leggere nei mesi seguenti. Quali fossero le sue mansioni nell'organizzazione di Eichmann, non era chiaro. In origine avèva fatto l'avvocato a

1 97

Vienna e aveva ra,ppresentato ricchi clienti ebrei che, molto opportunamente per lui, erano poi spariti senza fare più ritorno. Questo era tutto quello che dapprincipio sapevo di lui. Scoprii che era entrato nelle SS, aveva lavorato per Eichmann, era stato nei territori orientali e poi era scomparso. Alouni dicevano che forse era morto. Altri mi dissero che Rajakowitsch era un tipo in gamba, che forse si nascondeva sotto falso nome in un luogo sicuro: un campo d'internamento alleato. Altri, interrogati, rispondevano evasivamente di non aver mai sentito parlare di lui. Se a quei tempi avessi avuto più esperienza, avrei capito che costoro sapevano benissimo dove viveva Rajakowitsch.

Pazientemente, mi misi a raccogliere altri dati. Eri.eh Rajakowitsch era nato nel 1905 a Trieste (che a quel tempo faceva parte dell'Impero Austro-Ungarico) ed era figlio di un profeswre di ginnasio. All'età di diciotto anni, era andato a studiare legge a Graz, culla di tanti nazisti. Nel 1 934 aveva sposato Anna Maria Rintelen, figlia del dottor Anton Rintelen, ambasciatore d'Austria a Roma sotto il regime Dollfuss e noto filonazista austriaco. In seguito Rajakowitsch aveva cercato un terreno più propizio a Vienna, dove si era messo ad esercitare fa professione legale, e dopo l'invasione di Hitler aveva aderito al Partito, ricevendo la tessera n. 6.330.373: non era proprio un numero basso, ma Herr Doktor Rajakowitsch riuscì in breve a compensare con lo zelo la scarsa anzianità. Nella cartella personale di Rajakowitsch c'era una annotazione dell'anno 1939:

L'Aspirante SS Rajakowitsch attualmente svolge mansioni di consigliere le· gaie presso l'Ufficio Centrale dell'Emigrazione Ebraica a Vienna e presso gli uffici di Praga e di Berlino. Egli svolge il suo lavoro con competenza, rapidità ed efficienza. Durante un'Einsatz [azione] di quattro. settimane in Polonia, ha dimostrato di saper essere all'altezza di ogni situazione. Ha un concetto ben preciso della vita, ha modi energici, e tiene una condotta degna di un nazionalsocialista. Tali sue qualità lo raccomandano per la promozione al grado di SS-Fiihrer. • Eichmann SS-Hptstuf.

L'Ufficio viennese per l'Emigrazione Ebraica, diretto da Eichmann, diventò il mode'llo di uffici simili impiantati in tutta Europa. Era situato nel palazzo Rothschild, sulla Prinz Eugen Strasse. Eichmann e Rajakov.1itsch s'incontravano spesso in quelle stanze in cui il 13 marzo 1938, una domenica, il barone Louis von Rothschild, capo della ,casa dei Rothschild, era stato arrestato da sei uomini in elmetto d'acciaio, ai quali il maggiordomo aveva detto di aspettare che il signor barone finisse iil pranzo. I sei uomini aspettarono, per-

chè il protocollo nazista non a:veva previsto una tale eventualità. Il barone venne rinchiuso in una ceila del carcere giudiziario di Vienna e in seguito trasferito all'Hotel Monopol, dove aveva sede la Gestapo. I nazisti chiesero 20 milioni di dollari per lasciarlo libero, il riscatto più alto che la storia conosca. Ma dovettero accontentarsi di meno.

Nell'ottobre del 1939, Rajakowitsch si arruolò volontario. nelle SS e venne inviato a Nisko, in Polonia, dove, per iniziativa di Eichmann, si stava creando il ,primo campo di concentramento. Reinhar<l Heydrich era favorevole all'idea di concentrare gli ebrei prima di mandarli nei campi di sterminio. Secondo l'atto d'accusa ·

Venne detto agli ebrei che il Fiìhrer aveva promesso loro nuove case. A Nisko non c'erano case, ma fu consentito agli ebrei di costruirne. Venne detto agli ebrei che i pozzi della zona erano contaminati, ma se volevano scavare forse avrebbero trovato dell'acqua. Circa un quarto degli ebrei che arrivarono con il primo trasporto dovettero proseguire a piedi verso est. Quelli che cercarono di tornare furono fucilati.

Nel 1 940, Rajakowitsch era già diventato un ingranaggio importante nell'organizzazione di Eichmann. Egli fu uno dei fautori del cooiddetto « Piano Madagascar», che prevedeva la deportazione di tutti gli ebrei di Europa nell'isola di Madagascar, che i tedeschi pensavano di ottenere dai francesi dopo la conclusione di un trattato di pace con la Francia sconfitta. Nel « Piano Madagascar» si 1egge per la prima volta la frase sinistra : « la soluzione finale del problema ebraico».

Per un certo tempo Eichmann. s'interessò molto al progetto. Al Referat IV B 4 Rajakowitsch divenne l'esperto ufficiale del « Piano Madagascar ». Una volta egli si recò con Eichmann all'Istituto Tropicale di Amburgo, dove insieme studiarono il clima e le condizioni di vita sull'isola. Il progetto venne abbandonato più tardi, quando sembrò che non si sarebbe .concluso a:lcun trattato ·di pace con fa Francia. .

Nell'aprile del 1941 il dottor Rajakowitsch fu nominato SS-Obersturmfiihrer e venne inviato da Reinhard Heydrich in Olanda per creare un altro Ufficio per l'Emigrazione Ebraica, « che potesse servire da modello per la soluzione ·del problema ebraico in tutti gli stati europei ». La soluzione, secondo l'atto d'accusa del pubblico ministero, « consistè nella spoliazione malamente camuffata degli ebrei in Olanda». Venne costituita una cosidetta Vermogensverwaltungs und Rentenanstalt (Amministrazione di Beni e Rendite) e Herr

1 99

Doktor ne diventò uno degli amministratori. Dopo l'espulsione degli ebrei dall'Olanda, nel 1943 Rajakowitsch si arruolò volontario nelle Waffen SS, frequentò un corso « per ufficiali tedeschi » a Bad Tolz, in Baviera, quindi fu inviato sul fronte orientale.

Il nome di Rajakowitsch venne fatto di nuovo durante il procesw Eichmann a Gerusalemme. Parlando delle sue attività nei Paesi Bas-si, Eichmann aveva detto: « Quando cinque anni fa, nel r 955, parlai con R ajakowitsch ... egli mi confermò alouni particolari de1l'operazione.. . »

Così nel 1955 Rajakowitsch era ancora vivo. Aveva vissuto, e forse viveva ancora, in Argentina ed era stato in stretto contatto con Eichmann. Nel prosieguo del dibattito apparve chiara la parte sostenuta da Rajakowitsch nell'organizzazione Eichmann. I d ooumenti relativi allo sterminio degli ebrei in Olanda fecero si che Rajakowitsch balzasse al primo posto nel mio elenco. La spiegazione di ciò è contenuta nel testo dell'atto d'accusa formulato contro Rajakowitsch a Vienna nel luglio 1 964 :

Alla data del 1° ottobre 1941 c'erano nell'Olanda occupata 140.000 ebrei censiti. In seguito alcune centinaia si suicidarono e altri morirono nei campi di concentramento in Olanda. Circa 110.000 vennero d eportati, dopo il luglio 1942, in Polonia, dove furono uccis i. Dopo la liberazione, solo 5000 ebrei tornarono nei Paesi Bassi.

Nel 1941 lo SS-Standartenfilhrer d ottor Wilhelm Harster venne nominato sottocomrnissario per il problema ebraico. Il suo ufficio dell'Aja ordinò le d eportazioni che cominciarono schliigartig [improvvisamente] nel luglio 1942. L'ufficio centrale del Referat IV B 4 a Berlino e la succursale dell'Aja si tenevano in stretto contatto. Lo stesso Eichmann si rec ò in Olanda per discut ere tutti i problemi più importanti. Il 28 agosto 1941, Harster emanò una circolare segreta con la quale veniva creato il Sonder-Referat Jud en (SRJ), che significa « Ufficio Speciale per gli ebrei ». Scopo di questo ufficio era « la soluzione finale del problema ebraico».

Il dottor Erich Rajakowitsch fu messo a capo del SRJ.

Secondo gli arùcoli 5, 134, 135 e 136 del codice penale austria co, il dottor Rajakowitsch è accusato di complicità in omicidio e deve essere punito in base all'articolo 136.

L'articolo I 36 prevede l a pena dell'ergastolo.

Il 1° ottobre 1961, pochi mesi dopo il processo Eichmann, ripresi il mio lavoro al Centro di Documentazione di Vienna. Il mio primo caso fu quello del dottor Erich Raj akowitsch. Presentai al pubblico ministero di Vienna tutti i fatti riguardanti Rajakowi tsch che erano venuti alla luce durante il processo Eichmann e tutti i documenti su lle attività da lui svolte n ei Paesi Bassi . Il pubblico ministero stu-

2.00

diò il materiale e lo giudicò sufficiente per una inchiesta preliminare. Venne così spiccato un nuovo mandato contro il dottor Erich Rajakowitsch, « domiciJio sconosciuto».

Dove poteva trovarsi? Quasi subito pensai al Sud-America. Eichmann c'era stato e altri ci vivevano ancora. C'era anche la probabilità che fosse stato in America, ma si fosse poi trasferito in Spagna, in Italia, in Germania o in Austria.

Cominciai le ricerche svolgendo caute indagini pres5<> coloro che avevano avuto contatti professionali con Rajakowitsch: avvocati, giudici, impiegati di tribunale. Come altri noti avvocati di Vienna, Rajakowitsch aveva amministrato i beni dei veochi clienti ebrei che non erano più tornati. In seguito alcuni avvocati cercarono di rintracciare gli eredi dei foro clienti; altri non lo fecero. Sembrava che Rajakowitsch non avesse fatto alcun tentativo in tal senso.

Nell'inverno del 1961, mentre nuove informazioni pervenivano al mio ufficio, fui in grado di ri·costruire la ·carriera postbellica del forInidabile avvocato. Dopo la capitolazione, era rimasto 'per breve tempo in u n campo di prigionia americano, dail quale era successivamen te fuggito. Si nascose per un po' in Stiria pres5<> la ex moglie - dalla quale aveva divo~ato nel 1944 e che in seguito sposò l'ex NS Gauhauptmann della Stiria, professor Arnim Dadieu, attualmente capo dell'Istituto Tedesco per le Ricerche Mis&listiche a Stoccarda (Forschungsinstitut fii.r Physik der Strahlantriebe).

Gli inglesi cercarono Rajakowitsch ma non riuscirono a trovarlo, sebbene egli vivesse proprio nel cuore della zona britannica, a Graz, capitale della Stiria. Nel 1947, Rajakowitsch si era trasferito a Trieste, sua città natale, investendo grosse somme nella ditta Enneri & C. ( « Importazioni-Esportazioni-Rappresentanze-Commissioni»). Indirizzo telegrafico: RAJARICO.

Nel 1951 e nell'anno seguente; Rajakowitsch fu in Sud-America. Visitò diversi paesi e pensò di stabilirsi laggiù, ma alla fine tornò in Europa. Scoprii che nel 1952 era stato spiccato in Austria un primo mandato contro di lui a causa delle sue attività connesse con l' « arianizzazione »; ma dopo il 1950 Rajakowitsch era stato parecchie volte in Austria senza preoccuparsi, evidentemente, della possibilità di essere arrestato. Aveva le sue buone ragioni: infatti il procedimento venne archiviato dal tribunale di Graz « per mancanza di prove ». Dal punto di vista legale, Rajakowitsch era di nuovo un uomo libero. Il 22 agosto 1953 cambiò il proprio nome in quello di Raja. Assunse il pieno controllo della Enneri & C. e ne trasferì la sede da Trieste a Milano, capitale commerciale e finanziaria dell'Italia, in

201

viale Bianca Maria 3 I. L'ufficio di Trieste diventò una filiale della ditta. A Milano Raja, che conservò la cittadinanza austriaca, andò ad abitare in un elegante appartamento di corso Concordia 8. (Quando il primo mandato era ancora operante, il consolato generale austriaco di Trieste aveva rilasciato a Rajakowitsch un pa$aporto sotto il nome di Raja. Evidentemente l'abbreviazione del cognome era stato un utile espediente.)

La Enneri & C. si dimostrò un'impresa molto interessante. Fondata dopo la guerra dall'istriano Corrado Enneri e dall'austriaco Emil Felix, la ditta si era specializzata nel commercio con i paesi di oltre cortina. Aveva avuto rapporti con un certo Raoul Janiti di Trieste, che gli italiani avevano messo sotto inchiesta per contrabbando di merci strategiche con i paesi comunisti. Una segretaria dell'azienda era fa signora Giuliana Tendella, che nel 1957 diventò la seconda moglie di Raja. La Enneri & C. sviluppò in breve ottimi rapporti d'affari con l'Unione Sovietica, la Polonia, la Cecoslovacchia, l'Ungheria e la Germania Orientale. Il dottor Raja fece parecchi viaggi a Mosca, Praga, V arsavia, Posen e Berlino Est, dove l'ex SS-Obersturmfuhrer venne simpaticamente accolto dai burocrati comunisti.

Sembra che Raja mettesse insieme una cospicua fortuna commerciando con gli ex nemici della Germania di Hitler. Ma le parti interessate a questi affari non avevano scrupoli politici. Raja era molto noto fra gli .ex SS Kameraden della Germania Orientale, che dopo la guerra erano diventati membri zelanti del partito comunista. Raja finì per monopolizzare praticamente tutte le esportazioni di ferro, grafite e lignite delle repubbliche socialiste. La Enneri & C. importava in Italia ferro, grafite, lignite, oltre a legno e vetro, ed esportava macchinari per navi nella Germania Orientale e medicinali in Ungheria. Gli ~ffari prima di tutto.

Raja era in ouimi raipporti con i dirigenti di diverse acciaierie italiane e si interessò a fondo ad un procedimento per la fabbricazione di tubi continui di cui i sovietici avevano estremo bisogno per i loro oleodotti. I giornali italiani riferirono in seguito che i servizi d'informazione italiani avevano cominciato a tenere d'occhio le attività di Raja in quanto si µteneva possibile che esistessero dei rapporti fra alcuni casi di spionaiggio industriale verificatisi in Italia e l'esportazione di merci strategiche proibite. Pescare nel torbido doveva rendere bene. Al momento del suo arresto, Raja, a quanto pare, era milionario in dollari. Possedeva una bella casa, Villa Anita, a Melide, presso Lugano, 'in Svizzera.

2.02.

Scrissi a1 dottor Louis de Jong , direttore dell' Istituto di Stato Olandese per la Documentazione di Guerra ad Amsterdam, dicendogli che conosrcevo l'indirizzo attuale d i Rajakowitsch e chiedendogli materia.li sulle attività del dottore nei Paesi Bas&. II dottor de J ong incaricò uno dei suoi migliori aiutanti, lo storico B.A. Sijes, di raccogliere la documentazione sulla parte avuta da Rajakowitsch nella soluz.ione finale del problema ebraico in Olanda. Nel marzo 1962 consegnai al pubblico ministero di Vienna un dos.5ier completo sull'attività di Rajak owitsch in Olanda fra il 1938 e ,il 1944. Fra parentesi, dirò che molte informazioni su Rajakowitsch (eccettuate quelle sulle sue attività in Olanda) le ottenni da una banca di Vien na. Non fu difficile: mi presentai come un uomo d'affari che aveva interesse a conoscere la posizione finanziaria della ditta Enneri & C. La banca fec e un buon lavoro. Mi comunicarono perfino la targa della macchina di Rajakowitsch, il numero di dipendenti che aveva in ufficio e in casa, le ditte con cui aveva rapporti di affari ed altri particolari. Le banche possono essere talora delle utili istituzioni.

Trovai le prove che Rajak_owitsch si era recato spesso a Vienna fino a q_uando non venne spiccato contro di lui il secondo mandato nel 1961 . Da quel momento era rimasto alla larga. Nel mano 1962 mi recai a Milano per discutere· il caso con le autorità italiane. Quando fornii le mie informazioni su Rajakowitsch a un certo colonnello Mantarro al Palazzo di Giustizia, questi scosse la testa stupito.

« Come ha fatto a scoprire tutte queste cose? Quanti agenti lavorano per lei in Italia? »

« Colonnello, » gli risposi fingendomi sorpreso, « non vorrà che le riveli i miei segreti professionali, vero? »

Andai anche dal comandante dei carabinieri di Milano, il quale mi chiese: « Così lei è la persona che ha avuto le mani in pasta nell'affare Eichmann? »

Annuii.

« Signor Wiesenthal, » mi disse con moltà calma. « Dov'è il suo battello? o il suo aeroplano privato? »

Dovetti assicurarlo che non avevo alcuna intenzione di rapire Ra jakowitsch.

Gli italiani si dimostrarono comprensivi con me, ma mi dissero che non potevano arrestare Rajakowitsch. Non era cittadino italiano e non aveva commesso alcun reato contro cittadini italiani. Le sue attività si erano svolte altrove. Una delegazione di varie organizza-

2.03

zioni ebraiche si recò a sollecitare l'intervento del ministro della Giustizia a Roma. Il ministro studiò il caso e disse che avrebbe potuto far spiccare un mandato, valido ~ta giorni, contro Raja-Rajakowitsch se l'ambasciatore austriaco lo avesse ufficialmente richiesto. Questo significava che l'ambasciatore austriaco avrebbe dovuto farsi dare istruzioni dal Ministero degli Esteri di Vienna, il quale a sua volta sarebbe intervenuto su richiesta del Ministero della Giustizia.

Decisi di tuffanni negli oscuri labirinti della burocrazia austriaca e mi recai al Ministero della Giustizia a Vienna, per cercare di sapere chi si occupasse della faccenda - il che non era una impresa facile - e se sarebbe stato chiesto al Ministero della Giustizia italiano, attraverso le nor.mali vie diplomatiche, un mandato di estradizione per il dottor Erich Raja.

Quello che volevo sapere era molto semplice, ma ottenni solo risposte tortuose. Mi venne detto che le indagini erano « ancora in corso ». Che « non si era ancora giunti » a una decisione definitiva. Così, invece di trovare uno zelo poco burocratico, trovai una evasività molto burocratica. Le ruote della giustizia austriaca, che non sono mai molto svelte, sembravano girare particolarmente piano in questo caso. Il procuratore generale mi disse di essere occupatissimo e aggiunse che era in procinto di p~rtire per le vacanze pasquali.

« H e,·r Generalanwal.t, » gli risposi, « le auguro una buona Pasqua. Quanto a Herr Doktor Raja, penserò io a procurargli una buona Pasqua. »

Non c'era che un modo per superare questo vicolo cieco: dare la masmna pubblicità al caso. Il pomeriggio dell'8 aprile I 963 andai da Dino Frescobaldi, corrispondente da Vienna del Corriere della Sera di Milano, e gli raccontai tutta la storia.

Due ore più tardi, a Milano, il direttore del Corriere mandava a casa del dottor Raja un redattore che fu ricevuto dal figlio di Rajakowitsch il quale gli chiese che cosa volesse. Il giornalista gli spiegò che avrebbero pubblicato un servizio sul dottor Raja e chiese una dichiarazione dell'interessato. Il figlio di Rajakowivpi gli disse se per cortesia poteva aspettare un momento; poi andò a parlare con · il padre e tornò di U a poco.

« Mio padre passerà da voi domani mattina, » disse. Il redattore tornò al giornale. Il direttore del Corriere ammise più tardi di aver fatto uno sbaglio mettendo sull'avviso Raja. A mezzanotte la storia cli Raja era stata ripresa dalle agenzie e circolava in tutta Italia. La mattina dopo il dottor Raja fu visto recarsi in banca subito dopo l'apertura. Più tardi mi fu ,riferito che egli avrebbe ritirato circa

cento milioni di lire in contanti. Montò sulla sua Fiat 2000 coupé, si allontanò e scomparve.

Intanto la storia del dottor Raja era sulle prime pagine di tutti i giornali d'Europa. Molti quotidiani pubblicarono la sua fotografia, che era quella di un uomo dai capelli biondo-scuri, con un volto lungo ed ingenuo, la fronte alta e gli occhi chiari, che sembrava guardare il lettore con un'espresmone ironica. Un giornalista del Corrier e m'informò per telefono che Raja aveva attraversato il confine italosvizzero a Chiasso. Telefonai alla Uniteci Press di Zurigo e chiesi loro di informare la polizia elvetica che Raja era arriv,ato in Svizzera. Gli svizzeri si recarono alla sua villa di Melide, ma non lo trovarono. La mattina dopo si presentò alla polizia di Lugano la cameriera di un albergo della città, che aveva visto il Corriere della Sera con la fotografia del dottor Raja, e che dichiarò di essere sicura che quell'uomo alloggiava nel suo albergo.

La polizia elvetica informò Raja che egli era considerato uno « straniero indesiderabile » e lo invitò a lasciare immediatamente il paese. Raja tornò . a Chiasro, ma la polizia di frontiera italiana non lasciò passare la sua Fiat ros.m e comunicò al dottore che egli era indesiderabile anche in Italia. Nei giorni seguenti, tre paesi confinanti con la Svizzera rifiutarono di accogliere Raja: l'Italia, la Francia, la Germania. Nel quarto, l'Austria, lo aspettava un mandato di cattura. Non era una prospettiva piacevole per il ricco avvocato.

Per qualche tempo fui tempestato da informazioni di persone che ritenevano di aver visto il dottor Raja in questo o in quel posto; ma quando andavamo a controllare, Raja era sparito di nuovo. Era, come scrisse un giornale italiano, una versione moderna dell'aria di ROs.5ini « Figaro qua, Figaro là ». A Lugano, Raj~ disse a:lla polizia svizzera che aveva intenzione di recarsi a Vienna « per querelare Wiesenthal ».

Effettivamente Raja andò a trovare il suo avvocato di Zurigo e insieme telefonarono all'avvocato di Raja a Vienna, il dottor ~al. Questi consigliò a Raja di tornare in Austria per affrontare la situazione. Attraverso la United Press di Zurigo, arrivò a Vienna la notizia che Raja era in procinto di prendere il primo aeroplano, all'aeroporto di Kloten, diretto a Vienna.

Giornalisti, cronisti della televisione e della radio, funzionari di polizia si precipitarono all'aeroporto Schwechat. La storia di Raja aveva fatto sensazione in Europa. Si scommetteva sulla probabilità che Raja tornasse a Vienna e si consegnasse a:lle autorità o cercasse di scappare, magari in Sud-America. Mentre il Caravelle della SwÌ$air

scendeva sull'aeroporto di Vienna, mi unii al « comitato dei festeggiamenti». L'aeroplano atterrò, ma il dottor Eric h Raja non era fra i pasreggeri. Ci fu una serie di telefonate afiannose e alla fine si seppe ch e Raja era salito sul Caravelle a Zurigo, ma durante la breve sosta a Monaco era sparito.

Tornai in ufficio, dove ricevetti una chiamata urgente da un alto funzionario della polizia di Monaco.

« Abbiamo bisogno -del suo aiuto, Herr Wiesenthal. Dov'è Raja? Abbiamo mobilitato tutte le forze di polizia disponibili. Il ministro degli Interni è furioso. Dobbiamo prendere R aja... Altrimenti i giornali ci fa r anno ballare. »

Gli dissi di sorvegliare le frontiere della Baviera e, già che c'era, gli consigliai di dare un'occhiata ai precedenti dell'ex superiore di Raja in Olanda, l'ex SS-Brigadefuhrer dottor Wilhelm Harster.

« Temo che ciò renderà ancora più furibondo il vostro ministro. Infatti mi risulta che Harster sia ora Oberregierungsrat al Ministero degli Interni bavarese a Monaco.»

Raccontai la storia di Harster al corrispondente viennese della Deutsche Presse Agentur. Ventiquattr'ore dopo i giornali tedeschi la stampavano e l'ex SS-Brigadefuhrer Harster veniva sospeso dal servizio. Nel gennaio 1966 fu arrestato.

Il caso Harster fece scoppiare uno scandalo politi co a Monaco. Il 25 giugno 1943 il dottor Wilhelm Harster, maggiore generale della polizia tedesca, capo della SD e della polizia di sicurezza tedesca in Olanda, aveva comunicato al Reichskommissar di Hitler, Seysslnq uart: « Il centomillesimo dei 140.000 ebrei esistenti nei Paesi Bassi è stato deportato dal paese... Domenica 20 giugno, ad Amsterdam, nel corso di una apposita operazione, sono stati catturati nel giro di ventiquattr'ore 5500 ebrei. »

Dopo che Harster fu arrestato, a:pparve chiaro che al Ministero degli Interni, dove sin dal 1956 egli aveva ricoperto una carica importante, il prevenuto aveva avuto fra i suoi superiori persone appartenenti a tutti i principali partiti politici della Baviera (CSU, SPD, FDP e Partito Bavarese). Harster aveva dichiarato puibblicamente:

« I miei superiori conoscono benissimo i miei precedenti. » Almeno cinque alti funzionari del Ministero avevano caldeggiato il conferimento all'ex SS-Fuhrer di una carica importante al Ministero, e in base a queste raccomandazioni il ministro aveva firmato la nomina. In seguito il ministro ammise: « Credo che qualcuno abbia cercato di <combinare> la cosa senza informarmi sulla verità dei fatti. »

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Alouni dei funzionari impli cati sostengono di non ricordare più che cosa avvenne. Il processo contro l'ex capo di Raja è attualmente in fase istruttoria

Mentre la polizia bavarese cercava affannosamente Raja, andai a trovare il procuratore generale presso il Ministero della Giustizia austriaco. Era appena tornato dalle vacanze di Pasqua. Gli chiesi se il suo ufficio aveva intenzione di procedere nei confronti di R aja.

Il procuratore ~nerale fu evasivo. Bisognava vedere se il materiale raccolto contro Raja sarebbe stato « ritenuto sufficiente». C'era un mandato nei suoi confronti, ma per il momento si pensava « solo a un'inchiesta preliminare ». Era necessario attendere i risultati di questa inquesta.

Gli risposi: « Herr Hofrat, oggi cade la Pasqua ebraica. Ho qui il mio libro di preghiere : avevo intenzione di andare alla sinagoga a recitare la preghiera per i morti. Con il suo permesso, reciterò qui, nel suo ufficio, la preghiera per i 1 1 0.000 ebrei olandesi morti. »

Il magistrato apparve molto seccato. « Che cosa vuole che faccia?» ·

« Voglio giustizia. Lei ha visto il materiale esistente contro Raj a e sa che dovrebbe essere arrestato. »

« E se poi risultasse innocente?»

« In questo momento tutto il mond o la osserva e aspetta che lei faccia qualcosa. Onestamente penso c he sia meglio, per il prestigio dell'Austria, se Raja viene arrestato e magari in seguito rilasciato, piuttosto che gli si permetta di andarsene in giro 'liberamente a farsi beffe della giustizia austriaca. »

Feci un inchino allo He.rr Hofrat e usai.i. B giorno dopo, Raja arrivò in auto pwveniente da Monaco. Non era stato fermato al confine austriaco sebbene fosse sulla lista dei « ricercati » sia della polizia austriaca che di quella tedesca. Si recò al tribunale di Vienna dove lo aspettava un giudice istruttore. Raj a era ancora un uomo libero.

Più tardi nella mattinata parlai ancora con il procuratore generale, il quale mi disse che il dottor Raja era sotto interrogatorio.

« E ... ? » chiesi.

« Credo che lo stiano aspettando. Vada a dare un'occhiata.»

Attraversai il corridoio del tribunale. Due poliziotti erano fermi davanti alla porta del giudice istruttore, pronti ad arrestare Raja non appena avesse lasci ato la stanza.

Nel tardo pome riggio <lei 23 apri le - poch e ore dopo l'arresto di

Raja a Vienna - un rappresentante dell'Istituto per il Commercio della Germania Orientale, « Interkammer », fu visto togliere dal padiglione deH' << Interkammer » alla Fiera di Milano diversi oggetti appartenenti alla ditta Enneri & C. Fu anche tolta una fotografia in cui si vedeva Raja in compagnia di funzionari dell' « Interkammer » e di esponenti della missione commerciale sovietica a Roma.. Fu anche notato che il Partito Comunista Italiano, che in precedenza aveva definito Raja « l'assassino di Anna. Frank » e il « boia di Eichmann », ignorò completamente il suo arresto. Secondo i giornali non comunisti, le autorità italiane stava.no investigando su una probabile collaborazione fra l'ex SS Raja e il Partito Comunista Italiano. Alcuni giornali italiani scrissero che la. Enneri & C. aveva versato al Partito le percentuali sui suoi affari con i paesi deH'Europa orientale.

Nikolaj Svetailov, membro della missione commerciale sovietica. a Roma, che aveva. avuto spesso rapporti di affa.ri con Raja, venne richiamato a Mosca.. I giornali riferirono che a. Mosca Raja aveva stretti rapporti con Valentin Khrabrov, un alto funziona.rio che si occupa.va del coordinamento della ricerca scientifica. Alcuni ricordarono che Ra.ja manteneva buoni rapporti con il secondo marito della prima moglie, professor Amim Dadieu, dell'Istituto di Ricerche Missilistiche di Stoccarda.

11 giornale Il Tempo di Roma in data r agosto 1963 diede la notizia che i comunisti italiani erano molto preoccupati per le indagini in corso sull'ex braccio destro di Eichma.nn, Rajakowitsch. Questi era divenuto dopo la guerra un ,a.gente sovietico e aveva avuto stretti contatti con i dirigenti del partito comunista italiano, specialmente con gli esperti in commercio con ol'estero. Es.si dicevano di averlo aocolto solo perchè i compagni della missione commerciale sovietica avevano garantito pe.r Ra.ja affermando che era « un buon patriota e amico sincero della Repubblica Democratica Tedesca. e del partito comunista ».

Il processo contro Raja.kowitsch ebbe luogo a Vienna nell'aprile , I 965. Tutti notarono che in tribunale l'imputato si comportava con notevole arroganza (le « maniere energiche » che erano tanto piaciute al suo amico Eichmann). Era pieno di sicumera, rifiutava di rispondere alle domande, e più di una volta irritò gli avvocati del suo collegio di difesa. In una occasione disse alla giuria che i suoi guadagni mensili erano dieci volte quelli di un qualsiasi giurato. Un'altra volta ridicolizzò il pubblico ministero e offese il giudice. Il tribunale lo condannò a due anni e mezzo di carcere.

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Nell'ottobre 1965 il dottor Raja venne liberato. Ora vive in Austria, e fa anche bene a restarci. Gli olandesi hanno spiccato contro di lui un mandato di cattura, e se Raja si azzardasse a lasciare l'Austria gli olandesi chiederebbero la sua estradizione e lo trascinerebbero davanti a un tribunale dei Paesi Bassi. Raja sembra . perfettamente soddisfatto di vivere la vita del ricco avvocato e uomo d'affari in pensione. Per lui sono venuti so:mpre « prima gli affari », e gli affari gli hanno fruttato. Suo figlio Klaus dirige la ditta Enneri & C.

Dopo l'arresto del dottor Erich Raja, fui invitato a parlare ad Amsterdam nel corso di una riunione di ex membri della Resistenza olandese. Raja era stato molto noto in Olanda e il caso aveva suscitato un grande interesse.

La mattina dopo la conferenza, mi telefonò una signora olandese. Si trovava neW atrio dell'albergo e mi chiese se potevo vederla per un minuto. Scesi e mi trovai di fronte una donna anziana, con i capelli grigi e due dolci occhi grigio-azzurri. Era stata alla riunione, aveva sentito la mia conferenza e il passato le era tornato alla mente. Dopo una notte insonne, aveva parlato col marito ed era venuta a trovarmi. Mi disse che lei e suo marito erano « gente alla buona ». Il marito era caporeparto in una grossa fabbrica. Aveva avuto cinque figli, ma solo quattro erano ancora .vivi; tutti avevano un buon lavoro e se la cavavano bene.

« Non siamo mai stati ricchi, ma abbiamo sempre cercato di aiutare quelli che avevano meno di noi. Quando nel 1920 leggemmo sui giornal.i che in Olanda si era costituito un comitato per ospitare per qualche mese i bambini austriaci denutriti, demmo· subito la nostra adesione . .i'vfio marito disse che avevamo abbastanza da mangiare per tutti e che una bocca in più non avrebbe fatto differenza. Qualche settimana dopo ero alla stazione ferro ·viaria quando il treno arrivò e i bambini scesero. Ognuno aveva il nome scritto su un cartoncino appeso al. collo. Sembravano spaventati e affamati. Il no. stro bambino era un ragazzino di nome Hansi. Aveva due grandi occhi su un viso pallido. Hansi non aveva mai saputo che cosa fosse un vero pasto. Aveva sei anni ed era molto timido, ma fece presto amicizia con i nostri ragazzi E imparò anche a mangiare. Il primo giorno, non seppe fare altro che stare lì a guardare il latte, il burro, le uova, la carne e i legumi. Disse di non aver mai visto tanto cibo ìn vita sua. »

Hansi acquistò peso in breve, e quando lasciò Amsterdam due

mesi più tardi aveva assunto l'aspetto di un qualsiasi ragazzo · della sua età. Tornò spessa durante gli anni seguenti. Ess[ lo trattarono come il loro sesto figliuolo, e Hansi li chiamava « i miei genitori adottivi olandesi». Scriveva spesso, e a Natale e per il suo compleanno loro gli mandavano dei regali. Un giorno ricevettero una partecipazione di nozze, e poi più nulla. Un anno dopo scoppiò la guerra. Si chiesero che cosa fosse accaduto di Hansi. Era un ragazzo robusto e senza dubbio doveva essere stato arruolato nel/' esercito.

Una mattina, nell'aprile del 1942, qualcuno bussò alla porta.

« Ero sola in casa, e quando andai ad aprire uidi un uomo con l'uniforme nera delle SS. Mi misi a gridare. Solo pochi giorni prima alcune di quelle SS avevano invaso la nostra tranquilla strada e avevan·o portato uia alcuni vicini: ebrei. Era stato terribile, ed ero ancora · souo lo shock subito. »

Aveva chiesto alla SS: « Che cosa vuole?»

Quello si era messo a ridere. « Zia, non mi riconosci? Sono io ... Hansi. »

Hansi! In uniforme nera e con quel terribile distintivo sul bavero. C'era forse anche lui fra le SS che erano venute ad arrestare i loro vicini ebrei? Negli ultimi giorni avevano rastrellato gente in tutta Amsterdam.

« Che cosa c'è, zia?» disse Hansi, e le chiese di farlo entrare. Ma la donna gli sbarrò la porta. Qualche cosa era scattato dentro di lei.

« Non potei fare diversamente, signor Wiesenthal. Gli dissi: <Non sono più tua zia. E tu non entrerai in casa mia... non con quell'uniforme. V a' via!> E gli sbattei la porta in faccia ... Avevo il cuore che mi balzava in petto. Come avevo desiderato di rivedere Hansi ma non mi era mai venuto in mente che potesse presentarmisi in divisa da SS ...

« Andai alla finestra. Era rimasto fermo davanti a casa nostra, poi scosse le spalle, sputò a terra e se ne andò con i suoi stivali neri. Sento ancora il rumore di quegli stivali che per noi ad Amsterdam . erano ormai il simbolo degli assassini.

« Qualche settimana dopo ricevetti una lettera da lui. Molto breve e in uno stile che non era quello dello Hansi che avevamo conosciuto. Diceva che era spiacevole che noi olandesi non capissimo i nuoui tempi, che il Fuhrer avev·a grandi idee e... Ma a che serve? Mio marito strappò la lettera in mille pezzi. »

Come per un tacito accordo, nessuno in casa parlò più di Hansi.

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Un giòrno del 1946 arrivò una lettera scritta con una calligrafia femminile che non conoscevamo. Era la vedova di Hansi. Diceva che il marito era stato ucciso in Russia. Era rimasta sola con i suoi due figli.' Le cose non andavano bene a Vienna, e c'era poco da mangiare. I bambini avevano fame.

« Era la vecchia storia che si ripeteva. Mostrai la lettera a mio marito. Non si può rimanere insensibili di fronte a dei bambini che hanno fame. Decidemmo di mandare dei pacchi di cibarie. Ma non potevamo prenderli in casa. Erano successe troppe cose. Nessuno dei nostri vicini ebrei era tornato vivo. E sapevamo di altri che erano morti. .. Qui abbiamo dato da mangiare a questi ragazzi austriaci aiutandoli a crescere forti e sani. Ed essi sono tornati vestiti da SS e hanno fatto quelle cose orribili. »

Rimase in silenzio per un po', poi mi disse: « C'è ancora qualcosa che devo dirle. Uno dei miei ragazzi è stato nella Resistenza olandese. Nemmeno lui è tornato.»

Si alzò. « Vorrei sapere ... È per questo che sono venuta. Lei forse ha un elenco ... di quella gente. Vorrei sapere che cosa ha fatto Hansi. »

Mi lasciò il suo indirizzo e se ne andò. Anch'io mi chiedevo che cosa avesse fatto H ansi. « Abbiamo nutrito questi ragazzi e sono tornati vestiti da SS. .. »

Un anno dopo trovai il nome di Hansi su una certa lista che non era precisamente una lista d'onore. Ma non le scrissi nulla.

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.. .. .. . .

CAPITOLO XI n : VECCHIO BARON E NON DIMENTICÒ

Cronologicamente, la storia del barone Evert von Freytag-Loringhoven comincia un giorno dèll'estate del 1963 su un treno diretto a Berlino. Ma il suo vero inizio risale a quella mattin~ della primavera del 1943, quando due membri della resistenza polacca portarono nella mia baracca di legno presso la Officina delle Ferrovie Orientali a Lvov, un ragazw ebreo di quindici anni.

Ricordo benissimo l'aspetto che aveva Olek la prima volta che lo vidi. Sembrava terribilmente spaventato; i suoi occhi azzurri erano spalancati dalla paura. Aveva q.pelli rossi, la:bbra sottili, e la pelle di un colorito terreo. I polacchi mi dissero che Olek aveva passato le ultime settimane nascosto in una cantina buia. Qu~lla era la prima volta che rivedeva il sole' d~ tanti giorni. Era l'unico sopravvi$5uto dell'intera popolazione ebr~ca di Chodorow, u,na città de1Ia Galizia che era stata rastrellata dai nazisti. Tremila uomini, donne e bambini erano stati uccisi e il solo Olek era scampato. Un vicino cristiano lo aveva salvato e lo aveva nascosto nella sua -cantina dietro un mucchio di carbone.

La Gestapo aveva ripreso a perquisire tu t te le case e il vicino aveva consegnato Olek al movimento clandestino. Gli avevano dato dei documenti falsi che facevano di lui -un ragazzo polacco cristiano, ma questo, mi dissero, era tutto quello che potevano fare. Tenni Olek per qualche giorno nella mia baracca e parlai con -il direttore di una impresa di costruzioni ch e lavorava nell'officina di riparazioni. Gli spiegai che Olek era un ragazzo polacco rimasto orfano dei genitori. Il direttore acconsenti ad assu~ere Olek come apprendista, così il ragazzo avrebbe potuto mangiare alla mensa e ~vrebbe avuto un posto per dormire. Prima ,che lasciasse la mia baracca, dissi a Olek che avrebbe dovuto essere molto prudente, se voleva rimanere vivo.

« Non devi dire a nessuno che sei ebreo, » dissi. « Nemmeno a un altro ebreo?» mi chiese.

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... ' . .
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« No. Nemmeno a un altro ebreo. Anzi, sarà meglio che tu non faccia amicizia con i prigionieri ebrei ohe lavorano alla ferrovia. Promesso? »

Me lo promise.

Olek sopravvisre alla guerra. Lo vidi di nuovo nel 1946 a Linz, dove era venuto dalla Polonia per unirsi a un gruppo di emigranti clandestini diretti in Palestina. Tre anni più tardii, quando visitai per la prima volta Israele, venni a sapere che Olek si trovava nel kibbutz degli ex combattenti ddghetto di Varsavia, situato a trenta chilometri a nord di Haifa, e andai a trovarlo.

Da allora siamo sempre rimasti amici. Ogni volta che vado in Israele, passo qualche ora o una giornata nel suo kibbutz. Olek ha ripreso il suo vecchio nome di famiglia, Jitzchak Stemberg, ed è stato eletto segretario del kibbutz. Si è sposato e ha due bei bambini. Non somiglia più al ragazzo spaventato che capitò nella mia baracca nel 1943.

Nell'aprile 1964 mi invitò ad andare nel suo kibbutz chiedendomi di raccontare ai ' suoi compagni qualc~a del mio lavoro. Dopo la conferenza, venni chiamato al telefono. Un uomo di nome Heinz Jakob, che viveva in un kibbutz vicino, aveva saputo che mi trovavo là e voleva parlarmi. Era molto importante... poteva venire subito?

Heinz Jakob mi disre di essere nato in Gennania e di essere emigrato in Pa:lestina con i genitori nel I 933. Era biondo, con gli occhi azzurri, e aveva un aspetto assolutamente tedesco. Era molto abbronzato; aveva le mani grosse e robuste e i gesti lenti dell'agricoltore. Verso la fine del 1963 era andato in Germania. Era la prima volta che tornava nel suo paese natale. C'era andato per seguire le pratiche relative alla restituzione dei beni di famiglia confiscati dai nazisti. Nel suo scompartimento sul treno diretto a Berlino, c'era un tedesco che doveva essere sulla settantina, alto e dall'aria distinta. Cominciarono a chiacchierare. Il vecchio signore chiese a Jakob da dove venisse, e quando Jakob gli rispose che veniva da Israele lo guardò SOI1preso e compiaciuto al tempo stesso.

« Lei non sembra un ebreo, Herr J akob. » Il vecchio signore tedesco si presentò come barone Evert von Freytag-Loringhoven.

Jakob si mise a ridere. « Molti dei nostri giovani israeliani non sembrano ebrei, se è questo che lei intende dire. Molti bambini nei nostri kibbutz sono biondi e hanno gli occhi azzurri, proprio come i ragazzini della Scandinavia o del Texas. Però si sentono ebrei... e questo è quello che conta. »

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214

Il barone annuì. D.ì$e che quella era la prima volta che parlava con un cittadino d'Israele; aveva passato la maggior parte della sua vita in campagna. Era cresciuto nella vecchia tenuta di famiglia in Lettonia. Ciò, naturalmente, prima che i bolscevichi arriv~ro nel I 9 I 9 ed espropriassero i grandi proprietari terrieri. Il barone aveva conosciuto parecchi ebrei a Riga. Disse che erano le per· sone più colte della città, che amavano l'architettura, la musica, le arti.

Nel 1919, il barone era fuggito in Germania, dove più tardi ave· va ereditato due tenute nella Prussia Orientale. Diresse le sue fat. torie a Grodno e Merakowo fino al 1945. Poi tornarono i ruS&.

Parlarono di tutto questo e di come entrambi f ~ro fuggiti, il barone tedesco dai ruS& e l'ebreo tedesco dai tedeschi. Il barone disse a Jakob che suo fratello era stato Ùfficiale nell'esercito del Kaiser, e poi nella Wehrmacht.

« Da secoli nella nostra famiglia il figlio maggiore si occupa delle terre e gli altri abbracciano la carriera militare. Mio fratello era un ardente nazionalsocialista, prima che Hitler giungesse al potere. Come molti ufficiali, aveva risentito l'umiliazione patita dopo la prima guerra mondiale. Pensava che i nazionalsocialisti avrebbero ricreato una grande Germania... »

Il barone scosse le spalle con un gesto di rassegnazione. « Ma in breve il mio povero fratello dovette disilludersi. Quando vide quello che le SS fecero prima e durante la guerra, diventò un nemico at· tivo del regime. Si unì ai patrioti che ,cospirarono contro Hitler il 20 luglio 1944. Lei avrà sentito parlare di quella ~ongiura fallita. » Heinz Jakob annuì. Si chiedeva perchè il vecchio aristocratico, che non era evidentemente un chiacchierone, raccontasse tutto questo a un casuale compagno di viaggio.

