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G UADAGN I E TORMEN T I

D I Una Grand E Ind Ustria

La guerra procurò alla SAFFAT (Società degli Alti Forni Fonderie e Acciaierie di Temi) un incremento delle commesse da parte dello Stato, e quindi anche dei guadagni, ma anche molti e inaspettati tormenti.

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Dalla riunione del CdA della Società del 22 maggio 1911, presieduta dall'ingegner Giuseppe Orlando, risulta che il ministero della Regia Marina, in previsione dell'imminente conflitto con la Turchia, aveva richiesto alla Terni con la massima urgenza di aumentare considerevolmente per il primo semestre dell'anno 1912 la fornitura di corazze navali portandola da 3.300, come contrattualmente stabilito, a 8.100 tonnellate. La Terni, di fronte a questa urgente ed imprevista richiesta si trovò in difficoltà perché non aveva sufficienti macchinari per produrre un tale quantitativo di corazze in così breve tempo. Inoltre bisognava fare i conti anche con gli operai ai qua li si sarebbe dovuto richiedere un eccessivo impegno sul lavoro per aumentare la produzione.

Tuttavia la Società si vide costretta ad accettare perché lo Stato era un cliente troppo importante e non si poteva scontentare. Ma essendo nell'impossibilità di fornire tutte le 8.100 tonnellate di corazze nel semestre del 1912, propose di procurarne essa stessa 3.000 tonnellate presso imprese straniere e di passarle poi alla Regia Marina , mentre il restante quantitativo avrebbe fatto carico alla Società. La proposta sembrò soddisfare il ministero che l'avrebbe sottoposta con parere favorevole all'approvazione al consiglio dei ministri.

A questo punto la Terni, sicura che tutto sarebbe andato a buon fine, decise anche di acquistare altri macchinari per aumentare la produzione. Contemporaneamente l'ingegnere Giuseppe Orlando convocò una commissione di operai alla quale dichiarò che "nell'interesse della società e di loro stessi, era necessario che si aumentasse per un certo periodo la produzione, in modo da limitare al minimo la quantità da procurare all'est ero per formare il quantitativo, assai rilevante, che la Regia Marina richiedeva alla Terni. La Società avrebbe certamente compensato questo sforzo, da compiersi temporaneamente, mediante premi sulla maggior produzione."59

Nell'occasione Orlando si appellò anche al sentimento patriottico e al senso del dovere degli operai invitandoli a presenziare "con una loro rappresentanza, a prescindere da ogni idea politica", alla festa dello Statuto del 4 giugno "perché essa ha l'alto significato della consacrazione della nostra unità nazionale."60

Ma le cose non andarono nel senso voluto. Giolitti, in sede di consiglio dei ministri, si dichiarò fermamente contrario alla proposta della Temi di acquistare essa stessa le corazze presso imprese estere per poi passarle alla Regia Marina rilevando che "una volta ritenuto necessario l'acquisto di 3.000 T di corazze all'estero, era per il governo indispensabile(... ] che l'a cquisto medesimo venisse fatto direttamente dal governo stesso, senza l'intermediazione

59 Archivio Storico della Società T ern i (d'ora in poi ASST), II versamento, sedute del Consiglio di Amministrazione e del Comitato Esecutivo, registro 40, seduta del 22 maggio 19 11 , pp. 94-95.

60 Ibidem della Temi, ma rivolgendosi solo a ditte estere, escludendo, cioè, la Temi stessa e la ditta Ansaldo ... " 61

Qyando a fine giugno Orlando riferì ai membri del Comitato Esecutivo della Terni la presa di posizione di Giolitti, adottata, secondo lui , "da ragioni politiche e forse anche da quelle economiche", la reazione fu di costernazione e di delusione. La Temi, fin dal 1886, sfornava corazze per la Regia Marina ed ora improvvisamente si vedeva infliggere un duro colpo al proprio prestigio. Di conseguenza il Comitato incaricò il presidente di recarsi da Giolitti per esporgli "ancora una volta la corretta condotta della Temi" e di scrivere una lettera al ministro della Marina, l'ammiraglio Pasquale Leo nardi Cattolica, per esprimergli il rincrescimento della Società per una decisione che, tra l'altro, dimostrava la volontà "di togliere lavoro all'industria nazionale per darlo all'estero senza viceversa alcun beneficio di prezzo, né di diminuzione dei termini di consegna"

Particolarmente deluso si dimostrò Attilio Odero il quale chiese che nella lettera si ricordasse al ministro che "la Terni, se fossero restati fermi i programmi per la costruzione delle navi, avrebbe certamente, ricorrendo anche a provvedimenti dispendiosi, effettuata la consegna delle corazze in tempo utile, ma data l'anticipazione oggi voluta nell'allestimento delle navi medesime e data la completa utilizzazione della propria potenzialità di fabbricazione, essa avrebbe dovuto, sia pure per una parte ridotta, ricorrere all'estero". 62

Orlando scrisse la lettera "in conformità delle deliberazioni prese" e si recò anche da Giolitti al quale ricordò "la corretta condotta della Temi nella incresciosa questi o- ne" e "la massima buona volontà di soddisfare le esigenze della R. Marina" .

61 Ibidem, p. 98.

62 Ibidem, p. 99.

Ma non ottenne nulla perché il governo indisse una gara internazionale per la fornitura di 4.100 tonnellate di corazze (e quindi non soltanto di 3.000) a seguito della quale risultò vincitrice la Carnegie Steel Company americana che richiese per tonnellata un corrispettivo di lire 21 O inferiore a quello praticato dalla Temi. 63 Comunque, nei mesi seguenti, i rapporti con la Regia Marina tornarono normali e in ottobre, quando era già in corso la guerra con la Turchia, la Società ottenne una commessa per la fornitura di 4.800 tonnellate di corazze.64

Si trattava di un grosso quantitativo, da consegnare "nei tempi voluti dal Governo per indiscutibili ragioni della difesa del Paese", che richiese anche l'acquisto di nuovi macchinari per una spesa di lire 300.000.

