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I MOTI DI PIAZZA E LO SCIOPERO GENERALE DEL 27 SETTEMBRE
Ma la guerra, eccetto gli anarchici, unanimi nel condannarla , la vollero in molti. E non soltanto i nazionalisti, ai quali bruciava ancora il ricordo della sconfitta di Adua del 1896, ma anche i cattolici, parte dei repubblicani, alcuni sindacalisti rivoluzionari e molti socialisti. Per questi ultimi l'argomento convincente era la possibilità che la colonizzazione di quelle terre avrebbe potuto porre un freno alla forte emigrazione che dall'inizio del '900 aveva costretto sei milioni di contadini italiani a lasciare il paese per recarsi all'estero.
Ma c'era anche chi, come G . Ugo Nazzari, il direttore de "L'Unione Liberale" di Perugia, esaltava la guerra tout court considerandola anche un'occasione di "redenzione spirituale e morale" per il popolo italiano. In un editoriale pubblicato il 25 settembre dal titolo La virtù delie armi, volle ricordare che quando gli ufficiali del 51 ° reggimento di fanteria del deposito di Perugia, non appena fu disposta la mobilitazione, chiesero ai loro soldati se fossero disposti a partire per la Libia tutti, eccetto quattro con famiglie numerose, avrebbero fatto "il loro bravo passo avanti, pronti a fare lo zaino e a mettersi in marcia, pronti anche a farsi ammazzare." Per Nazzari questo episodio, simile, d'altronde, a quelli avvenuti "in tutte le sedi reggimentali", avrebbe rivelato il vero stato d'animo del popolo italiano perché, "nonostante la scuola della vigliaccheria pacifista, eunuca e bottegaia", la guerra esercitava ancora "un prodigioso fascino di entusiasmo, una mirabile forza di ecci- tamento e di elevazione". Ess a, tra le tante "virtù", era anche "scuola della redenzione spirituale e morale del popolo, strumento di elevazione e di dignità, scuola di sacrificio e perciò di affratellamento e di generosità, scuola di educazione e perciò di civiltà".
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La Cgdl, in una riunione tenutasi a Bologna il 25 settembre alla quale parteciparono anche i vertici del partito socialista, indisse per il 27 uno sciopero generale di protesta in tutto il paese contro la guerra. La decisione fu ado ttat a anche a seguito dei moti scoppiati a Forlì il 24 settembre ai quali avevano preso parte Mussolini e Nenni che all'epoca militavano rispettivamente nel partito socialista e in quello repubblicano .20 Ma il 27, giorno fissato per lo sciopero (che coincideva con quello dell'invio dell'ultimatum alla Turchia), pochi si astennero dal lavoro. L'Umbria non fece eccezione: a Perugia, ad esempio , come riportò "La Battaglia", dopo un incontro "tra tutti i rappresentanti delle organizzazioni operaie e di tutti i partiti sovversivi" si decise "concordemente di non scioperare, ma di organizzare una protesta operaia sia con manifesti sia con comizi" affidandosi ad una "apposita commissione".2 1
20 Per i moti d i Forlì, Mussolini e Nenni furono arrestati e condannati a sette mesi d i reclusione (ridotti poi a cinque) che scontarono assieme nel carcere di Bologna.
21 Cfr. "La Battaglia" del 30 settembre 19 11. A ll'epoca il te rmine "sovve rs ivo" non aveva generalmente un significa to spregiativo. Gli stessi ana rc hic i, i socialisti massimalisti e i sindacalis t i rivoluzionari si definivano "sovvers ivi". In un documen t o dell'Ufficio Riservato di P.S. del Ministero de ll'Int erno , conservato nell'ACS, risulta che il governo italiano considerava "sovversive" le seguenti associaz ioni: le "anarchic he", le "repubb licane", le "socialiste" comprese le riformiste, le "sindacaliste", i "ci rcoli giovanili socialisti" e persino quelli "clerica li" (cfr. L. Lotti, La Settimana Rossa, Le Monnier, Firenze, 1965, p. 283).
