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di Roberto De Simone

FONTI E TRASFORMAZIONI DELL’IMMAGINE DELLA TURCHIA IN ITALIA NEGLI ANNI DELLA GRANDE GUERRA di Roberto De Simone

Introduzione

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Al momento di entrare nel primo conflitto mondiale, il nostro Paese doveva affrontare tre nemici, la Germania, l’Austria-Ungheria e l’Impero Ottomano; eppure nella percezione comune il terzo non era quasi tenuto in conto, perché non era considerato una vera minaccia. Su cosa si basava tale sottovalutazione? Per scoprirlo, questo excursus si concentra su qualcosa di molto sfuggente: l’immagine dell’Impero Ottomano in Italia tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. I piani da analizzare sono molteplici e intersecati tra loro, dovendo stimare cambiamenti politici, sociali, culturali, economici, punti di vista, fonti di tipologie estremamente diverse.

Un ambito interessante sul quale concentrarsi è la letteratura. Essa esercita spesso un’influenza importante sull’immaginario e sulla pubblica opinione di una comunità, facendo da potente cassa di risonanza delle idee e rielaborando continuamente le esperienze individuali e collettive di un’epoca. L’obiettivo del presente intervento è dunque mostrare una selezione di opere che ha contribuito alla diffusione e al rafforzamento in Italia della rappresentazione della realtà ottomana come debole, povera, arretrata, incivile e irreversibilmente in declino. D’altro canto ciò era dovuto al fatto che gli italiani erano partecipi della visione culturale occidentale, che poneva le nazioni europee all’avanguardia e i paesi extraeuropei a un livello inferiore. Secondo Edward W. Said, l’orientalismo rappresenta un fenomeno culturale che riflette un senso di superiorità, originato dalle seguenti cause: un crescente squilibrio di forze tra europei e non europei; la percezione di una prossimità spaziale e non solo, derivante dal contatto vieppiù intenso con l’Asia; il bisogno di affermare il proprio dominio su realtà viste come in competizione con la propria.342

Nel caso italiano, esso è in larga parte mutuato, specialmente dall’esperienza anglo-francese. Questo perché l’Italia, arrivata tardi e con difficoltà alla corsa alle colonie, soffriva di gravi lacune di conoscenze sulla complessa situazione ottomana e sull’Islam in generale, persino nelle alte sfere.343 Le parole pronunciate al riguardo dall’orientalista e parlamentare Leone Caetani rimangono una vivida testimonianza, o meglio un’aperta denuncia che mette il dito nella piaga dell’impreparazione del personale diplomatico a relazionarsi con gli ottomani:

[…] il rappresentante straniero è in continuo contatto con la popolazione. Nell’anticamera di lui si affollano gl’indigeni a portare informazioni ed a chiederle. Il rappresentante di queste nazioni molte volte è uomo di larga cultura e di viva intelligenza, il quale ha fatto studi speciali per servire il suo paese in quella regione […]. Ma perché mai queste nazioni hanno questo prezioso privilegio sulle nostre? Per la semplice ragione che le loro autorità hanno richiesto ai propri rappresentanti diplomatici e consolari una speciale e raffinata cultura […] Essi hanno fondato scuole speciali, garantendo l’avvenire di quelli che ne escono dopo le debite prove di esame arruolandoli al servizio dei Consolati […]. Noi, onorevole ministro, nulla abbiamo fatto in questo senso. Avevamo a Napoli un istituto di fondazione privata, che […] già da tempo lo si sarebbe potuto trasformare in un vera fucina dei nostri giovani per il servizio in Oriente. Ma in quarant’anni nulla abbiamo fatto.344

342 E.W. SAID, Orientalismo: l’immagine europea dell’Oriente, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2007, p. 21 (corsivo dell’autore). 343 V. IANARI, Lo stivale nel mare. Italia, Mediterraneo, Islam: alle origini di una politica, Milano, Guerini, 2006, pp. 167, 171. 344 Ivi, pp. 171-172.

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In questo vuoto, finiscono per ricoprire il ruolo di principali opinion makers i libri, i giornali, la pubblicistica d’occasione. Schematizzando, si possono individuare tre differenti tendenze nella formazione dell’immagine della Turchia nel nostro paese alla vigilia della Grande Guerra, che, stratificandosi, contribuiscono a fondare e rafforzare stereotipi e previsioni che si auto-avverano. Una è imperniata sull’esotismo e il fascino di una civiltà ritenuta decadente e aliena dal modello europeo di modernità, in sinergia con l’antico pregiudizio islamofobo (da metà ’800 a inizio ’900). La seconda ritiene, sulla scia dei rinnovati interessi espansionistici italiani nel Mediterraneo, i territori ottomani aree mal governate e depresse economicamente. Il suo corollario è l’invito alla penetrazione pacifica, sfruttando le potenzialità di imprese economiche vantaggiose per l’economia dell’Italia e contribuendo al progresso reciproco (da inizio ’900 alla guerra libica). La terza, schiettamente imperialista, istiga a un processo di demonizzazione, che riduce i turchi a una civiltà inferiore: quest’ultima deve lasciare libero spazio ai legittimi bisogni italiani e va combattuta se vi si oppone resistenza (dalla guerra di Libia al conflitto mondiale).

