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LA BATTAGLIA DI SALVEMINI

In una serie di articoli pubblicati a settembre sulla rivista culturale "La Voce" di Prezzolini e Papini, Salvemini demolì in modo sistematico tutte le falsificazioni e le esagerazioni di coloro che erano favorevoli alla spedizione. Al corrispondente de "La Stampa" Giuseppe Bevione il qua le aveva scritto, tra l'altro, che in Tripolitania c'era un territorio montano ricco d'acqua, fertile e più grande dell'Italia dove i gelsi erano "grandi come faggi e gli olivi più colossali delle querce", pronto ad accogliere "milioni di italiani", Salvemini replicò seccamente con queste parole: "Basta guardare una carta geografica un po' particolareggiata [...] per vedere che il Bevione dice una corbelleria."12 Sempre a Bevione e ali' on. Andrea Terre i quali sul "Corriere della Sera" sostenevano che in Tripolitania vi erano giacimenti di zolfo (il petrolio non era ancora stato scoperto) che si estendevano "per migliaia di chilometri" e che se l'Italia non se ne fosse impadronita l'avrebbe fatto qualche altra potenza europea mettendo così in crisi la produzione di zolfo siciliana, rispose nel modo seguente: "Per eccitare gli animi degli italiani all'impresa presentano il miraggio di una immensa ricchezza zolfifera messa lì a portata di mano ... E nello stesso tempo affermano che dobbiamo andare a Tripoli a impedire che le miniere tripoline rovinino con la loro concorrenza le miniere della Sicilia, cioè dovremmo andare a Tripoli non per arricchirci sfruttando

Feltrinelli, le mm1ere, ma a rimanere poveri impedendone lo sfruttamento ."13

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A proposito delle ripetute richieste di intervento da parte del Banco di Roma che da qualche anno aveva aperto delle succursali in Libia e che affermava di sentirsi minacciato dai Turchi, così replicò: "Noi abbiamo il dovere di tutelare gli interessi di tutti i nostri concittadini all'estero, a qualunque partito appartengano, anche se sono andati all'estero senza l'intesa del governo. Ma questo non vuol dire che per ogni incidente che succeda a un nostro concittadino in qualunque parte del mondo, noi si debba andare a conquistare quella parte del mondo."1 4

Salvemini attribuì al "Corriere della Sera" "un grado altissimo di responsabilità nella guerra di Libia" e volle svelare impietosamente le bugie che pubblicava. Su una si soffermò in particolare: quella secondo cui in Cirenaica da un chicco di grano potevano nascere "340 spighe" .

Qyesta "frottola", scrisse Salvemini, "pubblicata su 600 mila copie proprio la sera del 27 settembre (il giorno dell'ultimatum alla Turchia, ndr) è stata riprodotta da migliaia di giornali e giornaletti locali e ha contribuito, certo fortemente, a creare quella frenesia di cui tutta l'Italia era presa negli ultimi di settembre; frenesia fatta 1) di ingordigia per le ricchezze favolose da conquistare; 2) di sicurezza leggerona per la nessuna difficoltà dell'impresa ('gli arabi ci aspettano a braccia aperte', 'avevano preparato le bandierine,' ' i Turchi, vile razza dannata, si sarebbero subito sbandati'); 3) di furore bestiale contro chi si rifiutava di abdicare all'uso della ragione nella stoltezza universale; frenesia contra la quale nessun governo poteva ormai più lottare. E la guerra venne ... "15

13 Ibidem , p . 105.

14 Ibidem, p. 115.

Salvemini era uno stimato professore di lettere che, tra l'altro, aveva insegnato storia e geografia n e i licei classici di Faenza e di Lodi. Conosceva bene la storia di Roma e così, quando il "Corriere della Sera", il 12 gennaio 1912, definì la Libia "l'antico granaio di Roma" confutò l'asserzione con un articolo che è una dotta lezione di storia spiegando che "l'ufficio di fornire il grano alla plebe di Roma toccava, sotto il dominio romano, alle province così dette frumentarie e queste erano : l'Egitto, l'Algeria, la Tunisia, la Sicilia e la Sardegna", e non la Libia.1 6 Qyando Prezzolini, a guerra iniziata lo invitò a tacere per amor patrio e ad occuparsi d'altro, Salvemini per coerenza lasciò "La Voce" e a d ic embre fondò il settimanale "L'Unità" dove continuò a dimostrare la falsità di tutte "le corbellerie giornalistiche" che continuavano ad essere pubblicate sull'impresa libica.

Anche Giolitti, che per lo storico inglese Whittam disprezzava l'antimilitarismo quanto il militarismo ("disliked anti-militarism, as much as militarism") I7 , inizialmente fu contrario perché riteneva che l'integrità dello impero ottomano fosse una condizione di equilibrio per l'Europa, 18 ma poi, quando si rese conto che la conquista della Tripolitania e della Cirenaica "suscitava consensi nella borghesia settentrionale e fra i contadini meridionali, nell'Italia laica e in quella cattolica, [...] si limitò a registrare, probabilmente controvoglia, questo dato di fatto, e [...] preparò la guerra." 19

15 Ibidem, p. 139.

16 Ibidem, p. 14 1.

17 John Whittam, The Politics ofltaliam Army 1861-1918, LondonHamdem, Croom Helm Arcor Books, 1977, p. 7.

18 S. Romano, La Quarta Sponda, cit. p. 47

19 Ibidem, p. 11.

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