A dicembre anche la richiesta di fornitura di proiettili di grosso calibro , da 190 a 305, subì un'impennata, e la Terni, anche in previsione dell'aggiudicazione di una gara per la fornitura di ulteriori 2 .000 proiettili da 305, ritenne opportuno acquistare tre nuovi torni con una spesa di circa 40 mila lire. 65 Sempre a dicembre, uno studio "sulla potenzialità indispensabile" per garantire la fornitura di "corazze, cannoni e proiettili", secondo le impellenti richieste della Regia Marina, convinse la Società ad acquistare a ltri macchinari con una spesa complessiva di 578 mila lire.66

63 Ibidem, p. 112.

64 Ibidem, p. 137.

65 Ibidem, rep. 41, verbale della seduta del CdA del 28 dicembre 1911, p. 1 e 2.

66 Ibidem, p. 4.

Sottoscrizioni E Iniziative Per La Guerra

Dal racconto di Ranieri che ha dipinto con ironia ed efficacia la Perugia della "bell' epoca", risulta che quando giunse la notizia che l' Italia era in guerra con la Turchia la città era distratta da avvenimenti mondani e sportivi, come la manifestazione aeronautica organizzata il 3 ottobre dal ricco e giovane deputato liberale Romeo Gallenga Stuart durante la quale si videro per la prima volta tre velivoli, due monoplani Blériot e un biplano Farman, innalzatisi a Foligno, atterrare a piazza d'Armi a Perugia. Tuttavia, quando si venne a sapere dei tragici fatti di Sciara Sciat, la gente ne fu colpita e si cominciò a "raccogliere denaro per le famiglie dei caduti". 67

Anche tra gli operai e gli impiegati di Terni, come ha ricordato Ottaviani, furono promosse, fin dalla fine di ottobre, sottoscrizioni a favore delle famiglie dei soldati morti e feriti. Al 10 dicembre erano state raccolte lire 1.834,50 tra il personale della SAFFAT e lire 1.865 tra quello della R. Fabbrica d ' Armi. 68

Il 30 ottobre, durante una riunione del CdA della SAFFAT, Giuseppe Orlando, suggerì "di mettere a disposizione dei ministri della Marina e della Guerra la complessiva somma di lire diecimila per le famiglie povere dei soldati italiani combattenti in Tripolitania" . La proposta del presidente fu votata per acclamazione.69

A Terni, verso la fine di novembre, si tenne "un concerto pro Croce Rossa" il cui ricavato fu destinato anch'esso "alle famiglie dei soldati caduti e feriti" nella guerra di Libia. Vi parteciparono gli artisti: Adele Cousin, Fanne Anitua, la violinista Cleofe De Cupis, il tenore Francesco Marconi e i pianisti Piero Cimara e la ternana Grazia Benigni. Il coro era diretto da Furio Miselli.

Il 22 febbraio 1912 anche il consiglio comunale di Temi approvò la concessione di un sussidio "per le famiglie dei soldati morti e feriti". Ma si dovette superare l'opposizione del consigliere socialista Pietro Parini il quale sostenne che l'approvazione di questo sussidio avrebbe anche avuto il significato di approvare la guerra.70

Le notizie delle imprese dei nostri aviatori in Tripolitania avevano suscitato tanto interesse e entusiasmo negli umbri che tra aprile e maggio 1912, su iniziativa dell' onorevole Gallenga e de "L'Unione Liberale" di Perugia, di cui il primo era divenuto il "nuovo patrono", erano sorti vari comitati per la raccolta di denaro da offrire al Governo al fine di potenziare la flotta aerea.7 1 in nostro possesso una vera flotta aerea potremmo mettere in esecuzione il piano di lanciare le nostre aeronavi sui Dardanelli e su Costantinopoli per bombardarli onde non compromettere le nostre unità di mare".

"L'Unione Liberale" del 2 maggio pubblicò un editoriale in cui nel sostenere queste sottoscrizioni inneggiava all'arma aerea con queste parole: "Un anno fa si pensava che gli aerei potessero servire soltanto per esplorazione. Oggi, dopo le prime bombe lanciate dal tenente Gavotti, abbiamo addirittura il tiro organizzato da bordo dei nostri P2 e P3. Oh! avessimo potuto immaginarlo, avessimo ora reg istro 40, p. 141.

70 Archivio di Stato di Terni, d'ora in poi AST, fondo Archivio Storico del Comune di Terni (d'ora in poi ASCT), II, sedute de l consig lio comunale del 1912, b. 32.

71 Cfr. U. Ranieri di $orbello, Perugia della bell'Epoca, ... cit., pp. 535 e 546.

Il 12 maggio, ricorda Ottaviani, su iniziativa di uno di questi comitati, venne affisso a Terni un manifesto con un appello ai cittadini affinché aderissero ad una raccolta di denaro per offrire un aeroplano all'esercito con il nome "Terni".72

Anche a Perugia, sempre su iniziativa di Gallenga e de "L'Unione Liberale", era partita la sottoscrizione per una raccolta di soldi finalizzata a donare all'esercito un aereo l "P · "73 co nome erug1a .

Il 25 maggio la Deputazione Provinciale dell'Umbria, probabilmente al fine di evitare confusione e rivalità tra i vari comitati, decise di costituire un unico comitato umbro "con la fusione di quelli locali".

A questo supercomitato, il 3 giugno, decise di aderire il Comune di Spoleto con il modesto versamento di lire 300 "prelevando detta somma dal maggior reddito della tassa bestiame, prevista in lire 56 .000 e accertata in lire 58.758, 90". 74

Anche il Comune di Terni, il 31 maggio, decise di concorrere ali' acquisto di un velivolo per l'esercì to col nome "Terni". La somma stanziata fu generosa, lire 2.000, ma nell'aula consiliare, al momento della approvazione della delibera, ci fu contestazione da parte del pubblico presente e il sindaco, il repubblicano Vittorio Faustini, per fare cessare i commenti, fu costretto a minacci ar e di fare sgombrare l'aula. 7 5 Probabilmente i dissenzienti erano d'accordo con quanto aveva scritto Pietro Parini su "La Turbina" dell'll maggio a proposito della sottoscrizione per l'acquisto dell'aero pl ano. Ecco le parti più salienti dell'articolo:

72 Cfr. D. Ottaviani, Il Novecento a Terni, ...cit., p. 48.

73 Cfr. U . Ranieri D i Sorbello, Perugia della bell'Epoca, ...cit., p. 546.

74 ASS, sedute del consiglio comuna le del 191 1.

"Nelle scuole, alla Fabbrica d'Armi , alla Acciaieria, è stato passato l'ordine di raccogliere fondi per l'aeroplano. Si fa correre la voce che un co mitato di signore si prepari a portare il proprio contributo di grazia, di adesione e di concorso all'impresa[ ] Noi abbiamo già detto il nostro pensiero, abbi amo detto, cioè, che non possiamo appoggiare e dare il voto ad una proposta che significa esaltazione del militarismo. [... ] Abbiamo senti t o ripetere da qualche repubblicano il motto 'Prima italiani e poi repubblicani', un motto che ci ha fa tto pietà. Costoro non conoscono l'anima del loro ideale da cui sorsero l'it a lianit à e la Patria, per cui la monarchia fu costretta, riluttante, a seguire fino a R oma Mazzini, cioè la ri voluzione. Non per i principi, dunque, l'amministrazione comunale ha proposto di concorrere alla spesa di un aeroplano, ma perché Terni è il paese dell'industria metallurgica sovvenzionata - è il paese della Temi - la quale ha aggiogato al proprio carro, e alla propria volontà, buona parte del Partito Repubblicano che in quasi tutte le regioni d'Italia è contrario alla guerra. Qui per questioni di interessi, qui per ragioni elettorali, qui per odio ai socialisti, anche i princìpi più alti si annebbiano, s'oscurano, si dimenticano, s'allontanano.