L’esotismo deformante nei racconti di viaggio: De Amicis e gli altri

Istanbul, chiamata col nome cristiano di Costantinopoli dagli europei, piena di storia e contenente al suo interno una miscela di culture e religioni diverse, ha sempre attirato un gran flusso di visitatori occidentali per diversi motivi, incluso il turismo. I viaggiatori all’epoca facevano da filtro tra la cultura europea e quella turca, contribuendo ad alimentare oppure a sfatare i luoghi comuni. Le particolarità di Istanbul hanno contribuito fortemente alla raffigurazione negativa del turco e dell’orientale in genere, alla sua trasformazione in stereotipo. In una nazione giovane ma dalle grandi aspettative, come l’Italia nata dal Risorgimento, la voglia di terre esotiche e lontane segue la moda dell’orientalismo letterario di viaggiatori stranieri come Chateaubriand, Gautier, Lamartine.345

Proprio a questi predecessori guarda Edmondo De Amicis nel libro Costantinopoli (1878), grande successo di pubblico che descrive un viaggio compiuto durante il regno del sultano Abdul Aziz (1861-1876), nelle vesti di inviato de «La Nazione» di Firenze. Secondo le ricerche della studiosa Federica Angelini,

Quello a Costantinopoli fu un viaggio-lampo; partito da Genova il 18 settembre del 1874, il 4 ottobre il nostro inviato speciale era già tornato nel suo studiolo torinese […]. In soli diciassette giorni era passato per Napoli, Palermo, Messina e Atene, aveva percorso il Bosforo e sostato per qualche giorno a Costantinopoli […]. Le impressioni del luogo furono confuse e generiche, proprie di un turista, il quale, con un viaggio organizzato, e scandito da tempi serrati, visita per sommi capi ciò che ha prestabilito di vedere, che coincide generalmente con l’itinerario meno originale e più commerciale.346

Inevitabilmente, a causa della superficialità della visita, l’autore necessita di abbondanti letture riguardanti la capitale ottomana. Esse comprendono numerosi racconti di viaggio, da Perthusier a Chateaubriand, passando per Tournefort, Lamartine, Gautier e altri, citati anni dopo in una lettera indirizzata ad Emilia Peruzzi. De Amicis sente probabilmente il peso del confronto con gli illustri letterati che avevano raccontato questa metropoli, i quali oltretutto rappresentano la sua

345 Cfr. F.R. DE CHATEAUBRIAND, Itinerario da Parigi a Gerusalemme e da Gerusalemme a Parigi andando per la Grecia e tornando per l’Egitto, la Barberia e la Spagna, Napoli, Tip. Cirillo, 1844; T. GAUTIER, Costantinople, Paris, Charpentier & C.ie, 1888; A. DE LAMARTINE, Rimembranze di un viaggio in Oriente, 4 voll., Milano, Pirotta e C., 1835; Nuovo viaggio in Oriente, Napoli, Gaetano Nobile, 1853. 346 F. ANGELINI, Verso l’esotico: i diari di viaggio di Edmondo De Amicis, in El tema del viaje: un recorrido por la lengua y la literatura italianas, a cura di M.J. CALVO MONTORO - F. CARTONI, Cuenca, Servicio de Publicaciones de la Universidad de Castilla-La Mancha, 2010, p. 772.

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fonte di informazioni, tanto da citarli esplicitamente in vari passi dell’opera.347 Egli affronta con uno slancio lirico e uno stile a tratti onirico, accuratamente descrittivo, la narrazione del suo viaggio e delle sue esperienze nella città sul Bosforo. Ne risulta un tipico esempio di letteratura esotica, mirata a stupire e colpire la fantasia del lettore per mezzo di numerose rappresentazioni pittoresche di paesaggi e personaggi inseriti in un mondo percepito come lontano, rarefatto. Così, il contatto con l’Oriente diviene un’operazione di rinvenimento di topoi letterari in una realtà che già tradizionalmente suscita le fantasie degli europei.348 Ad un certo punto del libro, l’autore confessa candidamente al pubblico questo atteggiamento immaginifico nei confronti della sua esperienza di viaggio.349

Dal lavoro di De Amicis appare nitidamente quale rappresentazione della Turchia egli intenda trasmettere al suo pubblico, cioè quella di un paese esotico ai margini del mondo moderno, degno di nota soprattutto per il suo passato e le sue stravaganze orientali: infatti, per la sua impostazione Costantinopoli si presta ad essere anche una guida di viaggio. In effetti, De Amicis così facendo «[…] segna in maniera irreversibile il passaggio dal viaggiatore al turista. Più precisamente, […] invita i propri lettori a incamminarsi sulla più agevole strada del turismo organizzato»,350 afferma Attilio Brilli. Quest’idea paternalistica di guidare il pubblico con lo scopo di offrirgli una formazione, attraverso una narrazione piacevole e coinvolgente, è la stessa che guida più tardi De Amicis nella sua opera più famosa, Cuore, e si richiama al filone “pedagogico” della cultura di età postunitaria.