« Mio fratello procurò gli esplosivi per la bomba del conte Stauffenberg. Lei sa quello che accadde dopo. Mio fratello si suicidò. Forse fu meglio così... altrimenti avrebbero impiccato anche lui nella prigione di Ploetzensee a Berlino. Io fui arrestato a Berlino dalla Gestapo e passai parecchi Il.lesi nella prigione della Alexanderplatz, ma venni rilasciato per l'intervento di un amico, un gerarca nazista. Dopo la guerra dovetti nascondermi di nuovo perchè i russi mi cercavano. Un ufficiale polacco, che era stato nel campo di concentramento di Stutthof, presso Danzica, mi salvò la vita. Sembra strano, non è vero? Nel settembre del 1945 riuscii a procuranni dei documenti falsi e finalmente raggiunsi il paesetto del1'.A&<;ia dove vive mia sorella che è vedova. Ora dirigo una piccola

fattoria. Non è una gros.sa azienda, ma l'agricoltura è la sola cosa che conoscà. »

Il barone si piegò in avanti. « Herr Jakob, io non credo nelle coincidenze. E non ci crederebbe neanche lei se avesse vissuto la mia vita. Non può essere solo per una coinc idenza che io e lei ci siamo incontrati in questo scompartimento. Raramente io lascio la mia fattoria, e lei è il primo ebreo che incontro .da anni. Conosco le cose terribili che noi tedeschi abbiamo fatto agli ebrei perchè Je ho viste con i miei occhi. Li ho visti uccidere donne innocenti... Fino ad oggi non ho mai parlato con nessuno di queste cose, ma continuo a vederle nei miei incubi. Non posso dimenticare il mio segreto e non voglio portarlo con me nella tomba... »

Si passò le mani sugli occhi. « Vedo ancora una donna ebrea che lavorava nella mia fattoria di Merakowo. Una signora molto colta, di Praga. E ricordo la giovane di Budapest, che era medico e che aveva messo su un ospedaìe improvvisato nella piccola scuola di Grodno. Non aveva più di trent'anni, ed era molto graziosa. Le dissi che avrei cercato di nasconderla e che forse più tardi avrebbe potuto fuggire. Mi ringraziò, ma mi ri spose che voleva rimanere con i suoi pazienti. Finì uccisa insieme con loro. Voglio pensare che per lo meno qualcuno di loro si sia salvato, e se avessi i loro indirizzi vorrei poterli aiutare. »

Il barone guardò in viso J acob e disse : « Mi dia il suo indirizzo. Non posso parlarne oggi, ma le scriverò. »

Sternberg, Heinz Jakob ed io eravamo seduti nel giardinetto del kibbutz circondato da piante di cedro. Jakob mi consegnò le lettere del barone Freytag-Loringhoven.

« La storia è tutta qui. Ci scriviamo continuamente. Vede, quando cominciò a parlare delle < terribili cose>, come le chiamava, pensai automaticamente a lei. Dissi al barone: <Questo potrebbe interessare Simon Wiesenthal > e . gli parlai del suo lavoro. Il barone mi parve sorpreso e disse: < Ora so che questa non è una coindd enza. Uno dei campi di lavoro dove accaddero alcune delle cose peggiori si chiamava Wiesenthal, dal nome di un villaggio presso Thorn. La prego di mettersi in contatto con questo signor Wiesenthal e di dargli tutto il materiale. > »

Quella notte non dormii. Fuori c'era una gran pace. Attraverso la finestra aperta della stanzetta riservata agli ospiti, veniva il profumo d'Israele, un misto di zagare e di fiori, che avrei potuto riconoscere in qualsiasi momento ad occhi chiusi.

. .

Le,ggevo le lettere del vecchio aristocratico tedesco, nelle quali era cqntenuto quello che egli chiamava il suo « terribile segreto». Il peggio è che egli non avrebbe mai parlato se non avesse incontrato un giovane ebreo che gli era riuscito simpatico. Mi domando spesoo quanti altri segreti rimangano inconfessati.

Un giorno del novembre 1944, 2800 donne ebree stipate nei carri bestiame arrivarono alla stazione di Merakowo, presso Thom in Polonia. Il capostazione, un uomo di nom e Zacharek, che vive ancora a Merakowo, ricordava benissimo quel carico e più tardi ne parlò al barone Freytag-Loringhoven. Le donne e rano deboli ed emaciate. Alcune erano addirittura a:gonizzanti. Il viaggio era stato lungo e terribile. La maggior parte di loro venivano dall'Ungheria, altre dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia, dalla Romania, dall'Olanda, dall'Austria e dalla Francia. Erano già passate per diversi campi di concentramento in Le ttonia e in Lituania, poi erano state trasferite via mare a Danzica e di là al campo di concentramento di Stutthof. In seguito, furono mandate a Merakowo. Dalla stazione ferroviaria di Merakowo le donne vennero condotte nella grande tenuta che il baron e allora possedeva a circa due chilometri da Grodno. Egli in seguito dichiarò ad '?no dei miei collaboratori :

Da Grodno le donne vennero trasferite in quattro campi d i lavoro: Malven, presso Strassberg; Grodno, presso Thorn; Shirokopas, presso Kulm; Wiesenthal, presso Thom. A capo di quel contingente c'era lo SS-Obers turm fii.hrer Ehle. A Grodno fu ordinato alle donne di scavare trincee anticarro. Vivevano nelle tende lasciate d a i membri della Hitlerjugend, che in precedenza avevano scavato trincee nella regione. Alcune vennero mandate a lavorare nelle fattorie vicine. Circa 135 di loro furono mandate nelle mie tenute e lavorarono nelle stalle, o a raccogliere patate nei campi.

La maggior parte delle donne quasi non avevano abiti quando arrivarono. Molte usavano come vestito delle vecchie coperte mili tari; ne portavano upa intorno alle spalle e l'altra drappeggiata intorno fianc hi, come una sottana. Erano così affamate che corsero nei campi a mangiare le foglie d elle barbabietole. Le donne che erano troppo deboli p er lavorare vennero uccise dalle SS che le colpirono alla nuca con i manganelli. Il comandante delle SS Ehle mi spiegò in seguito che quello era un sistema molto pratico. Mi disse : « Nessuna autopsia potrà mai stabilire la causa del decesso. »

Le donne venivano uccise su una penisoletta nel Mare di Grodno. Venivano gettate in una fossa comune da altre donne che poi finivano uccise a loro volta. Ogni giorno Ehle dava ordine di uccidere da otto a venti donne. Il 16 o 17 gennaio 194-5 uccisero II8 donne: poco prima che arrivassero i russi. A quel tempo una delle donne diede alla luce un bambino. Cercai di salvare il neonato con raiuto di due operai polacchi. Ma fu impossibile. Ehle scoprì la madre e il figlio. Lo vidi con i miei occhi uccidere l'una e l 'altro ...

2.17 ..

E quella cronaca di orrori continuava. Una donna venne costretta a rimanere in ginocchio per due ore sul fiume gelato « fino a che il ghiaccio non le si fu rinserrato intorno alle ginocchia».

Le gua.r,die erano tedesche e ucraine. Il barone ne parlava come dei « peggiori rifiuti esistenti sulla terra ». Picchiavano le donne col calcio dei fucili. Se una donna per disgrazia arrivava qualche minuto più tardi sul lavoro, inventavano « ogni sorta di sadiche punizioni». Come sempre, dove c'è l'orrore c'è anche l'eroismo, come quello della dottoressa che rifiutò l'aiuto del barone.

Il barone Freytag-Loringhoven nascose altre due donne in casa sua, una sarta di Buda:pest e una donna di Praga, moglie di un pellicciaio. Il suo fattore polacco nascose una ragazza ebrea di Lodz che aveva diciannove anni. Dieci donne lavoravano nelle stalle, dove accudivano al bestiame gioyane. Il barone ordinò che venisse dato loro latte e patate, sebbene sa,pesre che ciò era stato prc_>ibito da Ehle. Una detenuta, moglie di un mugnaio dei dintorni di Praga, gli diede una lista contenente i nomi di 500 prigioniere. In seguito, quando Freytag-Loringhoven viveva in Polonia sotto falso nome, venne perquisito da un soldato ru~ che gli prese la lista e gliela strappò. Il barone continuava :

Il 18 gennaio 1945, le donne che restavano furono portate via. Secondo le voci che circolavano, vennero portate a Danzica, dove furono gettate in mare ... Ci sono molte altre cose che vidi .e che sono disposto a ripetere. Questa è la verità. Desidererei tanto sapere se qualcuna di quelle donne è sopravvissuta e auguro alle fortunate ogni bene sulla terra.

Posai sul tavolo le lettere del barone. Ero venuto laggiù per visitare un giovane amico, per vedere i ragazzi e le piante del kib. butz. Ma anche qui non potevo sfuggire al p~ato.

I problemi erano due. Primo, Ehle era ancora vivo e saremmo riusciti a trovarlo? Secondo, il barone Freytag-Loringhoven avrebbe confermato in tribunale la sua storia? Più di una volta mi ero trovato di fronte a testimoni che si erano rifiutati di parlare davanti al giudice e al pubblico ministero. Spesso la deposizione di un solo testimone non è ritenuta sufficiente per processare un uomo. Ma il barone Freytag-Loringhoven sarebbe stato un testimonio inattaocabile. Non aveva alcun motivo personale per testimoniare, se non quello di servire la giustizia; non era ebreo; e non aveva conosciuto in precedenza l'uomo che accusava. Non era quello il caso della parola di un uomo contro quella di un altro. Il vecchio adagio in dubio pro reo non trovava applicazione in questo caso. Ehle era

., =.. ' ....
218

stato SS-Obersturmfuhrer in un campo di concentramento. Lo sapevano tutti che uomini del genere non passavano il tempo a scrivere poesie o a giocare a scacchi. Il vecchio aristocratico tedesco non poteva essere accusato di es.5ere prevenuto nei confronti dell'imputato. Dei crimini che erano stati commes& nella sua tenuta, egli era stato testimone oculare.

Riposi le lettere nella mia ·borsa. Se aves&mo trovato Ehle, avremmo avuto solidi argomenti contro di lui.

Quando tornai da Israele, chiesi a Michael Lingens, uno dei miei collaboratori di Vienna, di mettersi in contatto con il barone. La madre di Lingens, che era cristiana e nuora del capo della polizia di Colonia, era stata mandata ad Auschwitz perchè aveva aiutato degli ebrei. &5a è ora presidente del Comitato di Auschwitz.

Lingens parlò con il b arone Freytag-Loringhoven e in seguito anche Frau Lingens andò a trovare il vecchio signore. Egli si dichiarò subito disposto a deporre in tribunale. Disse che era suo dovere farlo. Non voleva morire con un peso cosi terribile sulla coscienza. Scrivenuno all'Istituto Storico Ebraico di Varsavia e chiedemmo documenti e nomi di testimoni, ma all'Istituto non risultava nulla. Una identica richiesta inviata alla polizia d'Israele ebbe lo stesso esito negativo. Perfino gli esperti israeliani di crimini nazisti non avevano mai sentito parlare della uccisione in massa delle 1500 donne di Grodno. Scrivemmo una relazione e la mandammo al Dipartimento Centrale della Giustizia a Ludwigsburg.

Del caso venne investito il pubblico ministero Riickerl. Poichè le donne provenivano dal campo di concentramento di Stutthof, il magistrato cominciò a controllare i nomi delle guardie di Stutthof. Sull'elenco c'era il nome dell'Obersturmfuhrer Paul Ehle. Si venne a sapere che Ehle lavorava come meccanico a Kiel. N~no laggiù sapeva nulla del suo passato.

« Quello che mi tormenta di più in questo caso è che n essuno ne sapeva nulla, » mi disse Riickerl. « Se lei non ce ne avesse infonnati, il barone avrebbe potuto morire con il suo segreto. » Gli dissi che perfino dagli archivi polacchi e israeliani riguardanti i crimini nazisti non risultava niente.

« Mi metterò in contatto con il barone Freytag-Loringhoven, » disse Riickerl. « Quello che egli scrive nelle sue lettere a Jakob , verrà considerato in tribunale solo come una <informazione>. Per interrompere la prescrizione 1 abbiamo b isogno della testimonianza 1 V. Appendice.

giurata del barone. Vedrò se posso procurarmi una fotografia di Ehle. Se il barone è in grado di identifi carlo, avremo effettivamente una solida accusa. »

Alcun e settimane più tardi, il barone Freytag-Lòringhoven rilasciò una deposizione confermando tu tto qu ello che aveva scritto nelle sue lettere. La pratica venne inviata al giudice istruttore di Kiel e l'ex SS-Obersturmfilhrer Paul Ehle venne arrestato. Egli non cercò di negare i suoi delitti. Sarebbe stato processato, e credo condannato, se non fosse morto in carcere ne~ settembre 1965.

Nel novembre 1965, venti anni dopo che quei delitti erano stati compi uti nella Prussia Orientale, le autorità polacche annunciarono di aver trovato « la fossa comune sulla piccola penisola del Mare di Grodno » di cui aveva parlato il barone Freytag- Loringhoven.

2.2.0

CAPITOLO XII

UNA SPOSA PER IL DOTTOR BABOR

La gente viene spes.so a parlarmi di ogni sorta cli problemi connessi con il regime nazista. Mi considerano una specie di praticone capace di curare tutti i mali le cui radici sono negli anni cupi che IleS.$Uno ama ricordare. Spcs.so coloro che vengono da me hanno solo un'idea approssimativa cli quello che è il mio lavoro. Hanno letto qualcosa sui giornali, ricordano il mio nome, sperano che aiutarli, consigliarli, proteggerli. Sanno che non parlerò di loro con nessuno. Il caso del dottor Karl Babor è un esempio tipico. Non ne avrei mai saputo nulla, se una donna che viveva in una città del1'Austria e che non mi aveva mai conosciuto non avesse letto qualcosa a proposito di questo signor Wiesenthal sui giornali e non avesre detto a sua figlia di venire a trovarmi.

Il problema della ragazza era sorto parecchi mesi prima che ella venisse a trovarmi. La chiamerò Ruth , sebbene questo non sia il suo vero nome. Ruth vive ancora in Austria; quando la conobbi, verso la fine del 1963, aveva circa venticinque anni, era giovane, graziosa e vivace : capelli scuri, occhi sognanti e una figuretta di quelle che gli austriaci cavallerescamente chiamano vollsc hlank ( « falsa magra » ). Ruth mi disse cli essere « una incurabile romantica », convinta che la vita fos.5e una affascinante avventura. In seguito ammise francamente che tutto era cominciato perchè aveva voluto provare il piacere dell'avventura, quell'avventura che non poteva avere nella cittadina austriaca in cui viveva con la madre. Il lavoro d'ufficio l'annoiava, e così pw·e i giovanotti che incontrava nelle rare festicciole. Due anni prima era andata a trovare il fratello che lavorava nel Kenya. Aveva partecipato a un safari nella savana e si era entusiasmata di tutto: i rumori insoliti dei boschi, gli animali, l'atmosfera, il mistero. Quando, dopo tre mesi, tornò a casa, la vita nella sua città natale le sembrò insopportabilmente noiosa e il lavoro d'ufficio più arido che mai. Quando batteva a macchina la ventiquattresima o la venticinquesima lettera che cominciava: « Egregio signore, ci pregia-

2.2.I

mo informarLa... » provava quasi un disgusto fisico per la macchina da scrivere. Questo era il suo stato d'animo quando le capitò ,di leggere sul K urier di Vienna un avviso matrimoniale.

Ruth mi disse che era un pomeriggio piovoso di domenica, uno di quei pomeriggi in cui non si sa cosa fare. L'annuncio diceva:

MED1co, quarantaduenne, ottima posizione all'estero, desidera intrattenere corrispondenza con ragazza bella presenza scopo matrimonio. Scrivere Casella n ...

« Non ebbi il minimo dubbio che <all'estero> significasse Africa,» mi disse Ruth. « Non so come spiegarlo; era qualcosa di più di un presentimento: era una precisa sensazione. Dissi a mia madre che volevo rispondere a quell'annuncio e lei si mise a ridere. Mamma mi conosceva. Ma pensò che non ci fosse nulla di male a scrivere una lettera, <semprechè non ti aspetti una risposta>. Mamma non è una ottimista. Comunque, scrissi la lettera, la impostai il lunedi mattina, andando in ufficio, e per qualche giorno non feci altro che pensare a quella faccenda. Ma non arrivò nessuna risposta, proprio come aveva predetto la mamma, e dopo un . po' mi dimenticai di quella storia. »

Tre settimane dopo, arrivò una lettera per lei. Era stata scritta dall'ingegner Babor di Vienna.

L'ingegner Babor scriveva con uno stile cerimonioso e antiquato. Diceva di aver letto attentamente la sua lettera e che sarebbe stato onorato di poterla conoscere. Voleva parlarle di suo figlio Karl, che faceva il medico·ad Addis Abeba, Etiopia. Karl era bene affermato e fra i suoi pazienti c'erano diversi membri della famiglia dell'imperatore Ailè Sellassiè.

« Ne parlai con mia madre,» mi disse &uth. « Decidemmo che non ci sarebbe stato nulla di male se fossi andata a parlare con quel cortese signore. Non che pensassi a lui come al mio futuro suocero. La cosa mi sembrava ancora uno scherzo. Le mie colleghe in ufficio mi dissero: < Vedrai, Ruth, fra un anno avrai un marito e una bella casa ad Addis Abeba e decine di servi e automobili. Sarai invitata a cena dall'imperatore, fortunata te! > E poi si mettevano a ridere, perchè tutte sapevano che non ero fortunata. Mi ero già innamorata prima, ma avevo sempre scelto gli uomini sbagliati. O erano innamorati di qualcun'altra o, peggio, erano già sposati. In ufficio mi chiamavano <la ragazza sfortunata>. »

La settimana seguente, l'ingegner Babor andò a farJe visita. Era

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2.2.2. "'-;.' I.

un simpatico anziano signore, proprio in carattere con la lettera che aveva scritto. Sembrò molto soddisfatto quando vide R uth e le fece un complimento. Le diS5C di aver ricevuto un mucchio di lettere « alto così » - e sollevò la mano una ventina di centimetri al di sopra del tavolo - e di avere apprezzato più di tutte Je altre la sua. Poi, con galanteria tutta viennese, aggiunse: « E posso dirle che lei mi piace anche più della sua lettera. »

Le raccontò che lui e la moglie vivevano a Vienna e che il loro unico figliolo, Karl, si era trasferito in Etiopia con la moglie, che nasceva baronessa Babo - « molto curiosa la somiglianza dei nostri cognomi » - e ch e era morta laggiù nel 1 960 in seguito a un incidente automobilistico. La coppia aveva avuto una sola figlia, Dagmar, che aveva venti anni e studiava a Parigi. Il dottor Karl Babor era ginecologo, « il migliore di Addis Abeba », precisò il padre, e lavorava ali' ospedale Menelik, che era stato donato all'Etiopia dai sovietici, e inoltre aveva una moderna clinica privata con un reparto di radiografia e un laboratorio. Di quando in quando, il dottor Babor veniva invitato al palazzo imperiale.

« D opo la morte dell a moglie, nostro figlio si è sentito molto solo, » diS5C il vecchio. « Ma poichè non -pu ò lasciare i suoi pazienti e tornarsene in Europa, gli consigliai di mettere un'inserzione su un giornale di Vienna. Gli dissi che forse avrebbe trovato qualcuno. » Sorrise a Ruth e aggiunse: « E non mi meraviglierei se avesse davvero trovato qualcuno. »

« Signor ingegnere, devo ripeterle, » si affrettò a dire Ruth, « quello ch e ho già scritto nella lettera. lo sono ebrea... »

« Ma cara signorina, questo non fa alcuna differenza. Noi siamo cattolici e abbiamo sempre nutrito sentimenti liberali. Mi oreda, in casa nostra l'antisemi tismo era sconosciuto. » Guardò Ruth e aggiunse: « Scriverà direttamente a mio figli o, non è vero?»

E questo fu l'inizio di una lunga, intensa relazione epistolare. Ogni lunedì mattina il postino le recapitava ua lunga busta per posta aerea con su dei bei fran cobolli (il postino le diceva: « Se non ha bisogno dei francobolli ... »); mittente: dottor Karl Babor, Casella Postale 1 761, Addis Abeba.

Dopo qualche settimana, Babor le inviò una su a fotografia. Ruth vide un uomo di media statura, con i capelli biondo-scuri, gli occhi tristi, piuttosto snello e dall'aspetto giovanile. Le scriveva di sentirsi molto solo. Sua figlia, diceva, pas.5ava la maggior parte del tempo a Parigi. La boscaglia era vicina e a lui piaceva cacciare, ma non si divertiva ad andare a caccia da solo. Due mesi più tardi concludeva

una lettera « baciando le mani» alla sua « cara Ruth ». Lei gli rispose cominciando « Caro Karl ». Le sembrava ormai di conoscerfo molto bene. In ufficio non scherzavano più sul suo trasferimento in Africa.

Il padre di Karl la invitò a p~e una giornata a Vienna, la condusse a teatro e poi in una trattoria dove bevvero del vino e chiacchierarono di Karl. Ruth si meravigliò che l'ingegner Bahor non le facesse conoscere la moglie.

« Quando gli chiesi di lei, fu evasivo, » mi disse. « Pensai che alla madre di Karl non fosse andata a genio l'idea dell'annuncio matrimoniale. Intanto Karl ed io continuavamo a scrivexci e le sue lettere erano cortesi e affettuose. »

Un anno dopo aver scritto la prima lettera, il dottor Bahor' invitò Ruth ad andare ad Addis Abeba. Le disse di avere acquistato un biglietto di andata e ritorno Vienna-Addis Abeba « nel caso che non le piaccia il posto; ma spero proprio che non sia così ». Le disse anche di aver chiesto a sua figlia Dagmar di incontrarsi con Ruth a Vienna « in modo che possiate venir giù insieme».

Qualche giorno dopo, Dagmar arrivò e andò a trovare Ruth. Le due ragazze si piacquero subito. Dagmar era una graziosa fanciulla con gli occhi tristi. « Pensai che non dovesse avere avuto molto affetto in casa,» mi disse Ruth. Una settimana più tardi erano tutte e due su un aereo che le portava da Vienna ad Addis A,beba.

Il dottor Babor era ad attenderle all'aeroporto. Fu molto cortese, le baciò la mano e abbracciò Dagmar. Ma Ruth non lo trovò quale lo aveva -immaginato. C'era in lui qualcosa di strano, che metteva quasi paura.

« Non era per nulla come lo avevo immaginato dalle sue lettere, » mi disse Ruth. « Era strano e riservato: quasi sinistro. »

Era un pessimo guidatore. Durante il tragitto dall'aeroporto alla città, per due volte rischiò uno soontro frontale mentre guidava contromano. Ruth gli chiese con un'aria un po' scherzosa se voleva ammazzarsi, e Jui, molto seriamente, le rispose che più di una volta aveva cercato di farlo. Ruth pensò che fosse affaticato dal lavoro e che attraversasse un periodo di depressione. Sapeva che i bianchi in Africa vanno spesso soggetti a esaurimenti nervosi. Ma rimase sorpresa quando Babor le disse, con un'aria di cupa soddisfazione, di avere avuto negli ultimi due anni cinque incidenti automobilistici. Lei gli gettò uno sguardo indagatore. Come mai non gli avevano ritirato la patente?

.. ..

« Mia cara, ho aderenze al palazzo imperiale. Sono i più grande medico di Addis Abeba.»

Il dottor Babor fermò l'automobile davanti a un edificio scuro, che sembrava disabitato. Il posto era fresco e Ruth voleva rrposarsi. Il viaggio era stato lungo e lei si sentiva un po' stanca.

« Andiamo un'oretta nella boscaglia,» disse Babor.

« Ora? » chiese Ruth sorpresa.

« Perchè no? È solo una passeggiata. Si cambi le scarpe mentre io prendo il fucile. »

La boscaglia era distante qualche chilometro. Ruth si sentì di nuovo afferrare dal fascino dell'Africa, ma le fu difficile assaporarlo. Babor guidava come un pazzo, al punto che Ruth si spaventò e gli disse che, se avesse continuato a guidare in quel modo, sarebbe scesa dall'auto.

« Si mise a ridere, » mi disse Ruth. « Rideva come se avessi detto qualcosa di buffo. Cominciavo ad avere un po' paura di lui. »

« Non sia sciocca, » le disse. « Questa non è la Ringstrasse, dove si può scendere quando si vuole e prendere il tram suocC$ivo. » E si mise a ridere di nuovo. Poi le disse che l'avrebbe portata a vedere il suo fiume preferito. « È infestato di coccodrilli. » Ruth pensò che stesse scherzando. Ma a un certo punto lui fermò l'auto, le disse di scendere e la guidò lungo lo stretto sentiero che conduceva al fiume. Nell'acqua scura e fangosa, Ruth vide i coccodrilli.

« Non sono animali graziosi?» le chiese Babor. Ruth si ritrasse. «Torniamo,» le disse Babor. « Voglio farle conoscer.e il migliore amico che io abbia qui in Etiopia.»

« Ci fermammo davanti alla caserma della polizia ed entrammo nel recinto. Sotto un albero c'era un vecchio leone sdraiato. Fui presa dalla paura, ma Karl mi disse che non c'era motivo di spaventarsi, che il leone era come un animale domestico e che loro erano buoni arnici. Poi andò a mettere la mano netla bocca del leone. Quando tornò indietro, vidi che aveva il braccio insanguinato. < Mio Dio, > gridai, < l'ha morso!> Karl sogghignò e disse: <Non fa niente. .È il mio migliore amico... Andiamo a casa. > »

La stanza di soggiorno del dottor Babor era umida e fredda . Non c'era niente di pronto da mangiare e la ghiacciaia era vuota. Dagmar aprì una scatola di carne. Il dottor Babor disse di essere stanco e se ne andò in camera sua senza nemmeno scusacrsi. Ci fu un silenzio imbarazzante, poi Dagmar le disse che l'esaurimento del padre andava sempre peggiorando.

« Deve aver fatto delle esperienze spaventose durante la guerra, ma non ne parla mai. Però si vede che il ricordo lo perseguita. Quando era ancora viva la mamma era più tranquillo. In certi periodi era quasi felice, ma dopo... » Dagmar scrollò le spalle con un gesto di scoraggiamento. « Aveva molto bisogno della mamma. Poi ci fu l'incidente. E ora... lei lo ha visto. Sono preoccupata. »

Ruth la interrogò con tatto a proposito dell'incidente automobilistico. La signora Babor guidava la macchina in una notte scura e senza luna quando andò ad urtare contro un'auto parcheggiata. Accanto a lei era seduto il marito. Non si riuscì mai a chiarire come fosse potuto accadere l'incidente. Sembra che la signora Bahor non avesse fatto alcun tentativo di sterzare per evitare la collisione. Non aveva nemmeno frenato. Era stato come se avesse voluto buttarsi addos.50 all'auto parcheggiata. La signora Babor era morta sul colpo e il marito era rimasto gravemente ferito.

Quella notte Ruth non dormì. Pensava alle simpatiche, affettuose lettere di Karl e al suo sguardo brutale, al modo in cui aveva ficcato la mano nella bocca del leone. Fu lieta di non incontrarlo a colazione. Il dottor Babor era uscito presto per andare in clinica. Lei uscì con Dagmar. Quando tornarono a casa, nel pomeriggio inoltrato, lo trovarono seduto nel soggiorno. Guardava fu.so davanti a sè e non si alzò quando loro entrarono nella stanza.

Ruth sali in camera sua. Dabbasso, padre e figlia stavano discutendo. Ruth sentì Dagmar dire di aver fame e lamentarsi che non ci fosse nulla da mangiare in casa. Poi il dottor Babor gridò qualcosa che Ruth non capì, e Dagmar gli rispose sullo stesro tono; improvvisa:mente tutto tornò tranquillo. Dopo un po', Ruth vide Karl che usciva di casa e saliva in macchina. Tornò mezz'ora dopo con della roba da mangiare, ma non sedette a cena con loro. Dagmar le disse che il padre non mangiava quasi nulla.

La sera dopo, la moglie di un funzionario etiopico portò il suo bambino ammalato dal dottor Babor. Fu Dagmar ad aprire la porta, e la donna le disse che il bambino aveva la febbre e che lei non era riuscita a rintracciare il pediatra. Voleva essere così gentil.e il dottor Babor da visitare lui il bambino?

La ragazza venne ad avvertire il padre che c'era fuori una cliente con un bambino.

Il dottor Babor si alzò di scatto.

« Aveva gli occhi iniettati di sangue e la faccia quasi contratta dall'odio,» mi disse Ruth. « Era orribile. Gridò a Dagmar che non avrebbe toccato il bambino con la punta di un dito, che odiava j

, .

b~bhu e che pÙ quanto lo riguardava potevano crepare tutti. <Non ho mai curato bambini e mai li curerò. Fuori! > Dagmar rimase lì allibita, poi mi guardò con aria supplichevole. Allora dissi a Babor: <Karl, lei è medico, non è così? Quel bambino è ammalato. Per favore, vada a dargli un'ocdùata. >

« Allora si rivoltò contro di me. Mi disse di non inunischianni. Mi disse che non aveva bisogno dei consigli di una sporca e grassa ebrea. Rimasi senza fiato. Mi gridò: <Non mi guardi in quel modo! Odio i bambini. Odio tutti gli esseri umani. Bisognerebbe ammazzare la gente con il gas... ucciderla il più presto possibile. Gli uomini non servono a nulla. Gli animali sono molto migliori degli uomini. Gli animali devono essere salvati!> »

Si voltò e corse fuori nella notte. La donna se ne tornò via con il suo bambino.. Il vecchio servitore di casa disse a Ruth che il dottor Babor probabilmente era andato allo zoo. Lei gli chiese che cosa andasse a fare allo zoo a quell'ora. Il servitore le rispose che quando il dottor Babor « stava male ed era preoccupato», andava a giocare con il leopardo dello zoo. Si divertiva a colpirlo e a ficcargli la mano fra le fauci. La mattina dopo, Ruth notò che la mano sinistra di Babor era bendata.

« Mi resi conto che era ammalato, » mi disse Ruth. « Lo informai con tutta calma che avevo intenzione di tornare a Vienna. Diventò furioso. Gridò che non avevo il diritto di parlargli in quel modo. Che nessuno gli aveva mai parlato in quel modo. Che lui era un grand'uomo, un uomo importante, il medico più famoso di Addis Abeba. Sorrisi e gli risposi con calma: < Karl, io penso che lei sia il peggior pazzo di Addis Abeba> e me ne andai. Ma mentre mi allontanavo sentii il suo respiro affannoso e mi voltai. Si era alzato e aveva gli occhi pieni di sangue. Temetti che volesse strangolarmi. Allora non ne potei più e mi misi a gridare: <Fuori! Fuori di qui subito! Non si azzardi a toccarmi!>

« Fu curioso. Non appena cominciai a gridare, lui si ritrasse. Le spalle gli si incurvarono e sembrò che stesse per crollare a terra. Mi sembrò un pupazzo di gomma pieno d'aria che si sgonfiasse. Girò sui tacchi e uscì senza dire una parola. Il vecchio servitore aspettò che Babor se ne fosse andato, poi entrò nella stanza e mi fece un profondo inchino. Io avevo alzato la voce e avevo dimostrato di essere più forte del suo padrone. Il servo mi disse che la moglie di Babor lo schiaffeggiava quando gli prendeva <uno di questi attacchi> e dopo lui si acquietava e diventava <molto simpatico>. Il servo sog-

.. • •

ghignò. Telefonai all'aeroporto e prenotai un posto per il primo aereo in partenza il giorno successivo. »

L'aeroplano partiva la mattina seguente alle dieci. Quando Ruth scese dabbasso con le valigie, Dagmar le disse .che lei e il padre erario invitati a colazione al palazzo imperiale e che non potevano accompagnarla all'aeroporto.

« Ad Addis Abeba una donna bianca non può andare da sola in truci, » mi spiegò Ruth. « <Dio sa dove mi porterebbero questi autisti indigeni,> dissi a Dagmar. < Mi dispiace, ma dovrete prima accompagnare me all'aeroporto; dopo, potrete andare dal vostro im~ratore. >

« A questo punto sentii un rumore e· lo vidi. Se ne stava fermo sulla porta, immobile. Poi cominciò ad avvicinarsi lentamente. Pensai che volesse uccidermi. Istintivamente, lo colpii forte sul viso: due, tre volte, non ricordo. Lui si lasciò colpire senza fare un gesto. Quel che è peggio, credo che ci provasse piacere. Poi ·disse che avevo ragione a schiaffeggiarlo, che non meritava altro, che era un disgTaziato, che voleva morire, che da quando sua moglie era rimasta uccisa non aveva desiderato che di morire. »

Ruth chiuse gli occhi. « Fu una scena ·penosa... e quel che è peggio si svolse in presenza di sua figlia. Dopo, non ci furono difficoltà Mi aocornpagna:rono all'aeroporto. Dagmar piangeva. Avrebbe voluto che rest~i. Lui non mi salutò nemmeno, e io ne fui contenta. .Mi avviai verso l'aeroplano mentre loro se ne andavano a colazione dall'imperatore. Quando ebbi preso posto in cabina, chiamai la host~ e le chiesi qualcosa da mangiare. »

Appena scesa all'aeroporto di Vienna, Ruth andò a trovare il padre di Babor per raccontargli quello che era succes.50. Venne ad aprirle la porta una donna i;mziana, che evidentemente era la madre del dottore; non appena vide Ruth, ohiamò il marito e se ne andò.

« Io ero piuttosto nervosa. Gli dissi che non avrebbe dovuto farmi andare bggiù. Non sapeva che suo figlio era ammalato e avrebbe dovuto essere ricoverato in manicomio? Come poteva Karl ~e medico e nello stesso tempo rifiutarsi di curare i bambini e proclamare di odiare gli uomini? Aveva detto che .bisognava ammazzare la gente con il gas, che lui amava solo gli animali selvaggi... Insomma, gli raccontai ogni cosa. Il vecchio si scusò. Disse che Karl aveva avuto un esaurimento nervoso durante la guerra, ma che loro speravano che ormai si fosse rim~. Aveva cosi bisogno di una persona forte ed energica che si prendesse cura di lui.

2.28

« Si,» aveva replicato Ruth. « Una grassa sporca ebrea che lo picchi.»

« Mi dispiace, cara. Spero che lei possa dimenticare tutta questa faccenda, » disse l'ingegner Babor.

Ma Ruth non riuscì a dimenticaxe. Nei suoi incubi notturni non faceva che rivedere il dottor Babor. Aveva ripreso il suo monotono lavom di ufficio, ma i suoi dattiloscritti erano pieni di errori. La gente diceva che sembrava cambiata, e lei non era capace di raccontare quello che le era successo. Era come un episodio letto in un libro ma mai accaduto nella realtà. Solo sua madre sapeva tutto ed era preoccupata. Una sera, quando Ruth tornò a casa, la madre le disse: « Credo che dovresti raccontare tutta la storia a qualcuno che sia in grado di capirla. Ho letto sul giornale di un certo Simon Wiesenthal. Perchè non vai a Vienna a parlargli? »

Ruth scrollò le spalle con rassegnazione. « So che questa faccenda sembra incredibile, Herr Wiesenthal. Ma è vera, glielo giuro. »

Le dissi che lo sapevo. « Da anni conosco il dottor Karl Babor. Ho avuto modo di vederlo molto prima di lei. »

Mentre Ruth mi raccontava la sua storia, mi era tornata in mente un'altra cosa, una scena che non dimenticherò mai. Una stanzetta dalle pareti grigio-scure. A sinistra la porta d'ingresso, in mezzo alla parete di fondo quella d'uscita. La porta d'uscita conduceva direttamente al forno crematorio del campo di concentramento di GrO&Srosen vicino a Breslavia.

L'ambiente è nudo, c'è solo un tavolino con su diverse siringhe e alcuni flaconi pieni di un liquido incolore. Accanto al tavolo una sedia... una sola. Nell'aria c'è un leggero odore di carne bruciata. Siamo nell'anno 1944. Il momento preciso della scena potrebbe essere in qualunque ora del giorno o della notte. Questa è l'anticamera del forno crematorio di Grossrosen. Non ci sono camere a gas in questo campo di concentramento. Al forno crematorio è addetto un prigioniero russo soprannominato « Ivia.n il nero» perchè il fumo gli ha annerito la faccia e le mani. Ivan ha davvero un aspetto terribile, ma sono ben pochi i detenuti che riescono a vederlo. Quando capitano sotto le mani di « Ivan il nero», ormai non hanno più paura di nulla. I van trasporta le loro ceneri in un campo vicino, dove vengono usate come concime dagli ortolani che coltivano legumi per la cucina del campo di concentramento. So tutto questo perchè io ero fra i detenuti assegnati a lavorare nell'orto.

Ora in mezzo alla stanza c'è un giovanotto che indossa il camice

. ,, I

bianco sopra l'uniforme delle SS. Molti prigionieri hanno già visto prima il giovane «dottore», perchè egli è membro del « consiglio di selezione·». Ai nuovi detenuti, non appena arrivati al campo, si ordina di scendere la rampa e di fermarsi sull'attenti davanti al piccolo tavolo. Il « dottore », seduto dietro il tavolino, muove l'indice a destra (vita) o a sinistra (morte), mentre una SS spunta i nomi su una lista. Talora il « dottore» si sofferma a esaminare meglio i rottami umani che ha di fronte. « Apri la bocca! Di più! » Poi fa un cenno di assenso col capo. C'è qualcosa che vale in quel detenuto: tre denti d'oro. Con un carboncino, il « dottore» traccia una grossa croce nera sulla fronte del detenuto. « Abtreten! » Tutti coloro che sono stati marcati così devono presentarsi alla fureria del calmpo, dove viene presa nota in duplice copia delle loro protesi. I denti d'oro non sono più di loro proprietà, ma viene loro consentito di usarli ad interim ... fintanto che saranno in vita. Chi dice che le SS sono inumane? Non hanno mai pensato di togliere i denti a un uomo finchè questi è in vita.

Di li a poco i prigionieri che sono stati messi nel gruppo di sinistra si troveranno di nuovo di fronte al giovanotto con il camice bianco. t molto abile nel suo lavoro : riempie una siringa e dice al paziente (che sta a torso nudo) di sedersi sulla sedia. Due SS trattengono il paziente mentre il giovanotto gli si avvicina e con un gesto rapido e preciso gli conficca l'ago nel cuore. La siringa contiene una dose letale di acido fenolico.

« Herr Doktor Babor » è molto stimato dai suoi superiori delle SS che lo chiamano « Herr Doktor » sebbene sappiano ·che quando si arruolò era ancora studente in medicina all'università di Vienna.

« Preferisco sempre darne loro un po' di più della dose letale, per essere ben sicuro, » ha detto ai suoi superiori. Il « dottore » è un uomo pieno di umanità. Talora i prigionieri sono colti dal panico quando egli somministra loro il colpo di grazia con l'acido fenolico, ma non hanno molto tempo per pensarci su. Altri pazienti stanno aspettando. I corpi dei morti sono subito trascinati via e di lì a poco la gente di fuori vede il forno che comincia a uscire dalla ciminiera del forno crematorio.

Dopo che Ruth mi ebbe raccontato la sua storia, rimasi a lungo a pensare seduto dietro la mia scrivania. Quante volt~ avevo veduto uscire il fumo dalla ciminiera mentre lavoravo nell'orto d.el campo di concentramento? Dio aveva voluto che non dovessi sedemù anch'io sulla sedia davanti allo « Herr Doktor » Karl Babor.

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Non c'è un trattato di estradizione fra Austria ed Etiopia. In molti paesi africani il termine di prescrizione per gli omicidi è di dieci anni. Secondo le leggi etiopiche, i delitti di Babor non erano più punibili.

Diedi un'occhiata al curriculum di Babor dal dopoguerra. Era stato rinchiuso in tin campo di' concentramento alleato come uno dei tanti « pesci piccoli» che non avevano fatto « nulla di grave». Nel 1947 passò diversi mesi nel carcere giudiziario di Vienna, ma le prove raccolte contro di lui non vennero ritenute sufficienti e fu rilasciato. Babor er,a fortunato. Su di lui vennero fatte solo indagini superficiali e il suo caso fu archiviato. C'erano molti altri casi da risolvere, ben più importanti del suo.

Nel 1 948, Karl Babor riprese gli studi di medicina all'università di Vienna. L'anno seguente, dopo aver superato tutti gli esami, ricevette nell'Aula Magna dell'univeTSità la laurea di dottore in medicina. Egli giurò solennemente « di servire l'umanità». Il dottor Babor fece il suo periodo d'internato presso l'Ospedale Municipale Gersthof di Vienna e in seguito esercitò la professione nella graziosa cittadina di Gmunden, nel Salzkammergut. Sembra che riuscisse molto simpatico ai suoi pazienti. Ma il dottor Babor non si sentiva sicuro a Gmunden. Un giorno del 1952, due uomini si recarono a casa dei suoi genitori a Vienna e chiesero di lui. Erano due ex internati del campo di concentramento di Grossrosen. Quando il padre di Babor disse loro che suo figlio non c'era, i due se ne andarono direttamente alla polizia e presentarono una formale denuncia contro il dottore. Probabilmente, non fu per una coincidenza che Babor scomparve di lì a poco da Gmunden con la moglie e la figlia. L'anno dopo, le autorità austriache raccolsero altre prove sulle attività di Babor durante la guerra. ·Egli era accusato di aver provocato la morte di un numero imprecisato di persone mediante iniezioni di sostanze mortali. Contro di lui venne spiccato un mandato di cattura. Ma il suo domicilio era sconosciuto: si supponeva che vivesse nel SudAfrica. ·

Poichè sapevo che nessun tribunale etiopico avrebbe processato il dottor Karl Babor e che egli non sarebbe mai tornato spontaneamente a Vienna per affrontare un processo, non -c' era che un solo modo per costringerlo a tornare. Telefonai al corrispondente viennese del New York Times. L'articolo che uscì sul giornale ebbe vaste ripercussioni in America e in Etiopia. L'ambasciata etiopica a Washington convocò in fretta e furia una conferenza stampa per in-

formare l'opinione pubblica che il dottor Babor non era mai stato il medico ufficiale di Sua Maestà il Negus. Si ammise tuttavia che aveva curato vari membri della famiglia imperiale.

Quando un mio scritto dal titolo « Babor deve giustificarsi » fu pubblicato su un giornale di Francoforte, il direttore del quotidiano ricevette una lettera da un insegnante di storia che scriveva: .

Dopo la fine della guerra, nel 1945, mia moglie lngeborg, sua madre (ora defunta) e sua sorella si recarono in Austria e presero alloggio all'Hotel Post di Stuben am Arlberg. Alcune case più in là, abitava un certo dottor Karl Babor, di Vienna, con la moglie Helga e la figlia Dagmar. Babor camminava con le grucce: mi disse che era stato ferito alla fine della guerra. Agli inizi del 1946, mia madre e la sua famiglia si trasferirono a Zug, un piccolo villaggio nei pressi di Lech am Arlberg, e presero alloggio in una vecchia casermetta della Wehrmacht, divenuta proprietà di un contadino del posto. Poco dopo furono raggiunti da Babor e dalla figlia, che rimasero con la famiglia di mia moglie sino alla fine del 1946. Logicamente, vivendo insieme in uno spazio tanto ristretto, i loro rapporti divennero confidenziali. Karl Babor disse a mia moglie e ai suoi parenti di essere stato Lagerartz [medico di campo] in parecchi campi di concentramento. · Mia moglie aveva allora ventidue anni, non sapeva niente di ciò che era realmente accaduto iI) quei campi e pensò che i « medici di campo» svolgessero funzioni e compiti umanitari come i normali dottori. Più tardi lavorò come infermiera nel Sanatorio Helios di Davos, che era stato rilevato dal Comitato di Soccorso Ebraico. Vi venivano curati gli ex internati ammalati di tubercolosi. Gli orrori che i pazienti descrissero a mia moglie, e i fatti che in seguito scoprl su quel periodo - io insegno storia - le aprirono gli occhi. Ora ella ritiene di dover contribuire alla cattura di Karl Babor: e qualcosa può fare, perchè lo ha conosciuto molto bene. Desidera fornire a Herr Wiesenthal tutte le notizie di cui dispone, e la prega di inoltrare questa lettera al Centro di Documentazione perchè non conosce l'indirizzo di Herr Wiesenthal...

Anche ad Addis Abeba il raoconto del New York Times ebbe ripercussioni. I corrispondenti tedeschi e aust<riaci invitarono il dottor Babor a difendersi dalle mie accuse. Nel corso di una conferenza stampa, Babor disse indignato ai corrispondenti che egli « non aveva mai svolto alcuna attività in un ,campo di concentramento». Ammise, però, di essere stato a Braslavia in qualità di Truppenartz (modico militare).

Un corrispondente gli chiese: « Dottor Babor, perchè non querela Wiesenthal per diffamazione? »

« Non posso farlo. Dovrei andare a Vienna, e non ho denaro da buttar via. »

Quando lessi questa affermazione nei giornali tedeschi e austriaci, telegrafai a Babor: PREGOLA RITIRARE BIGLIETTO AEREO AVIOLINEE

ETIOPICHE ADDIS ABEBA STOP ALLOGGIO ET VITTO PAGATI IN VIENNA STOP WIESENTHAL. Non ritenni opportuno aggiungere che alloggio e vitto gli sarebbero stati forniti gratuitamente in un carcere giudiziario dalle autorità austriache, che avevano ancora in piedi contro di lui un mandato di cattura. Comunicai il testo del telegramma ai giornali locaH. Volevo es.sere certo che Babor non potC$C accampare la scusa di non· averlo ricevuto.

Il telegramma rimase senza risposta. Babor non voleva venire a Vienna. Decise invece di fare un altro viaggio. F ece testamento, pagò i conti in sospeso, mise meticolosamente in ordine tutte le sue carte, e se ne andò in macchina nella boscaglia, fino al suo posto preferito, lungo il fiume infestato dai coccodrilli, dove aveva condotto Ruth la sera del suo arrivo ad Addis Abeba.

Lì fermò l'automobile, si tolse tutti i vestiti e li mise nella macchina. Si portò dietro solo il fucile. Faticosamente s'inoltrò nel fiume, circondato da quegli animali che gli piacevano tanto. Continuò a camminare finchè l'acqua gli giunse qu~i al petto, poi si sparò al cuore.

Forse aveva sperato che i coccodrilli si accorgessero di lui, ma non fu così. Alcuni giorni dopo, alcuni turisti americani che partecipavano a un safari videro il corpo che galleggiava sull'acqua limacciosa. Comunicarono la loro scoperta alle autorità etiopiche. Le indagini della polizia accertarono senza pos.sibilità di dubbi che il dottor Karl Babor si era suicida to. In Germania, un giornale nazista pubblicò un servizi o in esclusiva secondo il quale Babor era stato u cciso « da agenti di Wiesenthal ». Al fun e rale, che ebbe luogo alcuni giorni dopo, erano presenti molti membri della colonia austriaca e tedesca. Il console generale austriaco depooe una corona sulla tomba del dottor Babor.

