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Verso la Battaglia del Solstizio

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posizioni raggiunte, dal Piave allo Stelvio, si difende l'onore e la vita d'Italia". Se davvero l'Italia con le sue chiacchiere lo aveva tradito, ora si appellava al suo Esercito ancora una volta, affinché presso quell'ultimo baluardo la salvasse: "morire, non ripiegare!".

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Nitti, ministro del Tesoro, si reggeva pensosamente la testa fra le mani mentre fissava con aria truce i fogli di un faldone tratto da un'enorme pila di documenti che, lì accanto, aspettavano il turno di essere a loro volta esaminati. Da Caporetto in avanti, tutto era cambiato. Mentre sul Grappa e sul Piave si combatteva disperatamente per contenere l'avanzata degli austro-tedeschi, sul fronte diplomatico l'Imperatore austriaco Carlo tentava di mettere sul tavolo delle trattative un accordo con gli avversari britannici e francesi, appoggiato dalla Santa Sede. L'alleato tedesco Guglielmo non ne sapeva ancora nulla, altrimenti la sua reazione - non di certo entusiasta - sarebbe giunta fino a Roma. Gli esponenti italiani erano divisi, anche sull'ipotesi di accettare o meno un accordo che mettesse fine al conflitto, tuttavia, qualora gli austriaci avessero avanzato delle proposte appena accettabili, il governo ed il parlamento le avrebbero prese in seria considerazione, ne era certo. Sonnino, chiuso nella sua convinzione della bontà del Patto di Londra, stanco di difendere le sue posizioni, ormai non parlava quasi più con nessuno. Nel parlamento fremevano coloro che non intendevano arrendersi, circa 280 tra deputati e senatori si stavano mobilitando per costituire un Comitato per la Difesa Nazionale al fine di attuare delle misure che aumentassero il consenso verso l'impegno dei soldati. Accantonò il primo faldone e ne prese un altro. Otto miliardi di lire di materiali perduti nella ritirata, questa era più o meno la stima che gli era stata fatta. Avrebbe dovuto finanziare e promuovere la sostituzione di tutto quel materiale, senza contare la "normale" alimentazione dello sforzo bellico ancora in corso. Avrebbe dovuto parlare con Dall'Olio per questo. La sostituzione di Cadorna gli aveva finalmente permesso di costituire un Comitato di Guerra che potesse regolare le spese e dirigere l'azione politica di guerra nella forma più efficiente. Cadorna aveva sempre respinto l'idea di un comitato simile, per non essere condizionato nelle sue decisioni, ma Diaz era stato più accomodante e lo aveva accettato. Per tutte quelle spese si sarebbe dovuto attingere all'ennesimo prestito nazionale, al razionamento o alle requisizioni delle materie prime ... certamente delle misure non popolari, che avrebbero dovuto essere sostenute e giustificate da un'adeguata comunicazione, da delegare all'ufficio propaganda. S'illuminò. Ecco, anche quest'ultimo ufficio dev'essere ampliato! Si risollevò sulla sedia per scrivere un'ulteriore appunto su un lungo elenco che teneva lì accanto: "Ufficio P." scrisse, "aumentare l'assistenza ai soldati". Aggiunse un punto esclamativo. Era un provvedimento essenziale da discutere.

Diaz guardava spazientito il giovane ufficiale che gli stava innanzi con fare incerto, mentre la sera sembrava essere giunta anche per quel fatidico 16 novembre. «Allora?» chiese. «Vogliono sapere se ci sono novità dal Grappa, cosa devo riferire?» il ragazzo rigido sull'attenti con lo sguardo "rivolto all'infinito" rispose esponendo i fatti brevemente ma con cura. Diaz sospirò. Erano passati pochi giorni da che aveva assunto il comando dell'Esercito al posto di Cadoma e già le truppe austrotedesche avevano sferrato l'attacco sull'intero fronte che dagli altipiani proseguiva sulla linea Grappa-Piave fino al mare. Quel giorno era stato particolarmente critico: sulle propaggini più adest del massiccio del Grappa, presso la stretta di Quero, si combatteva una battaglia accanita e cruenta per difendere l'accesso alle vie che conducevano alle alture di quel complesso montuoso nonché alla roccaforte di cima Grappa. Gli era giunta notizia che le truppe d'assalto tedesche stavano arrivando a dare man forte agli austro-ungarici che lì stavano già combattendo e questo non deponeva certo bene. Quel giorno se l'erano vista brutta anche gli alpini tra