Secondo De Amicis, Costantinopoli richiama subito in chi la osserva una sensazione di grandiosità mista a caos. Le sue pagine si sforzano di comunicare di continuo la pluralità disorientante che mostra la città, la quale, anzi, appare un coacervo di tanti centri urbani fusi tra loro. Abituato all’ordine e all’uniformità sperimentati nelle grandi capitali europee da lui visitate, egli cerca di trovare somiglianze tra il paesaggio fluviale del Tamigi o della Senna e quello del Bosforo, per rendere più familiari a se stesso e al suo pubblico i luoghi che passano sotto i suoi occhi, ma sono sempre le difformità rispetto all’Europa ad attirare l’attenzione. Il disordine sovrabbondante di colori, odori, suoni che compongono lo scenario dei racconti del viaggiatore rischia di sopraffarlo:

[…] si cala con pochi passi […] dal divino Oriente dei nostri sogni, in un altro Oriente lugubre, immondo, decrepito che supera ogni più nera immaginazione […]. Si ritorna a casa pieni d’entusiasmo e di disinganni, rapiti, stomacati, abbarbagliati, storditi, con un disordine nella mente che somiglia al principio d’una congestione cerebrale, e che si queta poi a poco a poco in una prostrazione profonda e in un tedio mortale.351

Tali parole mostrano quindi come, agli occhi di un visitatore europeo del XIX secolo, l’Oriente rappresenti anche un luogo dell’immaginazione più che luogo fisico, capace di investire chi vi entra in contatto con un’ondata di meraviglia e sensazioni al tempo stesso attraenti e disgustose. Si può notare come la prosa di De Amicis in Costantinopoli utilizzi vocaboli legati ai sensi, e come le pagine del libro abbiano una connotazione visiva di forte impatto, quasi pittorica. Inoltre si nota nel testo la forte distinzione tra Galata e Pera, i quartieri degli europei,352 e i distretti

347 E. DE AMICIS, Costantinopoli, Milano, Fratelli Treves Editori, 1912, pp. 3-4; p. 32. Per la lettera alla Peruzzi cfr. lettera del 20 febbraio 1880, Fondo Emilia Peruzzi, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, cit. in F. ANGELINI, Verso l’esotico, cit., p. 777 (nota). 348 Cfr. A. BRILLI, Il viaggio in Oriente, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 35-41, 302-311. 349 E. DE AMICIS, Costantinopoli, cit., p. 192. 350 A. BRILLI, Il viaggio in Oriente, cit., pp. 108-109. 351 E. DE AMICIS, Costantinopoli, cit., pp. 45-46. 352 I due quartieri sulla riva del Corno d’Oro prospiciente l’antica città bizantina, che prima della conquista turca costituivano la sede delle colonie di mercanti di Genova. Col tempo vennero incorporate nella città, diventando la “zona