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CAPITOLO XIII LO STERMINIO DEGLI ZINGARI

Scoprii il tel egramma per caso, in un giorno del settembre 1 964, a Praga, mentre esaminavo certi documenti nazisti. Il telegramma era stato spedito dal comando della Gestapo di Berlino, in data 1 3 ottobre 1939, all'uffi cio della Gestapo di Mahrisch-Ostrau nel Protettorato della Boemia-Moravia (oggi Moravska-Ostrava in Cecoslovacchia). Era destinato alla particolare attenzione del tenente Wagner, « per l 'immediata consegna al capitano del:le SS Eichmann » e diceva:

COLONNELLO SS NEBE TELEFONATO IL 12-10-39 E CHIESTO QUANDO POSSIBILE PROCEDERE INVIO ZINGARI DI BERLINO. DETTOGLI PAZIEN· TARE UN PAIO DI GIORNI PER DARMI POSSIBILITÀ TROVARE CAPITANO SS EICHMA.l\'N ET DIRGLI DI METTERSI IN CONTATTO CON COLONNELLO SS NEBE. SE TRASPORTO ZINGARI BERLINESI SARÀ ULTERIORMENTE RINVIATO, LA CITTÀ DI BERLINO DOVRÀ COSTRUIRE CAMPO SPECIALE PER ZINGARI CON GRANDI SPE SE ET ANCOR PIÙ GRANDI DIFFICOLTÀ. COLONNELLO SS NEBE PREGA TELEFONARGLI, BRAUNE

Il successivo messaggio era un altro telegramma, URGENTE, in data I 6 ottobre, diretto da Eichmann, « SD Donau » (Servizio di Sicurezza della Gestapo a Vienna), alla « ATTENZIONE DEL CAPITANO OUNTER, GESTAPO MAHRISCH-O S TRAU » e diceva:

RIFERIMENTO TRASPORTO ZINGARI LA INFORMO CHE VENERDÌ 20- I 0-39

PARTIRÀ DA VIENNA PRIMO CONVOGLIO EBREI. A DETTO CONVOGLIO SARANNO ATTACCATI TRE O QUATTRO VAGONI DI ZINGARI. ULTERIORI TRENI PARTIRANNO DA VIENNA, MAHRISCH-OSTRAU E KATOWICE [Polonia]. S ISTEMA PIÙ SEM PLICE EST ATTACCARE ALCUNI VAGONI ZINGARI AD OGNI CONVOGLIO. POICHÈ DETTI CONVOGLI DOVRANNO SEGUIRE UN ORDINE PRESTABILITO, S I PREVEDE REGOLARE EFFETTUAZIONE

.. . ' I •
:

Nel settembre d el 1964 ero andato a Praga per esaminare i documenti nazisti contenuti in quattro c~ metalli che che erano state rinvenute in fondo al lago è emé Jezero, nella Boemia del sud. Mentre ero a Praga, le autorità cecoslovacche mi mostrarono gli archivi della Gestapo scoperti <la poco a Moravska-Ostrava. Erano i primi documenti che vedessi sullo sterminio degli zingari. Evidentemente, l'operazione era stata diretta da Adolf Eichmann, mentre il responsabile era stato un certo « Braune ».

Naturalmente, non era un mistero che gli zingari fossero considerati una razza « inferiore» in Germania dopo l'avvento al potere di Hitler nel r 933. Tre anni dopo venne istituito dalla SD uno speciale ufficio « ricerche », incaricato di fare « indagini » sugli zingari: qualcosa di simile all'Ufficio per gli Affari Ebraici, pres.so il quale Eichmann aveva lavorato dal 1937. L'applicazione delle leggi di Norimberga concernenti gli ebrei era già stata estesa agli zingari. I matrimoni fra zingari e tedeschi erano proibiti. Nel settembre 1939, dopo l'inizio della guerra con la Polonia, Himmler aveva ordinato che tutti gli zingari che vivevano « nella Grande Gem1ania » fossero trasferiti in Polonia. Questo ordine colpì circa trentamila zingari; due terzi di essi vivevano in Germania, i rimanenti nel Burgenland austriaco e nella Boemia-Moravia.

Avevo saputo che in al cuni campi di concentramento c'erano speciali recinti riservati agli zingari. Un grande campo per gli zingari era stato creato ad Auschwitz Birkenau. Allo sterminio degli zingari fu brevemente accennato nel corso del grande processo sui fatti di Aruschwitz celebrato a Francoforte s ul Meno agli inizi del 1960.

Cominciai ad ìnterc~rmi all'argomento, dato che nessuno aveva mai pensato di farlo. Gli zingari non sono bene organizzati; si spostano cont inuamente da un posto all'altro; molti sono analfabeti. Non hanno un Centro di Documentazione, e nessuno si era mai preoccupato in maniera particolare dèlle loro vicissitudini fino a che non trovai, per puro caso, i docum enti negli archivi della Gestapo a Moravska-Ostrava.

Due giorni dopo l'invio del telegramma di Eichmann all'ufficio della Gestapo di Mahrisch-Ostrau, a proposito dei primi trasporti di

TRASPORTI. INIZIO OPERAZIONE IN ALTREICH [territorio della Germania propriamente de t ta] PREVISTO ENTRO TRE-QUATTRO SETTIMANE. EICHMANN
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zingari, ci fu una « conversazione » per telescrivente fra il capitano (SS-Hauptsturmfiihrer Walter) Braune a Berlino e il capitano SS Gtinter a Mahrisch-Ostrau. Esistono copie della conversazione nel!'archivio della Gestapo. Fra l'altro, è detto:

PRECOLA INFORMARE CAPITANO NEBE AUT MAGGIORE WERNER IMPOSSIBILITÀ METTERCI IN CONTATTO CON LORO. FRATTANTO SPEDIAMO

MESSAGGIO cosrl. PROSSIMO CONVOGLIO DA MAHRISCH-OSTRAU PREVISTO MERCOLEDÌ 25-10-39. FORSE ZINGARI POTRANNO ESSERE AGGREGATI CONVOGLIO. GUNTER

Il capitano Braune da Berlino rispose « GEHT I.O. » « I.O. » significa in Ordnung, 05.Sia. « STA BENE ». Braune aggiunse: .

INFORMERÒ CAPITANO NEBE AUT MAGGIORE WERNER. CHE c'È DI NUOVO cosrl? OSSESSIONATO DA TABELLE STATISTICHE.

Il capitano Giinter rispose :

SPEDIAMO OGGI PRIMO CONVOGLIO 901 EBREI DIRETTO NISKO [Polonia]. ANDRÒ PROSSIMAMENTE A KATOVICE. ALTRI IOOO PARTIRANNO DI LÀ VENERDÌ MATTINA. SIGNORINA LEITNER EST ARRIVATA?

Il capitano Braune tr.asmise :

SÌ. SIGNORINA LUKASCH EST ARRIVATA?

Al che il capitano Giinter rispose :

SÌ. SARÒ REPERIBILE A MAHRISCH-OSTRAU. MIO SOSTITUTO EST CAMERATA BRUNNER PERFETTAMENTE AL CORRENTE DI TUTTO.

Il capitano Braune, da Berlino, volle sapere :

QUANDO VERRÀ QUI IL CAPITANO EICHMANN?

E Giinter rispose :

PROBABILMENTE INIZIO PROSSIMA SETTIMANA. COLONNELLO MULLER

METTERÀ AEREO A SUA DISPOSIZIONE. HH! GUNTER

.~

HH significa « Heil Hitler!» E Braune concluse doverosamente, la conversazione con un:

Facemmo copie di tutti i documenti relativi alle deportazioni e allo sterminio degli zingari. Gli originali sono conservati nell'archivio di Stato cecoslovacco a Praga. Nel giugno 1965 mandai la documentazione completa al primo procuratore Schule, presso l'Ufficio Centrale di Ludwigsburg. Sia qui che a Bonn, nessuno aveva mai saputo niente di questo aspetto poco documentato dei genocidi nazisti. Riuscii a identificare lo Hauptsturmfuhrer Braune. Lo SS-Oberfuhrer Nebe, capo dello SS-Reichskriminalpolizeiamt, gli aveva affidato il compito di portare a termine l'eliminazione degli zingari. Altri appartenenti ;ùle SS citati nei documenti erano un certo tenente Wagner, il capitano Giinter, il maggiore Wern er, il colonnello Miiller, Heinrich Miiller (superiore di Eichmann), un membro del partito di nome Briinner e due donne chiamate Leitner e Lukasch.

Si ignora se Braune, il principale responsabile, sia ancora vivo.

A partire dal 1964, abbiamo trovato qua e là del materiale relativo allo sterminio degli zingari in diversi archivi ebraici di tutto il mondo, ma molti particolari rimangono ancora sconosciuti. Per esempio, non si sa con precisione dove gli zingari siano stati uccisi. Molti furono confinati nei ghetti con gli ebrei, specie a Varsavia, a Lublino e a Kielce, in Polonia. Spesso furono deportati con gli ebrei e subito eliminati dai carnefici delle SS. Nei rapporti delle unità SS incaricate degli stermini in Ucraina, abbiamo trovato molti riferimenti alle uccisioni di zingari.

La deportazione degli zingari dalla Germania settentrionale cominciò nel maggio 1940. Altri convogli partirono dalla Baviera e dal Burgenland austriaco, presso il confine con l'Ungheria. Dopo l'invasione tedesca dell'Unione Sovietica, l'Einsatzgruppe D ebbe ordine di annientare tutti gli zingari dell'Ucraina e della Crimea. Nel 1942 continuarono le depòrtazioni dall'Europa occidentale e sud-occidentale, e gli zingari vennero smistati nei campi di concentramento della Polonia. L'ultimo atto ebbe luogo, probabilmente, nel 1944, ad Auschwitz. Nessuno saprà mai quanti zingari vennero uccisi. Ce n'erano forse centinaia di migliaia nei territori conquistati dai nazisti.

Nel mio rapporto all'Ufficio Centrale di Ludwigsburg ho fatto presente che le prove dovrebbero essere sufficienti per aprire una nuova serie di processi per genocidio.

. . .
I,

La lettera veniva dalla Nuova Zelanda. La grafia era difficile da decifrare, ma il significato era chiaro. La veccha signora si scusava : sapeva che di solito non mi occupavo di casi del genere; ma non sapeva a chi rivolgersi. Aveva già scritto parecchie lettere a Vienna, ma nessuno era stato in grado di dirle niente. Era stata portata via nel r 939. Erano entrati nel suo appartamento nel Primo Distretto di Vienna. « Mi diedero esattamente cinque minuti per prendere il S<>prabito e la borsa, » diceva. Non aveva denaro, e aveva già dovuto disfarsi dei gioielli. Era rimasto solo l'appartamento, con le belle cose che conteneva.

... Avevo fatto molti sacrifici per conservare l'appartamento esattamente come me lo avevano lasciato i miei genitori: le porcellane di Meissen e le tabacchiere della collezione di mio padre, i mobili Biedermeier, la vetrina con le tre statuette di SMes, i vecchi candelieri e l'argenteria. Dopo il 1920, durante l'inflazione, quando soffrivamo il freddo e la fame, ero stata costretta a vendere alcune cose per comperare cibo e carbone. Ma non avevo toccato i quadri. E fra questi ce n'era uno che prediligevo perchè sapevo che significato avesse avuto per mio padre...

Sull'uscio, si. era voltata per dare un'ultima occhiata alla casa: fu quella l'ultima volta che vide i suoi tesori. Quando tornò, nel r 946, non c'era rimasto più niente. Un noto nazista aveva preso possesso del suo appartamento poche settimane dopo che lei era stata portata via. Immediatamente prima della fine della guerra, il nazista e la sua famiglia erano scappati portandosi via molte cose, ma nessuno aveva saputo dirle che fine avessero fatto. La gente era occupata a cercare amici e parenti, e non aveva tempo di pensare alle porcellane di Mei.sren, alle tabacchiere e ai candelieri. In seguito, la signora era emigrata in Nuova Zelanda, dove vive grazie all'aiuto di alcuni lontani parenti.

CAPITOLO XIV IL MUSEO DELLE LACRIME

Mi sono rassegnata alla perdita di tutte le mie cose; altri hanno perso molto di più. Ma vorrei sapere che ne è stato di quel quadro. Un amico facoltoso vorrebbe comperarlo e ha promesso di lasciarmelo finchè vivo. Il denaro mi farebbe comodo. Sto invecchiando e ho qualche debito ...

Aveva scritto a diverse organizzazioni viennesi. chiedendo notizie del quadro. Le ci vollero due anni solo per riuscire a scoprire il posto dove venivano conservati i quadri « senza proprietario » : allo Hofburg, nei depositi del Bundesdenkmal.amt (Sovrintendenza ai monumenti). Scrisse a questo ufficio, e le risposero che doveva presentare un certo numero di documenti, perchè in caso contrario non avrebbero potuto dirle nemmeno se il suo quadro era in deposito.

Non era la prima volta che sentivo parlare di quel deposito di quadri. Qualche tempo prima avevo ricevuto una telefonata da un avvocato di Vienna. Un profugo viennese, che viveva in Inghilterra, gli aveva chiesto di cer,care di recuperare un quadro prezioso conservato nello Hofburg.

« È strano, » disse l'avvocato. « Mi sembra di brancolare nella nebbia. Tutti si comportano come se volessi rubare qualcosa. Dovrebbe occuparsi della faccenda, Wiesenthal. Ho il sospetto che ci sia qualcuno o qualcosa dietro questi quadri. »

Qualcuno c'era infatti. Appena cominciai a indagare in quel campo in cui non avevo alcuna esperienza, i risultati furono molto interessanti. Alla fine della seconda guerra mondiale, l.,t questione dei tesori d'arte europei era in pieno caos. I nazisti avevano organizzato il più colossale furto di oggetti d'arte della storia. Dopo che Hitler, Goering e Ribbentrop avevano rivelato un sorprendente interC$C per le belle arti, il « collezionismo » era diventato non solo un segno di distinzione per i gerarchi nazisti, ma anche uno svago, più proficuo della caccia e della pesca. Il Fiihrer era il maggiore collezionista, e accarezzava il grandioso progetto di dare alla sua diletta città natale, Linz, la più grande galleria d'arte del mondo: di gran lunga più importante del Louvre, degli Uffizi e del Prado. Sarebbe stato quello il più grosso affare, nel campo artistico, di tutta la storia. Venne creato un Einsatzstab (ufficio speciale) sotto la guida dell'infaticabile esperto culturale di Hitler, Alfred Rosenberg, che aveva il compito di fare man bassa su tutti i tesori d'arte nei paesi occupati dai nazisti. Il personale dell'ufficio venne reclutato fra i direttori di musei, gli esperti e i mer.canti d'arte.

Le « collezioni » naziste venivano create o ricorrendo semplicemente alla confisca o mascherando l'operazione con una parvenza di

legalità. Un amico che vive in Olanda mi ha parlato recentemente di questo secondo metodo.

« Si sapeva che possedevo un bel Frans Hals. Non ce ne sono molti di proprietà privata. Gli esperti di Rosenberg vennero a trovarnni in un certo giorno del 1941, con due compari della Gestapo. Guardarono il mio Hals e naturalmente lo trovarono bello. Mi proposero di acquistarlo per il costituendo ~useo del Fiihrer: era un grande onore e uno straordinario privilegio per me contribuire a quel supermuseo. Mostrarono di apprezzare il dipinto offrendomi quello che secondo loro era <un buon prezw >. »

lt mio amico si mise a ridere. « Dopo il 1930, negli anni della · crisi, il quadro era stato valutato 1 50.000 marchi. Loro mi offrivano 1 500 marchi. Dissero che non volevano approfittare di me. Uno degli uomini della Gestapo mi disse che per lui il quadro era stato valutato 1500 marchi di troppo. Mi dette sessanta secondi per pensarci. Accettai. »

« E se avessi rifiutato la proposta?»

Rise di nuovo. « Conoscevo un tale che era ostinato. La Gestapo gli prese i quadri e si portò via anche lui. Non è più tornato. »

Dopo la guerra, alcuni esperti incaricati delle restituzioni cercarono di mettere ordine nel caos. I quadri che erano stati rubati dai musei e dalle gallerie pubbliche vennero facilmente identificati e restituiti. Per quanto riguardava le collezioni private i cui proprietari erano scomparsi, la faccenda fu meno facile. E il problema si dimostrò d ifficilissimo per quei pezzi appartenenti a privati che avevano posseduti uno, due o tre quadri solamente. Costoro non avevano una precisa documentazione, come i grandi collezionisti.

Le .autorità della Germania Occidentale cercarono di rintracciare i proprietari o i loro eredi; restituirono anche ali'Austria i quadri che erano appartenuti a cittadini austriaci. Gli austriaci furono più lenti. Consegnavano le opere d'arte ai legittimi proprietari che potevano provare il loro buon ruritto, ma non fecero nulla per trovare le persone, o gli eredi delle persone cui erano appartenuti i dipinti, i disegni, le sculture che ora sono immagazzinati allo Hofburg. Sapevano bene che i proprietari erano stati persegui t ati per motivi razziali o politici. Ma affermavano che molti casi erano « c.omplicati »

Talvolta gli antichi proprietari erano stati costretti a « vendere » le opere d'arte, ,così come il mio amico _ olandese aveva «venduto» il su o Hals. Spetta ai tribunali decidere se queste vendite siano legali. Un dipinto poteva essere stato «requisito» da un nazista dopo la deportazione del proprietario ebreo, . e poi successivamente « requi-

sito » da altre persone dopo la fuga precipitosa del nazista . Era kompliziert (complicato).

Cominciai con lo studiare l'elenco dei principali dipendenti del1'Einsatzstab di Rosenberg cui era stato affidato il compito di traf ugare i tesori d'arte. Non fui troppo sorpreso quando scoprii che alcuni di coloro che presero parte al grande furto di opere d'arte erano tornati ad occupare alte cariche nei musei e nei ministeri; altri erano diventati facoltosi mercanti d'arte. Due membri dell'ufficio di Rosenberg sono oggi noti mercanti d'arte di una grande città della Germania meridionale. Uno dei massimi esponenti del Bundesdenkmalamt di Vienna era stato NS Guskunstwart (una specie di Gauleiter per le belle arti) in Carinzia. Aveva fatto parte di una commissione volante delle SS che viaggiava per tutta la Jugoslavia col compito di scegliere i pezzi per il museo del Fi.ihrer.

Cercai di stabilire esattamente quanti dipinti fossero conservati allo Hofburg e che genere di dipinti fossero. Non fu facile. Esistevano degli elenchi, ma erano custoditi come fossero testate atomiche (forse per timore del loro contenuto esplosivo). Telefonai a Frau Dr. P., Staatskonservator (direttrice del Museo di Stato), per chiederle un appuntamento. Chi ero? Che cosa volevo sapere?

« Desidererei un elenco dei quadri senza proprietario che sono depositati allo Hofburg. »

Una lunga pausa. « Chi le ha detto di rivolgersi a me?»

Spiegai che ,m'interessavo alla cosa per conto di alcuni proprietari. Frau Dr. P. mi disse brevemente che era molto oocupata e mi invitò a passare da lei « fra una decina di giorni».

Così feci Frau Dr. P. mi chiese quali fo~ro esattamente i quadri che m'interessavano. Risposi che m'interessavano tutti i quadri.

« Ma è impossibile. Non possiamo dare un'informazione del genere a un privato cittadino. »

Le chiesi se. preferiva che ne informassi la stampa. Poteva sempre smentirmi, le di.sm.

Alla parola «stampa», la direttrice del Museo di Stato si irrigidi. Mi disse che la faccenda non rientrava nelle sue competenze, e mi consigliò di andare al Ministero delle Finanze.

Al Ministero delle Finanze, il funzionario competente non mi ricevette nerruneno. Mi fu detto di parlare con il suo assistente. Costui era un uomo simpatico. Mi f ea sedere, mi offrì una sigaretta e mi disse che era lieto di conoscere il beruhmter (celebre) Herr Wiesenthal.

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Gli risposi: « Vuol dire il beruchtigter [famigerato] Wiesenthal. »

La sua cordialità cominciò a svanire. Che cosa poteva fare per me? Riproduco qui di seguito il dialogo il più fedelmente possibile:

W: « Quanti sono i quadri di proprietari sconosciuti che avete in deposito?»

Lui: « Be', è difficile dirlo. Bisognerebbe fare un inventario aggiomato. Sa, ci sono continui movimenti. Abbiamo non solo quadri di proprietari perseguitati per motivi razziali o politici, ma anche quadri di provenienza ungherese e cecoslovacca, capitati qui durante la guerra. »

W : « Quanti quadri appartengono a perseguitati razziali o politici... duecento? trecento? »

Lui : « Direi molti cli più! »

W: «Duemila?»

Lui : « Be', forse duemila è troppo. »

W: « Fra questi, ci sono quadri cli valore?»

Lui:« Dipende da ciò che si intende per <valore>. Non c'è niente sul piano di un Rembrandt. »

W: « Ma ce ne sono di pregevoli?»

Lui : « Be'... sì. »

W: « Perchè non avete mai pubblicato un elenco di questi quadri? Ciò consentirebbe ai proprietari sparsi per tutto il mondo di chiederne la restituzione. »

Lui: « Ma, caro Herr Wiesenthal, non c'è bisogno di pubblicare un elenco del genere. I mercanti e i collezionisti sanno tutto sui quadri più importanti. Das spricht sich herum [la cosa si viene a sapere]. »

W: « Supponga che non lo si venga a sapere in un paesino ·della Nuova Zelanda dove una vecchia signora ebrea vive di carità. Potrebbe vendere il quadro e godersi in pace gli ultimi anni di vita. »

Lui : « ..• Ehm. »

W : « So che avete restituito alcuni quadri a persone che hanno provato di esserne i proprietari. Ma ho saputo che i quadri non re- . clamat\ entro il 1968 diventeranno proprietà dello Stato. »

Lui: « E lei che cosa proporrebbe? »

W : « Proporrei di fare un catalogo di tutti i quadri e delle opere d'arte. Lei sa quanto sangue e quante lacrime siano CO!Slate queste opere. Una volta stampato, il catalogo dovrebbe essere spedito ai consolati austriaci in tutti i paesi del mondo. Gli interessati potrebbero cosi consultarlo per vedere se i loro quadri sono fra quelli immagazzinati nello Hofburg. »

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Lui (tormentandosi le mani): « Si rende conto di ciò che significa? Saremmo sommersi da un mare di lettere. »

W: « Ne sarebbero contenti i filatelici austriaci.»

Lui: « Non capisce. Tutta questa faccenda è kompliziert. Abbiamo cominciato a trattare con gli ungheresi. Poi parleremo con i cechi. Ma non abbiamo il tempo di parlare con ogni singolo proprietario: E non abbiamo nemmeno il personale per farlo. »

· Reticente fu anche l'atteggiamento dell'ufficio per la Vermogenssicherung (coQ.Serv.azione dei beni). Mi disrero che un catalogo dei quadri ·avrebbe suscitato una vera e propria « battaglia cartacea» scatenando cause a non finire. Era impossibile « limitarsi a mostrare » i quadri alle persone che affermavano di esserne i proprietari,

« Lei non sa che cosa è successo dopo la partenza delle truppe alleate nel 1955. Restituimmo gli oggetti confiscati a coloro che dimostrarono di esserne i proprietari. Ma subito dopo vennero fuori altre persone che reclamavano i loro diritti .sugli stessi beni. Bontà divina, non ha idea di quel che accadde. Fatto strano, le contestazioni vertevano sempre sugli oggetti di maggior valore. Nessuno reclamava la paccottiglia. »

« Ciò significa, » gli dissi, « che intendete aspettare fino a che queste opere diventeranno proprietà dello Stato?»

« Le domande di restituzione dovevano essere inoltrate entro la fine del 1956. È impossibile prendere in considerazione le richieste pervenute in data posteriore. »

. E se i proprietari avessero ignorato quel termine di t empo? Oh, sarebbe stata una cosa spiacevole, ma non c'era proprio niente da fare.

Non rimaneva che fare appello ai massimi esponenti del governo e al popolo austriaco. Scrissi al ministro delle Finanze, al ministro dell'Istruzione e al ministro degli Affari Esteri, chiudendo le lettere con . queste parole: « Sono convinto che la Repubblica Austriaca non intende trci profitto da opere d'arte che grondano sangue e lacrime. » .

Mandai tutte le notizie di cui disponevo sull'argomento, con copie delle mie letter~, alla. stampa. Per un po', nessuno pubblicò nulla. lJn _illto funzionario ministeriale . mi comunicò che « la complessa qyestione .era allo studio».

Nell'.ottobre 1965, l' Express di Vienna pubblicò un servizio -sul « Museo delle lacrime»> Qualche altr.o giornale seguì il suo esempio. Il ministro degli Esteri, dottor Bruno Kreisky, mi scrisse che appog·

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giava la mia proposta di pubblicare un catalogo dei tesori d'arte da mandare ai ·consolati austriaci in tutto il mondo, così che i presunti proprietari potessero desumerne ogni utile informazione.

Il I 6 aprile 1 966, il dottor Wolfgang Schmitz, ministro delle Fi· nanze, mi scrisse che l ui e il ministro dell'Istruzione avevano esa· minato a fondo la questione.

« Il problema da lei esposto, » scriveva il ministro, « sarà risolto con una nuova legge federale che probabilmente verrà chiamata Kunstgut-Bereinigungsgesetz [legge per il riordinamen to delle opere d'arte]. Ho già dato ordine di preparare il relativo disegno. La legge permetterà agli interessati di far valere i loro diritti entro un certo termine dal momento in cui diventerà operante. Spero che apprezzerà l'intenzione... »

Forse non sarà troppo tardi per la vecchia signora della Nuova Zelanda.

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Quando ero studente, passavo spesso qualche settimana nella località montana di Zakopane, nei Carpazi (Polonia). D'estate c'erano i boschi, il sole, la tranquillità. D'inverno, c'erano buoni campi di sci. Zakopane è tornata ad es.5efe una nota stazione di sport invernali. Poco distante c'è la cittadina di Rabka. Qui viveva un tempo un bambino ebreo, di nome Sammy Rosenbaum. Sentii parlare per la prima volta di Sammy Rosenbaum una mattina del settembre 1965, quando una certa signora Rawicz di Rabka venne nel mio ufficio di Vienna. Stavo cercando delle persone che potessero testimoniare in un processo che sarebbe stato celebrato in Germania per certi crimini perpetrati dai nazisti a Rabka.

La signora Rawicz aveva conosciuto bene Sammy Rosenbaum. Disse che era « un bambino fragile, col viso pallido e smunto e due grandi occhi neri che lo facevano apparire molto più grande di quel che era: come accadeva a tanti bambini che imparavano troppo presto a conoscere la vita e che non ridevano quasi mai ». Sammy aveva nove anni nel 1939, quando i tedeschi occuparono Rabka, nei primi giorni della campagna polacca, e l'esistenza divenne un incubo per gli ebrei di quel paese. Fino a quel momento la vita era stata abbastanza normale... se si poteva chiamare normale la vita di un povero ebreo in Polonia. Il padre di Sammy era un modesto sarto, che lavorava molto e guadagnava poco. La gente come i Rosenbaum erano una selvaggina ideale per le autorità, e la stagione della caccia in Polonia durava dodici mesi all'anno.

I Rosenbaum vivevano in un miserabile appartamento di due camere e un cucinino in una casa vecchia e buia. Ma erano felici, e molto religiosi. Sammy imparava a dire le preghiere. Ogni venerdì sera andava col padre alla sinagoga, dopo avere acceso le candele in casa. La madre e la sorella di Sammy, Paula, maggiore di lui di tre anni, rimanevano a casa a preparare la cena.

Questo genere di vita diventò solo .un ricordo dopo l'occupazione

~. ,·· .• 1 •• .,,.. .,. ' CAPITOLO XV DUE CANDELE.
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della Polonia da parte dei tedeschi. Nel 1940, le SS installarono nelle caserme dell'ex esercito polacco, nei boschi intorno a Rabka, una cosiddetta « scuola di polizia». Non era una scuola come le altre. Era un centro di addestramento p er i futuri assas.5ini delle SS. Era la prima fase del piano di stermini o. Le esecuzioni venivano effettuate da plotoni di SS che sparavano alle loro vittime. Talvolta dovevano fucilare cinquanta, cento, anche centocin~uanta persone al giorno. A Rabka venivano temprati g li uomini délle SS perchè non crollassero dopo poche settimane di servizio. Dovevan o diventare insensibili alla vista del sangue, alle grida strazianti di donne e bambini. Il lavoro doveva essere svolto con il minimo chiasso e con la massima efficienza. Era un Fuhrerb efehl, un ordine del Fiihrer.

Lo SS-Untersturmfuhrer Wilhelm R osenbaum di Amburgo fu nominato comandante della sc uola. Rosenbaum era una SS perfetta : cinico, brutale, convinto della sua « missione ». Girava per il paese con un frustino da cavallerizzo. « Quando lo vedevamo per la strada, ne eravamo tanto terrorizzati che ci ~ugiavamo nel portone più vicino,» ricordava la donna di Rabka. All'inizio del 1942, la SS Rosenbaum ordinò che tutti gli ebrei di Rabka si present~ro alla scuola locale pèr CS5ere «registrati ». Gli ebrei sapevano che significato avesse quest'ordine. I malati e i vecchi sarebbero stati deportati subito. Gli altri avrebbero dovuto lavorare per le SS, per la Wehrmacht, dovunque avessero voluto mandarli.

Mentre le operazioni di r egistrazione volgevano al termine, arrivò lo SS-Fuhrer R osen baum, accompagnato dai du e vice-comandanti, Hermann Oder e Walter Proch. ( Entrambi miei «clienti» subito dopo la guerra. Scovai Proch nel 1947 a Blombetig-Mondsee, un villaggio nei pressi di Salisburgo. Fu condannato a sei anni di carcere. Oder, anch'egli austriaco, fu arrestato a Linz n ella grande villa che aveva « requisito » al pre cedente proprietario ebreo. In seguito gli americani lo rimisero in libertà, e oggi è un fa coltoso uomo d'affari di Linz. Lo SS-Fuhrer Rosenbaum scomparve dopo la guerra, ma il suo nome fu sempre fra i primi nell a mia lista di « ricercati ». )

Nell'aula scolastica di Rabka, lo SS-Fuhrer R osenbaum esaminò i nomi degli ebrei. « Improvvisamente sbattè con violenza il frustino sulla tavola, » mi disse la donna di Rabka. « Tutti sobbalzammo, come se fossimo stati sferzati. La SS Rosenbaum urlò: < Cos'è questo? Rosenbaum? Ebrei! Come osano questi uerdammte Ju den di portare il mio bel nome tedesco? Bene, ci penserò io., » Forse lo SS-Fuhrer Rosenbaum sarebbe rimasto sorpreso scoprendo che il suo bel nom e tedesco è di solito co nsiderato un nome ebreo,

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anche se, naturalmente, vi sono dei Rosenbaum che non sono ebrei. ' Sbattè l'elenco sul tavolo e uscì a gran passi. Da quel momento, tutti a Ràbke capirono che i Rosenbaum sarebbero stati uccisi; era solo questione di tempo. Si sapeva che in altri posti degli ebrei erano stati arrestati e uccisi pen:hè si chiamavano « Rosenberg », o perchè avevano nome Adolf o Hermann. ·

A quel tempo, circolavano già a Rabka voci raccapriç.cianti sulla scuola di polizia. Si diceva che gli uomini si esercitassero alle esecuzioni su una spianata in mezzo ai boschi. Gli allievi delle SS sostenevano gli esami sparando sulle loro vittime mentre lo SS-Fuhrer Rosenbaum e· i suoi assistenti osservavano con occhio clinico le reazioni degli allievi. I bersagli viventi per questi esami erano ebrei e polacchi rastrellati dalla Gestapo. Sè un allievo si mostrava esitante, veniva tolto .dal plotone di esecuzione e spedito in prima linea.

La signora Rawicz sapeva quel che diceva. Dopo la registrazione, era stata mandata come inserviente alla scuola cli polizia. « Quando le SS tornavano dalla spianata nel bosco, dovevo pulire i loro stivali, che erano ,sempre sporch i' di sangue. »

Era un venerdì mattina; un venerdì del mese di giugno. I testimoni oculari, due dei quali vivono oggi in Israele, non ricordano la data esatta, ma sanno che era un venerdi. Uno dei testimoni stava lavorando nella casa al di là del campo di gioco, di etro la scuola. Vide ciò che accadde. Due SS scortavano « l'ebreo Rosenbaum », la moglie e la figlia quindicenne. Dietro di foro veniva lo SS-Fuhrer Rosenbaum. ·

« La donna e la ragazza avevano appena girato l'angolo della scuola quando sentii alcuni colpi, » disse il testimone sotto giuramento. « Vidi che la SS Rosenbaum c~minciò a picchiare il nostro Rosenbaum con il frustino, grid'ando: < Sporco ebreo, t'insegnerò io a ,portare il mio nome tedesco!> Poi la SS estrasse la rivoltella e sparò al sarto Rosenbaum. Sparò due o tre volte. Non potei contare gli spari,' ero atterrito. »

In precedenza, Te ',SS erano andate per prendere ·i Rosenbaum con uz:i furgoncino. Il sart~, la r:noglie e la figlia erano seduti a tavola a far colazione. Sammy si trovava già nella gra1,1d e cava ~i pietra vicino a Zakryty, dove era stato man d a to a lavorare quando av.eva compiuto i d~ie:i anni. Tutti gli uomini ebrei dovevano lavo- · rare, ed oramai Sammy era considerato un uomo. Ma era debole e denutrito, e ,l'unico Javoro che poteva fare era quello di scegliere le pietre e caricare le più piccole su un carrello.

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La SS mandò un poliziotto ebreo disarmato· alla cava per prendere Sammy. Mandavano s~ poliziotti ebrei ad arrestare altri ebrei, quando erano troppo occupati con l'addestramento alla scuola di polizia. Il poliziotto ebreo raccontò in seguito alla inserviente della scuola ciò che accadde di preciso. Era andato a Zakryty con un carretto tirato da un cavallo. Aveva femiato l'animale e aveva fatto un segno con la ;mano a Sammy Rosenbaum. Tutti alla cava smisero di lavorare per guardare : i lavoratori ebrei e Je due SS di guardia. Sammy posò sul carrello la grossa pietra che aveva in mano e si avvicinò al carretto. Sammy sapeva ciò che sarebbe successo.

Sammy guardò il poliziotto ebreo. « Dove sono?» chiese. « Papà, mamma e Paula. Dove sono?»

Il poliziotto non disre nulla, si limitò a scuotere la testa.

Sammy capì. « Sono morti. » Parlava a bassa voce. « Lo sapevo da tanto tempo che sarebbe successo. Perchè ci chiamiamo Rosenbaum. »

Il poliziotto deglutì, ma Sammy parve non accorgersene.

« E adesso lei è venuto per me,» disse calmo. Non c'era emozione nella sua voce. Salì sul carretto e sedette accanto al poliziotto ebreo.

Il poliziotto non riusciva a dire una parola. Si era aspettato che il ragazzo piangesse, oppure che cercasse di scappare. Lungo tutta la strada che lo portava a Zakryty, il poliziotto aveva pensato a come avrebbe potuto avvertire il ragazzo, farlo scomparire nei boschi, dove poi i partigiani polacchi avrebbero potuto aiutarlo. Adesso era troppo tardi. Le due guardie delle SS li osservavano con i fucili in pugno.

Il poliziotto disse a Sammy quello che era accaduto la mattina. Sammy chiese se potevano fermarsi un momento a casa sua. Quando arrivarono, scese ed entrò, lasciando la porta aperta, nella stanza dove i suoi avevano fatto colazione. Guardò fa tavola su cui erano rimaste le tazze semivuote. Poi guardò l'orologio. Erano le tre e mezzo. Papà, mamma e Paula erano già sotto terra, nessuno aveva acceso una candela per loro. Lentamente, metodicamente, Sammy sparecchiò la tavola e vi mise sopra i candelieri.

« Lo vedevo benissimo da fuori, » disse più tardi il poliziotto ebreo alla donna. « Si mise in testa la papalina e cominciò ad accendere le candele. Due ~r il padre, due per la madre, due per la sorella. E pregò. Vedevo il movimento delle laibbra. Disse il kaddish per loro.»

II kaddish è la preghiera per i defunti . . Papà Rosenbaum aveva

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sempre recitato il kaddish per i suoi genitori morti, e Sammy aveva imparato la preghiera dal padre. Adesoo, lui era l'unico uomo superstite della fa.miglia. Rimase ll in piedi tranquillo, a fissare le sei candele. Il poliziotto ebreo, dall'esterno, vide che Sanuny scuoteva lentamente la testa, come se a un tratto gli fosse venuto in mente qualcosa.. Poi Sanuny mise altre due candele sulla tavola, prese un fiammifero, le accese e pregò.

« Il ragazzo sapeva di essere già morto, » disse in seguito il poliziotto. « Cosi accese le candele e disse il kaddish anche per sè. »

Poi Sammy uscì, lasciando la porta aperta, e tranquillamente si mise a sedere sul carretto, vicino al poliziotto che piangeva. Il ragazzo non pianse. Il poliziotto si asciugò le lacrime col dorso della mano e tirò le redini. Ma le lacrime continuavano a scorrergli sul viso. Il ragazzo non disse una parola. Toccò piano il braccio dell'uomo, come se volesse consolarlo perdonargli di averlo portato via. Poi si avviarono verso la spianata nel bosco. Lo SS-Fii.hrer Rosenbaum e i suoi « allievi > aspettavano il ragazzino...

« Era ora! » disse la SS.

Dissi alla donna di Rabka che ero informato circa la scuola di polizia delle SS fin dal 1 946. Parecchi anni prima avevo fomito alle autorità di Amburgo tutte le prove e le testimonianze per il proc~ contro la SS Wilhelm Rosenbaum. Ora ci sarebbero state le testimonianze per una nuova incriminazione.

« Dove è adesso la SS Rosenbaum? » mi chiese la donna.

« Wilhelm Rosenbaum fu arrestato nel 1964, ed ora è in carcere ad Amburgo in attesa di processo. »

Lei sospirò. « A che serve? Sono morti tutti. E l'~o è vivo.» Firmò la deposizione giurata. « Non c'è scopo.»

Nessuna pietra tombale porta il nome di Sammy Rosenbaum. NC$uno lo avrebbe ricordato se la donna di Rabka non fosse venuta nel mio ufficio. Ma ogni anno, in un giorno di giugno, vado ad accendere due candele per lui e recito il kaddish.

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CAPITOLO ·xvi

GLI ASSASSINI DELLA GALIZIA

In nessun altro luogo gli ebrei hanno sofferto tanto e così a lungo come nella mia terra natale, la Galizia, per tradizione la terra dei , pogrom. La Galizia era l'avamposto orientale della monarchia austro-ungarica, lungo il confine occidentale della Russia zarista; più tardi fu annessa al,la Repubblica Polacca; oggi appartiene alla Repubblica Socialista Sovietica U crai.na. Su una superficie di circa 90.000 chilometri quadrati, viveva una popo.lazione di tre milioni e mezzo di abitanti, dei quali 800.000 erano ebrei.

Da bambino ascoltavo spesso- i racconti sui pogrom che ci nar'- . rava la nonna materna: storie tristi e malinconiche, che a volte avevano un gusto amaramente ironico. Ricordo la storia di quell'amico ebreo d.el nonno, che gestiva l'osteria di un piccolo vill.aggio della Galizia abitato da contadini ucraini e da alcuni ebrei. Uno dei migliori clienti era il prete del villaggio; Gli piaceva lo Schnaps, ma non gli andava di pagarlo. Un sabato sera, quando fu invitato a saldare il conto della settimana, il prete disse che non aveva soldi e lasciò in garanzia la chiave della chiesa. Promise di pagare la domenica, dopo aver raccolto le offerte dei contadini. Poi se ne andò barcollando a casa.

La domenica mattina, i contadini andarono ad ascoltare la messa ma non poterono entrare in chiesa. Allora svegliarono il prete, che disse loro: « Quello sporco ·ebreo dell'osteria vi ha chiusi fuori. Andate a prendere la chiave!»

I contadini infuriati invasero l'osteria, ridussero qua.fi in fin divita il proprietario ebreo a furia di botte, fecero tutto a pezzi, siubriacarono e santificarono la domenica organizzando un piccolo pogrom.

La vita era dura per gli ebrei in Ga!izia, ma essi amavano la loro terra. C'era abbondanza di frutta e verdure, di carne e pollame, di burro e di uova. Una famiglia poteva vivere bene con poco. Alcuni più fortunati avevano parenti «ricchi» in America che man-

davano loro una banconota da cinque dollari ogni mese. Il clima intellettuale della minoranza ebrea oppressa era quanto mai vivace. Gli ebrei, la maggior parte dei quali vivevano nelle città, trovavano con/orto nello studio, nei libri, nella musica. A Buczacz, la mia città natale, vivevano circa seimila ebrei. Persino i poveri facevano delle economie per mandare i figli al Gymnasium, la scuola media dove noi tutti imparammo il latino e il greco. Nel periodo fra le due guerre mondiali, oltre duecento ragazzi di Buczacz frequentarono l'tiniversità o l'istituto tecnico di Lvov o di Varsavia. Quella terra ha dato molti scienziati, artisti, musicisti e scrittori.

Dop<> l'inizio della seconda guerra mondiale, tutti gli ebrei soffrirono in Polonia, ma gli ebrei della Galizia più degli oltri. Durante l'occupazione sòvietica, dal settembre 1939 al giugno 1941, molti ebrei vennero arrestati perchè ritenuti « borghesi » o intellettuali, o perchè erano sionisti o perchè possedevano dei beni. Molti polacchi e ucraini vennero arrestati con l'accusa di essere « nazionalisti ». Purtroppo, c'erano anche dei commissari ebrei tra i funzionari sovietici. Dopo l'invasione dell'Unione Sovietica da parte di Hitler, il 22 giugno 1941, i sovietici lasciarono la Galizia in fretta e furia. Invece di portarsi via gli ebrei, i polacchi e gli ucraini che avevano fatto prigionieri, i sovietici ne fucilarono la maggior parte. Naturalmente, gli agitatori ucraini dissero ai contadini: « Gli ebrei ammazzano la vostra gente», e così si verificarono nuove esplO'sioni di antisemitismo. Le avanguardie delle truppe tedesche d'invasione ·erano unità composte di ucraini filotedeschi i quali, per vendetta, diedero il via a un'ondata di pogrom. Ho conosciuto ebrei che erano stati /atti prigionieri dai sovietici, erano riusciti a fuggire, e più tardi vennero uccisi dagli ucraini « perchè hanno ammazzato la nostra gente». Da qualsiasi parte fossero gli ebrei, erano sempre dalla parte sbagliata.

All'inizio del 1942, durante la Conferenza di Wannsee a Berlino, i nazisti decisero di fare della Polonia occupata (il « Governatorato Generale») il centro delle loro attività genocide. I tre milioni e mezzo di ebrei della Polonia sarebbero stati soppressi nella loro patria, con il consenso, e talvolta con la complicità, di molti compatrioti. La Polonia era il paese ideale nel quale organizzare i campi di sterminio. Le SS e la Gestapo potevano fare assegnamento sull'aiuto di collaborazionisti cresciuti nella tradizione antisemita tipica dell'Europa orientale.

In nessun altro dei paesi <>ccupati - Cecoslovacchia, Belgio, Olanda, Danimarca, Norvegia, Francia, Italia, Grecia, Jugoslavia -

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la popolazione avrebbe collaborato in egual misura con gli assassini. Perfino in "Austria e in Germa.nia, erano relativamente pochi, fra la popolazione civile, coloro che sapevano tutta la verità sui campi di sterminio, an che se molti la conoscevano in parte. In generale, quei loschi segreti venivano ben custoditi.

In Polonia non c'erano segreti. I treni merci che trasportavano le vittime verso i campi di sterminio figuravano negli orari ufficiali delle ferrovie, come treni normali I polacchi conoscevano l'esistenza dei campi di concentramento. Vedevano gli sciagurati prigionieri con le casacche di tela a strisce quando venivano portati al lavoro. Si lamentavano del puzzo che emanava dalle ciminiere dei forni crematori vicini alle loro case.

La Galizia conobbe lo schiavismo moderno nel 1941, con l'arrivo dei tedeschi. Un membro qualsiasi della Gestapo o delle SS sapeva che in Galizia avrebbe potuto saccheggiare e depredare, torturare e uccidere, senza dover rendere conto a nessuno. Perfino i nazisti dovettero frenare alcuni loro criminal.i. Il governatore di Lvov, lo SSFiihrer Lasch, fu arrestato per aver ecceduto nel confiscare a proprio beneficio i beni degli ebrei.