Secondo Ugucc ione Ranieri di Sorbello, quando a Perugia si diffuse "la notizia pubblicata il 25 settembre che le navi italiane facevano rotta su Tripoli", ci fu una certa eccitazione. Ma i fogli perugini, eccetto "L'Unione Liberale", restarono piuttosto indifferenti. "Quasi che una spedizione in Africa fosse solo un altro aspetto della mondanità" che in quei giorni caratterizzava il clima della bella città umbra dove affluivano tanti rappresentanti del "bel mondo". 22
La partenza dei richiamati non fu sempre accompagnata da saluti festosi. "A Terni", ricorda Dario Ottaviani, "l'impresa in terra libica fu accolta con indifferenza e anche con ostilità tanto che la forza pubblica non fu in grado di prevenire il tentativo dei socialisti di impedire dalla locale stazione ferroviaria la partenza di un treno di richiamati diretto a Spoleto." 23 A Poggibonsi, come riportò "L'Unione Liberale" del 29 settembre, "la popolazione si era riversata alla stazione per impedire la partenza dei richiamati," e donne, ragazzi e operai, dopo aver sopraffatto i carabinieri, "si erano distesi sui binari e dinanzi alla macchina erano state ammucchiate alla rinfusa, a guisa di piccole barricate, casse, bagagli, val igie, ecc. [...] Solo quando i quattrocento richiamati ebbero fatto ritorno in paese, la folla lasciò la stazione e il tr eno poté ripartire giungendo a Siena con tre ore di ritardo. "Tutta la popolazione di Poggibonsi", secondo l'autore dell'articolo, era "assai ecci tata!"
22 Cfr. Uguccione Ranieri di Sorbello, Perugia della bell'Epoca, Volumnia Edi t rice in Perugia, 2005, pp. 539-540.
23 D. Ottaviani, Il Novecento a Terni - cronistoria dal 1910 al 1920. Tip. Visconti, Terni 1991. p . 39.
Per costituire il corpo di spedizione fu emanato, su proposta del ministro della Guerra, il gen. Paolo Spingardi, previa delibera del consiglio dei ministri, il regio decreto 23 settembre 1911 n. 1011, con cui furono chiamati alle armi i militari appartenenti alla classe 1888, in congedo illimitato. Il giorno successivo fu emanato un altro regio decreto, il n. 1023, con cui venne indetta " la mobilitazione di un corpo di spedizione oltremare" a capo del quale fu posto il generale Carlo Caneva di anni 66, un uomo di salute precaria che "non soffriva né di facili entusiasmi né di pruriti bellicosi. "24
Il corpo di spedizione era composto da due divisioni di fanteria, formate da 4 brigate con i reggimenti 82°, 84°, 6°, 40°, 22°, 42°, 4° e 63°, due reggimenti di bersaglieri, 1'8° e l' 11 °, alcuni reggimenti di artiglieria, due squadroni di cavalleria, una compagnia di telegrafisti e un battaglione di zappatori del genio, per un totale di 34 .000 uomini.
Per la partenza di un primo scaglione vennero requisite varie decine di navi e nel pomeriggio dell'8 ottobre i primi dodici piroscafi, gremiti di soldati, armi, muli, cavalli salparono per Tripoli dal porto di Napoli alla presenza del re, accompagnati dalle grida di saluto di una folla festante. Dopo alcune ore altri no ve piroscafi partivano dal porto di Palermo e la mattina dell ' 11 arrivarono a Tripoli assieme alla squadra di Napoli. Nella notte tr a il 10 e 11 altre diciannove navi partirono da Augusta e, scor- tate da sette navi da battaglia, giunsero a destinazione la mattina del 12.25 In totale con questa prima parte del corpo di spedizione sbarcarono a Tripoli circa 22.000 soldati.
