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Mappa semplificata n. 4 (riferimenti geografici tavole 14, 15, 17, 19-24
1916
definitiva, quella che avrebbe condotto alla vittoria. Diaz non si era ancora risolto a sferrare l'ennesimo colpo all'esercito austro-ungarico, nonostante quel suo attendere il momento opportuno gli venisse rimproverato pressoché ovunque, soprattutto dagli immancabili ed intraprendenti strateghi da caffè e da Gazzetta. Ma molta più importanza stavano prendendo le notizie, seppur confuse, che arrivavano in merito alla "salute" delle nazioni avversarie: cechi, ungheresi, croati, sloveni erano in ammutinamento e stavano per proclamare la loro indipendenza, già da tempo influenzati dalle possibilità espresse dai quattordici punti proposti da Wilson a gennaio, che aprivano le porte al riconoscimento della libertà di autodeterminazione dei popoli. L'unità dell'impero bicefalo stava scricchiolando fortemente ... tanto che anche l'Italia si era mossa per approfittare di queste fratture. Orlando e Sonnino avevano convocato quanti erano in Italia fra rappresentanti di questi popoli "dissidenti" verso l'impero austro-ungarico e, con il Patto di Roma, avevano dato loro la possibilità di combattere al fianco dell'Italia contro l'Austria per la propria indipendenza. Avevano costituito così ben due divisioni di prigionieri e disertori cechi e slovacchi che ora rimpolpavano le fila italiane, ma sembrava si stessero muovendo in tal senso anche esponenti iugoslavi, romeni e polacchi. L'impero austriaco oramai consapevole della sua fragilità interna chiedeva insistentemente la pace, la Germania cercava di trattare con Wilson affinché la resa non fosse incondizionata ma Francia ed Inghilterra non ci stavano e insistevano nel piegare militarmente la Germania guglielmina. Se l'Italia non si fosse gettata alla riconquista delle sue terre, i punti di Wilson avrebbero reso nullo il Patto di Londra e chissà ... Proprio per questo, Diaz si era infine convinto dell'inevitabilità di sferrare un ultimo vero attacco. Aveva chiesto alle proprie armate alcune proposte su cui basare una prossima offensiva, ma le risposte non lo avevano esattamente convinto, quindi aveva chiesto a lui di lavorarci.
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Il Colonnello riprese a studiare le carte che tanto gli erano familiari, occorreva individuare la "cerniera" dell'esercito austro-ungarico, ovvero il punto di maggior debolezza, dove le armate andavano a toccarsi. Gli sembrò di aver fatto quadrare il cerchio: i settori di montagna sarebbero stati fermi ad impegnare le truppe avversarie in combattimenti mirati a non far convergere le truppe sul Piave, dove sarebbe invece avvenuto l'attacco decisivo, ovvero nel punto di contatto fra il Gruppo del Grappa e la 5a Armata avversarie. Lì avrebbe avuto luogo lo sfondamento vero e proprio: la 10a, la 12a e l'8a Armata avrebbero oltrepassato il fiume, dando all'armata "italiana", l'8a appunto, la possibilità di insistere sulla direttrice Conegliano - Vittorio, puntando infine verso Belluno. Proprio lì si trovava la principale via di rifornimento per le truppe austro-ungariche schierate sul settore di montagna, interrompere quella via avrebbe segnato la loro capitolazione.
Si alzò e chiamò il maggiore Ferruccio Parri perché portasse a Badoglio le carte del suo piano: se avessero trovato la sua approvazione, le avrebbe esaminate anche Diaz, per poi finire in esame al Consiglio Interalleato di Versailles.
Parri era un giovane ufficiale di collegamento, da poco assegnato al Comando Supremo dopo aver fatto un corso "someggiato", come usavano sminuirlo i colleghi, ovvero un corso "celere" per il servizio di stato maggiore. Soltanto altri quattro ufficiali avevano avuto l'onore di essere prescelti per quell'incarico così importante e di fiducia e lui se l'era certamente meritato sul campo, aveva infatti un buon numero di cicatrici e ben tre medaglie d'argento a testimoniarlo. Quel mattino, aveva consegnato a Diaz i piani per un possibile attacco italiano, firmati da Cavallero e Badoglio. Parri era un appassionato di geografia, come Cavallero del resto, infatti possedeva nel piccolo ufficio assegnatogli i tre volumi del Trattato generale di Geografia di Hermann Wagner, tradotti in italiano proprio dal Colonnello. Sulla parete invece, troneggiava