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Monte Prassolan e Col del Prai, nella zona nordoccidentale del Massiccio, soltanto l'intervento dei bersaglieri del LX Battaglione e dei fanti della "Trapani" aveva evitato il peggio, ossia, essi avevano impedito la conquista del Pertica lì accanto, respingendo il terribile attacco degli Schiitzen austriaci. Il Duca d'Aosta e la sua 3a Armata erano invece alle prese con l'offensiva sul Piave, presso le località di Zenson e Fagaré, dopo aver respinto nei giorni precedenti l'attacco mosso dalle Grave di Papadopoli, ossia le insidiose isole di detriti in mezzo al Piave che ne facilitavano l'attraversamento. Come non bastasse, all'estremità sud dello schieramento, presso la foce del Piave, proprio quel giorno gli austro-ungarici avevano cercato di superare lo sbarramento italiano aggirando via mare la foce del fiume con un paio di corrazzate, al fine di sbarcare le truppe oltre le linee avversarie, per prenderle alle spalle ancora una volta. Grazie al cielo la Regia Marina era riuscita a tenerli a bada. Diaz, guardò stancamente il giovane ufficiale ancora immobile davanti a lui, in attesa. Aveva accettato di tenere informato il governo di ogni sua manovra, nonostante non ne avesse alcuna voglia. Ma doveva dare un segnale forte che lui non era Cadorna, che con lui si poteva ragionare, altrimenti non gli avrebbero permesso di rimanere al comando a lungo. Congedò il ragazzo e dettò all'addetto di turno un breve resoconto della giornata. La ritirata aveva condotto con sé anche qualche vantaggio: il nuovo fronte, attestato dietro il Piave, era più contratto rispetto alla linea dell'Isonzo, questo consentiva di presidiarlo con la medesima concentrazione di uomini fino allora impiegata, pur schierandone un minor numero complessivo. Ma se il fronte stava miracolosamente tenendo, questo era anche merito suo. Stava realizzando una bella rivoluzione nell'Esercito: forte dell'esperienza di Caporetto, aveva distribuito equamente le truppe nelle prime linee ed in profondità, cosicché nelle postazioni avanzate vi fossero unità bastevoli a contenere l'urto del primo attacco, mentre nelle postazioni più arretrate le truppe potessero muoversi intervenendo massicciamente nei punti del fronte maggiormente minacciati. Inoltre, alle unità minori aveva lasciato una maggiore autonomia discrezionale sui movimenti dei propri uomini in ragione della tattica studiata sulla base della conformazione del territorio, delle condizioni atmosferiche e dello schieramento nemico, consentendo libertà di richiedere l'intervento a proprio sostegno dell'artiglieria. Aveva anche intenzione di aumentare il numero delle Armate riducendo il numero di uomini per ciascuna di essa, rendendole così più "snelle e agili" nei movimenti sul territorio, ma anche per quello occorreva più tempo.

Decise che doveva concedersi qualche~ ora di riposo, si sdraiò senza nemmeno svestire l'uniforme, sapeva che tanto non lo avrebbero lasciato tranquillo per molto. "Eppure, non è sufficiente", pensò guardando il soffitto. I suoi ufficiali ed i soldati avevano capito che la musica era cambiata, ma temeva per la loro tenuta morale, benché finora avessero dato prova di grande forza, digerendo l'accusa di Cadorna. Di allentare la morsa dei provvedimenti contro le defezioni non se ne parlava, semmai doveva convincerli a non disertare! Occorreva motivarli, non come soldati, ma come uomini. Entro pochi giorni avrebbe diramato il suo primo proclama, come da poco aveva fatto il Re, intendeva incitare i suoi uomini a difendere la terra, la casa, lafamiglia e l'onore. Solo la difesa di questi valori non li avrebbe fatti desistere.

Dall'Olio, generale nonché Ministro per le Armi e le Munizioni, si trovava a dover mettere una toppa ad una falla gigantesca. Il ripiegamento di Capo retto aveva fatto perdere un quantitativo esorbitante di pezzi d'artiglieria e munizioni. E quel che era peggio, una parte significativa di quelle armi e munizioni ora era pronta e carica in mano agli avversari, aumentando ancor più il dislivello fra la loro efficienza in attacco e le possibilità difensive dell'esercito italiano. Bisognava porre un rimedio all'istante, per questo aveva già parlato con Nitti che gli aveva garantito i fondi necessari. Il ministro del

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Tesoro aveva già chiesto aiuto agli Stati Uniti, che avevano da poco dichiarato guerra anche all'Austria-Ungheria, inoltre sarebbe ricorso al quinto grande prestito nazionale, nonostante le proteste delle Banche. Tuttavia, le materie prime di certo non abbondavano, quindi la crescita della produzione bellica sarebbe stata possibile soltanto entro i limiti del reperimento dei materiali. Le grandi industrie si erano impegnate ad aumentare la base produttiva di oltre trecento stabilimenti entro la fine di quell'anno, anche se non di elevata specializzazione giacché ci si trovava costretti ad assumere donne e ragazzi al posto di operai qualificati. Con queste misure il recupero del materiale perduto diventava possibile, sperando che la qualità dei prodotti migliorasse... alcuni generali si erano già lamentati dopo le prime consegne di pezzi d'artiglieria Ansaldo. Sembrava che avessero difetti e problemi di fabbricazione ... se invece di ammazzare il nemico, bombe e cannoni finivano con l'ammazzare i nostri, esplodendo in mano, non era un problema da poco! Ah, in guerra era sempre tutto maledettamente complicato.