Alcune compagnie inquadrate nell ' 11 ° bersaglieri erano in prevalenza composte, come risulta dai fogli matricolari del distretto di Spoleto e Perugia, da richiamati umbri.
Si trattava per gran parte di contadini, scarsamente addestrati e in buona percen t uale analfabeti. Parlavano dialetti diversi, anche nella stessa compagnia, perché i reggimenti erano formati da soldati provenienti da più regioni al fine, si diceva, di agevolare l'unificazione e creare comunanza di idee. Dai fogli matricolari risulta che l'altezza media era di c ir ca un metro e sessanta e molti aveva no i denti "guasti".
I fanti, in divisa grigio verde e casco coloniale, erano dotati del fucile Mannlicher-Carcano mod. 1891, in produzione anche presso la Fabbrica d'Armi di Temi. Con la prima ondata del corpo di spedizione fu inviata una flottiglia di 9 aeroplani e di 3 dirigibili. A Tripoli il comando del reparto dirigibili fu affidato al capitano Giulio Valli, narnese, classe 1875, il quale con i l suo P3 partecipò a 55 missioni per effettuare rilievi fotografici e bombardamenti sulle carovane e sugli accampamenti nemici.26 Furono spediti anche hangar "smontabili e trasportabili, in gran parte costruiti nelle officine Bosco e sotto la direzione di Felice Bosco e Felice Donatelli" dei quali nei giorni seguenti, "fu pubblicata una fotografia che li ritraeva su un aereo in Tripolitania."27
25 Ibidem, pp. 89 -90.
26 Valli raccontò le sue esper ienze nella guerra di Libia in un diario postumo dal titolo Tra mare e cielo, pubblicato dalla Fondaz i one della Cassa di Ris parm io di Terni e Narni nel 2004. Per aver comandato "in modo encomiabile il reparto dirigibili di Tripoli" fu insign ito de l titolo di Cavaliere dell'Ordine di Savoia.
Non appena la prima ondata del corpo di spedizione sbarcò a Tripoli, i marin ai di Cagni lasciarono la città e tornarono sulle navi. Per alcuni giorni erano riusciti a garantire l'ordine e ad evitare incidenti in una città di 36.000 arabi che li guardavano con un misto di sospetto e di timore. Ma con l'arrivo dell'esercito furono commessi degli errori che ebbero conseguenze fatali. Uno dei più gravi fu di sequestrare 300 arabi e costringerli con la forza a sbarcare sulle banchine del porto i carichi di 12 vapori. Un comportamento in netto contrasto con il proclama del contrammiraglio Borea Ricci, autoproclamatosi governatore della Tripolitania, il quale aveva annunciato che gli Italiani erano venuti a "liberare le popolazioni dal giogo dei turchi."28 Il lavoro di sbarco fu svolto in modo "abbastanza ordinato" poiché, come ha ricordato Del Boca, se qualcuno degli arabi si foss e ribellato sarebbe stato fucilato sul posto. Alla sera questi forzati venivano rinchiusi in un fondaco e nutriti "con gallette e acqua ."29
Ma Caneva, secondo l'opinione di molti storici militari, commise anche un grave errore di strategia. All'esercito, appena sbarcato, diede ordine di mettersi sulla difensiva invece di inseguire i turchi che si erano ritirati all'interno, a pochi chilometri da Tripoli, e annientarli. In questo modo il nemico ebbe mo do di organizzarsi e di resistere a lungo. In effetti il capo del corpo di spedizione sembrò fin dall'inizio non avere alcuna fretta di far muovere l'esercito. Anche la sua abitudine di tornare a dormire tutte le sere sulla nave che lo aveva portato a Tripoli, lasciando il vecchio castello turco sul porto dove aveva fissato la sede del comando, faceva ritenere che non amasse troppo le guerre lampo. Per questi e altri motivi gli inviati dei giornali italiani lo criticarono duramente considerandolo più un burocrate che un militare.