INel mio archivio privato conservo la copia fotostatica di un conto in cui si legge: « 6 corde, zloty 8,80 », e sotto: «Pagato». Sei corde per i dodici membri del Consiglio Ebraico di Lvov, che furono giustiziati il 1° settembre 1942 per ordine dello SS-Oberscharfiihrer Oskar W altke, capo della Sezione Affari Ebraici della Gestapo a Lvov. Waltke, che fu processato nel novembre 1962 a Hannover, negò cinicamente tutto quando presentai alla corte le fotografie dell'esecuzione, prese segretamente dai miei amici della resistenza polacca. Presentai anche la fattura delle corde. Con incredibile cinismo, il capo di W altke, Obersturmfiihrer Leitmayer, a veva mandato il conto ai nuovi membri del Consiglio Ebraico. I successori dei defunti pagarono sapendo che presto sarebbe toccato anche a loro. Alla fine, W altke fu condannato a otto anni di carcere.

In Galizia non c'era altra legge che quella delle SS. Dopo l'invasione tedesca, gli ebrei dei villaggi e dei paesi vennero concentrati nei ghetti delle grandi città. La popolazione ucraina collaborò attivamente con la Gestapo e con le SS. Molti poliziotti ausiliari ucraini furono anche più brutali delle SS. ( In Francia, dove spesso i tedeschi non sapevano distinguere gli ebrei dai francesi, la Gestapo mandò gli ucraini che riuscivano a scovare gli ebrei francesi.)

In Gal.izia, la persecuzione degli ebrei fu condotta con incredibile cinismo. In alcune città gli ebrei dovettero pagare le pallottole con

cui venivano fucilati: ne abbiamo le prove. Le atrocità delle SS in Galizia superano le gesta compiute dai nazisti in qualsiasi altro luogo. Ho impiegato anni per scoprire i delitti commessi in Galizia.

Nella primavera del 1958, una notizia di due righe che lessi nella Jiidische Rundschau, una piccola rivista pubblicata in Svizzera, a Basilea, mi indusse ad effettuare approfondite indagini in un intricato groviglio di -delitti. L'imminente processo per i fatti della Galiziq, farà ancora più scalpore di quello per i fatti di Auschwitz, celebrato a Francoforte sul Meno.

La notizia che lessi nel 1958 sulla ]udische Rundschau diceva che un ex membro delle SS, un certo Richard Dyga, era stato arrestato a W aldshut, una cittadina del Baden-Wiirttemberg.

Il nome di Dyga mi richiamò alla memoria un episodio accaduto la mattina del 19 luglio 1944, nel campo di concentramento di Lvov-Janowska. Presi il telefono, chiamai Waldshut e chiesi di parlare con il procuratore di Stato che si occupava del processo contro Herr Dyga. Era il dottor Wilhelm Angelberger, che si dimostrò una persona capace di comprendere certi problemi e in possesso dell'energia necessaria per affrontarli. Gli chiesi come si fosse giunti all'arresto di Dyga, ed egli mi disse che in realtà era accaduto per sbaglio. Una donna di Hannover aveva spo;:to denuncia per crimini di guerra contro un certo Dyga. Era risultato che costui non era l'uomo ricercato, ma le autorità tedesche, .nel corso delle indagini, scoprirono delle prove contro la SS Richard Dyga. Dissi al procuratore che almeno in una occasione avevo visto con i miei occhi Dyga commettere un omicidio

« Ritiene di poter riconoscere Dyga oggi, dopo quattordici anni? »

« Credo di sì. »

Il dottor Angelberger mi disse di andare con lui. Scendemmo in un lungo corridoio al secondo piano. Dalle finestre, si vedeva il cortile sottostante della prigione. Era una buia giornata invernale. Una decina di càrcerati passeggiavano in circolo. Tutti avevano indo.soo cappotti corti e berretti di lana. Guardai giù per un secondo e dissi : « Dyga è il terzo da sinistra. Ma gli dica di levarsi gli occhiali. Non li portava quando lo conobbi io.»

Il dottor Angelberger disse : « Andiamo nel mio ufficio. »

Di ll a poco portarono Dyga. Non era cambiato: lo stesso sguardo vacuo, la stessa bocca cattiva. Era un Volksde-utscher (tedesco espatriato) della Slesia, che parlava polacco. Cot;ne altri V olksdeutsc he dei Sudeti, della Slovacchia e della Jug0:5lavia, aveva un nome

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slavo, non tedesco, e un forte complesso d'inferiorità che lo spr<r nava a dimostrare che era tedesco al centocinquanta per cento. E lo dimostrava con la sua spietata brutalità verso i detenuti.

Il dottor Angelberger chiese a Dyga se mi conosceva. Egli rispose: « No. »

lo di~i: « Naturalmente Herr Dyga non mi conosce. Eravamo migliaia di detenuti, e le SS non ci guardavano in faccia. Ma forse Herr Dyga ricorderà che tutti, prigionieri e SS, fuggimmo da Lvov verso occidente, e costituimmo un Gruppo Costruzioni SS <Venus>. »

Dy,ga sorrise: « Sì, ne organizzanuno anche un altro chiamato <Merkur>, mi pare. »

« Esatto, » dism. « Ora le ric.orderò qualche altra cosa, Herr Dyga. Resta inteso che mi interromperà se dirò qualcosa non vera.»

Egli annuì.

Gli d~i: « Ricordo l'ultimo appello al campo di concentramento di Janowska, il 19 luglio 1944- Lei disse ai prigionieri che quelli non in grado di camminare sarebbero stati trasportati su un carro. Dietro le baracche c'erano parecchi carri a cavalli. »

Dyga annuì di nuovo.

« Una vecchia ebrea alzò una mano. Aveva le gambe molto gonfi.e. Il marito, che mi stava vicino, le disse: <Non glielo dire! Stai zitta!> ma lei fece: < Non posso canuninare, non ce la faccio.> ...

La donna le disse che aveva male alle gambe e lei la fece uscire dal gruppo e la portò dietro le baracche, dove c'erano i carri; poi udimmo uno sparo. Vidi la donna cadere. Strinsi il vecchio fra le braccia e gli premetti la mano sulla booca perchè non gridasse, altrimenti lei avrebbe ammazzato anche lui. »

Il procuratore disse : « Che cosa ha da dire, Herr Dyga? »

« H err Staatsanwal,t, quella donna non poteva camminare, così io... » Dyga si fermò a metà della frase. Si accorse di aver detto troppo.

Il procuratore disse : « Herr Dyga, lei ha già confessato, in questo preciso momento. »

Dy,ga protestò di non aver c.onfes.sato nulla.

Gli d~i: « Herr Dyga, questo è solo l'inizio. Ho molte altre cose da dirle. La mia memoria è migliore della sua... » ·

Così iniziò quello che sarà uno dei più grandi processi nella storia della giustizia tedesca, il pr0Ces50 della Galizia. Rimasi a Waldshut tre giorni. Il confronto con Dyga mi aveva richiamato alla memoria tutto ciò che avevo visto. Questo processo mi sta partic.olarmente a cuore, perchè ho perso tutta la famiglia in Galizia.

2.57

Il dottor Angelberger mi mise a disposizione una stanza e una segretaria. Per tre giorni interi dettai nomi, date, località, avvenimenti. Ricordai 5e$alltotto nomi, fra cui quelli di alcuni individui responsabili di esecuzioni in massa: Blum, Kolonko, Heinisch, Lohnert, Wobke, Rokita, Gebauer. Il dottor Angelberger mi presentò al Krimina/,meister Faller, u n abilissimo ispettore della polizia tedesca. Dopo il mio ritorno a Vienna, continuammo a scriverci. Dalle nostre pratiche raccolsi il materiale riguardante Lvov. Cominciai a raccogliere le deposizioni dei testi ch e avevo conosciuto. Questi, a loro volta, trovarono altri testimoni. Presentai un intero album di fotografie, molte ·delle quali erano state trovate dopo lo scioglimento del campo di concentramento di Lvov. Non so per quale ragione, ad alcun e SS piaceva farsi fotografare accanto alle persone che avevano assassinato. Ho le fotografie di alcuni -carnefici delle SS che posano orgogliosamente vicino ai corpi penzolanti di due uomini che hanno appena impiccato. E ci sono fotografie anche peggiori. Questi documenti ci furono utili : i criminali avevano un volto, e molti testimoni, vedendo le fotografie, ricordarono chiaramente i fatti. Negli anni che seguirono, raccolsi oltre ottocento deposizioni di testimoni oculari. Alla fine, trentasei dei sessantotto criminali di cui avevo ricordato i nomi vennero catturati. La metà di essi sono in carcere in attesa di processo.

I principali responsabili non siederanno dietro il banco degli iinputati quando comincerà il process<;> per la Galizia. Lo SS-Brigadefuhrer dottor Otto Gustav Wachter, già capo della polizia di Vienna, e il vice di Wachter, lo SS-Brigadefiihrer Friedrich Katzmann, di Darmstadt, sono morti. Wachter fu uno dei cinque agenti nazisti che progettarono e mandarono ad effetto l'assassinio del cancelliere austriaco dottor Engelbert Doll.f,uss il 25 luglio 1934. All'inizio della seconda guerra mondiale, fu nominato governatore del distretto di Cracovia, in Polonia, e in seguito fu trasferito a Lvov. Lo vidi la prima volta il 15 agosto 1942, nel ghetto di Lvov, del quale era direttamente responsabile, quando vennero prelevati e mandati alla stazione ferroviaria quattromila vecchi. Fra questi e' era mia madre.

Dopo la guerra, Wachter si mise in salvo con l'aiuto dell'ooESSA, e fu ospitato in un collegio ecclesiastico romano da sacerdoti slovacchi che ignoravano la sua identità. La sua fuga fu bene organizzata; riuscì a portarsi via dalla Baviera perfino i suoi archivi.

Nel 1949 Wachter si ammalò gravemente; sapendo di es.sere in fin di vi t a, disse chi era, chiese di vedere la moglie, che viveva sotto il

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nome di « Lotte Pohl » in un v1cmo campo profughi, e volle un prete. Ricevette i sacramenti dal vescovo Alois Hudal, il rettore austriaco della Chiesa Cattolica Germanica di Roma, e morì. È seppellito a Roma. In seguito, un aristocratico austriaco che di quando in quando mi aiutava pregò il vescovo Hudal di consegnare i documenti di Wachter. Il vescovo rifiutò.

Il capo deHa polizia di Wachter era lo SS-Brigadefilhrer Friedrich Katzmann. Quando arrivò al campo di concentramento di Lvov, ci rendemmo conto che presto migliaia di infelici sarebbero andati a morte. Era un ometto dal viso pallido e anemico e dalle labbra dure e sottili. Aveva occhi scuri e privi di lucentezza. Nessuno lo vide mai sorridere. S~ un 1ungo rapporto sull' Einsatz Reinhard, l'operazione con cui furono soppressi due milioni e mezzo di persone in Polonia, per vendicare Reinhard Heydrich, ucciso dai partigiani cechi nel 1942. Alla fine del rapporto, Katzmann scriveva: « La Galizia, che una volta aveva 800.000 ebrei, ora è judenrein [libera da ebrei]. » Fine del rapporto.

Dopo la guerra, Katzmann scomparve. Seguii varie tracce, ma non lo trovai. Nell'autunno del 1956 ricevetti una lettera anonima da Darmstadt. La persona che scriveva mi suggeriva di cercare in Germania un certo commesso viaggiatore chiamato « Albrecht », che si diceva fosse un malvagio criminale nazista. Ci sono molti commessi viaggiatori, in Germania, con questo nome; così, buttai via la lettera. Tre anni dopo, quando parlai con il Krimina/,meister Faller, egli nominò Katzmann e disse che aveva motivo di credere che Katzmann si nascondesse in qualche parte della Germania sotto il nome di « Bruno Albrecht ».

« A Darmstadt, » gli dissi istintivamente, e lo informai della lettera anonima. Alcuni giorni dopo, Faller mi comunicò che « Bruno Albrecht », commesso viaggiatore, era morto il 19 settembre 195 7 all'ospedale Alice di Darmstadt. Quando i dottori lo informarono che non gli restava molto da vivere, chiese di vedere un prete e confessò di essere l'ex SS-Brigadefuhrer f'riedrich Katzmann. Chiese di essere seppellito con il suo vero nome: esattamente come il suo capo, Otto W achter.

Paragonati a Wachter e Katzmann, i criminali citati in questo capitolo sono solo dei pesci piccoli. Ricordo lo SS-Untersturmfuhrer Wilhaus, comandante del campo di concentramento di Lvov-Janowska. Era un vero e proprio sadico. Abitava in una palazzina all'interno del campo, con la moglie e la figlia, una bambina bionda

cli sei anni, che si chiamava Heike. Una mattina, diversi ebrei stavano lavora~do a una costruzione vicino alla sua casa. Testimoni oculari videro Wilhaus che, dal balcone della palazzina, indicava alla moglie e a Heike i muratori che lavoravano curvi sul muro di mp.ttoni. Dovettero ricordare a Wilhaus le sagome usate come bersagli nelle esercitazioni di tiro, perchè d'un tratto estrasse la rivoltejla, mirò con cura e fece fuoco. Un uomo cadde. Heike pensò che si trattasse di un bel gioco e battè le mani felice. Papà mirò di nuovo e colpì un altro bersaglio, uccidendo un uomo. Poi passò la pistola alla moglie dicendole di provare. La donna sparò. E cadde il terzo muratore ebreo.

Le molte brutalità di Wilhaus sono riferite con assoluta precisione nel manoscritto di un libro che il defunto professor Tadeusz Zaderecki scrisse durante quegli anni. Il professor Zaderecki, un cristiano polacco, era un cultore di giudaismo, parlava l'ebraico e frequentava la comunità ebrea di Lvov. Aveva molti amici ebrei, e soffriva profondamente per loro. Quando ~minciarono le atrocità tedesche, il professor Zaderecki decise di prendere nota di tutto ciò che vedeva e udiva : questo fu il monumento che egli er~ agli ebrei della sua amata città. Il professor Zaderecki si introduceva spesso furtivamente nel ghetto, parlava con gli ebrei, e prendeva appunti di nascosto. Il suo libro contiene date, nomi, circostanze. Gli ebrei non avevano tempo per fare un simile lavoro; erano già abbastanza occupati a cercare di salvare la vita. Il professor Zaderecki è morto, ma la resistenza polacca ha salvato il suo manoscritto. L'ho fatto tradurre e l'ho consegnato al procuratore di Stato di Waldshut. Ha contribuito notevolmente all'incriminazione delle SS di Lvov.

Dal manoscritto, appresi come mai Wilhaus lasciò improvvisamente il comando del campo di concentramento. L'amministrazione del campo di .concentramento di Lvov-Janowska era in contatto con molte ditte cli Lvov, che fornivano generi alimentari, materiali da costruzione, carbone, filo spinato e altre cose necessarie al campo. In una di queste ditte era impiegato un meccanico, che faceva parte del movimento clandestino polacco. Una sua cugina era detenuta nel campo di concentramento. Il movimento clandestino era al corrente di tutte le atrocità commesse da Wilhaus. Nel corso di una riunione speciale della cellula del movimento fu decisa la morte di Wilhaus. Alcuni partigiani si offrirono di ucciderlo, ma ciò avrebbe provocato spaventose rappresaglie. Allora il meccanico ricordò che nel-

1'archivio della sua ditta c'erano diverse lettere del comando del campo di concentramento, con t~nto di timbro e firma autografa di

2.60

Wilhaus. I partigiani ebbero un'idea: uno di loro, esperto calligrafo, scrisse una lettera che firmò col nome di Wilhaus. Nella lettera, « Wilhaus » chiedeva alla Cancelleria del Fiihrer a Berlino di es.sere trasferito sul fronte orientale. La domanda terminava con queste parole: « Come tedesco e come SS, sento che questo è il mio dovere verso il mio Fiihrer e verso la V aterland. »

Alcune settimane dopo, Wilhaus fu convocato alla Cancelleria dove, con sua grande soi:presa, venne ricevuto dal Reichsleiter Martin Bormann. Il Reichsleiter dis.5e a Wilhaus che il Fiihrer si era molto compiaciuto della sua lettera. Sì, disse Bormann, l'Untersturmfuhrer aveva dato un lodevole esempio di Pflichterfullung, « attaccamento al dovere». Il Fiihrer aveva ·benevolmente accolto la richiesta di Wilhaus.

« Eccole il foglio di viaggio per il fronte orientale,» disse Bormann. « Rallegramenti. Heil Hitler!»

« Heil Hitler! » disse lo SS-Untersturmfuhrer Wilhaus, e uscì dalla stanza barcollando.

Wilhaus cadde in combattimento nei pressi di Danzica, verso la fine del 1944. Dopo molte ricerche scovai la moglie a Saarbriicken, e segnalai la notizia alle autorità tedesche, che la interrogarono sui suoi esercizi di tiro a segno contro bersagli viventi nel campo di concentramento di Lvov. Frau Hilde Wilhaus si trova ora nel carcere di Stoccarda in attesa di processo.

Alla Officina Riparazioni delle Ferrovie Orientali di Lvov, nel 1943, c'erano sempre alcune centinaia di lavoratori coatti ebrei. Uno di loro, un ometto tranquillo di nome Chasin, lavorava nella stalla vicino alla mensa tedesca. Chasin aveva il compito di governare i cavalli, e aveva il permesso speciale di dormire nella stalla. La moglie di Chasin era stata uccisa dalle SS nella primavera del 1943 nel corso di una operazione di annientamen to nel ghetto. Il loro bambino di otto anni si era salvato ed era stato ospitato da certi vicini. Non si sa come, Chasin venne a sapere che il figlio era vivo, e si trovava nel ghetto. Chasin ottenne un lasciapassare per il ghetto, e si portò via il figlio e lo nascose nell'Officina delle Ferrovie Orientali. Nella stalla c'era un cassone per l'avena, una specie di greppia di legno provvista di coperchio. Chasin vi mise dentro il bambino e fece alcuni buchi nelle pareti del recipiente perchè il figlio potesse respirare. Il ragazzino rimase lì per circa tre mesi. Solo di notte, quando i tedeschi se ne erano andati, Chasin gli permetteva di uscire a prendere una boccata d'aria. Eugen Jetter, l'ispettore tedesco responsa-

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bile del personale, sapeva la storia del bambino, e la sapevano anche altri tedeschi, ma nessuno fiatò.

Un giorno, nell 'estate del 1943, l'Oberinspektor Peter Arnolds scer prl il segreto. In seguito mi dissero che una donna polacca che }aver rava alla mensa e che ogni tanto portava qualcosa da mangiare al bambino, si era lasciata scappar detto qualcosa con Amolds. Costui era molto temuto dai prigionieri. Se un lavoratore non lo salutava con il dovuto rispetto, Arnolds lo prendeva a schiaffi. Molti funzier nari tedeschi dell'Officina Ferroviaria ci trattavano bene e disprezzavano Arnolds, ma non potevano fare nulla contro di lui.

Arnolds comunicò alle SS del campo di concentramento di Janowska la storia del bambino nascosto nella stalla. Lo SS-Scharfuhrer Schonbach, appartenente allo speciale plotone di esecuzione del campo, venne all'Officina R iparazioni. Lo vidi quando s'incontrò con Arnolds davanti alla mensa tedesca.

Corsi nella stalla. Chasin era in piedi e piangeva accanto al corpo del figlio, buttato su un mucchio di letame. Chasin mi disse che Arnolds e Schonbach erano entrati nella stalla e Amolds aveva aperto il cassone mostrando alla SS il bambino. Sc honbach tirò fuori il piccolo, lo sollevò in aria, e disse al padre di voltarsi. Sparò, poi gettò il cadavere sul mucchio di letame e disse a Chasin: « Coprilo con una coperta da cavallo. Sbrigati! » Amolds e Schonbach andarono poi alla mensa e si ubriacarono. Il mio superiore imm ediato, Oberinspektor Adolf Kohlrautz, mi disse in seguito: « Naturalmente, Arnolds doveva ubriacarsi per dimenticare questa faccenda. »

Dopo la guerra, ho cercato per anni Amolds senza riuscirvi. Nel gennaio 1958, dovendo sbrigare alcuni affari a Diisseldorf, Colonia e Francoforte, scoprii per caso che Peter Arnolds era un alto funzionario delle Ferrovie Federali T edesche a Paderborn. Segnalai il caso al tribunale di Paderborn, e il procuratore distrettuale mi invitò a recarmi in quella città per un confronto con Herr Amolds.

Il confronto ebbe luogo nell'ufficio del procuratore distrettuale. Accusai Amolds di essere responsabile della morte del bambino ebreo. Amolds non lo n egò. Alla fine disse : « Herr Wiesenthal, forse potremmo metterci d'accordo.»

« Herr Amolds, » gli risposi, « non c'è possibilità di accordo quando si tratta della morte di un bambino. »

Allora Arnolds raccontò al procuratore distrettuale una storia complicata. Non era stato lui a dire alle SS che il bambino era nascosto nel cassone. Era stato un certo Schulze, che gestiva la mensa tedesca. Molto opportunamente per Amolds, Schulze era morto e

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non poteva difendersi. Trovai un altro testimonio chiave, l'lnspektor Eugen Jetter, uno dei funzionari tedeschi dell'Officina Riparazioni di Lvov. J etter ammise di aver saputo, come molti altri, che il bambino era nascosto nel cassone, ma aggiunse di aver sempre tenuto la bocca chiusa. Disse al procuratore distrettuale che all'Officina Riparazioni tutti sapevano che era stato Arnolds a consegnare il bambino ai suoi assassini. Dopo la deposizione, J etter, che ora vive a Stoccarda, cominciò a ricevere di notte delle telefonate anonime. Degli sconosciuti lo chiamavano « Judenknecht » (servo degli ebrei) e riattaccavano.

A malincuore, le autorità dovettero sospendere l'istruttoria contro Amolds. È un uomo fortiunato. Dei milleduecento ebrei che lavoravano all'Officina Riparazioni di Lvov a quell'epoca, ne sono rimasti solo tre e io non sono riuscito a trovare gli altri due, che potrebbero testimoniare contro di lui. La SS Schonbach, però, fu arrestata dal Kriminalmeister Faller. Schonbach ammise subito di avere sparato al bambino. Attualmente si trova in carcere.

C'era poi Richard Rokita, vice comandante del campo di Lvov, che in seguito andò a Tamopol, sempre in Galizia, a continuare la sua carriera di assassino. Uccise centinaia o addirittura migliaia di ebrei: forse non sa nemmeno lui quanti. Rokita era soprannominato « l'amabile assassino». Non picchiava mai nessuno, non urlava mai con i detenuti. Sparava loro con gentilezza. Era una specie di artista. Aveva suonato il violino nella natia Kattowitz, Slesia Superiore (ora in Polonia) e amava la musica. Quando arrivò al campo di concentramento di Lvov, per prima cosa organizzò un'orchestra. Fra i prigionieri .c'erano musicisti di prim'ordine. Rokita diéde incarico a Sigmund Schlechter, noto compositore ebreo di Lvov, di scrivere un « tango della morte ». L'orchestra del campo suonava il tango della morte durante le esecuzioni. Nelle opere, un'esecuzione capitale è spesso accompagn,ata da un commento musicale, ma a Lvov venivano sparate pallottole vere mentre l'orchestra suonava.

Una volta Rokita, mentre andava in giro per il campo, vide un vecchio ebreo che si reggeva a stento in piedi. L'ebreo lo salutò.

Rokita gli rispose affabilmente, poi buttò un pezw di carta per terra e disse al vecchio di raccoglierlo. L'ebreo si chinò e Rokita gli sparò nella nuca. Come ho detto, era un amabile assassino.

Rokita era fra i primi nella mia lista, ma non riuscii a trovarlo. Non sapevo nemmeno se fosse vivo. Se lo era, probabilmente era tornato a fare il musicista.

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Nell'autunno del 1958 mi trovavo su un treno diretto a Ginevra. Nella vettura ristorant e, capitai a sedere di fronte a un ufficiale danese. Cominciammo a parlare. Scoprimmo che eravamo stati entrambi nel campo di concentramento di Grossrosen nello stes.50 periodo, nel 1944. Dopo la guerra, l'ufficiale era stato nella Zona Britannica della Germania. Parlammo dei vecchi tempi e io feci il nome di Rokita. L'ufficiale danese mi chiese di descriverglielo.

« Aveva la faccia larga, occhi grandi, labbra sporgenti. Suonava molto bene il violino. »

« È strano, » disse l'ufficiale danese. « Credo di averlo visto nel 1947 o '48 al circolo degli ufficiali ad Amburgo, dove suonava una orchestrina tedesca. Naturalmente, non ·posso esserne sicuro... è passato tanto tempo. Ma mi pare che ci fosse un suonatore di violino rispondente a questi connotati. »

Feci un rapporto al procuratore di Stato Angelberger. Cominciammo a cercare Rokita nella Germania settentrionale, ma non riuscimmo a trovarlo. Quando tornai a Waldshut, discussi il caso con il Kriminal.meister Faller Mi disse di aver fatto indagini presso i sindacati musicisti di Amburgo, Lubecca e Brema. Fra i loro iscritti non c'era alcun Rokita. Allora si era messo in contatto con diversi orchestrali e aveva dato loro i connotati di Rokita. Un giorno un suona,tore andò da lui. Disse di conoscere un uomo che corrispondeva alla descrizione, ma il suo nome non era Rokita. Si chiamava Domagala.

« Allora mi sono messo a cercare questo Domagala, » disse Faller.

« Ma non ho avuto fortuna. Il nome non figura negli elenchi dei sindacati musicisti. Nemmeno la polizia lo conosce. »

Ebbi un'idea. « Proviamo alla Krankenkassa [la cassa malattie]. Tutti vogliono essere assicurati contro le malatt ie oggi... anche gli assassini. »

Quella sera Faller mi chiamò. « Aveva ragione ..Alla cassa malattie di Amburgo risulta iscritto un uomo che si chiama Domagala. Ma nòn fa più il suonatore: fa il guardiano notturno. Spero di trovarlo questa sera. La terrò informata. »

Due ore dopo, il Kriminal.meister Faller fermò in una fabbrica di Amburgo un guardiano notturno conosciuto col nome di « Domagala ».

L'uomo ammise subi t o che il suo vero nome era Rokita e che era stato a Lvov e Tarnopol. Disse a Faller che non suonava più il violino. Era stata una bella idea quella di trovarsi un lavoro come guardiano notturno. C'erano poche probabilità che qualche sua vit-

tima lo ricon~. L'idea avrebbe funzionato se non si fosse iscritto alla cassa malattie. Fu arrestato e incarcerato, ma si ammalò e dovette essere temporaneamente rilasciato per dargli modo di sottoporsi alle necessarie cure mediche.

Nella tragedia della Galizia, i massacri di Stanislav costituiscono uno dei capitoli più commoventi. Nel 1939, Stanislav contava circa 100.000 abitanti. La metà erano ebrei, l'altra metà polacchi e ucraini. Secondo il programma dell'Einsatz Reinhard, la Polonia occupata dai tedeschi doveva· essere judenrein (liberata dagli ebrei) per la fine del 1942. A Stanislav, il programma fu puntualmente eseguito.

Il 12 ottobre 1941 vennero circondati i quartieri ebraici, e circa ventimila ebrei vennero trasportati tutti insieme nei pressi del cimitero ebraico. Dovettero consegnare il denaro, i gioielli, le pellicce, e da ultimo anche i vestiti. Gli ebrei nudi vennero condotti davanti a due ampi fossati ( « Panzergraben » o « trappole anticarro ») e abbattuti con raffiche di mitra. Secondo l'atto d'accusa, recentemente presentato a Salisburgo contro le SS responsabili di questo delitto, i fratelli Johann e Wilhelm Mauer:

L'azione cominciò di primo mattino e durò fino al calar della sera. Alcuni automezzi vennero disposti intorno al cimitero e l'eccidio ebbe luogo alla luce dei fari. Vennero uccisi almeno 1 2 .ooo ebrei. Gli altrì furono riportati in città, completamente nudi...

Fra i peggiori sadici di Stanislav c'e,rano i fratelli Mauer, due V olksdeutsche della Polonia che avevano tutti i complessi di questi tedeschi « inferiori ». I pochi superstiti di Stanislav raccontarono storie raccapriccianti sui due fratelli, ma disgraziatamente parlarono di loro come dei « Maurer », con una « r » in più. Per conseguenza, il procuratore cli Stato Siohting di Ludwigsbw-g, che si occupò del caso, ricercò due uornini di nome « Maurer ».

Nel 1963 incontrai Sichting, il quale mi disse che i suoi investigatori avevano trovato una quantità di Maurer, ma nessuno che fosse nato in Polonia. Suggerii che il nome poteva essere invece « Mauer ». 11 procuratore cli Stato mi disse di fare delle ricerche in Austria. Mi misi in contatto con un comitato che si occupa dei Volksdeutsche in quel paese. Sì, due fratelli, Johann e Wilhelm Mauer, lavoravano a Salisburgo per il Servizio Ausiliario Evangelico, una organizzazione assistenziale. Johann faceva l' « assistente sociale per i profughi», e Wilhelm dirigeva una casa per la gioventù:

due occupazioni adatte per gente che aveva sulla coscienza numerosi omicidi. Un mio aiutante andò alla polizia di Salisburgo e seppe che i due fratelli erano nati in Polonia. Mi portò una loro fotografia; guardandola, rammentai di avere incontrato Johann Mauer dopo la guerra, quando lui lavorava per una istituzione di carità protestante ·e io mi stavo interessando di una organizzazione di profughi ebrei. Disgraziatamente, allora non conoscevo il suo passato.

Feci i dovuti controlli con Sichting e trasmisi il dossier sui due fratelli al procuratore distrettuale di Salisburgo. L'arresto dei Mauer provocò grande scalpore in città. Il processo contro di loro, celebrato all'inizio del r 966, fu uno dei capitoli più scandalosi negli annali della giustizia austriaca del dopoguerra.

La composizione della giuria risultò quasi impossibile, tanti furono i convocati che chiesero di essere esentati adducendo motivi di salute ò altri pretesti. Nell'affollata aula del tribunale della bella città accaddero strane cose. Il pubblico applaudiva gli imputati e rideva quando i testimoni ebrei giuravano sulla Bibbia. I testi riconobbero i due fratelli; e le deposizioni furono tutte convincenti. Dqpo molte ore di discussioni, la giuria riconobbe che gli imputati erano colpevoli di omicidio, ma decise che i Mauer avevano agito dietro ordini dei superiori. La corte dovette assolvere gli imputati. Ma il presidente comunicò loro, attenendosi al codice penale austriaco, che il verdetto costituiva « un errore evidente » e che perciò ci sarebbe stato un nuovo processo contro di loro. Nell'attesa, sarebbero rimasti in carcere.

Il verdetto di Salisburgo e l'atteggiamento antisemita del pubblico che affollava l'aula del tribunale provocarono violente reazioni in Austria. La Wiener Zeitung parlò di un « verdetto vergognoso». Studenti cattolici e socialisti marciarono ,per le strade di Vienna con cartelli su cui si leggeva: « Austria, parco nazionale dei criminali ·nazisti». Non servi a nulla il fatto che scoprissi - disgraziatamente troppo tardi - che il capo dei giurati era stato nazista ed ex membro delle SA.

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Nel tempo in cui Franz Murer dirigeva le operazioni di sterminio degli ottantamila ebrei di Vilna nel 1942, c'era da quelle parti un altro austriaco. Si chiamava Anton Schrnid, ed era di Vienna. Il quarantaduenne Schmid era Feldwebel (sergente) della Wehrmacht. Come molti altri austriaci, ·era stato arruolato nella Wehrmacht.

Schmid non era il tipo del sergente istruttore. Era un uomo tranquillo che pensava molto e parlava poco; aveva pochi amici fra i suoi commilitoni. Di lui è rimasta una sola fotografia, che ci mostra un uomo dalla faccia pensosa e onesta, con occhi dolci e tristi, capelli neri e baffetti. Jl suo reparto si trovava a Vilna durante i mesi in cui avvennero gli eccidi perpetrati da Murer.

Anton Schmid era un cattolico osservante, e soffriva molto quando vedeva i patimenti altrui. Era anche un uomo dotato di un coraggio eccezionale. Se non fosse stato per alcune testimonianze che raccogliemmo durante le indagini su Murer, forse la sua storia non sarebbe mai stata conosciuta. Fra i 250 sopravvissuti del ghetto di Vilna, parecchi devono la vita ad Anton Schmid. Furono costoro che mi raccontarono la sua storia.

Molti tedeschi, a Vilna, condannavano in cuor loro la spietatezza di Murer, ma non osavano fare nulla. Schrnid ritenne che fosse suo dovere di cristiano aiutare gli ebrei oppressi, e si mise, da solo, a soccorrerli segretamente. Entrava di nascosto nel ghetto, con grande rischio personale, per portare un po' di cibo agli ebrei affamati. Si metteva in tasca delle bottiglie di latte per i bambini. Sapeva che migliaia di ebrei erano nascosti a Vilna, e fll!1lgeva da corriere fra costoro e i loro amici nel ghetto. Portava messaggi, pane, medicinali. Osava perfino rubare i fucili della Wehrmacht per darli ai combattenti ebrei della resistenza. « Faceva tutto questo senza aspettarsi mai una parola di ringraziamento, » mi disse un sopravvissuto. « Solo per bontà d'animo. Per noi del ghetto, quell'uomo esile e tranquillo in uniforme da F eldwebel era una specie di santo. »

CAPITOLO XVII I TRENTASEI GIUSTI
,

Poi accadde l'inevitabile. Ai primi di aprile del 1942, la Gestapo scoprì che Schmid aveva cercato di far uscire dal ghetto cinque ebrei e di condurli nella vicina foresta di Ponary, dove avrebbero potuto nascondersi. Schmid fu arrestato. Il mattino dopo, una corte marziale tedesca lo condannò a morte.

Due ore più tardi, Schmid scriveva alla moglie Stefi:

Ho ricevuto le tue due lettere... Sono contento di saperti bene. Devo farti sapere che cosa mi aspetta, ma ti prego, sii forte quando leggerai quello che sto per scrivere... Poco fa sono stato condaruiato a morte da una corte marziale. Non mi rimane che chiedere grazia, e l'ho fatto. La decisione sarà presa solo a mezzogiorno, ma credo che la domanda sarà respinta. Tutte le domande di questo genere vengono respinte.

Mie care, fatevi coraggio. Sono rassegnato alla mia sorte. .t stata decisa lassù... da nostro Signore... e noi non possiamo farci niente. Mi sento così tranquillo da esserne stupito io stesso. lddio ha voluto così, e mi ha dato la forza per affrontare la prova. Spero che anche a voi darà forza.

Devo dirti come è successo. C'erano qui tanti ebrei che venivano trascinati via dai soldati lituani e fucilati su un prato fuori città da 2000 a 3000 per volta. I piccoli venivano scaraventati contro gli alberi... puoi immaginare la scena! Avevo ricevuto l'ordine (che non mi piaceva) di assumere il comando di una Versprengtenstelle [centro di smistamento] dove lavoravano 140 ebrei. Costoro mi chiesero di portarli via di lì. Mi lasciai convincere... tu sai che ho il cuore tenero. Non ci stetti a riflettere su. Li aiutai, e fu una cosa molto mal fatta, secondo i miei giudici. Sarà dura per voi, mie care Stefi e Gertha, ma perdonatemi: ho agito da essere umano, e non intendevo far male ad alcuno.

Quando leggerai questa lettera, io non sarò più di questo mondo. Non potrò scriverti più. Ma stai certa che ci ritroveremo in un mondo migliore, accanto a nostro Signore. Il 1° aprile ho scritto un'altra lettera, alla quale ho accluso la fotografia di Gertha. Darò questa lettera al sacerdote...

Quattro giorni dopo, il 13 aprile, Anton Schrnid fu giustiziato. Morì con i cinque ebrei che aveva cercato di salvare. Fu seppellito in un piccolo cimitero militare a Vilna. Due giorni dopo, il prete, il parroco Fritz Kropp, spedì l'ultima lettera di Schmid alla vedova a Vienna.

Lunedì 13, alle 3 pomeridiane, il suo caro sposo ci ha lasciati [scrisse Kropp]. Gli sono stato accanto nelle ultime ore... Ha pregato e si è mantenuto forte sino alla fine. Mi ha. chiesto di dirle che anche voi dovete essere forti ...

Il nome di Anton Schmid figura in molti diari di ebrei che in seguito vennero uccisi nel ghetto di Vilna. Tutti parlano della sua umanità e del suo coraggio. Alcuni sopravvissuti lo ricordano bene. Cominciai a raccogliere le loro testimonianze. Un giorno venne a trovarmi a Vienna il mio amico dottor Mark Dvorzecki di Tel-Aviv, la

cui testimonianza sui fatti di Vilna dumnte il proces.w Eichmann aveva contribuito a convincere gli austriaci che Murer doveva essere processato. Il dottor Dvorzecki mi diede l'indirizzo della vedova Schimd.

Andai a trovare Frau Schmid, una donna anziana e stanca che ha un negozietto e pochissimo denaro. La figlia Gertha è sposata e vive con la madre. Le due donne mi dissero che la vita non era stata facile per loro nel 1942, quando si venne a sapere nel quartiere che il Feldwebel Schmid era stato condannato a morte perchè aveva cercato di aiutare degli ebrei. Alcuni vicini arrivarono perfino a minacciare Frau Schmid, la vedova di un « traclitore », e a dirle di andarsene altrove. Qualcuno ruppe i vetri della sua casa.

Chiesi a Frau Schmid se avesse qualche desiderio. Mi disse che desiderava visitare la tomba del marito a Vilna. Non era una cosa facile, perchè, fino al 1965, i ,russi vietavano l'ingres.50 a Vilna di turisti stranieri. Raccontai la storia all'ambasciatore sovietico a Vienna e gli chiesi di ottenere un permesso perchè la famiglia Schmid potesse recarsi a Vilna. Gli dissi che il Centro di Documontazione avrebbe pagato le spese di viaggio. Il 29 ottobre 1965, Frau Schrnid, la figlia e il genero presero il treno per Minsk, e di lì proseguirono in aereo per Vilna. Il Centro di Documentazione farà collocare sulla tomba di Anton · Schmid una lapide con questa scritta: « Qui giace un uomo per il quale fu più importante aiutare i suoi simili che vivere. »

CAPITOLO XVIII · L'ALTRA FACCIA DELLA LUNA

Un giorno dell'aprì/è 1945, poco prima della fine della guerra in Europa, giunse al campo di concentramento di M authausen un convoglio proveniente dall'Ungheria. La maggior parte dei nuovi arrivati erano deboli e patiti; a quanto pareva, la direzione del ca,mpo li aveva già cancellati dalle sue liste, perchè vennero mandati direttamente alle baracche della morte, dove giacevo anch'io.

Fra i nuovi arrivati c'era un noto rabbino ungherese. Si mormorava che fosse riuscito a introdurre nel campo di concentramento un libriccino di preghiere. Ammirai il suo coraggio. Sapeva senza dubbio che le SS punivano chiunque portasse dentro qualcosa, anche solo un vecchio spazzolino da denti o un pezzo di specchio rotto.

Il giorno dopo, il rabbino venne nella nostra camerata, fermandosi accanto ad ogni letto. Molti di noi erano tanto denutriti che non ce la facevano nemmeno ad alzarsi a sedere sul letto. Pensavo che il rabbino avrebbe parlato per dare loro un po' di conforto. Invece, disse che era disposto a prestare per quindici minuti il suo libro di preghiere a chiunque lo volesse. Il « prezzo di noleggio » era un quarto della razione giornaliera di minestra. Bisogna pensare che una scodella di brodaglia era tutto ciò che ci veniva passato in ventiquattro ore. Tumwia, molti furono lieti di cedere parte della loro misera razione pur di avere il libro di preghiere per quindici minuti. Era un libretto nero, che si poteva tenere fra le palme delle mani.

I miei compagni erano troppo deboli per leggere, ma il libro ricordavà loro la fanciullezza, il servizio del venerdì sera alla sinagoga, la voce del cantore. Il libretto li riportava con la memoria nel tinello di casa loro, dove si accendevano le candele per il sabbath, mentre dalla cucina veniva un profumo delizioso. Uno dei morituri della nostra camerata era un giudice che si era convertito al cattol.icesimo, ma anche lui noleggiò il libriccino e passò quindici preziosi minuti con i suoi ricordi, poi diede al rabbino un quarto della sua razione di minestra

. '

Il rabbino~ però, morì prima di tutti. La troppa · minestra ingerita era stata fatale per il suo stomaco indebolito. Fu portato via, e nessuno ci fece caso. Mi chiesi che fine avesse fatto il libro di preghiere.

Dopo la liberazione, venimmo portati nel campo di riposo di Bindermichl a Linz, dove fummo curati da medici americani. Gli americani costruirono una piccola sinagoga all'interno del campo. Per la funzione inaugurale, nell'aprile del 1946, fu portata una Torah dall'America, e dall'America venne pure un vecchio rabbino per recitare le prime preghiere.

Dissi ai miei amici che non avrei assistito alla funzione. Non potevo dire loro che non volevo vedere mai più un rabbino. Non riuscivo a dimenticare l'ingordo individuo che aveva barattato la fede per il cibo. Invece di confortare i moribondi, si era riempito lo stomaco con la loro minestra. Ne avevo abbastanza di tipi del genere. Quella sera il rabbino Silver venne a trovarmi. Era un uomo piccolo, e indossava l'uniforme dell'esercito americano senza distintivi. Aveva una barbetta bianca e gli occhi chiari erano pieni di bontà. Doveva avere almeno settantacinque anni, ma era sveglio di mente e la sua voce era giovanile. Mi disse che era nato in Ucraina, il paese dei pogrom, e che da bambino era emigrato in America, il paese della speranza.

Mi mise una màno sulla spalla. « Sicchè, mi hanno- detto che lei è in collera con Dio, » disse in yiddish, e mi sorrise.

Dissi che non ero in collera con Dio, ma con uno dei suoi servi, e gli raccontai l'accaduto.

Egli continuò a so-rridere. « È tutto qui ciò che deve dirmi? »

« Non è abbastanza, rabbino?» chiesi.

« Du Dummer [tu, sciocco],» mi disse. « Così lei guarda solo il cattivo che defrauda i buoni. Perchè non guarda invece i buoni che danno qualcosa al cattivo? » Mi toccò col palmo della mano aperta e se ne andò. 1

Il giorno dopo andai al servizio divino. Da quel momento in poi ho sempre cercato di ricordare che ci sono due facce per ogni problema, sebbene talvolta sia difficile vedere l'altra faccia come è difficile vedere l'altra faccia della luna.

Penso spesso al vecchio rabbino Silver quando mi trovo di fronte a un problema complesso che non offre risposte semplici. Pensai a lui una mattina del settembre 1965, seduto di fronte a Frau C. Aveva un tailleur di tweed e una piccola borsa da viaggio. Aveva pas-

, sato tutta la notte sul treno proveniente dalla Germania. Era spettinata. Dalla stazione era venuta direttamente al mio ufficio con un truci.

« Dovevo vederla, Herr Wiesenthal. Non potevo aspettare. Ho bisogno del suo aiuto per la mia domanda di risarcimento. E devo parlare con qualcuno che mi creda. Nessuno mi crede, perchè la mia storia è molto difficile da credere. »

Eppure, la sua storia è vera. In seguito controllai accuratamente tutti i fatti. Frau C. è la moglie ebrea di un ex generale tedesco delle SS.

Aveva sessant'anni quando venne da me, e il dolore aveva lasciato segni profondi sul suo volto. Ma le credetti quando mi disse che un tempo era stata una bella ragazza, e anche piuttosto vivace. Aveva ereditato il temperamento della madre, un'attrice viennese. Intraprese anche lei la carriera artistica, e interpretava parti di scarso rilievo a Monaco quando, nel 1934, conobbe lui. Lo chiameremo Hans. Il loro amore fu travolgente e spensierato. Si proposero di non parlare mai del futuro. Lei sapeva . che Hans andava regolarmente in una specie di ufficio, ma non gli fece mai troppe domande. Le bastava che aves.5e un lavoro; c'erano tante persone disoccupate a Monaco e in tutta la Germania nel 1934. Solo quando il dottore le disse che avrebbe avuto un figlio, cominciò a fare qualche domanda. Hans la prese fra le braccia e le disse che non doveva piangere. Aveva da farle una confessione: lavorava nella sezione politica delle SS. Era quello il suo « ufficio».

« Non piansi, » mi disse Frau C. « Ero atterrita, perchè a quel punto anch'io dovevo fare una confessione. Gli avevo detto che mio padre era morto, ma gli avevo mentito. Mia madre era cattolica; mio padre, padre naturale, era un avvocato ebreo di Berlino. Ciò significava che io non ero <ariana> come lui aveva creduto. Ero mezza ebrea. Poichè faceva parte delle SS, non avrebbe mai potuto sposarmi. Ma Hans non volle darsi per vinto: era un uomo meraviglioso. Disse che avremmo potuto affidare il bambino a un istituto delle SS e vivere insieme senza sposarci. Gli dissi che volevo allevare io il bambino. Jfans andò a Berlino a parlare con mio padre, il quale gli disse che il suo nome non figurava su alcuno dei documenti che mi riguardavano. Ciò significava che potevo passare per ariana e che potevamo sposarci. In realtà, non fu facile, e Hans dovette lottare due anni prima che le SS gli permettes.5ero di sposarsi; suppongo che avessero dei dubbi, dato che ufficialmente io non avevo padre. Ma ero bionda e avevo gli occhi azzurri. Se avessi avuto

....

un aspetto più da ebrea, non gli avrebb~ro mai dato il permesso. »

Vivevano felici con la loro bambina in un grande appartamento a Monaco. Un'auto di servizio andava tutte le mattine a prendere Hans per portarlo al campo di concentramento di Dachau, dove egli dirigeva la sezione politica.