Qyi conviene che la Temi trionfi, che la Temi trionfi nelle officine, che la Temi trionfi nei propri e negli affari delle proprie clientele, che la Temi trionfi con una forma non nazionale ma nazionalista, che dica fuori di qui che essa ha in pugno il paese [... ]

Anche noi ammiriamo i grandi trionfi della scienza. Il giorno in cui il 1° dirigibile militare, navigando pel cielo di Roma, passò sul Vaticano, salutammo la gloria del pensiero che spazza va finalmente l'ultimo sogno della Chiesa.

Ed il giorno in cui Blériot passò col suo aeroplano la Manica, sui nostri cuori irradiò con luce di vittoria l'idea socialista. Noi vedemmo con esso la distruzione dei confini e di tutte le b arriere . Ma l'aeroplano, il dirigibile , sono per noi le ali librate della fratellanza umana che andrà presto a raggiungere la sua culla e la sua meta nella umanità redenta e non già gli strumenti di oppressione, di distruzione e di morte."

Parini, nel 1908, era stato condannato nella sua qualità di direttore de "La Turbina", ad un anno di reclusione a seguito di una querela per diffamazione presentata nei suoi confronti dalla società Terni. In quei giorni la Camera del Lavoro, retta da repubblicani e socialisti rivoluzionari, si era accordata con la Temi ponendo fine ad uno sciopero che Parini con il suo giornale aveva fortemen t e sostenuto.

Q}iesti antefatti potrebbero spiegare il risentimento di Parini nei confronti della Temi e dei repubblicani ternani, ma non sminuiscono, a nostro avviso, il valore morale della sua denuncia contro l'uso degli aeroplani per scopi bellici.

Dopo circa due mesi di relativa calma la guerra ricominciò a est lungo la costa ad iniziativa degli arabo-turchi i quali cercavano di riprendersi i porti della Cirenaica occupati dagli italiani. Il 3 marzo toccò a D erna dove reparti del generale Capello vennero attaccati presso la ridotta Lombardia da forze nemiche a capo delle quali vi era Enver Bey, uno dei Gio vani Turchi che, coadiuvato da Mùstafa Kemàl, il futuro capo della Turchia, era al comando di quel settore . Dopo 12 ore di combattimenti gli italiani riuscirono a respingere l'attacco.

Episodi del tutto simili si ve rifi carono a Tobruk, 1'11 marzo, allorché i nostri fanti vennero assaliti mentre stavano costruendo una ridotta, e a Bengasi, il 12, dove gli uomini del comandante Ottavio Briccola furono impegnati in durissimi scontri riportando ingenti perdite, 38 morti e 144 fer iti, prima di respingere gli attaccanti tra i quali furono viste anche donne arabe.76

Qyesti scontri stavano a dimostrare che in aprile, a sette mesi dello s barco, g li italiani si trovava no ancora n ei porti occupati, nell'impossibilità di spingersi all'interno, mentre l 'iniziativa era in mano agli arabo-turchi che li accerchiavano potendo anche contare sull'appoggio della popolazione. A Tripoli gli uomini di Caneva, protetti dai cannoni delle navi, avevano il controllo della costa fino all'oasi di Zanzur ancora in mano al nemico dove arrivavano rifornimenti trasportati dalle carovane provenienti dal confine tunisino. A sud est di Tripoli era stata occupata Ain Zara che distava una decina di chilometri, ma non il vasto entroterra desertico con le oasi del Fezzan.

Le notizie che provenivano dalla Libi a generalmente non occupavano più le prime pagine dei giornali umbri. Anche quelli che erano stati favorevoli alla spedizione tripolina relegarono in seconda o terza pagina gli scontri, anche se vittoriosi, sostenuti dal corpo di spedizione. Un certo risalto, ma sempre nelle pagine interne del giornale, venne dato da " L' Unione Liberale" al ritorno dei militari della classe 1888 che, come si ricorderà, erano partiti dall'Umbria tra ottobre e novembre con la prima e la seconda ondata del corpo di spedizione. D ai fogli matricolari risulta che costoro furono tutti rimpatriati e cong edati tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1912, cioè, circa sei mesi dopo la partenza. Mol t i rientravano al proprio paese alla spicciolata come il bersagliere eugubino dell' 11 ° Annibale Giombini, il cui ritorno a casa è stato ricordato in questo modo su "L'Unione Liberale" del 2 maggio:

"Ieri, improvvisamente, giun se a Gubbio il bersagliere Annibale Giombin i, richiamato del 1888. Ha preso parte a tutte le campagne più cruente come quelle del 23 e 26 ottobre e 19 dicembre. In quest'ultima presso Bir-Tobras vide cadere fulminato ai suoi piedi il compagno e camerata Guglielmo Vispi al quale dette da sé stesso onorata sepoltura.

Sceso dal treno dirigevasi a casa quando, accortosene delle persone, vollero interrogarlo e saputolo un reduce lo portarono trionfalmente in città seguito da una fiumana di popolo che andava mano a mano accrescendo.

Essendo venuto di ciò a conoscenza il sindaco, cav. avvocato Giuseppe Gatti, che trovavasi in giunta, volle che fosse il bravo giovane comparso subito dinanzi alla prima autorità del paese; dopo offerto un improvvisato rinfresco volle accompagnarlo egli stesso con il suo legno a casa che dista dalla città otto chilometri. Il povero giovane che appartiene ad una modesta famiglia di contadini era commosso da tanta dimostrazione di unanime consenso popolare. Oggi poi il sindaco lo ha voluto suo commensale. Del glorioso 11 ° bersaglieri facevano parte otto concittadini dei quali due morti sul campo di battaglia."

I reduci furono ovunque accolti con tutti gli onori dalla gente e dalle autorità dei loro paesi, con l'eccezione di qualche amministrazione comunale. Quando, il 27 aprile, Andrea Nappini, anche lui dell'l 1° bersaglieri, tornò al paese di Pozzuolo, "tutto il popolo" scrive il giornalista de "L'Unione Liberale", "si riversò sulla piazza acclamando all'eroico superstite di tanti combattimenti. Il caro giovane dall'occhio inumidito per l'emozio ne veniva baciato , abbracciato, sballottato da una folla delirante di compaesani che non finivano mai di salutarlo e di interrogarlo." Scene simili, riportate dallo stesso giornale, si verificarono in altri paesi dell'Umbria. II 28 aprile a Scheggia, quando giunse la notizia che il bersagliere dell'l 1° Salvatore Ceccarelli stava tornando a casa, una folla di persone con alla testa "la Rappresentanza municipale, i Sodalizi tutti con i rispettivi Gonfaloni, preceduti dal Concerto cittadino si recarono ad incontrarlo a oltre un chilometro dall'abitato".