Tra l'altro, fin dai primi giorni, l'a nziano generale dovette affrontare un grave e imprevisto problem a causato dal colera "presente da qualche mese nei pozzi delle oasi e nei datteri."30 Molti militari del corpo di spedizione cominciarono ad ammalarsi e a morire. I colpiti venivano portati in ospedali da campo o presso l'orfanotrofio della missione francescana dove però non vi erano mezzi per la cura. In tre mesi il colera uccise 7 ufficiali e 369 soldati. Tr a questi ultimi, come risulta dai fogli matricolari del dis tretto di Spoleto, vi furono: Giuseppè Brunotti di Narni, un bersagliere dell'l 1° reggimento, di professione falegna- me, che morì il 1 novembre 1911, appena venti giorni dopo essere sbarcato, Orlando Ridolfi, un folignate del 1° reggimento granatieri, di professione stalliere, stroncato dal colera il 1 novembre 1911 , appena cinque giorni dopo lo sbarco a Tripoli e il caporale Romolo Pucciatti, bevagnese, anch ' egli del 1° granatieri, di professione calzolaio, che arrivò a Tripoli il 27 ottobre e vi morì il 18 novembre.
Nella rada di Tripoli erano ancorate anche navi ospedale, come la Memph1~ dove si era imbarcata in qualità di c rocerossina la bellissima Hélène di Francia, duchessa d'Aosta che volle andare a Tripoli nonostante la volontà contraria del re e di Giolitti. 31 Ma i malati di colera per il divieto dei comandanti non venivano curati su queste navt.
Probabilmente, per arginare la diffusione del morbo, fu anche spedita dall'Italia dell'acqua potabile e pers ino dell'acqua minerale. La circostanza risulterebbe da una lettera inviata da Derna dal soldato ternano Odoardo Lelli il quale, a dicembre, scrisse che "in Tripolitania si beve l'acqua S. Faustino". 32
Non sappiamo se la cautela con cui si mosse Caneva derivò anche dal problema del colera, comunque la sua prima iniziativa fu quella di trincerarsi tracciando una linea difensiva intorno alla città a partire dal forte Hamidiè, posto a est vicino al villaggio di Sciara Sciat, fino al forte Sultaniè passando all'interno per il villaggio di Henni e i pozzi di Sidi Messri e Bu Meliana. Forse alla base di questa decisione non vi furono soltanto ragioni strategiche ma anche psicologiche e culturali. Franco Cardini e Sergio
Valzania, nel loro interessante studio sulla guerra di Libia, sostengono che Caneva "era ossessionato dal ricordo di
32 D. Ottaviani, Il N o vecen to a Temi, ...
Baratieri e del disastro di Adua" e che, d'altronde, "fermarsi e affondare nel terreno costituiva la soluzione tattica privilegiata per una generazione di ufficia li formatasi studiando i giganteschi assedi nella storia della guerra moderna di Sebastopoli e di Richmond" .33
Ma la linea difensiva ideata da Caneva presentava dei punti deboli. La città di T ripoli, infatti, era situata ad occidente di una lunga oasi e mentre la parte a sud ovest dello schieramento di trincee era facilmente difendibile, dato che si trovava in terreno aperto al limitare del deserto, quella a est si estendeva all'in terno di un fitto palmeto attraversato da viottoli delimitati da muretti di sabbia e fichi d'india. "Q}iesta enorme città di palme e di orti", scrive Romano, "era densamente abitata. Vi erano case, villaggi, ville, marabutti, cimiteri o più semplicemente gruppi di tombe nel mezzo di una radura."34
33 F. Cardini e S. Valzania, La Scintilla, Mondadori, Milano 2014, p. 112.
34 S. Roman o, La Quarta Sponda, ...cit., p. 98.
L'll O bersaglieri con tre battaglioni e nove compagnie, in cui erano presenti molti umbri, si era trincerato al margine estremo dell'oasi tra il villaggi o di Henni e Sciara Sciat. In una posizione ché, dato lo stato dei luoghi, non consentiva di avvistare per tempo il nemico se fosse sopraggiunto alle spalle.