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“turchi”, separati secondo l’autore non solo dallo spazio, ma dal tempo e dalle civiltà che vi abitano. Il viaggiatore è colpito dalla valenza simbolica del ponte di Galata, una sorta di tenue legame che unisce, attraversando il Corno d’Oro, non solo queste città nella città, bensì addirittura Europa e Asia: mentre la parte europea di Istanbul è dinamica e si modernizza, quella turca si distingue per immobilismo e arretratezza. Il ponte permette a De Amicis di compilare un vero e proprio elenco con il quale mostrare il suo estro nel raffigurare tipi, situazioni e ambienti, poiché, «Stando là, si vede sfilare in un’ora tutta Costantinopoli».353 Tutti sfilano per essere immortalati dallo scrittore, il quale si limita a osservare la calca ed enumerarla, come farebbe in visita allo zoo con gli animali in gabbia. Comunque, da parte sua De Amicis alterna simpatia a scherno nei confronti dei turchi. Egli depreca il dilagare degli incendi a Costantinopoli, il randagismo dei cani e l’usanza di avere servitori eunuchi, come intollerabili difetti di civiltà e di progresso materiale e morale; al tempo stesso, tuttavia, ha modo di lamentarsi del non poter assistere con i propri occhi a un rogo che avviluppa le casupole di legno. Egli ritiene il popolo turco abulico, refrattario al progresso, chiuso nella supina accettazione del fato, e che sia condannato a una decadenza senza uscita. Eppure apprezza le qualità morali e la genuinità dei contadini dell’Anatolia rispetto ai turchi occidentalizzati dei centri urbani, riconoscendo una sorta di purezza primitiva ai primi e ritenendo imitatori insinceri degli europei i secondi. Al tempo di De Amicis, infatti, è in atto nell’Impero Ottomano un processo di complesse e profonde riforme note come Tanzimat, che sembra rendere possibile l’europeizzazione dei turchi. Di fronte a queste grandi innovazioni nelle istituzioni, nell’economia, nei costumi, un dubbio viene sottoposto ai lettori dall’autore: i Turchi saranno plasmati in Europei, oppure sono impermeabili ai benefici della modernità, e quindi vanno scacciati e respinti in Asia, lasciando libere le popolazioni da loro sottomesse in passato? Lo scrittore ligure sembra rispondere con consapevolezza della congiuntura storica in cui vive quando afferma che proprio allora è il momento migliore per osservare il cambiamento in fieri, durante la convivenza dei due modelli. Per effetto dell’inevitabile vittoria del progresso, i turchi si trasformeranno, cessando di essere sé stessi, perdendo ogni autenticità. Il moltiplicarsi dei «turchi riformati» e la progressiva scomparsa dei «vecchi turchi», prevede, porteranno Costantinopoli e la Turchia a diventare come Londra e l’Inghilterra. «Forse tra meno d’un secolo bisognerà andar a cercare i resti della vecchia Turchia in fondo alle più lontane provincie dell’Asia Minore, come si va a cercare quelli della Spagna nei villaggi più remoti dell’Andalusia»,354 soggiunge, formulando un pronostico col quale i lettori odierni potrebbero concordare. Un ultimo punto interessante del diario di viaggio deamicisiano sono le pagine dedicate alla condizione delle donne turche. Qui si sfiora un altro argomento che era al centro del pubblico dibattito in Italia e in Europa durante il XIX secolo, la definizione del posto della donna nella società moderna. Claudia Damari ha effettuato un acuto collegamento tra questo brano e le future rappresentazioni del genere femminile elaborate da questo autore:

In Europa la condizione della donna era già in discussione un po’ ovunque, per effetto di stimoli provenienti in particolare dal mondo anglo-sassone […]; sembra di dover recuperare quegli echi per comprendere l’interesse e l’attenzione di De Amicis. De Amicis, si deve ricordare, compirà nel romanzo breve Amore e ginnastica un ulteriore passo verso una concezione avanzata dei diritti delle donne in una condizione di modernità non solo materiale ma morale e politica. Per la evidenza di situazioni assai distanti non solo dalle pratiche occidentali, ma da un

europea” di Istanbul, sede dei consolati e delle residenze straniere, che godevano di un regime speciale grazie alle Capitolazioni. Cfr. R. MANTRAN, Storia dell’Impero Ottomano, Lecce, ARGO, 2004, pp. 101, 104, 528-529. 353 E. DE AMICIS, Costantinopoli, cit., p. 50, ma la descrizione della folla che attraversa il ponte di Galata occupa sette pagine. 354 Ivi, pp.197-198.

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universalismo della giustizia e del giustificabile, i presupposti per le future elaborazioni concettuali e artistiche sono già presenti in queste pagine.355

A completamento di queste osservazioni, giova ricordare che la scelta dell’autore è motivata forse anche dalla volontà di offrire ai lettori un tema affascinante e suscitatore di fantasie come quello classico della bellezza femminile, unendolo a quello dell’esotismo. Entrambi gli elementi nel tempo avevano reso le donne orientali una presenza fissa nell’immaginario della letteratura europea. 356 De Amicis, tuttavia, offre un quadro complesso delle donne turche, iniziando con l’affermare che la tradizione dell’asservimento delle donne agli uomini è destinata in questo caso a scontrarsi con una realtà di fatto diversa, giacché forse esse non sono addirittura più libere delle europee, come diceva Lady Montague, ma sarebbe risibile dire il contrario.357 La pratica del velo, secondo quanto riferisce, e le altre forme di controllo dell’uomo sulla vita della donna sono molto attenuate, così come in Europa. Le donne hanno una attiva vita sociale, gestiscono liberamente la parte della casa a loro riservata (l’harem), sono piuttosto aperte con gli estranei e seguono le mode, anche se non con l’esibizionismo delle occidentali. Tuttavia per De Amicis sono individuabili dei comportamenti “immorali” della società musulmana alle radici della sua debolezza. In particolare concentra i suoi strali contro la poligamia, da lui definita un incitamento alla lussuria e all’infedeltà. L’esistenza del matrimonio poligamico è una degradazione inaccettabile per le donne turche, che sancisce l’inferiorità culturale dell’Islam nei confronti del Cristianesimo. De Amicis ammette però che, sotto l’influsso degli usi occidentali, la maggioranza dei turchi sta preferendo la monogamia in quanto segno di rispettabilità, pertanto la poligamia si avvia a scomparire.