A Monteleone di Spoleto per il ritorno dell'artigliere

Pietro Vannozzi e del se rgente Giuseppe Chimenti furono "imbandierate e pavesate tutte le vie" . I due reduci "abbronzati dal sole africano", in mezzo a "una fiumana di popolo" che gridava "Viva Tripoli Italiana", furono fatti sfilare per il paese accompagnati dalle scolaresche e dalla banda musicale che suonava "inni patriottici" . Al teatro

F. Cavallotti, dopo i discorsi delle Autorità, "fu servito un suntuoso rinfresco." Altre trionfali accoglienze vennero riservate ai reduci dai cittadini di Norcia, S. Venanzo, Cascia, Deruta e da altri paesi dell'alta Umbria. Anche a Gualdo Tadino quattro bersaglieri dell'11° reggimento percorsero la cittadina in mezzo ad una folla festante mentre dalle finestre si gettavano "fiori e stampe" al loro passaggio. Ma poiché "era assente la Rappresentanza Comunale, la folla emise delle grida ostili e invase il Municipio per offrire per proprio conto un vermuth d'onore ai Reduci nella sala maggiore".

A Città di Castello sette reduci furono accompagnati per le vie della città da un corteo improvvisato di cittadini dal quale si levavano grida inneggianti al re e all'esercito italiano. Al corteo non partecipò nessun rappresentante del Comune e questa "assenza fu severamente commentata".

"Un'onda di patrio entusiasmo" accolse tre reduci del 52° reggimento al loro arrivo a Sanfatucchio di Castiglion del Lago dove "le signorine spogliarono i loro giardini per presentare eleganti mazzi di fiori ai loro eroi". Anche il sacerdote don Italo Topini, dopo una solenne funzione religiosa, volle dare loro il benvenuto rievocando le "glorie del glorioso 52° fucilieri". A Torgiano, in occasione del ritorno di due fucilieri del 51 ° reggimento si formò "un imponente corteo" e i reduci furono portati a spalla dai giovani del paese fino al Municipio dove fu offerto un rinfresco.

A Todi, otto reduci appena arrivati "furono portati in trionfo in un lungo corteo di musiche, acclamazioni e bandiere" e fu offerto "in loro onore un rinfresco nella sede della società ginnastica "Marzia Todi": Anche questa vo lt a il cronista de "L'Unione Liberale" non registrò la presenza di rappresentanti del Comune.

Il 13 maggio, a Perugia, tornarono 87 reduci dalla Libia e "L'Unione Liberale" riservò all'avvenimento un'intera pagina. L'arrivo previsto per le 16, 30 fu annunciato con un manifesto della Sezione giovanile dell' "Associazione Liberale Monarchica" che invitava la cittadinanza ad accorrere per offrire una "indimenticabile dimostrazione" a questi Cacciatori delle Alpi che, "infiammati dai ricordi dell'epopea garibaldina combatterono gloriosamente a Henni, Ain Zara e a Gargaresch". Alle 16 una gran massa di gente rispose all'invito e accorse alla stazione. C'erano i rappresentanti di molte associazioni e istituzioni quali: "I Reduci delle patrie battaglie, L'Associazione Liberale Monarchica, il Circolo Giovanile V. E., il gruppo Nazionalista, Il Tiro a Segno, la Croce Rossa, la Croce Bianca, la Croce Verde, la Società Operaia, L'Istituto Agrario, L'Università, il Liceo, l'Istituto Tecnico, la scuola normale e il gruppo Liberi lavoratori." Tra le Autorità: il sindaco Luciano Valentini, un rappresentante del Prefetto e i l comandante del 51 ° reggimento di Perugia. I vagoni ferroviari, secondo la ricostruzione del cronista de "L'Unione Liberale", furono "presi d'assalto" da amici e parenti e i "bravi giovanotti, tutti neri come abissini, dalle maschie facce aperte, abbronzate dal sole africano", rimasero "come confusi dall'entusiastica dimostrazione". Poi, mentre le signore presenti li ricoprivano di fiori, si avviarono inquadrati verso il centro della città tra due ali plaudenti di folla. Il corteo giunse in piazza del Municipio gremita da così tanta gente che si era formata "una barriera insormontabile dalle gradinate del Duomo e del municipio giù, giù per tutto il corso Vannucci, via Marzia e corso Cavour."

In quel momento l'entusiasmo era tale che i reduci, "alleggeriti dagli zaini e dai fucili" , furono "issati sulle spalle da amici e parenti."

A Terni la notizia del ritorno di dodici reduci fu data soltanto da "La Turbina" del 4 maggio in questo modo: "Ieri sono tornati dalla Libia dodici nostri concittadini. Tutta Terni stava a riceverli. Sono stati arrestati alcuni giovanotti per il delitto di aver gridato 'Abbasso la Guerra!'. Roba da medioevo." Il giornalista evita di usare il termine "reduci" (evidentemente era troppo militaresco) e non fornisce nessun'altra informazione sul tipo di accoglienza ricevuta dai dodici "concittadini" (che, a nostro avviso, dovrebbe essere stata molto calorosa), né ci dice a quale partito o movimento politico appartenevano i giovani contestatori.

Per quanto riguarda lo spazio che "L'Unione Liberale" dava al ritorno dei soldati dalla Libia accadeva un fatto singolare: mentre l'edizione perugina del giornale riportava con dovizia di particolari le notizie del loro ritorno nei vari paesi del circondario del distretto militare di Perugia, inspiegabilmente, l'edizione ternana del giornale ignorava completamente il ritorno di reduci a Terni e dintorni. E questo accadeva anche se, è il caso di precisare, dai fogli matricolari risulta che i richiamati del distretto di Spoleto, nel cui circondario c'erano Temi, Spoleto e tutti i paesi della Valnerina, partirono da Napoli contemporaneamente a quelli di Perugia e tornarono via Siracusa negli stessi giorni . Qiesta diversa attenzione ai reduci dipese sicuramente da scelte dei redattori dei due giornali ma non è da escludere che queste scelte siano state determinate dal fatto che a Perugia la gente dimostrava di essere più favorevole che a Terni alla guerra, grazie anche agli articoli de "L'Unione Liberale" e ali' attivismo dell'onorevole Gallenga.