Dal giorno dello sbarco del corpo di spedizione a Tripoli le truppe italiane erano state attaccate alcune volte da gruppi di turchi e di arabi nei pressi dei pozzi di Bu Meliana e di Sidi Messri, tenuti dall'84° fanteria, nella parte sud dello schieramento. Si era trattato di scaramucce durante le quali gli italiani avevano usato anche l'artiglieria per respingere gli assalitori che si erano ritirati con qualche perdita.
Ma qualcosa stava cambiando nell'atteggiamento del nemico e il segnale (che, probabilmente, non fu ben compreso), venne da Bengasi, la capitale della Cirenaica dove gli Italiani il 19 ottobre, non appena sbarcati, furono affrontati dai turchi e dalla cavalleria araba e dovettero combattere a lungo e con gravi perdite (circa 30 morti e 100 feriti) prima di avere la meglio e respingerli.
A Tripoli, la mattina del 23 ottobre, gli arabo-turchi andarono nuovamente all'assalto delle trincee italiane sempre nella zona di Bu Meliana e Sidi Messri, e anche più a ovest tra forte Sultaniè e Gargaresch. Ma si trattò di un diversivo per tenere impegnati gli italiani di quel settore . Il vero attacco fu sferrato a est, tra Henni e Sciara Sciat, contro le postazioni tenute dall'l l O bersaglieri.
Si trattò di un attacco preparato e studiato nei minimi particolari. La sorpresa fu completa anche se alcuni aerei italiani, tra cui il Blériot pilotato dal capitano Carlo Piazza, avevano effettuato un giro di ricognizione. Piazza, secondo Romano, non avrebbe avvistato lo schieramento nemico perché troppo impegnato a "controllare i motori".35
Alle 7,45 alcune migliaia di turchi e di cavalieri arabi affrontarono i bersaglieri frontalmente e, contemporaneamente, mentre infuriava il combattimento, una massa di qualche migliaio di arabi composta da giovani, vecchi, donne e ragazzi armati di fucili da guerra e da caccia, bastoni e coltelli, irruppe dall'oasi e li attaccò alle spalle. Lo scontro durissimo si protrasse per otto ore e alla fine i bersaglieri della 4a e della s a compagnia cedettero. Alcuni tentarono di fuggire ma vennero tutti uccisi. Altri si arresero sperando di avere salva la vita, ma furono trascinati nel vicino cimitero arabo e massacrati in modo orribile. 36 Secondo i dati riportati molto tempo dopo dal ministero della Guerra, a Sciara Sciat morirono 21 ufficiali e 482 uomini di truppa.37
Dai ruoli matricolari conservati presso l'Archivio di Stato di Perugia, risulta che a Sciara Sciat perse la vita anche Emilio Commodi di Gubbio , colono, classe 1888, bersagliere dell'l1° reggimento , sbarcato a Tripoli, prove- niente da Napoli, appena quindici giorni prima. Tra i dispersi vi fu un altro bersagliere umbro dell' 11 °, Angelo Contessa, di Stroncone, classe 1888, di mestiere vetturino.
35 Ibidem, p. 99. Q!ianto rip ortat o da $. Romano sul vo lo del capitano Piazza (il primo vo lo di guerra al mondo) non corrisponde esattamente a quanto avvenne quel giorno. Dal resoconto del capitano Piazza risulterebbe, infatti, che il 23 ottobre, quando con il suo Blériot effettuò il giro di ricognizione, la battaglia di Sciara Sciat era terminata. Ino ltre Piazza si diresse con il suo monoplano (dotato di un solo motore) sull'oas i di Zanzur situa t a a ovest di Tripoli, mentre Sciara Sciat s i trovava a est.
36 Cfr. A. D el Bo ca, Gli Italiani in Libia, pp. 108-112.
37 $. Romano, La Quarta Sponda, cit., p. 100.