Krauss, si trovava nel suo comando a Feltre. Era appena rientrato da una visita ai suoi Jiiger nel fondovalle tra Monte Tomba e Monfenera. I:indomani, il 25 novembre, avrebbero dovuto vedersela con la Brigata Re ed egli era andato sul campo proprio per discutere - poco gentilmente con un suo comandante di brigata sulle modalità di condurre quell'attacco. Che importava, da quanto aveva visto, quell'impresa difficilmente sarebbe andata a buon fine.

I:enorme offensiva partita oramai un mese prima sotto tanti e promettenti buoni auspici, stava prendendo una brutta piega e per molte ragioni. Nonostante la conquista di tutto quel territorio italiano avesse fruttato un bel po' di viveri non meno che pezzi d'artiglieria e munizioni abbandonate dall'Esercito Italiano, a causa della ritirata e dall'incalzare delle sue truppe, ora tutte le riserve tornavano nuovamente a scarseggiare. Le reti ferroviarie adibite ai rifornimenti si fermavano al vecchio confine austro-ungarico, recuperare gli approvvigionamenti da quei luoghi e portarli fino al nuovo fronte era un'impresa! E se il vettovagliamento era sempre scarso e difficile da far arrivare, figurarsi l'artiglieria. Tali difficoltà consentivano alla macchina dell'Esercito austroungarico di alimentare la lotta sul Grappa ma soltanto a costo della rinuncia di una vera offensiva in forze anche sul Piave. Le truppe non meno degli ufficiali inferiori, galvanizzate dalle recenti conquiste, si sentivano in qualche modo frenate e non supportate nell'ultima parte dell'offensiva - proprio ora che erano giunte sul Grappa e sul Piave! - ritenendosi abbandonate dall1mperatore Carlo I e dall'Alto Comando, che accusavano entrambi di incompetenza. Krauss era irritato per queste manifestazioni e riteneva che le forze politiche e l'Imperatore stesso non avessero compreso la gravità di questi fatti. A dimostrazione di questo vi era proprio l'inattività dell'impero nell'arginare il dissenso. I:Italia "fedifraga" si era mossa alla conquista di terre che non le spettavano, voleva tutto, da Trento a Trieste, dal Brennero alla Dalmazia. I:Austria-Ungheria avrebbe dovuto muovere una propaganda efficace, che inducesse i propri cittadini alla ferma volontà di far rispettare i propri diritti territoriali, difendendo con ogni mezzo i propri confini! Per contro, si trovava costretto, con sommo disappunto, ad ammirare la costanza con la quale la propaganda italiana martellava la propria nazione in senso inverso, ed i risultati si vedevano! Krauss non perdonava nemmeno all'alleato tedesco il comportamento tenuto quasi quattro anni prima, quando nell'agosto del 1914 non si era dichiaratamente _ messo contro l'Italia ma aveva cercato un accordo su Trento ... questo le aveva dato l'errata convinzione di averne in qualche modo diritto! E come perdonare l'attraversamento delle truppe tedesche in Belgio, chiedendo permesso? Un'onestà che rasentava la dabbenaggine! La Germania aveva pieno diritto di attraversare quelle terre! Krauss scosse la testa, tornare con il pensiero a quei fatti lo fece arrabbiare adesso come allora. Si tolse gli occhiali, li depose sulla

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scrivania e si strofinò gli occhi, per poi lisciarsi la barba che in quei giorni si era fatta un po' troppo lunga. Gli erano giunte voci che gli austriaci, quando venivano catturati non si dichiaravano austriaci. Diamine! I francesi si dichiaravano francesi, gli italiani si affermavano italiani, i tedeschi sarebbero morti sulla loro origine ... gli austriaci no! Gli austriaci, dopo la cattura, si rifiutavano di essere schedati come austriaci, bensì si dichiaravano cechi, polacchi, tedeschi, croati, ungheresi e tutto il resto. Pareva che, non appena percepissero di non essere più sotto il controllo dei comandi della loro nazione, si trasformassero in persone diverse e non si crucciassero affatto di non poter più sacrificarsi nel difendere fAustria. E questo perché gli austriaci non erano in grado di immaginare la guerra come un viatico per ottenere una condizione migliore per loro, le loro famiglie ed il loro popolo in quella patria che era fAustria-Ungheria. Non vi era un traguardo di carattere nazionale che valesse la pena di raggiungere attraverso la guerra e con la guerra. Questa era la peggior mancanza degli esponenti politici del suo Paese, non essere riusciti a delineare un traguardo al di là della guerra per il loro popolo, anzi, per i cento popoli che potevano cogliere l'occasione della guerra, di un nemico comune e di un obiettivo comune, per sentirsi veramente uniti. Non così l1talia. Questo lo imbestialiva: la piccola Italia, ancor prima che con le armi, stava battendo la sua nazione su un campo nel quale lui non era in grado di combattere.

Sul finire del 1917

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