« Le cose peggiori non erano ancora accadute, » continuò Frau C. « Hans faceva sempre in modo di evitare quei corsi speciali in cui si insegnava a catturare, a torturare, a uccidere la gente. Sì, già allora c'erano questi corsi. Ma gli anni passarono, e le cose andarono sempre più peggiorando. Hans vedeva troppo e sapeva troppo. Aveva avuto la promozione a colonnello delle SS, e chiese di essere trasferito ad Amburgo. Gli venne affidato il ·comando del piccolo campo di concentramento di Neuengamme, nei pressi di Amburgo. In questo modo Hans sperava di essersi salvato dal peggio, ma s'ingannava. Neuengamme era un campo di sterminio; fra il 1938 e il 1945 vi morirono cinquantacinquemila persone, provenienti dalla Francia, dalla Danimarca, dalla Norvegia, dai Paesi Bassi, dall'Austria, dal Belgio, dall'Unione Sovietica e dalla Germania. Tutti i convogli che venivano da Amburgo e dalla Germania settentrionale facevano capo lì. La nostra casa non era lontana dal campo. Io cercavo di aiutare i detenuti per quel che potevo: chiedevo ad Hans di mandarne qualcuno a lavorare a casa nostra e davo loro del cibo. Poi la Gestapo lo venne a sapere e ricevemmo l'ordine di andare ad abitare ad Amburgo, dove ci venne messo a disposizione un grande appartamento. Da quel momento in poi, credo di essere stata sottoposta a continua sorveglianza. Sapevano che non c'era da fidarsi di me. »

Da quando erano cominciati i bombardamenti aerei alleati, che finirono per distruggere il centro di Amburgo, Frau C. passava le notti nel rifugio antiaereo. Qui notò una ragazza di nome Esther, che se ne stava sempre appartata e non parlava mai con nessuno.

« Sapevo che era ebrea e dovevo aiutarla, » disse Frau C. « Era come un obbligo per me. Ma era anche una cosa pazzesca per la moglie di un alto ufficiale delle SS. » La signora alzò le spalle.

La giovane ebrea era molto timida e anche molto restia a parlare con Frau C. Dopo qualche tempo Frau C. le portò un thermos perchè si era accorta che Esther era sfinita, e la loro conoscenza divenne più intima. Esther viveva in una soffitta, dove alcuni vicini cristiani cercavano di nasconderla. Sua madre era già stata portata nel campo di concentramento di Ravensbruck, e Esther sapeva che « loro» sa-

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rebbero venuti presto a prendere anche lei. Era terrorizzata perchè aspettava un bambino.

« La portai a casa con me. -Mio marito non c'era. Accada quel che vuole accadere, dissi a me stessa, ma il bambino deve nascere. Il bambino deve vivere. Ma una notte gli uomini della Gestapo vennero a prenderla. Li supplicai, e mi dissero che per quella notte Esther poteva rimanere da me, ma che l'indomani mattina alle cinque avrebbe dovuto trovarsi a Biberhaus, da dove partiva il convoglio per Ravensbruck. Quando se ne furono andati, mettemmo alcune cose in una valigia e andammo alla stazione. A mezzanotte c'era un treno per Monaco, dove avevo ancora un appartamento. Arrivati a Monaco, mi resi ·conto che ci volevano dei documenti per Esther. Andai a Ratisbona e rubai il passaporto di mia cognata. Poi dissi ai conoscenti di Monaco che Esther era mia cognata. Quindi mandai a dire a mio marito che ero incinta, spiegandogli che per il momento avevo tenuto la cosa segreta. Gli dissi che mi sentivo più sicura a Monaco che ad Amburgo. Hans dovette sentirsi sollevato. Aveva avuto parecchi fastidi con i suoi superiori ad Amburgo perchè parlavo troppo liberamente. »

Hans fu molto felice della notizia. Questa volta, sperava che fosse un maschio. La bambina, che aveva sei anni, viveva con la nonna patema in una villa a Ratisbona. Hans mandò alla moglie tante belle cose per il bambino; sperava che tutto andasse bene per lei e per il piccolo. Quando giunse il momento, Frau C. portò Esther in una clinica privata dove andavano solo le mogli degli ufficiali superiori.

« C'era un modo per farla accettare,» disse Frau C. « Iscrissi Esther sotto il mio nome. Vendetti alcuni gioielli per pagare il medico e la clinica. Mio marito non capiva perchè non fossi andata nel grande ospedale delle SS, vicino a Monaco, dove avrei avuto tutto gratis. Gli spiegai che non mi sarebbe piaciuto mettere al mondo mio .figlio in un posto che era ufficialmente sotto la giurisdizione delle SS. Comprese. Il bambino nacque il 28 agosto; un bel piccino che non sapeva di avere qualcosa di s~agliato: era ebreo. Me lo portai a casa ed Esther rimase in clinica. Sapevo che rischiavo la vita, ma non me ne importava gran che; il bambino era molto più importante.»

Frau C. sperava che Esther tornasse presto anche lei, ma sopraggiunsero delle complicazioni; il dottore era preoccupato. Nel frattempo Hans aveva ottenuto una licenza speciale per vedere il figlio. Arrivò con il suo amico Weiss, che lavorava al comando del campo di concentramento di Dachau. Frau C. li osservò mentre ammira-

vano il piccolo. Lo tolsero dalla culla per giocarci, e sembravano anche loro due bambini.

« Se avessero saputo che il piccino era ebreo... Non potevo pensarci. Dio mio, avr ebbe dovuto vedere mio marito! Era fuori di sè. Avvolse il bambino in uno scialle e lo portò a fare una passeggiata al Tegernsee. Può immaginare q u ello che provavo? Fui felice quando la sua licenza finì. Speravo che Esther migliorasse e che tornasse presto. Ma u~a sera mi chiamarono dalla clinica. .. e quella notte lei morì fra le mie braccia. DovettLraccontare la verità al dottore. Egli doveva denunciare il decesso, e Esther era iscritta sotto il mio nome! Ufficialmente ero morta qu ella notte ... e invece ero lì di fronte a lui. Prese il telefono e chiamò la Gestapo. »

Due ore dopo la Gestapo andò a prendere Frau C. Ella cercò di giustifi.c:arsi in qualche modo; disse che non sapeva che Esther fosse ebrea, che si era preoccupata solo del bambino, che intendeva adottarlo. Non credettero nemmeno una parola. Se aveva tan t a voglia di adottare un bambino, le dissero, avrebbe potuto adottare uno dei figli illegittimi d elle SS. Qu esto avrebbe dovuto fare la moglie tedesca di una buona SS. La trattennero cinq u e giorni e la picchiarono senza pietà, ma lei continuò a sostenere la verità: suo marito era all'oscuro di tutto. Fu mandata nel più vicino campo di concentramento.

« E il bambino? » le chiesi.

« Lo uccisero sotto i miei occhi, » mi rispose. « Aveva appena dieci settimane. » Era seduta con le mani in grembo, stanchissima. « Naturalmente, scoprirono tutto sul mio conto... su mio padre. Hans lo aveva protetto fino a quel momento. Andarono a prendere anche mio padre, e... be', lei immagina il resto. Quanto a mio marito, evidentemente mi credettero quando dissi che non ne sapeva nulla, perchè lo mantennero al suo posto. »

Frau C. passò diciotto mesi nel campo di concentramento, fino a che non le riusd di scappare in Olanda non molto prima della fine della guerra. Dopo la guerra, lei e il marito si erano riuniti ed erano tornati a Monaco.

« Quello fu il periodo peggiore. Gli americani arrestarono mio marito e mi t rattarono come una criminale. Per loro, ero la moglie di un generale delle SS. Gli ebrei e il personale del campo di concentramento mi odiavano. Gli ex nazisti mi disprezzavano perchè sapevano che ero ebrea. Dovunque mi girassi, non trovavo un amico, una persona che mi cred esse. Ancora oggi mi chiedono: < Perchè l'ha fatto?>, ma ciascuno intende una cosa diversa. Gli ebrei si chie-

.' ·~~--

- dono perchè abbia sposato una SS; e i nazisti perchè abbia aiutato una ebrea, pur essendo la moglie di un SS-Fuhrer. E le autorità della Germania Occidentale hanno respinto la mia domanda di risarcimento benchè sia stata detenuta in un campo di concentramento... Sì, la povera Esther mi scrisse una lettera dalla clinica poco prima di morire. Mi predisse esattamente ciò che mi sarebbe accaduto. <Nessuno avrà pietà di lei. Dovunque si volterà, troverà odio.> »

« E suo marito?»

« Quando lo scandalo scoppiò, alcuni suoi Kameraden gli dissero che avrebbe dovuto spararmi. Egli non lo fece. Non mi disre mai una sola parola di rimprovero. In effetti, lui e il suo amico Weiss furono le uniche persone comprensive: due SS che avevano comandato dei campi di concentramento. » Frau C. si sporse in avanti e mi prese per un braccio. « Ha un senso per lei tutto questo? C'è qualcosa che abbia un senso? »

Lo Herr Direktor D. è uno stimato abitante di una grande città tedesca. Un uomo con una posizione importante, un buon reddito, una bella casa, un giro di amici della sua condizione. Una Mercedes con autista viene a prenderlo ogni mattina, e ogni sera lo riporta a casa. I vicini si tolgono il cappello e fanno un profondo inchino quando incontrano lo Herr Direktor. Sebbene abiti nella città solo da pochi anni, in breve è diventato socio di un Verein (circolo), è stato invitato nelle migliori case, si è abbonato agli spettacoli teatrali del lunedì: è insomma un uomo piuttosto in vista. Certo, qualcuno si è chiesto: « Di dove viene? Che cosa faceva prima?» Ma chiunque sia un Menschenkenner (conoscitore di uomini) si rende conto che lo Herr Direktor D. è un esponente fortunato della nuova Wohlstandsgesellschaft (società del benessere) tedesca. Che importa di dove venga? Non conta ciò che è, ma ciò che rappresenta.

Mi domando che cosa direbbero gli amici e i vicini se sapessero che lo Herr Direktor D. - che in realtà ha un nome diverso da quello con cui tutti lo conoscono - fece una brillante carriera in tempo di guerra come vice comandante di un famigerato campo di concentramento, e fu personalmente responsabile della morte di almeno trenta persone. Questi sono i casi di cui io ho notizia; ma Dio solo sa quanti furono in effetti. Nel 1963, avevo finalmente trovato quest'uomo dopo una ricerca che era durata due anni e che si era svolta su due continenti. Conoscevo il suo vero nome, i suoi precedenti, i suoi delitti. Ma questo era tutto: non potevo fare nulla per farlo processare.

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Il procuratore di Stato della città di D. mi aveva detto: « Ho esaminato le sue prove, e devo dirle che siamo in presenza di un caso sconcertante. Lo definisco cosi anche se, dopo le esperienze fatte negli ultimi anni, non mi lascio impressionare tanto facilmente. Purtroppo la documentazione si basa su notizie riferite. Abbiamo bisogno di testimoni oculari. »

« Non è facile trovare testimoni oculari reduci da campi cosi piccoli, dopo più di vent'anni, Herr Staatsanwalt, » dissi.

« Lo .so, ma quest'uomo ha amici potenti. Se non riusciamo a mettere insieme un'accusa molto solida, il procesw si trasformerebbe in un boomerang. Mi porti un testimone oculare degno di fede, e procederò. »

Cosi cominciò la lunga ricerca di testjmoni oculari. Molte delle persone che trovai erano a conoscenza di parecchie cose, ma personalmente non avevano visto molto. Non avevano mai visto quell'uomo uccidere qualcuno. La gente veniva picchiata a morte nel campo e tutti sapevano che era stato D... ma nessuno si era mai trovato presente. D. preferiva compiere il suo lavoro di notte, nell'intimità del suo appartamento.

« Ci sono due persone che ·dovrebbero saperlo, » mi disse un ex prigioniero. « Uno è Max, che era H aftlingsdoktor [medico dei detenuti] al çarnpo. Il vice comandante lo chiamava quando qualcuno era morto o moribondo. E anche Helen dovrebbe saperlo. Faceva la domestica in casa del vice comandante del campo. »

Mi ci volle molto tempo per trovare gli indirizzi di queste due persone. Non dico i loro veri nomi per ragioni che appariranno chiare fra poco. Max faceva il medico a Parigi. Helen viveva in una località della Germania. Scrissi a entrambi, spiegando quanto fosse importante la loro testimonianza. Non ebbi risposta.

Scrissi di nuovo, e poi ancora. Nemmeno una parola. Non era normale. La gente rifiuta spesso di testimoniare, e a vol te può esservi spinta da ragioni molto penose, ma almeno cerca di aiutarmi in qualche modo. Max e Helen erano ebrei. Non potevano avere alcun interesse a proteggere un criminale delle SS.

Nel frattempo, l'autista andava a prendere regolarmente ogni mattina lo Herr Direktor D. Costui aveva un passaporto in -regola, e se avesse subodorato che stavamo investigando su di lui avrebbe potuto fuggire: e questa sarebbe stata la fine del caso.

Un giorno incontrai un amico che vive a Parigi. Mi capitò per caso di fare il nome di Max. Il mio amico lo conosceva bene. Mi disse che Max conduceva una vita molto solitaria, non vedeva nes-

suno all'infuori dei suoi pazienti : era strano, chiuso e « a volte fa. ceva un po' paura ». Gli raccontai la storia. II mio amico si strinse nelle spalle.

« Non mi sorprende. Max è l'ultimo uomo al mondo che entrerebbe in un'aula di tribunale per testimoniare. Una volta mi ha detto che vuole dimenticare tutto, se è possibile dimenticare. »

Gli dissi : « V ai a spiegargli che abbiamo un dovere verso i nostri morti. Tanta gente compie il suo dovere nei confronti dei vivi, ma nessuno pensa ai doveri che ha verso quelli che non possono più parlare. t:. troppo tardi per richiamarli in vita, ma norì troppo tardi per consegnare alla giustizia individui come D. Il risarcimento morale conta 3$3.i di più del risarcimento materiale. t:. troppo facile dire che non si vuole ricordare. »

Dissi al mio amico queste e molte altre cose, e lo pregai di ripeterle tutte a Max. Erano cose che sentivo profondamente ed ero amareggiato.

Alcune settimane dopo ricevetti un breve messaggio da Max. Mi proponeva di incontrarci in qualche posto, ma non in Austria nè in Germania: non ci sarebbe venuto. Stabilimmo la data e ci incontrammo in Svizzera.

Mi aveva detto di avere cinquant'anni; sembrava molto più vecchio. I suoi occhi erano molto scuri e lo sguardo quasi spento. Parlava con esitazione, come se ogni parola gli costasse uno sforzo. Non sorrideva mai. Il mio amico aveva avuto ragione quaµdo aveva detto che il dottore « a volte faceva un . po' paura».

Mi disse : « So cosa pensa di me. Il suo amico mi ha riferito ciò che lei ha detto e, in linea di principio, ha ragione. Ma quando le avrò raccontato la mia storia, dovrà convenire che io sono, disgraziatamente, un'eccezione. Non posso testimoniare in tribunale.»

« La sua testimonianza sarebbe fondamentale. »

« Lo so, ma prima mi ascolti. Tutto ciò che i reduci dal nostro campo dicono di quell'uomo è vero. In molti casi ero presente quando percuoteva le sue vittime. Dopo, per alcune non c'era più nulla da fare. Quell'uomo era un sadico che torturava e uccideva senza motivo. Conosce il tipo. »

Parlava con distacco. Gli dissi che conoscevo molto bene il tipo.

« Con me era sempre corretto. Forse perchè si rendeva conto che sapevo troppe cose. Aveva ancora bisogno di me, ma al momento opportuno ero convinto che mi avrebbe ammazzato. Ne ero sicuro, ed egli non dubitava che io lo sapessi. Su questa· base, si era stabilita fra noi una spiacevole tr~a. Ma c'era un'altra ragione. Nel repar-

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to donne, dove ai prigionieri maschi non en1. permesso ·e~trare, c'era la mia fiçlanzata. Sì, Helen. Eravamo entrambi polacchi, della stessa città; avevamo frequentato la stessa scuola, ci eravamo innamorati quando eravamo ancora stud enti. Già allora era la più graziosa di tutte. È ancora molto bella. »

Gli mancò la voce, e temetti che non avrebbe continuato.

« Naturalment e, lui la notò. Era un donnaiolo e si vantava di saper conquistare le donne. Sapeva di Helcn e di me, e provava un · gusto particolare a tormentarmi. La tolse ·dal campo e se la mise in casa come domestica. Mi diceva quanto fosse bello tornare a casa da Helen, che lei gli teneva l'appartamento pulito e in ordine, gli fa. ceva da mangiare, gli lucidava le scarpe. Era molto peggio che se mi avesse picchiato a sangue, come faceva con gli altri. »

Un giorne due amici organizzarono una fuga e proposero a Max di andare con loro. Egli rispose che non se ne sarebbe andato senza Helen. Gli diedero d el pazzo. I suoi giorni al campo erano contati. Tutti lo sapevano. Era solo questione di settimane o di mesi, poi il vice comandante lo avrebbe ammazzato. Se Max fosse scappato con loro, più tardi avrebbe potuto aiutare Helen dall'esterno. C'era almeno una possibilità di lottare. Nei boschi c'erano i partigiani polacchi. Per il bene della ragazza, doveva tentare la fuga.

« :Fuggimmo, » d¼,se. « Raggiungemmo i partigiani, e quando arrivarono i russi entrammo tutti nell'Armata Rossa. Feci domanda per andare in prima linea. Una volta tornato nella zona, pensavo che avrei potuto fare qualcosa per Helen. Nei miei sogni, mi vedevo entrare nel campo con il nùo reparto e liberare Helen. »

Scrollò le spalle con aria stanca. « Ma le cose non andarono così. Fui mandato nell'interno dell'Unione Sovietica a lavorare in un ospedale. Feci di tutto per essere rimandato al fronte. Mi tennero là; avevano bisogno di me. Qu.ando la guerra finì, cercai disperatamente di lasciare la Russia. Ma solo nel 1950 venni finalmente rimpatriato. Nella nostra città natale, seppi cosa era accaduto a Helen.

« All'avvicinarsi dell'Armata Rossa, il campo era stato sciolto. Alcuni riuscirono a fuggire, ma quasi tutti i detenuti maschi vennero uccisi. Delle donne, solo Helen sopravvisse. Lui se la .portò via quando scappò. Le fece cambiare nome, le diede documenti falsi. Sì, non c'è dubbio: salvò la vita a Helen. Ma ... lei aveva avuto un figlio da lui. Mi dissero ch e Helen era scomparsa dopo la guerra. Forse era andata in Ge r.mania, ma nessuno sapeva se fosse ancora viva e dove vivesse. »

Si alzò e si mise a camminare su e giù nella stanza dell'albergo

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2.80 ,. .

dove ci eravamo incontrati : un uomo stanco, prematuramente mvecchiato, dagli occhi spenti e senza una luce di speranza.

« Mi ci vollero anni per trovarla. Aveva cambiato nome, ma alla fine scoprii il suo ind irizzo. Non av eva telefono, così a n dai direttamente a casa sua e suonai il campanello. Mi venne ad aprire un ragazzo. Durante quei lunghi mesi mi ero preparato al momento in cui avrei rivisto Helen. Ma non ero preparato a questo Il ragazzo che mi stava di fronte era il ri t ratto di suo padre. Non ho mai visto un esempio più sorprendente di rassomiglianza fra parenti. Rimasi lì impietrito; ero incapace di muove rmi. Poi mi tirai indietro. Non potevo entrare. Non con quel ragazzo in casa. Mi girai e stavo per andarmene, quando sentii una porta che si apriva e vidi Helen

« Venne avanti e la guardai negli occhi. In un attimo -seppi tutto, ed anche lei, sebbene non ci fossimo detti una parola. Mi .amava; mi aveva sempre amato, come io non smetterò mai di amare lei. Rimanemmo lì in piedi, e quell'at t imo parve un'eternità. Poi il ragazzo si mosse. Mi accorsi che era ancora lì fra noi due. Helen fece le presentazioni. Ammirai il suo autocontrollo. Disse alcune frasi senza importanza, poi mandò via il ragazzo con una scusa, e restammo finalmente soli... »

Tacque. « Mi hanno detto che lei non è sposato, » gli dissi.

« No, e non mi sposerò mai. Non c'è mai stata, e non ci sarà mai, un'altra donna nella mia vi t a. Amo Helén come l'amavo quando eravamo in due recinti separati del campo e ci guardavamo attraverso la siepe di filo spinato, quando le guardie non ci vedevano. Ci limitavamo a guardarci e a pregare che un giorno non ci fossero più siepi di filo spinato fra noi. Ora la siepe non c'è più, ma... » ·

Mi prese la mano. « Non capisce? Non posso sposare la madre di quel ragazzo che mi ricorda un assassino. Non potrei mai... mai abituarmi alla sua presenza. Potrebbe perfino sciupare l'unica cosa che mi è rimasta nel cuore : il mio amore per Helen. Mi trattenni con lei tutto il giorno. Parlammo; ma soprattutto piangemmo. Poi me ne andai, e da allora non l'ho più vista, e non la rivedrò mai più. Ora sa perchè non posso sedere sul ban co dei testimoni. Non potrei nascondere il mio rancore alla vista di qu ell'~omo. L'odio trapelerebbe, e la difesa avrebb e buon gioco. Posso giurare che tutte le accuse contro di lui sono vere, e forse ciò potrà aiutarla più d ella mia testimonianza in aula. Ma non ci ve rrò. »

Alcuni giorni dopo, andai a trovare Helen in Germania. Max aveva ragione: era ancora bellissima; di qu ella aute nti ca b ellezza femminile che resiste al t e mpo. Sembrava più giovane di Max, seb-

"'.

bene nei suoi occhi si leggesse la stessa tristezza. Le dissi che avevo visto Max e le chiesi perchè non mi avesse risposto.

« Perchè non posso testimoniare in tribunale. »

« Mi hanno detto che lei sa molte cose. »

« Ho visto cose terribili. La gente veniva bastonata in casa sua e... » Si mise una mano sugli occhi. « Non potrò mai dimenticarlo. Poi li portavano via, nella piccola baracca dove Max li curava, se erano ancora vivi. Quel ricordo non mi dà un momento di pace. So qual è il suo lavoro, Herr Wiesenthal. Lei ha diritto di sapere tutte queste cose. Ma c'è dell'altro.»

Usci dalla stanza, e tornò con un giovanotto sulla ventina, alto e biondo. Era identico ai ritratti del padre. Capii ciò che doveva aver provato Max quando aveva visto il ragazzo... pur sapendo che era innocente, che non gli si poteva rimproverare nulla. Rimase con noi qualche minuto, poi baciò la mano della madre e uscì per andare all'università. Helen mi disse che era un bravo ragazzo, un buon figlio, molto affezionato a lei.

Mi aveva osservato mentre guardavo il ragazzo... e aveva capito istintivamente che Max mi aveva detto tutto.

« Mio figlio non sa chi era suo padre, » disse. .« Crede che sia morto durante la guerra. Il padre non ha mai visto il ragazw. Non sa che sono viva, che c'è un figlio. Non lo sapevo nemmeno io quando fuggimmo insieme dal campo, poco prima che arrivassero i russi. Mi ha salvato la vita. Mi ha procurato documenti falsi dai quali risultavo ariana. Mi ha dato un po' di denaro e poi ha proseguito verso occidente. Voleva farsi catturare dagli americani. Pregai Dio che non facesse nascere il bambino. Ma Dio decise altrimenti. Dio volle che il bambino nascesse, e che f il ritratto di suo padre. Forse per punirmi. Perchè gli avevo permesso di portarmi nel suo appartamento? Perchè non ero rimasta con le altre donne nel campo, a morire con loro? Perchè si deve avere questo terribile istinto di sòpravvivenza? »

Mi fissò. Che potevo dirle? Le dissi che c'era chi aveva fatto cose peggiori per sopravvivere. Ma non mi ascoltava.

« C'erano momenti in cui avevo voglia di strangolare il bambino. Ma non potevo fare le stesse cose che aveva fatto il padre. Non potevo uccidere... Capisce, ora, perchè non posso testimoniare? Lei non deve dire nemmeno che io sono viva. I suoi avvocati mi costringerebbero a presentarmi in aula, mi farebbero giurare che lui mi salvò la vita. E lui non sa che prezzo sto pagando per questo. » Poi, evitando di guardarmi, mi chiese : « Max le ha parlato di me?... » 2.82.

« Mi ha detto tutto, » le risposi.

« E ora?... » Nei suoi occhi si leggeva la paura. Le dissi: « Finora non ho mai lasciato cadere un caso quando c'erano dei testimoni. Ma questo caso dipende dalla testimonianza di Max e sua. Voi due avete sofferto abbastanzaf Questa pratica sarà archiviata. »

•. I· ' ·

La prima volta che mi capitò sotto gli occhi il nome di Franz Stangl fu nel 1 948; quando mi fu . mostrato un elenco segreto delle decorazioni conferite ad alti ufficiali delle SS. Molti di essi avevano ricevuto la K riegsverdienstkreuz (Croce al Merito di Guerra) per « atti di eccezionale coraggio», per « l'aiuto prestato ai camerati sotto il fuoco » o per una « fuga in circostanze particolarmente difficili». Ma dopo certi nomi dell'elenco c'era una annotazione a matita, « Segreto di Stato », seguita dal commento « fiir seelische Belastung », « per disagio psicologico». Nel codice della terminologia nazista, ciò significava : « per meriti speciali nella tecnica dello sterminio di massa ». Il nome di franz Stangl era seguito sia dalla annotazione a matita, sia dal commento speciale.

Il secondo documento in cui vidi il suo nome fu un elenco di consegne effettuato alla RSHA di Berlino dall'amministrazione del campo di concentramento di Treblinka, nei pressi di Varsavia, dal

1° ottobre 1942 a:l 2 agosto 1943. Ecco l'elenco:

25 vagoni di capelli di donna

248 vagoni di indumenti

1 oo vagoni di scarpe

22 vagoni di merci secche

46 vagoni di medicinali

254 vagoni di tappeti, coperte e lenzuola

400 vagoni di oggetti usati

2.800.000 dollari americani

400.000 lire sterline

12.000.000 di rubli sovietici

140.000.000 di zloty polacchi

400.000 orologi d'oro

145.000 chilogrammi di fedi d'oro

4000 carati di brillanti superiori ai 2 carati

120.000.000 di zloty in monete d'oro di vario ·taglio .

parecchie migliaia di fili di perle.

. ... "' . CAPITOLO XIX UN CENT PER CORPO
. .
2.8~

Stangl era stato il comandante del campo di Treblinka. Delle 700.000 persone che si sapeva fossero state portate colà, ne vivono oggi, a quanto sappiamo, circa una quarantina.

Negli ultimi mesi del 1943 non c'erano state altre vittime. La Polonia era considerata judenrein : senza ebrei. La maggior parte degli altri ebrei dell'Austria, della Germania e dei paesi occupati dai nazisti erano stati liquidati. Operazioni di minor portata venivano effettuate in posti come Dachau e Mauthausen.

Quanto ai nazisti, rimaneva un problema da risolvere: che fare delle molte centinaia di ufficiali delle SS, specializzati in eccidi? Nella terminologia nazista, costoro erano « becchini segreti, di prima classe » : ciò significava che sapevano troppo per il bene loro e del partito. Le prove potevano e~e distrutte riaprendo le fosse comuni e bruciando i cadaveri, distruggendo le baracche delJa morte, facendo saltare in aria le camere a gas e i forni crematori. A Treblinka tutto questo fu fatto. Ma bisognava anche eliminare il maggior numero possibile di testimoni. Molti « becchini segreti, di prima classe» vennero mandati in un teatro d'operazioni dove avevano poche probabilità di sopravvivere: la Jugoslavia, per esempio. I partigiani jugoslavi non facevano prigionieri. Perciò, l'alto comando nazista mandò molte SS specializzate nel genocidio a combattere i guerriglieri jugoslavi. Il cinismo del regime nazista si rivela spesso nella terminologia usata: i gerarchi nazisti, per designare la destinazione dei loro uomini mandati su un fronte dal quale non sarebbero tornati, usavano l'espressione: « zum Verheizen », « a incenerirsi».

Nel 1948 scoprii che Franz Stangl era fra i pochi tedeschi scampati dal fronte jugoslavo; uno di quelli che si erano rifiutati di farsi incenerire. Alla fine della guerra era tornato in Austria e si era ricongiunto con la moglie e le figlie. Frau Stangl lavorava da istitutrice. Franz Stangl non si godette per molto tempo la libertà in Austria. Quale ex SS-Obersturmfuhrer, fu arrestato dagli americani, insieme con molte altre SS, e portato al Campo Marcus W. Orr a · Glasenbach, vicino a Salisburgo. Subì la solita routine di interrogatori. Nessuno sapeva che egli fosse l'ex comandante di Treblinka. Quando lo interrogavano, dava le solite risposte riguardanti il servizio prestato in tempo di guerra, poi se ne tornava a sdraiarsi in branda e a fumarsi una sigaretta americana, parlando di fuga con i suoi compagni, ufficiali delle SS.

Stangl passò due anni al tampo di Glasenbach, dove io mi recavo spesso, quando lavoravo per la Commissione per i Crimini di Guerra, per il CIC e per l'OSS. Gli internati erano ben nutriti, ab-

bronzati e conducevano un'esistenza piacevole. Avevano anche la gradita compagnia delle mogli degli ex gerarchi nazisti e di alcune ex guardiane dei lager internate in un'altra parte del campo. Prima che Stangl potes.se attuare i suoi propositi di fuga, lo trasferirono dal campo di Glasenbach ai caocere di Linz. Le autorità avevano scoperto che Stangl era un ex funzionario della polizia austriaca e che aveva lavorato nel Castello di Harth eim, la scuola nazista di addestramento al genocidio, di cui parlerò in seguito. Gli austriaci lo avrebbero processato. Ma c'erano molti processi, e i tribunali erano pieni di lavoro.

I detenuti venivano spesso impiegati nello sgombero delle macerie o nella riparazione degli edifkì danneggiati dai bombardamenti. Seppi in seguito che Stangl era con un gruppo di delinquenti c~ muni che lavoravano alla ricostruzione delle acciaierie VOEST, di proprietà dello Stato, a Linz. I ,prigionieri non erano sottoposti a una rigida sorveglianza. Perchè avrebbero dovuto scappare? Mangiavano meglio in prigione che fuori. Al vicino ponte sull'Enos, i soldati sovietici vigilavano la linea di demarcazione della Zona Sovietica in Austria. Sicuramente, nessun detenuto sarebbe stato tanto sciocco da scappare da quella parte. Ma la sera del 30 maggio 1948 Franz Stangl non era più nel gruppo di det enuti con i quali era uscito al mattino. Nessuno lo aveva visto fuggire, e nessuno si preoccupò molto della sparizione. Venne fatta una annotazione sulla sua pratica, che fu poi buttata in cima a una pila di molte altre pratiche. Non vennero informate nè le autorità americane nè la stampa . austriaca.

Quando alla fine seppi che Stangl era svanito, decisi di fare indagini sui suoi familiari. Finalmente riuscii a scoprire che abitavano a Wels, ma i vicini mi dissero che Frau Stangl e le sue tre figlie avevano lasciato l'Austria il 6 maggio 1949. Dopo la fuga del marito, Frau Stangl aveva trovato lavoro presso la locale biblioteca americana. Nel frattempo (come scoprii in segui to) Franz Stangl si era rifugiato a Damasco, in Siria, grazie ai buoni uffici della ODESSA. Aveva trovato un lavoro e aveva fatto in modo di farsi raggiungere dalla moglie e dalle figlie. A Damasco, aveva fatto conoscenza con una facoltosa indiana che faceva spesso viaggi in Svizzera. Costei gli promise di prendere Frau Stangl come istitutrice per i suoi due bambini. Il consolato siriano a Berna avrebbe rilasciato i visti necessan.

Un giorno del 1949, tre uomini della Schenker & C., nota casa di spedizioni austriaca, andarono n ell'appartamento di Frau Stangl,

scrissero a grandi lettere DAMASCO sui fianchi di due grosse casse da. imballaggio, e portarono via le càsse. Frau St.angl salutò gli amici e i vicini, promise di scrivere presto, e partì con le figlie alla volta della Svizzera. A Berna ricevette i visti per la Siria e scomparve. Sul finire del 1949, si erano venute a sapere molte cose sul campo di sterminio di Treblinka e sulle attività di Franz Stangl. Ormai, egli era considerato fra i peggiori criminali nazisti latitanti. A Wels, si fecero un mucchio di chiacchiere. Gli amici e i vicini di Frau Stangl mi dissero che la signora non aveva scritto nemmeno una cartolina. Alcuni dissero che la storia di Damasco era un'invenzione per sviare la polizia. Avevano sentito dire da «qualcuno» che gli Stangl erano « probabilmente » a Beirut, nel Libano. Scrissi « Damasco o forse Beirut » sulla scheda del criminale nazista Franz Stangl, e misi la pratica fra i casi insoluti cui doveva essere data la precedenza. Sapevo, però, che non sarebbe stato un caso facile. Era improbabile che i siriani concedessero l'estradizione per un criminale nazista. ·

Non accadde più nulla, fino a che un giorno del 1959 venne a trovarmi un giornalista tedesco. Lo conoscevo da anni. Aveva appena compiuto un viaggio per il suo giornale in vari paesi arabi, e mi portò un elenco di nazisti che vi si erano rifugiati. « A proposito, » disse, « Franz Stangl è a Damasco. Non l'ho visto, ma ho parlato con persone che ne sono matematicamente certe. Mi hanno detto che lavora come meccanico in un garage. »

Dopo la cattura di Eichmann in Argentina, nel maggio 1 960, il giornalista tedesco fece un altro viaggio nei paesi arabi, per vedere come la gente aveva reagito al colpo. Quando venne a trovarmi alcuni mesi più tardi, mi disse che Stangl non era più a Damasco. « Sembra che sia scomparso pochi giorni dopo che Ben Gurion ebbe annunciato la cattura di Eichmann, » disse il mio amico.

Ben Gurion aveva annunciato al Parlamento di Israele e al mondo tutto che Eichmann era prigioniero in Israel e, ma non aveva fornito altri particolari. La stampa mondiale fece una infinità di congetture su questo colpo fortunato. Una rivista tedesca disse che Eichmann era stato portato in Israele con l'aiuto di alcuni elementi filoisraeliani dei drusi, una tribù che vive vicino al confine fra Siria e Israele. La storia era fantastica dal principio alla fine, ma pare che Stangl ne fosse impressionato. Il giornalista tedesco venne a sapere che Stangl era partito da Damasco in fretta e furia. Cancellai « Damasco» dalla sua scheda e scrissi « Indirizzo sconosciuto».

Il 2 1 febbraio 1964, una signora austriaca si presentò nel mio ufficio a Vienna. Era eccitatissima. Aveva letto una dichiarazione che avevo fatto alla stampa il giorno prima, nel corso della quale avevo citato, fra l'altro, Franz Stangl e i suoi crimini. La signora piangeva. « Herr Wiesenthal, non sospettavo nemmeno lontanamente che mia cugina Theresia avesse sposato un uomo simile. Un assassino. È terribile. Questa notte non ho potuto chiudere occhio. »

Frau Stangl era sua cugina! Le dissi subito: « Dov'è Theresia ora?»

« Ma... in Brasile, naturalmente. »

Serrò le l,abbra e fece un passo indietro, guardandomi. Aveva capito di aver detto troppo. Cercai cautamente di farla parlare, ma non volle dirmi altro. Non volli derogare dalla mia regola di condotta abituale chiedendole come si chiamasse. A Vienna è risaputo_ che io non insisto mai per sapere i nomi e gli indirizzi delle persone che vengono da me spontaneamente e mi forniscono delle notizie. Dovetti lasciarla andare.

Il giorno dopo, venne da me un tipo male in arnese e dall'aria patita. Aveva lo sguardo sfuggente e sembrava incapace di guardarmi in faccia. Mentre parlavamo, si strofinava nervosamente il mento. Non fui sorpreso quando mi disse che aveva fatto parte della Gestapo. E fui ancor meno sorpreso quando mi assicurò che non aveva .fatto « niente di male». Mi domando spesso a chi si deve • dare la colpa di tutto il male che è stato fatto, dato che nessuno riconosce le proprie colpe.

« Mi hanno fatto entrare nella Gestapo, » disse. « Che altro potevo fare? Ero uno dei tanti fantocci che manovravano come volevano.»

Non dissi nulla. Era il solito esordio.

« Ho letto la storia di Franz Stangl nei giornali. A causa di uomini come Stangl, noi poveri fantocci abbiamo avuto tanti guai dopo la fine della guerra. Ho trovato qualche lavoro, ma dopo un po', quando scoprono quello che hai fatto, ti liquidano. » .

« Credevo che non avesse fatto niente di male, » gli dissi.

Andò in collera. « Non è questo che volevo dire. Ma quando vengono a sapere che ero nella Gestapo... Be', lei sa come vanno le cose.»

« Si, lo so. »

« I pesci grossi, gli Stangl, gli Eichmann... hanno avuto tutto l'aiuto possibile e immaginabile. Li hanno portati via, gli hanno dato denaro e lavoro e documenti falsi. Ma chi aiuta i fantocci co-

me me? Guardi la mia camicia, il mio vestito. Niente lavoro, niente denaro. Non riesco a procurarmi nemmeno un po' di vino. »

Non volli mettermi a discutere con lui, anche se mi pareva che gli puzzasse l'alito. Forse era whisky. O alcool puro.

« Senta, » mi disse vedendo che non parlavo. « lo so dov'è Stangl. Posso aiutarla a trovarlo. Stangl non mi ha aiutato. Perchè ora dovrei coprirlo? »

Mi lanciò un'occhiata di traverso.

« Ma verrà a costarle molto. »

Finalmente, eravamo arrivati al punto.

« Quanto? » gli chiesi.

« Venticinquemila dollari. »

« Tanto valeva che mi chiedes.5e due milioni. lo non dispongo di cifre simili. »

Scrollò le spalle. « Va bene. Le farò un prezzo speciale... Quanti ebrei ha ammazzato Stangl? »

« Non si potrà mai sapere con precisione quanti ne morirono nel tempo in cui lui dirigeva il campo di Treblinka. Forse settecentomila.»

Picchiò il pugno sul tavolo. « Voglio un cent per ogni ebreo. Settecentomila cents. Vediamo un po'.. . fanno settemila dollari. t un affare.»

Dovetti costringe rmi a tenere le mani sulla scrivania. Temevo di perdere il co ntrollo e di schiaffeggiarlo. Dopo tanti anni, il cinismo non mi fa più impressione, ma i calcoli di quell'uomo erano troppo per me. Mi alzai.

« Allora ? » mi chiese.

Avevo voglia di sbatterlo fuori, ma tornai a sedermi. Forse questa era l'unica occasione che mi si offriva per scovare un criminale della peggiore specie.

« Per ora non le darò un soldo. Ma se Stangl verrà arrestato in base alle sue informazioni avrà il denaro. »

« E chi mi garantisce che i patti saranno rispettati? »

« Nessun o glielo garantisce. Se le mie condizioni non le piacciono, è libero di andarsene! »

« Va bene,» disse . « Non c'è bisogno che si arrabbi. Le dirò esattamente dove lavora Stangl. Ma non conosco il nome sotto il quale si nasconde attualmente. Funziona ancora il patto?»

« Vada avanti. »

« Stangl lavora come meccanico nella fabbrica della Volkswagen di Sa.o Paulo, in Brasile. »

L'informazione si dimostrò esatta. Stangl lavora ancora a Sa.o Paolo; a:bbiamo anche il suo indirizzo attuale. E il suo nome figura ancora nella lista dei ricercati del Tribunale di Linz, che ha spiccato il primo mandato di cattura contro di lui. Una volta ho visto una fotografia di Stangl : ce lo mostra con in mano il frustino mentre spinge i detenuti nella camera a gas di Treblinka. Se quest'uomo potesse essere assicurato alla giustizia, non m'importerebbe di pagare settemila dollari ad un ex agente della Gestapo. Il capitolo Stangl si concluse quasi tre anni dopo che ero venuto in possesso del suo indirizzo tramite il tizio che chiedeva in cambio

700.000 cents.

Sapevo che sarei riuscito nel mio intento soltanto con l'aiuto di qualche persona influente in Brasile. Qualsiasi passo ufficiale sarebbe stato rischioso, poichè troppa gente ne avrebbe avuto sentore in anticipo. Stangl era ricercato dal Tribunale di Vienna per la sua attività a Treblinka e a Sobibor e dal Tribunale di Linz, perchè era stato vice comandante della « scuola di genocidio » di ·Hartheim. Se l' Austria avesse chiesto ufficialmente la sua estradizione, molte persone ne avrebbero dovuto essere informate: due pubblici ministeri, due giudici istruttori, alti funzionari del ministero della Giustizia, i traduttori del dossier, impiegati dell'ambasciata brasiliana a Vienna e parecchi funzionari del ministero degli Esteri austriaco, e dell'ambasciata d'Austria a Rio. Inoltre, sarebbero venuti a conoscenza della cosa i funzionari del ministero degli Esteri, il ministero della Giustizia e la polizia del Brasile. Complessivamente dalle 36 alle 50 persone.

Io sapevo che in Sud America esiste una « Kameradenwerk », o « Organizzazione dei Camerati », creata dalle SS dopo la fine della guerra. Uno dei suoi fondatori era il colonnello delle SS Hans Ulrich Rudel. Essa disponeva in tutti i paesi del Sud America di buoni contatti nella polizia, tra le autorità e tra i funzionari delle ambasciate tedesca, italiana e austriaca: sapeva che in queste ambasciate il pericolo era sempre in agguato.

Dovevo, quindi, trovare una persona influente in Brasile che mi aiutasse a cercare una scorciatoia. Avrei dovuto fare lo stesso in Austria. Era assolutamente necessario ridurre al minimo il numero delle persone informate d ella cosa.

Nel dicembre 1 966, ricevetti un messaggio da amici in Brasile in cui mi si informava che un personaggio importante che si trovava in viaggio in Europa era disposto a incontrarmi a Zurigo. Ci andai immediatamente in aereo.

La persona che mi sedeva di fronte era un bell'uomo di mezza età, dallo sguardo pensoso. Mi ascoltò e disse : « Mi prepari un pro memoria: le farò sapere qualcosa al mio ritorno a Rio. Non mi spedisca nessun documento in Brasile. » Era al corrente dell'esistenza della « Kameradenwerk » e dei suoi contatti con le ambasciate straniere. Prima ancora che io gli comunicassi il nome della ditta presso la quale Stangl lavorava, egli disse: « Scommetto che lavora in una ditta tedesca. E sono anche sicuro che non è il solo. »

Nel gennaio 1967, seppi che il mio contatto era rientrato a Rio. Mi recai allora a Vienna a conferire con il ministro della Giustizia austriaco, Klecatsky. Mi ascoltò e promise di aiutarmi.

« Esistono dei mandati di cattura per quest'uomo. Chiederemo l'estradizione. »

Presi a discutere il caso con alcuni funzionari del ministero della Giustizia, cercando di non parlarne con troppi. I procuratori furono convocati al ministero. Si fece un estratto dei documenti a carico di Stangl, che formavano un dossier di oltre mille pàgine. Nel contempo inviai a Rio il materiale in mio po~sso, compilato dal Centro di Documentazione. Usai come corriere una giovane donna che lavora saltuariamente per noi. Era nata in Brasile, viveva a Vienna e quindi non avrebbe destato sospetti se si fosse recata a Rio.

Dopo la sua partenza, rimasi in nervosa attesa. Una notte, erano le tre, mi chiamò al telefono. Non riuscii a capire molto di ciò che disse, salvo una parola che ripeteva spesso: carnevale. Mi richiamò la _ notte seguente e questa volta la comunicazione era migliore.

« Dovremo attendere la fine del carnevale. Per ora non possiamo fare nulla. »

Cercai, quindi, di portare a termine il lavoro almeno a Vienna. Dagli archivi di Diisseldorf sul processo di Treblinka mi giunse altro materiale. Ricevetti anche un messaggio da Rio. Il mio personaggio sarebbe tornato in Europa if 1 ° marzo. Mi restavano sì e no due settimane - dalla fine del carnevale al 1° marzo - per agire in Brasile.

Il mio corriere rientrò a Vienna e mi riferì che ci si proponeva di arrestare Stangl una sera all'uscita dalla Volkswagen di Sa.o Paulo. Non intendevano sorprenderlo nella sua abitazione dove sembrava nascondesse una discreta quantità di armi e di munizioni, cosa del resto naturale. Un confidente della polizia brasiliana, comunque, lo pedinava costantemente. Dopo il suo arresto, Stangl sarebbe stato portato in aereo a Brasilia, la capitale, per motivi di sicurezza.

Intanto, dovetti intervenire più volte presso il ministero della Giustizia a Vienna. Il tempo stringeva sempre_ più. Spiegai la situazione

al ministro, che sollecitò i suoi funzionari ad agire con la massima celerità. Il 22 febbraio fui convocato al ministero. Il dossier su Stangl era stato tradotto in portoghese ed era stato inviato al ministero degli Esteri austriaco, il quale telefonò all'ambasciata del Brasile a Vienna e chiese a un funzionario di controllare e di approvare la traduzione del dossier, il 23 febbraio.

