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G La migliore propaganda: D'Annunzio
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gli altri cannoni all'intorno, mentre in lontananza il pianoro si accende dei lampi di altrettante deflagrazioni. "Speriamo che là in fondo, siano davvero alle prese con i preparativi dell'offensiva ... " pensa Segre allontanandosi.
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ronte austriaco sull'altipiano dei Sette Comuni, 13 giugno, ore 23:00
(Illustrazione 13, p. 80)
Dietro le linee austriache migliaia e migliaia di uomini si spostano per raggiungere la prima linea, schierando i nuovi obici nelle postazioni preventivate e puntando i medesimi dietro le indicazioni degli osservatori d'artiglieria già presenti sul posto. A dire il vero, quest'ultima operazione è fatta un po' a casaccio, in quanto l'artiglieria di quel settore non ha le idee chiare su dove si possano trovare le batterie avversarie: gli italiani non solo hanno camuffato gli obici nel bel mezzo della boscaglia, ma continuano a spostarli, persino all'ultimo momento, per cui è praticamente impossibile prevedere il punto in cui li avrebbero piazzati, per annientarli prima che entrassero in azione. Gli austriaci sperano dunque che schierare 350 pezzi in più, possa essere sufficiente a compensare la mancanza di precisione dei tiri. Il buio avvolge ogni cosa, il chiarore delle stelle permette di intravvedere appena l'immane tappeto di sagome scure che brulica come un formicaio e che si riversa alternativamente in punti di raccolta per poi colmare le trincee o incamminarsi verso questo o quel punto dell'altipiano. Pare impossibile che tutta quella marea di gente riesca a spostarsi in rigoroso silenzio, giusto qualche lamento contenuto arriva talvolta dalle artiglierie, per gli sforzi richiesti nello spostare i giganteschi obici, o per qualche dito schiacciato nel caricarli al buio. Il febbrile lavorio di uomini e mezzi è ancora in piena attività, quando dal bosco in fondo all'altipiano parte un poderoso colpo da un 210 che si schianta in mezzo ad una colonna di
Il Generale Segre
uomini in marcia aprendo un cratere gigantesco. Tutti si fermano, trattengono il respiro nel buio cercando di scrutare il fronte nemico e cercando di capire che succede. . . che cosa significa quel colpo a quell'ora di notte? Dopo qualche istante l'artiglieria italiana inizia a tuonare tutta, a ciascun soldato appare subito chiaro cosa sta avvenendo: questa non è una sporadica azione di disturbo, questo è fuoco di contropreparazione, che prende in contropiede la predisposizione del loro attacco, tanto che le truppe sono ancora in movimento e non completamente schierate mentre l'artiglieria è operativa soltanto a metà! Ma non sarà per caso che gli italiani stanno sferrando un'offensiva? Proprio nello stesso giorno in cui si conta di annientarli?! Che diamine vorranno mai fare? Colpita dal poderoso bombardamento, la fanteria austriaca inizia a correre ai ripari, sparpagliandosi. I preparativi per l'attacco previsto di li a poco vengono paralizzati, le comunicazioni telefoniche ben presto interrotte, gli osservatoriavanzati neutralizzati. tartiglieria austriaca risponde al fuoco con grande violenza ma i colpi cadono in modo disordinato e poco efficace. Alle 07:00 l'esercito imperiale regio decide comunque di partire all'attacco, ma i soldati si lanciano all'assalto con minor impeto e forse con minor fiducia verso un'imminente vittoria. Inizia così l'attacco in cui tanto confidava l'Alto Comando austro-ungarico, con ingenti perdite di uomini e mezzi, ancor prima che le truppe siano entrate in linea.