Nel complesso, il libro di De Amicis fu un grande successo, vendendo moltissime copie e lanciando una vera e propria moda letteraria in Italia per qualche anno, grazie al suo stile accattivante e alle atmosfere evocative che aveva saputo creare attorno ai luoghi descritti. La fortuna e l’influenza di quest’opera furono notevoli, basti pensare ai vari scritti di viaggio italiani, emuli dello scrittore di Oneglia, che al racconto delle attrazioni stambuliote visitate alternavano considerazioni sugli incendi, i cani randagi, il Gran Bazar, aggiungendo i propri commenti sulla futura sistemazione politica dei Balcani o su Santa Sofia trasformata in moschea, o altro ancora.358 Ma, forse, il lascito più duraturo Costantinopoli doveva lasciarlo a tanti italiani che si sarebbero avvicinati alla Turchia imbevuti di collaudati luoghi comuni, i quali spesso rappresentavano il loro unico orientamento in un ambiente sconosciuto: così, osservando il Sultano Abdül Hamid II a una cerimonia nel 1889, un addetto militare italiano rimaneva deluso per non aver visto gli ori e le gemme descritti da De Amicis.359

355 C. DAMARI, Tra Oriente e Occidente: De Amicis e l’arte del viaggio, Milano, Franco Angeli, 2012 («Vichiana»). 356 Tema molto ricorrente nel filone esotico della letteratura ottocentesca, del quale sono ottimi esempi le opere scritte da Gustave Flaubert e Gérard De Nerval, in seguito ai loro viaggi nel Vicino Oriente; appare degna d’attenzione l’analisi che ne fa Said, cfr. Orientalismo cit. Cfr. anche G. DE NERVAL, Viaggio in Oriente: le donne del Cairo, Ripatransone, Maroni, 1994; La storia del califfo Hakem, Lecce, Manni, 2001; Solimano e la regina del Mattino, Parma-Milano, F.M. RICCI, 1973; G. FLAUBERT, Viaggio in Oriente, Roma, Mancosu, 1993; Salammbô, Paris, G. Charpentier, 1882; Le tentazioni di sant'Antonio, Palermo, Novecento, 2003; E. AGAZZI, I mille volti di Suleika: orientalismo ed esotismo nella cultura europea tra '700 e '800, Roma, Artemide, 1999; A. BRILLI, Il viaggio in Oriente, cit. 357 Cfr. E. DE AMICIS, Costantinopoli, cit., pp. 355; 36. Su Lady Montague, cfr. A.F. VALCANOVER, L’oriente al femminile nel progresso intellettuale della donna occidentale nel Settecento: esperienze d'una viaggiatrice inglese nell'Impero ottomano: Lady Mary Wortley Montagu, Venezia, Tip. Poligrafica, 1989; The complete letters of lady Mary Wortley Montagu, 3 voll., ed. by R. HALSBAND,Oxford, Clarendon Press, 1966 – 1980. 358 Cfr. C. DEL PEZZO, Costantinopoli. Reminiscenze di viaggio, Firenze, 1889; F. D'ELIA, Impressioni di un viaggio a Costantinopoli nel 1889, Lecce, Stab. Tip. Giurdignano, 1913. 359 Col. Dal Verme al Corpo di S.M., giugno 1889: AUSSME, fondo G33 R24/3, in M.G. PASQUALINI, Il Levante, il Vicino e il Medio Oriente (1890-1939). Le fonti archivistiche dell’Ufficio Storico, Roma, Stato Maggiore dell’EsercitoUfficio Storico, 1999.

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La Turchia come risorsa economica per l’Italia

All’inizio del XX secolo, ebbe inizio nei circoli governativi e tra le classi dirigenti italiane un movimento d’opinione volto a riprendere un’attività d’espansione coloniale per il Paese, tramite un’intensa attività di conferenze sulle politiche coloniali.360 Questo rappresentò un nuovo inizio per il colonialismo italiano, il quale aveva subito una battuta d’arresto in seguito al disastro di Adua, ma ora, ripreso nuovo vigore, trovò anche altri obiettivi oltre all’Africa, in particolare l’area del Mediterraneo orientale. Anche se molte regioni si trovavano sotto il controllo diretto o indiretto di britannici o francesi, si sperava di acquisire in Anatolia una forte influenza economica attraverso una “penetrazione pacifica” dell’Italia. Nel 1903 la Società Geografica Italiana aveva deliberato «d’intraprendere una ricognizione sistematica dell’intero bacino del Mediterraneo orientale, sotto il punto di vista degl’interessi economici e commerciali dell’Italia».361 Per iniziare questa impresa, fu affidato al Tenente di Vascello Lamberto Vannutelli il compito di realizzare una ricognizione sul campo, in Anatolia settentrionale.362

