L'ESERCITO DEL REGNO D'ITALIA 1805-1814

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La frattura politica che divise il “partito francese”, favorevole ad Eugenio e sostenuto da Melzi, ed il partito murattiano, che preferiva un’unificazione con il regno di Napoli di Murat e sostenuto dal generale italiano Pino, divise anche molti degli ufficiali e dei quadri dell’esercito. Tutti votati all’indipendenza nazionale, non seppero però realisticamente rendersi conto di quali fossero le concrete possibilità, tanto da assecondare perfino consultazioni con Lord Bentick, comandante britannico nel Mediterraneo. Questi contattò il generale Pino, il quale inviò come proprio interlocutore Ugo Foscolo, allora recentemente promosso a capitano di cavalleria180. Mai come in quel breve periodo si videro tanti proclami inneggianti all’indipendenza ed alla libertà degli italiani: ne furono promotori il Feldmaresciallo austriaco Bellegarde in Lombardia, Lord Bentick a Genova in qualità di rappresentante dell’Inghilterra, Murat a Rimini il 30 marzo del 1815. Fallito il tentativo filo-francese a Milano con l’eccidio del ministro delle finanze Prina, il 23 aprile Eugenio, con una seconda convenzione, pose il proprio esercito nelle mani di Bellegarde181. Il 25 seguente, i generali italiani cercarono di attuare un pronunciamento, forti ancora di 45.000 uomini, ma desistettero su richiesta del vicerè. Quando una delegazione raggiunse il governo provvisorio a Milano, descrisse le truppe come ancora “disposte resistere per più di un anno, animate dal miglior spirito nazionale e di indipendenza”. Lo stesso Bellegarde così scriverà, il 25 marzo 1816, all’imperatore: “L’esercito italiano, ostinato nei suoi propositi, malcontento, disperato, aveva assunto un aspetto minaccioso. Questi soldati erano stati condotti alla vittoria e nello stesso tempo alla demoralizzazione. La causa di diciotto anni di lotta era perduta, la loro attesa delusa.”182

III. L’incorporazione nell’esercito austriaco Alla definitiva caduta del Regno, sostituito dal controllo austriaco sui territori lombardi e veneti, sembrava dovesse seguire l’immediato scioglimento, per volontà della stessa corte imperiale austriaca, di tutte le truppe italiane. Si deve al Feldmaresciallo Bellegarde se ciò non avvenne e passò invece il piano di un’incorporazione delle restanti truppe nelle file austriache. Conscio del pericolo che potevano causare tutti i militari congedati in un solo momento ed anche per una certa forma di rispetto verso il nemico sconfitto, il generale austriaco avviò la ristrutturazione dei reparti, al fine di epurarne i quadri dagli elementi eccessivamente bonapartisti o “nazionalisti” e dalla truppa inadatta a passare al servizio austriaco. Nonostante le forti

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Per un breve cenno tra i proclami del 1814 agli italiani ed il Risorgimento rinviamo a Pieri, op. cit. , pp. 19-21 Cfr. Ceria, op. cit. 182 Relazione finale del maresciallo Bellegarde all’imperatore sullo scioglimento dell’Esercito italiano, 25 marzo 1816, da Crociani, Ilari e Paoletti, op. cit. , pag. 103 181

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