Il giovane deputato, infatti, fra una Lectura Dantis e l'altra, era sempre pronto ad esaltare i nostri combattenti e a battersi contro gli antimilitaristi. In aprile, con una interrogazione al ministro dell'Interno , sollevò il caso dell ' Internazionale di Parma che aveva aperto una sottoscrizione a favore dei disertori, e tanto fece che rius cì ad ottenere non solo l'incriminazione dei giornalisti ma anche di coloro i quali avevano aderito alla sottoscrizione. 77 Mentre in Umbria molti soldati tornavano altri partivano come rincalzi per i vari reggimenti che altrimenti si sarebbero trovati a corto di uomini. Sembra che queste partenze in Umbria siano avvenute senza che vi siano state manifestazioni di dissenso dei partiti sovversivi. Ma altrove, come ad esempio nella zona di Ancona, dove la presenza degli anarchici era molto forte, la situazione era diversa.

"L'Unione Liberale" del 1 maggio riportò questo episodio accaduto a Fano tre giorni prima:

"Fano, 28 - Stamane, con un treno speciale, so no partiti pel teatro della guerra 90 soldati del nostro 94° fanteria, quasi tutti volontari. Per quanto l'ora fosse poco propizia, pure parecchia gente accorse alla stazione a salutarli.

La partenza fu però turbata da un incidente. Mentre al suono degli inni patriottici la folla applaudiva ai bravi fucilieri, un gruppo di sei o sette teppisti, noti come anarchici, cominciò a lanciare grida di 'Abbasso la guerra! Abbasso l'esercito!' ed altro. Alcuni cittadini e qualche ufficiale diede loro sulla voce energicamente. Ma quelli urlarono più for te. Ed allora cittad ini e qualche ufficiale diedero loro addosso e nacque un parapiglia."

Il 30 maggio a Perugia, quando 80 soldati del 51 ° fanteria partirono per la Libia i saluti da parte della gente furono calorosi. Fin dalle 7 di mattina, come riportò il giorno successivo "L'Unione Liberale", il cortile della caserma Biordo Michelotti dove era acquartierato il reggimento, si animò dei "saluti cordiali e clamorosi" che i commilitoni riservarono ai "fratelli" in partenza. E mentre il comandante passava in rivista la schiera in assetto di guerra, in corso Cavour la gente si "pigiava sulle finestre adornate di grandi drappi tricolori" in attesa del passaggio dei soldati. In strada, "le associazioni, gli istituti e le rappresentanze di società patriottiche con le loro bandiere si ordinavano in corteo" per accompagnare i soldati alla stazione dietro la banda cittadina che suonava la marcia reale . "I bravi ragazzi, tutti sorridenti, con i fiori al moschetto, nello zaino, al berretto" passarono tra una folla che li applaudiva "in una commovente ed indimenticabile" dimostrazione di affetto.

Ne llo stesso numero "L'Unione Liberale" diede la notizia di un banchetto che si sarebbe dovuto tenere nella platea del teatro Pavone il prossimo 2 giugno in onore di 100 reduci dalla Libia. Secondo l'intento degli organizzatori, al grande simposio avrebbero preso parte, oltre ai reduci, almeno 500 persone e le massime autorità cittadine. Nell'occasione il sindaco di Perugia avrebbe dovuto consegnare ai soldati e ai militi della Croce Rossa, anch'essi reduci dalla Libia, una medaglia commemorativa fatta coniare dal Municipio.

Tre anni dopo tutti questi reduci umbri, come risulta dai fogli matricolari, se non esentati per motivi di salute, familiari o altro, furono nuovamente chiamati alle armi per combattere nella Grande Guerra.

Con i continui arrivi il corpo di spedizione aveva ormai raggiunto i centomila uomini i quali, come abbiamo visto, occupavano soltanto le città costiere trovando grandi difficoltà a spingersi all'interno, nonostant e che alcuni reparti fossero dotati di automezzi pesanti forniti da ll a FIAT. "I soli a staccarsi dalla costa" scrive Del Boca, "e ad inoltrarsi per qualche decina di chilometri nello 'scatolone di sabbia' sono i patetici monoposto di Moizo e Gavotti e, dal 5 marzo 1912, anche i dirigibili P2 e P3 sono usati principalmente nella ncog01z1one fotografica e topografica."78

"L'Unione Liberale" del 9 maggio diede risa lto all'impresa del dirigibile P3 comandato da l capitano Valli che, oltre alle ricognizioni, aveva bombardato in quei giorni l'accampamento arabo-turco di Aziziah lasciando cadere "una trentina di grosse e potenti bombe".

St ampa e opinione pubblica in Italia si int eressavano alle operazioni terrestri del nostro esercito ma non a quell o che accadeva sui mari. La Marina era pressoché ignorata perché i compiti di scorta ai convogli, la perlustrazion e delle coste e la lotta al contrabbando di armi, anche se per nulla secondari, non fac evano notizia. Ammiragli e vice ammiragli mordevano il freno affinché alla flotta italiana, una delle più potenti del mondo, fossero affidati ruoli più importanti. Probabilmente fu anche per i loro consigli e le loro pressioni che Giolitti decise di aprire un altro fronte, mandando la flotta con un corpo di spedizione a colpire la Turchia nei suoi possedimenti insulari del basso Egeo, a poche miglia da Smirne.

L'operazione venne condotta a termine celermente, e tra il 28 aprile e il 20 maggio vennero occupate Stampalia, Lisso, Calino, Calchi, Piscopi, Lero, Simi, Coo, Scarpanto, Caso, Patmo e Nisiro.

Soltanto a Rodi, dove vi era una guarnigione forte di 1.500 turchi, gli uomini del generale Giovanni Ameglio, il 16 maggio, incontrarono una forte resistenza e dovettero combattere tutto il giorno prima di ottenere la resa del nemico. I caduti italiani furono 11 e quelli turchi circa

100.79

Molti paesi europei, compresa l'Austria che aveva consentito soltanto l'occupazione di tre isole, reagirono negativamente e pertanto Giolitti dovette porre un freno ai suoi ammiragli che invece volevano continuare l'operazione e impadronirsi di altre isole.