Il lavoro di Vannutelli costituirà la prima analisi organica sull’economia ottomana realizzata in Italia, aiutando a fare luce sullo stato e sulle prospettive della penetrazione commerciale italiana in Turchia. Rispetto all’approccio del viaggio di De Amicis si verifica una chiara cesura, in quanto la Turchia comincia a essere vista come la soluzione per soddisfare la fame di terre dell’agricoltura del nostro Paese e quella di materie prime e mercati dell’industria: essa si trasforma così in un oggetto di studio. La missione aveva lo scopo di studiare la situazione economica della regione e le possibilità che essa offriva per gli affari, allo scopo di compilare una sorta di vademecum per imprenditori italiani, invogliando così il commercio e investimenti in attività produttive nell’Impero Ottomano. Il militare condusse il viaggio tra i mesi di Aprile e Agosto del 1904.

Partendo da Istanbul, la sua spedizione percorse i Dardanelli e tutta la costa settentrionale turca del Mar Nero fino al confine russo, insieme alle maggiori località dell’interno, come Ankara e Kayseri. Nel suo dettagliato resoconto, ogni luogo viene descritto nell’aspetto, nella posizione, nei dati demografici, e soprattutto nei dati economici, con numerose statistiche e una grande quantità di cifre offerte al lettore su importazioni, esportazioni, transito merci, campionario dei beni prodotti, etc., allo scopo di fornire un prontuario per le attività commerciali. Non mancano anche le indicazioni sui trasporti, che si soffermano sulle ferrovie e i porti attrezzati, quando presenti. Proprio la raccolta e la verifica delle informazioni sono indicate dall’esploratore come la principale difficoltà del suo lavoro.363

Vannutelli analizza una situazione economica difficile: un territorio con ottime risorse scarsamente valorizzate, impegnato in un’agricoltura dalla bassa resa e nell’allevamento, ma anche ricco di miniere di metalli rari, nel quale le attività economiche sono finanziariamente debolissime ed esposte alle speculazioni. La fragilità dell’agricoltura turca è dovuta alla continua insufficienza finanziaria dei coltivatori, i quali sono sfruttati dagli usurai e spremuti da tasse onerose. La manodopera è scarsa a causa della leva militare e i prodotti agricoli difficilmente si prestano alla commercializzazione a causa di una cattiva rete di trasporti, fatta di pochissime strade mal tenute.

360 Cfr. A. AQUARONE, Dopo Adua: politica e amministrazione coloniale, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1989. 361 La missione di geografia commerciale della Società Geografica Italiana nel Bacino Orientale del Mediterraneo, in «Bollettino della Società Geografica Italiana», s. IV, vol. V, n. 4, 04/04/1904, p. 286. 362 Vannutelli era stato messo a disposizione della Società Geografica Italiana dal Ministero della Marina, ed aveva alle spalle numerose esperienze di viaggi d’esplorazione in Africa, avendo partecipato alla seconda spedizione Bottego (1895-1897), chiusasi tragicamente con la morte dell’esploratore parmense. Assieme all’unico altro superstite, il sottotenente di fanteria Carlo Citerni, aveva dato alle stampe una cronaca di quel viaggio. Cfr. L. BIANCHEDI, Un destino africano. L'avventura di Vittorio Bottego, Roma, Pagine, 2010; L. VANNUTELLI – C. CITERNI, L'Omo; viaggio d'esplorazione nell'Africa Orientale, Milano, Hoepli, 1899; L. VANNUTELLI, Sguardo retrospettivo sulla mia vita nella Marina, Roma, Tip. V. Ferri, 1959. 363 L. VANNUTELLI, In Anatolia. Rendiconto di una missione di geografia commerciale inviata dalla Società Geografica Italiana, Roma, Società Geografica Italiana, 1905, p. 3.

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Molte attività lavorative, da quel che riferisce il tenente, sono prevalentemente in mano a specifiche minoranze etnico-religiose, mentre i soldati e i burocrati sono in massima parte turchi. Vi è quindi una forte corrispondenza tra comunità d’appartenenza e ceto sociale. Secondo Vannutelli, per fare efficacemente affari nell’Impero Ottomano è necessario un intermediario per evitare le frequenti truffe e le incomprensioni e per essere introdotti nei migliori circuiti commerciali. Malgrado questi rischi, grazie alla quasi intoccabilità di cui godono gli europei per via del rispetto che i locali mostrano loro, Vannutelli sostiene che viaggiare in Anatolia sia molto sicuro per essi. Tra i suoi consigli ai commercianti italiani vi è quello di evitare Istanbul, luogo dove non si fanno affari a buon mercato e le trappole sono dietro l’angolo. Non solo, ma in tutta la Turchia l’impressione generale è quella di un mondo senza regole ben definite, dove la corruzione dilaga e fa la differenza tra successo e fallimento:

[…] una caratteristica speciale è il dominio del bacscisch [sic], ossia regalìa, che ha enorme importanza nelle trattative di ogni genere, evita i ritardi e gli incagli, e spesso decide del risultato. Un tempo gli impiegati stessi del governo non erano pagati ma vivevano di bacscisch [sic] che in tal modo era ufficialmente ammesso. Quantunque oggi le condizioni non siano esattamente le stesse, pure in generale gli interessati non hanno voluto rinunziare del tutto ai vantaggi di questo sistema che nessuno loro contrasta. In nessun paese come questo è maggiormente vero che tra la teoria e la pratica vi è una grande differenza. Molte sono le disposizioni che esistono scritte e non vengono mai applicate; le leggi, i trattati sono molti, ma i fatti raramente sono in armonia con quanto questi stabiliscono; e si può sempre trovare il modo di eludere qualunque legge.364

In un simile contesto, sotto gli occhi di Vannutelli si svolge una corsa forsennata da parte di investitori da tutto il mondo ad occupare posizioni nell’Impero Ottomano. Dopo il successo della prima spedizione, la S.G.I. ne organizza una seconda, che da Izmir lo dovrebbe portare attraverso tutta la costa mediterranea della Turchia fino in Cilicia e, da lì, a Bassora lungo il percorso della costruenda ferrovia di Baghdad, il più grande progetto dell’imperialismo tedesco in Oriente.

Durante il secondo viaggio il tenente comprende quanto terreno stanno guadagnando le altre Potenze europee rispetto all’Italia: interi settori dell’economia ottomana sono sotto il controllo di investitori stranieri, i quali controllano fabbriche, ferrovie, banche, cotoniere, quote del debito pubblico ottomano. L’esploratore avanza le seguenti proposte per risollevare la “penetrazione pacifica” italiana in Turchia: politica più severa e restrittiva sull’attribuzione della nazionalità italiana ai cristiani dell’Impero Ottomano; potenziamento e maggiori ispezioni dei Consolati in Turchia; creazione di una Scuola Commerciale in Oriente; istituzione di un ente culturale permanente dell’Oriente che diffonda la cultura italiana all’estero e promuova la conoscenza di quella orientale; aumento delle risorse per le Camere di Commercio italiane all’estero; creazione di linee di navigazione su rotte strategiche e sovvenzione di quelle esistenti; agevolazione del trasporto merci rispetto a quello passeggeri; promozione degli investimenti in queste aree tra gli industriali italiani, unendoli in organizzazioni associative; formazione di reti di collaborazione e informazioni con le comunità più numerose di connazionali in territorio ottomano. 365 Ma tutte queste misure rimarranno lettera morta.

Le relazioni anatoliche di Vannutelli, il quale probabilmente è influenzato dalle sue esperienze africane, risentono molto dello stile “coloniale” con cui sono impostate, sia nel lessico sia nella trattazione, ma lasciano un patrimonio di dati acquisiti notevole e una serie di consigli strategici per espandere la presenza italiana. Approcciando al problema delle relazioni commerciali tra Italia e Turchia, egli le inquadra in un rapporto tra terra colonizzabile e potenza colonizzatrice, pur con l’importante differenza che si tratterebbe di colonizzazione “informale” attraverso la

364 L. VANNUTELLI, In Anatolia, cit., p 18. 365 L. VANNUTELLI, Anatolia meridionale e Mesopotamia. Rendiconto di una missione di geografia commerciale inviata dalla Società Geografica Italiana, Roma, Società Geografica Italiana, 1911, pp. 388-389.

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dipendenza economica (dalla quale si possono sempre costruire le basi per l’instaurazione di un dominio diretto).

In quel programma di massima preparato dall’esploratore si manifesta la preparazione per un’espansione coloniale, attraverso la formazione di aree di esclusiva preminenza economica italiana, dove siano presenti nutriti nuclei di italiani emigrati. Tramite quel programma, insomma, sarebbe stato in prospettiva possibile “africanizzare” la Turchia. L’esploratore piemontese è tra i primi a vedere in quest’ottica la penisola anatolica, ma niente affatto l’ultimo: anzi, seguendo questo filone di pensiero saranno costruiti i programmi di politica estera italiana degli anni seguenti.