Mi offrii di pagare l'aereo a un corriere diplomatico del ministero degli Esteri, ma mi fu risposto che l'Austria non possiede un servizio corrieri con il Sud America. Non disponevano neppure di un contatto radio diretto nè di una telescrivente con le loro ambasciate laggiù. Inoltre, il viaggio ufficiale di un funzionario del ministero che duri più di tre giorni deve essere approvato dal Consiglio dei ministri che si riunisce ogni martedì. In questo caso, dodici persone sarebbero venute a conoscenza dei nostri piani. Fu allora deciso di inviare per posta aerea il mandato di arresto e la richiesta provvisoria di estradizione assieme alla documentazione tradotta in una busta sp eciale, con la raccomandazione che fosse aperta dall'ambasciatore d'Austria a Rio in persona.

Venerdì sera 24 febbraio, telefonai a un amico in Brasile e lo pregai di andare ·dall'ambasciatore austriaco a Rio il lunedì mattina. Quando ci andò, l'ambasciatore aveva già ricevuto il pacchetto. Lo stesso giorno, il 27, l'ambasciatore austriaco lo consegnò al ministero degli Esteri brasiliano.

Martedì pomeriggio, Stangl fu arrestato mentre usciva dalla Volkswagen di Sa.o Paulo. Era terrorizzato. Era convinto di essere rapito da commandos ebrei che si spacciavano per agenti brasiliani. Quando 1~ portarono al commis.5ariato locale, apparve visibilmente sollevato. Si riteneva fortunato perchè ricordava quello che era accaduto a Eichmann.

Il giorno successivo, il mio amico brasiliano partì, ma prima di salire sull'aereo mi telefonò per assicurarmi che tutto procedeva bene. La stessa notte Abreu Sodre, il governatore di Sa.o Paulo, co., municò ufficialmente alla stampa e al pubblico l'arresto di Stangl. Da allora, la diplomazia ha proceduto in fretta. Anche la Repubblica Federale Tedesca ha chiesto l'estradizione di Stangl per proces.5arlo come criminale di guerra. ·

Il 2 marzo, mi recai ad Amsterdam ove mi fermai alcuni giorni. Nel frattempo, un uomo telefonò al Centro di Documentazione a Vienna pretendendo i suoi 700.000 cents. Gli fu risposto che la somma di 7.ooo dollari gli spettava di diritto e gli sarebbe stata consegnata al mio rientro a Vienna.

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CAPITOLO XX L'EREDITÀ DI CAINO

Nel dicembre 1961 presenziai, a Bruxelles, a un congresso dell'Unione Internazionale della Resistenza , di cui sono vice presidente. In occasione di quell'incontro, M. Hubert Halin, segretario generale dell'Union Intemationale des Résistants et Déportés, chiese al mio amico Hermann Langbein (segretario generale del Comitato Internazionale di Auschwitz) e a me di ricercare a Vienna un certo Robert Jan Verbelen, un SS-Oberslurmbannfi.ihrer fiammingo, comandante delle SS fiamminghe, delegato di Léon Degrelle, capo dei fascisti belgi, e il più importante informatore della Gestapo in Belgio. Il 14 ottobre 1947, V erbelen era stato condannato in contumacia da un tribunale belga per l'uccisione di centouno persone. Halin riteneva probabile che Verbelen vivesse a Vienna, forse sotto lo pseudonimo di «Jean Marais», col quale aveva firmato molti opuscoli neonazisti. Halin aveva raccolto una grande quantità di materiale contro Verbelen.

Langbein ed io sapevamo qualcosa di più circa le attività di « Jean Marais ». Era stato uno dei principali esponenti di un gruppo chiamato SORBE - Sozial-Organische Ordnungs-Bewegung Europasche una volta aveva tenuto a Salisburgo un congresso, al quale « Marais » aveva presenziato.

Tornati a Vienna, Langbein e io, ciascuno per proprio conto, cominciammo a cercare « Jean Marais ». Non lo trovammo, e fummo costretti a rinunciare all'impresa. Qualche settimana dopo Halin ci scrisse, pregandoci di continuare le ricerche. Parlai con Langbein. Non c'era nessun « Marais » a Vienna. Decidemmo di cercare Verbele n sotto il suo vero nome, cosa che non avevamo fatto prima perchè sembrava molto improbabile che un criminale di guerra nazista condannato da un tribunale avesse continuato a portare il suo nome.

E invece era proprio questo che Verbelen aveva fatto. Lo stesso giorno, Langbein ed io trovammo il nome di un certo Robert Jan Verbelen nei registri della polizia. Questo Verbelen risultava domiciliato nella Greinergasse, nel quartiere di Dobling. Langbein mandò

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a quell'indirizzo uno dei suoi uomini, il quale riferì che il biglietto da visita di Verbelen era attac~to vicino al pulsante del campanello, dove t utti potevano vederlo. Verbelen non aveva mai cercato di' nascondersi, come avevamo creduto. Comunicammo l'indirizzo a Halin, il quale accluse alla sua risposta copia della sentenza emessa contro Verbelen. Questi era stato condannato a morte il 14 ottobre 1947 dal tribunale della provincia del Brabante. Era un incartamento voluminoso, dattiloscritto in fiammingo. Telefonai a Langbein, e andammo insieme a trovare il procuratore di Stato presso il tribunale di Vienna, Mayer-Maly. Il procuratore disse subito che bisognava arrestare Verbelen, ma che prima era necessario avere una traduzione ufficiale del documento fiammingo. Chi conosceva il fiammingo a Vienna? Gli dissi: « Ci metteremo un mucchio di tempo a trovare qualcuno, a Vienna, che parli fiammingo. E alla fine magari ci accorgeremo che è una SS come Verbelen. » Mayer-Maly rise, ma i fatti dimostrarono che non ero molto lontano dalla verità. Al processo di Verbelen, l'interprete ufficiale fiammingo risultò essere l'ex segretario del dottor .

Arthur Seyss-Inquart, Reichskommissar di Hitler in Olanda. Trovammo il punto chiave della sentenza dove si diceva che Verbelen era condannato a « T od mit dem Koogel » (morte mediante fucilazione). Il procuratore Mayer-Maly firmò il mandato per l'arresto di Ve11belen e telefonò alla ·polizia di Stato. Langbein e io eravamo venuti a sapere che Verbelen, dopo il suo ritorno a Vienna, era stato agente della polizia di Stato. L'alto funzionario di polizia che ricevette la comunicazione sembrò cadere dalle nuvole, e non c'era da meravigliarsene.

« Be', se non altro, voi saprete dove trovarlo, » disse il procuratore, e gli lesse per telefono il mandato. Eravamo andati dal procuratore alle dieci e mezzo: all'una Verbelen veniva arrestato.

Nel 1936, Verbelen aveva fondato a Bruxelles una organizzazione denominata « De Vlag », che era apparentemente una società « per la collaborazione culturale » tedesco-fiamminga. In realtà, si trattava di una organizzazione spionistica che lavorava per le SS di Berlino e che ricevev:a ordini direttamente dalla RSHA. Il suo capo, un tale di nome Van de Wiele, è ora detenuto in una prigione belga. Ai orimini di Verbelen è stata data ampia pubblicità. Egli denunciò. alle SS patrioti e partigiani belgi, partecipò a molte azioni terroristiche e uccise con le sue mani Georges Petre, sindaco di Saint-Josse -ten-Noode, il 31 dicembre l 942; M. tmile Lartigue,

di Woluwe-St.-Lambert, il 20 gennaio 1943; e Raoul Engel, un avvocato di Ixelles, il 24 febbraio 1943... per non parlare di altri novantotto omicidi, tutti specificati nella motivazione della sentenza che occupa parecchie pagine dattil05Critte. Fra le sue vittime ci furono molti aviatori americani caduti nelle mani delle SS. Inoltre, secondo la sentenza, Verbelen torturò personalmente diverse vittime prima che queste ven~ro uccise. È una brutta storia, anche se si tiene conto che si tratta sempre di una storia di SS.

Alla fine della guerra, Verbelen scomparve. Scappò in Germania, e di là andò a Vienna con il pas.5aporto di un certo Isaac Meisels : un ebreo di Anversa che era stato ucciso ad Auschwitz. (Non è mai stato chiarito come Verbelen si fosse appropriato del passaporto di Meisels, nè si è mai saputo che fine abbiano fatto alcuni diamanti che Meisels portò via da Anversa nascosti in tubetti di pasta dentifricia.)

Verbelen si servì di altri nomi a Vienna, ma nel 1958 chiese la cittadinanza austriaca con il suo vero nome, Robert Jan Verbelen. Secondo la legge austriaca, coloro che chiedono la cittadinanza devono provare di non aver mai subito condanne per reati commessi in altri paesi. È necessario un cosiddetto « Certificato di buona condotta», e inoltre la polizia di Stato austriaca assume informazioni su ogni richiedente. Tuttavia Verbelen, condannato a morte in Belgio, risultò evidentemente incensurato, quando sarebbe bastata una semplice telefonata all'ambasciata del Belgio a Vienna per scoprire che non aveva i requisiti previsti dalla legge sulla concessione della cittadinanza austriaca. Così Verbelen diventò cittadino austriaco il 2 giugno 1959. I giornali si sono chiesti se questo sia stato solo un altro esempio della Schlamperei (trascuratezza) austriaca o se piuttosto Verbelen avesse amici molto in alto.

U processp contro Verbelen fu celebrato a Vienna nel 1965. L'accusato si difese con abilità e arroganza, tenendo ai giurati lunghe concioni per dimostrare che aveva agito « cootrettovi con la forza ». Fu mandato assolto. La sentenza provocò grande indigna:zione in Belgio e altrove, e perfino a Vienna, dove gli studenti protestarono e la maggior parte della stampa criticò la sentenza. Verbelen uscì dall'aula libero. Il procuratore distrettuale ricorse in appello. L'ultima · parola nel processo contro l'ex SS-Obersturmbannfuhrer non è stata ancora detta.

Feci la conoscenza di Herr Toni Fehringer nel settembre del 1944, al campo di concentramento di Plaszow, presso Cracovia, in Polo-

nia. Era uno dei -cinquanta Kapò tedeschi: la maggior parte ex galeotti - criminali, banditi, assassini - che erano stati « distaccati per servizio » nei campi di concentramento. Alcuni erano molto simpatici. In questa categoria, ricordo in particolare un ex pirata, di nome Schilling, che nei primi anni dopo il '30 aveva fatto una brillante carriera nel Mare del Nord, dove lui e alcuni suoi amici, che avevano tendenze simili alle stie, si erano specializzati nel depredare le imbarcazioni da diporto. Fermavano uno yacht, alleggerivano i passeggeri di tutto il denaro e dei gioielli e se ne andavano. Quando la polizia tedesca cominciò a dargli la caccia, Schilling riparò in Sud-America, ma nel 1937, non potendo resistere alla Heimweh, la particolare versione tedesca della nostalgia, tornò nella V aterland. Aveva un altro nome e un bel passaporto falso, ma non appena sbarcato ad Amburgo andò in un bordello nel quartiere di Reeperbahn. La Heimweh si manifesta in modi diversi a seconda delle persone. Quella sera ci fu una rissa nel Reeperbahn. Schilling fu arrestato, identificato e mandato in prigione. Era un simpatico tipo di Robin Hood che toglieva ai ricchi il denaro superfluo ed aiutava i poveri. Quando due detenuti litigavano e uno dei due indicava l'altro a Schilling dicendogli: « Quello lì, era un riccone », era molto probabile che Schilling prendesse a sberle l'ex ricco. Per i poveri ebrei faceva tutto il possibile. Ci portava da mangiare e ci proteggeva contro i Kapò carogna.

Fra questi ultimi, Toni Fehringer era il più carogna di tutti. Aveva ventuno anni, era biondo, con il naso all'insù e un'espressione malvagia e brutale negli occhi azzurri. Le sue donne - ne aveva sempre qualcuna attorno - lo chiamavano « der bionde Toni ». I detenuti lo chiamavano, in modo più appropriato, « die bionde Bestie» (la bestia bionda). Aveva una camera propria, il vitto speciale delle SS e altri privilegi.

C'erano Kapò di tutti i generi. Schilling, per esempio, salvò la vita di molti ebrei che commettevano mancanze irrilevanti, come arrivare tardi al lavoro o non salutare con le dovute forme una SS. Quando Schilling vedeva una SS che stava per imbracciare il fucile, saltava addosso al colpevole e a -furia di schiaffi lo scaraventava a terra. « Ecco! » diceva alla SS. « Non si sporchi le ·mani con un sudicio ebreo, Herr Rottenfuhrer. L'ho punito io per lei. » Forse il prigioniero ci rimetteva un dente, ma salvava la vita.

Toni Fehringer era diverso. A lui era affidato il cosiddetto « Kommando 1005 », al quale appartenevo io. Eravamo una brigata speciale di lavoratori. Avevamo il compito di riaprire le fosse comuni

della zona, di esumare i corpi e di bruciarli o farli scomparire in qualche altro modo. L'eser cito sovietico avanzava verso occidente. I tedeschi, che avevano riempi to quelle fosse con i corpi di civili innocenti, volevano evitare che si ripetesse ciò che era accaduto nella foresta di Katyn, in Polonia, dov e i cad averi di migliaia di ufficiali polacchi uccisi per ordine di Stalin erano stati scoperti nel 1941 dai nazisti in avanzata: i tedeschi si erano serviti di questo crimine dei russi come di una eccellente arma di propaganda. Ora non volevano c he ac cadesse qualcosa del genere; così, facevano riaprire le fosse comuni sparse per tutta la Polonia e cancellavano qualsiasi triac cia di cadaveri. I tedeschi avevano elenchi precisi dei punti in cui si trovavano le fosse e anche gli elenchi dei corpi che vi erano seppelliti. Gli elenchi erano redatti con cura, in triplice co pia: alcuni di essi caddero in seguito nelle mani degli alleati e vennero usati come prove nei processi contro i nazisti. A Plaszow, il nostro com pito era quello di esumare le salme e bru ciarle o - se ciò non era più possibile - triturare le 06Sa fino a ridurle in polvere. Nei punti in cui c'erano state le fosse, venivano piantati fiori ed erbe. Non era un lavoro piacevole; per questo il comandante del campo ci diede baracche migliori e doppia razione di rancio. Dopo aver l avorato per quattordici ore, nel tanfo orribile dei corpi in putrefazione e soffocati dal fumo dei roghi, ce n e tornavamo barcollanti alle nostre barac che, sperando in qualche ora di sonno e di oblio. Ma c'era il biondo Toni che ci aspettava e ci ordinava di andare sul piazzale a fare « ginnastica » : su e giù, su e giù, corse e salti, e poi trenta fl essio ni sulle ginocchia, fino a che i più deboli crollavano. Fehringer non aveva ordine dalle SS di tra ttarci così duramente. Lo faceva solo perchè gli piaceva. E andava fiero di queste sue torture.

Ma faceva anche altre cose tremende. Pi cchiava i prigionieri con tanta violenza da farli star male. E chi stava m ale veniva subito « liquidato ». Quando lavoravamo alle fosse, Fehringer ispezionava i cadaveri che esumavamo. Portava in uno stivale una pinza da dentista con la quale strappava i denti dalle bocche dei cadaveri per cercarv i quelle otturazioni d'oro che potevano essere sfuggite alle SS. Quan do trovava un po' d'oro, si metteva il dente in tasca. Più tardi avrebbe scambiato l'oro con qual c he Schnaps. Beveva sempre parecchi Schnaps. Promisi a me stesso che se fossi sopravvissu to al « Kommando 1005 » e alla guerra avrei fatto di tutto per ritrovare il bi ondo Toni.

Nel I 946, incontrai a Linz una polacca che era stata nel campo di Plaszow. Mi disse c he ci aveva osservat i spesso dal r ecinto delle

donne. « Vedevo il vostro gruppo che tornava, e poi vedevo quando Toni si divertiva con voi,» mi disse. « Che sadico! »

Le d~i che avevo pensato spesso a Toni Fehringer, ma che non sapevo niente di lui, tranne che parlava il tedesco con accento austriaco. La polacca mi disse di aver sentito dire che Toni era dell'Austria Superiore. La notizia non mi era di grande aiuto. Il nome Fehringer è molto comune nell'Austria Superiore. Un giorno, all'inizio del r 947, mi trovavo i:11 una biblioteca pubblica, dove ero andato a leggere vecchi giornali nazisti perchè avevo scoperto che erano delle straordinarie fonti d'informazioni. I nazisti avevano cercato di cancellare accuratamente le testimonianze del passato, ma evidentemente non avevano pensato alle biblioteche pubbliche che conservavano le copie rilegate dei giornali.

Mentre prendevo nota di alcuni. nomi interessanti, sentii due uomini che parlavano accanto a me. Mi parve di capire che uno era un Sippenforscher ( « ricercatore di parentele »), una professione della quale non avevo mai sentito parlare. Era un uomo anziano, simpatico. Gli chiesi in che consistesse esattamente il suo lavoro. Mi spiegò che durante il regime nazista ogni Gauleitung aveva adibito parecchi esperti al controllo delle « Ariernachweise » (certifioati di origine ariana). Si trattava di documenti importanti, la cui validità poteva significare per una persona libertà o galera, benessere o povertà, e spesso vita o morte. « Alcuni esibivano alle Gauleitung documenti falsi, » disse l'uomo, « e noi dovevamo rintracciare i precedenti, consultare i certificati di nascita e le vecchie trascrizioni nei registri parrocchiali e fare ricerche genealogiche. La maggior parte dei Sippenforscher erano in origine Heimatforscher, storici locali. Grazie a Dio, non dobbiamo più fare quel lavoro. lo sono tornato a occuparmi di storia locale. »

Mentre rincasavo, mi venne un'idea. Se avessi chiesto a un ex Sippenforscher di aiutarmi a trovare Toni Fehringer? Un esperto del genere doveva sapere un mucchio di cose sui Fehringer dell' Austria Superiore. Una settimana dopo, m'incontrai a Linz con un Heimatforscher. Era stato iscritto al partito nazista ma, come scoprii, non era mai stato un membro zelante. Gli parlai di Toni Fehringer.

Esitò, e disse che non voleva: diventare un « traditore ».

Gli chiesi: « Lei ha commesso qualche delitto?»

Scosse il capo. « Sa bene di no. Lei ha fatto accurate indagini sulla mia condotta durante il periodo nazista. »

« Sì. Ma ora lei vuole proteggere un delinquente comune, un

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uomo che provava piacere a fare il Kapò in un campo di concentramento e a torturare i prigionieri indifesi? »

Disse che non era questa la ragione. Aveva paura di pos.sibili «conseguenze». Gli promisi che avrei rispettato il segreto. Nessuno avrebbe saputo che mi aveva aiutato. Non sarei mai andato a trovarlo a casa sua. .

Tornò il giorno dopo. « Ci sono parecchi Fehringer nei villaggi del Kremstal , fra Kirchdorf e Micheldorf. t una regione molto interessante dal punto di vista storico, con vecchie case barocche e antichi castelli. Vicino a Kirchdorf c'è il castello di Alt-Pernstein del sedicesimo secolo, che... »

« Sì, » lo interruppi. « Manderò qualcuno in quella zona per fare indagini sui Fchringer. »

Due giorni dopo, un mio aiutante mi portò la notizia che a Kirchdorf viveva un Anton Fehringer. Aveva circa trentaquattro anni. I suoi vicini avevano detto che era stato via durante la guerra. Poteva esserè il mio Kapò, ma dovevo esserne certo. Chiesi a un fotografo di Linz di andare a Kirchdorf fingendosi un innocuo turista appassionato di fotografia e di portarmi un ritratto di Anton Fehringer.

Quando vidi la foto, riconobbi « der bionde Toni». Feci rapporto alla polizia parlando del Kapò e fornendo i nomi di altri testimoni.

Fehringer fu arrestato e processato. Io fui citato come principale teste d'accusa. Dissi alla corte che cosa aveva fatto Fehringer. Il suo avvocato invocò le circostanze attenuanti. Disse che il s uo cliente aveva agito « costretto dalla forza», che aveva solo eseguito degli ordini, e che inoltre il lavoro con il « Kommando I 005 » era stato molto duro. Poi der bionde Toni si alzò e mi chiese perdono.

Dis.5i: « Personalmente, perdono all'accusato di avermi picchiato e di avermi fatto tutto ciò che ho detto. Ammetto che vi possono essere state delle circostanze attenuanti, ma non posso invocare clemenza per l'accusato in nome dei miei camerati che non sono più qui. Non ho il diritto di farlo. »

Toni Fehringer fu condannato a sette anni di lavori forzati. Morì tre anni dopo in carcere.

Un giorno del I 963 ricevetti una lettera da un uomo che chiamerò solo con il nome di battesi mo, Leonid. Aveva letto da qualche parte del mio lavoro. Era disperato e pensava che forse avrei potuto aiutarlo. Ci incontrammo a Colonia, e Leonid mi raccontò la storia che lo aveva ossessionato per ventidue anni. Era nato a Plunge, in Lituania, che allora distava trentasette chilometri dal confine tedesco.

Dei seimila abitanti c he contava approssimativamente Plunge prima della guerra, circa milleottocento erano ebrei. Leonid, che è ebreo, mi disse che fino al momento della guerra c'erano sempre stati rapporti amichevoli fra lituani ed ebrei. A scuola, aveva molti amici lituani. Gli ebrei avevano le loro sinagoghe, i bambini andavano al Gymnasium. C'erano architetti, dottori e farmacisti ebrei.

« Se qualcuno mi avesse detto ciò che stava per accadere a Plunge, avrei pensato che folse matto, » disse Leonid. « E ciò vale in particolare per un lituano, Amoldas Pabresha, che avevo conosciuto a scuola: un ragazzo simpatico, tranquillo e appartato e a volte un po' strano, ma t utto sommato un bravo figliolo. » ·

I genitori di Pabresha avevano un podere di sedici ettari appena fuori di Pl unge; il padre lavorava come aiutante in una farmacia, e Amoldas e la madre si occupavano della terra. Arnoldas era un tipo smilzo, di media statura, con le spalle strette e una testa piccolissima. Aveva una voce molto roca; sembrava sempre nervoso, quasi ansioso. Parlava correntemente il lituano, il rus.so e il polacco.

Quando l'Armata Rossa occupò Plunge, nel I 940, Pabresha si dichiarò ardente comunista e diede la sua terra al comitato locale del partito, cosa che gli fruttò m olti elogi. Ma rivelò anche un lato insospettato e inquietante del suo carattere denunciando al NKVD alcuni lituani, che vennero portati via e dei quali non si seppe più nulla. Queste erano le ultime cose che Leonid aveva saputo di Pabresha. In seguito Leonid era stato arruolato dall'Armata Roosa e portato nell'Unione Sovietica. ·

Durante la seconda guerra mondiale, Leonid raggiunse il grado di maggiore de ll'Armata Rossa. Egli sperava di far parte dell'unità che avrebbe liberato la sua città natale. Le speranze di Leonid si realizzarono. Combattè con una divisione nei paesi baltici, e un giorno del I 944 si trovò con l'unità che prese la città di Plunge.

« Il cuore mi batteva forte mentre i nostri carri armati raggiungevano i sobborghi della città, » disse L eonid. « Andai diritto a casa mia. Una sconosciuta mi aprì la porta. Si spaventò quando vide la mia uniforme e scappò via. Mi allontanai. Volevo cercare i parenti, gli amici. Ma non c'era nessuno che conoscessi. Camminavo per le strade che mi erano così familiari, ma che ritrovavo piene di sconosciuti. Plunge era diventata per me una città fantasma. Non c'era una sola faccia che conoscessi nella città in cui ero nato. Alla fine andai dal prete. Era ancora là; mi prese fra le braccia, e per un poco piangemmo insieme. »

Il prete raccontò a Leonid la terribile storia. Nell'estate del 1941

i tedeschi avevano occupato Plunge. Il compagno Pabresha era diventato subito un entusias ta filonaiista e si mise a lavorare per la Gestapo. Non si sapeva se lo facesse o meno per ordine del partito comunista. Il prete disse a L eonid che, pochi giorni dopo l'arrivo dei tedeschi, Pabresha aveva dato il via a un pogrom, che finì solo dopo che tutti gli ebre i di Plunge - uomini, donne e bambini - furono uccisi.

« Ancora oggi non p osso parlarne, » aveva detto il prete. « Per prima cosa gli ebrei furono picchiati e trasci nati alla sinagoga, di fronte alla quale la marmaglia accese un gran fuoco; poi gli ebrei furon o costretti a portare fuori la thora, e le reliquie, e i libri di preghiere, e a bruciarli. Pabres ha spinse parecchi uomini tra le fiamme e sparò su di loro. Ricordi il vecchio dottor Siw, che era stimato da tutti come un bravo medico? Pabresha lo costrinse a inginocch iarsi e a mangiare lo ste rco. E qu esto, Leonid, fu solo l'inizio. La marmaglia era scatenata, e Pabresh a era il peggiore di tutti. Portarono gli ebrei a Kaushenai, il villaggio a due miglia da qui, e là cominciò il massacro finale. Li fucilarono: uomini, donne, bambini, tutti. Cercai di salvare alcune giovinette del Gymnasium che conoscevo. Le feci inginocchiare e le b attezzai, poi dis.5i a Pabresha che ormai erano cristiane. Mi saltò addosso e mi buttò a terra. Vidi Pabresha aJferrarle per i capelli e sparare su di loro. Sì, e anche sua moglie aveva un fucile e ammazzava la ge nte. P ersi conoscenza. Rimasi ammalato per molti ·mesi. I dottori temettero per la mia ragione... Quando riuscirono a guarirmi, non era rimasto più n essuno. Uno degli ultimi ebrei uccisi fu Freimaas I srai lowicius, proprietario della farmacia in cui lavorava il padre di Pabresha. Non ti sorprenderai nel sentire c he il vecchio Pabresha rilevò la farmacia e le terre e la casa del padrone assassinato. »

Leonid era rimasto p er un po' senza parole, ascoltando il racconto del prete. Finalmente c hiese dove fosse Pabresha in quel momento.

« Se n'è andato con i tedeschi,» g li aveva detto il prete. « La mia fede mi dice di predicare il perdono, L eonid, ma quando penso ad Arnoldas Pabresha non trovo pietà nel mio cuore... »

Leonid non pianse nel congedarsi dal prete. E non rimase a Plunge. Le case gli erano diventate estranee come la faccia della gente. Lasciò la ci ttà fantasma, e fu lieto di poter proseguire la lotta contro i tedeschi. Ma continuò a pensare al modo di trovare Pabresha. Leonid sentiva di avere una missione, per la quale Dio aveva risparmiato lui, l'ultimo ebreo di Plunge.

Non trovò Pabresha. Dopo la gu erra, la sua divisione fu riman-

data nell'Unione Sovietica. Poi, venne assegnato ad un'altra unità destinata alla Germania Orientale. Alla fine, Leonid decise di rifugiarsi a Berlino Ovest e si mise a cercare, nei vari campi di profughi della Germania Occidentale, dei lituani e delle persone provenienti dai paesi baltici. Trovò qualcuno che aveva visto Pabresha dopo la guerra. Leonid seguì le tracce, e l'ultima cosa che scoprì fu che Pabresha, la moglie e due_ figli nel 1948 o 1 949 erano emigrati in Australia con un cognome polacco. Ma qui finivano le tracce. Leonid non sapeva come andaré avanti; eppure doveva andare avanti. Per questo era venuto da me.

Un altro terribile crimine era venuto alla luce solo perchè un uomo era sopravvissuto a centinaia di migliaia di suoi Simili. Quante Plunge Gi sono... quanti Pabresha dei quali non sappiamo nulla?

Leonid aveva scoperto che anche un intimo ainico di Pabresha, un medico lituano di nome Vladas I vinskis, che Leonid conosceva, era einigrato in Australia verso il 1948. lvinskis esercitava la professione di medico nella Nuova Guinea. Per mezzo di un ex abitante di Plunge, che viveva a Parigi, Leonid aveva scoperto che gli lvinskis e i Pabresha erano stati insieme in Australia fino al 1956. Tuttavia, a quell'epoca i Pabresha stavano progettando di trasferirsi negli Stati Uniti.

« Ciò significa, » dissi a Leonid, « che dobbiamo cercare una famiglia - marito, moglie e due figli - che probabilmente andò in Australia, sotto un falso nome polacco che non conosciamo, verso il 1956, e che dopo il 1956 si trasferì negli Stati Uniti.»

« Sembra un'impresa impossibile, » disse Leonid annuendo.

« Forse questo dottor lvinskis sa dove si trovano,» dissi.

Scrissi ad alcune persone in Australia. Ricevetti una· lettera da una suora cattolica che aveva parlato con un prete nella Nuova Guinea. Il -prete conosceva il dottor I vinskis, ma non era in grado di procurarci l'informazione richiesta.

Tentai un'altra strada. Se Pabresha era in Americ~, probabilmente si teneva in contatto con altri lituani. Pregai un amico di fare, sui diversi giornali lituani pubblicati in America, un annuncio nel quale si diceva che un ex abitante di Plunge, che da ultimo aveva assunto il nome di Smith, era morto lasciando le sue considerevoli sostanze ai concittadini ancora viventi. Tutti i nativi di Plunge erano perciò invitati a scrivere ad un certo indirizzo.

Nessuno rispose all'annuncio. Forse Pabresha Io lesse, ma non osò scrivere. Chissà se dorme sonni tranquilli quando pensa a Plunge !

Negli ultimi anni, ho passato parecchio tempo in Olanda ed ho stabilito stretti rapporti con il Centro di Documentazione olandese, ad Amsterdam, durante la ricerca dell'uomo che arrestò Anna Frank e nel corso delle indagini sulle attività del dottor Erich Rajakowitsch. Il triumvirato imperante nei Paesi Bassi durante l'oocupazione tedesca era formato da tre gerarchi nazist,i austriaci : il dottor Artur Seyss-lnquart, Reichskommissar di Hitler; il dottor Hans Fischboeck, Generalkommissar per le Finanze e il Commercio; e lo SSGruppenfuhrer Walter Rauter, Generalkommissar per la Sicurezza. Questi tre uomini formavano il nucleo del cosiddetto « Donau-Club » (Club Danubio) i cui membri e,rano gli esponenti nazisti austriaci in Olanda. Dopo la guerra, molti criminali di guerra nazisti testimoniarono in Olanda, nel corso di vari processi, che i membri del Club Danubio erano responsabili di tutte le decisioni importanti prese durante l'occupazione tedesca dell'Olanda. I soci del Club si incontravano tutti i venerdì, per decidere su questioni di vita e di morte... ma per lo più di morte. Dei tre pezzi grossi, Seyss-lnquart fu giustiziato a Norimberga, Rauter in Olanda.

E Fischboeck? I miei amici olandesi ritenèvano che fosse morto. Io mi rifiutavo di crederlo, perchè non c'erano prove. Cominciai a studiare la pratica di Fischboedc, che risaliva al febbraio 1 938, quando Hitler mandò le sue prime « richieste » al cancelliere austriaco Schuschnigg. Fra qneste, quella che il dottor Hans Fischboeck fosse nominato ministro del Commercio di un nuovo governo austriaco filonazista. Secondo i documenti, Fischboeck nel 1937 si .era iscritto al partito nazista, fuori legge in Austria, ricevendo la tessera n. 6.133.529. Schuschnigg respinse le richieste di Hitler, e alcune settimane dopo il Fiihrer invase l'Austria. A questo punto Seyss-lnquart fu incaricato di formare un nuovo gabinetto austriaco; nel quale il dottor Hans Fischboeck fu nominato ministro per l'Economia e il Commercio. Durante le persecuzioni contro gli ebrei austria-

CAPITOLO XXI L 'ARIANIZZATORE

ci, f'ischboeck dimostrò una spiccata inclinazione per il furto e il sa.e-

cheggio su vasta scal a. Fu lui a redigere il progetto per l' « arianizzazione » di tutte le proprietà ebraiche in Austria. Ciò fu provato da documenti che vennero letti a Norimberga il 29 novembre 1945 alla presenza di Goering.

Durante il contro~terrogatorio di Goering, il pubblico ministero lesse il Docu mento Numero 1816-PS, Prova Numero USA-261, che dimostrava l'efficienza con cui l'amministrazione Seyss-lnquart aveva depredato gli ebrei in Austria. Il sistema fu perfezionato nel corso di una riunione che ebbe lu ogo il 12 novembre 1938 a Berlino, al Ministero dell'Aeronautica del Reich, sotto la presidenza di Goering. Seconda la testimonianza di Goering, erano presenti Heydrich, capo della polizia segreta nazista; il dottor Frick, ministro degli Interni; Goebbels; Funk, ministro dell'Economia; il co nte Schwerin von Krosigk, ministro delle Finanze; « e Fischboeck, per l'Austria ».

Dopo l'assassinio del diplomatico tedesco Ernst von Rath avvenuto a Parigi ad opera dello studente ebreo Hershel Gruenspan il 17 novembre 1938, Fischboeck consigliò a Goering di imporre per rappresaglia agli ebrei della Germania e dell'Austria una ammenda collettiva di un miliardo di marchi. Secondo i documenti di Norimberga, Fischboeck aveva escogitato questo piano particolareggiato per depredare gli ebrei :

Eccellenza, su questo argomento Qa quP.stione ebraica] abbiamo già un dettagliato progetto per quel che riguarda l'Austria. A Vienna ci sono 12.000 artigiani e 5.000 commercianti al minuto ebrei. Prima di conquistare il potere avevamo già un piano ben definito per le piccole imprese ammontanti a un totale di 17.000 unità. Delle 12.000 piccole imprese artigiane, circa 10.000 erano da chiudere definitivamente e 2000 dovevano essere lasciate aperte; 4000 dei 5000 negozi al dettaglio dovevano essere chiusi e 1000 potevano essere lasciati aperti, ossia arianiZ7~ti. Secondo questo piano, dovrebbero essere lasciate in vita dalle 3000 alle 3500 ditte sulle 17.000 complessive; tutte le altre dovrebbero essere chiuse. Quanto sopra è stato deciso in seguito a un'indagine svolta settore per settore e in base alle necessità locali, d'accordo con le autorit à competenti. Il provvedimento potrà esse re notificato non appena sarà pubblicata la legge che abbiamo chiesto in settembre. Questa legge ci permetterà di ritirare le licenze agli artigiani, indipendentemente dalla questione ebraica.

Goering aveva risposto: « Farò p ubb licare la legge oggi stesso. , Poi aveva commentato con aria soddisfatta: « Devo dire che questa proposta è eccellente. In questo modo, entro Natale o al massimo entro la fine dell'anno risolvere mo la faccenda a Vienna, che è per così dire una delle capitali ebree. »

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Allora, il miìiistro dell'Economia tedesco, Funk, aveva detto: « P9&Siamo fare lo stesso qui. »

: « In altre parole, » disse il pubblico ministero a Norimberga, « la soluzione di Seyss-Inquart fu cosi apprezzata da e~e giudioata un modello valido per il resto del Reich. » In realtà la soluzione di Seyss-Inquart era l~ soluzione del dottor Hans Fischboeck.

Più tardi, il dottor Fischboeck si distinse fra i più accaniti persecutori nazisti degli ebrei in Olanda. L'8 aprile 1942, egli visitò un campo di lavori forzati dove erano raccolti duemila ebrei. Nel rapporto che fece a Seyss-Inquart scrisse: « Gli ebrei sono bene alloggiati e nutriti, e di ciò non si vede la ragione », e propose cambiamenti radicali. Fischboeck era presente alla cosiddetta « Riunione per gli ebrei » del 16 ottobre 1942, con Se~-Inquart ed altri, nella quale venne discussa la deportazione degli ebrei olandesi. Abbiamo la corrispondenza intercorsa fra Seyss-Inquart, Rauter e Fischboeck nel 1941; in queste lettere i tre massimi esponenti dd « Club Danubio» parlano per la prima volta di « Aussiedlung » (reinsediamento) degli ebrei invece di « Auswanderung » (emigrazione). Nel frattempo, Fischboeck faceva man bassa dell'economia olandese. « Liquidò » 13.000 ·imprese ebree, « arianizzò » 2000 negozi ebrei, e trasferì parecchi miliardi di fiorini olandesi in Germania.

La deportazione degli ebrei olandesi fu attuata in modo assolutamente inumano. Ho fra i miei documenti una lettera scritta da un ebreo olandese, un certo G.A. van der Hall, al generale Christiansen, comandante dell'esercito tedesco nei Paesi Bassi. Van der Hall, che aveva perso tutt'e due le gambe in combattimento nel maggio 1940, chiedeva di essere esonerato dalla deportazione. Fu deportato egualmente e morì in un campo di concentramento. Sulla sua lettera, trovata più tardi, figura questa annotazione ufficiale: « Un ebreo è sempre un ebreo con o senza gambe.»

Fischboeck ficeva parte di quel ristretto gruppo di gerarchi nazisti che conoscevano perfettamente i piani e il meccanismo della « soluzione finale del problema ebraico » e che contribuirono a realizzare tale « soluzione finale ». Era un uomo abile, pieno di risorse, crudele. Dopo che gli alleati ebbero liberato una: vasta porzione dell'Olanda, Fisch-boeck si trasferì con il suo stato maggiore nella zona nord-orientale del paese e continuò a « liquidare » le proprietà . olandesi e a trasferime i fondi in Germania.

Dopo la guerra, Fischboeck fu incluso nell'elenco dei «ricercati» tanto in Austria quanto in Olanda, ma non si riuscì a trovarlo. A ' quel tempo, in Austria, i nazisti del calibro di Fischboeck venivano

condannati all'ergastolo per colpe molto minori delle sue. Fischboeck fu processato in contumacia per alto tradimento e venne ordinata la confisca di tutti i suoi bepi in Austria, In Olanda, il suo processo avrebbe potuto concludersi con la condanna alla pena capitale. Ma in entrambi i paesi, fu impossibile trovarlo. In Austria fu dato per « disperso>>, e in Olanda si ritenn e che fosse morto.

Non si ebbero più notizie di lui, fino a che una vecchia ebrea non venne a trovarmi nel mio ufficio di Vienna in un giorno del settembre 1965. Era disperata. Durante la seconda guerra mondiale, quando lei e il marito stavano per essere deportati, erano stati avvicinati da un arruco non ebreo che aveva promesso di rilevare la loro ditta e di gestirla « fino al vostro ritorno ».

« Adesso, è direttore generale di una azienda qui a Vienna, » disse la vecchia. « Sono andata a trovarlo, ma lui nega tutto. Non ricorda di aver rilevato la no$tra ditta. Mi ha detto di non seccarlo e mi h~ messa alla porta. »

Era la solita storia. I -due vecchi avevano commesso lo sbaglio di sopnvvivere, di tornare e di chiedere la roba loro. Le chiesi se non avessero messo nulla per iscritto.

« Non osammo, » disse. « Ci' fidammo di lui. »

« Avete dei dati di fatto su cui fondare la vostra richiesta? » le chiesi. « Avete dei testimoni? »

« Sì. Mio marito le darà i nomi di diverse persone che erano al corrente del trapasso della ditta. Il dottor Hans Fischboeck è uno di loro. Egli si occupò dell'arianizzazione delle proprietà ebraiche. »

« Fischboeck non vi può aiutare, >>- le dissi. « È morto. »

La donna mi fissò. « Non era morto quattro settimane fa. Conosco un'austriaca che mi ha detto di aver parlato recentemente con Fischboock. Mi ha detto che faceva l'lndustrie-Berater ,[consulente industriale] in una grande città della Germania. »

« Potrebbe farsi dare l'indirizzo di Fischboeck da quella donna?»

La vecchia scosse il capo. « Non me lo darebbe. t ancora un'accanita filonazista. »

Quando la donna se ne fu andata, rimasi a lungo a pensare. Un altro criminale, che viveva prospero e felice mentre tutti lo ritenevano .morto. Cominciai a indagare, e giunsi a queste conclusioni: in una certa epoca dopo la fine della guerra, Fischboeck era andato in Italia, e di là in Sud-America, con l'aiuto dell'ooESSA. Si era stabilito in Argentina. Nel 1957, quando il parlamento austriaco abrogò le leggi sui crimini di guerra, il nome del dottor Hans Fischboeck fu cancellato dall'elenco austriaco ·rJ ei cri minali di guerra contumaci.

Fischboeck giudicò che fosse giunto il momento di tornare in Europa.

Quella donna aveva detto che Fischboeck faceva il consulente industriale in Germania. Ciò significava che probabilmente abitava in una grossa città industriale tedèsoa. Spedii parecchie lettere ai miei amici in Germania chiedendo loro che controllassero se negli annuari di determinate città tedesche figurava il nome del dottor Hans Fischboeck. Tutte le risposte furono negative. Allora cominciai a studiare il Kompass, una pubblicazione in cui figurano i nomi di tutte le persone che hanno a che fare con l'industria, il commercio e la finanza della Germania. E qui trovai il nome del dottor Juan Fischbock, cittadino argentino, consulente finanziario. Indirizzo: Alfredstrasse I 40, Essen. ·

Sì, era Fischboeck, criminale di guerra ed ora membro rispettato dei circoli economici di Essen. La su a casa di Essen è a meno di un'or<! di automobile dal confine olandese. Scoprimmo che Fisch~ck aveva un passaporto argentino, numero 4507366, rilasciato a Buenos Aires il 25 settembre 1957. Informammo il Centro di Documentazione Olandese di Amsterdam, che a sua volta passò l'informazione alle autorità giudiziarie olandesi. Il Centro di Documentazione olandese e la polizia di Stato olandese misero insieme un nutrito fascicolo di prove, che trasmisero al Ministero della Giustizia olandese, a L'Aja. L'ambasciatore olandese a Bonn ne diede comunicazione ufficiale alle autorità tedesche. Venne informato anche il procuratore di Stato di Monaco incaricato delle indagini sui crimini di guerra tedeschi nei Paesi Bassi.

Risultò, tuttavia, che i delitti per i quali le autorità olandesi aveva.no prove dirette e lampanti rientrano tutti nelle norme tedesche sulla prescrizione. Fino a questo momento, i tedeschi non hanno ancora ricevuto la richiesta di estradizione di Fischboeck in Olanda, dove per i suoi delitti non è prevista la prescrizione. Il suo permesso di soggiorno in Germania scadeva il 6 aprile 1 966, e la polizia di frontiera austriaca è stata informata che a Fischboeck non è permesso di tornare nella sua città natale. Le autorità olandesi stanno cercando di procurarsi le prove, tramite testimonianze e documenti, che Fischboeck fu complice in omicidio... reato che non beneficia della legge tedesca sulla prescrizione. L'ora del dottor Hans Fischboeck, maestro di arianizzazione, potrebbe ancora suonare.

Nella primavera del 1964 andai in Italia, a Torino, su invito di alcuni amici che avevano fatto parte della Resistenza italiana. Parlai del mio lavoro davanti a un folto pubblico interessato. Dopo la conferenza, molte persone vennero a trovarmi, per chiedermi notizie di loro parenti o per riferirmi certi fatti che pensavano potessero interessarmi. Fra gli altri, c'era una vecchia signora, cnrva, con i capelli bianchi, in lutto stretto. Mi oolpì l'espressione grave, quasi impietrita dei suoi occhi. ·

« Signor Wiesenthal, » mi disse, « lei si interessa solo dei crimini commessi dai nazisti contro gli ebrei? »

Le assicurai che nei nostri archivi conservavamo la documentazione di crimini nazisti contro ebrei e non ebrei, sebbene nella maggior parte dei casi le vittime fossero ebrei. Annuì, come se si fosse aspettata questa risposta. « Vorrei vederla per una mezz'ora domani mattina, da soli,» disse. Fissammo l'appuntamento e la signora se ne andò.

Venne al mio albergo all'ora stabilita, e di nuovo fui colpito dalla sua dignità e dalla sua espressione di dolore. Compresi che quella donna doveva aver sofferto molto. Non doveva esserle stato facile venire da me. « Lei guardava il mio vestito nero, ieri, » disse. « Sono in lutto dal giorno in cui, nell'autunno del 1943, mi venne annunciato ufficialmente che mio figlio era stato ucciso... assassinato... dai tedeschi. Signor Wiesenthal, da quel giorno non ho più riso e non riderò più finchè vivrò. Era il nostro unico figlio. Mio marito morì di crepacuore. So che non si possono richiamare in vita i morti. Da buona cristiana, dovrei accettare la volontà di Dio. Ma mi addolora che nessuno in Germania si preoccupi dei novemila soldati italiani che furono uccisi a Cefalonia. Nessuno ba fatto qualcosa peT loro.»

« Cefalonia? » le chiesi. « Non ne ho mai sentito parlare. »

« Nemmeno lei sa nulla della tragedia che si svolse su quell'isola? » disse la signora con accento amaro. « Mi dica: è permesso uccidere dei militari, prigionieri di guerra, che si sono arresi? »

CAPITOLO
XXII I MARTIRI DI CEFALONIA
311

« Sarebbe una grossa violazione alla Convenzione di Ginevra. >

« Sì. Ma a Cefalonia novemila uomini della divisione italiana <Acqui> furono ass<l$inati dai soldati tedlschi. C'è stato qualche scrittore italiano che ha descritto questo_orribile crimine. » La signora mi diede altre notizie. Le promisi che avrei fatto delle indagini. Se avessi avuto conferma delle sue informazioni, le dissi che mi sarei occupato del caso di Ce(alonia. La signora approvò col capo e se ne andò.