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NEL MENTRE DELLA t,ATT AQLIA DEL 50L5TIZI0
DAL PUNTO DI VISTA DI ...
iardino, il comandante della 4a Armata sul Grappa, alle 10:30 del 15 giugno era alle prese con l'attacco austrotedesco di Conrad che era principiato quel mattino. Come da ordini superiori, alle prime avvisaglie dell'attacco, le sue artiglierie avevano risposto con fuoco terribile e formidabile: dall'una alle cinque del mattino il fiammeggiare dei cannoni italiani aveva illuminato il Grappa come una lanterna. Gli avversari, tuttavia, non si erano fermati, affrontando i pendii del massiccio di corsa, contro quell'infinità di proietti che gli avevano sparato contro. Fino a quel momento il poderoso attacco austroungarico era riuscito a prendersi il Valderoa, i Solaro li, Col Moschin e Col Fagheron ... sembravano inarrestabili! Stavano tentando di chiudere in una morsa a tenaglia Cima Grappa, prendendo le cime attigue e stringendo la roccaforte di Galleria Grappa ed i suoi cannoni in un accerchiamento, per far capitolare il caposaldo principale. Occorreva inviare rinforzi, si dovevano riconquistare le posizioni perdute. La minaccia maggiore si presentava ora proprio nel punto di contatto fra la sua 4a Armata e la 6a di Montuori, dove le truppe nemiche tentavano di aprire un varco. A contrastare l'assalto vi erano i Fanti del 60° e di parte dell'Abruzzi, quasi tutti "classe '99", che pur giovanissimi e ancora pressoché inesperti, stavano offrendo una resistenza coraggiosa e disperata, riuscendo a rallentare l'avanzata avversaria. Giardino si stava affannando a coordinare con adeguate direttive le artiglierie, le divisioni ... cercando di capire se e dove era il caso di mandare riserve a supporto. A complicare il tutto vi era il marasma generato dal cannoneggiamento dei suoi, unito a quello degli attaccanti, nonché la nebbia artificiale ed i lacrimogeni lanciati dagli austriaci, che impedivano agli ufficiali interpellati telefonicamente sul posto di giudicare se l'attacco fosse stato effettivamente fermato oppure ... Il telefono squillò: «Pronto!» urlò nella cornetta, era Badoglio che chiedeva informazioni su quello che stava accadendo là fuori. Il Generale piemontese provò con la sintesi: «A l'è un ciadèl!» ("E un casino!").
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Pennella, il generale a capo dell'8a Armata dislocata presso il Montello, la sera di quel medesimo giorno non aveva pace, .camminava avanti e indietro nella stanza, i pugni fissi sui fianchi, non ci poteva ancora credere! Avevano attaccato proprio lì, ancora una volta dove nessuno avrebbe mai scelto di attaccare! Solo qualche giorno prima aveva riso con chi gli aveva prospettato quella possibilità: «Ma volete
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proprio che il nemico venga a rompersi le corna contro il Montello, contro la posizione più forte, quando può agevolmente forzare il fiume in altri settori?» Orbene, era proprio accaduto. Il colle del Montello, un ampio altipiano erboso non particolarmente alto e proteso sul Piave, era guarnito di ben quattro trincee difensive italiane, insidiose e poco visibili poiché la folta vegetazione del luogo e la conformazione del terreno ben si prestavano a celarne le postazioni. Non di meno, quella mattina le truppe italiane stavano eseguendo l'avvicendamento dei reparti in prima linea quando venne sferrato l'attacco ... sembrava proprio che gli austriaci riuscissero in qualche modo a conoscerne la data, possibile che si trattasse soltanto di dannata sfortuna?! Gli attaccanti avevano dapprima usato ingenti quantità di fumogeni per nascondere le truppe in attraversamento sul Piave, infine erano partiti all'attacco, quando lo· stesso colle era ancora parzialmente invaso da queste nebbie artificiali, non permettendo ai mitraglieri italiani di sparare se non a casaccio, con il solo risultato di rendere nota la loro posizione e beccarsi così una bomba a mano o la fiammata di un lanciafiamme. I soldati ancora ,impegnati negli spostamenti erano accorsi a difendere le posizioni, ma la nebbia e la sorpresa fecero sì che riuscissero a tenere salda soltanto l'ultima delle quattro trincee! Diaz, fortunatamente, era stato in grado di garantirgli in poche ore l'afflusso di ben tre divisioni dell'armata di riserva, grazie a 500 autocarri previsti per una simile emergenza, appena prodotti e nuovi di zecca.