Per rappresaglia ali ' occupazione del Dodecaneso la Turchia decise di espellere settantamila italiani presenti nell'impero ottomano . L'afflusso improvviso di questa massa di profughi bisognosi di assistenza causò in Italia non pochi problemi ai quali generalmente si fece fronte con raccolte di denaro. Il 28 giugno il sindaco di Terni, Vittorio Faustini, propose al consiglio comunale di deliberare a loro favore un contributo di mille lire. Ma anche questa volta Pietro Farini si oppose chiedendo che in alternativa venisse approvato il seguente ordine del giorno:

"Il consiglio comunale di Terni esprime profondo e vivo sentimento di fratellanza per gli Italiani espulsi dalla Turchia, ma poiché spetta al governo la responsabilità della guerra e delle sue conseguenze, deve spettare anche a lui di pro vvedere direttamente agli espulsi." 80

Alla richiesta di Parini si associarono i consiglieri Giuseppe Amici e Romeo Magrelli, ma il consiglio comunale la respinse e approvò la proposta del sindaco . A luglio, in un albergo di Losanna, cominciarono le trattative di pace tra turchi e italiani. I primi erano disposti a riconoscere l'acquisizione da parte italiana delle città e delle coste della Libia già occupate e un'ampia autonomia della Tripolitania e della Cirenaica, sotto la sovranità nominale turca, mentre l'Italia pretendeva che le venisse riconosciuta la sovranità sull'intero paese in base al decreto di annessione del novembre dell'anno precedente. Ma dopo oltre un mese e mezzo le trattative erano a un punto morto perché, come ricorda Romano, "Giolitti non voleva rimangiarsi il decreto sulla sovranità e i turchi non volevano cedere una pro vincia che l'Italia non aveva ancora conquistato". 81

Per sbloccare la situazione e poter trattare da una posizione di forza Giolitti aveva bisogno che il nostro esercito ottenesse una vittoria significativa sul terreno. Ma la prudenza con cui Caneva comandava il corpo di spedizione era di impedimento a questa strategia. Così ai primi di settembre il capo del governo decise di sostituirlo con due generali: Ottavio Ragni a cui affidò il settore della T ri poli tani a e Ottavio Briccola a cui assegnò quello della Cire- naica. Quest'ultimo il 17 sett embre, a Derna, mosse le truppe contro l e posizioni nemiche poste su un'altura dove Enve r Bey aveva il suo quartier generale e se ne impossessò dopo un aspro combattimento.8 2 Tre giorni dopo

80 AST, ASCI, II, registro delle sedute del consig lio comunale del 1911.

81 Cfr. S. Romano, La Qµarta Sponda, ...cit. p. 247.

R agni decise di occupare l'o asi di Zanzur da dove pas savano le carovane che dall a Tu n isia portavano i rifornimenti agli arabo-turchi che assediavano Tripo li .

In questa azione una parte determinante l'ebbe il 52° fanteria .

82 Su " L' Unione Libera l e" del 2 ottobre è stata r iportata la lettera di un tenente med ico, tale Verecondo Paole tti, de l 7° battaglione eritrei con il resoconto dello scontro durante i l quale gli ascari uccisero 1.200 a r abi . Tr a gli it a li an i rimase ucciso un cap itano mentre due ufficiali furono feriti. Gli ascari ebbe r o 2 1 morti e 59 fe r iti.

Ragni mosse contro l'oasi di Zanzur lungo la costa con quasi tutte le forze disponibili, circa 20.000 uomini, e con la copertura di tre navi da battaglia: l'Etna, la Partenope e la Solunto.

Zanzur, dove si trovavano 8.000 arabo-turchi, venne circondata ma molti nemici riuscirono a uscire dall'oasi e a trincerarsi sull'altura di Sidi Bila! a picco sul mare dove organizzarono una forte resistenza. Ne scaturì una accesa battaglia durante la quale si distinsero i fanti del II e il III battaglione del 52° reggimento che riuscirono ad avere la meglio sul nemico dopo ripetuti assal ti alla baionetta al grido di "Italia e Garibaldi!". Al loro comando vi era anche un capitano che sventolando un fazzoletto rosso li incitava così : "Avanti figlioli! In nome d'Italia e quello di G aribaldi: ecco lo l'emblema della nostra brigata. Avanti! Avanti!".83

La battaglia sembrava conclusa quando sopraggiunsero a piedi e a cavallo migliaia di arabo-turchi che, nonostante il fuoco di sbarramento degli ita liani, riuscirono a spingers i fino alle postazioni dei cannoni decimandone ufficiali e serventi. Si combatté per molte ore e soltanto alla sera, con l'impiego delle ris erve, gli ita l iani ri uscirono a respingere gli assalitori.

A Sidi Bila! gli arabo-turchi, secondo stim e italiane, lasciarono sul terreno oltre 2.000 morti mentre gli italiani ebbero 120 morti e 433 feriti. Gli ufficiali morti furono 11 e 33 i feriti. Si trattò della battaglia più sanguinosa dopo quella di Sciara Sciat, e anche l'ultima della guerra italo -turca perché neanche venti giorni dopo si arrivò al cessate il fuoco.

83 Cfr. "L'Unione Liberal e" del 27 settemb re 1912.

Il 52° perse 5 ufficiali, tra cui il capitano medico Giovanni T en toni, anni 38, di Spello, e 29 uomini di truppa . Tra i feriti del reggimento vi fu il capitano Ugo Gigliarelli di Spoleto.84

II 25 settembre il consiglio comunale di Spoleto commemorò i caduti del 52° reggimento e inviò un telegramma di cordoglio al giudice del tribunale Giovanni Battista Tentoni, fratello del capitano medico rimasto ucciso. Successivamente con il regio decreto 19 gennaio 1913 alla bandiera del reggimento venne concessa la medaglia d'oro "per la splendida condotta tenuta durante tutta la campagna di Libia 1911-1912 e in particolare per l'eroico valore spiegato nella battaglia di Sidi Bilal (20 settembre 1912)".

Nonostante il sangue versato non sembra che la battaglia per la presa di Zanzur, (annoverata ingenerosamente da Del Boca t ra "gli inconcludenti fatti d'arme libici") abb ia avuto una qualche influenza sulle trattative in corso. Inoltre (sempre secondo Del Boca) l'alta percentuale delle perdite tra gli ufficiali avrebbe dimostrato non tanto il loro valore, "quanto lo scarso slancio della truppa che era poco motivata."85

Enver Bey, il comandante turco che a detta di S. Romano sapeva "maneggiare le armi della propaganda", in una conversazione con l'addetto militare francese a Costantinopoli, disse che, secondo lui, gli ufficiali italiani erano "intelligenti, coraggiosi, persino eroici" ma gli uomini di truppa erano "codardi" perché "troppo giovani", dei "coscritti" non in grado di competere con i beduini che combattevano per la loro terra.86 Dopo la guerra il tenente turco Regeb Negib confermò questo giudizio alle autorità italiane con la seguente affermazi one: "Se volete un giud izio imparziale e generale sulle vostre truppe, vi dirò che gli ufficiali italiani erano in complesso migliori di quelli turchi, ma non posso dire altrettanto dei soldati" .87

84 Ibidem. In un articolo dal titolo Il valore dei figlì dell'Umbrìa è stato scr i tto che durante la battaglia il capitano Ugo Gigliarelli fu fer ito ad una spalla e ad una coscia e che dopo aver riportato quest'ultima ferita s i sarebbe rivolto ad un soldato dicendogli sorridendo: "Ora puo i portarmi via, non valgo più niente. Con due pallotto le in corpo è difficile combattere".