La demonizzazione della Turchia Il filone dell’opinione pubblica italiana meno tenero verso la Turchia, e anzi favorevole al suo smembramento per riservarne dei pezzi per l’Italia, nasceva da lontano. Ma, malgrado il diffuso disprezzo verso i Turchi, tradizionalmente considerati simbolo di barbarie nel nostro Paese, la loro figura subì un’istantanea demonizzazione in occasione della campagna a favore dell’intervento in Libia, trasformandosi in un parafulmine di tutta l’acrimonia e le frustrazioni passate che molti italiani desideravano inconsciamente gettarsi alle spalle con la campagna africana.

Naturalmente, capofila nel dipingere a tinte fosche i turchi in occasione della mobilitazione per la conquista della Libia fu Enrico Corradini, che si era dedicato corpo e anima a questa azione di propaganda. La grande campagna stampa del movimento nazionalista dava voce ai timori di una parte dell’opinione pubblica che l’Italia potesse rimanere una potenza di seconda categoria. Occupare Occupare Tripolitania e Cirenaica doveva essere l’atto di forza e unità nazionale che provasse che il nostro Paese era degno di stare nel novero delle Grandi Potenze, e alla Turchia toccò fare la parte del capro espiatorio.

Per crearsi un nemico che fino a poco prima non era affatto tale, la propaganda di guerra compie una vera inversione di tendenza nel modo di descrivere la Turchia. Il nuovo nemico viene definito un’orda di barbari, un ostacolo alla civiltà di cui si fa veicolo l’Italia, conferendo alla guerra un valore morale:

Io considero la Turchia antagonista nostra non soltanto per la guerra libica, ma per la sua stessa essenza, per l’essenza del suo imperialismo che è fra tutti il pessimo, mentre a me l’italiano si presenta come il prototipo del migliore. Il quale per me è l’imperialismo nazionale, propagatore della specie e della civiltà, attore necessario del dramma del loro sviluppo; e l’imperialismo medio è quello plutocratico, pur esso creatore e necessario. E infimo è l’imperialismo dell’orda, distruttore, e di questo ultimo genere è prototipo il turco.366

E le denigrazioni non si limitano ai turchi in generale, ma prendono di mira anche i Giovani Turchi, secondo Corradini non i liberatori della Turchia, ma i suoi nuovi e voraci padroni, che mantengono lo stesso malgoverno del regime precedente. Prendendo ad esempio Tripoli, egli osserva che «I Giovani Turchi si contentarono di dissanguare con le tasse la Tripolitania, come l’aveva dissanguata il vecchio regime. E la Tripolitania non conobbe né ferrovie, né luce elettrica, né macchine, senza parlare dei bisogni morali dell’uomo moderno».367 Invece Matilde Serao, contagiata dall’entusiasmo patriottico in occasione della guerra di Libia, passa con disinvoltura dall’apprezzamento per l’equità e la tolleranza che i Turchi dimostrano nei confronti delle altre religioni, espresso nel 1900, agli anatemi turcofobi del 1912. Raccontando di un suo viaggio a Gerusalemme anni prima, ella dichiara di aver incontrato un distinto ufficiale turco, elegante e dai modi occidentali, e di aver scoperto discutendo con due anziani signori turchi

366 E. CORRADINI, Sopra le vie del nuovo impero, Treves, Milano, 1912, p. XIII. 367 E. CORRADINI, La conquista di Tripoli. Lettere dalla guerra, Milano, Treves, 1912, pp. 48-49.

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come anche i musulmani venerino e rispettino Gesù e Maria.368 Ma tutto ciò è solo una menzogna bene architettata dal popolo diabolico: infatti, secondo la giornalista napoletana, mentre l’Italia in guerra ritrova la sua vera natura, la Turchia fingendosi occidentale fa l’esatto contrario. Serao arriva a identificare antropologicamente il Turco con l’inganno, la falsità e la malevolenza, fino a giungere a una completa dualità tra bene (italiani) e male (turchi).369 Tuttavia, in questo caso, rimane l’impressione che queste caratteristiche del nemico disumanizzato somiglino al “nemico interno” che i favorevoli alla campagna di Libia avevano combattuto prima di scendere in guerra. Travolta dall’entusiasmo nazionalista, l’Italia che inneggia a Tripoli, e pochi anni dopo a Trento e Trieste, demonizza un Impero Ottomano che conosce poco e capisce meno, amplificandone i luoghi comuni e attribuendogli anche, in una sorta di transfert, la pavidità e la corruttela che all’interno si attribuivano al giolittismo. In conclusione, l’evoluzione del modo in cui era vista la Turchia nel nostro paese durante il periodo preso in esame risponde ai cambiamenti da esso affrontati, e trova molte delle sue fonti di riferimento nella letteratura e nella pubblicistica del tempo.

368 Cfr. M. SERAO, Nel paese di Gesù: ricordi di un viaggio in Palestina, Napoli, Tipografia Tocco, 1900, pp. 101-103. 369 Cfr. M. Serao, Evviva la guerra!: primavera italica, Napoli, Perrella, 1912, pp. 79-80; 106-107.

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