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Boroevic si spinse indietro sulla sedia chiudendo gli occhi. Erano passati soltanto due giorni dall'inizio dell'offensiva e già vedeva chiaramente davanti a sé l'imminente disastro. Le sue truppe avevano attaccato la linea sul Piave in forze e fin da subito qualcosa non quadrava. L'artiglieria nemica aveva risposto con un tiro di precisione massacrante, ancora prima che fosse terminata la prima salva dei suoi cannoni. Non appena era stato possibile, con l'aiuto della nebbia artificiale, i suoi uomini avevano varcato il Piave riuscendo a conquistare delle teste di ponte sul Montello e fra Candelù e Capo Sile, ma finendo drammaticamente respinti altrove. Le sue truppe d'assalto avevano ripreso gli attacchi l'indomani, ma le divisioni italiane di riserva erano state fatte arrivare tanto tempestivamente da rendere fin da subito difficilissimo proseguire oltre. Tutto sembrava volgere contro la loro azione: l'alta vegetazione, gli acquitrini insidiosi, i fossi, le paludi... ogni più piccolo caseggiato diveniva un covo di mitragliatrici e, se non arrivavano dagli anfratti e dalle case, le raffiche di morte arrivavano dal cielo, ossia dai caccia alleati che avevano ormai il dominio dell'aria e concorrevano alla difesa a terra con mitragliamenti a bassa quota. Conrad, doveva ammetterlo a malincuore, era riuscito sul Grappa a conquistare del terreno, ma anche in quel caso si trattava di ben poca cosa. Già la sera del primo giorno era chiaro che anche quell'offensiva era fallita, la prospettiva di uno sfondamento vittorioso non era più credibile. La battaglia, ad ogni buon conto, continuava, pur divenendo sempre più dura. Non voleva ancora crederci, eppure, suo malgrado, in quella sconfitta vedeva già distintamente il preludio di ben più foschi presagi.
Montuori, il 19 giugno camminava nervosamente avanti e indietro, nel suo ufficio, al comando della 6a Armata a presidio dell'altipiano di Asiago. Già a dicembre 1917, vi era stata un'offensiva austriaca per tentare di conquistare i cosiddetti "Tre Monti", ovvero il triangolo formato da Col del Rosso, il Col d'Ecchele ed il Monte Valbella appena ad ovest del fiume Brenta, ma l'artiglieria del Generale Zoppi era stata formidabile nel respingerla. Agli inizi di gennaio erano stati gli italiani ad attaccare riprendendo parte del terreno perduto, ora, gli austriaci si erano lanciati nuovamente alla conquista di quelle posizioni, che ora toccava a lui difendere, giacché se fossero cadute nelle loro mani, sarebbero potuti facilmente irrompere nella Val Brenta e cogliere alle spalle lo schieramento italiano del Grappa e, proseg1Uendo a sud, anche quello del Piave.
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La situazione era sempre più drammatica, gli Schiltzen della 263 Divisione austriaca erano riusciti ad inchiodare i loro artigli sulla prima linea tenuta dai britannici, presso Cesuna, ma l'artiglieria del X Corpo d'Armata italiano era intervenuta per ordine di Caviglia, riuscendo a far loro mollare la presa. Pur sotto l'attacco feroce degli austriaci, determinati a prendersi l'intero caposaldo, i suoi uomini stavano combattendo su quel fronte come mai prima d'ora.