Gli arabi dopo lo scontro avrebbero potuto dirigersi su Tripoli e mettere in seria difficoltà gli italiani, ma preferirono depredare i morti, trucidare i superstiti e disperdersi nell'oasi.
La reazione da parte italiana non si fece attendere. Nel pomeriggio del 23 cominciò in Tripoli e nell'oasi una vera e propria caccia all'arabo che si protrasse per vari giorni. Q!ielli trovati in possesso di armi, compresi i coltelli, furono fucilati sul posto. Altri venivano legati con le mani dietro il dorso e condotti in città dove molti di loro furono giustiziati. Fu anche annunciato il coprifuoco e la fucilazione per coloro che non avessero consegnato le armi. Migliaia di arabi nei mesi successivi furono deportati e spediti alle Tremiti, Ustica, Ponza, Caserta, Gaeta, e Favignana. 38
All'alba del 26 ottobre gli arabo -turchi attaccarono nuovamente in forza le linee difensive italiane tenute dall'82° e dall'84° tra Bu Meliana, Sidi Messri e Henni. Il combattimento si protrasse per circa tre ore con perdite da entrambe le parti e alla fine gli attaccanti vennero respinti.
A questo punto Caneva ritenne di abbandonare queste linee, troppo vulnerabili, e di portarle indietro di tre chilometri.
Pertanto dalla fine di ottobre le trincee italiane si vennero a trovare vicino alle case di Tripoli che divenne così una città assediata e sottoposta alle cannonate turche .
Da parte italiana si parlò subito di "tradimento arabo." Nessuno volle accettare il fatto che la popolazione della Tripolitania si era ribellata ad un esercito invasore. Ci si aspettava riconoscenza per aver riportato in quei luoghi la civiltà di Roma e non si considerò che gli arabi avevano una terra e dei valori da difendere e che inoltre erano legati ai turchi da una comune religione. Questa errata convinzione negli italiani era così forte che nessuno aveva dato importanza al fatto che nell ' oasi, alcuni giorni prima, i marabutti incitavano alla guerra santa. Anche i giornalisti presenti a Tunisi accreditarono la tesi del tradimento. Soltanto Luigi Barzini, tra gli inviati speciali, ebbe il coraggio di ammettere che il nostro esercito aveva invaso la Tripolitania senza conoscere il paese che andava ad occupare. In una lettera al suo direttore scrisse: "Così arrivò Sciara Sciat. Arrivò senza che i numerosi indizi che l'annunziavano fossero compresi e ci mettessero in guardia, tanto profonda era la nostra illusione."39
Per Gualtiero Castellini, il corrispondente della "Gazzetta di Venezia", l'errore commesso dagli italiani era stato quello "di aver trascurato i capi" e di aver cercato di "cattivarsi l'animo degli arabi con una politica proletaria" come si faceva in Italia. "Se ci fosse stata una Camera del Lavoro" ha scritto, "l'avremmo subito sovvenzionata. Non essendoci abbiamo fatto grandi promesse al popolo, abbiamo distribuito grano e barracani al popolo. Ci siamo dimenticati di essere in Oriente e abbiamo parlato al popolo come se si trattasse veramente di masse proletarie rivendicatrici di diritti. In compenso abbiamo trascurato . . " 40 1 capi ...
Racconta Romano che Lord Kitchener, commentando con un diplomatico francese le vicende belliche in T ripo- litania, fece un'osservazione che ancora oggi ha una certa importanza: "Non potremmo ammettere, né noi, né voi, né l'Europa, uno scacco definitivo dell'Italia . Tutto il mondo musulmano ne sarebbe galvanizzato; le ripercussioni nell'Islam sarebbero immense... " 4 1
39 La lettera, scritta al direttore Albertini, è stata parzia lmen t e ri po rtata da A. Del Boca in Gli Italiani in Libia, ...cit., p. 112.
40 Gualtiero Castellini, Nelle trincee di Tripoli, Zanic helli , Bo logn a 1912, pp. 206-207.