85 A. Del Boca, Gli Italiani in Libia, ...cit., p. 190 (nota 103).

Effettivamente, contrariamente a quello che si cred eva (o si voleva far credere) in Italia, sembra che nel corpo di spedizione serpeggiasse un malumore che avrebbe potuto determinare questo comportamento. Gli uomini, a parere del viceconsole di Bengasi, erano "impreparati a sopportare le fatiche di una tale campagna", il caldo era tremendo e molti cadevano rapid amente ammalati"e dovevano essere "urgentemente rimpatriati" 88. Anche il cibo in scatola, che con il calore si avariava presto, era causa di frequenti malori. E poi, oltre al colera sempre presente nella zona di Tripoli, vi erano altri pericoli per la salu te dei soldati come i numerosi casi di tifo e di meningite cerebrospinale che il governo di Giolitti, secondo un diplomatico francese, cercava di tenere segreti all'opinione pubblica italiana.89

Il diffondersi tra la truppa di malattie dovute a questi fattori trova confe rma nei fogli matricolari dei distretti umbri dove risu lta che almeno il venti per cento dei soldati veniva rimpatriato "per malattia" dopo qualche mese di

86 S. Romano, La Quarta Sponda, cit., p., 222.

87 A. Del Boca, Gli Italiani in Libia, ... cit., p. 198 (nota 136).

88 Ibid em permanenza in zona di guerra. Da un'indagine statistica effettuata dall' "Avanti!" risultò che ben 23.921 soldati italiani furono rimpatriati per malattia durante i dodici mesi di guerra.9 0

Bi S. Romano, La Quarta Sponda, ...cit., p. 240 ( nuovo volume).

Dopo la battaglia di Sidi Bilal non vi furono in Libia altri fatti d ' armi degni di nota eccetto un'avanzata di Briccola, senza incontrare resistenza, nella zona di Derna fino al litorale di Bomba.

Ad imprimere una accelerazione ai negoziati di pace che si stavano tenendo a Ouchy nei pressi di Losanna intervenne un fatto nuovo. Approfittando della guerra italoturca, Montenegro, Serbia, Bulgaria e Grecia il 30 settembre si coalizzarono e mobilitarono i loro eserciti contro l'impero ottomano per liberare definitivamente i territori ancora sotto la sua sovranità.

Giolitti comprese che questa era un'occasione da non perdere e il 2 ottobre fece pervenire al governo turco un ultimatum in cui comunicava che se entro il 10 ottobre non si fosse giunti alla firma di un accordo l'Italia avrebbe ripreso la guerra nell'Egeo. Con un successivo ultimatum fece slittare la data alle 21,30 del 15 ottobre ma con l'avvertimento che, nel caso in cui i turchi avessero ancora tergiversato, l'Italia avrebbe attaccato con le sue navi le fortificazioni di Smirne e tagliato il nodo ferroviario di Dodeagatch impedendo di fatto alle forze turche di intervenire in Macedonia contro l'avanzata degli eserciti greci e bulgari.

I turchi cedettero e la sera del 15 ottobre, nonostante l'opposizione dei capi arabi che temevano di essere lasciati a se stessi, si decisero a firmare un accordo di pace. Contemporaneamente il governo italiano ordinò a Ragni e a Briccola di cessare le ostilità.

90 La sta tistica è sta t a pubb licat a sul! ' "A va nti !" del 29 luglio 1913 e r iporta t a d a Del Boca in Gli Italiani in Libia, ...cit., p. 196.

Il trattato di pace venne firmato il 18 ottobre preceduto da un decreto ("firmano") del sultano Maometto V con il quale veniva concessa piena autonomia alle province ( vitalyet) della Tripolitania e della Cirenaica.

Con lo stesso atto il sultano nominava in Libia un suo rappresentante in funzione di console e si riservava il diritto di nominare un cadi che attraverso gli ulema avrebbe dovuto garantire il rispetto del culto musulmano e l'osservanza della legge islamica da parte delle popolazioni locali.

A sua volta l'Italia si impegnava a restituire le isole del Dodecaneso non appena i turchi avessero lasciato la Libia. Si impegnava inoltre a titolo di risarcimento a versare nelle casse del debito pubblico ottomano una somma corrispondente al mancato reddito derivante all'impero per la perdita delle due province.

In Italia, non appena fu diramato il testo del trattato, gran parte dell'opinione pubblica reagì positivamente ma non mancarono le critiche, specialmente da parte dei nazionalisti che con l'impegno di restituire alla Turchia le isole del Dodecaneso vedevano sfumare il sogno di un impero italiano del Levante. Si disse, tra l'altro, che concedendo al Sultano la facoltà di nominare un console e un cadi gli si lasciava anche il potere politico e religioso. Si parlò anche di una sovranità italiana incompleta o attenuata, esercitata in condominio con i turchi . Ma "nessuno s'accorse", scrive S. Romano "che per la terza volta nella sua storia recente l'Italia otteneva ciò che desiderava nel modo peggiore. Nel 1859 e nel 1866 aveva avuto la Lombardia e il Veneto dalla Francia, non dall'Austria; nel 1912 la Tripolitania e la Cirenaica le erano state abbandonate, non cedute. In ciascuno dei tre casi l'Italia si vedeva privata dell'unico titolo che conferisca legittimità ad una conquista: il riconoscim en to dei vinti".91

I giornali filo governativi come "La Stampa" e "La Tr ibuna" esultarono e uscirono con titoli entusiastici. Il "Corriere della Sera" del 18 ottobre approvò anch'esso i termini del trattato di pace ma con toni molto più contenuti in vi tando i critici a non cercare nel protocollo e nel "firmano" del Sultano soltanto "i particolari che hanno apparenza contraddittoria" ma a guardare al risultato raggiunto, cioè la sovranità dell'Italia sulla Libia.