Gaeta, era un giovane impiegato delle poste italiane e, come tutti i napoletani, la musica e le canzoni le aveva nel sangue, tanto che si dilettava a scriverne alcune ottenendo un discreto successo. Aveva imparato da solo a suonare, da piccolo, nel retrobottega del negozio di barbiere dello zio, dopo che un signore aveva dimenticato là il suo mandolino che diventò all'istante il suo inseparabile compagno di giochi. Quella sera, oramai trentaquattrenne, rientrando a casa dai genitori, non stava nella pelle. Preso dalla frenesia, rifiutò il pasto mentre con un sorriso e gli occhi lucidi e febbrili, disse: «E' vinta!» e corse a chiudersi in camera, lontano da qualsivoglia altra domanda. Quella notte, la sua penna scrisse una canzone sulla guerra, su tutta la guerra, perlomeno il suo racconto terminava proprio con gli avvenimenti di quel giorno, il 23 giugno 1918. I protagonisti erano i soldati d'Italia, senz'altro, ma fra di essi, imponente e magnifico, ve n'era un altro, il Piave! Il Piave che mormorava e che combatteva al fianco degli italiani, perché la sua piena era giunta proprio a proposito in quei giorni di battaglia disperata, sembrava l'avesse fatto apposta a spazzare via ponti, passerelle, soldati austriaci che volevano superare le sue acque in armi, nel momento più difficile di quella battaglia che il caro d'Annunzio aveva ribattezzato "del Solstizio". La sua penna correva su quel pezzo di carta di poco conto, mentre la melodia, che doveva essere il ritornello, gli ronzava in testa già da ore ... e infine, la chiusura: "il Piave comandò: «Indietro va', straniero!»". Benedetto Piave e benedetti i soldati! Era finita in vittoria quella battaglia e, se ci aveva visto bene, forse presto sarebbe finita anche la guerra! Agli austriaci avevano fatto passare la voglia di prendersi l'Italia e gli italiani! Piegò lo scritto, afferrò il mandolino e con il cuore in tripudio corse fuori, a cantare la sua "Leggenda" a chiunque volesse ascoltarla.
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CONTESTO STORICO
in dall'inizio della guerra il cosiddetto "servizio informazioni" di ciascun schieramento operava per reperire più dati possibili sugli avversari. Conoscere in anticipo le mosse del nemico, come fossero articolate le trincee e dove si trovassero le artiglierie, quanti uomini presidiassero quel punto e quanti ne stessero arrivando in vista di un'offensiva... queste e tante altre informazioni risultavano essenziali ad ogni esercito belligerante. In particolare, per l'osservazione del fronte, ci si valeva della neonata aviazione, giacché gli aerei, prima ancora di essere impiegati come armi, furono utilizzati per ricognizioni sui campi di battaglia, unitamente ai palloni aerostatici che venivano innalzati a qualche chilometro dalle linee nemiche. Spie adeguatamente preparate venivano al contempo inviate nei territori stranieri, questi si facevano passare spesso per soldati dello schieramento
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avversario fuggiti da un campo di prigionia, se non disertori veri e propri. In Italia, dopo che lo sfondamento di Caporetto aveva lasciato in mano austriaca una parte dei territori italiani, il Servizio Informazioni del Regio Esercito, per conoscere le posizioni del nemico, si avvalse anche dell'aiuto della popolazione rimasta al di là del fronte. La comunicazione, inutile dirlo, era assai rischiosa ma venne attuata spesso con grande coraggio, fornendo alle truppe italiane notizie preziosissime. Il mezzo di trasmissione più usato fu il piccione viaggiatore. Il sistema era noto fin dall'antichità: poiché questo volatile ha una forte indole sociale, si allontana "da casa" soltanto per procurarsi il cibo, rientrando sempre e puntualmente ogni sera presso la comunità di individui a cui appartiene. I piccioni venivano dunque allevati dai soldati in piccionaie collocate presso i comandi, che i volatili riconoscevano come comunità di appartenenza. Quindi, venivano messi in piccole gabbie ed inviati con vari mezzi in alcuni punti strategici del fronte, presso le trincee o le artiglierie. Quando si rivelava necessario per quel particolare punto del fronte comunicare con il comando, era sufficiente inserire il messaggio dentro un apposito astuccio legato alla zampetta dell'animale, lasciandolo infine libero di tornare alla sua comunità, presso il comando. Un soldato, addetto alla mansione, avrebbe raccolto il messaggio e avrebbe comunicato quanto necessario ai superiori. Questo sistema, pur funzionando a senso unico, era tra i più efficaci. Veniva impiegato per comunicare sullo stesso fronte, ma poteva essere utilizzato anche per recuperare informazioni dalle spie presenti sul territorio nemico. Sul Piave, un buon numero dì piccioni, chiusi in piccole ceste di vimini, venne paracadutato dagli aerei italiani al di là del fronte. Raccolti dalla popolazione o da spie inviate a osservare· le manovre delle truppe austro-ungariche, i piccioni venivano infine liberati, naturalmente dopo aver affidato loro il prezioso carico di notizie, che sarebbe puntualmente arrivato ai comandi. Fra le spie inviate al di là del Piave, nell'estate del 1918, vi fu Alessandro Tandura, che non solo si avvalse dei piccioni, ma fu anche il primo soldato italiano a sperimentare il loro pericoloso mezzo di trasporto, ancora agli esordi: il paracadute.