Prima di recarmi all'aeroporto, telefonai al mio amico Angelo Del Boca, un redattore della Gazzetta del Popolo. Conosceva la storia di Cefalonia. « Una delle peggiori violazioni del nostro secolo contro la Convenzione di Ginevra, ma nessuno se ne preoccupa_in Germania, » disse. « Dirò a Marcello Venturi di mandarle il suo libro. »

Alcuni giorni dopo, a Vienna, ricevetti una lettera dello scrittore Marcello-Venturi, e una copia del suo libro Bandiera bianca a Cef alonia. Studiai il libro e consultai i rapporti della Quinta Corte Militare di Norimberga che si era occupata di questo crimine di guerra. In seguito ricevetti una copia della sentenza emessa dal Tribunale Militare di Roma il 20 marzo 195 7 contro più di trenta ufficiali dell'esercito tedesco, che erano stati condannati in contumacia. La sentenza consta di settantaquattro pagine dattiloscritte. Allora scrissi una lettera all'Ufficio Centrale per i crimini nazisti, a Ludwigsburg. L'ufficio mi informò che il massacro di novemila soldati italiani a Cefalonia « non era noto ».

Cominciai a comprendere perchè in Germania non fossero state fatte indagini su questo orribile eccidio. Nè le SS, nè la Gestapo e neppure membri del partito nazista erano coinvolti in questa vicenda. Il delitto era stato commesso da militari della Wehrmacht e forze potenti della Repubblica Federale Tedesca hanno sempre cercato di tenere lontana la Wehrmacht dalle indagini sui crimini di guerra nazisti. Con la collaborazione d~ll'ambasciata d'Italia a Vienna, ottenni gli indirizzi di venti o trenta soldati italiani che erano miracolosamente scampati al massacro. Mandai i loro nomi a Ludwigsburg. Dopo un certo tempo, il caso venne affidato al procuratore di Stato Obluda di Dortmund, un giovane funzionario energico che cominciò a fare indagini. Ci tenemmo sempre in contatto. ·Nel giro di poco tempo venimmo a sapere tutto sulla tragedia di Cefalonia.

Cefalonia è la maggiore delle Isole Ionie, separata dalla costa occidentale della Grecia dal G~lfo di Patrasso. Uno stretto di tre miglia divide Cefalonia dall'isoletta di Itaca, resa famosa da Omero. La maggior parte dell'isola è costituita da terreno incolto, coperto dalla

macchia sompreverde e da abeti di una specie chiamata Abies cephalonica. Al centro dell'isola si elevano brulle colline che raggiungono un'altezza di novecento metri. Lungo la fascia costiera ci sono uliveti, vigneti e giardini.

Nell'estate del 1943, durante le ultime settimane dell'alleanza italotedesca, la divisione « Acqui », composta di circa novemila uomini al comando del generale Gandin, presidiava Cefalonia. Un piccolo distaccamento tedesco di collegamento, formato da unità della marina e dell'esercito, era dislocato nella penisola di Palis, sulla costa orientale dell'isola. Nell'agosto del 1943, i soldati tedeschi e italiani a Cefalonia erano nella proporzione di I a 6. L'8 settembre 1943 l'Italia si arrese agli alleati anglo-americani. Dopo la c_apitolazione del maresciallo Badoglio, il generale Gandin ricevette via radio dall'Undicesima Armata italiana quest'odine: « RIMANETE DOVE SIETE. SE I TEDESCHI USASSERO LA FORZA, SERVITEVI DELLE ARMI. » Il 9 settembre, mentre tutti i reparti della divisione « Acqui » erano in stato di allarme, il generale Gandin ricevette via radio un altro messaggio che revocava il precedente e gli ordinava di consegnare tutte le anni ai tedeschi. Gandin non eseguì questo secondo ordine, che ritenne falso. Invece, chiese via radio ordini e istruzioni all'Alto Comando italiano.

La mattina del 1 o settembre, due emissari dell'Alto Comando tedesco nei Balcani, il tenente colonnello Hans Barge e il tenente Franz Fauth, si presentarono al comando di Gandin e chiesero la consegna delle anni, in base all'ordine del giorno precedente. Gandin disre loro che aveva buoni motivi per dubitare dell'autenticità del secondo ordine e chiese una dilazione. Convocò i suoi ufficiali e ordinò al terzo battaglione del 31 7° reggimento di abbandonare la posizione troppo scoperta che occupava a Cardacata, « per evitare altre complicazioni». Secondo i rapporti che continuavano a giungere, truppe tedesche stavano ~barcando lungo la costa. I soldati italiani diventavano sempre più irrequieti.

Alle nove precise della mattina dell'x I settembre, i due emissari tedeschi ricomparvero al comando del generale Gandin per presentare un ultimatum. Dissero che il generale aveva tempo fino alle 19 di quello stesso giorno per soddisfare le richieste tedesche. L'atteggiamento dei soldati it aliani divenne decisamente ostile. Nella tarda mattina, alcuni tedeschi cercarono di catturare un mezzo corazzato italiano, e furono respinti. La situazione si faceva sempre più tesa. Alle quindici, il generale Gai:idin convocò un altro consiglio di guerra. I cappellani della divisione erano favorevoli alla resa. Il generale

Gandin cominciò a negoziare con i due ufficiali tedeschi; ma rimandò la decisione al momento in cui avesse ricevuto un ordine preciso dai suoi superiori. I tedeschi nel frattempo contin uarono a sbarcare truppe sull'isola. Il rapporto di forze fra tedeschi e italiani era, adesso di 1 a 3.

Il 1 2 settembre, parecchi artiglieri italiani fuggiti dalJa vicina iS<r letta di Santa Maura, riferirono che tutti i soldati italiani ch e avevano consegnato le armi ai tedeschi erano stati portati in un campo di prigionia. A Cefalonia aumentava l'inquietudine, e c'erano già delle sparatorie. La tensione fra gli italiani aumentò quando i tedeschi presero due batterie, una casermetta dei car abinieri e l'edificio della dogana di Argostolion. Le richieste di resa immediata da parte del colonnello Barge si fecero più p~ti, ma furono respinte dopo una riunion e al comando di divisione. Gli italiani, fu deciso, non avrebbero consegnato le armi, e se i tedeschi avessero cercato di infrangere lo stat us quo si sarebbe risposto con la forza.

La mattina del 13 settembre gli italiani fecero fuoco su due imbarcazioni tedesche che ceroavano di venire a terra. Un battello affondò e l'altro si arrese. Cinque tedeschi rimasero uccisi. Alle 13, il generale Gandin informò le truppe che erano ancora in corso negoziati con i tedeschi. Poco prima di mezzanotte, il generale chiese ai soldati di votare sull'ultimatum tedesco: una procedura insolita, ma anche la situazione era insolita. Il giorno dopo gli italiani votarono alJ ' unanimità contro la consegna delle armi e contro qualsiasi collaborazione con i tedeschi. Il generale Gandin riceve tte un ordine dal governo italiano: l'ultimatum tedesco dov eva essere respinto, se neces.sa.ri o con la forza. A mezzogiorno, il generale Gandin comunicò agli emissari tedeschi l'ultimo ordine ricevuto e il voto dei suoi soldati. I tedeschi, a loro volta, gli disrero di ripensarci su fino alle nove della mattina dopo.

Il 1 5 settembre, alle nove, i tedeschi chiesero una dilazione fino alle 13. Un'ora dopo, apparvero sull'isola i primi Stukas. Il generale Gandin ordinò il fuoco. La battaglia fra tedeschi e italiani cominciò. Ormai sull'isqla le forze contrapposte si equiv alevano, ma i tedeschi avevano più artiglieria ed erano effi cacemente appoggiati dall'aria. La battaglia durò sei giorni, fino al 21 settembre, quando gli italiani, che avevano perso oltre duemila uomini, alzarono la bandiera bianca e si arresero.

Scoprii che al processo di Norimberga erano emersi alcuni particolari del massacro di Cefalonia, e che due degli ufficiali implicati,

...

il generale- Wilhelm Speidel e il generale Hubert Lanz - che comandava il Settimo Corpo d'Armata nei Ba!kani - erano stati condannati rispettivamente a venti e dodici anni di carcere. I due generali non possono essere processati di nuovo per questi crimini. Altri tedeschi che, secondo la sentenza del tribunale alleato, si crano limitati a trasmettere ordini, erano stati assolti. Il maggiore Harald von Hirschfeld, il più importante ufficiale di collegamento tedesco con il Ventiseiesimo Corpo <l'Armata italiano (del quale faceva parte la divisione « Acqui » ), che era stato presente all'azione di Cefalonia, rimase ucciso sul fronte russo nel r 944.

Oggi sappiamo qualcosa che nè il tribunale di Norimberga nè il Tribunale Militare di Roma, nel 1957, sapevano: Martiri Bormann, il vice di Hitler, aveva emanato un ordine segretissimo (Geheime Reichssache) in bàse al quale tutti i prigionieri di guerra italiani a Cefalonia dovevano essere giustiziati immediatamente, per rappresaglia. L'ordine seguì la trafila dei vari comandi e finalmente giunse all'ufficiale di collegamento Hirschfeld a Cefalonia. Venne costituito un reparto per l'esecuzione dell'ordine, sotto il capitano Rademacher, della marina tedesca, e i tenenti Heidrich e Kuhn dell'esercito. I prigionieri italiani erano stati disarmati. Li caricarono su dei camion, che si supponeva dovessero portarli nei campi di prigionia. Invece, vennero portati in alcune. località isolate - soprattutto nelle vicinanze di Cocolata, di Trojanata e di Constantinos ....:. dove furono fucilati da plotoni di esecuzione dell'esercito tedesco e seppelliti in fosse comuni.

Nei giorni 21 e 22 settembre, dopo la cessazione delle ostilità e dopo la resa, furono assassinati quasi tutti i soldati e gli ufficiali della divisione « Acqui ». Il generale Gandin venne fucilato alle sette di mattina del 24 settembre. Quel giorno, 260 ufficiali italiani vennero portati al faro di Phanos, a nord di Argostolion, dove furono uccisi. I loro corpi furono caricati su una chiatta che, zavorrata con grosse pietre, fu spinta al largo e affondò. Uno degli ultimi atti di rappresaglia si ebbe il 2 5 settembre, allorchè parecchie decine di soldati e ufficiali italiani feriti che si trovavano nell'ospedale divisionale vennero trascinati fuori dall'edificio e uccisi. Il 28 settembre, i tedeschi scovarono diciassette marinai italiani che si erano dati alla macchia e li fucilarono. Dei novemila uomini che formavano la divisione, solo una trentina riuscirono a nascondersi nell'isola. In seguito fuggirono. Compariranno come testimoni quando il processo avrà inizio.

Negli ultimi anni, le comm1SS1om militari italiane hanno trovato

tutte le fosse comuni di Cefalonia. Padre Luigi Ghilardini, ex cappellano della divisione, che ora vive a Genova, ha scritto un libro intitolato I martiri di Cefalonia. Gli ufficiali che comandavano i plotoni di esecuzione tedeschi figurano ora nell'elenco tedesco dei « ricercati». (Il colonnello Barge, uno degli emissari, ha potuto provare che era stato rµandato a Creta prima che il massacro avesse inizio.)

Nel febbraio 1966 ho parlato con il procuratore Obluda, a Dortmund, che era stato a Cefalonia per svolgere personalmente delle indagini, e che spera di assicurare i criminali alla giustizia. In seguito, parecchi altri magistrati hanno collaborato con noi. Ma c'era una domanda ,alla quale nessuno era in grado di rispondere. Come era possibile che il crimine di Cefalonia - l'uccisione di migliaia di persone - fosse sconosciuto alle autorità tedesche? Se una signora vecchia e triste non fosse venuta a trovarmi un giorno a Torino, molti tedeschi non saprebbero ancora nulla di Cefalonia.

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CAPITOLO XXIII

LA SCUOLA DI GENOCIDIO

Verso la fine di maggio del I 96 I, venne a trovarmi a Linz una signora austriaca di mezza età. Ciò avveniva poco dopo la cattura di Adolf Eichmann; i giornali locali avevano illustrato diffusamente la parte da me avuta nelle ricerche. Ora, persone di ogni genere venivano a dirmi cose che non m'interessava sapere e mi mandavano cose di cui non avevo bisogno. Alcuni mi offrivano informazioni, altri venivano a chiedermi consigli. Non sapevo perchè quella donna fosse venuta da me. Era trasandata e per nulla attraente. Portava un pullover stazzonato e i capelli sporchi le ricadevano in disordine sulla fronte: non mi sarei aspettato che una donna simile venisse a parlarmi di una storia d'amore, e invece fu proprio quello che fece. Bruno Bruckner, che un tempo era stato guardia notturna al mercato del bestiame di Linz, era anche un appassionato fotografo dilettante. Aveva vissuto con la donna e le aveva promesso di sposarla. Poi aveva conosciuto un'altra...

Ascoltavo distrattamente, domandandomi quando sarebbe giunta al nocdolo.

« ... e nel 1940 Bruno lavorava per i nazisti; faceva il fotografo speciale al Castello di Hartheim. »

Hartheim! Improvvisamente mi feci più attento.

« Il Castello di Hartheim ad Alkoven? »

«Sì,» disse la donna. « Ad appena una mezz'ora di automobile sulla strada per Passau. C'è mai stato? Durante la guerra, i nazisti trasformarono il Castello di Hartheim in ospedale. Era là che Bruno lavorava come fotografo. Veniva a trovarmi a Linz due volte al mese. Aveva sempre un mucchio di soldi. Fu allora che cominciò ad andare in giro con quella donna e... »

« Sì, lo so. Ma lui, cosa faceva nell'ospedale?»

« Be', doveva fotografare i pazienti. Le fotografie venivano mandate a Berlino. Era una cosa molto segreta, ma lui si ubriacava e mi raccontava tutto. »

« Che genere di fotografie faceva? » le chiesi. La donna si alzò di scatto. Forse avevo chiesto troppo.

« Perchè non lo chiede a Bruno? » mi dis.se invelenita. « Lui era nazis ta, e lei cerca i nazisti, no? Ecco il suo indirizzo. Potrà raccontarl e tutto sui begli esperimenti che gli facevano fotografare a Hartheim. » E se ne andò.

Avevo sentito parlare per la prima vo lta di Hartheim nelle ultime settimane della mia permanenza nel campo di concentramento di Mauthausen. I forni crematori erano sempre in funzione e a volte ce n'era qualcuno che si guastava: allora veniva un esperto « da Hartheim » per ripararlo. A volte, invece, gruppi di prigionieri venivano mandati « a Harthe im » e non tornavano più. Qualcuno mi disse che Hartheim era il nome di un vecchio castello poco distante da Mauthausen. « Harth eim » sembrava sinonimo di morte. Ma non vi prestai molta attenzione. Sdraiato sulla mia branda nella baracca della morte, ero troppo debole per pensare.

Nel 1947, diverse SS del campo di concentramento di Mauthausen vennero processate da un tribunale militare americano a Dacha u. Avevo contribuito a preparare le prove contro alcune SS, ed ero presente in aula. Uno degli accusati dichiarò di essere stato mandato a M authausen « da Hartheim » . Fu condannato a morte. Nessun altro parlò di Hartheim.

La seconda volta che m'imbattei. nel nome del Castello di Hartheim fu quand o mi capitò sotto gli occhi un rapporto sul programma di eu tanasia del regime nazista. I fatti sono in gran parte noti, e mi limiterò a ricapitolarli brevemente. Dell'eutanasia - che i nazisti chiamavano Gn adentod (morte misericordiosa) - si parlò per la prima volta nel gennaio 1 940. Per ordine di Adolf Hitler, si incontrarono nel Brandeburgo tre uomini: il R eichsleiter Philip Bouhler, il Reichsfuhrer per la « Sanità » dottor Leonardo Conti, e il medico privato di Hitler, il dottor Karl Brand. Avevano l'ordine di preparare un piano per la « Vernichtung lebensunwerten Lebens » . Qu esta espressione, che non esiste in alcuna altra lingua, può essere tradotta approssimativamente « distruzione di vite indegne di vivere». Il piano era «segretissimo» e doveva essere attuato sotto il controllo diretto della Cancelleria del Fiihrer, il cui personale dipendeva da R udolf H ess, e poi, dopo la defezione di Hess, da Martin Bormann. Bormann nominò un comitato di esperti, capeggiato dal professor do ttor Werner Heyde, docente di psichiatria all'università di Wiirzburg. H eyde fu responsabile della morte di almeno centomila persone. Scomparve dopo la fine della guerra na-

scondendosi sotto il nome di « dottor Sawade »; fu catturato nel 1 962, e si suicidò in carcere poco prima di essere proces.5ato.

Durante la fase iniziale del programma di eutanasia, le vittime furono scelte in determinate categorie di persone - ritardati mentali, malati incurabili, vecchi - definite « unnutze Esser», ossia « bocche inutili ». Secondo il concetto nazista, erano persone che consumavano cibo prezioso senza produrre nulla: quindi, dovevano morire. Molti di essi erano cristiani : tedeschi e austriaci ricoverati in 05pedali e ospizi. Non c'erano ebrei fra costoro in quanto la maggior parte degli ebrei erano già stati mandati nei campi di concentramento. I nazisti consideravano l'eutanasia un omicidio moralmente giustificabile o quasi, e lo riservavano agli appartenenti alla loro razza. Ufficialmente, il programma fu designato con la cifra di codice « T 4 » : era in una elegante villa al n. 4 della Tiergartenstrasse, a · Berlino, che avevano iJ loro quartier generale gli esperti della eutanasia.

La decisione di far vivere o morire gli esseri umani veniva presa da medici conosciuti come esperti « T 4 ». Es.si ricevevano le cartelle personali delle « potenziali bocche inutili» dagli 05pedali e dagli ospizi della Germania, dell'Austria e di altri paesi. Questi medici davano un'occhiata superficiale alle cartelle senza preoccuparsi di vedere i pazienti. Quando su una cartella veniva segnata una croce, la sentenza di morte era pronunciata.

Successivamente, le cartelle venivano mandate ad un ufficio speciale che si occupava del trasporto, e alcuni robusti accompagnatori scortavano uomini e donne C06Ì condannati alla « clinica » o al1' «ospedale» più vicini dove li aspettava una rapida morte. Nei rapporti sull'eutanasia che ho consultato sono citati quattro di questi istituti. Tre erano in Germania: Hadamar, presso Limburg; Sonnenstein, presso Pima, in Sassonia; il Castello di Gnfenegg, nel Brandeburgo. Il quarto era il Castello di Hartheim, vicino a Linz.

Dopo che ospedali e ricoveri furono liberati da molte « bocche inutili», l'operazione si ampliò prendendo il numero di codice « 14 f 13 »; fu allora la volta dei tedeschi e austriaci detenuti nei campi di concentramento che risultavano, spesso a causa del duro lavoro cui erano costretti, malati o invalidi. (L'ex cancelliere federale austriaco dottor Alfons Gorbach, invalido, era stato destinato al Castello di Hartheim, ma si salvò perchè aveva una bella scrittura e fu mandato a lavorare nell'amministrazione del campo di concentramento di Dachau. ) L' « operazione 14 f 13 » cominciò nel 1941

e continuò sino alla fine della guerra. Dopo il 1943, molti prigionieri di guerra francesi furono mandati a morire a Hartheim.

Dopo aver letto il rapporto, mi recai in macchina al Castello di Hartheim, sito nel tranquillo villaggio di Alkoven, oltre trenta chilometri da Linz, in mezzo a prati verdi e a colline dolcemente ondulate. Il Castello di Hartheim era un edificio rinascimentale del sedicesimo secolo, con q uattro torri e molte file di finestre. Varcato il cancello, mi inoltrai in una grande corte circondata da un bel porticato. A quel tempo il castello ospitava un certo numero di Volksdeutsche profughi dall'est. Sapevo che costoro non mi avrebbero potuto dire molto, dato che erano arrivati dopo la .guerra. Quelli con cui parlai, al villaggio, diventarono subito reticenti quando feci delle domande su Hartheim. Dissero che era stato « una specie di ospedale», poi scrollarono le spalle e se ne andarono. Risalii in macchina e tornai a Linz. Probabilmente, non avrei più pensato al castello di Hartheim se una donna gelosa non fos.5e venuta a parlarmi di Bruno Bru-ckner, che aveva fotografato certi « esperimenti » nel misterioso castello.

Cominciai a fare indagini sull'infedele Bruno. Lavorava in uno stabilimento chimico statale a Linz, e si diceva che fosse ancora un appassionato fotografo dilettante. Nei nostri archivi figurava il nome di un certo SS-Obersturmfuhrer Bruckner che, secondo le testimonianze dei superstiti di alcuni campi di concentramento, fungeva da corriere fra i campi e Berlino. Uno dei compiti dello SS-Obersturmfuhrer Bruckner era quello di consegnare a Berlino l'oro e i gioielli presi ai prigionieri ebrei. Non esisteva però alcuna descrizione di quell'uomo. Diedi tutto il materiale che avevo alla polizia di Llnz, e un funzionario andò a interroga!e Bruckner. Non c'erano accuse specifiche contro di lui, e bisognava agire con cautela. Suggerii al poliziotto di cominciare a parlare dell'oro e dei gioielli, per poi passare con tatto al Castello di Hartheim. Il funzionario lo fece in maniera egregia. Bruckner negò energicamente di essere mai stato nelle SS. Era stato « un semplice soldato della Wehrmacht» . Non aveva mai fatto il corriere per le SS, non aveva mai portato oro o gioielli. Anzi, disse, non aveva mai avuto la sua parte di « bottino » di guerra.

« Non ho portato a casa nenuneno una macchina fotografica, » disse Bruckner. « E non è un segreto che quasi tutti se ne sono tor. nati con un paio di macchine. Per non parlare di altre cose. »

Il funzionario di polizia annuì. « Ma lei adesso ha qualche macchina fotografica?»

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« Certo. 1..e· avevo già prima della guerra. »

« Che genere di fotografie faceva al Castello di Hartheim, Bruckner? »

Bruckner fu tanto sollevato nel veder cadere l'argomento dell'oro e dei gioielli, che spifferò tutto.

« Foto scientifiche. Facevano certi esperimenti nei sotterranei e io li fotografavo attraverso un pertugio della porta. »

Si era offerto volontario per quel lavoro, di~. Un giorno, nel 1940, un uomo della Gauleitung nazista di Linz gli aveva chiesto se sarebbe stato in grado di far funzionare un laboratorio fotografico di prim'ordine. Bruckncr gli aveva risposto che quel lavoro gli sarebbe piaciuto molto. Alcuni giorni dopo era stato convocato alla Gauleitung, dove due uomini lo avevano interrogato. Dovette firmare una dichiarazione con la quale si impegnava a non parlare con nessuno del suo lavoro. Il giorno dopo andò a prenderlo un certo Herr Lohthaller che lo portò in macchina ali'« Ospedale di Hartheim ». Strada facendo, Bruno Bruckner gli aveva chiesto cosa avrebbe dovuto fare laggiù.

« Non lo chieda a me, » gli aveva risposto Lohthaller. « Glielo diranno loro. »

Giunto al castello, Bruckner fu condotto dal comandante, il capitano Christian Wirth. Bruckqer disse che il capitano Wirth era « un uomo simpatico fuori del lavoro, ma molto rigido nell'esercizio delle sue funzioni . Non avrebbe esitato a spararti se qualcosa non marciava ». Wirth disse a Bruckner che avrebbe dovuto prendere « tre foto di ciascun paziente », gli mostrò la camera oscura, che era veramente di prim'ordine, e gli fece vedere dove avrebbe dormito.

Bruckner fotografava circa trenta pazienti al giorno, talvolta di più. Era un lavoro duro. « Alcuni erano pazzi furiosi e dovevano essere tenuti dagli infermieri. Un paio di volte il paziente si liberò prima che pot~o fargli l'iniezione e mi saltò adda&o. Fu dura. E il peggio di tutto era che non riuscivo a mangiare. Nell'aria ristagnava giorno e notte un tanfo orribile, proveniente dai forni crematori. Dopo qualche giorno andai dal capitano Wirth e gli d~i che non cc la facevo. Gli chiesi di sollevarmi dall'incarico. »

Al capitano Wirth non era piaciuta quella richiesta, e aveva proposto a Bruckner tre alternative: « O lei sta qui e tiene la bocca chiusa, Bruckner. O sarà mandato a Mauthausen. Oppure, se preferisce, la uccideremo seduta stante. » Bruckner tornò scoraggiato nella sua camera. Quella sera il capitano gli mandò una bottiglia

r •

di Schnaps. Bruckner si ubriacò e finì per non pensare più al tanfo che anunorbava l'aria.

Un po' alla volta, Bruckner venne a sapere molte cose su Hartheim. Non era facile, perchè erano tutti molto abbottonati e gli dicevano di non fare domande se gli era cara la vita. Ma lui non era stupido. Si accorse che i due medici responsabili, il dottor Rudolf Lohna:uer di Linz, primario, e il dottor Georg Renno, suo sostituto, non gradivano che lui facesse le fotografie. Ma lui doveva eseguire gli ordini di Wirth. Dopo qualche settimana, Wirth gli disse di andare nel sotterraneo e di scattare alcune foto degli ultimi « esperimenti :>.

« Che genere di esperimenti? » chiese il funzionario di polizia.

« I pazienti venivano uccisi col gas. Dovevo fare dei primi piani della loro agonia. In seguito, dovetti fotografarne anche il cervello. Wirth chiamava queste fotografie < materiale scientifico> e le mandava a Berlino. Non mi era permesso tenerne nemmeno una. Accanto alla stanza degli esperimenti c'era il forno crematorio. Io non facevo domande. Era un lavoro che rendeva bene. Mi davano trecento marchi al mese, e in più guadagnavo qualche altra cosetta facendo delle fotografie al personale, col permesso del capitano Wirth. Si mangiava bene. E c'erano liquori in abbondanza. Alla sera, poi, stavamo sempre in buona compagnia. Nessuno dormiva mai solo.»

Bruno Bruckner faceva il suo lavoro e teneva la bocca chiusa. In seguito il capitano Wirth fu trasferito, e al suo posto andò un certo Franz Stangl. Poi, un brutto giorno del 1941, finì la cuccagna per Bruno. La Wehrmacht lo richiamò e lo spedi sul fronte occidentale.

« Non notò altro mentre era a Hartheim? » gli chiese il funzionario di polizia.

« Sì, » disse Bruckner. « Una cosa che non sono mai riuscito a spiegarmi. Ogni giorno, nel sotterraneo, venivano uccisi col gas trenta o trentacinque pazienti. Tuttavia nel castello c'erano almeno ottanta dipendenti, alcuni dei quali venivano nel sotterraneo a vedere gli esperimenti. A che servivano quelle ottanta persone?»

Fui in grado di rispondere alla domanda di Bruckner alcune settimane più tardi, dopo un'accurata indagine. Il Castello di Hartheim non era solo un istituto per l'eutanasia, come avevo creduto fino al momento dell'interrogatorio di Bruckner. Hartheim era molto di più.

C'erano alcuni fatti, che a prima vista non avevano alcun rap-

porto fra loro. Wirth, il comandante del Castello di Hartheim, di~ venne in seguito comandante in capo dei tre campi di sterminio polacchi di Belzec, Sobibor e Treblinka, dove, dal 1941 al 1943, vennero uccisi col gas un milione e mezzo di ebrei, fra uomini, donne e bambini. Il suo succ~re a Hartheim, Franz Stangl, fu poi comandante a Treblinka. Gustav Wagner, altro allievo di Hartheim, comandò '.più tardi il campo di Sobibor: probahilmente, oggi si nasconde sotto falso nome in Argentina. 11 primario di Hartheim, dottor Rudolf Lohnauer di Linz, dopo la guerra si suiddò con tutta la famiglia. Il suo vice, dottor Georg Renno, fu arrestato nel 1963 a Francoforte, dove verrà processato. Infine, molte SS che svolgevano mansioni tecniche nelle camere a gas e nei forni crematori dei campi di sterminio avevano p3$3.tO qualche tempo a Hartheim o in una delle altre tre cliniche in cui si praticava l'eutanasia.

La terribile verità è che i centri di eutanasia erano vere e proprie scuole di genocidio. Ho parlato solo di Hartheim, perchè era facilmente accessibile per me; ma esiste materiale probante anche per le altre tre cliniche tedesche. Erano tutti centri di addestramento per il progranuna genocida di Hitler.

Questa scoperta risponde agli interrogativi che hanno lasciati perplessi gli storici e i criminologhi, dopo la fine della guerra : in che modo furono scelte e addestrate le persone che dovevano portare a termine lo sterminio di undici milioni di persone, e come f ecero a mantenere il segreto tanto bene da non essere scoperti per molti anni dopo la fine della guerra? Ovviamente, gli uomini adibiti alle camere a gas, che dovevano assistere alla morte di decine di migliaia di persone un giorno dopo l'altro, una settimana dopo l'altra, dovevano essere addestrati tecnicamente e psicologicamente, altrimenti sarebbero crollati sotto quella continua tensione.

Nel 1947 cominciai a discutere il problema con vari esperti che avevano studia,to i documenti relativi alla macchina di annientamento nazista. Chiesi a storici, a criminologhi, a medici e agli esperti dell'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme: Come si poteva spiegare il fatto che la macchina dei campi di sterminio non si fosse mai inceppata? Sapevamo che alla Conferenza di Wannsee, nel gennaio 1941, i nazisti avevano deciso la liquidazione sistematica di undici milioni di ebrei europei, e che erano stati provati vari metodi di uccisione. Sapevamo che c'erano stati degli inconvenienti tecnici. Una volta, alla presenza di Himmler, fu fatto l'esperimento, dimostratosi asrolutamente insoddisfacente, di impiegare i gas di scappamento dei motori per sottomarini. Himmler si era infuriato

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ed erano state inflitte punizioni draconiane. Le macchine si inceppavano, ma non le persone che le manovravano. Come mai gli uomini che facevano funzionare le camere a gas e i forni crematori potevano dare maggiore affidamento delle macchine? Erano stati addestrati tecnicamente e psicologicamente a sopportare quella terribile tension e? Questa domanda mi assillò per anni. I nazisti sapevano che non av evano tempo da perdere. Esistevano già progetti per l'annientamento degli zingari, dei polacchi, dei russi, e così via. Ciò significava che la m acchina del genocidio doveva continuare a marciare a grande velocità. Tutti i fatti stavano ad indicare che in qualche posto venivano addestrate squadre speciali di abili tecnici e di esecutori incalliti. Il Castello di Hartheim e gli altri centri di eutanasia ci davano ~a risposta. Là i nazisti creavano la loro élite di assassini profes.sionisti.

Hartheim era organizzato come una scuola di medicina... solo che gli « stud enti » non imparavano a salvare vite umane, bensì a distruggerle con la maggiore efficienza possibile. La morte delle vittime veniva studiata clinicamente, minuziosamente fotografata, perfezionata scientificamente. (Più tardi, duran te alcuni processi celebrati in Germania, fu provato che nei campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka, fotografi specializzati ritraevano le vittime mentre venivano uccise.) Furono sperimentati vari miscugli di gas per scoprire quale fosse •più efficace. I dottori osservavano con il cronometro alla mano, attraverso lo spioncino nella porta del sotterraneo del Castello di Hartheim, i pazienti che morivano, e registravano l'agonia al decimo di secondo. Venivano fatte riprese al rallentatore che poi g li esperti studiavano. I cervelli venivano fotografati per controllare esattamente quando la morte era sopraggiunta. Nulla era lasciato al caso.

Gli « studenti » dapprima assistevano agli esperimenti; poi li eseguivano personalmente. Ogni « studente » veniva scelto da un alto funzionario nazista, il cosiddetto Gau-lnspekteur. La segretezza era tale che per queste cose il Gau-Inspekteur era personalmente e direttamente responsabile solo verso la Cancelleria di Hi tler. I nazisti si rendevano cont o che non si potevano commettere sbagli. Le vittime erano tedeschi e austriaci, e avrebbero potuto nascere dei guai. Malgrado t utte le precauzioni, alla fine qualche sbaglio fu commesso negli « ospedali » di Sonnenstein e Grafenegg. Circolarono delle voci fra la popolazione, e fu ne cessario chiudere i due istituti. A Hadamar e Harth eim, l'organizzazione era perfetta. I due posti erano isolati. Non ci furono chiacchiere.

.N~uno saprà mai con esattezza quante persone furono uccise nel castello rinascimentale dal bel colonnato. Alle vittime di Hartheiln - per la maggior parte austriaci e tedeschi cristiani - non .è stato eretto alcun monumento. Non si sono trovati gli archivi dell'ospedale. Al processo di Dachau, nel 1947, dei testimoni dichiararono che ogni giorno nei sotterranei venivano « trattate » da trenta a quaranta cavie umane: il che farebbe, in tre anni, circa trentamila vittime. Verso la fine della guerra, Hartheim divenne semplicemente un altro centro di sterminio, Quando i carnefici della vicina Mauthausen erano troppo occupati, le vittime in soprannumero venivano mandate a Hartheim.

I « laureati » di Hartheim divennero in seguito maestri di futuri assassini scientificamente addestrati. Quando avevano fatto un• po' di pratioa, gli « studenti » diventavano insensibili alle grida delle vittime. Gli « insegnanti » osservavano la reazione dei loro « allievi ». Era una brillante trovata psicologica usare tedeschi e austriaci come vittime nell'addestramento per gli omicidi in massa. Se un « allievo » non crollava quando doveva uccidere i suoi compatrioti, non avrebbe avuto scrupoli morali al momento di sterminare migliaia di Untermenschen. Lo «studente» che non ce la faceva veniva mandato al fronte, dove il suo comandante lo assegnava a uno Himmelfahrtskommando: una squadra suicida. Presen tai la documentazione che avevo racoolto su Hartheim al dottor Christian Broda, l'allora ministro della Giustizia austriaco.

Il 20 febbraio 1 964 fui in grado di comunicare alla stampa · che il ministro mi aveva assicurato, in presenza del procuratore generale dottor Franz Pallio, che il mio materiale sarebbe stato preso immediatamente in considerazione « in modo che queste nuove informazioni possano essere usate in tutti i procedimenti in corso ». La documentazione contiene i nomi di molti cittadini austriaci che operarono a Hartheim. Mentre scrivo (estate 1966) essi sono ancora in libertà.

Che fine ha fatto Martin Bormann? È questo il più grande mistero, rimasto insoluto, del 'Periodo nazista. Il potente braccio destro di Hitler ha suscitato più chiacchiere, più leggende, ha fatto scorrere più inchiostro di qualsiasi altro gerarca nazista. Il problema della sorte di Bormann è ancora considerato un argomento di richiamo dalle riviste tedesche a grande tiratura. Nessun altro gerarca nazista è stato dichiarato morto e poi fatto resuscitare così spesso come è capitato a lui. Alcuni testimoni hanno affermato che Bonnann, dopo la fuga dalla Cancelleria di Hitler, nel maggio 1945, fu seppellito nel recinto della fiera, nel quartiere Moabit di Berlino. Nel 1964 la polizia di Berlino Ovest scavò in quella zona ma non trovò nulla. Parecchi anni fa, si disse che era stato sepolto ad Asunci6n, nel Paraguay. La presunta tomba di Bonnann venne aperta e si constatò che conteneva solo i resti di un cittadino paraguayano, di nome Hormoncilla. Dopo la guerra, si disse che Bormann era stato visto in Spagna, in un monastero italiano, a Mosca, nel Tirolo, in Australia e in molti paesi del Sud-America. Nel 1947 si disse che era in Egitto, nel 1950 nell'Africa Sud-Occidentale, l'anno dopo in Cile, nel 1952 in Spagna. Una volta circolò la voce che era fuggito dalla Germania attraverso le Alpi. Si è anche affermato che un sommergibile tedesco lo abbia portato da Kiel alla Terra del Fuoco, la zona abitata più meridionale della terra. Nell'ottobre 1965, l'agenzia di stampa italiana ANSA apprese da un certo Pasquale Donazio, « eminente personalità del regime fascista », che Bormann viveva nella giungla del Mato Grosso, in Brasile. Disgraziatamente, le storie sensazionali su Bormann sono come fuochi d'artificio scadenti, e dopo un attimo di luce si ripiomba nell'oscurità più completa. Nessuno ha ancora riscosso la ricompensa di 100.000 marchi che l'ufficio del procuratore di Stato di Francoforte sul Meno ha promesso a chi darà informazioni che portino alla cattura di Martin Bormann.

CAPITOLO XXIV DOV'È BORMANN?
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Cominciai a interessarmi al mistero di · Bormann solo dopo il processo di Eichmann. E, poichè cominciavo tardi, avevo il vantaggio di poter sfruttare le esperienze di coloro che avevano già lavorato. al caso: la polizia, eminenti giuristi, .storici e crinùnologhi.

Che cosa rende tanto affascinante il mistero di Martin Bonnann?

Bormann è più famoso· oggi di quando era al potere, offuscato dalle personali tà più rilevanti di Goering, Goebbels, Himmler. Moltissima gente al tempo del Terzo Reich non ne aveva mai sentito parlare. Molti non sapevano nemmeno che faccia avesse. Dopo la fuga di Rudolf Hes.s in Inghilterra, nel 1941, Bormann divenne il vice del Flihrer. ,Era più vicino a Hitler, e più potente, di qualsiasi altro gerarca nazista.

Ho passato mol t e ore a studiare le fotografie dell'enigmatico Bormann. Un uomo massiccio, tarchiato, con un collo taurino e una faccia impassibile, stranamente vuota di espressione, piuttosto brutale. Quando parlai, a Francoforte, del mito di Bormann a Fritz Bauer, che sosteneva l'accusa nel processo di Auschwitz, egli definì Bormann « il tipico Bierkopf » (bevitore di birra) : Bormann ha uno di quei Dutzendgesichter (facce dozzinali) che si possono vedere in tante Braustuben della Baviera dove gli uomini seduti intorno al tavolo bevono birra e parlano di politica, e dove si impone chi parla più forte, non chi ha r~gione.

Joseph Wulf, lo storico ebreo, chiama Bormann « l'ombra di Hitler», volendo implicitamente significare che Bormann era l'onnisciente, passivo al,ter ego del Flihrer. Forse erano più vicini alla verità i nazisti che lo chiamavano « il cattivo genio di Hitler». Egli era il capo della enorme, complessa orgànizzazione del partito nazista. Al di sotto del Flihrer c'erano 19 Reichsleiter e, un gradino più giù, 41 Gauleiter. (C'erano 40 Gaue; un quarantunesimo Gaule iter rappresentava gli Auslandsdeutschen, i tedeschi all'estero.) Al di sotto dei Gauleiter c'erano 808 Kreisleiter e, ancora al di sotto, 28.376 Ortsgruppenleiter, che erano responsabili di intere città, o di determinati settori di una grande città. C'erano poi 89.378 Zellenleiter: ma la parola zelle (cellula) è impropria, perchè una cellula del NSDAP era formata da quattro o sei, o anche otto, quartieri cittadini. Sul gradino più basso c'erano parecchie centinaia di migliaia di Blockleiter, ognuno dei quali era un piccolo dio per coloro che vivevano nelle sue immediate vicinanze.

Dopo l'inizio d ella seconda guerra mondiale, quando Hitler fu completamente assorbito dai grandi problemi strategici, la macchina del partito rimase affidata a Martin Bormann, che era Reichs32.8

leiter della Germania, segretario di Hitler, capo della « Cancelleria del partito del Fiihrer ». Tutti gli ordini segretissimi passavano sulla sua scrivania: gli ordini riguardanti l'annient,amento degli ebrei e di altre razze «inferiori», la persecuzione della Chiesa, gli eccidi negli istituti per l'eutanasia e nei campi di concentramento. Bormann decideva quali fos.5ero le persone che potevano vedere Hitler, e teneva lontane quelle che potevano avere una influenza moderatrice sul. Fiihrer. Moltissimi ordini firmati da Hitler recavano l'unpronta del cervello di Bormann. Al proc~ di Norimberga Goering ammise che molti documenti che recavano la firma di Hitler erano stati concepiti e scritti da Bormann.

Bormann era il tipico gera,r,ca nazista inflessibile e inumano. Nato nel I 900 a Halberstadt, cominciò la carriera politica a diciotto anni, ·e dopo la fine disastrosa della prima guerra mondiale entrò nel « Freikorps Ros.sbach », uno dei gruppi fascisti che si opponevano alla Repubblica di Weimar. Accusato di omicidio, f.u imprigionato. Più tardi venne insignito da Hitler del Blutorden ( « ordine del sangue ») per queste sue attività illegali. Nel 1928 era già un funzionario retribuito del partito, assistente di Hess. L'anno dopo Bormann sposò Gerda Buch, il cui padre diventò il più alto magistrato nazista. I Bormann ebbero sette figli. Ci fu un periodo in cui Bormann pensò di introdurre la poligamia in Germania dopo la guerra, mediante un decreto in virtù del quale ogni SS avrebbe dovuto prendere tre mogli. Con la sua mente matematica, calcolò che le perdite di uomini durante la guerra sarebbero state enormi e che nella Germania post-bellica ci sarebbe stata una tale sovrabbondanza di donne da consigliare la poligamia come l'unico metodo per rifarsi delle perdite nel giro di venti o trent'anni. Tutti i centri creati per l'accoppiamento obbligatorio degli ariani puri furono ispirati a queste concezioni di Bormann.

Egli esponeva le sue idee nelle lettere alla moglie, che le approvava incondizionatamente. Bormann metteva a parte la moglie delle relazioni che aveva con varie amanti. « Le lettere di Bormann » furono pubblicate a Londra nel I 954. Il 2 I gennaio 1944, Bormann scrisse alla moglie a proposito della sua ultima conquista, una donna che egli indicava con la sola iniziale 114. (e che recentemente è stata identificata nella persona di Manja Behrens, un'attrice che attualmente recita nella Germania Orientale) :

Hai pensato che M. sia una ragazza eccezionale. No, tesoro, non è lllla ragazza eccezionale: ma io sono un incredibile Kerl [lazzarone). Mi sono pazzamente innamorato di lei... e l'ho presa nonostante le sue proteste. Conosci la

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mia forza di volontà, contro la quale M. non ha potuto difendersi a lungo. Adesso è mia e io sono felicemente sposato due volte. M. ha dei terribili rimorsi di coscient.a nei tuoi confronti. Naturalmente, è una sciocchezza. L'ho presa grazie alla mia forza di volontà ...

E Frau Bomnann gli rispose, il 24 gennaio 1944:

Devi fare in modo che M. faccia un figlio entro un anno, e l'anno dopo ne farò uno io, cosi tu avrai sempre una moglie disponibile [die auf dem Damm ist]. Poi riuniremo tutti i figli nella casa sul lago e vivremo insieme, e la moglie che non sarà incinta potrà venire a Obersalzberg o a Berlino per stare con te.

Alla base del mistero di Bormann non c'è l'interrogativo circa il luogo in cui egli si nasconda attualmente. La chiave del mistero è se Bormann sia riuscito a sopravvivere la notte del 1° maggio 1945, dopo che ebbe lasciato la Cancelleria del Reich e fu visto vivo, senza pos&bilità di dubbio, da molti testimoni. Bormann apparteneva al ristretto numero di nazisti che, dopo l'arrivo dell'Armata Ros.53. a Berlino, si rifugiarono nel Fiihrerbunker, il rifugio antiaereo di Hitler sotto la Cancelleria. Dei massimi esponenti nazisti, solo Bormann e Goebbels si trovavano nel bunker dopo il suicidio di Hitler, .il 30 aprile 1945. Goebbels dichiarò di non voler sopravvivere al Terzo Reich e si suicidò, dopo avere ucciso la moglie e i figli. Bormann aveva una fiala di acido prusmco, ma disse che avrebbe cercato di fuggire. Ordinò al generale Krebs, l'ultimo capo di stato maggiore della Wehrmacht, di recarsi dai russi e di offrire la resa della Cancelleria del Reich in cambio di un sa:lvacondotto per i difensori. Il maresciallo Vasilij Ciuikov chiese la resa incondizionata.

Bormann decise di tentare la fuga passando attraverso il cordone dei carri armati russi che serravano da ogni parte la Cancelleria. Egli si teneva in contatto radio con il grande ammiraglio Doenitz, che si trovava nello Schleswig-Holstein e che era stato nominato da Hitler Reichsprasident della Germania. Alle quattro e mezzo del pomeriggio del r 0 maggio, venne detto a tutti quelli che si trovavano nel bunker di tenersi pronti. Il radiocronista Hans Fritzsche, nel vicino Ministero della Propaganda, considerando il piano una « pura follia », minacciò di andare dai russi ad offrire la capitolazione di tutto il quartiere dei ministeri. Bormann chiese a Fritzsche di non farlo e, sollecitato dallo stesso Fritzsche, promise di ordinare ai « Werwolf » - i gruppi di guerriglieri costituiti perchè continuassero a combattere dopo la sconfitta - di astenersi da ulteriori azioni.

Fritzsche e il segretario di Stato Naumann andarono nel giardino della Cancelleria, dove Bormann arrivò un minuto dopo di loro. Secondo la testimonianza di Naumann, Bormann indossava una uniforme grigioverde con i gradi di generale delle SS e un cappotto di pelle nera. Diede ordine a diversi capi delle SS di sciogliere l'organizzazione « Werwolf ».

Alle dieci di sera i difensori cominciarono a uscire dal bunker. Bormann era in un gruppetto di cui facevano parte Naumann, il capo della Gioventù Hitleriana Artur Axmann, Kempka, l'autista di Hitler, e Stumpfegger, medico del Fiihrer. Giunti alla stazione ferroviaria della Friedrichstrasse, si diressero verso il ponte Weidendammer, sulla Sprea. Al di là del ponte c'erano i carri armati russi. Bormann aveva in animo di forzare la linea dei carri armati russi con l'aiuto di autoblindo e carri armati tedeschi.