In Umbria "L'Unione Liberale" del 18 ottobre pubblicò il risultato di un sondaggio tra i perugini dal quale risultava che "la maggioranza" era contraria al trattato perché sminuiva il "prestigio conquistato dal Paese in un anno di guerra".92 La questione del prestigio che si reputava compromesso dai termini del trattato era ripresa e approfondita nell'editoriale pubblicato sullo stesso numero in questi termini: "Perché si è fatta la guerra? Non certamente per l'illusione che la Libia potesse fruttare ricchezze all'Italia - che anzi da tutti si sa come la conquista per un lungo periodo d'anni costerà moltissimo - ma per un ele m ento tutto morale: per il prestigio dell'Italia che evidentemente sarebbe scaduto se un'altra potenza si fosse impadronita del territorio sul quale vantavamo diritti ormai riconosciuti. [ ... ] Ma questa pace giunge essa davvero ad appagare l'amor proprio nazionale e a rafforzare il prestigio italiano davanti alle grandi Nazioni? Tutti sentiamo ben chiara- mente di no. Tutti sentiamo che se la guerra avrà rialza to nel mondo il concetto del popolo nostro, la pace fatta in questo modo non avrà elevato il prestigio dello Stato italiano".

91 Ibidem, p. 276 (nuovo volume).

92 Cfr. "L'unione Liberale" del 18 ottobre 1912.

Il 19 ottobre "La Turbina" rispondeva a "L'Unione Liberale" in questi termini: "Il Nazionalismo grida contro la 'pace ontosa'. E a ragione dal canto suo; poiché la sua logica in tutta questa vergogna libica fu al imentata di menzogne. E di menzogne esso nutrì l'opinione pubblica quando la ingannò sulla resistenza indigena, sulla decantata facilità dell'impresa. E che altro se non una serie di esagerazioni e di menzogne furono i reso conti delle operazioni militari? Arabi sventrati a migliaia, battaglie omeriche in cui anche i cani da guerra italiani erano più valorosi dei cani turchi!9 3 A gente così rimbambita che dettava ordini e accendeva entusiasmi nei caffè la pace è sembrata un'onta. E gridano a perdifiato anche perché, o forse solamente perché, le azioni dei fornitori di armi sono subito discese. All'annuncio della pace di Losanna, infatti, le azioni della patriottica società Temi sono discese".

Il 20 ottobre ''L'Unione Liberale" ritornava sull'argomento citando un editoriale de "L'Esercito", la rivista delle "sfere militari", dove si sosteneva che "i formalismi del trattato di pace, se non significano proprio uno stato di inferiorità da parte nostra, non possono rappresentare davvero quell'atto di imperio a cui davano giusto diritto le incomparabili prove di slancio e di eroismo del nostro soldato e le gloriose vittorie da esso strappate al nemi co .[.. .]

È il sentimento nazionale ferito quello che deprime gli animi e respinge l'accordo".

93 Durant e la guerra gli italiani usarono i dogo sardesch i e i pastori e mastini fonnesi.

Il commento più lucido e ironico lo fece come al solito Salvemini che sulle pagine de "L'Unità" scrisse: "A chi sorride il trattato di Losanna: alla Turchia? all'Italia? ai maomettani della Libia? a tutti? a nessuno?

Noi abbiamo un'impressione generica, quasi istintiva, che il trattato di Losanna sia destinato a rimanere nella storia delle relazioni internazionali come una delle più raffinate corbellature diplomatiche. La corbellatura è così squisita e perfetta che sarà sempre estremamente difficile finanche il determinare chi precisamente è stato corbellato. Un capolavoro del genere."9 4

Inoltre per Salvemini una cosa era certa: l'Italia accettando in Libia un "luogotenente" del Sultano di Costantinopoli, si era rimangiata, sia pure formalmente, "il nefasto decreto di sovranità piena e intera del 5 novembre 1911".

In quei giorni l'attenzione dei giornalisti e dei politici era focalizzata sulle clausole del trattato e sui vantaggi, o svantaggi, morali e materiali che l'Italia ne avrebbe ricavato; ma nessuno evidenziò il fatto che la pace era stata conclusa soltanto con i turchi e non anche con gli arabi i quali per altri venti anni avrebbero continuato a dare del filo da torcere agli italiani.

Secondo i più autorevoli storici e economisti la guerra di Libia costò all'Italia oltre un miliardo di lire, una somma doppia di quella dichiarata dal governo Giolitti. In termini di vite umane, data la sua brevità, non fu particolarmente cruenta. Secondo le statistiche ufficiali vi perirono 3.431 italiani di cui 1.483 in combattimento e 1.949 per malattia; un dato quest'ultimo che confermerebbe le difficili condizioni ambientali in cui si vennero a trovare i nostri soldati.

In Umbria la notizia della firma del trattato di pace fu accolta in generale con indifferenza come se il ritorno dei reduci a maggio avesse già decretato fin da allora la fine della guerra. U. Ranieri di Sorbello, sempre molto attento agli avvenimenti che riguardavano Perugia, non ne accennò affatto. In quei giorni, nella città, maggiore interesse destò un grande evento mondano al quale partecipò "tutta la società di Perugia": il concerto "pro flotta aerea" all'Hotel Palace organizzato dalla marchesa Danzetta durante il quale danzarono e cantarono vestiti da soubrettes Gigino Danzetta e Federico Marro . Non mancò un tocco di sensualità quando, al suono delle musica composta dalla marchesa Monaldi Nathan , la nobildonna Maria Faina eseguì la danza dei sette veli.

Un'altra guerra, quella iniziata nei Balcani, occupava l e prime pagine dei giornali assieme alla notizia della partenza per Patrasso dei volontari perugini che andavano a combattere i turchi agli ordini di Ricciotti Gariba ldi.95 Anche nell'edizione ternana de "L'Unione Liberale" alla pace appena conclusa con la Turchia furono dedicate poche righe. Maggiore interesse suscitò la partenza da Temi per la Grecia di Girolamo Bianchini Riccardi, che andrà, come gli altri volontari, a raggiungere il figlio di Garibaldi. E anche a Temi, come a Perugia, il desiderio di mondanità sembrò allontanare definitivamente le preoccupazioni per una guerra che si riteneva conclusa. A novembre al Politeama venne rappresentato Il Matrimonio Segreto di Domenico Cimarosa e si esibì la compagnia napoletana di operette Marietta Gaudiosi. La guerra di Libia era ormai un lontano ri cordo. Soltanto il poeta Riccardo Gradassi Luzi, nel gennaio del 1913, si rammentò dei reduci ternani e pubblicò in loro onore una poesia dal titolo Nel ritorno dalla Libia del 52° fucilieri. 96

A conferma che le guerre, anche se vittoriose, ben difficilmente realizzano i desideri di chi le ha volute, tra il 1912 e 1913 un milione e mezzo di italiani lasciarono il paese avendo come meta l'Europa e la lontana America e non la Libia. L'Italia restava con tutti i suoi problemi, aggravati dai debiti contratti per le spese di guerra. Inoltre il notevole consumo di materiale bellico e di equipaggiamento ebbe ripercussioni negative sulla preparazione del nostro esercito quando, meno di due anni dopo la fine della guerra con la Turchia, con l'ultimatum dell'Austria alla Serbia inizierà la Prima Guerra Mondiale.

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