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ieli vittoriesi, 9 agosto, ore 01:00
(fllustrazione 14 a p. 87} Il capo del servizio informazioni dell'8a Armata, Colonnello Dupont, gli aveva tirato un bello scherzo. È vero che aveva deciso di entrare negli arditi per combattere più e con maggior periglio di tutti, sapeva che lo avrebbero atteso imprese non meno che mortali e disperate e per questo era pronto a tutto. Eppure, quello che gli avevano chiesto di fare era al di là di ogni sua immaginazione. Sentiva i suoi piedi penzolare nel vuoto, mentre l'aria fredda sulla nuca ed il frastuono del motore dell'aereo, un Savoia-Pomilio SP3, lo stordivano. All'intorno, l'oscurità avvolgeva fortunatamente tutto, ecco, intravvedeva appena le acque del Piave stendersi sotto le ali del velivolo, tinte dalla luna di qualche riverbero d'argento. Bene, stavano superando le trincee nemiche, gli sembrava impossibile che laggiù, per quanto fossero piccoli e distanti, gli austriaci non sentissero quel frastuono infernale! Eppure non una raffica di mitragliatrice, non uno sparo, sembrava ce l'avessero fatta finora. Le cinghie che lo imbrigliavano e correvano sotto il suo sedile ribaltabile lo stringevano troppo, ma non osava far nulla per non rischiare di imbrogliare qualcosa. Gli avevano detto che non doveva fare niente, ad un certo punto il sellino si sarebbe girato e lui sarebbe caduto in basso trascinandosi dietro l'ombrello nero di quell'affare che chiamavano paracadute. Poi chissà! Aveva chiesto di fare una prova ma non si poteva, i paracadute erano "pochissimi e costavano assai" quindi toccava incrociare le dita e sperare che funzionasse. Girò la testa, non osando muoversi oltre, guardando di sbieco, per quanto gli riusciva, il pilota e l'ufficiale osservatore della RAF che stavano alle sue spalle, dritti nel senso in cui comunemente si viaggia su un aereo. Era lui a stare al contrario, per qualche assurda ragione che dovevano avergli persino spiegato. I due
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Lenzuola bianche stese a terra ad indicare il punto di atterraggio per i paracadutisti
gli avrebbero fatto un qualche cenno prima di azionare la leva? Ogni tanto, nel frastuono del motore, li sentiva parlare fra loro una lingua incomprensibile, se anche avessero detto qualcosa rivolta a lui, non lo avrebbe di certo inteso. Aveva pure iniziato a piovere. Un paracadute zuppo era ancora buono? Neanche il tempo di pensare, lo stomaco in gola, tutto si ribalta e si sente precipitare nel vuoto, uno strattone, caduta libera, non capisce più dove sta il sotto ed il sopra, un altro strattone e ... finalmente percepisce che la sua discesa sta rallentando. Che diamine, funziona! Spalanca gli occhi nel buio, il vento e la pioggia gli sferzano il viso, niente, non vede niente, niente ... ah, ecco i campi, li riconosce, sono le terre del suo paese! Ecco le bianche lenzuola stese a terra, il segnale per i piloti, lasciate dagli italiani del posto per far sapere i punti buoni dove sganciare i piccioni. .. e anche lui. Si avvicinano troppo in fretta, un colpo, un dolore al petto e più nulla. La terra bagnata e l'erba sul viso sono la sua prima sensazione non appena rinviene, si risolleva e ancora non ci crede. Stava nel bel mezzo di un vigneto, dall'aria familiare. Si toccò la faccia, era ancora tutto intero, ora doveva soltanto raggiungere la casa dei genitori, laggiù nella valle.