L'autista Kempka dichiarò al tribunale di Norimberga:

I carri armati tedeschi cominciarono ad attraversare il ponte, seguendo il carro di testa, dietro al quale camminava Bormann. Questo carro venne colpito, ritengo da un Panzerfaust sparato da una finestra, ed esplose. Dove era stato Bormanrl, c'erano solo fuoco e fiamme.

Il Reichsjugendfuhrer Axmann disse in seguito:

Il Tiger tedesco, che era carico di munizioni, saltò in aria. Il terribile spostamento d'aria mi gettò a gambe levate. Is t intivamente, cercai rifugio nel cratere di una bomba e ci trovai anche gli altri : Bormann; il medico di Hitler, dottor Stumpfegger; il dottor Naumann; l'ai utante di Goebbels, Schwaegermann; e il mio aiutante, Weltzin. Eravam o tutti illesi. Discutemmo sul modo di allontanarci da Berlino.

Tornarono alla stazione della Friedrichstrasse, salirono sul terrapieno .della ferrovia, attraversarono un vicino ponte ferroviario sulla Sprea, e seguirono i binari fin quasi a raggiungere la stazione della Lehrterstrasse, già occupata dai russi. Secondo Axmann, Bormann e gli altri scesero dal terrapieno sulla strada dove incontrarono alcuni soldati russi. Tutti si erano già tolti i gradi dagli abiti. I russi, pensando forse che quegli uomini appartenes5ero alla Volkssturm, l'inoffensiva milizia territoriale organizzata in fretta e furia da Hitler, offrirono delle sigarette e non prestarono loro la minima attenzione. Allora, continuò Axmann,

Bormann e il dottor Stumpfegger lasciarono il nostro gruppo e si avviarono rapidamente verso la lnvalidenstrasse. Noialtr i li seguimmo più tardi. Nella Invalidenstrasse c'era una nutrita sparatoria. Avevamo quasi superato il cavai-

cavia della stazione della Lehrterstrasse, quando ~edemmo due uomini stesi a terra. Ci inginocchiammo accanto a loro per vedere se potevamo fare qualcosa .' Erano Martin Bormann e il dottor Stumpfegger. Impo~ibile sbagliarsi perchè le loro facce erano ben visibili. Giacevano supini, con le braccia e le gambe spalancate. Toccai Bormann: non si mosse. Mi chinai su di lui. Non respirava più. Non vidi nè sangue nè ferite. La sparatoria continuava. Dovemmo an• darcene... ·

Ci sono altri testimoni, molti dei quali hanno deposto più volte. Nelle ultime d eposizioni, i testimoni spesso negano a:lcuni particolari forniti in precedenza. Inoltre, le deposizioni dei testimoni differiscono fra loro sotto molti aspetti. Il primo pilota di Hitler, Bauer, giurò che Bormann portava una uniforme bruna, senza gradi, e un elmetto di acciaio. Naumann giurò che Bormann aveva l'uniforme grigioverde delle SS e il berretto della divisa del partito.

Dallo studio delle testimonianze e dalle valutazioni che ne fecero gli esperti - criminologhi, storici, militari - -conclusi che nessuno aveva tenuto conto di una cosa che a me pareva della massima i~- . portanza: in situazioni del genere, quando si tratta di vita o di morte, ognuno pensa a se stesso. Mentre camminavano insieme sotto il grandinare dei proiettili sovietici, il Reichsleiter Bonnann e l'autista di Hitler non erano più divisi da un abisso gerarchico. Erano due uomini spaventati che cercavano di salvare la pelle. In un momento simile, nessuno fa atten zione all'uomo che gli sta accanto; nessuno pensa di imprimersi nella mente i particolari pensando alle future deposizioni. Era buio, e sicuramente nessuno dei . due fuggiaschi guardava il compagno che aveva a destra o a sinistra. Stavano cercando di sopravvivere, non di registrare i fatti.

Poi c'è l'argomento controverso del diario di Bormann. Si tratta, senza possibilità di dubbio, di un diario autentico. Ora si trova a Mosca, ma ne esiste una copia negli archivi di Stato della Germania Orientale. Le ultime due righe del diario dicono:

30.4. Adolf Hitler X, Eva B. X 1 5. Ausbruchsversuch (tentativo di sortita}.

Alcuni affermano che il diario fu trovato per terra. Altri dicono che fu trovato· nella tasca del cappotto di w1 morto. Se ne è dedotto che il morto dovesse essere Bormann, perchè, se il .diario è autentico, il cadavere doveva essere quello di Bormann. Ma potrei citare una decina di casi in .cui i gerarchi nazisti misero i loro documenti d'identità nelle tasche di un morto, sperando in tal modo di far credere alla loro fine.

y

E c'è anche un aspetto P.Sicologico della questione: i pezzi grossi nazisti ai quali ho chiesto di Bormann sono convinti che sia vivo.

L'opinione generale è: « Bormann è sempre stato una volpe, un uomo capace di farla in ·barba anche alla morte. » Ancora nel 1960, Eichmann era convinto che Bormann fosse vivo: lo disse ai funzionari della polizia di Israele. Un noto diplomatico, una delle . ·mie fonti più attendibili, mi dice che in Spagna esiste un « Fondo Bormann » che finanzia attività neonaziste e neofasciste.

Le storie più o meno sensazionali pubblicate sulla fuga di Bormann cominciano dal momento in cui si suppone che egli lasciasse la Germania, nell'inverno del 1945. Un ,certo Peter Franz Kubainsky, che più tardi venne arrestato a lnnsbruck, ammise di aver portato Martin Bormann, il 12 dicembre 1 945, da Reichenhall, in Baviera, a Salisburgo, Innsbruck e Nauders, nei pressi del confine italiano. « Però, » disse Kubainsky, « allora io non sapevo che quell'uomo fosse Bormann, perchè aveva un paio di baffetti e mi diede l'impressione di un tipo affatto insignificante. » Kubainsky afferma che l'uomo aveva dei documenti di viaggio italiani rilasciati da una organizzazione del Vaticano diretta da monsignor Heinemann, via dell'Anima 4, Roma. Sembra che Heinemann fornisse a Kubainsky l'indirizzo di un certo Josef Wolf, che abitava vicino al castello di Labers, a Merano, « dove condussi Bormann ».

« In effetti,» disse Kubainsky, « vidi monsignor Heinemann fare indossare a Bormann una tonaca da gesuita e vidi Bormann salire a Genova su una nave in partenza per l'Argentina... Aveva un passaporto falso e un passaporto della Croce Rossa. So che Bormann vive in Perù sotto il falso nome di Jo sé Pérez e ha un'impresa di· importazioni ed esportazioni, che figura sotto il nome da ragazza dell'attuale moglie di Bormann. La prima moglie di Bormann morì in Italia nel 1945. »

Il racconto di Kubainsky non regge a un attento esame. La polizia di Innsbruck commenta : « Sembra trattarsi di un giornalista specializzato in notizie scandalistiche. »

Lasciando da parte simili dubbie affermazioni, sembra che vi siano alcuni fatti accertabili assai più interessanti.

Primo : Grazie ad un amico svizzero, ho preso visione della testimonianza di una donna che è assolutamente certa di avere visto Martin Bormann nel I 956 su un autobus di Sao Paulo, Brasiie. (In seguito la deposizione di costei. fu accuratamente controllata dalle autorità tedesche.) Questa donna aveva conosciuto personalmente ·Bormann a Berlino, e aveva parlato diverse volte con lui alla Can-

celleria del Reich. Dopo la guerra, la donna si trasferi a Losanna, in Svizzera. Nel 1956 andò a Sa.o Paulo a trovare la figlia. Mentre stava su un autobus, alzò gli occhi e, con sua grande sorpresa, vide Martin Bormann. « Gli rivolsi la parola in tedesco: < . Herr Bormann !... Lei... qui?> Con aria imbambolata, egli si alzò senza dire una parola, raggiunse fa porta, scese prima ancora che l'autobus si fosse fermato e sparì. »

Secondo: Nel maggio 1962, un mio collaboratore si mise in contatto con Frau Paula Riegler, ex governante in casa Bormann a Pullaich, Baviera, che rimase con Frau Gerda Bormann fino alla morte di costei, avvenuta a Merano nel 1945. Quando Frau Riegler fu interrogata dal mio collaboratore, non ammise di essere ancora in contatto con Bormann. Ma era convinta che fosse vivo... nel 1 962 ! Disre al mio aiutante che l'ex segretaria di Bormann, Else Kruger, si era sposata con un agricoltore che viveva in qualche parte dell'Austria, ma dichiarò di non conosceré il nome del marito di Else Kruger nè il loro indirizzo. Da Zurigo ricevetti altre informazioni su Else Kruger, che si dice abbia importanti contatti con il Sud-America.

Terzo: Nel 1962,. ricevetti la visita di un giornalista italiano, Luciano Doddoli di Milano, che lavora per l'Espresso. Nel 1960 Doddoli si trovava in Cile, inviato da vari giornali italiani per fare dei servizi sul terremoto che aveva colpito il paese. Doddoli ebbe occasione di conoscere un certo professor Enrique Bello, insegnante all'Università di Santiago del Cile. Il professor Bello cercava alcuni parenti che erano scomparsi durante il terremoto. Ciò avvenne poco dopo fa cattura di Adolf Eichmann; Doddoli e Bello si misero a parlare degli ex capi nazisti che a quanto si diceva si nascondevano sotto falsi nomi a V aldivia, nella regione meridionale del Cile. Il professor Bello d~ a Doddoli di aver conosciuto una donna che aveva « vissuto con Bormann daì 1948 al 1951 ». Combinò un incontro fra la donna e Doddoli. La donna si faceva chiamare « . Keller » e lavorava per una ditta commerciale tedesco-cilena. Doèldoli non le cavò iuori alcuna notizia su Bormann. Frau Keller disse a Doddoli cJ:ie « un giorno si sarebbe potuto parlare- di questa faccenda ». Il professor Bello disse di ritenere che « fosre questione di denaro».

Quarto: Nel periodo in cui ricercavo il dottor Josef Mengele, ricevetti da Port-au-Prince, Haiti, una lettera indirizzata a « Wiesenthal, Vienna». Il signor Jonny Sommer, un tedesco che aveva passato gli ultimi quarant'anni in Sud-America, scriveva di essere

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l'ex proprietario dell'A:lì Babà, un locale notturno di Asunci6n, Paraguay, che egli aveva venduto nel 1963. Attualmente, era proprietario del Roxy Bar, di Port-au-Prince. Cominciammo a scriverci: Nel maggio 1964 Sonuner mi mandò un gruppo fotografico ripreso durante la guerra, nel quale si vedevano Hitler e il su o stato maggiore, circa venticinque persone. Sulla foto non c'erano nomi. Un uomo era indicato con una freccia. Il signor Sommer scriveva : « Quest'uomo, chiamato Bauer, veniva spesso nel mio locale di Asunci6n, con un certo Mengele, nel 1961. A volte veniva con loro un certo dottor Jung. Andavano spesso a pescare tutti insieme nel Parana. » Questa informazione mi fu in seguito confermata da altri testimoni di Asunci6n. L'uomo indicato con una freccia è Bormann. G}i Jung sono una famiglia di ricchi proprietari t errieri del Paraguay.

Osservai che i rapporti su Bormann sono sempre lacunosi. Si riferiscono tutti ai drammatici eventi della sera del 1° maggio 1945, oppure alla riiomparsa di Bormann nell'autunno del 1945, epoca in cui varie persone affermano di averlo visto. Dove passò Bormann il tempo trascorso fra il 1° maggio e il tardo autunno, e che cosa fece?

Il 6 maggio 1963, nel corso del programma «Panorama» della rete televisiva di Amburgo, parlai, fra l'altro, del caso di Martin Bormann, e dissi che il « periodo oscuro», dal 1° maggio al tardo autunno del 1945, era la chlave del mistero Bormann. Alcuni giorni dopo ricevetti una lettera da un uomo che chiamerò Franz Rapp. Mi scrisse che aveva informazioni attendibili su quel « periodo oscuro».

Incontrai Rapp all'Hotel Dachs di Monaco. Aveva cinquantaquattro anni ed era nato a Bolzano, in Alto Adige, dove era interprete presso il tribunale. Nel 1938, avvalendosi della facoltà concessa da Mussolini ai cittadini di lingua germanica, aveva optato per la cittadinanza tedesca e durante la guerra aveva prestato servizio nella Wehrmacht. Dopo la guerra fece il rappresentante di varie ditte italiane e svizzere che trattavano maochine da caffè e arti coli casalinghi. Attualmente vive in una cittadina nei pressi di Heidelberg, in Germania.

Rapp mi disse che nel tardo autunno del r 961 era stato a Innsbruck, che faceva parte della sua zona di vendite. Là conobbe un uomo, che chiameremo Franz Holt, allora quarantatreenne, che in seguito divenne suo socio. Holt viveva a Innsbruck come pigionante in casa di una donna che chiamerò Frau Hilde. I tre divennero

grandi amici. Una sera, dopo un' abbo~antc libagione, Holt diede una gomitata ali' amico e gli disse che lo avrebbç messo a parte del · suo « grosso segreto». Rapp rispose che non aveva voglia di ascoltare segreti; si era aocorto che Frau Hilde cercava di impedire a Holt di parlare. Ma Holt era su di giri e non le diede retta. Disse che Rapp era suo amico e suo socio, che stavano facendo buoni affari insieme, e che non c'era motivo che il suo amico non dovesse conoscere il segreto. Versò dell'altro vino e cominciò a parlare.

Durante la guerra, raccontò Holt, egli aveva prestato servizio in un reparto di ambulanze. Alla fine del conflitto .fu internato in un campo francese vicino a Innsbruck, ma venne rilasciato dopo poco tempo. Holt passò quindi alle - dipendenze della Croce Rossa Austriaca nel Tirolo. All'inizio dell'estate del 1943, la Croce Rossa cominciò a rimpatriare i soldati austriaci che si trovavano nei campi di prigionia alleati in Germania. Le operazioni di rimpatrio erano patrocinate dalla Chiesa Cattolica e favorite dagli alleati, i quali volevano dimostrare che consideravano l'Austria un paese « liberato», e non «occupato» come la Germania.

Holt fu ~gnato a un gruppo della Croce Rossa che aveva il compito di visitare diversi campi della Germania, dell'Italia e della Francia. I componenti della missione ricevettero documenti in quattro lingue (francese, inglese, russo e tedesco) che li autorizzavano a entrare in tutti i campi di prigionia alleati. Raccoglievano i soldati austriaci - ma non le SS o i criminal~ di guerra -e li rimpatriavano.

Nell'autunno del 1945, disse Holt a Rapp, era andato con il suo gruppo in un campo della Germania settentrionale vicino a Flensburg, nello Schleswig-Holstein. (Bonnann aveva cercato di raggiungere il grande ammiraglio Doenitz a Flensburg quando aveva lasciato il bunker del Fiihrer.)

In quel campo, Holt fu avvicinato da una Blitzmadel, una ausiliaria della Wehrmacht, che gli chiese di portarla in Austria, sebbene lei non fosse austriaca. Gli offrì un anello di brillanti di notevole valore. Holt sapeva che i controlli degli inglesi erano superficiali, e acconsentì. Il giorno dopo la donna tornò con un altro gioiello. Acconsentiva a portare anche suo fratello? Holt guardò il gioiello e sentì che la sua resistenza crollava. Bene, dis.se, li avrebbe fatti figurare come austriaci rimpatriati. I due andarono da lui il giorno dopo. L'uomo aveva i baffetti e un paio di occhiali, ma sembrava che gli occhiali gli dessero fastidio. Quando voleva guardare bene qualcosa, se li levava.

Anivati a Innsbruck, dove i prigionieri austriaci dovevano ~re interrogati prima di venire mandati a casa, Holt fu avvicinato nuovamente dalla coppia. I due gli ,chiesero di portarli a Nauders, un villaggio al confine austriaco, poco distante dalle frontiere italiana e svizzera. Naturalmente, lo avrebbero compensato per il servizio. Questa volta gli diedero una spilla di brillanti. Holt conosceva bene 1~ zona di confine. Suppose che i due non fossero per niente fra· tello e sorella, ma non gliene import ava gran che, dal momento che lo ricompensavano così generosamente. Per evitare le pattuglie di frontiera alleate, Holt dovette guidare la coppia attraverso i sentieri nei boschi, fino a un alto passo montano. Era « ottobre o novembre», disse Holt, e faceva già molto freddo. Sul terreno si era fermata parecchia neve. Spesso affondavano in quasi un metro di neve. La donna si dimostrava molto forte : continuava a cammi• nare ad onta della stanchezza e diceva agli uomini di affrettarsi se non volevano ri~hiare di farsi sorprendere da una pattuglia. Attraversato il confine italiano dcli' Alto Adige, chiesero a Holt di condurli in uno dei monasteri nella ·regione del Vintschgau. Solo allora, alla fine del viaggio, dissero a Holt chi era la persona che egli aveva portato in salvo. L'uomo gli disse di essere il Reichsleiter Martin Bonnann. .

« Anivati alla porta del monastero, » disse Holt a Rapp, « Bormann suonò il campanello. La porta si apri. Bormann ti rò fuori un pezzo di carta che teneva cucito nell'interno dei pantaloni. Il por· tinaio lesse il foglio e li pregò di aspettare. Di lì a poco tornò e invitò Bonnann e la donna a entrare. Pensai che la fuga di Bormann fosse stata accuratamente preparata in anticipo. Bormann si · voltò verso di me e disse : <Franz, hai fatto un lavoro magnifico. Se terrai la bocca chiusa, ogni mese per tutto il resto della tua vita riceverai una somma di dena.ro. > Mi strinsero la mano, entrarono, e la porta del monastero si chiuse alle loro spalle . »

Analizzai il racconto fatto da Holt a Franz Rapp nel tardo autunno del 1961 a Innsbruck e conclusi che vi erano molti elementi attendibili. La maggior parte di coloro che, insieme con Bormann , avevano cercato di passare attraverso le linee russe a Berlino erano riusçiti a cavarsela. Perchè non avrebbe dovuto riuscirci quella «volpe» di Bormann? Aveva cercato di raggiungere Flensburg per parlare con Doenitz, quindi aveva trovato asilo sotto falso nome nel posto più sicuro della terra, un campo di prigionia inglese. Non era improbabile che si fosse portato dietro alcuni gioielli di valore, e che tentasse di raggiungere un convento in Italia, come avevano fatto

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tanti gerarchi nazisti prima e dopo di lui. Sarebbe stato uno dei più importanti viaggiatori sulla « via dei monasteri» dell'onESS~.

Chiesi a Rapp di parlare con Holt per cavarne informazioni più precise. Rapp scrisse a Holt, dicendogli che avrebbe potuto guadagnare un muochio di quattrini, se fosse stato in grado di precisare alcuni fatti. Quando si incontrarono, Holt era molto imbarazzato e disse a Rapp di dimenticare tutta la faocenda. Non gli interessava il denaro, disse. In effetti, poteva perdere molto più di quanto potesse guadagnare. Implorò Rapp di non svelare il segreto ad alcuno. Feci delle indagini a Innsbruck. La polizia confermò che Holt aveva realmente prestato servizio nei reparti ambulanze durante la guerra, e che in seguito era passato alle dipendenze della Croce RC>s.5a Austriaca, occupandosi del rimpatrio degli austriaci dai vari campi di prigionia tedeschi. E infine, secondo Rapp, riceveva ancora ogni mese un assegno dall'estero, sempre da una banca diversa.

Un altro pezzo del mosaico di Bormann mi venne fornito da una fragile donna che chiameremo Bettina. Oggi costei vive in una tranquilla pensione in Germania. Ha passato più di venticinque anni in Cile, ma la nostalgia l'ha costretta a tornare in Ger-mania. Nell'ottobre del 1964 Frau Bettina si rivolse alla polizia di Vienna per avere il mio indirizzo. Poi mi scrisse, dicendomi che, quando lei stava in Cile, Martin Bormann aveva comperato un grande appezzamento di terreno proprio vicino a lei. Frau Bettina aveva appreso dai giornali che ciò poteva interessarmi e mi proponeva un incontro. Inutile dire che la cosa m'interessava. Frau Bettina mi ricevette nella sua camera e tirò fuori da un cassetto la fotocopia di una mappa intitolata « Kartenskizze Chilenische Schweiz ». La « Svizzera Cile!}a » si trova nella parte centrale del Cile. Ebbi l'impr~ione che la carta fosse stata disegnata in Cile da tedeschi. con uno scopo preciso. Raffigura il territorio fra l'Oceano Pacifico e il confine con l'Argentina a est. La zona fra le città di Valdivia e Bariloche è contrassegnata da segni misteriosi: triangoli, circoli e quadrati, ognuno con un numero. In tre dei triangoli figurano le lettere «OD» e « UL ». La « Svizzera Cilena » è una bella regione, ricca di monti, laghi, boschi e fiumi. Ci sono stazioni termali e luoghi di sog~orno estivo: il posto ideale dove un facoltoso esule tedesco può vivere in piacevole isolamento. Quei simboli misteriosi avevano forse un significato militare?

Chiesi a Frau Bettina come fosse venuta in possesso di quella misteriosa carta.

« Nella casa-albergo di Valdivia dove abitavo c'era un tedesco che si. chiamava Artur Schwarz. Era un uomo tranquillo e riservato, che parlava con poche persone e che spesso si ~ntava per settimane. Non parlava mai coi vicini del suo lavoro, ma, chissà perchè, sembrava avesse fiducia in me. Quando partiva, mi lasciava le chiavi dell'appartamento e mi pregava di sorvegliarlo e di annaffiare le piante.

« Poi i giornali cominciarono a pubbli<:are le storie riguardanti i criminali nazisti in Sud-America. Mi misi a pensare al mio misterioso vicino. Parlava tedesco, era ben fornito di denaro, non aveva un'occupazione regolare, non frequentava nessuno. Non poteva essere una di quelle persone che avevano buone ragioni per nascondersi dietro l'anonimato? Un giorno, nel 1960, mentre il mio vicino era via, uno sconosciuto venne a dirmi che Herr Schwarz era morto improvvisamente durante un viaggio in Brasile. Mi chiese le chiavi dell'appartamento di Herr Schwarz. Gli Alissi che non riuscivo a trovarle e lo pregai di tornare il giorno dopo. Non appena se ne fu andato, entrai nell'appartamento e diedi un'occhiata in giro. C'erano dei libri e delle carte sul tavolo. Vidi pare.cchie copie di questa mappa, e ne presi una. '?>

Qualche tempo· dopo, Frau Bettina fece un viaggio nella cittadina di Osomo, a metà strada fra V aldivia e Puerto Montt. Herr Schwarz le aveva parlato spesso di Osorno, dove vivevano molti tedeschi, arrivati dopo la seconda guerra mondiaie. Frau Bettina ne conobbe alcuni.

« Si comportavano ancora come se fossimo nel 1938, » disse Fra,u Bottina. « In particolare, ricordo un avvocato tedesco che parlava come Goebbels. Tutti quelli che vidi avevano denaro in abbondanza, nessuna precisa occupazione e una bella casa. Erano piuttosto riservati e non facevano che parlare del grande Terzo Reich. Parecchi dicevano che Martin Bormann viveva da qualche parte, nella regione. L'avvocato di Osorno aveva comperato un appezzamento di terreno per Bormann fra Valdivia e la frontiera argentina. Tutti lo sapevano. Se guarda la mappa, vedrà che questa parte della regione è contrassegnata da . alcuni simboli misteriosi. »

L'informazione di Frau Bettina combacia con quelle che ho sul conto degli ex nazisti che vivono nei dintorni di Bariloche, sul versante argentino della frontiera. La storia è la stessa. Anche laggiù i tedeschi posreggono delle belle proprietà e molta terra. Mengele è stato visto spesso da quelle parti. Ci sono state misteriose rivalità fra diversi gruppi di tedeschi, e talvolta ci sono state anche delle

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sparatorie, ma la polizia locale fa di tutto per non dare pubblicità a queste cose.

L'ultimo pezzo del mosaico mi fu porta~o da un giovane studente, a Vienna. Costui mi telefonò in ufficio, in un giorno del 1964, e mi chiese di incontrarmi con lui in un caffè. Mi trovai di fronte un giovanotto di ventisei anni, simpatico e di bell'aspetto, dagli occhi malinconici. Doveva parlanni. Parecchi mesi prima, una bella brasiliana sulla trentina era venuta a Vienna per studiare canto.

« È bellissima, » disse il giovane con un sospiro. « È di Curitiba, nello Stato brasiliano del Parami.»

Cercai di non mostramii troppo interessato. Nel Parana ci sono delle colonie tedesche in cui si nascondono alcuni miei « clienti » importanti. Laggiù essi godono di grande considerazione perchè il clima è ancora quello del Terzo Reich.

La brasiliana era sposata con un tedesco, proprietario di una ditta di importazioni ed esportazioni, che si recava spesso a Barcellona per affari. In occasione del suo ultimo viaggio, aveva permesso alla moglie di proseguire per Vienna. La signora aveva una bella voce e moriva dal desiderio di prendere lezioni di canto, « e Vienna è il posto ideale per questo», disse il giovane.

Lui e la .brasiliana si erano conosciuti e si erano innamorati. Il giovane sospirò di nuovo. Io non dissi nulla, ma continuavo a chiedermi perchè avesse telefonato proprio a me per parlare dei suoi amori con una bella brasiliana.

« So il suo nome, ma lei mi ha pregato di non dirlo a nessuno, » disse il giovane. « È una situazione delicata. Lei non va d'accordo con il marito. Deve essere prudente. Bene, un giorno eravamo insieme in un caffè e io leggevo su una rivista un articolo su Bormann. Cominciammo a parlarne. Queste cose mi affascinano. La mia amica rise e mi disse che poteva raccontarmi un mucchio di cose sull'argomento. Poi prese una fotografia dalla borsetta. Era una foto del 1964 e ritraeva un gruppo di persone. Una di esse, un uomo massiccio con una calvizie incipiente, aveva alzato la mano destra · mentre la foto veniva scattata, come se avesse voluto nascondere la faccia. In realtà, era riuscito a coprire solo l'orecchio destro. La mia amica disse : < Guardalo. Tutti gli ebrei e molti tedeschi lo cercano. È stato un pezzo grosso del nazismo. Mio marito lavora per lui>.»

Non dissi nulla.

« Forse si sta chiedendo perchè ne parlo con lei,» nu disse il

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giovanotto. « Ebbene, sono pazzo di quella donna. Ha lasciato Vienna alcune settimane . fa per raggiungere · il marito Spagna. So che mi ama molto. Mi ha detto dì avere un patrimonio personale. Ma lui non le concederà mai il divorzio. È uno di quei brutali Kerle. »

Ascoltavo. Non sarei stato sorpreso se l'eterno triangolo mi avesse riportato a Martin Borniann. Negli ultimi venti anni ho imparato a ·non sorprendermi di nulla.

« Herr Wiesenthal, sono assolutamente sicuro che quell'uomo era Bormann. Naturalmente, io conosco Borrnann solo da:lle fotografie pubblicate sulle riviste, ma l'uomo che cercava di coprirsi la faccia assomigliava pedettamente alle foto di Borrnann che ho visto. Evidentemente, il marito della mia arnica deve essere un pezzo grosso nazista, altrimenti Borrnann non se ne servirebbe per i suoi affari al~tero. Abbiamo pensato... cioè, io ho pensato che se le des.5i il suo nome e lei lo facesse arrestare la prima volta che capita in Spagna... »

Tacque.

« Vi liberereste del marito e lei potrebbe vivere felice con la sua brasiliana, » conclusi.

« Esattamente. E lei potrebbe procurarsi l'indirizzo di Borrnann a Curitiba. La mia amica glielo darà... Lei non desidera che una cosa: vivere con me in Europa. »

Per il momento le cose stanno a questo punto. Promisi al giovane di non fare nulla che potesse mettere in difficoltà la signora. Egli mi disse il suo nome. Mi avvertirà quando lei e il marito torneranno in Europa.

Ma, ammesso che io riesca a procurarmi la prova che Borrnann abita a Curitiba... che succederà? Ventiquattr'ore dopo, scomparirà. Può sparire facilmente nel Sud-America. Ha denaro e dispone di una rete di fanatici e devoti sostenitori.

Molti . paesi si interessano a Borrnann, ma nessuno è veramente interessato a lui. Fritz Bauer, il procuratore di Stato di Francoforte, dubita che vi sia un solo paese sudamericano che concederebbe la sua estradizione. Il mistero di Martin Bormann - che molto probabilmente vive oggi nei pressi della frontiera fra Argentina e Cile, mentre io scrivo queste righe, all'inizio del I 966 - si risolverà in una semplice equazione biologica. Borrnann è protetto. Nessun paese vorrà imbarcarsi in un secondo caso Eichmann. Un bel giorno Bormann concluderà la sua vita terrena e la ricompensa di cento-

mila marchi non sarà mai pagata. La morte non ha bisogno di denaro.

Qu an do ero ormai verso la fine d el mio libro, ricevetti la visita di un giornalista tedesco che mi presentò un individuo venuto dal P erù. Costui mi chiese se, in cambio dell 'indirizzo di Bormann e della promessa cli collaborare al suo arresto, si poteva ottenere che un uomo ricercato in Germania venisse lasciato tranquillo. Era infatti in corso contro di lui un processo per un solo delitto, una piccolezza, dunque - disse - in confronto ai c rimini di Bormann . E aggiunse che se io avessi dichiarato in linea di principio di essere disposto a trattare la cosa con il pubblico ministero di Francoforte, si sarebbe potuto concludere l'affare Bormann.

Rispooi che la soluzione non si prospettava facile, e d'altra parte come potevo essere certo che l'uomo avrebbe mantenuto la promessa?

Diss i ai due uomini di tornare da me il giorno dopo poi chè volevo riflettere sulla proposta. Sapevo c he era assolutamente impos.sibile fare un patto del genere con la giustizia. Ma dissi loro che se veramente quell'uomo avesse collaborato alla ricerca e alla cattura di Bormann, si sarebbero potute ottenere al processo le circostanze attenuanti. E io sarei stato disposto a testimoniare davanti alla Corte che quell'uomo aveva realmente collaborato ad assicurare un grande criminal e alla giustizia.

Dopodichè i due mi dissero che, se si fos.5e venuto a sapere del tradimento, i nazisti non gliel'avrebbero ·perdonata e gliel'avrebbero fatta scontare con la morte. Durante la conversazione saltò fuori che l'uomo in questione, che non osa rientrare in Europa, vive nel Perù.

CAPITOLO XXV POSCRITTO

Rkonosco che molti dei casi che ho narrato sono difficili da credere e ciò mi fa tornare alla mente la profezia dello SS-Rottenfuhrer Merz. Non ho mai saputo il suo nome di battesimo, ma ricordo bene l'uomo. •

Era un pomeriggio del settembre 1944, nei pressi di Grybow, in Polonia, durante la ritirata tedesca dall'Est. Il campo di concentramento di Lvov era stato liquidato, le duecento SS si erano brillantemente «sganciate» dall'Armata Rossa che avanzava, ed io ero uno dei trentaquattro superstiti che le SS « sorvegliavano », tanto per poter giustificare la ritirata verso occidente.

Quel pomeriggio il Rott enfuhrer (caporale) Merz mi aveva invitato ad andare con lui in un vicino villaggio. Il cibo era scarso e volevamo procurarci un po' di patate. Siccome io parlavo il polacco, Merz pensava che gli sarei stato utile.

La giornata era calda. Avevamo racimolato due piccoli sacchi di patate in casa di un contadino, e ora ne portavamo uno per uno, mentre tornavamo al bivacco. Questo era già un fatto notevole: a cose normali, avrei dovuto portarli tutti e due io. Passammo un ruscello al limi te della foresta, e Merz propose che ci sedessimo un mom ento a riposare.

Merz era stato una delle pochissime SS che si erano sempre comportate bene con i prigionieri. Non aveva mai picchiato nessuno, non aveva mai alzato la voce. Si rivolgeva a noi con il « lei », come se fossimo ~ri umani. Tuttavia, non ero preparato a ciò che stava per accadere.

Merz mi disse: « Quando ero piccolo, mi raccontavano la favola di quel bambino che quando voleva andare in qualche posto esprimeva un desiderio, e un'aquila dalle ali enormi lo portava dove voleva lui. La rammenta, Wiesenthal? »

« Be', ricordo quella del tappeto magico. »

« Sì, il succo è lo stesso. » Merz si sdraiò supino e fissò il cielo

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nebbioso. Intorno a noi si udiva solo lo stormire aelle foglie e il sommesso mormorio del ruscello. Era uno spettacolo di pace e assolutamente irreale: il prigioniero e la SS che si riposavano in un paesaggio idillico nel bel mezzo dell'apocalisse.

« Supponga che un'aquila la porti in America, Wiesenthal, » mi disse Merz. « W as wurden Sie dori erziihlen? » ( « Che cosa racconterebbe una volta laggiù? ») ·

Rimasi zitto. Mi stava forse tendendo un tranello per farmi dire qualche scioochezza? .

Merz indovinò i miei pensieri. Sorrise. « Non abbia paura. Può parlare francamente. »

« Herr Rottenfuhrer, » dissi diplomaticamente. « In realtà non ci penso proprio. Come -potrei arrivare in America? Tanto varrebbe che tentassi di arrivare sulla luna. »

Cercavo di guadagnare tempo. Merz era noto per ~re una eccezione, una SS buona. Ma era sempre una SS; come potevo fidarmi di lui?

« Immagini, Wiesenthal, che lei sta arrivando a New York, e la gente le chiede: < Come andavano le cose in quei campi di concentramento tedeschi? Che cosa· vi facevano?> »

Non risposi. Ma ora ero sicuro di Merz. Mi fidavo di lui. Però era difficile rispondere.

Dissi, con una certa esitazione, ricordo : « Credo... credo che direi alla gente la verità, Herr Rottenfuhrer. » ·

Mi avrebbe sparato? Avevo visto delle SS sparare alla gente per molto meno.

Merz stava ancora guardando il cielo. Annui, come se si fosse aspettato la mia risposta.

« Sì. Ci ho pensato... molte volte. Ho visto che cosa è successo alla sua gente. Sono una SS, ma a volte mi sveglio nel cuore della notte, e non so se sia un sogno o la realtà. »

Non dissi nulla. Era meglio lasciare che parlasse lui.

« Lei direbbe la verità alla gente in America. t giusto. E sa che cosa accadrebbe, Wiesenthal? » Si alzò lentamente e mi guardò, poi sorrise. « Non le crederebbero. Direbbero che è matto. Forse la metterebbero perfino in manicomio. Come può un uomo credere a questa terribile faccenda ... se non ci è passato personalmente? »

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APPENDICE

Abwehr. Il servizio di controspionaggio della Wehrmacht (forze armate tedesche), dipendente dall'ammiraglio Canaris. Nel 1944, Canaris, accusato di essere una spia degli alleati, fu arrestato e giustiziato, e l'Abwehr cadde in disgrazia.

Argentina. Alla fine della prima guerra mondiale, allorchè Germania e Austria attraversarono una crisi politica ed economica conseguente alla disfatta, molti tedeschi e austriaci emigrarono in Argentina. La maggior parte di questi emigranti erano accesi nazionalisti che si rifiutavano di vivere, in una Germania sconfitta, « sotto il giogo di Versailles :>.

Con la consueta operosità, i nuovi immigrati crearono scuole, fabbriche, imprese, pubblicarono giornali e riviste, conquistarono una notevole influenza politica. In un tempo molto breve, giunsero a occupare posizioni chiave nel paese di adozione. Ma rimasero sempre, spiritualmente e politicamente, in contatto con la H eimat (Patria). Quando il Fiihrer prese il potere, molti tedeschi e austriaci dell'Argentina divennero sostenitori di Hitler. I nazisti sapevano quanto fossero importanti gli Auslandsdeutsche.n, i tedeschi all'estero. Il NSDAP era bene organizzato in Argentina. All'inizio della seconda guerra mondiale, il partito nazista in Argentina aveva 60.000 iscritti. Il Gauleiter Bohle, responsabile di tutti i tedeschi all'estero, era rappresentato a Buenos Aires dal suo delegato Heinrich Kom.

Gli Auslandsdeutschen facevano un buon .lavoro in Argentina. Avevano compagnie di navigazione, istituti di cultura con efficienti programmi di scambi culturali, una agenzia giornalistica, la Transozean (che doveva competere con la Reuter e con i servizi stampa americani), nonchè giornali e riviste finanziati dal Ministero della Propaganda di Goebbels. Presso l'Ambasciata argentina a Roma c'era un addetto militare che studiava il tedesco per essere in grado di . leggere il Mein Kampf nell'edizione originale. Il nome di quell'addetto era Juan D. Per6n. Il 17 ottobre 1943 Per6n, imitando Mussolini, guidò i suoi descamisados, «scamiciati>, nella marcia su Buenos Aires. Imitò anche altre cose, quando fu eletto presidente nel 1946. Aveva speciali reparti volanti, organizzati press'a poco come gli SS-Rollkommandos. Il suo segretario privato era figlio di un nazista tedesco.

Dopo la guerra, i nazisti mandarono esperti e denaro in Argentina. Per6n ricevette personalmente, secondo un'indagine svolta a Buenos Aires dopo la sua caduta, all'incirca 100 milioni di dollari. Buenos Aires diventò il porto d'arrivo dell'ooEssA, l'organizzazione che curava gli espatri clandestini dei nazisti. I tedeschi rilevarono alberghi e pensioni, fornirono documenti d'identità alle SS che immigravano, stabilirono eccellenti rapporti con gli alti funzionari gover-

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nativi. Ci fu un momento in cui un gruppo di tedeschi dell'Argentina progettò un'azione in Germania per liberare i criminali nazisti detenuti nella prigione di Landsberg.

Conferenze di Wannsee. Il 20 gennaio 1942, Reinhard Heydrich convocò una riunione di quindici alti gerarchi nazisti nel sobborgo berlinese di Wannsee, e fu qui che si giunse alla « Soluzione finale del problema ebraico » : deportazioni nei territori orientali, lavori forzati, ed esecuzioni in massa. Fra i nazisti presenti, Adolf Eichmann era uno dei meno alti in grado, ma toccò a lui far sl che la « soluzione finale» fosse attuata con estrema meticolosità.

Gestapo. Geheime Staatspolizei (Polizia Segreta di Stato), l'organizzazione di sicurezza del partito, 'operante sia all'interno che al di fuori della Germania. Gleichschaltung, la completa sincronizzazione delle attività politiche e di altro genere attuata dai nazisti.

Istituto della prescrizione. Nè la Bibbia, nè il diritto romano, nè quello canonico prevedono la prescrizione dei delitti. Il diritto anglosassone, tramandato alla moderna Gran Bretagna e agli Stati Uniti, si basa sul principio « tempus non occurrit regi» (il decorso del tempo non fa decadere l'azione contro un reato). In Inghilterra e negli Stati Uniti non esiste prescrizione per l'omicidio. In Austria si è risolto il problema richiamando in vigore una vecchia legge austriaca che non ammetteva la prescrizione per l'omicidio.

In Germania vi fu gran battaglia nel 1964, quando sembrò che il governo volesse applicare i termini di prescrizione. L'opinione pubblica sollecitò nella Germania Occidentale la soluzione di questo quesito: la prescrizione ventennale doveva essere prorogata? Fino a quel momento erano stati giudicati circa 70.000 criminali nazisti, ma c'erano ancora in corso azioni contro 13.000 sospetti. Queste azioni giudiziarie sarebbero decadute se fossero stati applicati i termini della prescrizione. Tre lettere su quattro fra quelle arrivate al Bundestag, a Bonn, erano favorevoli alla prescrizione. ( « Bisogna metter fine a queste cose Non si può trattare una nazione come un delinquente minorenne »)

Il dottor Ewald Bucher, ministro della Giustizia della Germania Occidentale, si oppose alla proroga dei termini di prescrizione. Affermò che quasi tutti i maggiori responsabili nazisti erano stati arrestati e condannati. Bucher ayeva fatto parte a suo tempo della Gioventù Hitleriana e del partito nazista. Bucher, membro del Libero Partito Democratico (FDP), un'organizzazione politica di destra alleata della CDU di Ludwig Erhard, subiva le forti pressioni dei suoi colleghi di partito. L'FDP mirava ai voti dei conservatori e dei neonazisti tedeschi.

La maggior parte della stampa tedesca, e quasi tutta la élite intellettuale e politica della Germania Occidentale, non furono d ' accordo con Bucher. Feci omaggio a Bucher di una raccolta di 36o lettere scritte da cittadini tedeschi e austriaci - uomini politici, scienziati, artisti, giuristi e scrittori - favorevoli alla proroga della prescrizione. C'erano, fra le altre, le lettere del gesuita cardinale Bea, del vescovo protestante Hans Lilje, del banchiere Hermann J. Abs, del professor Cari J. Burckhardt, dei vincitori del Premio Nobel Max Born e Werner Heisenberg. Dopo ,snervanti discussioni, il Bundestag approvò la proposta di considerare il 21 settembre 1949 - il giorno in cui la Germania Occidentale cominciò ad autogovernarsi - come la data d'inizio del periodo necessario alla prescrizione. Ciò significa che il termine della prescrizione è prorogato fino al 21 settembre 1969.

Ma anche se tale termine fosse prorogato indefinitamente, non sarà mai pos-

sibile punire tutti i crimini nazisti. Prendiamo - il caso di Auschwitz: almeno 6ooo uomini vi lavorarono, in periodi diversi, come guardie, personale tecnico addetto alle camere a gas e ai forni crematori, medici, impiegati. Solo di goo si conoscono i nomi Circa 300 furono consegnati ai polacchi, e dei restanti 6oo si conosce il nome e l'indirizzo di una metà appena, ma per ognuno di essi non si troverebbe un solo testimone disposto a deporre in tribunale. Nel campo di concentramento, le vittime non sapevano i nomi dei loro carnefici. Alcuni grossi criminali erano conosciuti: i Mengele, gli Stangl. Ma le anonime ruote nell'ingranaggio dello sterminio, gli uomini insignificanti che uccidevano, che aprivano le manette del gas, che iniettavano dosi letali di acido fenolico ... dove sono adesso? Vanno in giro liberi, e forse godono miglio:- salute e dormono meglio di quell e fra le loro vittime che sono sopravvissute.

Kristallnacht. Il 7 novembre 1938, il Legationssekretar Erwin von Rath, un diplomatico dell'Ambasciata tedesca a Parigi, fu assassinato da Hershel Gruenspan, un ebreo polacco. Per rappresaglia, Reinhard Heydrich ordinò che tutte l e sinagoghe della Germania e dell'Austria fossero incendiate e distrutte la sera del 9 novembre. I negozi ebrei vennero saccheggiati. Era l'inizio della fine degli ebrei in quei paesi. I nazisti la chiamarono Kristallnacht (notte dei cristalli) perch~ le strade delle città erano ricoperte con i fra mmenti delle vetrine dei negozi ebrei devastati.

NSDA P. Nationalso%ialistische Deutsche Arbeiterpartie (Partito Nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi), creato da Hitler nel 1919 sul nucleo di un piccolo partito politico, chiamato Partito dei Lav oratori Tedeschi. In questo libro viene chiamato di solito e partito nazista>

RSHA. Reichssicherheitshauptamt, il cosiddetto Ministero degli Interni de lle SS, da cui dipendevano tutti i servizi di spionaggio e di contr9spionaggio.

SA. Sturmabteilungen, i reparti di assa lto in camicia bruna, fondati nel 1921 e in origine divisi in gruppi di 100 uomini.

SD. Sicherheitsdienst, la élite della élite, il servizio di informazioni delle SS dirett o da Reinhard H eydrich.

SS. Schutzstalfel (Guardia di Sicure1.za), nata come guardia del corpo di Hitler nel 1923, era composta dagli elementi più duri delle SA e aveva il compito di mantenere l'ordine nelle riunioni politiche. Nel 1929 Hitler chiese a Himmler di trasformare le SS in corpo scelto del partito.

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Profilo

I
n Capitolom Capitolo iv Capitolov Capitolo vi Capitolo va Capitolovm
IX Capitolox Capitolo XI
Capitoloxu Capitoloxm Capitolo xiv Capitolo xv Capitolo xvi Capitolo XVII Capitolo XVIU Capitolo XIX Capitolo xx Capitolo xxi Capitolo xxu Capitolo xxm Capitolo XXIV Capitolo xxv
Capitolo
Capitolo
Capitolo
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INDICE
Il racconto
Wiesentha/ Il coltello
segreti della Odessa L'inafferrabile Eichmann · Alex · Il treno parte fra tre minuti L'uomo che collezionava occhi azzurri Epilogo del Diario di Anna Frank Al di là della ragione Prima gli affari l.l vecchio barone non dimenticò Una sposa per il dottor Babor Lo sterminio degli zingari Il Museo delle /acri.me Due candele Gli assassini della Galizia I trentasei giusti L'altra faccia della luna . Un cent per corpo L'eredità di Caino L'arianizzatore I martiri di Cefa/onia La scuola di genocidio Dov'è Bormann? Poscritto Appendice Tavole fuori testo tra p. 176 e p. 177 5 45 59 79 97 131 143 153 175 189 197 213 221 235 239 247 2 53 267 271 285 295 3o5 3II 317 327 343 345
di Simon Wiesentha/
di Simon
I

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