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Quel che accadde dopo
Il giovane Tenente Alessandro Tandura, appena venticinquenne, atterrato accanto ai vigneti sul limitare dell'orto del parroco di San Martino di Colle Umberto, riuscì poco dopo a raggiungere la sua casa natale. Fu il primo paracadutista italiano della storia, lanciatosi in missione di guerra dietro le linee nemiche. In seguito, con l'aiuto della sorella e della fidanzata, raggiunse Col Visentin dal quale, a mezzo di piccioni viaggiatori, riuscì a fornire al comando italiano dell'8a Armata importantissime informazioni sulle attività e sulle posizioni assunte della truppe austro-ungariche al di là del Piave. La sua missione durò ben tre mesi, dal 10 agosto al 30 ottobre, durante i quali venne catturato dagli austriaci due volte, riuscendo in entrambi i casi a sottrarsi con fughe rocambolesche. Fu raggiunto in quei giorni da molti compatrioti, fino a quel momento dati dalle autorità per "sbandati" o "disertori", in realtà sfuggiti alla cattura austrotedesca e impossibilitati nel raggiungere il proprio esercito al di là del Piave. Con questi ultimi organizzò delle "bande armate" per contrastare il nemico in quello stesso territorio. Sabotarono così i treni adibiti al trasporto di uomini e munizioni, modificarono le indicazioni stradali per creare caos negli spostamenti delle truppe austro-ungariche e nei trasporti in genere, infine, quando il 30 ottobre le avanguardie italiane stavano raggiungendo Vittorio dopo aver varcato il Piave, essi cercarono di stringere il nemico combattendolo da nord, fornendo un valido aiuto alle truppe in avanzata.
Tandura per la sua impresa, per il coraggio ed il valore dimostrato venne insignito della Medaglia d'oro al valor militare, la sorella e la fidanzata di quella d'argento.
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Alessandro Tandura seduto al contrario sul seggiolino ribaltabile del Savoia-Pomilio SP3, con i piedi penzoloni
LA MIQLIOKr. 17KOl7AQANDA: D' ANN\JNZIO
CONTESTO STORICO
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abriele d'Annunzio, Vate, scrittore, poeta, drammaturgo, giornalista nonché uomo di indiscusso successo, prima dello scoppio del conflitto, a causa delle sue relazioni amorose pericolosamente condotte e discusse, nonché a motivo della predilezione per la bella vita che lo indusse a sperperare ogµi sua sostanza, fuggì in Francia, per sfuggire alle molte amanti gelose, ai mariti infuriati, ai creditori assillanti. Nessuno avrebbe mai immaginato che un uomo tanto eccentrico potesse, alla veneranda età di 51 anni, rientrare in Patria e fare il diavolo a quattro dapprima per promuovere l'entrata in guerra dell'Italia, in seguito per. venire arruolato, combattendo valorosamente e indefessamente per terra, per mare e persino in aria, guadagnandosi la fama di eroe. Aveva combattuto nei lancieri di Novara, lanciato volantini da un aereo sulle città di Trento e Trieste, perduto un occhio dopo un volo sull'Istria, si era infine unito ai fanti nella conquista del Veliki Hribach e del Dosso Faiti sul Carso, mentre con i "Lupi di Toscana" aveva tentato di conquistare "Quota 28". Ripreso il volo, aveva partecipando alle incursioni sulle città di Pola e Gorizia, dalla quale tornò ferito al polso e con l'aereo crivellato di colpi. Aveva dunque